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sabato 29 gennaio 2022

Letture - 479

letterautore
 
Arabo
– “È sorprendente, arrivando in Occidente, sentirsi chiamare «arabo»: non si tratta di una nazionalità, è a malapena una cultura comune, uno sguardo”, spiega lo scrittore algerino Kamel Daoud a Alessandra Coppola, “La Lettura”, 23 gennaio: “È come se io arrivassi in Europa e vi chiamassi «cristiani»… L’arabo non esiste che ai vostri occhi, è un concetto, una geografia fantasma”.
Se non che l’Algeria si è dichiarata “arabofona”, da bilingue che era. La Tunisia pure.  
 
Comunisti – “Gente incapace di governare, sapeva solo opporsi”, Sciascia, “Fuoco all’anima”, 115: “A un certo punto il Partito comunista ha rinunciato anche a opporsi ed è diventato niente”.
Sciascia lo dice a proposito dello stalinismo: “La persona più stupida che ho incontrato nella mia vita è stata, posso dire, Robotti”. Paolo Robotti, il cognato di Togliatti, che i sovietici picchiarono tanto da lasciarlo invalido, ne scrisse nel dopoguerra l’agiografia, “In Russia si vive così” - senza botte. Sciascia lo ricorda spiegando che nel suo primo libro, “Le parrocchie di Regalpetra”, era Robotti “l’uomo che viene a Racalmuto, tiene un comizio e spiega ai contadini che cos’è il kolchoz, ossia una specie di paradiso. I contadini erano vessati dall’ammasso obbligatorio”, il kolchoz fatalmente assimilando all’ammasso, ed “è allora che il Partito comunista tocca il punto più basso di voti. Nel 1948. Questo è uno stupido integrale”. Anche se Robotti non parlava a Racalmuto da solo: venendo da Roma, mandato dal partito, si sintonizzava con gli iscritti locali per sintonizzarsi sui temi da trattare.
Anche Miriam Mafai, in “Una vita quasi due”, ricorda nel 1948 comizi aberranti in Sicilia, suoi e di altre compagne giovanissime, mandate a parlare di cose che non sapevano a gente che non intendeva – i pochi che ascoltavano i comizi.
 
Dante - Antisemita? “Dante fu dunque a nostro parere certamente antisemita, di quell’antisemitismo coltivato dal cristianesimo fino al Concilio Vaticano II”, Pierre Antonetti, il corso italianista all’università di Aix-Marsiglia, “La vita quotidiana a Firenze al tempo di Lorenzo il Magnifico”. Contradicendosi con la sua stessa “Vita quotidiana a Firenze al tempo di Dante”, 1979, una dozzina d’anni prima. Dante conosceva la storia degli ebrei, vi spiegava, nel “De vulgari eloquentia”, ne studiava la lingua, facendo derivare il nome da Eber, ed elevandola a più antica lingua dell’umanità. Nella “Commedia” colloca Caifa all’“Inferno”, e nomina Giudecca, con riferimento al quartiere ebraico di Venezia, come luogo di punizione di chi tradisce i benefattori e l’autorità divina.  Nel “Purgatorio” nomina due ebrei tra gli accidiosi. Nel “Paradiso” attornia Beatrice di figure bibliche: Rachele, simbolo della vita contemplativa, Sara, Rebecca, Giuditta e Ruth.       
I primi ebrei di cui si ha notizia a Firenze sono di fine Trecento, provenienti da Pisa, Lucca e Siena. “Nel 1427, l’anno del catasto”, scrive peraltro lo stesso Antonetti, “un piccolo gruppo di prestatori ebrei si era stabilito in alcuni centri del distretto o della periferia del contado, ma non ancora a Firenze”. In tutto “una decina di famiglie”, “meno di sessanta persone”, disperse tra “Pisa, Pescia, Pistoia, Prato, Castel Fiorentino, Volterra, Arezzo, e San Miniato”, non ricche poiché “i loro beni sfuggivano al catasto”. In totale, banchieri e non, “si può calcolare che meno di 300 Ebrei vivessero in tutta la Toscana fiorentina di quell’epoca”, cioè di un secolo abbondante dopo Dante.

 
Darwinismo – Ripugna a Sciascia, che lo rifiuta a proposito di Teilhard de Chardin, il teologo cattolico che aveva provato a conciliato la chiesa con l’evoluzionismo: “Pensare alla natura che si fa da sé mi dà una certa ripugnanza” - “Fuoco all’anima”, 53. Poi Sciascia precisa: “Non amo il darwinismo provvidenziale. Il darwinismo con l’intervento della Provvidenza (Teilhard de Chardin, n.d.r.). Ancora di più m’infastidisce la mescolanza tra Dio e natura. Pensare che il pesce abbia avuto in sé una volontà di diventare uomo”.
 
Doppiezza – “Nella vita italiana è un malcostume da addebitare soprattutto alle sinistre. Si dice una cosa in privato e se ne dice un’altra - il contrario – in pubblico” – Leonardo Sciascia, “Fuoco all’anima”, 144.
Il linguaggio politico italiano è di sinistra – anche a destra.
 
Ebraismo – Primo Levi ha, in “Se non ora, quando?”, un personaggio che identifica così: “Palev Jurevič Levinski teneva molto al suo patronimico, e meno al suo cognome troppo rivelatore: lui era un russo ebreo, non un ebreo russo”. È quello che Levi diceva di sé: “Sono per quattro quinti italiano, e per un quinto ebreo”. Nel senso che era cresciuto in una famiglia non praticante, ma pur sempre ebrea di origine. Distinzione che non è rimasta, non si perpetua, per altre origini, per esempio dei tanti arabi mussulmani, specie nell’Italia meridionale, che pure ebbero i nomi originari quando nelle “nazioni” europee maturò l’anagrafe moderna, verso la metà dell’Ottocento, fuori cioè dei registri parrocchiali (nascite, morti, matrimoni).
Nelle interviste, ora raccolte in “Conversazioni e interviste”, in più casi Primo Levi spiega di sentirsi italiano, anzi piemontese, e ebreo solo per acquisizione posteriore – “Poiché i miei genitori son ebrei”, spiega a Germaine Greer, “mi sono costruito una cultura ebraica, ma molto tardi, dopo la guerra”, facendo però sempre a meno della religione. Sbalordito si dice della tournée americana organizzatagli dagli editori, dove gli capitava di parlare solo a ebrei, come se in America non ci fossero che ebrei – e in un caso davanti a ebrei ortodossi come lui non immaginava, con l’esito di scatenare una forte contestazione e quasi una rissa quando aveva criticato l’intervento di Israele in Libano.
 
Giallo – Sciascia lo vuole “soprattutto più onesto” – “Fuoco all’anima”, 104. E pirandelliano – o della “tragedia greca calata nel romanzo poliziesco”, con la formula usata da Malraux “quando parla di ‘Santuario’ di Faulkner”.  Lui, spiega, lo ha praticato mettendo assieme “Pirandello con i suoi problemi esistenziali” insieme con “i morti ammazzati nei luoghi dove io vivevo”.
 
Savinio – Apprezzato e rilanciato da Borgese, Sciascia, Pedullà – curiosamente: da letterati meridionali.
È anche musicista di valore, se John Cage lo apprezzava, come il musicologo Michele Porzio attesta, ma per questo non ha trovato mallevadore.
 
Scrivere – È allegria. Sciascia affaticato in dialisi ha “l’allegria della scrittura”. A Porzio che gli chiede: “Scrivere, inventare, non è una fatica?”, risponde (“Fuoco all’anima”, 122): “No, io lo trovo un riposo, un piacere, un divertimento. Quale che sia la materia, triste o disperata. Per me scrivere è una cosa allegra”.
Dice anche: “Scrivere è sempre un atto di speranza”. Anche se non c’è una fede? “La speranza sta nel fatto di scrivere. Perché non c’è pessimismo definitivo quando lo si scrive ”.
 
