Cerca nel blog

sabato 24 giugno 2017

Ombre - 371


Ombre?

“Frosinone, una scuola di calcio per 7.000 cinesi”, “Corriere dello Sport”: l’“inverosimile storia” del club ciociaro, etc. Nessuna meraviglia, le cose più intelligenti in Italia si fanno in provincia, anche una scuola di calcio in Cina.

La Georgia e la Carolina del Sud, dopo il Montana e il Kansas: malgrado lo spaventapasseri Trump in campo repubblicano, i democratici Usa continuano a perdere le suppletive.  I servizi segreti non scuotono gli elettori. Né i media in alleanza con le spie: la politica è ancora un’altra cosa.

“Le bandiere blu vengono acquistate dai Comuni, al costo ogni anno di 3.500 euro. La valutazione che fa la Fee è immaginaria e non scientifica”. Lo denuncia Andrea Dominijanni, vicepresidente regionale di Legambiente, al festival “Trame” di Lamezia in Calabria. La Fee, Foundation for Environmental Education, è un ente non governativo e non profit, sede in Danimarca, che fa una valutazione dettagliata, su 25 punti, ma non gratuita e non autonoma: si basa sull’autocertificazione dei Comuni.

Si scoprono i padri fascisti dei leader 5 Stelle, Di Maio, Di Battista. Di cui tutti sapevano, anche all’estero – per esempio in un famoso saggio su “The Nation”. A quando la scoperta del fascismo dei figli, prima del “me ne frego” tramutato in “vaffa”?
Si scopre anche che Paola Taverna è mussoliniana. Ma va?

“Europa  destino commune e non supermercato. Diffido del temine populismo perrché ha diversi significati: se vuol dire parlare al popolo, non è una cosa cattiva”. Commercio e ambiente: “Spero si possa fare in modo che gli Usa ritornino agli ccordi. È la mano che tengo a Trump”. “La destituzione di Assad in Siria non è una condizione preliminare, la democrazia non si fa dall’esterno. Non credo a un conflitto Est-Ovest, ma I Paesi che non rispettano le regole ne traggano  le conseguenze politiche”. Chiaro, Macron mostra ai grandi giornali europei all’E liseo che la politica è semplice.

Il giornale non morirà, si transformerà, decidono gli stati maggiori della stampa a Torino per i 150 anni de “La Stampa”: avrà formato più piccolo, sarà più gonfio per il week-end, sarà iperlocale.
È la ricetta degli anni 1970 – dell’Eni per “Il Giorno” e poi del progetto “la Repubblica” – la corazzata di Scalfari, con tanti  incrociatori locali di scorta. Sempre meglio che fare giornalismo?

“Sarebbe dispersivo ritornare ad Adamo ed Eva: di Mussari o di De Bustis sappiamo molto”. Cioè di D’Alema. Intervistato dal suo giornale, il “Corriere della sera”, il giornalista tourné parlamentare  Massimo Mucchetti, che da giornalista faceva il bastonatore, esclude dall’indagine parlamentare sulle banche il suo protettore politico.

“Gli americani erano stufi di far finta di non inquinare”, Altan. Beh, non è pensato male.

Marroni dice che Ferrara dice. Ferrara dice che il generale dice. Ma questi quanto hanno da chiacchierare? E chi ce li ha messi lì, manager e generali?
Marroni è nome certo rispettabile, ma in coppia.
Anche “Marroni glacés” non è male, © Giannelli.

“C’è una lobby maltese sotto il Cupolone” – “l’Espresso”. Un gruppo di maneggioni e evasori fiscali. Raccolti attorno a Joseph Zara.
Dopo Maria Immacolata un Giuseppe: il papa sta con la Sacra Famiglia?

Dice Merkel in morte di Kohl: “Ha cambiato la mia vita”. Da ragazza ingenua che usciva dalla palestra mentre il Muro crollava a cancelliera a vita. Ma non dice quanto lei ha cambiato la vita di Kohl: vent’anni di amarezze.

Chi spara negli Usa contro gli avversari politici? Un democratico. Anzi, uno di Sanders, che vuole limitare il commercio di armi.
Subito da sinistra, dopo la sparatoria contro i repubblicani in Virginia, si levano lamentazioni: “Limitare il commerio di Armi”. E l’odio invece no?

