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sabato 12 ottobre 2013

Problemi di base - 155

spock

Perché c’è la vita, se la morte è certa?

Perché c’è la vita?

Può essere la complessità semplice?

E il caos geometrico, matematico?

Perché la vita è una sola? Darwin obietterebbe

Perché la volpe fa il corvo?

E il lupo l’agnello?

Perché il papa chiede lumi a “Repubblica” e non al “Corriere della sera”?

spock@antiit.eu

L'Italia è presidenziale ma non si dice

Dopo l’ultima crisi si sarebbero ricreduti? Lippolis e Salerno rifiutano la deriva presidenziale. Trattando essi soprattutto il primo settennato di Napolitano si può capire: è stato un presidente che ha provato a rientrare nei ranghi. Ma se avessero analizzato la presidenza Scalfaro, che il “golpe” presidenziale portò a termine risolutamente, licenziando governi, formandone di suoi, sciogliendo le Camere d’arbitrio, converrebbero che la presidenza non ha niente più del notarile, il regime di fatto è presidenziale. Dell’unica carica che sta in carica inappellabile per ben sette anni.
Tutti le competenze che di fatto la costituzione assegna al presidente ma nel quadro di una Repubblica assembleare – parlamentare nelle intenzioni – sono state esercitate, anche con durezza. Perfino sui poteri sui quali il presidente ha competenze solo formali di vigilanza, e più di rappresentanza, il giudiziario e il militare.
Lo studio di Lippolis e Salerno pone comunque paletti solidi ai costituzionalisti che la costituzione dicono intoccabile – altrimenti, dicono, si fa il gioco della P 2 (la P 2?).
Vincenzo Lippolis-Giulio M. Salerno,La Repubblica del Presidente. Il settennato di Giorgio  Napolitano, Il Mulino, pp. 200 € 16 

De Benedetti vuole Alitalia, il marchio

De Benedetti voleva, e forse vuole, Alitalia. Il marchio. La vuole per niente, cosa di cui è maestro, per valorizzarne il nome. E per questo aspetta. Non s’è fatto e non si farà avanti per la ricapitalizzazione in corso, perché implicherà un esborso reale. Ma mantiene l’asseto d’informazione specializzata nel settore. Aspetta la crisi definitiva a breve termine – la ricapitalizzazione, inadeguata, equivale a un rinvio di pochi mesi.
Ci aveva puntato nel 2009. Non poté averla perché Berlusconi, allora capo del governo, non lo consentì. E perché il suo ex manager Passera architettò il piano Fenice con altri imprenditori. Da qui le accuse ora di De Benedetti a Berlusconi e Passera, cui imputa lo spreco di “più di cinque miliardi dei contribuenti”.
Come già per Olivetti, De Benedetti vuole proporsi come venditore – lui e non o Stato, che non sa farlo – di Alitalia. Ai francesi o agli arabi. Mentre utilizza il marchio per una serie di start-up nel campo dei servizi, dal catering al turismo. Anche se il miracolo di Omnitel e Infostrada, nate in Olivetti, sembra irripetibile. Omnitel Pronto Italia fu ceduta dopo pochi mesi di attività al socio di minoranza Mannesmann per 15 mila miliardi di lire, con una plusvalenza di 14.200 miliardi - l’anno dopo Mannesmann cedette Wind-Infostrada all’Enel di Franco Tatò, altro ex manager di De Benedetti, per 11 mila miliardi. Il “miracolo” fu allora doppiato dalla leva fiscale, che consentì a De Benedetti, passando tutto in capo a una finanziaria di diritto olandese, Oliman, di non pagare 3.800 miliardi al fisco, il 27 per cento della plusvalenza. 

Tangenti per Mannesmann-Omnitel-Vodafone

Dieci anni fa un processo tenne banco sulle cessione di Omnitel-Orange-Mannesmann a Vodafone, di cui allora si rappresentavano così i termini:
“Lo svizzero Josef Ackermann, presidente della Deutsche Bank ed ex consigliere d’amministrazione Mannesmann, ha sempre pendente una condanna a dieci anni per il sospetto di corruzione nella cessione della stessa Mannesmann a Vodafone. L’incriminazione era avvenuta formalmente in quanto Ackermann, consigliere d’amministarzione di Mannesmann, aveva autorizzato gratifiche ritenute eccessive, di 57 milioni di euro, ai dirigenti Mannesmann (di cui 30 all’amministratore delegato Klaus Esser) e al presidente dell’Ig-Metall, Klaus Zwickel, il sindacato dei metalmeccanici. Ma il processo è stato impiantato col sospetto che lo stesso Ackermann fosse parte o artefice di una combine.
Il cda di Mannesmann, Esser compreso, aveva respinto in un primo momento l’opa Vodafone dichiarandola “ostile”, cioè non nell’interesse dell’azienda e dei suoi azionisti. Il titolo era andato alle stelle, e c’erano stati dei guadagni per molti. Poi Esser ci aveva ripensato, anche per l’intervento di Ackermann, e aveva dichiarato l’offerta compatibile. L’accusa, su cui il processo è stato tenuto a Düsseldorf, ritiene che l’opposizione sia caduta in cambio di tangenti. Forse – è l’accusa subordinata – nella forma della gratifica.
L’accusa non è riuscita a dimostrare la corruzione, e quindi Ackermann va all’assoluzione. Ma la stessa Corte che dovrebbe assolverlo ha mostrato durante il dibattimento di ritenere l’accusa vera anche se non provata. E sull’onda del processo in Germania il governo federale ha dovuto approvare misure d’urgenza contro la corruzione in affari. In previsione dell’appello la difesa avrebbe consigliato all’ex affarista Ackermann un patteggiamento: una multa in cambio della non iscrizione”. Così avverrà tre anni dopo: il 25 novembre 2006 Ackerman patteggerà 3,2 milioni e la presunzione di non colpevolezza.   

venerdì 11 ottobre 2013

Nero

          alla camera ardente di C.L.
Nera è la peste
La fame la paura
Nera è la morte
E la sorte avversa
Nera la Madonna
Nera la pietra e dura
Che dà vita alla natura
Nero è l’amplesso
Di ognuno con se stesso.