Verga – “Provate a leggere «I Malavoglia» come la serie tv «Succession»: tutti vogliono cambiare le cose. Ma anche se si fallisce, quel che conta è aver deciso”. Questo è Verga celebrato sul “Robinson”. La serie tv “Succession”?
“A voler cercare il vero nel verismo, quel che più somiglia alla tragedia della Provvidenza, raccontata nel romanzo «I Malavoglia», è il naufragio della Costa Concordia”, Francesco Merlo. Cioè, una tragedia o la stupidità?
Nato a Vizzini, 600 metri sul mare, un paese “in cima al colle, arrampicato sui precipizi, disseminato fra rupi enormi, minato d a caverne che lo lasciavano come sospeso in aria, nerastro, rugginoso”, la Fondazione Verga lo fa invece nato a Catania, città di studi e di commerci, antica capitale.

letterautore@antiit.eu

Il viaggio di Dante lo facevano in tanti

“Il viaggio nell’oltretomba non aveva nulla di originale in sé e peer sé. A parte l’«Eneide» di Virgilio, il turismo ultraterreno era in gran voga fra gli scrittori del Duecento, e non soltanto fra quelli cristiani. Secondo alcuni esegeti, Dante avrebbe derivato la sua idea dalla letteratura araba, che di storie simili ne aveva a bizzeffe. C’era il racconto del viaggio di Maometto in cielo, c’era la leggenda persiana dell’ascensione di Arda Viaraf, c’era soprattutto il «Futuhat» di Ibn Arabi, con una meticolosa descrizione dell’inferno e del paradiso che somigliano molto, quanto ad architettura, a quelli della «Commedia»”. Così, con semplicità anche se non con precisione veniva sciolta in anticipo, nel 1964, la questione che tanta filologia illustre ha tenuto impegnata, Maria Corti, “Dante e l’islam”, eccetera – e ci avrebbe risparmiato, se ancora si leggesse, i “Dante ha copiato” della cyberscuola.
Nulla di nuovo, o di speciale. Ma Montanelli è un narratore, come si sa dallo speciale giornalismo, narrativo, con cui ha tenuto banco per decenni, di personaggi e caratteri - gli “incontri”. Applicato a una più vasta scena - Dante, le sue opere, Firenze e mezza Italia negli anni di Dante - sa andare su molte questioni al nocciolo, senza inutili distinguo. Delle cose che non sa – nel capoverso citato la letteratura persiana, che non è araba, Ibn Arabi e il “Futuhat” - fiutando la pista giusta. La Firenze di Dante, e le tante corti su cui l’iperpolitico Dante ostracizzato puntò, non saranno esumate a perfezione, ma se ne ha bene un’idea.  
Un racconto che anticipa le tante storie cui si dedicherà, con Roberto Gervaso - già qui si poneva obiettivi ambiziosi, stando al sottotitolo: “Vita e politica nell’Italia del Medioevo”. E un po’ lo redime dall’immagine di opportunista, in politica e non solo.

Indro Montanelli, Dante e il suo secolo, Bur, pp. 404 € 15

venerdì 28 gennaio 2022

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (481)

Giuseppe Leuzzi

Domenico Porzio fa grande caso, discorrendo con Sciascia per il libro-intervista “Fuoco all’anima”, dei viaggiatori stranieri al Sud nel secondo Settecento e nell’Ottocento. Ogni volta dovendo premettere che sono attendibili e informativi. In realtà no, se non per l’aneddotica urbana, di personaggi curiose e vicende strane. Il Sud viaggiato è pittoresco.
È però anche vero che è l’unico Sud che possediamo, del Sette-Ottocento. E del Novecento?
 
Sulle cento maggiori aziende 
eco-oriented italiane solo tre sono del Sud. Eppure ci sono molti soldi gratis (incentivi, benefici fiscali) se si punta sul “verde”, italiani ed europei. Si vede che non c’è più fame. Nemmeno l’appetito.
 
Il Sud accompagnato
Patrick Brydone, il viaggiatore scozzese del tardo Settecento in Sicilia e a Malta, si era fatto poi una professione di accompagnatore: accompagnava viaggiatori nel Mediterraneo, a pagamento. Ci voleva un accompagnatore per l’Est e il Sud Europa, posti pericolosi, qualcuno che conoscesse i luoghi e i percorsi, e garantisse una qualche protezione – Sciascia si dice sicuro che erano i locali massoni, che il viaggio si svolgeva tra massoni.
Brydone esercitò per una trentina d’anni – poi si ritirò a Londra, si sposò, a 47 anni, fece figli, e una vita domestica, evitò anche di scrivere di viaggi.
Il mestiere di accompagnatore al Sud fu tentato anche da Rimbaud, che a vent’anni, il 5 novembre 1874, due settimane dopo il suo compleanno, faceva uscire sul “Times”, in contemporanea con la pubblicazione a Parigi di “Una stagione all’inferno”, i versi che rivoluzionavano il modo di fare poesia, un annuncio: “A PARISIAN (20), of high literary and linguistic attainments, excellent conversation, will be glad to ACCOMPANY A GENTLEMAN (artists preferred) or a family wishing to travel in southern or eastern countries. A.R. nr.135. King’s Road. Reading”.
Era la terza fuga di Rimbaud a Londra, non più con Verlaine, questa volta col coetaneo Germain Nouveau. Senza mezzi, in un primo tempo era stato soccorso dalla madre e dalla sorella Vitalie, accorse prontamente, poi aveva trovato un insegnamento di francese a Reading – che non durò molto, un paio di mesi. Dopodiché tornò in famiglia, a Charleville. Reading sarà vent’anni dopo il carcere di Oscar Wilde - che ne uscirà con la “Ballata” omonima.
 
L’unità, un parto cesareo
Che l’unificazione dell’Italia sia stata fatta male, o sia venuta troppo presto, anticipata sui tempi previsti, per l’atto eversivo di Garibaldi, fu subito chiaro. Subito dopo, all’inaugurazione del Parlamento unitario eletto il 18 febbraio 1861, i deputati meridionali arrivati a Torino si trovarono nel mezzo di una campagna scatenata dalla “Gazzetta del popolo”, che li accusava del diritto a viaggiare gratuitamente, portando con sé parenti e amici.
L’anno dopo Garibaldi, ritornato in Sicilia per marciare su Roma, incoraggiato privatamente dal re, col benign neglect del capo del governo Rattazzi, che si limitò a proclamare uno “stato d’assedio” sull’isola pro forma, per soddisfare le preoccupazioni di Napoleone III più che mai schierato col papa, il 25 agosto poté attraversare lo Stretto col doppio dei Mille, volontari subito assemblati da ogni dove, indisturbato, davanti a due fregate della Marina Italiana che non intervennero. Il solito gioco di copertura, pensò il Generalissimo, e invece finì all’Aspromonte, vittima del terribile Cialdini. Mentre a Genova la polizia arrestava a frotte mazziniani e garibaldini, menando anche di gusto. Si minacciò un processo a Garibaldi, ma ci si limitò a confinarlo a Caprera.
Il copione si ripeterà nel giugno 1967. Garibaldi potrà evadere da Caprera, limitandosi a far passeggiare davanti casa un amico abbigliato come lui. Col solito Rattazzi, “il famiglio di casa Savoia” (Spadolini), al governo – e l’ex garibaldino Crispi all’Interno. Raggiunse senza problemi Firenze, la nuova capitale del Regno, e da lì i volontari che già si erano radunati tra Lazio e Umbria, sempre col pensiero al papa e a Roma. Questa volta Napoleone III prese la cosa sul serio, apprestò e imbarcò un corpo di spedizione a Tolone, destinazione Civitavecchia. E sarà Mentana, la prima e unica sconfitta militare di Garibaldi. Rattazzi si era dimesso. Il successore Menabrea aveva disarmato comitati di volontari sorti un po’ dappertutto. Vittorio Emanuele II aveva fatto un proclama per sconfessare l’iniziativa del Generalissimo. Crispi fu richiesto da Menabrea di convincere Garibaldi a desistere, a evitare una guerra civile. E di riportarlo a Caprera. Ma al momento di prendere col vecchio compagno Crispi il treno per Firenze, i Carabinieri si presentarono per arrestare Garibaldi.
Non fu semplice. Garibaldi si oppose all’arresto. Invocò una triplice immunità: la sua cittadinanza americana, il vecchio grado di generale della Repubblica Romana, l’immunità di parlamentare italiano. Ma i Carabinieri non desistettero. Garibaldi si rifiutò comunque di alzarsi. I militi dovettero portarlo via di peso. Destinazione il carcere della Spezia. Dove Garibaldi resterà tre settimane, in attesa di un processo che anche questa volta il governo italiano non fece.
Se ne era stufato perfino Dumas, che con Garibaldi aveva avuto le sue ultime grandiose avventure, politiche e di affari, non non fu ispirato da Mentana, e nemmeno dall’Aspromonte, niente più di avventuroso.
 