Il romanzo dell'intraducibillità, sonoro

Un libro di note di traduzione, su 70 pagine di testo. Si può solo dire di “Finnegans Wake” come a una qualsiasi presentazione. Per esempio quella di Antonella Barina sul “Venerdì” del 13 gennaio:
“Come ci divertimmo a tradurre «Finnegans Wake». Enrico Terrinoni e Fabio Pedone ora escono con la penultima tranche dell’opera (proseguendo il lavoro di chi tradusse i primi due terzi) e si sono impegnati anche ad arrivare alla fine.
“Fu Joyce a proporre all’amico Nino Frank di tradurre in italiano l’ultimo capitolo del «Finnegans Wake»: «Prima che sia troppo tardi», spiegò. «Finché ci sono ancora io a capire cosa ho scritto». Frank protestava: l’italiano non è una lingua adatta ai giochi di parole e quel capitolo è intraducibile. «Non esiste nulla che non possa essere tradotto», ribatteva Joyce. Così i due presero a incontrarsi due volte a settimana per tre mesi. E, come racconta Richard Ellmann, biografo dello scrittore, era lui a spiegare l’ambiguità delle proprie invenzioni, sottolineandone la musicalità. Mentre il significato del testo gli era piuttosto indifferente”.
È così. Ma tutto è traducibile nel senso che è intraducibile, sul presupposto che il lettore si accontenta. Proprio Joyce con “Finnegans Wake” prova – vuole provare? – che il testo è intraducibile: accessibile in principio nelle tante lingue di cui è il miscuglio, dialetti e gerghi compresi, ma inafferrabile di fatto. Continuano infatti Terrinoni, Pedone e Barina: “«Ci sono voluti quasi tre anni, cinque ore al giorno, per tradurre 70 pagine che, si fosse trattato di un testo qualunque, avrebbero richiesto sette giorni di lavoro», spiega Terrinoni, ordinario di Letteratura inglese all’Università per stranieri di Perugia. «Dopo aver affrontato separatamente ogni brano ed esserci poi revisionati a vicenda, abbiamo iniziato un lungo ping pong di idee, proposte, compromessi: la versione finale ha continuato a cambiare fino all’ultimo. Perché tradurre vuol dire provare e fallire, diceva Beckett, riprovare e fallire sempre meglio. Ed è impossibile mettere la parola fine a un testo che in ogni parola condensa più significati, irradia allusioni sorprendenti, reinventa la lingua. Un testo che offre una sconfinata libertà interpretativa. Per mesi abbiamo tenuto una rubrica sul settimanale “pagina 99”, chiedendo ai lettori di proporre la loro versione italiana di alcune frasi: sono emerse soluzioni inaspettate e spesso molto valide. Non solo, traduzioni in lingue differenti assumono significati diversi tra loro: ogni cultura coglie ciò che le è affine. Anche perché Joyce scrive il “Finnegans Wake” in un impasto di almeno una cinquantina di lingue”.
Soluzioni valide forse, ma irrelate all’originale, inevitabilmente. 
Il cotraduttore Fabio Pedone, che si mestiere è critico letterario, porta un esempio che dovrebbe smentire questo esito e invece lo conferma: See Capel and then fly, scrive Joyce. E siccome Capel Street è una via di Dublino, la traduzione più ovvia – visto l’abbandono dell’Irlanda da parte dello scrittore – sarebbe “«Vedi Capel e poi scappa». Ma la frase richiama anche l’espressione «Vedi Napoli e poi muori», che solo un italiano può cogliere. L’abbiamo quindi tradotta «Vedi Dàboli e poi fuori»”. Che, diciamo così, non ci azzecca nulla – “sintesi tra Dublino e Napoli, tra fuggi e muori”, arguisce Pedone.
Ma l’impresa infine si compie: “Nonostante questo esordio d’autore (la traduzione di Nino Ftrank) – e benché Joyce abbia vissuto in Italia più di dieci anni, parlando la nostra lingua con moglie e figli – non esiste ancora una versione italiana completa del romanzo, che pure è stato pubblicato in francese, tedesco, olandese, portoghese, turco e perfino in cinese, giapponese e coreano”.
Terrinoni e Pedone si propongono di rimediare, completando la traduzione per il 4 maggio 2019, ottantesimo anniversario della prima edizione di “Finnegans Wake”. Valente proposito. Anche se i precedenti volumi in traduzione sono da troppi anni irreperibili, forse non richiesti.
Un divertimento d’autore, un pasticcio per il lettore che non abbia genio enigmistico? Un esercizio in dissolvimento della lingua? Terrinoni ne ha il sospetto, ma applicato al nazionalismo: “Il fatto di utilizzare un inglese colonizzato da tanti altri idiomi è la sua geniale vendetta contro la lingua imposta all’Irlanda dai colonizzatori britannici”.
Una sorta di partitura musicale, con parole invece delle note: 
“Un ibridismo culturale che è alla base di tanti doppi sensi. Come Esule a Trieste, Joyce assorbì il parlottio di quella società poliglotta con l’incertezza acustica di chi è confuso tra le varie lingue e le ascolta – e fraintende – come fosse in un dormiveglia. Percezioni approssimative, ambigue, di cui si coglie soprattutto la sonorità. La più difficile da rendere in traduzione: il libro è scritto come una partitura musicale. E andrebbe letto a voce alta». «Due righe al giorno», aggiunge Terrinoni, «per tutta la vita»”.
James Joyce, Finnegans’Wake, vol.III, 1-2, Oscar, pp. 420 € 24

venerdì 23 giugno 2017

Problemi di base mediatici (338)

spock


spock

Succedono cose turche fra i carabinieri, ma i giornali non ne parlano: paura?

I giornali fanno scandalo di tutto, pure del mendicante abusivo, ma delle intercettazioni a strascico e manipolate no. Sono d’accordo?

E delle liti tra i generali?

Perché le cronache giudiziarie sono genere femminile? Hanno più accesso alle fonti?

Perché l’odio è buono a sinistra, fino all’assassinio?

Un’azione Amazon, la padrona del “Washington Post”,  vale 200 volte gli utili: se casca Trump, come si alimenta la buona novella?

Trump è immorale, e l’affarismo di Bezos?

Le tasse sui megaprofitti del web non sono democratiche?

E perché Obama non le voleva?

spock@antiit.eu

La balena del conformismo

Venti tra articoli e saggi, scritti e pubblicati tra il 1936 e il 1949 – Orwell ebbe vita breve, è morto di 46 anni, all’inizio del 1950.
Un ex poliziotto, in fondo, della coloniale, Eric Blair detto George Orwell. Ma un anarchico, e un combattente. Contro il conformismo. Schierato, non ha mancvato una buona causa, ma non intruppato, e anzi refrattario. Al punto da diventare l’accusatore principe del sovietismo, che pure era stato tanta parte dello schieramento repubblicano nella guerra di Spagna, di cui Orwell era volontario.
L’attacco al sovietismo, prima, durante e dopo la guerra, non gli fu mai perdonato in Europa, e tuttora lo tiene in soggezione. Ricorrente è il tentativo di infangarne la memoria – da ultimo come spia anticomunista… Ma come romanziere politico, pamflettista se si vuole, o scienziato politico in forma di narratore, è inarrivabile: dopo il sovietismo ha dipinto (combattuto) il pensiero unico, del Grande Fratello al controllo, solo in anticipo di un quinquennio – il suo romanzo avvenirista intitolò “1984” – un’inversione da 1948, quando comnciò a scriverlo. Nella riedizione di questa raccolta, Silvio Perella ha l’aneddoto di Gustavo Herling stupito, come tutti i polacchi, che “1984” fosse così preciso: “«Ma questa è la mia vita», dicevano, «come fa a conoscerla così bene? Come può un inglese sapere queste cose? Sarà forse un russo?»”. Nel 1945 già scriveva di “guerra fredda” e di un futuro sotto la minaccia nucleare.
Scrittore prolifico (la raccolta è un quinto circa dei suoi saggi e articoli) ma sobrio, Orwell è un narratore in forma saggistica, di cose che osserva. Nella scelta si ritrovano sopratttto i suoi saggi letterari: “La politica e la lingua inglese”, “Politica contro letteratura” e “In difesa del romanzo” tra gli altri. Ma anche la critica del nazionalismo e un “Verso l’unità europea”.
Non alieno dalle polemiche politiche, toccò il punto più acuto di anticonformismo, prima del dopoguerra, prima cioè della “Fattoria degli animale” e di “1984”, nel saggio scelto per il titolo. Opera del 1940, è sotto forma di recensione-presentazione di uno scrittore disimpegnato come Henry Miller una polemica contro il “delitto necessario” e il “patriottismo degli apolidi”, la patria esendo un fatto reale. E più in generale contro gli “utili idioti”, o gli intellettuali schierati con il totalitarismo per la difesa della democrazia. Una incompatibilità tuttora contestata, allora pretesto a vicaci polemiche – anche se il sovertismo era ancora schierato con Hitler.  
George Orwell, Nel ventre della balena, Bompiani, pp. XVII-346 € 10

giovedì 22 giugno 2017

Il mondo com'è (307)

astolfo

Brexit – Nasce dalla paura, un tentativo di rimessa all’ordine. L’abominio è vivo e dominante in Inghilterra - in Inghilterra, non in Gran Bretagna: forse in Irlanda del Nord, che la stessa paura ha sperimentato per venti o trenta anni, ma non in Scozia – del terrorismo. Come in Francia, e come in Italia nei terribili anni 1970 che pure si celebrano. Di cui però si fa colpa al’Europa, non al Commonwealth, che ha generato la grande immigrazione col diritto di stabilimento.
S’inquadra però anche nella mentalità inglese, caratteristica di tanta diplomazia. Nell’opinione, e ora nella trattativa con Bruxelles, è scontato per Londra di tenersi il mercato comune, senza Schengen, oltre che senza l’euro. La trattativa per l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue si avvia come questo sito diceva subito dopo il referendum pro Brexit,
Che da “perfida Albione” si prende quello che serve.