Papa Scalfari dialoga con Francesco

Questi papi da twitter e talk-show lasciano perplessi. Papa Francesco che scrive a “Repubblica”, papa Ratzinger che scrive a Odifreddi, e nel mezzo il cardinale Ravasi che convita i direttori dei (grandi) giornali. Non contento, papa Francesco ha invitato Scalfari a una (prima) intervista. Ad appena nove giorni dalla quale un libro è in bella vista in libreria, candido, rilegato, sovracopertinato, a prezzo popolare, con una serie di commenti, di Mancuso, Ceronetti, Prosperi, Umberto Veronesi, Cacciari tra gli altri, della romanziera Veladiano, e di due eresiarchi, i teologi Hans Küng e Leonardo Boff. Tutto cronometrato per la “Repubblica delle Idee”, la manifestazione del giornale da oggi a domenica a Venezia avrà un menù succulento. Libertino anche, un po’, quanto i tempi moralisti permettono, grazie ai ruoli rovesciati.
Si prenda l’intervista dell’1 ottobre. Scalfari ha una segretaria, il papa no, telefona lui per fissare gli appuntamenti. Vuole essere simpatico e lo è. Riceve Scalfari in uno studiolo di squallore monacale, “una piccola stanza spoglia”, pare di capire in un seminterrato, con l’odore di lisciva, seppure non detto, “un tavolo e cinque o sei sedie, e un quadro alla parete” – di santo o santa, è probabile, ma nessuno ci fa caso. E lascia a pontificare Scalfari. Scalfari ha gli aneddoti buoni. Di quando, già adolescente, era ancora chierichetto – perse la fede studiando Cartesio, racconta, quindi alla seconda liceo. Dunque la grazia l’ha abbandonato? Ma il papa non interloquisce. O di quando, a vent’anni, si rifugiò dai gesuiti per non fare il militare per i tedeschi, e i gesuiti fecero fare ai renitenti gli esercizi spirituali per tutto il tempo, un mese e mezzo (“ma è impossibile resistere a un mese e mezzo di esercizi spirituali”, dice il papa “stupefatto e divertito”). Poi smonta sornione il papa col narcisismo. Da cui l’uno e l’altro naturalmente rifuggono. Ma è qui che il papa dice la frase famosa: “La corte è la lebbra del papato”. Salvo precisare che non si tratta degli uffici romani, della Santa Sede  - chi allora, i cardinali che lo hanno eletto? Mentre Scalfari, tutto buono, riconoscente, prosternato, tira fuori l’artiglio e si professa “senza anima”, da vero narcisista.
Poi fa il teologo, lo fa Scalfari. E qui bisogna rileggere per credere: “Credo nell’Essere, cioè nel tessuto dal quale sorgono le forme, gli Enti”. E incalzato dal papa: “L’Essere è un tessuto di energia. Energia caotica ma indistruttibile e in eterna caoticità. Da quell’energia emergono le forme quando l’energia arriva al punto di esplodere. Le forme hanno le loro leggi, i loro campo magnetici, i loro elementi chimici, che si compongono casualmente”. Un po’ di positivismo, aggiornato alla complessità. E il papa? Vuole una chiesa di “poveri tra i poveri”.
Poveri tra i poveri
Un papa semplice non è un peccato. Ma è da vedere se è un buon papa, per la sua chiesa, per l’epoca, per il ruolo che gli è affidato da credenti e non. Rifare tra i furbi il giullare di Dio. Forse è inevitabile, nell’incontro fra un papa e un giornale è il giornale che si arricchisce, lo scambio l’avvantaggia. Commenta Prosperi, lo storico: “La partita che si è aperta riguarda la morale”. Ma leggendole insieme, sia l’intervista del papa che la lettera, è come una partita tra Bonucci e Messi in cui il numero 10, lusingato dal difensore, non sparasse mai in porta: una partita stucchevole. Tra i corrispondenti, Mancuso e Ceronetti lo dicono pure. Ceronetti con più piglio: non c’è partita, “entrambi gli interlocutori hanno in comune il soffio di una spiritualità morta”.
Il teista Mancuso cattura Scalfari con l’illuminazione - ma di sbieco, Scalfari non deflette: “Credo alla luce che è in me laddove splende nella mia anima ciò che non è costretto dallo spazio e risuona ciò che non è incalzato dal tempo. Quella luce ci permette di superare noi stessi” e pervenire a Dio. Quasi un calco di Goethe, che ci ritrova pure la “natura”: “L’occhio deve la sua esistenza alla luce. Di indifferenti organi ausiliari animali la luce fa un organo che sia il suo pari, e così alla luce si forma l’occhio in funzione della luce, affinché la luce interna incontri l’esterna” - Goethe i teologi a torto trascurano, di professione e non, come del resto Spinoza. La domanda in che cosa credi è insidiosa, la complessità è complessa. 
Ma, poi, non si tratterà di un po’ di esibizionismo? Già Prezzolini si scrivevano con Paolo VI, senza clamori. 
Papa Francesco-Eugenio Scalfari, Dialogo, Einaudi-la Repubblica, pp. 160 € 8,90

Ombre - 193

“Nel resto del mondo la destra è conservatrice”, lamenta Marino Sinibaldi con Vittorio Zincone su “Sette”: “Da noi è sovversiva”. E dunque è male, la sovversione è un male aggiunto?

Ma c’è un motivo preciso per l’indignazione di Marino: “Pensi alla trasmissione La Zanzara in onda sulla radio della Confindustria”. Che è una trasmissione satirica. Dunque il male è la satira. Radio Tirana è meglio?

I forzisti statisti di Berlusconi posano soddisfatti in tutti i giornali e le tv. Poche ore appena dopo aver celebrato in pompa la rinascita di Forza Italia. Pensano che saranno rieletti col Pd? È possibile. Ma non li rifaranno ministri.

Non piace ai “mercati” la nuova presidente della Federal Reserve, benché sia espansivista, una che non farà mancare i dollari per ogni avventura. Non piace perché si dichiara sintonizzata sul lavoro: “Stamperò sempre dollari, finché serviranno a creare lavoro”. Il denaro non vuole impiccioni, è effettivamente un mondo a parte: solo servi utili. Per filantropico e creativo che si dichiari.

Gli ex giovani Dc vivono a Roma con due mogli. Casini con tre. Qualche papa ha introdotto la licenza?

Il crollo del gettito Iva a causa dell’aumento delle aliquote non è una notizia per il “Corriere della sera” e “Repubblica”. Tassarne molti per non tassarli tutti?

“Percepiamo una certa vaghezza”, comunica dopo due ore a palazzo Chigi il segretario della Uil Angeletti. “Una pagina bianca” Susanna Camusso dice il gran parlare di aumentare il netto in busta paga. Perfino il bon credente Bonanni deve prendere le distanze: tante promesse, niente risorse.

La nuova Dc ancora non c’è, ma fa come se. Ritenendosi consacrata dopo la crisi rientrata, dà sberle a tutti, e promette – non costa nulla.

“Tanti dipendenti vengono da me perché vogliono essere valorizzati”, dice a Fazio Roberto fico . E chi è Fico? Uno di 5 Stelle, che presiede la Commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai – i dipendenti che si raccomandano sono della Rai. È scemo? No, si vanta. Berlusconi, però, valorizzava solo le donne, se belle. Insomma, poche.

Ignazio Marino a Roma le sbaglia tute. È un incapace? Ma ha stravinto le primarie e poi le elezioni. Il  Pd non gli perdona l’elezione?

 “Le sentenze si discutono e si commentano ma si rispettano”, dichiara non richiesto Maurizio Gangemi, figlio di Francesco, il giornalista ottantenne carcerato a Reggio Calabria dopo una condanna per diffamazione. Voleva liberarsi del babbo?

Contrordine , l’Irlanda salva i politici. Avendo bevuto fino in fondo l’amato calice dei mercati. Ora i ragazzi a Dublino si strofinano per tenersi caldo, non per fare l’amore. Noi invece sempre appesi a Stella Rizzo: la crisi, come si sa, è grave perché i politici rubano tutto, anche le acquasantiere, non perché qualcuno ci specula.

C’è calma in Siria da quando Obama ha fatto marcia indietro. La resistenza era americana? Magari saudita per conto di Obama.

La teste “Omega” dei servizi segreti, Stefania Ariosto, amante frigida dei potenti, che fece morire di crepacuore due giudici intemerati come Misiani e Squillante, si pente anche lei di essersi pentita. A Radio 24 confida che ha solo fatto il gioco dei corrotti più corrotti, e compiange i figli di Berlusconi “che si sono visti ridurre l’eredità” - per il lodo Mondadori rovesciato. Vuole una pensione anche da loro?

Ariosto come altri in Calabria e in Sicilia, i pentiti dopo alcuni anni si dichiarano insoddisfatti: protestano, minacciano, negano, rinnegano. La crisi di coscienza è a termine? L’assegno che gli paghiamo non è indicizzato?  

Il sindaco di Roma Marino vuole 4 mila euro da Berlusconi per una manifestazione non autorizzata davanti casa sua. Per l’occupazione della terra della Camera, invece, la presidente Boldrini chiede al movimento 5 Stelle 3.795 euro. Clemenza? Ridicolo?

Si celebra a Firenze – per modo di dire, nessun giornale se ne interessa – un processo scandaloso, di una banda di pederasti, 23 sono sotto accusa,  che per quarant’anni hanno abusato di ragazze e ragazzi in loro custodia in quanto comunità di recupero per minori. È una comunità dl Mugello, laica, fiore all’occhiello delle municipalità dell’area, tutta monolitica ex comunista. Gli incolpati non si difendono: sanno già come andrà a finire? “La Nazione”, che pure è di destra, non ne parla.


Il partito della Costituzione intoccabile è di cattolici (Zagrebelsky, La Valle) e “indipendenti di sinistra” (Ferrajoli, Ferrara). Lo zoccolo duro del “compromesso”, i cattocomunisti di Rodano-Berlinguer. Ma non hanno altri argomenti che la P 2. È possibile? È così.

giovedì 10 ottobre 2013

La camera ardente

Folla come sempre all’una a Roma davanti all’ospedale Regina Margherita, alla fermata del 44 che non passa mai. Il 44 è l’unico autobus che serve Monteverde, un quartiere di 200 mila abitanti, e ogni giorno a quest’ora ci raccogliamo nell’attesa in un centinaio. Affollati oggi sotto la pensilina perché piove. Anche se la pensilina lascia filtrare la pioggia. E come sempre disciplinati, nessuno protesta. Giusto alcune signore in età si dolgono di non aver potuto andare alla camera ardente di “quel regista”. Di cui non sanno il nome ma che in quanto compagno ritenevano evidentemente di dover onorare. Noi restiamo in attesa per 48 minuti, le signore della camera ardente erano già lì.
Quando il 44 arriva è già pieno. Ma non fa niente, ci pigiamo. Troveremo anche posto per i ragazzi delle scuole, che a quest’ora già tornano a sciami. Il tempo è con noi, in un quarto d’ora riusciamo anche a fare le quattro fermate che mancano all’arrivo, alla farmacia di via Carini. C’è solo da aspettare, che le macchine in doppia fila abbiano spedito le ricette, e consentano al 44 di girare. All’uscita dal bus i cassonetti della spazzatura si adornano di sacchetti ammonticchiati ma non ci adontiamo: oggi piove e non puzzano, e comunque il più è fatto. Il percorso utile del 44 non è lungo, meno di un chilometro, ma il dislivello è di 100 e qualche metro, non si può scarpinare.

