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sabato 28 maggio 2022

Il mondo com'è (446)

astolfo


Aborto - Il Messico non abortisce. Abortisce l’Est Europa, a partire dalla Russia. Si astengono il Messico, principalmente, e anche alcuni paesi europei: Portogallo, Austria, Grecia, Croazia.
L’organizzazione mondiale della sanità ne tiene un censimento – datato e incompleto, avverte, perché sono statistiche erratiche, in alcuni paesi l’aborto si pratica ma non è legale, e le statistiche nazionali spesso non sono comunque affidabili, ma indicativo.
Questo il dettaglio, sorprendente – con l’avvertenza che Brasile e Polonia non figurano né nell’una tabella né nell’altra perché non hanno, o non hanno comunicato, il dato. I paesi con più aborti sono – erano quindici anni fa – i paesi dell’ex blocco sovietico. Gli Stati Uniti, dove l’aborto libero è ora in discussione, si collocano (si collocavano nel 2004) tra le due graduatorie, con un tasso di aborti (aborti per mille donne), del 20,8.
I dieci paesi col più elevato tasso di aborto (annuo, per mille donne)
1.  Russia – 53,7 (2204)
2.  Vietnam – 35,2 (2000)
2.  Kazakistan – 33,3 (2005)
4.  Estonia – 33,3 (2005)
5.  Bielorussia – 31,7 (2004)
6.  Romania – 27,8 (2004)
7.  Ucraina – 27,5 (2004)
8.  Lettonia – 27,3 (2004)
9.  Cuba – 24,8 (2004)
10. Cina – 24,0 (1998)
 
I dieci paesi col più basso tasso di aborto
1.   Messico – 0,1 (2003
2.   Portogallo – 0,2 (2002)
3.   Qatar – 1,2 (2004)
4.   Austria – 1,3 (2001)
5.   India – 3,1 (2001)
6.   Sud Africa – 4,5 (2000)
7.   Grecia – 5,0 (1999)
8.   Croazia – 5,7 (2004)
9.   Svizzera – 7,3 (2004)
10. Belgio – 7,5 (2003)
 
Finlandia – L’approdo nella Nato è solo l’ultimo passo di un’avventurosa storia recente dei rapporti con la Russia. Parte dell’impero russo dal 1809, indipendente dal 1919, fece nella seconda guerra mondiale tre guerre, sull’uno e sull’altro fronte. In un primo tempo, a seguito del patto Ribbentrop-Molotov, Stalin ritenne subito, a fine 1939, la Finlandia zona a sovranità russa: il tentativo d’invasione russo, nell’inverno 1939-1940 fallì, e la Finlandia passò con l’Asse. Finì la guerra, però, con gli Alleati, combattendo i tedeschi in Lapponia.
La Finlandia è stata parte della Svezia fino alle guerre napoleoniche. Poi, dal 1809, parte dell’impero russo. Fino al 1918. Dal 1919 era indipendente. Dopo appena vent’anni di indipendenza, quindi, nel 1939 si trovò l’Unione Sovietica contro. Stalin convocò i governanti finlandesi a Mosca e chiede alcune cessioni territoriali. La risposta fu negativa. Stalin mobilitò contro la Finlandia, che allora aveva 3 milioni e mezzo di abitanti, un’armata di 120 mila uomini, con 600 carri armati e un migliaio di obici e cannoni. Ma non riuscì a penetrare nell’indifeso vicino. Le comunicazioni terrestri erano quasi inesistenti, e l’utilizzo dei mezzi corazzati semoventi impossibile. Inoltre Stalin attaccò a dicembre, con i soldati in uniforme grigioverde estiva. E una truppa senza capacità di manovra, solo capace di attaccare in massa. Indifferente alle perdite (indifferenza “inspiegabile per un europeo”, secondo gli stessi osservatori e commentatori finlandesi), e pronta alla resa. Mentre i pochi finlandesi avevano grande mobilità sugli sci, in uniformi bianche indistinguibili.
La Finlandia combatté da sola, senza aiuto da Francia e Inghilterra, già impegnate nella guerra contro Hitler – e quindi contro l’asse Hitler-Stalin. Solo piccoli gruppi di volontari accorsero a titolo personale – i pochi che riuscirono a superare i blocchi della Svezia, che interpretava la sua neutralità in senso assoluto, contro Hitler-Stalin e contro gli Alleati.
La guerra si concluse con un armistizio, dopo quattro mesi e mezzo di combattimenti, dal 30 novembre 1939. La Russia contava 127 mila morti e dispersi, e 265 mila feriti – con grosse perdite di mezzi: 1.800 carri armati e 521 aerei. La Finlandia ebbe tra i 23 e i 26 mila morti e dispersi, e 43.500 feriti. Ai primi di marzo, l’impegno anglo-francese-polacco per un corpo di spedizione di 57 mila uomini in soccorso della Finlandia, incontrò l’opposizione di Svezia e Norvegia, formalmente neutrali, al suo passaggio. Approssimandosi la buona stagione, che avrebbe favorito i sovietici,
il maresciallo finlandese Mannerheim, che aveva organizzato la difesa, chiese allora al governo di impegnarsi per un armistizio. Questo fu firmato a Mosca il 9 marzo e interinato dal governo finlandese il 12 maggio. La Finlandia accedeva alle richieste di Stalin, ritornando in pratica, attraverso vari aggiustamenti, alle frontiere che Pietro il Grande aveva stabilito nel 1721, subentrando al controllo svedese.
Tre mesi dopo, all’attacco tedesco all’Urss a metà 1941, di cui la Finlandia era stata messa in qualche modo al corrente con qualche giorno di anticipo, Helsinki si schierò con la Germania, e partecipò attivamente alla guerra. Un accordo segreto era stato sottoscritto nel maggio 1941 tra il governo finlandese e lo Stato maggiore tedesco. La Finlandia mosse contro l’Urss pochi giorni dopo l’avvio dell’attacco tedesco. Il piano tedesco era di congiungere le truppe del fronte Nord con quelle finlandesi per isolare Leningrado - oggi nuovamente San Pietroburgo. Ma la tenaglia non fu chiusa subito, e con l’inverno si considerò fallita.
I finlandesi continuarono a collaborare con la Wehrmacht, ma in autonomia. Senza persecuzioni di ebrei, benché pochi in Finlandia - Helsinki vanta che nei tre anni abbondanti di alleanza militare e schieramento congiunto, dal 1941 al 1944, i suoi soldati si portavano dietro sia le cappelle per le funzioni cristiane sia le sinagoghe da campo. 
Nel 1944, avanzando l’Armata Rossa fin dentro la Germania, le ostilità ripresero anche con la Finlandia. Che addivenne a un nuovo armistizio, il 2 settembre 1944. Ancora una volta a suo carico: riparazioni di guerra pari all’intero pil finlandese del 1939. E una dichiarazione di guerra alla Germania – che aveva ancora vari reparti dislocati in Finlandia, soprattutto a protezione delle miniere di nickel al Nord. E ci fu la guerra di Lapponia, oltre il circolo Polare Artico: le residue forze finlandesi si scontrarono con le residue forze tedesche a Pestamo, in Lapponia. Scontri che durarono fino all’aprile 1945, quando i tedeschi residui si ritirano in Norvegia. Con quattromila tra morti e feriti, da entrambe le parti.
La vicenda offrì in qualche modo alla Finlandia lo statuto di nazione combattente per la democrazia. E garantì l’indipendenza politica nel dopoguerra, seppure con una neutralità all’ombra dell’Unione Sovietica.  
 