Femminismo – Più dell’80 per cento delle madri di colore, quattro su cinque, sono quelle che provvedono al mantenimento della famiglia negli Usa.

La maratona femminile non è stata disciplina sportiva fino al 1984.

Ferragosto – Roma lo fa cominciare a metà agosto, invece che a fine luglio, e lo prolunga fino a settembre, perché questo era l’uso quando c’era la malaria. Erano queste le settimane della malaria in forma acuta.

Gerrymandering – Una causa elettorale sul voto del 2012 nel Wisconsin, ora approdata alla Corte Suprema degli Stati Uniti, potrebbe rivoluzionare la composizione dei distretti elettorali. Finora regolati “gerrymandering”, dal ridisegno delle circoscrizioni per fare prevalere il rappresentante uscente. Una tecnica antica e bi-partizan, in atto negli Usa fin dai primordi. Il nome deriva da un Gerry governatore del Massachussett,s che nel 1812 ridisegnò le circoscrizioni, sinuose come salamandre. Ma è una tecnica poco democratica – anche per i Democratici americani, i Repubblicani essendosi dimostrati sempre più abili nel ridisegno delle circoscrizioni a proprio beneficio. L’esempio preclaro fu il ridisegno delle circoscrizioni elettorali in Francia da parte di De Gaulle nel 1958, per frantumare la cintura rossa attorno a Parigi: invece che per distretti urbani omologhi socialmente, la “cintura rossa” fu segmentata a spicchi, affogando  i voti socialcomunisti in quelli del centro città  borghese e della campagna. Alle elezioni di novembre solo 37 su 435 seggi alla Camera dei Rappresentanti sarebbero stati  realmente in gara, gli altri partivano “assegnati” a solide maggioranze circoscrizionali, secondo il Cook Political Report, il sito indipendente che analizza le elezioni e le intenzioni di voto.
Un gruppo di avvocati Democratici dell’Illinois ha contestato la vittoria del candidato Repubblicano nel 2012 in un certo collegio, contestando appunto il gerrymandering, e ha avuto partita vinta alla Corte Federale.. Ora attende il giudizio finale.

Machiavelli – Ritorna il libertario e antiautoritario di una vecchia lettura. A opera di una studiosa americana, Erica Benner, che ne ha riscritto la biografia, “Esser volpe”. E ne espone la sintesi in un articolo, “Machiavelli per principianti”, sul “Robinson” di “la Repubblica”. Dopo aver spiegato le sue proprie incomprensioni, da professore di Dottrine politiche, e l’attualità di Machiavelli, nelle rappresentazioni contemporanee della politica come intrigo: “Le sue ragioni erano patriottiche, umanistiche, benevole”. Da uomo di parte, ma per il buon motivo: “Machiavelli era consacrato al benessere della sua città natale, Firenze, e del suo Paese, l’Italia, in un’epoca in cui entrambi erano devastati dalle guerre”. Per questo apprezzato: “Non c’è da stupirsi che lettori di altre epoche del Principe — filosofi come Francis Bacon, Spinoza e Rousseau — non avessero il minimo dubbio che l’opera di Machiavelli fosse un’ingegnosa denuncia dei tranelli messi in atto dai principi, un manuale di autodifesa per cittadini. “ Il libro dei repubblicani”, lo etichettò Rousseau”. Era peraltro chiaro: ““Non accettate nulla in virtù dell’autorità”. È una fra le massime meno conosciute di Machiavelli, e dovremmo applicarla alle sue stesse parole”. Repubblicano sempre, oggi si direbbe democratico: “Un Governo del popolo, regolato dalla legge, è sempre meglio di un Governo autoritario: “Un popolo che può fare ciò che vuole, non è savio”, ma “un principe che può fare ciò ch’ei vuole, è pazzo”.

In Machiavelli in effetti c’è di tutto, anche le lodi non obbligate di loschi figuri, e qualche ammirazione traditrice. Ma nel quadro sempre della “rinascita nazionale”, che allora era di libertà e giustizia: per un dovere di libertà che a lui dobbiamo. Buon praticante anche per rispetto a una saggezza antica, che ben conosceva, e metteva a frutto nel suo mestiere di segretario fiorentino: “Le vittorie non sono mai sì stiette, che il vincitore non abbia ad avere qualche respetto, e massime alla giustizia”. Intraprese la costruzione d’un nuovo Stato a partire dal nulla, con la follia dell’utopista rivoluzionaria – oggi reazionaria, dopo cinque secoli, ma questo è un altro discorso. Un allegro furioso del vivere libero, che virtù dice insieme golpe e lione, il bene può giovarsi del male Con la coscienza dei limiti dell’intellettuale: “Non ci lasciano spostare un sasso” – “Il Principe” dedicava a Lorenzo  dei Medici, lo stesso che l’aveva bandito dalla sua città alla caduta della repubblica. Sapendo che lo Stato si edifica sulle masse, la forza è eversiva solo se ampia.
Un anticonformista. Lo stesso Machiavelli, dice Voltaire, che “se avesse avuto un principe a discepolo, per prima cosa gli avrebbe insegnato a scrivere contro di lui”.
Si dice Machiavelli ma s’intende più spesso Cromwell - che Hobbes non osa criticare.

Medio Evo – Un’epoca di cambiamenti incessanti, e per questo di incertezza, instabilità. Dietro una facciata di stabilità, immutabilità, solidità. Viaggiando nel 1912 per il Sud della Francia sulle tracce dei troubadour, Ezra Pound arriva alla logica conclusione che fu una stagione complicata e non lineare: “Il numero delle interruzioni della vita, mentale, morale  fisica, deve essere stato nel Medio Evo tale che nessuna fede si poté ritenere accettabile o soddisfacente salvo quelle della grazia divina per se stessi e dell’inferno eterno per i nemici”.