Noi di Monteverde siamo un quartiere di media borghesia, che però – o per questo – non si lamenta. Siamo anzi il quartiere più a sinistra di Roma: a ogni elezione la lista e il candidato del Partito vincono al primo turno, al municipio XVI che ci governa e al Comune. Lo siamo fermamente ormai da cinque-sei elezioni, diciamo da trent’anni. Ma questo non c’entra, ci fregiamo di tre o quattro parchi pubblici, col record mondiale di spazi verdi per abitante, e la gloria ci basta.

La recessione – 8

Tutto quello che dovreste sapere ma non si dice:
Il blocco della contingenza sulle pensioni si calcola che porterà a un risparmio medio per l’Inps di 4 mila euro in dieci anni. Cioè di niente. Ma l’effetto è stato immediato sulla spesa di tutti i pensionati, non soltanto di quelli toccati dal blocco, che ci hanno trovato un altro motivo di prudenza.

Riferisce Arbasino sul “Corriere della sera” ieri di una sua lettura-conversazione a Pordenone Legge. Tanta gente in sala, “nessun acquisto di libri alle pile presso l’uscita”. E “apparenti vecchi fan per firmare vecchi edizioni”. Che si riveleranno gli stessi delle “bancarelle dell’usato lì davanti”, con “un piccolo sovrapprezzo per gli esemplari firmati”. A Pordenone che è uno dei posti più ricchi d0talia. E dove si vendono più libri per abitante.. 

Il pil in termini reali era a 1.493 miliardi nel 2007, è stato di1,390 miliardi sei anni dopo, nel 2012.

Quarantesimo calo consecutivo a settembre del mercato dell’auto. Che è ora ai livelli di  vendite del 1976.

Due giovani su cinque, tra i 18 e i 25 anni, che non siano all’università, non hanno occupazione.

Le banche europee sopravvivono con gli aiuti di Stato. L’Italia è ultima in Europa per aiuti di Stato alle banche: comprendendo Mps, il sostegno è dello 0,3 per cento del pil. Mentre in Germania è l’1,8 per cento, in Belgio il 4,3 per cento, in Olanda il 5,1 e n Spagna il 5,5 per cento, fino al 40 per cento dell’Irlanda” (Fondazione Rosselli, “Rapporto sul sistema finanziario”, a cura di Giampio Bracchi e Donato Masciandaro). 

La resistenza umana di Landolfi

Una storia d’amore tra due solitari, dai sentimenti limpidi, nelle fasi finali della guerra. La vecchia storia d’amore aggiornata - il bosco, il castello, il re buono, il principe avventuroso, la presenza che si nasconde e si manifesta, il male in agguato. Una storia “diversa” della Resistenza, degli anni vissuti tra occupazione e liberazione, una delle varie forme di resistenza tra sbandati per sopravvivere. Qui col richiamo all’amore. Di “una povera pazza”. Una storia di tenerezza rappresa, Che si conclude con un “Eravamo felici, quando..”. Finita la guerra, un gruppo di liberatori ladri, stupratori, assassini cancelleranno l’apparizione. Che però rivivrà nel ricordo.
Una storia d’amore insolita. Dell’amore, si può dire, più forte della morte. Ma non per Landolfi, narratore estroso, fuori norma. Un laureato in letteratura. Una storia d’amore è insolita anche per lui. Il racconto, uscito a caldo nel 1947, portò molti amici di Landolfi a ricredersi, quelli che ne avevano vissuto la fioritura a Firenze negli anni prima della guerra – Landolfi, che Adelphi ora ripropone al avsto pubblico per la cure della figlia Idolina, è stato, è, uno scrittore per scrittori, ma allora fedeli. Che la sua scrittura sghemba, avulsa, ricercata, assimilavano a una sorta di riserva frigida, da costruttore di “maschere cerebrali” (Gadda). O, Carlo Bo, da scrittore che si è ristretto, dalla “foga balzacchiana” alle alchimie di testa.
Bo, fra tutti a Landolfi più vicino, fece atto di contrizione nel 1975 presentando la riedizione del racconto: il “mistero” di Landolfi “sta nell’uomo che Landolfi non ha voluto essere ma ha dovuto essere”. Per il quale la scrittura, come il casinò, ha finito per essere temporaneo sollievo e uscita d sicurezza. Bo si spinge fino a individuare un “romanticismo landolfiano”, intendendo forse un italico maledettismo. Ma anche in questo racconto quasi sentimentale Landolfi scrive sempre rapido e sfuggente, inconclusivo – poi si sarebbe detto aperto. Voleva essere libero dalle rogne e scrittore, e visse per sopravvivere. Questo sarà stato il suo dramma personale, il suo “mistero” (e degli altri scrittori no?), ma scrisse come voleva. Benché di lingua qui posata, in pace con se stessa. Uno dei pochi racconti “umani”, di Landolfi – l’unico forse, a parte quelli semiautobiografici sul gioco.
Tommaso Landolfi, Racconto d’autunno, Adelphi, pp. 132 € 12

mercoledì 9 ottobre 2013

Il mercato della giustizia

Si sapeva, ma qualcosa comincia a diventare materia penale, che i giudici si vendono le loro indagini. Si vendono in senso improprio, non contro denaro, ma compiono lo steso un illecito. Alla Procura di Caltanissetta che gli contesta la pubblicazione sul “Fatto Quotidiano” di  alcune intercettazioni due giorni prima che le stesse venissero trascritte e depositate, Ingroia non dice che non è vero. Obietta semmai che la notizia dell’inchiesta a suo carico per l’anticipazione al “Fatto Quotidiano” sia stata comunicata ai giornali prima che a lui.
C’erano una volta i sottufficiali che si vendevano verbali e altri documenti riservati, per denaro. Non chiedevano molto, spesso solo piccoli favori. Ogni cronista giudiziario doveva avere di queste fonti da retribuire. Da trent’anni circa il piccolo mercato è stato sottratto ai marescialli dai giudici, che ne fanno piattaforma per diventare onorevoli. È quello che sta accadendo, per esempio, da una settimana a Bari, o meglio a Trani, dove la locale Procura passa al “Corriere della sera” quotidianamente, attraverso canali ben conosciuti, un’indiscrezione su Berlusconi – sempre ipotetica, il cronista giudiziario in genere non è fesso, è solo un delatore. L’unica attività è ottenere ogni sei mesi un prolungamento delle indagini, per non interrompere il flusso: più inadagini più indiscerzioni.

Fisco, appalti, abusi - 36

Nel pacchetto “Salva Italia” Monti ha introdotto una “quota Stato nella Tares, l’imposta comunale sui rifiuti. Pari a € 0,30 per mq. Che ora si paga.

Le aziende italiane si vendono moto bene quanto l’acquirente è estero – Bulgari per quattro miliardi, etc. Si vendono meno bene quanto il venditore è lo Stato e il compratore italiano.

Analizzando l’occupazione in 14 aziende passate a proprietà estere, tra esse Gucci, Nuovo pignone, Avio, Federico Fubini ha scoperto che l’occupazione è aumentata. Esattamente, nelle 14 aziende, di 3.480 unità, e cioè del 7,7 per ceto. Pur scontando la perdita dei posti Alcoa in Sardegna. Le aziende italiane erano in crisi per avere investito poco.
Gucci ha triplicato in dieci anni gli addetti, a 9.300, e il fatturato a 3,6 miliardi. Bottega Veneta ha decuplicato in dieci anni i posti di lavoro, a 2.300 unità, e moltiplicato le vendite da 35 milioni a quasi un miliardo. Bulgari ha incrementato gli effettivi in Italia del 10 per cento in due anni.

Con un autovelox ben posizionato sulla Parma-La Spezia, il comune di Pontremoli ha raccolto in dodici mesi 1,2 milioni di euro, poco meno della Tares, ex Tia, 1,4 milioni. L’autovelox ha generato un quarto delle entrate del Comune, paria 5,3 milioni.