La specificità finlandese non è finita con la guerra. Nel dopoguerra è stato un paese pienamente indipendente, democratico, a mercato libero. Ma neutrale, rigidamente. In questa equidistanza sarà al centro dell’importate iniziativa per la pace e la sicurezza in Europa avviata infine nel 1975. Che si concluse con l’“Atto di Helsinki”: un atto storico, a conclusione della Conferenza sulla sicurezza e la Cooperazione in Europa, un complesso lavoro diplomatico svoltosi tra luglio 1973 e agosto 1975. L’atto finale, detto di Helsinki, fu firmato da 35 Stati: Urss, Usa, Canada e tutti gli Stati europei, esclusi Albania e Andorra. L’Atto di Helsinki doveva essere la piattaforma dell’accordo per la sicurezza in Europa, di cui Putin dichiara oggi l’impossibilità, dopo averlo perseguito per un ventennio, in Italia con i governi Prodi e Berlusconi, in Germania, con i governi Schröder e Merkel, negli Stati Unito con Bush jr. (l’alleanza antiterrorismo) e Obama.
L’Atto di Helsinki garantiva in qualche modo il blocco comunista, il dominio sovietico in Europa Orientale. Ma impegnava la Russia al rispetto dei diritti umani. Nell’ambito della Csce, una rete diplomatica sempre attiva anche se non istituzionalizzata (lo sarà nel 1995, a Urss dissolta: Mosca aderirà a trasformarla in Osce, Organizzazione Internazionale), si sviluppa il dibattito sui diritti umani, civili, poi politici, che ebbe larga parte nella perestrojka di Gorbaciov e nella dissoluzione dell’impero sovietico nel 1988-89.
 
Hitler-Stalin – Stalin non credette all’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, non subito, nelle prime ore, nel primo giorno, tale era la fiducia che riponeva in Hitler. In base al trattato del 1939 per la divisione dell’Europa orientale. E a una sua elevata valutazione personale, evidentemente, del Führer tedesco. L’annuncio dell’invasione fu dato nell’Unione Sovietica tardi, a mezzogiorno, alla radio, da Molotov, il ministro degli Esteri che aveva firmato a Berlino il patto del 1939, allora allora vice-presidente del Sovarkom, il consiglio dei commissari del popolo – il consiglio dei ministri, come sarà denominato anche in Russia dopo la guerra. Non lo fece Stalin, per evitare di associare il suo nome a una sconfitta. Secondo le rivelazioni di Krusciov al XXmo congresso del partito Comunista Sovietico nel 1956, il congresso della destalinizzazione, Stalin si era ritirato, dopo alcune ore di perplessità, nella dacia di Kuntsevo, quindi fuori Mosca, e ci vollero alcuni giorni e molte pressioni da parte degli altri membri del Politburo – la direzione collegiale del Partito - perché riprendesse le funzioni di capo di Stato.
Dagli archivi risulta che Stalin era stato informato preventivamente dai servizi segreti dei piani tedeschi. Ma non reagì, credendo secondo alcune testimonianze che si trattasse di una provocazione dei generali tedeschi contro Hitler. Benché 170 divisioni tedesche fossero ammassate alle frontiere con l’Urss – 179 per l’esattezza - delle 256 di cui la Germania disponeva all’epoca - che si rafforzeranno presto con 61 divisioni alleate (fornite da Italia, Romania, Finlandia, Ungheria e Bulgaria), compresa la Divisione Blu di “volontari” franchisti - più le Waffen SS, le SS combattenti  arruolate nei paesi di area sovietica occupati, Ucraina e baltici. Quando i tedeschi attraversarono la frontiera, il primo ordine ricevuto dal comandante sovietico, generale Malinovski, fu di “non reagire alla provocazione” e di “non aprire il fuoco”. L’ordine di ribattere arrivò solo la sera, alcune ore dopo il discorso di Molotov alla radio – come se Stalin aspettasse un messaggio personale di Hitler che smentisse la guerra.
 
“Operazione Barbarossa”, così, in italiano (Unternehmen Barbarossa), fu chiamato da Hitler l’attacco all’Unione Sovietica all’alba del 22 giugno 1941. Un rovesciamento del patto Molotov-Ribbentrop, firmato due anni prima, il 23 agosto 21939, a Mosca dai ministri degli Esteri di Germania e Russia. Avendo già fornito alla Russia molti materiali bellici per la spartizione della Polonia, pochi giorni dopo la firma del patto, e per la “guerra d’inverno”, la guerra di Stalin alla Finlandia, tre mesi dopo.  
 