Mafia anarchica
“La cupola delle cupole non esiste”, dice reciso Sciascia a Domenico Porzio che lo intervista per “Fuoco all’anima”: la mafia, “contrariamente a quanto ritiene il giudice Falcone, non è un’organizzazione centralizzata. Sono diverse cupole, insomma, che si fronteggiano. È difficile che trovino un accordo tra di loro”. L’organizzazione è relativa: “Il mafioso ha una vita insicura, perché è in lotta con i rivali che lo vogliono sovrastare”.
La mafia è criminalità. Non è una società politica. Tanto meno nelle forme romanzate, alla Robin Hood o di William Galt (il palermitano Luigi Natoli). Né una società di mutuo soccorso, o per azioni: è disorganizzata anche quando è organizzata. È un’associazione di persone, al più di famiglie in senso proprio, di consanguinei. Ma non sempre: l’omertà è limitata, calcolata – una ragione di scambio. I morti di mafia sono mafiosi.
Negli anni di Riina a Palermo, gli ultimi trenta del Novecento, oltre un centinaio di assassinii mafiosi sono stati perpetrati contro magistrati, forze dell’ordine, cittadini incorrotti. Ma è un caso eccezionale, ancora da indagare – se mai sarà possibile: tanta violenza, per un periodo così lungo, ha sicuramente cause specifiche.

Puglia
È girato in Puglia, per la parte ambientata in Calabria, l’ultimo successo Rai, lo sceneggiato “La sposa”. Si gira molto nelle regioni, si sa, perché, in deroga all’antimonopolio Ue, le Regioni possono finanziare le riprese cinematografiche locali a fini di promozione, con le Film Commission regionali. La Puglia ha saputo farne una industria, con infrastrutture di servizi e maestranze locali che rendono le riprese in esterni molto meno costose.
 
Anche sull’ortofrutta, la Puglia s’impone questo inverno nei mercati rionali e nei supermercati come grande fornitrice “di stagione”. Tutto quello che era da decenni siciliano o campano, uva da tavola, agrumi, carciofi, eccetera, è questo inverno pugliese. C’è Sud e Sud.
 
Il Canzoniere Grecanico Salentino, il gruppo musicale fondato nel 1975 dalla scrittrice Rina Durante, che col tempo ha imposto il festival di Melendugno “La notte della taranta”, è “un tornado” di voci e suoni appassionanti per il “New York Times”. Ai vertici mondiali del folk contemporaneo per il “New Yorker”.
 
Giulio Cesare Vanini, “terzo eroe della laicizzazione dell’Europa tra Bruno e Spinoza” (Sossio Giametta) Taurisano lo ricorda con il corso. Ma niente più: il pragmatismo - lo sfruttamento del nome per convegni, manifestazioni, anniversari – non si applica alle idee?
 
Si fa un docufilm “Ionio”, opera di Nicolò Carmineo e Lorenzo Scaraggi, col titolo “A dialogue of two Seas”. Si penserebbe lo Ionio un mare unico, e per tale viene mostrato, nei tanti legami fra Taranto e Corfù. Ma il più interessante del racconto è il ricordo che lo Ionio era per i Greci un “kolpos”, un golfo, le sue sponde erano di un’unica patria.
 
Due delle tre aziende del Sud eco-oriented fra le prime cento italiane sono pugliesi. Sono due banche. Una fatica da poco – daranno i biglietti su carta di riciclo? – ad alto reddito.
 
È stata industriale, è ora sui servizi alla persona, con molto green come si deve, dall’ortofrutta alle seconde case e le vacanze - ristorazione, escursioni, belle arti, parchi, mare, etc. Non solo Taranto, anche Brindisi ora lumeggia triste, per esempio sullo sfondo del film di Danilo Caputo, “Semina il vento”, della moria degli ulivi aggrediti dal pidocchio, delle fantasie e utopie di chi vuole salvarli. Uno sfondo sporco, grigio, come di un mondo remoto e già abbandonato – oltre che inquinante.

Era la terra della “taranta”, del “male di san Donato”, di magie e superstizioni, l’ultima frontiera degli ultimi folkloristi, Annabella Rossi, Ernesto De Martino, non un secolo fa, e ora è al Sud una sorta di Lombardia, anche se non ne ha i capitali, non avendo praticato lo strozzo nell’anno Mille: fiuta il mercato, dove si lavora e si guadagna. Il sostrato alemanno, cum Hohenstaufen, ha prevalso sugli altri?
 
È anche la regione, al Sud, che non si coltiva, non coltiva un proprio mito, una “pugliesità”. Come per la Sicilia, Napoli, la stessa Calabria, regione per eccellenza di emigrazione, perfino della Basilicata, “coast to coast” – per non dire della Sardegna, un altro mondo. Si è pugliesi e basta, non si è un’eccezione, quando non si è baresi diversi e lontani dai salentini, dalla Daunia, il Tavoliere, il Gargano. Il campanilismo è una sorta di albero d’appoggio, un sostegno per non cadere, non vedere?
 
Molte Regioni erano, prima che il colore venisse praticamente accantonato per il green pass, in giallo in procinto di diventare arancione, tranne, al Sud, la Puglia, che si prospettava bianca. Senza “scrusciu”, come avrebbe detto Camilleri, senza allarmi e chiacchiere: le cose si fanno, e va bene così.

leuzzi@antiit.eu

La Grande Dimissione

Il buco nella domanda di lavoro - nella risposta all’offerta di lavoro - negli Stati Uniti, e in parte in Gran Bretagna, è dovuto per il 70 per cento alle donne madri di famiglia, e alle persone in età, dai 55 ai 74 anni, in parti uguali tra le due categorie. E di queste categorie si sa il motivo: gli obblighi familiari, soprattutto di assistenza ai figli minori, in tempi di chiusura delle scuole, per le donne, e di abbandono del mercato del lavoro da parte degli anziani – i tanti che, dopo l’abbandono forzato a causa dei lockdown, non hanno trovato più conveniente o interessante tornare al lavoro. Altre cause del gap sono individuate nel mismatch, nella difficoltà d’incontro tra offerta e domanda di lavoro, non una novità, ma marginale, e in parte più cospicua negli assegni compensativi pubblici, federali o statali (in italiano “ristori”), distribuiti a varie categorie che non hanno potuto lavorare a causa della pandemia.
In Gran Bretagna non si rileva il fenomeno delle donne madri. Un 10 per cento del gap è attribuito al mismatch, e un 35 per cento, anche qui, agli anziani che non intendono più lavorare. Ma la più grossa quota della domanda insufficiente di lavoro è dovuta all’effetto Brexit, alla riduzione crescente della domanda di lavoro straniera, a mano a  mano che scadono i permessi di soggiorno.   
I due economisti del Fondo Monetario hanno provato a indagare il nuovissimo fenomeno cosiddetto della Grande Dimissione, alla ripresa del lavoro dopo la prima ondata di covid, l’estate-autunno del 2021, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Il fenomeno è ritenuto passeggero - eccetto che nei casi di dimissioni degli anziani – e destinato a rientrare con ritorno alla normalità. Ma potrebbe avere in questi mesi invernali effetti negativi sull’economia, se si ribalterà sulle retribuzioni: verrebbe cioè a pesare sull’inflazione, che è già in forte ascesa (negli Stati Uniti è già all’8 per cento) per effetto di una ripresa in larga scala dei consumi.