La linea C della metropolitana di Roma, una delle opere più costose d’Europa, per una spesa lievitata a 3,5 miliardi (ma si sa che sarà “almeno il doppio”), e dai tempi incerti, poteva essere realizzata in project financing negli anni 1990, cioè gratis. Dalla società francese che aveva realizzato la metro ad alta profondità di Lille, e chiedeva in cambio una concessione trentennale. L’allora commissario per Roma Capitale, Nicola Scalzini, non ne fece motivo di polemica, ma registrò il rifiuto della giunta Rutelli con grave disappunto.

C’è la mafia quando il delitto è impunito

Ogni delitto va perseguito, è la base del diritto. Ma non ogni delitto di mafia. Al Sud e ora, si scopre con le bande sudamericane e africane, al Nord. Dove le stesse vengono docufilmate per anni, invece che perseguite: se ne fa uno show, mentre seminano la violenza. Può essere questa strategia repressiva l’origine delle mafie, il rinvio della doverosa repressione.
Al Sud questo si poteva scrivere già vent’anni fa, quando infine fu colpita la mafia dei terreni a Castellace in Calabria:
“Si fa un primo intervento in Calabria contro le «cosche dei terreni», attive in agro di Castellace, la grande area olivicola pianeggiante del comune-diocesi di Oppido Mamertina. «L’operazione “Pace tra gli ulivi” è costata quattordici mesi di indagini», si legge nei comunicati dell’Arma dei carabinieri. Ma si sapeva tutto di tutti da almeno 35 anni.
“Cos’è cambiato ora, perché ora e non prima, non all’inizio di questa feroce sovversione a danno di decine, forse centinaia, di famiglie? Malgrado le denunce, le testimonianze, le intimidazioni gravi, bombe, incendi, sparatorie? Le cosche hanno fatto un errore: hanno ordinato un assassinio, del barone Cordopatri, a un killer poco sveglio che si è lasciato prendere dai passanti, e la cosa non può passare impunita. Sono anche tempi in cui il vecchio ordine viene contestato, e la giustizia quindi si muove. Una delle cosche, bisogna dire, ha fatto l’errore, i Mammoliti, per eccesso di impudenza-impunità, le altre mugugnano scopertamente contro i Mammoliti, e forse li denunciano.
“Non c’è nulla di segreto in fatto di mafie, se non il fatto che non siano perseguite. Non in tempo utile, quando commettono le grassazioni. Come sarebbe possibile in base alle denunce e alle documentazioni. Solo – e non sempre – si perseguono quando il danno è compiuto, a titolo di esemplarità. Contro le vittime (il Sud, i possidenti, l’idea di ordine), alle quali si imputano omertà e connivenze, contro ogni evidenza.
“Oppido ha avuto un senatore e ha un vescovo, ma niente si è mosso per la legalità. Un deputato poi senatore, Salvatore Frasca, parlamentare dal 1972, che animava molte manifestazioni antimafie, in almeno due elezioni ha avuto i voti di Castellace grazie ai Mammoliti. La strada interpoderale Castellace-Amato, un collegamento infine diretto e semplice con le banche e i magazzini oleicoli di Gioia Tauro, si è fatta per l’interessamento dei Mammoliti, e dei loro patroni di Gioia Tauro, i Piromalli. Sembra fantastoria ma non lo è.
“Ai (piccoli) proprietari spossessati non è restato che pagare avvocati, sporgere denunce inutili, sopravvivere mentalmente alle intimidazioni, e pensionarsi modestamente per salvare le vite e la sanità mentale dei figli. Mentre le stesse cosche oggi perseguite – ma non carcerate, né confiscate nei beni -  hanno prosperato esentasse per almeno tre decenni e a titolo gratuito. Diversificando in impieghi ora imprendibili – grazie ai migliori consigliori finanziari, che le mafie possono permettersi. Allargandosi a dominare, indisturbate, una trentina di paesi, una plaga di 200 mila persone, lì dove un guadagno si materializzava, anche modesto – bisognava essere poveri per essere liberi. Contro tutte le sociologie della «funzione provveditrice» delle mafie, sostitutive dello Stato, della Legge, della Società: le mafie prosperano col terrore, quando si esercita indisturbato.
“L’Arma elenca «una serie impressionante di intimidazioni contro gli agricoltori della Piana». Erano tutte da tempo documentate nelle denunce e le proteste. L’inizio della storia viene datato 1974, quando “una progressiva ma inesorabile acquisizione di tutti i terreni agricoli ricadenti nel territorio della cosca, con vendite a prezzi ridottissimi, e l’intestazione delle proprietà a componenti della ‘ndrina senza precedenti penali” si avvia. I capitali si dicono procurati attraverso due sequestri di persona eseguiti in precedenza, di “due cugini dallo stesso nome”, Pasquale Leuzzi, prelevati a Delianova e tenuti reclusi in Aspromonte. I due Leuzzi non sono cugini, e l’“inesorabile acquisizione” era cominciata già da una dozzina d’anni. Senza mai un processo, un’indagine giudiziaria, un arresto dissuasivo – uno fra i tanti che in quelle aree si praticano a cuor leggero per ogni evenienza. I due Leuzzi non furono cercati durante la prigionia, né dopo si cercarono i rapitori.
“Può anche darsi che si sia agito solo da ultimo perché al comando dei Carabinieri in Calabria c’è il colonnello Nicolò Bozzo, uno dei collaboratori più stretti di Dalla Chiesa”.

La rovina dell’Europa-Lilliput, un secolo fa

“Nessuno combatte per la Libertà o per il Diritto! Tutti combattono per paura degli altri!” In questo “Ultimatum” alla “Lilliput-Europa”, una trentina di pagine del 1917, nella “guerra dei pigmei”, ultimatum nominale, di persone e nazioni, Álvaro de Camos-Pessoa, autore e personaggio burlesco, è profeta drammatico dettagliato di un Novecento che sarà poi effettivamente l’ultimo secolo dell’Europa. Tra le rovine, di “radicali del poco”, “giganti del formicaio”, “decigrammi dell’Ambizione”, e “imbelli con l’urgenza di essere gli isti di qualche ismo”, mai trahison des clercs  fu più precisa. Con l’albagia, non si dimentichi, del Superuomo in cui Álvaro-Fernando s’impersonano, con i deprecati D’Annunzio e Wilde – gli saranno fischiate le orecchie al povero Nietzsche.  
“Nel 1979,” ricorda Calasso celebrando ieri i 50 anni di Adelphi con Ranieri Polese sul Corriere della sera”, “il Pessoa curato da Antonio Tabucchi passa inosservato: una sola recensione, di Pontiggia, che però era un nostro collaboratore”. Era un’Italia migliore? “Se ne accorsero solo le Br”, continua Calasso, con un articolo su «Controinformazione» che usava Pessoa come prova dell’orientamento reazionario di Adelphi”. Un apologo che dice molte cose sulle Br, gente che leggeva anche se male, e sul Pessoa-Tabucchi che solo Adelphi riconosceva. Ma poco dopo lo spasso era generale, questa nutrita compilazione di Ugo Serani per la bibliotechina del Vascello è ancora piena di umori. Compresi, come Álvaro-Fernando voleva nell’“Abolizione del dogma della personalità” a corredo dell’“Ultimatum”, quelli dei lettori – è il lettore che fa l’autore, etc.
Fernando Pessoa, Ultimatum (e altre esclamazioni)

martedì 8 ottobre 2013

Più Iva meno Iva

L’aumento dell’Iva al 21 per cento ha ridotto il gettito del 5,2 per cento, pari a 3,7 miliardi nei primi otto mesi del 2013. A conferma che le imposte indirette hanno un effetto diretto di scoraggiamento dei consumi. A fronte di questa conferma, si conferma irrealistica la previsione del ministro Saccomanni, che ha voluto l’ulteriore aumento dell’Iva per accrescere le entrate di 1,6 miliardi.
A fronte di una riduzione del pil prevista all’1,7 per cento, e dei consumi che si aggirerà sul 2,4 per cento, l’Iva si è ridotta di più del doppio. L’Iva scoraggia i consumi, gli affari, e la lealtà fiscale. La scienza delle Finanze ha una sua logica, che non può essere quella della demagogia. Si prenda una tassa apparentemente solo dovuta, quella sule auto di lusso: il Salva Italia di Monti l’ha introdotta con una previsione di maggiori introiti per 168 milioni, e invece ha comportato una riduzione del gettito, per 140 milioni.
Il debito si aggrava dunque, più che per lo spread (il costo maggiorato degli interessi sul debito pubblico a fronte della “concorrenza” dei titoli di Stato nord-europei), per l’imposizione fiscale. Le entrate complessive negli otto mesi sono state uguali agli otto mesi di un anno prima, malgrado l’aumento di 2 punti percentuali delle tasse: più tasse hanno comportato meno ricchezza. Aggravando la recessione.