Vauderie d’ArrasUn processo di stregoneria che ha avuto al centro i valdesi – l’accusa reale era di essere eretici, discepoli di Valdo (Vaud) – nella città di Arras, allora appartenente al regno borgognone, tra il 1459 e il 1461. Un processo subito famoso anche, oltre che per essere diretto contro i valdesi, per prodursi in ambiente urbano, e o per implicare persone di varia condizione sociale. Ventinove gli accusati (tra essi il segretario del vescovo, che faticò poi molto per farne derubricare la condanna, da eresia a tentativo di evasione), dodici le esecuzioni. Dodici degli inquisiti erano donne, le condannate otto: fu un altro processo alle streghe, in realtà.
Cominciò come tutti i processi alle streghe, con una denuncia. Di un eremita, accusato di stregoneria. Sotto tortura, l’eremita denunciò alcune persone come complici. Due dei denunciati, un artista di fiera e una prostituta, sotto tortura fecero altri nomi. I primi roghi, nel maggio del 1460, furono di cinque accusati che in tribunale avevano ritrattato le confessioni, estorte con la promessa della vita salva. L’inquisitore, un Pierre de Broussart, sosteneva che un terzo degli abitanti di Arras, che ne contava “più di diecimila”, secondo le stime degli storici demografi (10 mila è la popolazione che si ritiene insieme minima e normale per una “città” ancora nel Quattro-Cinquecento) erano sospettati di stregoneria. I processi e le esecuzioni attirarono una folla enorme, di tutto il circondario: gente che accorreva dopo giorni di viaggio. Trent’anni dopo, nel 1491, si fecero le “riabilitazioni”: non c’era stata stregoneria a Arras.


astolfo@antiit.eu

Non ci sono rimaste che le stelle

Il presente è squallore, il futuro lunare. Yuri è un ragazzo abbandonato del corviale parigino intitolato a Gagarin perché costruito al tempo del suo primo volo orbitale e inaugurato in occasione della sua visita a Parigi. Abbandonato dal padre, poi dalla madre, poi dalla dona che l’ha accudito, lavora prima a salvare il complesso dalla demolizione, con ingegnose applicazioni da adulto bambino. Poi la messa in orbita della prima stazione spaziale, russa, lo porta a costruirsi, rimasto solo, una sua cabina all’interno del mastodonte abbandonato, dove coltiva ortaggi e sogni.
Un poema della solitudine. A Yuri si affianca una ragazzina rom, semplice e indomabile (incredibile interpretazione di un’attrice già trentenne, Lina Khoudry), e a tratti altri dimenticati della terra. Poco racconto e poco dialogo, ma pensato e anzi rimuginato – i due registi vengono detti documentaristi, in realtà hanno debuttato nel 2015 con un corto, già intitolato “Gagarine”, che è una pre-sintesi del film, con altri attori: Yuri non vuole lasciare il complesso, dove pure è cresciuto e vive solo, è la sua casa, è la sua piattaforma dei sogni.
Il film aggiunge in didascalia molte testimonianze di vecchi abitanti dei casermoni, che, pur avendo provato e ottenuto di uscirne, dopo venti e trent’anni, tuttavia li dicono in qualche modo formativi. La casa è ancora la casa – o è già parte della nostalgia, come la famiglia, i cugini, i fratelli, il paese, il quartiere. Nello sradicamento, corporale e mentale.  
Fanny Liatard-Jérémy Trouilh, Gagarine - Proteggi ciò che ami

venerdì 27 maggio 2022

Secondi pensieri - 483

zeulig


Arte e dittatura
– L’arte sostituisce la religione, nel processo di secolarizzazione in corso. È la premessa di Todorov, “Avanguardie artistiche e regimi totalitari” (conferenza a Siena, 23 novembre 2007, al dottorato in Antropologia, Storia e Teoria della Cultura). In cui però non parlerà di avanguardie, ma di dittatori, Mussolini, Hitler e Stalin, e di arte - che è l’Assoluto, si può aggiungere, di cui l’assolutismo si nutre, dal primo re all’ultimo aristocratico, da Augusto ai papi e ai principi (ai marchesi se non ai baroni, ancora legati all’accumulo).
Todorov esamina in dettagli i casi di Mussolini - “Il popolo italiano in questo momento è una massa di minerale prezioso. Un’opera d’arte ancora possibile. Occorre un governo. Occorre un uomo. Un uomo che abbia il tocco delicato dell’artista e il pugno di ferro del guerriero”, “Popolo d’Italia”, novembre 197. Di Hitler. E di Stalin.
A Mussolini, come si sa, l’opera riuscì male perché l’Italia non era di marmo. “È la materia che manca”, confida al genero Ciano poco prima di mandarlo a morte: “Lo stesso Michelangelo ha avuto bisogno del marmo per le sue statue. Se avesse avuto a disposizione soltanto dell’argilla, non sarebbe stato altro che un ceramista”.
Hitler, di suo “pittore” e “architetto”, ha vissuto nel mito di Wagner, dell’arte “religione vivente rappresentata”. Curiosamente, va rilevato, Wagner abbandona presto gli interessi politici, per consacrarsi all’arte, Hitler fa l’inverso. Ma sugli stessi presupposti, come Wagner li delinea in “L’arte e la rivoluzione” e “L’opera d’arte del futuro”: “L’obiettivo supremo dell’uomo è l’obiettivo artistico”, “l’arte è la più elevata attività dell’uomo”, l’arte autentica è la libertà più alta” e la parola che sarà al cuore dell’hitlerismo, il popolo: “Chi sarà l’artista del futuro? Il poeta? L’attore? Il musicista? Lo scultore? Diciamolo con una parola sola: il popolo”. L’artista Hitler si fa il compito di creare il “nuovo popolo tedesco”. Col razzismo, la propaganda, l’eugenetica.
Stalin, che tanti poeti ha voluto eliminati, pure s’intratteneva con loro: li chiamava, a volte li ascoltava anche. Era scrittore egli stesso, di teorie politiche, “Il materialismo dialettico e il materialismo storico”, “Il marxismo e la questione nazionale” - le “opere complete” di Stalin edizioni Rinascita prendevano undici volumi, con testi da l titolo “Per una vita bella e felice”, “Il socialismo e la pace”. E gli scrittori definiva “ingegneri dell’animo umano”.
Pasternak gratificherà Stalin, il primo gennaio 1936, in pieno tempo di “purghe” politiche, di un poema, “L’artista”, che ne fa uno dei due poli della storia, il potere, l’altro essendo la poesia: la storia è “una fuga a due voci”, la poesia e il potere, “due principi estremi che sanno tutto l’uno dell’altro”. Pasternak aveva un debito con Stalin: quando gli avevano arrestato l’amico del cuore Mandel’stam, aveva protestato scrivendo a Stalin, e Stalin lo aveva esaudito, facendo liberare il grande studioso e poeta – salvo ostracizzarlo nuovamente due anni dopo, nel 1938.
Il dittatore come artista è anche questa, seppure incidentale, intuizione o ipotesi di Walter Benjamin: “Il fascismo tende in modo del tutto naturale a una estetizzazione della vita politica… La risposta del comunismo è di politicizzare l’arte”.
 