Merkel – Santa subito? Ha buona salute, e per questo per rosa siamo salvi. Ma per il resto c’è tutta.  La cancelliera “troppo poco troppo tardi” ha conquistato la stampa: si paragona a Bismarck, anche se non ha fatto le guerre, e anzi ne supererà il lungo cancellierato, dopo che avrà superato il record di Helmut Kohl, il maestro e patrono tradito e abbandonato.…
Specialmente entusiasti i giornali. Non ha sanato i ciechi e gli storpi, ma guida l’Europa con mano sicura, anche se alla catastrofe. Apre le frontiere agli immigrati, oppure le chiude. E ora salva l’Africa. Questo è un miracolo in vita, nessuno c’era riuscito, anzi aveva nemmeno tentato - l’Africa è un continente pericoloso, già a se stesso.
Soprattutto quando decide lei una cosa, quella per l’Europa è già fatta. Prendersi gli immigrati, oppure non prenderseli. Fare l’Europa a due velocità, ma per ora non farla. Fare le sanzioni alla Russia, ma farci anche gli affari, e tanto più grossi tanto meglio più – non diceva Constant che il commercio è meglio della guerra? Dare tre miliardi a Erdogan oppure no – tre miliardi degli europei, non dei tedeschi. All’Africa non ha dato nulla perché l’Africa non restituisce. Ma l’architettura la poggia solida col papa, che non costa nulla.    


Primarie – Favoriscono i candidati più radicali. Che si mobilitano meglio, con più combattività. Il caso è americano – lo documenta il settimanale radicale “The Nation”. Dacché le primarie si sono estese per la scelta dei candidato, in entrambi i partiti americani hanno prevalso le figura più radicali, seppure minoritarie. Le primarie sono una sfida senza esito – senza un esito decisionale: promuovono una candidatura. Che difficilmente attrae il pubblico, sia pure votante e convinto, poco motivato.

astolfo@antiit.eu 

Cane e padrone

La fontanella all’angolo con via Torre, dove darsi una risciacquata dopo aver portato i sacchi ai cassonetti, è munita d’interruttore a pressione. Un cane non identificabile – non di razza – finisce le abluzioni e prende ad abbeverarsi alla cannella. Il getto è violento, l’acqua gli rimbalza sulla lingua più che scendergli in gola, il caldo è già forte, la bevuta dura due minuti, anche tre. O è il sole senza ombra che batte sulla fontanella a rendere l’attesa interminabile. Dopodiché il padrone, che gli ha tenuto affettuoso premuto il pulsante, se ne va senza un cenno, né di scusa né di saluto.  
È faccia conosciuta, di un regista di qualche notorietà, e forse pensa che la gente in coda voglia disturbarlo. O forse la vita col cane è come una vita di copia, che si esclude il mondo.
La fontanella all’angolo con via Torre è stata munita d’interruttore a pressione dopo il grande caldo del 2005, quando si temette l’effetto serra e la siccità. Ma l’analoga al mercato di via Niccolini è stata lasciata scorrere. Forse si voleva creare una fontana per i cani, che non bevessero allo scolatoio ma alla cannella.
Ma, poi, non si sa come raccontarla. Che vuol dire “di razza”, le razze “non esistono”. E padrone certo è parola brutta. Come si dice, l’amico del cane, il compagno del cane.
Ma ora che il cane beve alla cannella come noi ci possiamo dire fratelli? Già ci siamo con la cacca, anche se sarà difficile per l’uomo, ma anche per la donna, farla per strada.

Danza macabra sul mare di Palmi

Il “romanzo” di una beffa. Di una “danza macabra” sulla sua fine, che il protagonista si organizza. Curato e introdotto da Walter Pedullà, l’autorità letteraria del Novecento, coordinatore delle “Letteratura italiana del Novecento” di Rizzoli. Con una nota di Santino Salerno, conterraneo di Répaci e cultore dela sua memoria in argute pubblicazioni, tra cui lo spdciale “Una lunga vita nel secolo breve”. La figurazione forse migliore del genere per altri versi (progettuali, artistici) inafferrabile, la danza macabra L’opera migliore probabilmente di Leonida Repaci. Uno scrittore dimenticato perché mal letto.
Walter Pedullà avvicina il romanzo all’espressionismo, un filone culturale che Répaci prediligeva: questo “libro infernale” è “il suo romanzo più autentico”. O ancora: “Questo romanzo matto è anche la sua opera più saggia”. Debenedetti ha accennato a Pirandello. Salerno ricorda che è ispirato a “un fatto realmemte accaduto”. Qualcuno, a Palmi, aveva voluto il suo funerale come una festa “di miseri, di storpi, di affamati, di straccioni, di questuanti”, in estremo dileggio alla vita, e alla non amata consorte. Con un finale “romanzesco” che non merita ricordare – da letteratura d’appendice, come dire “non c’è amore tra gli ulivi”, parodiando il celebre titolo di De Santis.
Entrambi, Pedullà e Salerno, vogliono la vicenda e il suo protagonista un caso della Calabria che “dà il peggio di sé”.  Ma allora un peggio che è anche il meglio: una beffa, un maestoso sberleffo, seppure a opera di un nemico del popolo, uno sbruffone e forse anche un violento. Il “riccone” si volle all’epoca – il romanzo fu pubblicato nel 1956 - il latifondista feudale sfruttatore del popolo. È lo è, forse. La storia è quella di un nichilista. L’espressionismo ci può stare, e anche Pirandello, non tutto è come appare. Ma il riccone è, nella maniera come si presenta, nel misto di orgoglio cieco e disprezzo che lo materializza, l’anarcoide “calabrese tipico”. Che non esiste naturalmente, ma vive e si esprime con lo scherzo (“’a zannella”, da antichi zanni), la beffa, l’ironia, il sarcasmo, la sfida costante. Improduttiva ma irrinunciabile.
Lo dice indirettamente anche Walter Pedullà nel “ricordo” dello scrittore che premette alla riedizione da lui curata: il prosatore, più dannunziano nella scrittura che non, dà il meglio di sé quando si avvicina alla Calabria. A Palmi, bisogna specificare, allo sperone marinaro ex terragno tra cielo a mare, tra due mondi cristallini. Un mondo saturo di follia, nell’assetto dell’irrisione : un “vaffa” costante, ma divertito e partecipe più che vendicativo – perfino nelle elezioni a sindaco di questi giorni. È la forma popolare anche di humour - canonizzata nella stessa Palmi da Domenico Zappone, di due generazioni più giovane, in famosi racconti che Santino Salerno ha riesumato.
Un fondo anarcoide che è anche la tara della regione, linguistica e letteraria. In basso – tutti snob in Calabria, e volages, anche gli ignoranti. E in alto, anche nella brutalità – gli unici “seri”, posati, incessanti, sono in Calabria i violenti: mirati, costanti fino all’ossessione.
Leonida Répaci, Un riccone torna al paese, Rubbettino, pp. 129 € 10

mercoledì 21 giugno 2017

Problemi di base bellicosi - 337

spock

Bombardare è meglio che pensare?

Si fa anche prima?

Che ce ne facciamo della Siria?

E della Corea?

E di Trump?

Perché Al Sisi è un dittatore e Erdogan no: non sono della stessa loggia?

La Nato protegge la democrazia, con la Turchia?

Trump è peggio di Berlusconi? Com’è possibile?