L’equivoco dei tecnici

Avallato purtroppo da Napolitano, che pure sa di che si tratta, l’equivoco dei tecnici salvatori della patria – da ultimo Monti e Saccomanni - sta affossando la patria stessa. Tutti bravi solo a introdurre tasse. Che non riducono il debito e anzi lo incrementano. E butterebbero benzina sulla recessione, se la disoccupazione di massa fosse un fuoco e non un ammasso di cenere.
La verità funziona all’opposto: non si può buttare via la politica. Abbiamo avuto e abbiamo economisti a ministri del Tesoro e presidenti del consiglio tecnicamente incapaci perché politicamente incapace. Incapaci anche di managerialità, di scelta oculata nel rischio.
C’è l’equivoco di Ciampi, che però era un tecnico improprio. Un filosofo che aveva trovato posto in banca, ma era soprattutto un politico sensibile, e equilibrato.
Abbiamo anche avuto abili tecnici rigettati dalla politica. Il nome è quello di Tremonti, l’unico ministro del Tesoro abile e l’unico che Berlusconi abbia silurato, per due volte. Ma questo lo mettiamo a carico della politica, e di Berlusconi. 

Secondi pensieri - 152

zeulig

Amicizia – È il rivelatore di sé stessi: si è se stessi nel confronto con persona-e vicina-e. Si è per il resto dispersivi: la vita di relazione – e ogni vita è di relazioni – è dispersiva, anche quando si vuole formativa, a scuola, sul lavoro, nelle attività sociali, politiche, umanitarie. Si finisce per trascurare se stessi, anche qualora se ne abbia grande o grandissima opinione, nel senso che si alleviano, si trascurano o si obliterano le proprie responsabilità. L’amicizia ha la virtù di metterci di fronte noi stessi. Di risvegliare la confidenza-conoscenza di noi stessi.  

Amore – Senza amicizia è accensione fatua. Il legame affettivo – ma più spesso è promiscuo, plurale – non è duraturo né acuto, anche nel senso del piacere, se non s’innesta in una forma di amicizia. 

Democrazia – È necessaria ma non funziona. Non funziona in senso proprio, “democraticamente”, in quanto rappresentanza e governo “migliore” – non sperpera di più, in risorse ed energie, di qualsiasi altro governo, sia pure totalitario, ma sì sperpera la funzione democratica: la partecipazione, il voto, l’indirizzo di governo. Bloccata più spesso dalle stesse forze democratiche: quindi per automutilazione.
Il nodo è la funzione di governo. Che può essere come Oscar Wilde aforista la sintetizza, in “L’anima dell’uomo sotto il socialismo”:  “Abbandonare l’umanità a se stessa è possibile, governarla è impossibile”. Specificando, però, punto per punto: “Tutti i modi di governo sono errori. Il dispotismo è ingiusto per tutti, compreso il despota, che era probabilmente fato per un ruolo migliore. Le oligarchie sono ingiuste per la maggioranza, e le oclocrazie sono ingiuste per la minoranza. Si nutrivano un tempo elevate speranze nella democrazia; ma la democrazia significa semplicemente il bastonamento del popolo da parte del popolo per il popolo”- una forma corruttiva. È la posizione anarchica integrale – “ogni autorità è avvilente: avvilisce quelli che la esercitano e quelli che la subiscono”. Da una posizione non anarchica. La democrazia si vede funzionare dove blocchi di potere si sono consolidati che hanno interesse a farla funzionare: Gran Bretagna, Stati Uniti, e ora la Germania.

Eutanasia – È una novità nel senso che se ne vuole un obbligo di legge – nel senso della dispossessione, o della normalizazione (“razionalizzazione” a basso voltaggio) che la contemporaneità impone.
È la vecchia pratica degli svedesi trogloditi, i nomadi dell’antico Egitto, i sardi, di uccidere gli anziani a colpi di clava o pietra. Gli indiani del Brasile uccidevano così gli infermi. I massageti e i derbicciani uccidevano gli ultrasettantenni. E i càtari pii di Monforte d’Alba o Asti, che le endura abbreviavano alla fine, i suicidi dei saggi anziani per digiuno, per evitare loro i patimenti dell’agonia. Gli abitanti dell’isola di Choa, dove l’aria pura dà lunga vita, ci pensavano invece da soli: prima dell’ebetudine o la malattia i vecchi prendevano la papaverina o la cicuta. Analogamente l’eschimese che, prossimo alla fine, inutile alla famiglia, esce dall’iglù e si perde nel pack. Fra i batak di Raffles, esploratore fededegno, che sarebbero i dagroian di Marco Polo, i vecchi erano mangiati: “Un uomo che sia stanco di vivere invita i figli a divorarlo nel momento in cui il sale e i limoni sono a buon mercato”.

Morte – Invece che il fatalismo, genera l’attivismo e la speranza. Dovrebbe condizionare al fatalismo, indirizzare all’inerzia per l’ovvia evidenza, nascendo moriamo, siamo condananti a morte, siamo condannati costituzionali, etc., che invece viene ribaltata, ridotta a calembour.
Si può pensare la morte evitata (spuntata se è n’arma) dalla vita di genus, dalla riproduzione – nella storia (memoria). Ma la vita è istinto forse irriducibile. Non il futuro e il passato lo condizionano, che sono sue creazioni.   

Nazionalismo – Si oppone a cosmopolitismo, come una forma di resistenza rispetto alla spersonalizzazione. Ma è una forma di esotismo: la specialità del sé è più spesso in aspetto di feticcio, totem e tabù insieme. Inattaccabile, inspiegato.

Povertà – È innesco e materia dell’economia: come ottimizzare beni scarsi. In  natura, alla produzione (industria), alla distribuzione. Della logica quindi, della razionalità, della ricerca, della scoperta.
È l’innesco del pensiero. Non si fa scienza dell’abbondanza soddisfatta. A meno che essa non deperisca: oggi l’acqua, l’aria. È la costrizione il motore. La scoperta (ricerca) solo eccezionalmente  viene dalla curiosità. La quale si attizza essa stessa per i pungoli della scarsità – insofferenza, limiti angusti. In un certo senso l’uomo è ciò che possiede – senza pregiudizio per Nietzsche-Wilde: si determina per le mancanze – si sintonizza, si fa forza, pensa, agisce. Ogni ipotesi dell’evoluzione umana si può solo pensarla determinata dal bisogno.

Ragione – Estrarre il futuro, che si sa non esiste, da una condanna costituzionale a morte: è su una doppia sfida irrazionale che si fonda l’ars construens. La ragione è una scommessa, contro  tutte le probabilità. È una forma, anche, di edonismo e eudemonismo.
Se la vita (riproduzione) è soprattutto istinto, incondizionabile da ultimo dal futuro e dal passato - le coordinate della sua logica, che ne sono una derivata -, la ragione è istintuale. Un fatto nervoso?

Suicidio - “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, dice Pavese, il suicida per antonomasia. Gli occhi di chi? La mancanza d’amore può uccidere, ma gli altri, non se stessi. Amore e odio? “L’Amore viene dall’Odio” è “opera mediocrissima” già in Stendhal. Raro è il suicidio per il bene di chi si ama, spiega bene Rensi, l’egoismo viene prima. Per amore si può anzi decidere di voler vivere, costi quello che costi. Se ci si uccide è per astio, o è una bestemmia contro Dio o l’esistenza. Una vendetta contro se stessi, il suicidio è sempre odio di sé.
È tutto nel cimitero a picco sul mare, nel “Dracula” del mediocre Stoker, dove la morte si prende i vivi: George Canon, che per l’epigrafe “morì con la speranza di una gloriosa resurrezione, cadendo dalle rocce di Kettleness”, era invece un giovane storpio, odiato dalla madre, che accelerò la sua fine prossima col fucile da caccia, perché lei non potesse incassare l’assicurazione che aveva stipulato sulla sua vita. Se non è un problema di sonno: l’ora più buia è quella che precede l’alba, si dice in Spagna, quando bisognerebbe dormire.