Il fenomeno, sia degli abbandoni definitivi che di quelli ritenuti temporanei, sia negli Stati Uniti che in Gran Bretagna, è rilevante nella attività a bassa professionalità. Soprattutto forte nei lavori domestici, nei servizi alla persona (cure a domicilio, badanti), nelle attività di ristorazione.
Carlo Pizzineli-Ippei Shibata, Solving the Job Mistery, Imf blog

giovedì 27 gennaio 2022

Ombre - 598

“L’incontro irrita la Ue”, l’incontro di Putin con i capi delle imprese italiane. Non è vero, la Ue non c’è. Ma quando Putin ha incontrato i manager tedeschi?

Non è atlantismo, quello dei media italiani, è ripetizione stracca, di moduli, modi di dire -superficialità, insolenza, ignoranza.

 

All’improvviso, alla vigilia del voto a maggioranza semplice per il presidente della Repubblica “la Repubblica” candida Casini, all’unisono, dalla prima pagina alla rubrica delle lettere. Uno che non ha mai fatto nulla in mezzo secolo di vita politica. Un arcidemocristiano camuffato da “arcitaliano”. Sorpresa? No, già Scalfari era con De Mita.

 

Un Parlamento senza qualità ha navigato su nomi implausibili per il Quirinale. L’unico uomo politico oggi in Italia, capace di una sintesi politica dei problemi, è un non politico, Draghi. Le votazioni per il presidente della Repubblica ne sono la prova. Di un Parlamento assurdo, eletto da uno su due elettori aventi diritto. La Costituzione ha dato al Parlamento tutti i poteri, ma non ha prescritto il voto minimo per legittimare l’elezione del Parlamento stesso.

 

Si assolve Briatore, con formula piena, dopo dodici anni di condanne dei giudici genovesi concordi per frode fiscale, e il sequestro di uno yacht da venti milioni, svenduto per dispetto, alla vigilia dell’assoluzione, per 7,8 milioni, da custode giudiziario, il commercialista del Tribunale Ugo Brunoni, che Briatore dovrà pure compensare. Una storia non male, di Procuratori, Giudici e Commercialisti genovesi che assolvono al città condannando Briatore, affarista certo non simpatico.

 

Due volte la Cassazione ha detto che Briatore andava assolto, e due volte i giudici genovesi lo hanno ricondannato. Dopo aver sequestrato lo yacht, per frode fiscale, con un commando di una ventina di finanzieri, armati. Poi dice che la giustizia in Italia è disarmata.

Di persona posiamo testimoniare che la Finanza non transige. Essendo capitati in un bagno, il giorno di Ferragosto, dove la Finanza controllava gli scontrini col mitra a tracolla – i militi però non sudavano, i mitra erano di carta?


Un giudice della Suprema Corte Usa, Stephen Breyer, di simpatie politiche democratiche, è costretto dal partito Democratico a lasciare il posto a un nuovo giudice che il presidente Biden deve nominare: una donna, nera, avvocato e Procuratore federale (per compiacere il “partito” dei praticanti del diritto: procure – distrettuali, federali - e studi legali), Ketanji Brown Jackson.

Breyer, 83 anni, si dimette per motivi di salute ma sta bene. Progressista, è noto come mediatore: a lui si faceva merito dell’alto grado di unanimità della Corte nelle ultime pronunce.    

Il green pass  terza dose, del 5 novembre, scaricato su Immuni non dice niente al lettore QR Code nei locali. Scaricato su Io, “l’app dei servizi pubblici”, lo stesso. Il green pass vecchio, del 4 marzo, è invece valido, anche se pare sia scaduto da qualche mese. Ma è una cosa seria?

 

Abbiamo ogni giorno una foto grande di volontari-e ucraini-e contro la Russia in tuta mimetica, in primo piano un bel volto femminile. È la tipica ricetta propagandistica, per inserzionisti di basso profilo, di Madison Avenue, delle campagne pubblicitarie, la bellona volontaria la esibiva anche Gheddafi. Che però aveva il petrolio. L’Ucraina che non se la passa bene quanto paga per fornire ai media ogni giorno le sue volontarie? O paga la Cia?

 

È perfino imbarazzante la campagna americana sulla guerra prossima ventura della Russia all’Ucraina? Una guerra all’Ucraina? E noi dovemmo fare la guerra alla Russia. È insensato, ma è ciò che ci viene detto.

 

In Italia è tatuato il 14 per cento delle donne, il 13 per cento di tutta la popolazione sopra i 12 anni – quattro milioni di donne, quasi otto milioni in totale. I tatuaggi sono costosi, e praticamente indelebili, ma a rapido deperimento, immalinconiscono. Chi li ha, sei su dieci, vorrebbe cancellarli, ma la tendenza è in crescita.

 

Nail art e nail salon in crescita, tanta è l’attività. Di ragazzine e non solo. Delle tante foto o video postati dai ragazzi romani, pariolini-coatti, ora agli arresti per il festino con droga e stupri un anno fa, spicca la mano femminile che taglia la cocaina, con unghie applicate, ognuna diversa dall’altra e tutte mostruose.

“Pickup, l’importante è esagerare: nuovi modelli a emissione zero (?), e giganti di lusso tipo supercar”. Il mondo si radicalizza: i ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri  aumentano esageratamente di numero, compresi i “nuovi poveri”, chi se la cavava e ora non più. Ma il mercato è dei ricchi.





Cronache dell’altro mondo – non bellicose (168)

La lettera d’intenti del segretario di Stato Blinken a Putin propone un canale di comunicazione speciale (“dedicato”)  sulla stabilità e la trasparenza delle relazioni, e sul controllo degli armamenti. Facendo salvo il diritto dell’Ucraina a scegliere le sue politiche di difesa, e cioè di chiedere l’adesione alla Nato.
La lettera di Blinken non fa menzione della Crimea, che Putin si è annessa nel 2014.
La lettera d’intenti è stata richiesta da Putin. La proposta di un dialogo risponde, dice Blinken, anche alle richieste degli alleati europei.
Il presidente russo Putin vorrebbe far valere un impegno che il presidente Bush avrebbe preso nel 1990 nella trattativa con Gorbaciov per la riunificazione della Germania. La riunificazione era avversata da Gorbaciov, che si era espresso contro di persona e col suo ministro degli Esteri Shevarnadze, e l’avrebbe accettata in cambio di un impegno americano a non estendere la Nato oltre la frontiera della Germania unificata. 

Il mito di Atene s'incarna a Firenze

La fortuna dei Medici, oltre che sulla banca, riposava sull’industria e il commercio della lana. Ancora nel Cinquecento inoltrato si assicuravano la lana delle pecore nere abruzzesi, di Santo Stefano in Sessanio, e quella dei casali di Cosenza, la pre-Sila. Ma l’ultimo capitolo Pierre Antonetti ha voluto intitolato “La decadenza dell’Arte della Lana”.
Nel Quattrocento e ancora nel Cinquecento, spiega, “la lana e la seta furono, per dirla con un contemporaneo, «i dua begli occhi di Firenze»”. È che nella seconda metà del Cinquecento “la produzione laniera passò dalle 30 mila pezze annue a poco più di tremila” – e un secolo dopo solo a mille. Una fine a pesce - un’anticipazione non inevitabile – ma anche un richiamo alla storia, che ha i suoi tempi: dopo tre secoli di fulgore la fine era inevitabile.
Per quattrocento pagine l’italianista corso dell’università meridionale francese, Aix-Marsiglia, è venuto tessendo una tela superba, di ricchezze e di peso politico, in ogni campo, in misura enorme per una città-Stato. Che con migliore esito e più a lungo ha resuscitato il mito dell’Atene di Pericle.  Con molte narrazioni, di imprese politiche ardite, e di feste, matrimoni, giochi, pitture, sculture, architetture, prostituzione, femminile e maschile. E, soprattutto, delle “arti”, che fecero la ricchezza e la grandezza della città, dei pannilana, della pelle, della concia, della paglia, e di una già evoluta “industria della moda”. E dei cambiavalute naturalmente.
Nel capitolo finale Antonetti richiama anche i persistenti roghi degli eretici in piazza - non c’è solo Savonarola – e la caccia ai sodomiti. Questa non tanto trucida ma determinata, e con robuste borse ai denunciatori – i whistleblower americani non sono una novità - da finanziare con le pene inflitte ai colpevoli1. Anche alle vittime, attive o passive, se non denuncianti.
Una lettura anche malinconica, raffrontandosi inevitabilmente l’immagine della Firenze magnifica con l’informe cittadona di oggi. Con una curiosa, piccola antologia di contemporanei, Filarete, Landucci, Poliziano. Un’altra prosa, semplice, esplicita.
Pierre Antonetti, La vita quotidiana a Firenze ai tempi di Lorenzo il Magnifico, “Corriere della sera”, pp. 485 € 7,90