Descartes
– O della ragione fatta di sogno. Valéry, suo costante ammirato fedele, gli ha dedicato una biografia intellettuale, “Descartes”, dove raccoglie riflessioni e intuizioni di una vita, (“sulla personalità forte e temeraria del grande Descartes”, dice, “la cui filosofia ha forse meno valore per noi dell’idea che ci presenta di un magnifico e memorabile Io”). Che sintetizza così: Descartes fa il voto di andare in pellegrinaggio alla Madonna di Loreto per ringraziare Dio di avergli rivelato personalmente un sistema che consente di fare a meno di Lui, grazie al metodo delle idee chiare e distinte ricevuto in sogno come un dono divino, in tre sogni successivi, oscuri e confusi”.
Descartes sogna il metodo la notte di san Martino del 1619, tra il 10 e l’11 dicembre, mentre è in accantonamento a Ulm, con l’armata cattolica che in primavera, alla battaglia della Montagna Bianca presso Praga, detronizzerà il re eretico di Boemia Federico V, il padre di Elisabeth di Boemia, la prima Principessa Palatina grafomane, futura corrispondente di Descartes.
La notte di san Martino si può dire ha formato Descartes: l’anno prima gli ha fatto conoscere a Breda, dove era arruolato col principe di Orange, il medico matematico Isaac Beckman, che lo introduce alla matematica e al metodo scientifico.
 
Erlebnis
– Herr Leibniz? Zu leben, vivere? la “filosofia tedesca” ha molte risorse.
 
Futuro
– È sempre ignoto. Anche quando è prevedibile, ora con l’intelligenza artificiale, in grado di processare miliardi di componenti, diversamente che in passato, per un accesso più completo e più critico agli archivi (alla storia), e con i progressi della scienza economica, della terapeutica, della tecnologia nel suo insieme. Perché la realtà è complessa – la complessità è il “sistema” dell’universo. Nel suo essere oggi, e a maggior ragione in prospettiva, che è di per sé mutevole. Anche nei de tini più segnati: il reale si può definire con più ragione l’imprevedibile. Anche nelle azioni causa-effetto obbligate: ogni evento si caratterizza per sé, anche nella ripetitività più semplice, nella “meccanizzazione” più precisa.

 
Imperialismo
– È opera di governo – diplomatica, militare. Ma è materia popolare: si giustifica col popolo, e ne viene giustificato. Un rapporto attestato nel jingoismo, nell’analisi tuttora centrale di Hobson, 1902, al culmine dell’imperialismo. O nel colonialismo francese, col trapianto volontario di larghe masse di popolazione, specialmente in Indocina e in Nord Africa. Il marchese de Custine lo rilevava nelle “Lettere dalla Russia”, 1839, dove lo dice “un’ambizione sfrenata e immensa”, “legge sovrana di questa nazione, essenzialmente conquistatrice” – intende della Russia. Di un imperialismo “che non può germinare che nell’animo degli oppressi e nutrirsi che della disgrazia di una nazione intera, la quale, avida a forza di privazioni, espia d’anticipo in sé, con una sottomissione avvilente, la speranza di esercitare la tirannia in casa d’altri”. 
 
Laicismo
– Si può dire la base del dialogo delle fedi – il laicismo come trionfo della “vera” religione, del vero spirito religioso.
Il laicismo è l’antitesi della fede nel sentito comune, confuso con l’anticlericalismo. O, in senso più lato, con l’ateismo, l’irreligiosità. Nella tradizione italiana laica, di Croce a Bobbio, ma anche altrove, vedi Max Weber, è rispetto per ogni convinzione, e al più rigetto di ogni idolatria.
C’è un laicismo anche in campo religioso, dove opera la distinzione tra ciò che è dimostrabile razionalmente e la fede.
 
Laica è la tolleranza. L’intolleranza può essere, oltre che integralista, di una qualsiasi religione o pensiero, anche laica – c’è un integralismo laico, la faziosità laicista non è laica.
 
Materia
– “Ma cosa strana, stupefacente!”, si meraviglia a un certo punto, è una delle sue prime scoperte, da ragazzo il matematico Strum, uno dei personaggi di “Stalingrado”, l’epopea della città nel 1942 di Vassilij Grossman: “È proprio in questo regno sordomuto dei quantum e dei protoni che si nascondeva l’essere supremo della materia del mondo”. Materia sempre oscura.
Sotto la forma della complessità, e dell’“infinitamente” piccolo c’è il buco nero, forse in senso proprio, della scienza: derivare l’essere dal non essere.
 
Spirito
– “Lo spirito somiglia a una mosca dentro la bottiglia che si credesse padrona di un orizzonte illimitato”, Jünger, “Trattato del ribelle”.
 