Unità – È la condizione umana che si privilegia, nell’individuo (psicologia, personalità) e nella società. Dal “De Monarchia” di Dante fino al tardo Rinascimento, dice Frances Yates, “Astraea”: l’unità della chiesa, dell’impero. Rinnovata dalla teoria dei monopoli: efficienza, rapidità, flessibilità, economie di scala, economie di avviamento e di mercato. Ma è un caso lampante di razionalità a basso voltaggio.
L’unità si privilegiava in una con la diversità: dei riti, delle istituzioni (Comuni e principati, assemblee e corti), delle lingue. Mentre si conosce la distruttività della pax romana delle origini, quella della Roma virtuosa, repubblicana. In epoca moderna l’unità fu imposta dai re cattolici in Spagna e da Luigi XIV in Francia recidendo ogni tradizione e ogni diversità. Cioè i tesori nazionali, per il solo fine della forza unica. In un’unità di facciata che era magari ripetizione dell’antico, ma uniforme e senza vita. Con la pretesa all’immutabile. Quando il proprio della storia - della vita, dell’uomo – è la mobilità, il cambiamento. 

zeulig@antiit.eu

Moravia conformista

L’inappetenza di Moravia si proietta anche sui fatti della politica, di cui, come di tutto, era ghiotto. L’ambivalenza Simone Casini, studioso moraviano, rovescia: indifferente, annoiata, mediocre è la realtà in cui Moravia, come i suoi personaggi, ha vissuto. Ma questo non è possibile e non è vero. Si penserebbe piuttosto a un difetto di giudizio. Ma neanche questo è vero. Non resta che il conformismo.
Casini parla nell’introduzione, che è una delle cose migliori di questa riedizione, di “entusiasmo talora disarmante”, soprattutto nel decennio 1968-78 che più vide Moravia attivo, sul “Corriere della sera”, “L’Espresso” e altri giornali. Per l’uso, “al tempo stesso ingenuo e conseguente”, di parole dalle “ampie oscillazioni semantiche”, come “borghesia, rivolta e fascismo”. È il rimprovero che gli muoveva Gadda in privato – con peculiare misoginia facendone colpa alla “moglie”: “La gentile Morante urla e pontifica troppo”, scriveva nel 1959 a Citati riferendo dell’ “ennesima cena” trasteverina “al tavolo stradale dell’«Impiccetta»”, dalla quale “torno sfiancato”, diceva, “rintronato e vilipeso”, per le “verbose facilonerie” e “l’aspra cornacchiante erogazione di teoremi storiografici dei due coniugi romanzieri”. Al fido Siciliano, che al suo modo garbato gli poneva il quesito nel 1972 per “Il Mondo” (“da sinistra ci arrivano parole segnate da un’usura che fa venire in mente la satira di Orwell… «capitalismo», «imperialismo», «lotta di classe», «socialismo», «libertà»,.e persino «pace »”), risponde che “i contenuti della sinistra non possono non essere vivi”.
Questa antologia è di scritti politici e quindi è solo ovvio che la passione politica vi sia dominante. Ma lo è pure negli altri scritti non narrativi, di letteratura o di viaggi. Una politica però ingombrante in un apolitico, per questo forse di frustrante rilettura. Agitata per una sorta di colpa. Al senso pratico (politico) di Arrigo Benedetti, che gli rimprovera qui l’abuso della parola alienazione e la premiazione di libri sperimentali illeggibili, Moravia non sa opporre che “la bruttezza, stupidità, volgarità, ignobiltà, disumanità e insomma irrealtà delle cose e degli uomini intorno a noi”. Modi di dire.
Forse per questo Moravia è assente o quasi dalle storie delle idee, o delle intelligenze, in Italia nel Novecento, da Bobbio ad Ajello. E invece ha grande capacità di analisi. Notevolissimo il saggio del 1944 sulla “Speranza” – malgrado il titolo proto-compromissorio, “La speranza, ossia cristianesimo e comunismo”, e lo stesso assunto, che il comunismo fosse un’idea di libertà “erede e continuatrice di quella cristiana”. E ha giudizio sicuro. Specie nell’intervista con Renzo Paris, che nel 1980 raccolse questa antologia, di articoli a partire dal 1943, e viene ripubblicata in questa riedizione.
Si legga a caso. “L’alienazione è inerente alla natura stessa della civiltà industriale, nella quale in realtà sono le masse ad alienare le masse”. O: “Perché non viene il sospetto che l’arte in generale assolve nella società una funzione diversa, anzi opposta, a quella della politica?” Non nel “realismo socialista”, ma neanche nel postsovietismo, oggi politicamente corretto, che è il “discorso” dell’intellettuale.
Imbattibile sembra la riduzione della dialettica politica italiana a “conservazione-conservazione”, invece che governo-opposizione: “Non è un caso che la più antica monarchia del mondo, il papato, abbia la sua sede in Italia. Non è neppure un caso che i due maggiori movimenti politico-spirituali italiani degli ultimi tre secoli siano stati la Controriforma e il fascismo, i quali hanno entrambi il curioso carattere tipicamente italiano di adottare, imitare e, si vorrebbe dire, recitare i modi di autentiche rivoluzioni straniere (la Riforma e la Rivoluzione d’Ottobre) a scopo di ulteriore conservazione”. I caratteri nazionali sono contestabili, di più se tipicizzati, ma il fondo c’è tutto.
L’8 settembre vede Moravia uscire con un articolo su pragmatismo e irrazionalismo moderni, D’Annunzio, Wilde, Byron, Calibano e Pascal. Ma questo è a dire della confusione dell’Italia in quella data fatidica e in quell’epoca che segnerà – la segna tuttora – l’impervia democrazia, tra odi immarcescibili. Tuttora gli dobbiamo la mai recepita distinzione tra “intellettuale organico” e “philosophe”, quello che vuole cambiare il mondo e talvolta ci riesce (Mussolini, Hitler, Stalin) e quello che fa le parti della verità.
Parla però da estraneo, malgrado l’ossessività, fino all’iterazione inconcludente. Specie negli scritti centrali di questa raccolta, attorno al Sessantotto, che fu un momento di fermenti vivi la di cui non sa parlare che con la lingua di legno. Che non è la lingua di Marx cui si appella, che invece scriveva ben vivo, e neppure del Diamat. Forse dell’“Unità”, o – non si trattasse dello scrittore per eccellenza di quegli anni – di un “utile idiota”. Si rilegge “Per gli studenti” con stupore, tanto è radicalmente anti-studenti: “Gli studenti sono una nuova specie di intellettuali: gli intellettuali ignoranti”, brutali, barbari, borghesi, “ma questa inconsapevolezza è garanzia di autenticità”.  Triplica ignoranza, verrebbe da dire, della cultura, dell’autenticità, e del Sessantotto. Ma è l’apatia.
L’inappetenza è in realtà l’apatia. Si può dire l’ingenuità - in un certo senso Moravia era ingenuo, infantile - ma non accattivante, e anzi verbosa. Di un carattere al fondo misantropico, entro la patologica socialità - Moravia doveva “uscire” ogni sera. Tanto più in quanto combinato con una curiosità inesauribile e voglia quotidiana di protagonismo. L’amicizia fu per lui sempre difficile, con le ex mogli per esempio, o con Pasolini. Anche con i soggetti che, con parsimonia, beneficò o a cui guardava con interesse. 
Moravia conformista è titolo facile. Ma, impegnato controvoglia dice da ultimo (erano gli anni del “riflusso”), ha sempre voluto stare sull’onda. In ogni piega dell’attualità, non da giornalista ma da censore – solone, reggitore. Non da censore conseguente, più che altro attonito. Un contemporaneo di Stalin che, come dice lui stesso, sapeva bene del gulag, ma non capiva. Mentre moltiplicava le inchieste di “Nuovi Argomenti” su – contro – gli Usa. Non succube della propaganda sovietica, stava attento a questo, ma senza percepirne il senso politico. Non essendo un opportunista, era quindi peggio – “la parola dittatura può essere applicata indifferentemente a qualsiasi regime politico, anche il più liberale”, scriveva nel 1954 (peggio: “È questione di punti di vista”).
Alberto Moravia, Impegno controvoglia, remainders, pp. XIX + 329 € 4.90

lunedì 7 ottobre 2013

Il ritorno di Prodi, con Renzi

Prodi non si sente vecchio e non vuole comunque essere lasciato fuori dalla nuova San Ginesio, l’Alfano-Renzi-Letta. Ritenendosi lui l’alfiere del partito neo guelfo. Non più il resuscitatore, faticosamente attraverso l’Ulivo, e poi prima tessera del Pd, dei resti del compromesso, ma primo indubbiamente degli (ex) democristiani.
Si è già fatto sentire, dopo un semestre abbondante di silenzio, e più si farà sentire in chiave congressuale al Pd. Quando la triade si delineava ha attaccato, in un’intervistona con Alan Friedman ,D’Alema, glie ex comunisti del Pd. Trascurato dai tre, riattacca con Sandra Zampa, che nella cronaca dei “Tre giorni” in via di pubblicazione – i tre giorni della candidatura e il siluramento di prodi al Quirinale – manda una serie di messaggi anche agli ex Dc. Con l’esclusione di Renzi. E delinea il perimetro. No a Monti: barattava il voto a Prodi con la riconferma al governo. No a Rodotà: un grillino dell’ultima ora che sorprese per l’intransigenza anti-Prodi lo stesso Grillo.
È una riconferma – una ridiscesa in campo – che è anche una novità. Zampa scrive, Prodi parla. Parla chiaro, una novità assoluta.