 

mercoledì 26 gennaio 2022

Cronache dell’altro mondo – bellicose (167)

Il presidente Biden mette in preallarme cinquemila miliari per intervenire in Ucraina - “moltiplicabili per dieci”, aggiunge il capo di Stato Maggiore. Dopo l’incontro a distanza con Putin, dal quale avrebbe avuto assicurazioni di non intervento in Ucraina.
Contemporaneamente Biden ordina a tutti gli americani in Ucraina, compresi i familiari dei diplomatici, di lasciare il paese.
Il presidente dell’Ucraina, che Biden assicura di voler difendere, se ne adonta: “L’Ucraina è sicura, i cittadini americani sono più sicuri a Kiev che nelle città americane infestate dal crimine”, afferma Zelensky. 
Zelensky lamenta anche che i tanti discorsi di guerra hanno ridotto la qualità della vita a Kiev. E dunque le immagini di soldati e volontari-e in assetto bellico che arrivano ogni giorno ai giornali non sono diffuse da lui?
Il presidente Biden ha dovuto far smentire un cronista, che aveva riferito della sua conferenza stampa post incontro con Putin che il presidente russo gli aveva assicurato il non intervento.

Appalti, fisco, abusi (214)

Si appaltano i lavori per il restauro della base del monumento a Garibaldi sul Gianicolo a Roma. A tre ani e mezzo dal danneggiamento – invisibile a occhio – provocato da un fulmine o temporale. Tre anni e mezzo di opere provvisionali a recinzione-protezione del monumento – pagate? L’appalto verrà eseguito fra tre mesi.
 
Nelle mura aureliano prospicienti il Gianicolo la caduta di un sasso ha portato a metà dicembre alla chiusura della porta di accesso al quartiere Monteverde Vecchio – nelle mura era stata praticata un’apertura, gli “archi”. La zona è recintata, la principale via d’accesso al quartiere. Con deviazione del traffico, e dei mezzi di trasporto pubblico che collegano il quartiere, una vasta area che scende fino a Trastevere, al Centro-Est della città. Senza che niente sia stato fatto o predisposto – uno studio, un restauro. Se la caduta del sasso è minacciosa, non si dovrebbe accertare subito l’entità del danno?
 
Accanto a questi “archi”, un ingresso alla villa Sciarra è stato chiuso per sei anni, per analoga caduta. Ora, dopo sei anni, il cancello è stato riaperto, ma tenendo recintato il pilastro dove si era manifestato il danno. In sei anni non è stato fatto nulla, una indagine, uno studio.
 
Nello stesso quartiere, in area adiacente, sotto le mura Aureliane, un cantiere Italgas occupa da due mesi un incrocio, operativo uno-due giorni a settimana, per scavare buche enormi, che poi si richiudono, per scavarne un’altra accanto. Deviando la circolazione, fatta di sensi unici, contromano rispetto alla segnaletica, rimasta immutata. Un invito all’incidente, senza che la polizia urbana si sia mai fatta vedere. Tutto, per fare gli interessi dell’impresa appaltatrice: senza sorveglianza, controllo, collaudo – un appalto infinito? Italgas è pure un’azienda pubblica.  
 