Storia
– Il viaggio, scrive il marchese de Custine, viaggiatore compulsivo, è “la storia analizzata nei suoi risultati”.
Anche la storia delle cause si fa (si analizza) sui suoi risultati. La storia è di Croce, contemporanea.   

zeulig@antiit.eu

Gli anni di formazione di Einstein in Italia

Ideato dalle storiche della scienza Raffaella Simili e Sandra Linguerri, il film naturalmente fa il peso delle ricerche e intuizioni di Einstein. Ma si segnala per l’aspetto umano, che ricostituisce con vecchie foto, testi di varia natura, qualche testimonianza. Per un aspetto particolare della vita e della personalità di Einstein, il rapporto speciale con l’Italia. Dove soggiorno da giovane per lunghi periodi, per le vicende familiari, tra il 1895 e il 1905, quindi dai sedici ai venticinque anni, tra Pavia, Milano e Casteggio. Soggiorni che nelle memorie evoca tra “i ricordi più belli” dell’adolescenza. E dove tornò quindici anni dopo, nell’anno in cui avrà già il Nobel, 1921. A Bologna, dove tenne tre lezioni all’università, su invito del matematico Federigo Enriques, in italiano. E a Padova, per fare visita e rendere omaggio al matematico Gregorio Ricci-Curbastro, il cui “calcolo sensoriale” gli aveva consentito di uscire, col necessario apparato algoritmico, dall’impasse in cui si trovava per fondare la teoria della relatività.
Il docufilm spiega anche Einstein dopo il 1938, dopo le leggi razziste, si prodigherà anche per matematici, fisici e altri scienziati italiani che il fascismo ostracizzava.
Un impianto un po’ alla “viva l’Italia” – la quale purtroppo da tempo non c’è più, se non per raptus, l’Europeo di calcio, i 100 m. di Jacobs, il Nobel a Parisi. Ma vivace, soprattutto sulla famiglia e la personalità dell’uomo del secolo.
Alessandro Scillitani, Einstein parla italiano, Rai Storia

P.S. Oggi la rivista “7” del “Corriere della sera” scrive che Carlo Nazzaro, giornalista napoletano, “diresse il quotidiano ‘Roma’ dal 1931 al 1943, in piena epoca fascista, e servì il regime pur facendolo con discrezione. A Bologna nel 1943 intervistò Albert Einstein”. Einstein a Bologna, nel 1943?
Wikipedia reca, senza incertezze, nella lunga bio del giornalista: “Non amava spostarsi dalla «sua» Napoli, il viaggio più lungo, prima della seconda guerra mondiale lo portò a Trieste, a Venezia e a Bologna, dove intervistò Albert Einstein nel 1943. Di quell'episodio lui stesso disse: «Mi rifece la punta della matita che per l'emozione avevo spezzata»”. Non è un buon segno, se tutto si può dire, a posteriori.

giovedì 26 maggio 2022

Ombre - 617

Il Feyenoord gioca e la Roma vince. E tutto all’improvviso diventa grande e grandissimo. Anche la solita commediola del Mourinho commosso - si sa, lui lo sa, che ha vinto molto non giocando, a volte succede.

 

Armi, dagli Usa e dall’Europa all’Ucraina, “insufficienti e scadenti”, lamenta Zelensky a Davos, in buona parte residuati dell’Afghanistan, da riparare, in Polonia. L’aiuto serve a rinnovare gli arsenali.

 

“La seconda apparizione di Zelensky al Word Economic Forum di Davos si è consumata ieri mattina molto presto in forma privata, strettamente su invito, per iniziativa del miliardario ucraino Viktor Pinchuk”. Uno che si è arricchito vendendo tubi alla Russia, e fa donazioni alle fondazioni politiche angloamericane, di Clinton, Tony Blair, Trump, in cambio di un selfie.

 

“Linguaggio primitivo e logica assente” al concorso per giudici: 95 per cento i bocciati alla prima prova, la metà dei posti a concorso non verrà assegnata. “Centinaia i tempi imbarazzanti”.

 

Il “Corriere della sera” si supera: Putin ha ordinato il trasferimento forzato di 920 mila ucraini in Russia, in modo da colmare il declino demografico.

In particolare, ha sveltito le adozioni dei bambini ucraini finiti in Russia, 1.700. Mille e settecento nuovi abitanti (il governo ucraino è più realistico, i bambini rubati da Putin dice cento volte tanti, anzi duecento volte)?

A opera di Fubini, che pure conosce le lingue.

 

Non si è mai avuta una guerra by proxy, con le armi delle agenzie pubblicitarie, come questa della Russia all’Ucraina, nemmeno nel Biafra, altra guerra strappacuore. Le agenzie hanno affinato i loro metodi? Il giornalismo è peggiorato?

 

Giulia Ligresti spiega la cavalcata di quelli che “abbiamo una banca”, che si sono presi Fondiaria Sai per niente, con i giudici di partito, e ora che Ligresti è assolta e risarcita giocano furbi sul patteggiamento come ammissione di colpa: “Non c’era alcun consenso…. Ricordo ancora oggi il primo interrogatorio da detenuta: sono stata prelevata dal carcere all’alba, costretta dentro il recinto del furgone blindato fino al tribunale di Torino: un caldo atroce e il panico perché soffro di claustrofobia. Lì mi hanno fatta attendere per un tempo interminabile nelle celle dei sotterranei. Sono arrivata all’interrogatorio disperata. È stato in quel momento che mi è stato chiaramente detto che la detezione sarebbe potuta durare mesi e che l’unica strada per uscire era patteggiare”. Furbo Caselli, il (quasi) santo subito – ex allievo dei salesiani, e com’è possibile, o hanno cambiato pedagogia?

 

Giovanna Pancheri di Sky Tg 24, che pure di politica estera se ne intende, va fino in Ucraina per chiedere a una bella e tranquilla Dzaparova (studiosa? scrittrice? sottosegretaria?) un parere sul piano italiano per la pace. Dzaparova, gentile, non dice “che?”  Dice: “Noi ringraziamo l’Italia. Naturalmente ogni piano deve tenere conto del contesto…”, etc.

Si capisce che il mestiere sia scaduto in Italia, tra poco anche l’Inpgi, la previdenza speciale di categoria, diventa Inps.

 

“Le verità nascoste del cuneo fiscale”, Alberto Brambilla: “Sono aumentati i bonus ma siamo l’unico Paese dove gli stipendi sono scesi (-1,9 per cento) negli ultimi 40 anni”. Siamo alla deprecata economia borbonica: mance, e putipù.

 

“Si è tentati”, scrive il “New York Times” giovedì, “di vedere i sensazionali successi dell’Ucraina contro l’aggressione della Russia come un segnale che con sufficiente aiuto americano ed europeo l’Ucraina è vicina a respingere la Russia sulle sue posizioni prima dell’aggressione. Ma questa è un’ipotesi rischiosa”. Peggio: “Una vittoria decisiva dell’Ucraina sula Russia, con la quale l’Ucraina riconquista tutti i territori che la Russia si è presi dal 2014, non è un obiettivo realistico”.