Un altro sguardo sui femminicidi

L’uomo investe di più – di più della donna – nel matrimonio e nei figli? Efferatezza e frequenza non lo consentono, ma uno sguardo più appropriato alla radice di questo scoppio di violenza sarebbe necessario. Che non è quella del maschilismo. Il maschilismo non c’è più in nessun territorio e in nessun ceto sociale, non in Italia (il fatto non è indagato, ma è agli occhi di tutti). C’è invece nelle leggi, che presuntivamente imputano il fallimento della coppia o del matrimonio all’uomo, nella divisione dei beni e nella tutela dei figli.

La donna esce dalla coppia-matrimonio protetta, l’uomo sempre e comunque reo. Le leggi e la pratica favoriscono la donna. Nella presunzione che sia l’elemento debole per quanto riguarda i rapporti patrimoniali, fino alle tante situazioni ridicole determinate dall’applicazione automatica del lodo Jotti. E che sia invece ’elemento forte per quanto riguarda il rapporto con i figli. I frequenti casi di madri infanticide rubricando come vittime, mentre il padre infanticida è un autoritario e un patriarca fallito. Una revisione della pratica divorzile aiuterebbe molto la prevenzione della violenza. 

Italia sovietica – 16

Il sovietismo è morto da venticinque anni, quasi, ma non Italia - dove non c'era. Gli ultimi casi:
Il senatore Zanda, segretario di Cossiga
L’orchestra e il coro della Scala
Quelli del maestro Abbado e quelli del maestro Muti
Il sindacato giornalisti del “Corriere della sera” che spiega ai banchieri come fare i banchieri
Il sindacato giornalisti del “Corriere della sera”, al saldo presidio degli uffici in centro
Il sindacato giornalisti del “Corriere della sera”
Il “Corriere della sera”, unanime sempre
Berlusconi, Formigoni, Milano
A trent’anni dai CCCP, Urss in cirillico, Cresci Consuma Crepa Porco in italico
 “La lettura” del 6 ottobre: “C’è bassa marea morale: dal 1963 fino a oggi”, Augusto fu fascista, “I flop diplomatici Usa”, “Internet parlerà arabo. Così di «de-americanizza»la Rete. E siamo solo a p.5 

Un gigante contro Hitler

Weimar fu avversata dai protestanti più che dai cattolici - già spogliati dal Kulturkampf di Bismarck. Anche Hitler, con  l’antisemitismo, la guerra e lo sterminio, di cui una larga pubblicistica vuole fare colpa al papa e ai vescovi cattolici, ebbe in campo religioso piuttosto il supporto evangelico. Sul fondamento di Lutero, che degli ebrei predicava l’Ausrottung, lo sradicamento. Sono evangelici i Deutsche Kristen, che volevano, e vogliono, una chiesa “ariana” – tutte camicie brune il 5 settembre 1933 al sinodo nazionale luterano, almeno quattro su cinque, grandi manifestazioni nello steso anno a Berlino di cristiano-tedeschi all’insegna delle croci uncinate, e perfino il rifiuto della Bibbia, con l’adattamento dei Vangeli alla “mistica nazionalsocialista”.
Dietrich Bonhöffer fece imponente eccezione, anche per la statura fisica, aristocratico anche di sangue, la resistenza al nazismo fu soprattutto aristocratica, finendo alla forca pochi giorni prima della fine della guerra. Esponente insigne della chiesa Confessante luterana, che professò contro il nazismo, se non proprio contro l’antisemitismo – Karl Barth, insigne teologo e maestro di Bonhöffer, fu perfino nastizzeggiante per via dell’antisemitismo (“La chiesa Confessante sotto il nazismo” è stato quasi cinquant’anni fa un ottimo studio di Sergio Bologna). Il pastore Bonhöffer fu uno dei due suoi martiri, e per questo è forse l’oppositore che la Germania più celebra. Di una resistenza che fu peraltro vasta – la più vasta al confronto coi movimenti di opposizione ai totalitarismi europei – ma non fa testo in Germania, né nella politica né nella storia. L’altro suo martire è Franz Kaufmann, di origini ebraiche. Affinati ne percorre qui affascinato i luoghi, compreso il viaggio a Roma, e i libri.
La giusta misura è tra resistenza e resa, scrisse Bonhöffer prima dell’esecuzione. È la divisa del prete, forse non sbagliata: la chiesa deve resistere sempre, perché sempre la perseguitano – Cristo si fece crocifiggere. Senza faziosità anche negli scritti religiosi, né partito preso: era uno che sarebbe andato a Roma al concilio ecumenico (anche buoni cattolici, come Hans Küng, negano al papa l’infallibilità).
Un particolare che Affinati trascura merita di essere ricordato. Fey von Hassell, figlia dell’ambasciatore di Hitler a Roma, poi impiccato come cospiratore del 1944, e giovane fiduciaria della Gioventù Hitleriana in Italia, sposata Pirzio-Biroli a Brazzà, lo ricorda nel suo “Diario”. Il diario di una carovana di mogli e figlie dei cospiratori del ‘44, vittime del Sippenhaft, il peccato familiare, e di reprobi: primi ministri, generali, banchieri, principi reali, lo specialista di Stendhal Léon Blum, vescovi e teologi, Bonhöffer incluso e Martin Niemöller. Una carovana che in treno, prevalentemente, e a piedi fu fatta vagare per sette mesi su e giù per il Reich.
Niemöller, per fare la differenza, fu sempre antisemita, gli ebrei volendo con Lutero tutti  convertiti. Volontario nel 1914, aveva lasciato la Marina nel ’18, già comandante, a venticinque anni, piuttosto che consegnare il suo sottomarino agli inglesi, s’era fatto uomo di chiesa, le sue prediche a Dahlem volendo stenografate, fu hitleriano e poi antihitleriano, volontario respinto nel ’39, dopo aver fatto alcuni anni di lager, e dopo la guerra nemico di Adenauer, la Nato, il mercato, l’antisovietismo, ma stando all’Ovest.
Eraldo Affinati, Un teologo contro Hitler Oscar, pp.168 ill., € 9

domenica 6 ottobre 2013

Risveglio d’autunno

Fuori Zeman
Fiorì una Roma
Di Superman

Fuori stagione

Achtung, Guardia di Finanza

Su che cosa indaga il Gruppo tutela mercato, beni e servizi della Guardia di Finanza a Bari? Sulle fatture false no, è noto che a Bari non se ne fanno. Sulle bollette truccate nemmeno. Sui ricarichi gonfiati? I negozianti sono onestissimi a Bari. Suk lavoro nero? No, che c’entra, distorce la concorrenza ma non esageriamo. Il Gruppo indaga sui professori universitari. Dal 2008 dice. Da sei anni quindi paghiamo il Gruppo per indagare. Che ora finalmente qualcosa ha trovato da denunciare. Che cosa esattamente non sa, ma intanto lo dice ai giornali. Dice che ”almeno” cinque della Commissione per le riforme parlamentari potrebbero essere indagati. Il condizionale è d’obbligo, la Guardia di Finanza, come si sa, è riservata. Bene.

L’unica perplessità è questa: è lo steso gruppo della Guardia di Finanza di Bari che regalava le informative sulle prostitute di Berlusconi alle croniste giudiziarie previo abbocco? O è un altro gruppo? Perché, se sono due allora la cosa diventa preoccupante: ci vuole una spending review.