Dell’olocausto o dell’inefficienza

A seguire a “Auschwitz, città tranquilla” pochi mesi fa, “la Repubblica allarga la memoria. Qui legando Levi a Leonardo De Benedetti, il suo compagno di prigionia, nelle testimonianze sulla reclusione – “Testimonianze 1945-1986. Con Leonardo De Benedetti” è il sottotitolo. Numerosi i documenti di entrambi sulla deportazione, comprese le  testimonianze da loro rese a carico di Höss, il comandante di Auschwitz, di Eichman, e di Bosshammer, collaboratore di Eichman, suo rappresentante in Italia, a Verona (il lager di Novoli compreso).
Non una grande lettura: De Benedetti, ma anche Primo Levi, sono qui didascalici, precisi più che narrativi, dettaglisti, prolissi – avvocateschi, per voler essere veri e veritieri, essere creduti. Se non per un sospetto che emerge crudo a ogni pagina, per quanto sorprendente, e con la lettura si rinsalda: che i tedeschi prima che cattivi sono inefficienti, e che anzi hano perso le guerre, anche contro gli ebrei, per essere inefficienti. Un capomastro tedesco, direbbe Primo Levi, che studiò “Faussone”, il capomastro piemontese tutti azimut, non è uno più bravo, che risolve tutti i problemi, di montaggio, di funzionamento, di adattamento, anzi è solo più rigido, fino alla brutalità.
Si vede dale prime righe della prima testimonianza, congiuta, di Levi e De Benedetti, ai russi che li avevano liberati.  Mandano gli ebrei ai campi di lavoro in vagoni bestiame, l’uno sull’altro, per quattro giorni e quattro notti, con pane, marmellata e formggio ma senza acqua – l’acqua se l’erano dimenticata. Mandano i carri bestiame zeppi di ebrei di ogni bordo, ultraottantenni e lattanti, col cibo (senza l’acqua) e con scorte armate numerose, per disfarsene, dopo quattro giorni e quattro notti di viaggio: potevano disporne appena presi, una pallottola costava meno. Il convoglio di Primo Levio da Fossoli a Auschwitz, compost di 650 persone, tra essi un lattante di tre mesi, dà alla fine della corsa 95 maschi validi e 23 donne – il resto erano vecchi, bambini e invalidi. Lo sterminio fu un grosso spreco, organizzato certo.
Lo spreco dell’acqua anche, che non c’era da bere ma per lavarsi sì. Docce due e tre volte la settimana - senza possibilità di asciugarsi. Doccia di tutto lo stanzone se un solo pidocchio veniva trovato all’esame di tutti gli indumenti, minuzioso, il sabato pomeriggio.  
Non c’era scorbuto né polinevrite. Né tifo petecchiale. Una sorta di ospedale era in funzione ventiquattro ore, una serie di ambulatori di ogni specialità terapeutica. Serviti da medici specialisti, con infermieri. Le squadre andavano al lavoro la mattina, con marce anche di sette-otto km., dopo un’adunata all’alba di due-tre ore, al freddo, al suono di bande musicali, allegre.
Una  fabbrica  di 35 km quadrati, la Buna-Werke, servita da decine di migliaia di operai schiavi, per ricavare benzina, gomma, coloranti e altri prodotti sintetici dal carbone, che in un anno e mezzo non produsse nulla. Contornata da alti reticolati di filo spinato”.  Servita da “Ebrei di ogni nazionalità d’Europa”. Nonché da criminali tedeschi e polacchi, da «politici»  polacchi e da «sabotatori”. E, liberi fuori del recinto, salariati, da civili polacchi, manovali o specializzati. Che regolarmente sabotavano l’impianto.
Il primo sabotaggio era interno alla stessa organizzazione. Il pane con la segatura dentro. La saponetta con la sabbia. I preziosi sottrati ai deportati e scomparsi. Venivano tesaurizzati (venduti) anche gli abiti dei deportati. Nelle testimonianze qui raccolte non si dice, ma la corruzione era normale, tra i tedeschi.
Si scorrono questi verbali anche con l’impressione netta che i Tedeschi, dopo averle buscate dai francesi, e poi dai russi, le abbiano buscate, con distruzione più radicale, pure dagli ebrei. Una guerra che a loro sembrava un’inezia, e invece si è rivoltata contro in forme radicali. Non cruente ma ugualmente micidiali. È inevitabile assimilarte tedeschi e ebrei, perché l’assimilazione vi era – vi è – la più larga e approfondita, nel mondo tedescofono, per una sorta di comuni forme mentali, speculative e non, e anche di linguaggio, lo jiddisch essendo un dialetto o una lingua (Singer, Aleichem) germanica.
È ben “tedesco” il primo documento di questa raccolta, il rapporto steso da Levi e De Benedetti nel 1945, subito dopo la liberazione, alle autorità russe del campo, dettagliato, preciso, freddo. Ciò che colpisce nelle relazioni di Levi e De Benedetti del sistema concentrazionario non è la sua crudeltà ma l’ottusità. Dall’alimentazione alle cure, l’apparato enorme e dispendioso, straordinariamente complesso e insieme – non inevitabilmente – lacunoso e inefficiente. Ma senza che, ecco il punto, l’organizzazione tedesca vi ponesse rimedio in corso d’opera. Se il deportato era destinato a morire, l’organizzazione era uno spreco, un teatro dell’assurdo, immane. Se era destinato ai lavori forzati, era uno spreco per difetto, fosse per cattiveria o per incapacità.
Primo Levi ne ha dato altrove varie testimonianze, anche allegre. E Rousset, il primo a testimoniare con una pubblicazione l’Olocausto.
Primo Levi (“Lo scoiattolo”, in “L’altrui mestiere” – ora in “Ranocchi sulla luna e altri animali”): la gabbia degli scoiattoli. “Ho incontrato pochi scoiattoli nella mia vita”, premette Levi, “qualcuno nei boschi”, come tutti, o “nei parchi di Ginevra e Zurigo”. Quelli che ricorda sono altri: “Altri ne ho visti in prigionia, ma non apparivano meno vivaci né meno allegri de loro colleghi della foresta. Erano una dozzina, rinchiusi dentro una grande gabbia”. Nella grande gabbia una più piccola, la “«gabbia di scoiattolo», cioè cilindrica, appiattita e ad asse orizzontale, senza sbarre da un lato e liberamente girevole attorno all’asse medesimo”. Insomma, curatissima. Fatta apposta per i giochi degli “animaletti”, che Levi ricorda “visibilmente compiaciuti”.
L’ordine disordinato del lager in D.Rousset, “L’univers concentrationnaire”, 96: “L’odio insensato che presiede e comanda tutte queste imprese è fatto dello spettro di tutti i rancori, di tutte le ambizioni meschine deluse, di tutte le invidie, di tutti i dispiaceri generati dalla straordinaria decomposizione delle classi medie tedesche tra le due guerre. Pretendere di scoprirvi gli atavismi di una razza, è precisamente fare eco alla mentalità SS”.
Tra gli ebrei che in massa dalla Grecia o dalla Francia venivano deportati “all’Est”  la speranza resisteva per un deficit di efficienza. “Era assurdo che i tedeschi avessero organizzato, organizzassero questi lunghi viaggi per poi ucciderci all’arrivo”, pensavano i deportati. Potrebbe dirsi una furbata, l’olocausto dovendosi consumare lontano da occhi indiscreti.  Ma assurdo è. All’arrivo, guardie occhiute uccidevano, a uno a uno, gli anziani e i malati.
Le testimonianze, recuperate e collazionate da Fabio Levi e Domenico Scarpa nel 2015, sono ordinate alternando Primo Levi a Leonardo De Benedetti, medico chirurgo, compagno di prigionia di Levi a Fossoli e Auschwitz, spesso anche in coppia, per la prima volta nella primavera del 1945, subito dopo la liberazione, al Comando russo del campo per ex prigionieri di Katowice – prospiciente Auschwitz-Oswieçim. Da allora, 1945-46 (la testimonianza fu rivista da Levi e De Benedetti dopo il ritorno in Italia, dove la pubblicarono nel 1946), fino al 1986, “La nostra gener
azione”, una lettura-testamento di Levi sulla sua sorte avventurosa nella grande storia, pochi mesi prima della morte. Un ultimo testo preceduto, tre anni prima, dal ricordo commosso di Leonardo De Benedetti, “un uomo buono”. Anche qui con un tocco sinistro di ottusità tragica: “Era ebreo, e per sfuggire alla cattura da parte dei tedeschi, nell’autunno di quell’anno (1943, n.dr.) aveva tentato di sconfinare in Svizzera, insieme con un grosso nucleo di parenti. Avevano tutti superato il confine, ma le guardie svizzere erano state inflessibili: avevano accettato solo i vecchi, i bambini e i loro genitori, tutti gli altri erano stati riaccompagnati alla frontiera italiana”.

Le testimonianze sono doppiate da apparati ricchissimi, di facsimili di documenti, e di molte note di contestualizzazione,  
Primo Levi,
Così fu Auschwitz, “la Repubblica”, pp.  245 € 9,90

martedì 25 gennaio 2022

Appalti, fisco, abusi (213)

È un grosso sollievo in bolletta già il taglio degli “oneri di sistema”. Una tassa che abbiamo pagato per anni a favore degli ex monopolisti pubblici, Enel, Eni, e dei minori, spesso stravaganti, produttori di energia pulita. Quando si toglierà dalla bolletta la “spesa per il trasporto dell’energia elettrica e la gestione (sic!) del contatore”, la bolletta comincerà a essere ragionevole, anche se il gas e l’olio combustibile dovessero aumentare davvero come si dice.

Pesano in bolletta sovrattasse onerosissime a favore dei gruppi pubblici, che così pagano allo Stato ogni anno una diecina di miliardi di dividendi. Una tassa in forma di dividendo – più la ritenuta d’acconto sui dividendi agli azionisti privati. Che genera una Iva del 24 per cento…
Anche la spesa per la lettura del contatore sembrerebbe uno scherzo ma non lo è. Una “grande stangata”. Memorabile se non fosse sbirresca, da predatori con la forza pubblica.
 
Una tassa anche ineguale, gli oneri di sistema e la spesa per il trasporto e la lettura del contatore applicandosi ai redditi bassi e minimi, per consumi legalmente non interrompibili.
 
Ottimi dividendi paga allo Stato pure Poste Italiane. È anche vero che Poste vanta – al 31 dicembre – 575 milioni di transazioni, per un organico di 125 mila dipendenti, al lordo di malattie, vacanze e servizi non alla clientela: una performance ottima. Ma potrebbe anche consegnare ogni tanto la Posta, servizio che ha dallo Stato in esclusiva, il Servizio Postale Universale – da ultimo per 15 anni a partire dal 2011  - e per il quale riceve congrui “conguagli”. Consegnarla, non lasciare comodi avvisi di giacenza, che significano per i destinatari lunghe e ripetute code. Oltre a farsi pagare sei e undici euro (le multe) per le consegne non effettuate. Pagare un dividendo allo Stato va bene, ma far lavorare, un poco, i postini (le postine)?
 
Basta un temporale e Rai tv salta. Si ristruttura il digitale terrestre in continuazione per peggiorare il servizio? Rai Way non fa più investimenti in vista di una cessione a Ei Towers (Mediaset)? Che dovrebbe invece acquisire. Si fa rumore per non migliorare il servizio – assicurare uno standard minimo. 

A Pineta ritorna il sorriso

Riprende ritmo il secondo film stagionale della serie BarLume, dai racconti di Malvaldi, nelle mitica Pineta. Che ai quattro vecchietti della serie aggiunge in pianta stabile, con ruoli dichiaratamente comici, Corrado Guzzanti e Michele Di Mauro. Benché sempre in affanno, appannandosi il ruolo finora trainante di Timi. Il sostituto, il fratellone Fresi, è sempre misurato nel ruolo, ma il ruolo non ha consistenza, fare da tramite con questo e con quello – qui fa infine l’amore con l’appetibile Tizi, Enrica Guidi, per dare rilievo a quest’ultima, stretta anche lei in un ruolo-non ruolo, in circostanze comicissime, per poi restare subito dopo becco.
La serie regge, più che per le vicende, marginali, per il recupero, ormai classico delle produzioni Palomar-Degli Esposti, delle caratterizzazioni. Ma di Michele Di Mauro, il caratterista a questo punto della serie più vaporoso (svaporato), cialtrone commissario capo, poi capo della Polizia, poi forse ministro dell’Interno, implausibile e allegro, divertente, il casting non fa il nome.
Roan Johnson, A bocce ferme, Sky Cinema

lunedì 24 gennaio 2022

Problemi di base presidenziali - 681

spock


Il governo destra-sinistra è più sicuro se Draghi non va al Quirinale, dove vorrebbe andare?
 