 

Lo stesso giovedì esibiamo con fanfara un prigioniero russo, il sergente Shishimov, processato a Kiev come criminale di guerra. Venerdì intervistiamo il giudice del Tribunale dell’Aja per i crimini di guerra, il quale dice che il prigioniero non può essere processato. Cosa che sanno tutti.  

 

Scotland Yard multa Downing Street, il governo inglese, per festini negli uffici e in giardino, proibiti durante il lockdown: multa 83 persone, per otto feste, per 126 multe complessive. Alcuni ne hanno avute due, e tre. Il premier Johnson ha partecipato a molte di queste feste, ma ha una sola muta, di 50 sterline: per la festa di compleanno. Si potrebbe pensare a una presa di humour. Se ancora ce ne fosse a Londra.

 

Chiedono a Vieri chi sono stati i migliori centravanti quest’anno. Risponde: Abraham, Osimhen e Vlahovic. E Immobile, che ha segnato da solo più reti (quasi) di tutt’e tre? Da un tre anni li segna. Se non è straniero non è un atleta? O è perché Immobile, napoletano, e gioca nella Lazio – roba vergognosa, sotto la cintola?   

La bontà è una condanna

La bontà è suicida, specie se ingenua. Un giovane, carcerato per debiti, non suoi, decide di consegnare a chi l’ha persa una borsa rivenuta per strada dalla sua fidanzata con dentro delle monete d’oro. Non l’avesse mai fatto: la nobiltà del gesto provoca, con gli speciali della locale tv, risentimenti, vendette, e dubbi. Tutti hanno ragione meno lui.
Un apologo, ma ben articolato – premio speciale a Cannes. In un brulichio di personaggi quotidiani, della vita come si svolge ogni giorno, asciutti e sensati: pur nella cerimoniosità del linguaggio persiano è come se fossimo dentro il racconto. Sotto il Naqsh-i Rustam, il grande dirupo che è sito funerario achemenide e sassanide.  
Asghar Farhadi, Un eroe, Sky Cinema

mercoledì 25 maggio 2022

Le famiglie (non) fanno bene agli affari

I Benetton, sfavillante famiglia di quattro fratelli venuti dal nulla che con le magliette hanno vestito il mondo, con la formula franchising hanno creato un mercato mondiale, con Oliviero Toscani imbastito un linguaggio, capace di accendere le fantasie di milioni e miliardi di ragazzi, si riducono, due di loro ancora in vita, compreso il vulcanico riccioluto Luciano, ma gestiti dal figlio e nipote Alessandro, a darsi un nome che riecheggia il numero dei morti a Genova provocati dalla loro aziende Autostrade. Le famiglie fanno bene agli affari? Sì e no. 
Non è detto, e non è frequente, che la seconda o terza generazione abbia il senso della impresa del fondatore. Accade, è accaduto che il fondatore debba riprendersi ogni attività confidata ai figli, come Caprotti di Esselunga, o Del Vecchio di Luxottica-Exilor. Lo stesso è avvenuto nelle famiglie americane, Ford per esempio. O francesi della siderurgia, dell’aeronautica, della grande distribuzione. O in Germania con i Krupp, i Thyssen, i Quandt della Bmw, i Porsche.
Si confonde il fondatore, una persona comunque d’ingegno, manuale, tecnico, finanziario, commerciale, politico anche, e una finestra comunque aperta, anzi spalancata, sul mondo com’è, ogni giorno di ogni anno, con i figli e nipoti. Che difficilmente hanno le stesse qualità – nella storia non se ne ricorda nessuno. Se non ne hanno le qualità, si dice allora, garantiscono comunque la proprietà, e con la proprietà la certezza della continuità, di una gestione comunque volenterosa. Ma non ci sono imprese sopravvissute al-i fondatore-i, se non dotate di un buon management, per forza di cose esterno.
Il management naturalmente non è neppure esso esente da errori e catastrofi – i generi Gardini e Carlo Sama hanno dissolto in pochi anni, seppure tra lampi e sorprese, l’impero costruito in una vita da Serafino Ferruzzi, una sorta di Carlo V delle granaglie (“sul mio impero non tramonta mai il sole”). La lista è lunga delle aziende di successo che non sono sopravvissute al fondatore. Quasi tutte quelle del “bianco”, le cucine e gli elettrodomestici da cucina per cui l’Italia fu imbattibile nei mercati negli anni 1950-1970: Borghi (Ignis), Merloni etc.. Il tessile e abbigliamento, dall’alta moda, che, certo, deve fare capo a uno stilista-artista, a una personalità unica, i tantissimi stilisti che muoiono con se stessi, alla moda pronta, Rossi, Marzotto, Rivetti, etc.. O le automobili, dei Lancia, Romeo, Innocenti, lo stesso Ferrari.
L’unico asset che la famiglia apporta alla vita delle imprese è, quando c’è, l’unità d’intenti. Nel capitale delle stesse: una delle forme di continuità aziendale, nel senso che il capitale resta unito. Questo a volte può essere di beneficio, le “scalate” speculative (dissolutive) restano difficili. Ma non sempre. Un capitale aperto può favorire l’insorgenza di nuove e migliori energie, e comunque una più ampia possibilità di finanziarsi – è più difficile che gli estranei mettano i loro soldi nell’azienda di “qualcuno”, in un’impresa padronale.
Si dice solitamente che la Fiat ha prosperato per oltre un secolo perché la famiglia Agnelli l’ha custodita. Questo è vero, nel senso che gli Agnelli e i Nasi, i discendenti di Edoardo e Caterina (Aniceta) Agnelli, i figli del fondatore, il senatore Giovanni, votano insieme – l’albero genealogico di una ventina d’anni fa, alla successione dell’Avvocato, registrava 75 membri viventi. Ma il gruppo ha prosperato con i grandi manager: con Valletta era il terzo o quarto grande fabbricante di automobili al mondo, dietro gli americani, con Ghidella era il numero uno in Europa, davanti a Volkswagen, e poi con Marchionne. Ha fatto bilanci fortunosi, e rischiato anche il fallimento con gli Agnelli al comando. Soffrendo Valletta, nel dopoguerra, e Ghidella, allontanato senza motivo.
Ma un motivo sempre c’è, quando si allontanano manager capaci: la gelosia. Le famiglie arrivano a temere i manager, se capaci. E qui allora hanno un ruolo infausto: lavorare per sé contro l’azienda – in definitiva anche contro di sé, e questo dice tutto.
Senza addentrarsi nella storia, basti un caso recente – marginale ma chiaro: quello della Juventus, la squadra di calcio, che gli Agnelli controllano. Ha prosperato con Boniperti, calciatore divenuto manager, con molte coppe e il Mondiale del 1982 finché l’Avvocato, ombroso, non l’ha prepensionato, e un periodo oscuro è seguito. Con Umberto alla guida, il club è stato lasciato a due manager, Giraudo e Moggi: altre coppe e il Mondiale del 2006. Finché i due, sospettati di scalare il club, che avevano portato in Borsa, sono stati cacciati con ignominia. Altro periodo oscuro. Poi Alberto Agnelli imbrocca Marotta direttore sportivo, e vince e stravince. Ingelosito, licenzia Marotta, dopodiché spese folli, debiti, oltre un miliardo in tre anni, e figuracce.