L’Alfano-Renzi-Letta invece di Milano

La cima che Berlusconi ha lanciato a Letta – ancora non sappiamo in cambio di che - potrebbe non essere la chiusura del cerchio. Anzi non lo è, almeno un’altra elezione ci vu,e per assestare la formazione. Ma l’ipotesi neoguelfa trionfa e non fa nulla per nasconderlo. Nel Pdl, ma di più nel Pd.
Non una novità, è una strategia di lungo periodo che ora si manifesta. Gli oppositori, soprattutto quelli del Pd, prendendone atto in ritardo hanno già perso alcune tappe e forse lo stesso giro. Siamo già all’epoca dell’Alfano-Renzi-Letta.

Un’elezione mancata dovrebbe bastare, anche perché Berlusconi sembra personalmente, più che per effetto del giudice Esposito, col fiatone prossimo al ritiro. La neo Dc potrebbe però essere una novità, non negativa cioè: il governo torna al Centro-Sud. Un fatto di per sé non male, dopo il ventennio delittuoso di Milano e dell’affarismo.

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (185)

Giuseppe Leuzzi

Il Sud è a Nord
Umberto Eco lancia la sua ennesima divertente opera sui falsi, “”Storia delle terre e dei luoghi leggendari”, con un falso. È la sua maniera, ma la applica a un Sud per lui incognito: “Un libro di Felice Vinci del 1995 sposta tutta l’«Odissea» dal mediterraneo alle isole del Nord, con dimostrazioni certe volte abbastanza convincenti. Vai a sapere”. 
Come? Vinci non è un filologo, è un ingegnere che si è divertito a ridisegnare la geografia. Uno, anche, che vuole “tutto a Nord”, del filone della storia provvidenziale e razzista. Ma per Eco la Grecia è “chissà”.
Come i lettori del sito sanno, Vinci è un ingegnere nucleare, quindi da tempo disoccupato. Che disponendo di molto tempo si è divertito a ribaltare la carta: Oslo è la Locride nella sua ricostruzione omerica, che l’“Iliade” sposta nel Baltico e l’“Odissea”. In un “Omero nel Baltico” che le Librerie del Sole, per bambini, vendono illustrato.  Troia è verso Helsinki. Resta da trovare per l’ingegnere Itaca, un’isola ospitale.
Vinci non è il primo: con la Dea Bianca lo studioso dei miti Graves i greci aveva già portato fino in Scandinavia. Ora la cosa è diventata di consumo popolare, se Eco avesse avuto pazienza numerosi altri che il Sud spostano al Nord ne avrebbe trovati. I lettori di anti.it sanno in particolare di una, un’altra, la dottoressa Christine Pellech. Studiosa d’Austria, paese senza mare, la dottoressa deduce invece dall’“Odissea”, in particolare dalla colorazione dei mari, che per i greci la terra non fosse un disco ma una sfera, per cui correvano in tondo, non da qui a lì.
La studiosa è la stessa che gli Argonauti aveva spedito in precedenza in Scandinavia. Apollonio Rodio è occupazione cara da tre secoli alla Mitteleuropa, il periplo degli Argonauti, che si faccia nell’Adriatico, tra gli illirici e i galli, se non proprio nel mare del Nord.

Grandi lavori
Un tram da 182 milioni? Mai entrato in funzione, dopo sedici anni? A Bologna.
Cinquanta mezzi, 49 per l’esattezza, che non possono girare perché sbandano. Ma vanno esercitati da un manipolo di conduttori, perché non arrugginiscano. In attesa che – se la causa andrà a bon fine – siano cambiati. Con spreco quindi di conduttori e avvocati.  

Gli ospedali nuovissimi, d’architetto, appena inaugurati a Pistoia e a Prato, non si possono attrezzare e aprire perche “perdono”. Perdono acqua quando piove, attraverso i cunicoli di aerazione – forse.

Otto km. di alta velocità, dalla frontiera svizzera a Arcisate-Induno Olona, in provincia di Varese, sono raddoppiati di costo e sono realizzati al 40 per cento a tre mesi dalla prevista inaugurazione. L’opera, avviata nel 2009, doveva portare la Svizzera all’aeroporto di Malpensa, che si sarebbe collegato all’alta velocità già in funzione nelo Canton Ticino allo snodo di Mendrisio oltrefrontiera. Doveva essere uno dei fiori all’occhiello dell’Expo 2015.
L’opera, che oggi va sui 500 milioni, era prevista a un costo di 223 milioni, 28 milioni a km. benché su terreno pianeggiante. Il doppio dalla Roma.Napoli. Degli otto km. dell’ opera solo 3,6 sono interamente nuovi, gli altri si basano sul potenziamento di  strutture preesistenti.
La tratta svizzera, per Stabio e Mendriso è già completata e inaugurata.

La strada di grande comunicazione Fano-Grosseto, Adriatico-Tirreno, non si può utilizzare perché manca la galleria tra Mercatello, Marche, e San Giustino, Umbria, circa 6 km. Cioè la galleria c’è, Costruita vent’anni fa con 230 miliardi di lire, ma è incompleta e ora a rischio frane. Viene usata per i rave party.

Bier-Komment
Il gioco “padrone e sotto”, detto passatella nell’italiano dei carabinieri, che ne affiggevano la proibizione sotto ogni frasca e a ogni porta d’osteria, ora in disuso ma fino agli anni Sessanta-Settanta molto comune, ha un precedente classificato nella sociologia, nel Bier-Komment teutonico. Come nel Bier-Komment, il gioco si faceva con la birra – invece che col vino come al Sud si sarebbe immaginato. Con un meccanismo semplice: ogni bevuta, di due o quattro birre, si faceva con un giro di carte. Il giro dava un “padrone” e un “sotto”. Tra i quali una trattativa partiva su come suddividere le bevute tra i partecipanti, che potevano anche essere molti. I poteri del “sotto” erano di persuasione: suddividere equamente le bevute, in una partita diplomatica che faceva riferimento alle precedenti e poteva delinearne le future. Il “padrone”aveva comunque poteri decisivi: in caso di mancato accordo, il “sotto” poteva ritrovarsi per sua disposizione “all’ormo”, cioè a secco, oppure essere obbligarlo a bere tutto.
Il Bier-Komment tedesco  era una pratica studentesca, delle associazioni fra studenti che regolavano la vita degli atenei. Norbert Elias, il grande sociologo, così la registra ne “I tedeschi”: “L’usanza goliardica del Bier-Komment esigeva che il più giovane dovesse rispondere al brindisi del più anziano tutte le volte che questi beveva alla sua salute. E quando alla fine si sentiva male, poteva ritirarsi nella toilette”.

Shakespeare è di Bagnara
Shakespeare, si sa, fu molti Shakespeare, e uno ubiquo. Uno dei più convincenti è di Bagnara in Calabria, dove pescano – pescavano - il pescespada, un posto governato dalle donne. Prese il nome della madre Guglielma Crollalanza: William Shake, scrolla, Spear, lancia. È uguale nel ritratto a suo cugino Giovanni Florio, l’italianista londinese di fine Cinquecento, dalle cui opere trasse i proverbi
delle commedie. Guglielmo e Giovanni erano figli di due fratelli Florio, protestanti di Bagnara costretti all’esilio.
Entrambi portano l’orecchino. Ma l’orecchino era uso di Parghelia, borgo di fronte a Bagnara nel golfo di Gioia votato all’alchemia: oltre che l’identità del Bardo, se ne spiegano le occulte radici. Che localmente riemergeranno due secoli dopo, tra i Florio emigrati a Palermo e gli agenti britannici camuffati da produttori di marsala, per fare l’Italia unita. Il padre di Shakespeare, di nome Giovanni, è citato in una lista di recusants, quelli che rifiutavano i culti anglicani, tali i valdesi di Bagnara, riformati di Calvino. L’altro fratello Florio, Michelangelo, padre del Giovanni cugino, era un frate Francescano riformato.
O Shakespeare non è di Bagnara? Se dev’essere qualcun altro, allora è tanti Shakespeare: è spaventoso che da solo abbia scritto tanto, con tanta forza? Certo è infatti pure che Shakespeare non è un Florio di Bagnara: Giovanni fu suo nemico, il padre Michelangelo un predicatore protestante di Siena Era quindi toscano. Forse anche di Firenze e non di Siena: Shagsper o Saxber che sia, è bene John Florio, ma allora è di Firenze e non di Bagnara. Un fiorentino l’ha scoperto, interprete di mestiere, che ci ha scritto un libro di trecento pagine grandi, “Shakespeare ovvero John Florio, un fiorentino alla conquista del mondo”.
La cosa però non è ininfluente, perché Bagnara è deprivata, nonché di Shakespeare, anche dei Florio.

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Sud del Sud - il Sud visto da sotto (185)