Non ce ne va bene una, è un caso?

spock@antiit.eu

La scoperta dell'America

L’America quale è. Quale era venti anni fa, i saggi sono del dodicennio 1994-2005. Sparsi per varie riviste, “Premiere”, “New York Observer”, “The Atlantic”, “The Village Voice”, “Rolling Stone”, “Harper’s Magazine”, “Philadelphia Inquirer”. Saggi lunghi rivisti per la raccolta, anche il doppio della lunghezza originaria nei priodici commissionari. Raccolti nel 2005, due anni prima del suicidio. La fiera del porno della celebrata apertura, con la “notte degli Oscar” del settore – un business doppio della Hollywood istituzionale, 4 miliardi di fatturato annuo, contro 2. La politica made in Usa, al seguito di John McCain che tenta la candidatura nel 2000: “Forza Simba – Sette giorni in Cammino con un Anticandidato”, un divertimento molto serio - e molto lungo, un centinaio di pagine in originale. La candidatura di McCain è il primo caso, prima di Obama nel 2008, di mobilitazione giovanile. Con modi peraltro, e modalità veteropolitiche: McCain chiude ogni comizio, ogni passaggio, ogni stretta di mano, invariabilmente con la stessa frase, studiata a tavolino, una spontaneità cuore in mano senza un briciolo di spontaneità. L’accusa ricorrente alla politica è di “torcererità come Clinton”.
Il testo del titolo, a margine del festival - una sagra - del Maine che ne fa un’economia, commissionato dalla rivista “Gourmet”, che non deve avere molto apprezzato. L’11 settembre visto da casa, a Bloomington, Illinois, dove Foster Wallace insegnava inglese all’università di Stato, con i vicini, religiosi, buoni praticanti, tutti patrioti – il tempo di capire che era un attentato e non un film e le bandiere erano finite nei negozi, una reattività all’aggressione in automatico: “La vista da casa della signora Thomson”. “Host” (“Commentatore”), il predicatore radiofonico, tutto io e, necessariamente, reazione – o la filosofia del talk-show, un esercizio in egomania. .
Dieci saggi, brevi e lunghi. Con molta letteratura. La comicità di Kafka – la funniness. Molto Dostoevskij: “Dostoevskij non è solo grande, è anche divertimento” – anche lui, dunque, dopo Kafka. La peculiarità “dei personaggi di Dostoevskij è che sono vivi”, e non perché ben congegnagti ma perché vivono “dentro di noi, per sempre, una volta che li abbiamo incontrati”. Perché “scrive romanzi su materie realmente importanti… Su identità, valori morali, morte, volontà, amore sensuale contro lo spirituale, avidità, libertà, ssessione, ragione, fede, suicidio” – il dubbio lasciando: gli altri di che scrivono?
Con molto humour proprio, non arzigogolato. Folgorante è la caratterizzazione, oltre che degli Oscar porno, dei Magnifici Narcisisti, la triade Updile-Mailer-Philip Roth, con Bukowsky e un paio di altri nomi non esportati. Tutti presi dal sesso, dall’organo. Nel disprezzo del resto del mondo, la donna agognata per prima. Un’analisi moralistica, ma appuntita. Completano la raccolta l’uso politico della lingua, sulla traccia di Orwell, “Politics and the Englih Language”. E le false autobiografie, genere dilagante, nel cinema e nello sport, “Come Tracy Austin mi ha spezzato il cuore”, la tennista.
Un grosso lavoro di traduzione, di Adelaide Cioni e Matteo Colombo. Foster Wallace usa molti hapax, ambivalenze, a partire dal titolo del primo saggio, “Il figlio grosso e rosso”, circonlocuzioni interminabilmente subordinate, certo per più precisione. E di impaginazione: Foster Wallace mette le note in mezzo al testo, con “nasi”, riquadri, freccette. Senza preziosità, sembra: è un cronista, di fatti e letterario, che va avanti agile. Ed è un maesro di scrittura: sa disporre la materia, sa dire quello che vede o vuole dire. Ma molto costruito.
Col radicalismo – ingenuità – dell’Autore Americano, che deve sempre fare la scoperta dell’Africa, benché sia stata scoperta prima di Gesù Cristo, e anzi la Creazione. E la storia fa accessoria, un materiale. Un altro esempio s’impone a proposito di Dostoevskij, una delle “interpolazioni”-digressioni: “Ha qualcosa la vita di questo tizio Gesù Cristo da insegnarmi anche se io non credo, o non posso credere, che fosse divino?”, etc. - uno che poteva trasformare il legno della croce in una fioriera, “e se anche ammettiamo che era divino, lui lo sapeva?”, e comunque “che cosa importa? Posso ancora credere in GC o Maometto o Chi altro anche se non credo che erano parenti di Dio?”, ma, Joseph Frank lo spiega, “nessun ateo che abbia contestato la natura divina di Cristo ha negate il fatto che Egli è l’ideale dell’umanità” – Foster Wallace e Joseph Frank, dunque.
“Host” è un altro centinaio di noiosissime pagine, caricate di glosse e controglosse. Il saggio centrale, un centinaio di pagine sull’uso dell’americano, della lingua, è sviluppato come un intrico. Di sigle, per lo più non spiegate, subordinate, “interpolazioni” (chiama così le digressioni). Come per rendere il compito impossibile all’editore, al traduttore, al lettore. Più l’argomentazione si sviluppoa e più si privatizza, personalizza. Sterne non avrebbe saputo fare meglio, difficile non perdersi. “Lapolitica e l’uso americano” è titolo ridondante, così l’argomentazione procede, meglio “L’autorità e l’uso americano”. E l’autorità? Il vocabolario. Forse. La pappardella è interminabile tra Prescrittivisi e Descrittivisti. O sugli “usi” sbagliati – per esempio l’avverbio “doppio” (ambiguo), del tipo “chi mangia fagioli spesso ha mal di stomaco”. O l’uso obbligato, esemplificato sui pantaloni per il maschio americano.
Ma anche qui il “saggista” si lascia andare a guizzi, arrivato al “politicamente corretto”: poche pagine ma persuasive sul perché il PC è politicamente incorretto. Offensivo, vuoto, insignificante, solo autocelebtrativo della “virtù del parlante”, che va – aspira? – alla mummificazione.
Senza gli eccessi, è Orwell: narrativa a metà tra il reale e il distopico – a disagio nella civiltà, o meglio nella koiné. Da scrittore “unico”, alla Melville. “Scrittore americano”, come di lui si dice, cioè atipico, eminentemente. Radicato ma personalizzato, e avveniristico, innovatore, ricercatore.

David Foster Wallace, Considera l’aragosta, Einaudi, pp. 382 €13 


martedì 20 giugno 2017

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (329)

Giuseppe Leuzzi

Il Sud è profondo?