La “grande trasformazione bancaria” si affloscia

Quindici anni fa, completandosi il riassetto con l’assorbimento di Roma (Capitalia: ex Cassa di Risparmio e ex Banco di Roma) in Milano, si celebrava la fondazione di due grandi gruppi concorrenti, Intesa San Paolo e Unicredit, come leva per risvegliare il sonnolento mondo delle banche, e rompere anche “il cartello”, gli accordi non detti de minimis, la tendenza alla bonaccia, al non farsi la concorrenza. Era da poco tornata in esercizio la banca universale, e si profilava, accanto alle attività tradizionali, imprese (corporate) e persone (retail), anche la gestione del risparmio ((private banking), più remunerativa per le banche e più utile ai correntisti.
Che ne è stato? Nulla, o poco più. Sul retail si ricorda l’incredibile aggressività iniziale di Unicredit, che andava letteralmente a caccia di ogni singolo correntista. Tutto svanito, una banca vale l’altra, anche senza il “cartello”. Era una caccia al correntista che era anche un’apertura al private banking, data la diffusione (allora ancora elevata) in Italia del risparmio, seppure non di grandi capitali – la sola gestione del deposito titoli rapporta molto più del conto corrente. Poi niente, eccetto qualche conto e mutuo speciale per i ventenni.  
Prosegue con alterne fortune, stante la grande crisi del 2007-2007, il credito alle imprese – peraltro più specialità delle banche a vocazione regionale, vicine all’imprenditoria. Il retail dà briciole – è come un bar che fa solo i caffè: qualcosa ci guadagna, ma se paga un solo barista (che è un mestiere faticoso, bisogna stare sempre in piedi, e richiede dodici movimenti diversi, di braccia, di schiena, per ogni tazzina di caffè - nulla a che vedere col sedentarismo del bancario). La gestione dei patrimoni, la più proficua, non ha visto la riqualificazione del personale. La banca si limita a vendere fondi e obbligazioni altrui. E si crogiola da ultimo nella bancassurance, la vendita di polizze. Che è invece un mestiere piuttosto complicato, e comunque delicato – chi ha avuto a che fare con assicurazioni sulla vita e altri prodotti assicurativi bancari lo sa. Non improvvisabile, non quindi di futuro.
La “grande trasformazione” sarà stata del tipo quelzalcoatl, il serpente piumato azteca, molto impennacchiato, che si mangia la coda. L’ecobonus è stato una waterloo: solo il BancoPosta riusciva a fare la pratica in una settimana – poi due, poi sarà intervenuta Cdp, cioè il governo, e anche Bancoposta l’ha reso una via crucis.
 

Cronache dell’altro mondo – violente (188)

Dieci giorni dopo il raid razzista di Buffalo (dieci afroamericani uccisi, tre feriti in un supermercato da un diciottenne), uno di semplice brutalità avviene nella scuola elementare di Uvalde, in Texas, un paese di quindicimila abitanti: uccisi “almeno diciotto bambini e due insegnanti”, più “un numero elevato di feriti, alcuni in condizioni gravi”. Da un diciottenne, anche qui, che era stato a quella scuola.
Gli Stati Uniti hanno il record dei morti assassinati in rapporto alla popolazione (indagine Unodc, United Nations Office on Drugs and Crimes: 49, 3 per centomila abitanti. Alla pari con le Isole Vergini. Dietro El Salvador (62,7) e la Giamaica (56,4). I dati Unodc sono del 2017.
Per lo stesso anno gli Stati Uniti scompaiono dalla classifica “tasso di assassinio” del sito amburghese Statista: i venti pesi in graduatoria sono tutti latinoamericani, eccetto Lesotho e Sudafrica.
Negli Stati Uniti si vende quasi la metà di tutte le “armi piccole”, per caccia, difesa personale, sport, vendute nel mondo.
L’ultimo rapporto di Small Arms, un gruppo di ricerca dell’università di Ginevra (dati del 2018), calcola che “ci sono oltre un miliardo di armi piccole distribuite globalmente, di cui 857 milioni (circa l’85 per cento) sono in mani civili. I soli civili americani posseggono 393 milioni (circa il 46 per cento) del totale mondiale delle armi da fuoco detenute da civili”. 
Questo corrispondeva nel 2018 a “120,5 armi da fuoco per ogni 100 residenti” negli Stati Uniti. Tre volte le armi piccole in dotazione a tutte le forze armate del mondo. Nelle famiglie americane ci sono più armi che “in quelle dei 25 altri maggiori paesi combinati” - maggiori per popolazione. “I civili americani posseggono quasi 100 volte le armi piccole in dotazione alle forze armate americane, e 400 volte quelle delle polizie”.
L’acquisto è incessante e sempre in crescita. Nel “solo mese di maggio 2018” gli americani hanno comprato “più di due milioni di armi”, più del doppio delle armi in dotazione a tutte le forze di polizia. In aprile e maggio 2018 hanno comprato 4,7 milioni di armi, più di tutte le armi piccole in dotazione alle forze armate. Nell’anno 2017 hanno comprato 25,2 milioni di armi, due milioni e mezzo più delle armi in dotazione a tutte le polizie del mondo. Tra il 2012 e il 2017 hanno comprato 135 milioni di armi, due milioni in più di quelle in dotazione a tutte le forze armate del mondo.      