Carte coperte per il Quirinale o nessuna idea vincente?
 
Quirinale in grande considerazione perché garantisce sette anni di stabilità, ma quando si vota per dare stabilità al governo tutti votano contro, l’Italia ha avuto un governo inamovibile, un secolo fa?
 
Tutti chi: i partiti, quali partiti? I media, di che padrone?
 
I partiti del Capo, o non sarà questo il fascismo, mascherato?
 
“La democrazia è mediocrità”, Sciascia?
 
“La democrazia è mediocre in senso positivo, in quanto esprime la volontà media di un popolo”, Sciascia?

spock@antiit.eu

Che calcio è questo

Si commenta Milan-Juventus, partita noiosa, alla “Domenica sportiva”, e si passa alle pagelle: Tardelli dà 7 e tre 6,5 a quattro milanisti che gli sembrano eccellenti. Pecci dà un 6 e tre 5 a quattro juventini.
Della stessa partita si è commentato a lungo un rigore, se c’era o non c’era, per la Juventus, salvo concludere che forse c’era ma la Juventus non lo meritava.   
“Tuchel batte Antonio Conte: il Chelsea vince 2-0 il derby col Tottenham e mantiene dieci punti dalla capolista City e undici dall’inseguitore Liverpool” – “Corriere della sera”: undici?
I registi del docufilm su Paolo Rossi, “Un campione è un sognatore”, hanno scelto di far commentare la famosa partita col Brasile nel 1982 all’emittente brasiliana: “Dio mio! Dio mio!...”. Si è capito perché rivedendo subito dopo su Rai 2 la partita, col vecchio commento Rai: scialbo, avvocatesco, tribunalizio.
Le squadre di calcio romane, Roma e Lazio, non vogliono che lo stadio Olimpico sia intitolato a Paolo Rossi, celebrità mondiale. “Paolo Rossi non ha mai giocato in una squadra romana”. Lo vogliono intitolato a un calciatore romanista? A un laziale?

Il giorno dopo Milan-Juventus Capello elogia al Tg 1 la partita della Juventus: la squadra finalmente si è ritrovata, eccetera. Un diverso parere - il giorno dopo, alla vigilia del voto per il presidente? Un esame di riparazione? La Juventus ha protestato? Tardelli e Pecci non avevano visto la partita?  

L'ultimo Sciascia

L’ultimo libro-intervista di Sciascia, di uno Sciascia già stremano dalle dialisi, con Domenico Porzio nei mesi precedenti la morte. Sciascia come al solito laconico, ma anche di malumore – Porzio torrenziale.   
Una sorta di libro-testamento, a futura memoria secondo la formula tribunalizia cara a Sciascia, ma su temi variati, casuali. Il suicidio del fratello. La letteratura di viaggio al Sud, Sette-Ottocento, tutta di massoni – che al Sud incontravano massoni, preti compresi. Lo sbarco americano, di mafiosi. Le amarezze per “L’affaire Moro”. Giuseppe Mazzaglia. L’amato Rensi, le “Lettere spirituali” e altro. Vigneti e agrumeti siciliani abbandonati, trenta-quarant’anni fa, e dannosi – un’apocalissi, poco meno. Il darwinismo poco convincente. Krusciov e Giovanni XXIII due liquidatori, del comunismo e della chiesa. “La democrazia è più livellante della tirannide”. La nostalgia del Settecento. Salvemini meglio di Gramsci (“uno come Salvemini poteva intravedere nel fascismo i germi della morte. Ma non uno come Gramsci”). Gramsci staliniano - non ha mai criticato Stalin: “Non poteva. Il «buio a mezzogiorno» coinvolgeva anche lui”. Molto Savinio. Un po’ di Diderot. “Basaglia era un pazzo”. Il poliziesco è “soprattutto più onesto”. Molto sula scrittura, fonte di gioia, atto di speranza. Borges naturalmente. E Manzoni. Molière – ironia e umorismo. E naturalmente Pirandello. Di un attaccamento alla Sicilia che non si spiega. Del resto, curiosamente, poco curioso delle cose siciliane, altro che Racalmuto e Palermo – e di Palermo senza il meglio.  
Si rieditano a trent’anni dalla prima edizione le conversazioni che Domenico Porzio ebbe con Sciascia alcuni mesi prima, per un libro commissionato da Mondadori. Parte di quelle conversazioni registrate su nastro, sembra di capire dalla confusa presentazione che il musicologo Michele Porzio, figlio di Domenico, ne fa. Porzio era partito con un vasto progetto, di conversazione-libro, per il quale aveva redatto una scaletta, con i vari argomenti in latino: De felicitate”. “De Anima”, etc.. Un paio di conversazioni si svolsero, e poi più niente: Sciascia, debilitato e in dialisi morirà qualche mese dopo, a fine 1989, e l’anno successivo anche Porzio. L’ultimo titolo della scaletta, “De Senectute”, Porzio aveva trascritto per il “Corriere della sera”, che lo pubblicò nelle pagine “Cultura”, il 19 luglio 1987 – il teso è qui allegato, col titolo del quotidiano, “Gli anni delle passioni fredde”.

Domenico Porzio, critico e giornalista letterario, scopritore di Borgese per il pubblico italiano, curatore dell’opera di Borges per i Meridiani, aveva pubblicato alcuni saggi in materia di fede religiosa, apprezzati anche dal non credente Sciascia.
Leonardo Sciascia, Fuoco all’anima, Adelphi, pp. 169 € 13

domenica 23 gennaio 2022

Secondi pensieri - 471

zeulig


Colpa collettiva - La Germania mantiene “un rispetto dello Stato” che ha reso incomprensibile la dichiarazione di colpa degli Alleati, colpa collettiva in quanto tedesca, e individuale “per avere, se si vuole, continuato a praticare il proprio mestiere di funzionario o di maestro d’orchestra”, E. Jünger, “Trattato del ribelle”, § XXVIII, Il sarcasmo di uno Jünger nel clima recente della  denazificazione, 1951, non tiene conto dell’enorme vastità della Resistenza tedesca, interna, politica, delle decine di migliaia di prigionieri di lager politici, degli assassinii politici.
D’altro canto, la colpa va misurata sulla Resistenza. Se esiste un gruppo di uomini liberi allora si può ipotizzare la colpa collettiva – c’era il modo, se non la possibilità, non a buon mercato, di sapere e di capire. 
 
Comico – È esercizio – verbale mentale - non intellettuale, anzi anti-intellettuale. Irrompe contro il discorso razionale, positivo, conseguente. È l’irruzione dell’irrazionale, ma alla fine con esito razionale, in qualche modo critico, seppure non nella forma. Si esercita il comico come se si sbattesse una coperta, la coperta della logica e dell’etica – della misura, del giusto, del buono. Ma a opera di mano sempre in qualche modo avvertita, conseguente, critica, razionale.
 
Democrazia –  È come indossare le scarpe – roba da Ottocento, insieme con le tendine alle finestre, e l’ossessione sesso? “La democrazia è più livellante della tirannia”, stabilisce Leonardo Sciascia (“Gli anni delle passioni fredde”, intervista con Domenico Porzio, “Corriere della sera”, 19 luglio 1987, ora in L. Sciascia, “Fuoco all’anima”): “Il calzolaio all’angolo, come diceva Stendhal, alle elezioni «ha un voto che è uguale al mio». Però, non è poi così vero, in questo difendo la democrazia anche di fronte a Stendhal, e ripeto la frase del filosofo americano John Dewey: «Per quanto possa essere ignorante, un uomo sa se la scarpa gli sta stretta al piede»… Ognuno vota, insomma, constatando se la scarpa gli va stretta o no”.
 