“La vicenda d’un italiano coraggioso che viene intervistato dalle tv di mezzo mondo e ha ispirato Alejandro González Iñarritu per la trama di «The revenant», che ha procurato a Leonardo Di Caprio il premio Oscar” finisce sul “Corriere della sera” nella posta dei lettori. L’ “italiano coraggioso” si chiama Mauro Prosperi e ha il difetto di essere di Catania – è nato a Roma ma vive a Catania. Non un minimo di curiosità giornalistica.

L’orientalista Edward W. Said, che voleva bene a Conrad, di cui scrisse molto, “Joseph Conrad and the Fiction of Autobiography”, in qualche modo lo massacra: la marineria di “Linea d’ombra” è espressione della fede di Conrad nell’“europeismo”, e la “decomposizione” del narratore nello stesso racconto quindi un riflesso della disintegrazione dell’Europa.
Di tutti i pregiudizi, il localistico è forse il più perverso. Dell’orientalismo, nel caso di Said, contro l’Occidente e l’Europa. Del Nord nei confronti del Sud più comunemente – anche l’inverso.

Si può battere la mafia? Sì, considerandola mafia. È la lezione di Falcone, che si celebra inutilmente.
Nel saggio sulla fiera del porno che apre la raccolta “Considera l’aragosta”, David Foster Wallace mette in scena a un certo punto una Jasmine St. Claire primatista di gang bang,per averlo fatto con 300 uomini di fila. Di cui osserva breve, in nota: “Miss Jasmine St. Claire capita che sia nella vita reale la nipote del defunto capo di tutti i capi Paul Castellano, assassinato nel 1984 almeno in parte perché si opponeva al coinvolgimento della mafia in «imprese illegali» come i narcotici e il porno”. Il ridicolo lavrebbe ucciso prima.

In una nota del 1923, “Analysis des Zustands von Mitteleuropa”, Walter Benjamin prospetta l’ultima utopia del Sud – del Sud Italia, dove veniva in vacanza con gli amici, Kracauer, Ernst Bloch, e poi s’innamorerà, di Asja Lacis. L’analisi, dove va la Mitteleuropa, è pre-Scuola di Francoforte, pessimista cioè un po’ snob sulla tecnica, la riproducibilità tecnica elevando a conformismo. All’uniformità Benjamin oppone il Sud, come “un punto di fuga extraterritoriale, che in rappresentazioni utopiche si permettono ancora la vera vita" – almeno allo sguardo degli stranieri in vacanza, del Nord”.

Sudismi/sadismi
Cazzullo è andato a Taormina per il G 7 e ha fatto la scoperta della Sicilia, la quale era stata scoperta prima di Asti. Generoso per questo: “Ho seguito il G 7 e sono rimasto colpito non solo dall’efficienza organizzativa ma anche dalla capacità di accoglienza degli abitanti di Taormina, delle frazioni, dei comuni vicini”. Il piccolo esploratore.

Il Sud è pieno di buone notizie, oltre che di cattive. Ma sui giornali, del Sud e del Nord, vanno solo le cattive. Anche se fruste e noiose. Ma è colpa del Sud o del giornalismo?
Il Nord e pieno di cattive notizie, oltre che di buone. Ma le occulta. Per esempio i soli mafiosi al Nord sono i rifiuti della ‘ndrangheta, quelli che al paese trattavano male.

La Treccani porta al festival “Trame” – “dedicato alle mafie” – di Lamezia Terme, che si apre domani, “L’inganno delle parole”. Una ricerca sulle parole della mafia. Che l’Accademico della Crusca Giuseppe Patota così ha spiegato in anteprima a Raffaella De Santis sul “Robinson” l’altra domenica: “La mafia ha selezionato parole funzionali all’immagine che voleva dare di sé. Ha scelto parole come «amico», o «famiglia»”. E “onore”, aggiunge, e “cupola”: “L’uso di «cupola» nel senso di «cupola mafiosa» ha rovinato una delle parole più belle della nostra storia culturale…”.
La mafia non è in grado di selezionare le parole. La “cupola” è mediatica. L’onore è di tutti – ma ormai più di nessuno, è un valore-disvalore. “Amico” (e “cugino”, carbonaro) era professione di fratrie adolescenziali, qualche decennio fa. L’“amico degli amici” è di Rosvita, che era una monaca, tedesca, dell’Ottocento, prima del Mille.
Ma, certo, le parole sono appropriabili, non ci sono dominion. “Celebrare” le mafie è invece un inganno. Surrettizio ma evidente.  

Sono curiosi questi mafiosi che straparlano, Graviano dopo Riina. I capi, non dei killer qualunque. Cioè strani: si sa che i mafiosi sono tragediatori e raggiratori, ma uno che è allergastolo, al carcere duro, si penserebbe disinnescato nel suo potere di nuocere.
Parlano per chi li deve intendere, si dice. Ma no, fanno quello che sono: i mafiosi. Millantatori. Senza più la lupara né l’autobomba. Ma, certo, col potere di nuocere - il potere di nuocere, diceva Hobbes, ce l’hanno anche gli scorfani. Il problema vero è che si fa di questi capi mafiosi, nemmeno pentiti per finta, dei testimoni di verità.

Il mafioso Graviano si vanta di avere avuto la moglie in cella per alcuni giorni, al 41 bis, introdotta nel cesto della biancheria. Titoli, pagine, Fantomas. Non è solo odio o disprezzo del Sud - o forse di Berlusconi, che Graviano nomina. È opinione “qualificata”, “la Repubblica”, “Corriere della sera”, che trufola nel truogolo.
Si esalta il mafioso Graviano nel mentre che lo si vuole ingenuo confessore dei propri peccati col compagno di passeggio nell’ora d'aria - Graviano oggi come già Riina tre anni fa. Si esaltano i mafiosi ma si considerano cretini, che parlano al primo venuto.

Le mafie
Naturalmente non è mafia, la mafia è al Sud, e anzi è azione civile, la Toscana è la culla della civiltà. Ma ne ha le caratteristiche: il sopruso, la furberia, il pizzo, l’arricchimento a danno di altri. Lungo l’Aurelia, che i comuni del basso grossetano, virtuosi, hanno voluto immuni dall’autostrada.
Il trucco è semplice. Variare in continuazione la velocità di transito, da 90 a 70, 60, 50, anche 30 kmh, mediamente ogni km: ci sono almeno 400 paline negli 80 km scarsi da Montalto di Castro a Grosseto. E subito dietro il segnale di riduzione piazzare il rilevatore di velocità. L’automobilista che non frena, cioè tutti, è fregato. Multe da 120 euro in su.
È così che la provincia di Grosseto ha il più alto numero di multe per eccesso di velocità pro capite. Anche perché le multe si fanno ai dannati del transito, i locali sanno dove il rilevatore oggi è appostato.
Una forma di banditismo di transito. Cui la Maremma non è nuova, è sempre stata terra di banditi di passo. Taglieggiavano i pellegrini, della Francigena, della Firenze-Siena. Tutto però – furbizia suprema, molto mafiosa – inappellabile: chi ha da obiettare ai controlli di velocità, alla sicurezza, alla protezione dell’ambiente, alla natura, alle tasse?
Il Codice della Strada è preciso, al 162, 6 bis: “Le postazioni di controllo sulla rete stradale per il rilevamento della velocità devono essere preventivamente segnalate e ben visibili, ricorrendo all’impiego di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi”. I Comuni del basso grossetano lo risolvono con “idoneo cartello verticale”, quello ammonitorio che troviamo ogni pochi km. di strada. Multe tutte “verticali”. Nell’indifferenza del prefetto, che a Grosseto forse non c’è – non avevano abolito le province? Col patrocinio del giudice di pace di Orbetello: famoso perché nessun automobilista mai ha vinto un ricorso.
Ma non è una cosca. È protezione dell’ambiente. Della salute pubblica. Del benessere. Del diritto. Della legge. La parole contano, dicono tutto.

Non una denuncia mai di un terrorista dai cinquanta o cento milioni di mussulmani che vivono in Europa, denunciava questo sito dopo il London Bridge. Nemmeno anonima. Anche se il terrorismo potrebbe danneggiarli. Loro più che gli europei.
Negli Usa migliaia, forse milioni, di mussulmani hanno subito angherie burocratiche e poliziesche dopo l’11 Settembre, e le stragi successive. Ma nessuno vede né sente.
Per non dire di un pentito, che pure potrebbe avvalersi delle protezioni legali, negli Usa e in Europa, e quindi senza rischi e con benefici. Però, è da aggiungere, non è diverso in un paese arabo o mussulmano.

Il tutto mafia è concetto localizzato. Tutto è mafia al Sud. A Milano la mafia è di quattro ‘ndranghetisti calabresi, non molto vispi all’origine, poiché nessuno al paese li ricorda, più ignoranti e intriganti che altro. Nemmeno violenti, anzi vantoni, mentre il mafioso tipicamente si nega. Non c’è la droga a Milano, che è la città che ne consuma di più. Nessun traffico di capitali. Armi. Veleni. Non a Milano.

leuzzi@antiit.eu 

Il romanzo tedesco della Resistenza l’aveva scritto Jünger

È il 1938, Junger non ha più dubbi: il Terzo reich sta correndo verso la guerra, contro tutti. Una distopia che ha senso unicamente se si legge “a chiave”, e del resto i riferimenti sono trasparenti. Una Grande Marina, terra pacifica e civile, viene attaccata da un’orda barbara,  capeggiata da un Forestaro, sconfitta malgrado la resistenza di tante anime nobili, e sottoposta a ogni sorta di arbitrio, con la sola via d’uscita della fuga e l’esilio. Non c’è subbio che la Grande Marina è l’Inghilterra, e il Forestaro il Führer.
Il Forestaro è perfino di “spaventevole giovialità”, e di Hiter era nota la convivialità: serate al caminetto e pranzi in serie alla Cancelleria (il ristorante “All’Allegro Cancelliere” nelle memorie di Speer). È conformato fisicamente in modo diverso, ma bisognava pur passare la censura – la pubblicazione del racconto, osteggiata da Goebbels, si fece per il benestare di Hitler.
La Germania, che ha avuto il movimento di Resistenza più ampio e non l’ha mai celebrato, nemmeno per finta, ne aveva invece il romanzo, in anteprima.
Ernst Jünger, Sulle scogliere di marmo, Guanda, pp.XIX-115 € 7

lunedì 19 giugno 2017

Problemi di base papali - 336

spock

Da buon argentino il papa vuole la guerra agli Stati Uniti: è dunque mobilitazione?

Anche contro la Russia ce l’abbiamo, contro le potenze nucleari: e il deterrente?

Ma noi siamo per o contro la guerra?

Dopo Maria Immacolata (Chaouqui) un Giuseppe (Zara): il papa provoca?

Ride il papa evangelico che scomunica i fedeli: meglio luterani che cattolici?

Sostiene Prosperi che Lutero era un  buon cristiano, e i cattivi erano i papi: con papa Francesco ora sono buoni?

San Francesco si sarebbe fatto papa? E cardinale?

Più cardinali che fedeli?

Bagnasco si dimette a 74 anni per raggiunti limiti di età, Bassetti è nominato a 75: vanno gli anni a rovescio?


Papa, perché?

spock@antiit.eu

Sosta facile a Fiumicino

A Fiumicino, porta d’Italia, c’è un parcheggio intelligente, Easy. C’è anche a Milano, ma a Fiumicino funziona così. Il parcheggio intelligente Easy di Fiumicino segnala posti liberi ai piani che non ci sono -  le cifre dei piani, rosse o verdi, sono fisse. È un parcheggio multipiano ma senza ascensore: chi viaggia col bagagli si attacca. È l’unico garage dove Telepass non funziona – cioè c’è, due cancelli su tre sono Telepass, ma solo per il passi “aziendale”. Vi chiederà di leggere il Qr code del cellulare ma non lo sa leggere.
Il parcheggio (un)Easy di Fiumicino è attorniato da una Ztl a sosta gratuita limitata, quindici minuti, chiamata Kiss and Go, segnalata da una palina bassa laterale, con scritta in grigioperla che non si veda. Forse per non urtare il paesaggio? E non è intelligente, neanch’essa, ma per il buon motivo: si ha voglia di dire che si è parcheggiato a pagamento, per raccomandata con ricevuta di ritorno, se si è tento lo scontrino.
Il comando di Polizia urbana di Fiumicino fa gli straordinari, ha assunto altri vigili, e mobilitato un nugolo di consulenti legali, un tanto a pratica, per mandare multe a raffica sula ztl dell’aeroporto. Che tutti naturalmente contestano – costa poco: ci sono avvocati da 25 euro per seguire la pratica. Il Comune di Fiumicino non ci guadagna, e anzi ci perde. Nell’indifferenza del Prefetto di Roma