Filosofia tedesca – Può essere letale. Hölderlin, che pure non si sospetta razionale, “occidentale” dopo la cura Heidegger, scriveva da Francoforte all’amico di seminario e del cuore Hegel il 20 novembre 1796: “Gli spiriti infernali, che mi ero portato con me dalla Franconia, e gli spiriti aerei dalle metafisiche ali, che mi avevano scortato da Jena” - su “una indole da insensato ragazzo” – “da quando sono a Francoforte mi hanno abbandonato”. Per Franconia intendendo la finitima Tubinga, degli studi di filosofia e teologia (al centro dell’allora Franconia era proprio la liberale Francoforte).
I giovani Hegel e Hölderlin potevano anche essere rivoluzionari, della Rivoluzione francese, solo in chiave mitica e esoterica, di logge massoniche – come lungamente spiega Jacques d’Hondt, “Hegel segreto”.
 
Giallo – Un bastione contro il nichilismo? Il giallo come genere letterario, celebrazione del crimine. È intuizione di Ernst Jünger nel “Trattato del ribelle”, al § XXXI: “Il crimine costituisce, con la decisione morale autonoma, il secondo mezzo possibile di mantenere la sovranità nel mezzo dell’erosione, dello sgretolamento nichilista dell’essere”. Notazione che attribuisce all’“esistenzialismo francese” – cioè a Sartre e Camus: “Il crimine non ha niente a che vedere col nichilismo: offre anzi un rifugio contro il suo vuoto, che rosicchia la coscienza di sé”. Ma prima ancora lo attribuisce caratteristicamente a Chamfort (uno dei due riferimenti costanti di Jünger nella cultura francese): “L’uomo, nello stato attuale della società, mi sembra più corrotto dalla sua ragione che dalle sue passioni”. E: L’uomo ha il sentimento di vivere sotto una dominazione straniera, e a questo riguardo il criminale gli è apparentato”.
Come esempio, Jünger porta il bandito Giuliano: “Quando un brigante colpevole di parecchi assassinii, il bandito Giuliano, fu abbattuto in Sicilia, un sentimento di tristezza si sparse per il mondo. Il tentativo di condurre e di perseguire una vita da lupo solitario aveva fallito. Ciascuno, in seno alle masse grigie, si sentì colpito con lui, e confermato nella coscienza del suo accerchiamento. Il risultato è che si eroicizza il malfattore”.  
 
Ironia – Viene con la ragione. Che non si permette il comico, nemmeno l’umoristico, ma sì i. sorriso critico. Molière è comico, Voltaire è ironico, anche se voleva far ridere – anche Diderot. Leonardo Sciascia, illuminista, lo spiega così in “Fuoco all’anima”, 108: “Gli illuministi non conoscono l’umorismo”. Sembrerebbe un limite, ma per una ragione: “Conoscono l’ironia. Il razionalismo non consente il capovolgimento umoristico. Il razionalismo genera sempre il distacco dell’ironia. Perché la realtà non corrisponde alla ragione”.   
 
Storia – “La storia autentica può essere fatta soltanto da uomini liberi. La storia è l'impronta che l'uomo dà al destino. In questo senso possiamo dire che l'uomo libero agisce in nome di tutti: il suo sacrificio vale anche per gli altri”
….. La storia è l’impronta che l’uomo liberato appone sul suo destino. La storia autentica non può essere fatta che da uomini liberi”.
“…. È là che si trova la vera sostanza della storia, nell’incontro dell’uomo con se stesso, cioè con la sua potenza divina”
Ernst Jünger, “Trattato del ribelle”, § XVII
 
Historia in nuce, il tema nietzscheano è ripreso da Jünger nel “Trattato del ribelle” come una culminazione della critica della conoscenza (una delle culminazioni, l’altra essendo “il passaggio dalla conoscenza all’essere”, Heidegger): “Il tema che, nell’infinita diversità del tempo e dello spazio, si ramifica, ma resta sempre lo stesso: per cui non c’è soltanto una storia della civiltà, ma anche una storia dell’umanità, cioè una storia situata nella sostanza, il nocciolo, una storia dell’uomo. Che si ripete in tutta la vita umana”.
 
Stupidità – È complicazione: complicata e complicante, in quanto non va all’esito logico ma lo avviluppa e inviluppa. Leonardo Sciascia vuole stupidi “i governi italiani, da De Gasperi in poi” (“Fuoco all’anima”, 111), “in quanto privi della capacità di semplificare i problemi e quindi di affrontarli dal verso giusto Ma, in questo caso, che lo scrittore esemplifica, ampliando il quadro ai Grandi della Storia: “Né Cesare né Napoleone erano stupidi; oso dire: neanche Mussolini era uno stupido. Forse non lo era nemmeno Hitler”. Intendendo: “Bisogna tener conto del concorso di colpa che interviene nel creare il tiranno”. Perché “nel tiranno si introverte tutta la stupidità dei suoi fautori. Mussolini non era uno stupido, ma la stupidità nazionale a un certo punto si introvertì in lui”.  
 
Verbo – “Nell’abisso delle origini, il Verbo non è più forma né chiave. Diventa identico all’essere. Diventa potere creatore. Tale è la sua virtù infinita, che non si monetizza. Perché non potremmo farlo che per approssimazioni. Il linguaggio si tesse attorno al silenzio, come l’oasi si ordina attorno alla sorgente. E la poesia conferma che l’uomo ha scoperto l’entrata dei giardini intemporali. Atto di cui vive in seguito il tempo” – Ernst Jünger, “Trattato del ribelle”, XXXIV.
Ma “la lingua non vive di leggi proprie. Altrimenti i grammatici reggerebbero il mondo”.
Il linguaggio nasce dal silenzio, come tutto.


zeulig@antiit.eu

Ombre cinesi

Ufficialmente i contagiati covid nel continente cinese si contano, 2.930 negli ultimi 14 giorni a venerdì 21. Meno delle metà dell’Italia, 2.440 negli ultimi sette giorni, a ieri sabato. In virtù, si spiega, delle regole stringenti che un regime politico duro come quello cinese può imporre: restrizioni, lockdown, blocco dei viaggi, controlli veri. Ma i casi segnalati, su una popolazione di un miliardo e mezzo, poco meno, sono niente.
Non si può nascondere invece che l’economia cinese ha rallentato, nel 2020 e nel 2021, rispetto agli Stati Uniti e all’Europa, e proprio quando la domanda di manifattura cinese, “pronta, rapida e conveniente”, si accresceva per il vasto e lucroso comparto anti-covid. L’indice di “normalità” costruito dall’ “Economist” mostra l’economia cinese in decrescita continuata da gennaio 20121 a gennaio 2022, sola tra le grandi economie. Che tutte hanno ripreso al 60-80 per cento il livello pre-pandemia. Mentre la Cina (col Vietnam) registra un’economia ancora in contrazione.

Il razzismo si sottovaluta ma costa

Per l’anniversario dell’assassinio di Martin Luther King, il Fondo Monetario Internazionale pubblica una ricerca sulla rilevanza del fattore razziale nella pubblicistica economica. È zero, o prossima allo zero.
Analizzando i dati tematici di ogni articolo dei dieci più importanti periodici economici negli ultimi dieci anni solo lo 0,2 per cento dei 7.920 articoli esaminati si occupa di razza, razzismo, interdetti o ineguaglianze razziali. La maggior parte della saggistica esaminata copre naturalmente i problemi monetari, il 7,4 per cento, con le tematiche di Borsa (4,3 per cento), e di assetti aziendali (3,8). Ma il fatto razziale resta molto indietro anche in raffronto agli altri temi di inclusione: la distribuzione del reddito (2 per cento), la povertà (1,4), il genere (0,8 per cento).
Una serie di riferimenti a studi recenti viene fornita per spiegare che il fattore razza, in quanto escludente o penalizzante, all’ingresso, in carriera, negli sbocchi e al consumo, incide sulla produttività, sui consumi, sul benessere collettivo.
Martin Čihák-Montfort Mlachila-Ratna Sahay, Race in Economics, International Monetary Fund, free online