E la nave va, stanca, arenata a Milano

Alla fine il sottinteso del titolo si legge come un rimpianto: era meglio quando le mani forti c’erano. Comprensibile. Forse anche auspicabile, visto il resto. I poteri forti si sono squagliati, proprio mentre “ne avremmo bisogno”. Perché al loro posto cosa abbiamo? De Bortoli non ci trova altro che “raider”, “pifferai e incantatori”, “rottamatori e populisti”.
Seppure col sorriso, de Bortoli tesse un memoir malinconico. Gustoso, da leggere, pieno di humour, ma senza una sola figura, un gesto, un aneddoto corroborativo. A parte il cardinale Martini, che però fa mondo a sé, ininfluente nella stessa Milano che ha amministrato. E Giovanni Bazoli, di cui però la storia è tutta da riscrivere. Ma, come dire, l’ex direttore del “Corriere della sera” e del “Sole 24 Ore” è parte in causa, e proprio per il suo maggiore titolo di merito professionale: è lui che ha dettato l’agenda, agli altri giornali, e anche alla politica, nel Millennio.
È il paradosso della milanesità, di cui de Bortoli si può dire l’incarnazione: rappresentare il meglio e perseguire il peggio. Anche senza cattive intenzioni, perché no – Ferruccio è uno angelico. Si può fare campagna anti-Berlusconi, anche contro Prodi, poi contro la casta, e poi anti-Renzi e anti-riforme, ma nell’ottica del tanto peggio tanto meglio? Grillo è più sensato dell’anticasta e dell’antiriforme. Dice: la riforma non era perfetta… Cioè, scherziamo.
Senza considerare che tutti i benefici della casta, vitalizi compresi, sono poca cosa a confronto dello sperpero e le ruberie dell’Expo. Di cui il “Corriere della sera” ha fatto invece un trionfo, contando i biglietti gratis delle migliaia di scolaresche lombarde mobilitate. Ma quella è la vecchia abitudine lombarda che Malaparte irrideva, di buttare la spazzatura al piano di sotto.

Lo stesso col giornalismo: il lettore, sovrastato dalla formula “Corriere della sera”, dieci pagine al giorno di fuffa mediatica sulle colpe e le miserie della politica, si è allontanato dai giornali oltre che dalla politica. Imprecando al populismo, che invece può sorgere sì dal nulla, Grillo lo faceva da comico, ma non cresce se non è annaffiato e concimato. Col risultato di far licenziare lo stesso de Bortoli per scarso rendimento.  Mentre la nave ancora va, dal mezzo secolo che ci separa da Fellini, ma stanca, arenata sotto la Madunina. 
Lo stesso col giornalismo: il lettore, sovrastato dalla formula “Corriere delal sera”, dieci pagine al giorno di fuffa mediatica sulle colpe e le miserie della politica, si è allontanato dai giornali oltre che dalla politica. Imprecando al populismo, che invece può sorgere sì dal nulla, Grillo lo faceva da comico, ma non cresce se non è annaffiato e concimato. Col risultato di far licenziare lo stesso de Bortoli per scarso rendimento.  Mentre la nave ancora va, dal mezzo secolo che ci separa da Fellini, ma stanca, arenata sotto la Madunina.
Ferruccio de Bortoli, Poteri forti (o quasi), La Nave di Teseo, pp. 319 € 19 

domenica 18 giugno 2017

La politica del nulla

Grillo celebra un anno al governo di Roma col nulla. Sarà questa la novità dei 5 Stelle: il partito e la Casaleggio Associati ce l’hanno messa tutta per non produrre nulla. Solo chiacchiere.
All’Ama, l’azienda dei rifiuti, hanno cambiato i dirigenti quattro o cinque volte: per non stancarli? Con buonuscita – i manager vogliono essere pagati? Gli assessori invece non sono riusciti a trovarli. Molti se ne sono andati dopo la nomina, e ancora due o tre non sono stati nominati, ai Lavori Pubblici, ai Servizi Sociali e al gabinetto della sindaca Virginia Raggi. Che tutte le sue delibere ha dedicato in questo anno alle nomine di Grandi Consulenti esterni, ma evidentemente non li trova. Non buoni.
Ci sarebbe da ridere se non fosse da piangere – peccato che non ci siano più comici, un Grillo in forma ne ricaverebbe un ottimo spettacolo.
Non si può ridere di Virginia Raggi, la pupilla dei romani, che evidentemente è una Santa Pupazza. Ma, senza un capo di gabinetto, chi le istruisce le pratiche? Casaleggio? Questa sì che è una novità.
Ma, certo, la colpa non è di Grillo – mica ce l’ha ordinato il medico.

Problemi di base europei - 335

spock

Prima Putin, poi la Brexit, ora Trump: ma all’Europa conviene fare la guerra su tre fronti?

Quante divisioni ha l’Europa?

Ora che Merkel è regina d’Africa potremo arruolare il continente nero?

Dal papa argentino a Angela Merkel siamo tutti anti-yanqui. Ma senza il tango?


Fa più per il radicalismo anti-yanqui – del papa argentino, di El Baghdadi – Trump o Bezos?

Faremmo la pace con Putin se rilasciasse Snowden?

O non diremmo che è un arbitrio, l’ennesimo, contro i diritti civili?

È più governata dalle spie la Russia, oppure l’America degli Stati Uniti?

spock@antiit.eu

Uguaglianza, Scandinavia e borghesia, il ritorno di Prodi

In conversazione con Giulio Santagata e Luigi Scarola, dedicato alla moglie Flavia, il programma per il rientro di Prodi in politica. Nella presentazione a Roma si è negato, ma certo ora non è il momento: alle elezioni si vedrà il capofila del centro-sinistra.
Santagata e Scarola lo precisano subito, alla prima riga: “Dall’avvio della grande recessione, ogni consultazione popolare ci fa arrivare un unico messaggio: una profonda crisi di fiducia nel futuro”.
Fondata. Pericolosa: “Una sfiducia che si accompagna a uno sgretolamento della classe media, quella parte di popolazione che in tutte le economie occidentali si è sempre fatta interprete di una speranza di miglioramento delle condizioni di vita proprie e del proprio paese”. Sarà il binario della conversazione.
Prodi prova a recuperare la fiducia. Con le sue tipiche soluzioni da manager. Come salvare capra e cavoli - crediti insoluti e nuovi poveri - passando la proprietà degli immobili alle banche e lasciandovi dentro i mutuatari morosi in qualità di affittuari a lungo termine. Ma la sua ricetta è di alto bordo, nella constatazione con cui avvia il discorso: “Il maggiore progresso verso l’uguaglianza è avvenuto in paesi neutrali e pacifici, come la Svezia, la Norvegia e la Danimarca, che hanno applicato una severa politica fiscale, hanno sperimentato un’attenta presenza dello Stato e hanno riconosciuto un ruolo fondamentale all’azione di sindacati forti e responsabili”.
Tutte questioni, si vede a occhio, insidiose. Neutralismo? Sindacati forti e responsabili? Tasse? Stato? Vasto programma.  E la stessa Italia scandinava – si è mai curato Prodi, dopo i settant’anni, un un ospedale danese, e anche prima? Mentre Bruxelles insiste: “Le tasse frenano la crescita”. I sindacati fermano i trasporti contro gli utenti – dopo avere affossato l’Alitalia. E non vogliono il lavoro temporaneo retribuito, con gli oneri sociali: solo contratti o altrimenti lavoro nero.
I programmi non sono mai mancati a Prodi, in questo è invidiabile. Senza paura di contraddirsi. Vuole più uguaglianza, naturalmente per “combattere i populismi”. Ma vorrebbe restaurare il ceto medio, cioè la borghesia, che è quella che fa le cose, e anche il futuro.
Romano Prodi, Il piano inclinato, Il Mulino, pp. 160 € 13