Stalingrado, manuale di sopravvivenza per ucraini

Si potrebbe dire una storia a futura memoria. Il titolo originale è “Per una giusta causa”. E la morale è quella del mito di Anteo, dell’anti-Anteo, “il gigante del mito che diveniva più forte ogni volta che il suo piede toccava la terra”: “A questo racconto bisogna aggiungere oggi quello di un anti-Anteo, un falso gigante che si oppone a Anteo. Quando questo falso gigante marcia su una terra da lui conquistata, ogni suo passo mina le sue forze invece di accrescerle”, etc. etc. – “invece che prendere energia dalla terra, è questa terra ostile che lo spoglia del suo vigore, e alla fine crolla, lo si abbatte”.
Febbraio 1942, Hitler e Mussolini a Salisburgo: la guerra è vinta (non ci si pensa…), dall’Asse – l’assedio a Stalingrado sarà opera che dell’Ottava armata italiana. Con le “collaboratrici volenterose” Ungheria, Romania, Bulgaria e Finlandia (sic!). Mezza Europa è occupata, è stato distrutto l’assetto di Versailles di venti anni prima, con le neonate Austria, Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia, e l’occupazione. Hitler è sempre impressionato da Mussolini, le cui divise sono impeccabili – al primo incontro a Venezia Hitler è sceso in un ridicolo impermeabile. La cartolina-precetto arriva a un povero boscaiolo russo, con famiglia, che subito parte. Attorno a una grande famiglia – borghese, di donne – si forma un reticolo di varie forme di resistenza, delle donne stesse e dei loro mariti e figli, in vari ambienti, a Stalingrado e altrove – Stalingrado ospita sfollati e progetta di sfollare. Mai eroicizzati, la guerra è brutta, ma credenti e vincenti.
Un romanzo che si vuole corale, tolstojano. Con la stessa fede nella virtù della resistenza, che è antibellicista – non si vuole eroica. E una scrittura che si adatta ai diversi ambienti: il giornalista Grossman, al debutto come romanziere, maneggia con arte il mestiere – in un cameo si rappresenta, a un briefing militare, come Bolokin, una specie di Paolo Rumiz, un inviato che si informa e che capisce. Una lunga preparazione, nella Russia sotto il tiro degli aerei e dei blindati tedeschi, fino a Mosca, e l’assedio che infine si materializza, con tutto il seguito di orrori e sacrifici. Come nella guerra in corsa, ora a parti invertite - assalitore è la Russia.
L’ambizione è di un “Guerra e pace” di Hitler, dopo quello di Napoleone. Ma è un romanzo rifatto tre volte, su intervento della censura, e si avverte: il pathos cresce con la narrazione, lenta, larga, ma non prende – rifare mille pagine non è agevole. Le edizioni con “significativi cambiamenti” sarebbero state peraltro undici – di cui la nona, spiegano i curatori, ha dovuto ampliare la parte di Stalin, espungere un eroe ebreo, o cambiargli i connotati, e così via. Episodico: molti personaggi, inizialmente seguiti in dettaglio, giorno dopo giorno, ora dopo ora, sono abbandonati per via. È sempre stato difficile scrivere in Russia da un secolo, per una ragione o per un’altra, negli anni di Grossman in particolare.
Resta come monumento sovietico, il tentativo di un “Guerra e pace” sovietico. Pieno di miniere, fabbriche, cantieri, piani quinquennali, operai filosofi e contromastri artisti, con più carbone, più acciaio, e di migliore qualità, più cannoni e carri armati, più aerei. Dappertutto commissari politici, rispettati e perfino amati: il controllo è stretto e minuto, la propaganda è diffusa. Le donne sono in genere robuste e anche eroiche, negli ospedali, gli orfanotrofi, le case in coabitazione. I capi caseggiato competenti e collaborativi.  Ci sono, ottimi, i ritratti dei grandi generali della difesa, Emerenko, Čuikov, Rodimtsev, colonnello generale, a 36 anni.
Ottima anche, naturalmente, una lunga digressione sulla Germania in guerra, ai §§ 33-36 della Terza Parte. E una riflessione con molti spunti di verità su Hitler nella Seconda Parte, §§ 22-30. Qui col ridimensionamento, finalmente, di Rommel, sbruffone vanesio, “la cui popolarità era inversamente proporzionale alle sue conoscenze, alla sua cultura militare, alla sua serietà” - lui come Richtofen, il comandante della Luftwaffe, “dei parvenu, incolti, eroi di un giorno, uomini dalla carriera politica facile, sbruffoni viziati da vittorie facili”. Ci sono anche, in un paio di occasioni, i corpi di armata italiani. “Stalingrado”, la difesa a oltranza, è preannunciata in piena estate, ad agosto, dal contrattacco russo sul Don, attraversato “schiacciando la divisione italiana che copriva il fianco destro allungato dell’armata tedesca”.
Una edizione sfortunata? Da tempo attesa, infine realizzata, ma proposta nel momento sbagliato – aprile? Oggi sembra oggi, a parti invertite, per “la verità semplice delle prime ore di guerra”: dei tanti “che trovarono la forza, il coraggio, la fede e la calma per affrontare un nemico più potente, trovando questa forza nel loro animo, il loro senso del dovere, la loro esperienza, le loro conoscenze, la loro volontà e il loro spirito, la loro fedeltà e il loro amore per la patria, il popolo, la libertà”. Con l’Ucraina, allora, anche al centro: il blocco dell’offensiva tedesca, a partire dal novembre 1941, che poi deciderà la guerra, vede lo stato maggiore russo a Voronez, alla frontiera con l’Ucraina, con “molti ufficiali originari di Kiev, di Kharkov, di Dnieprpropetrosk”. Novikov, il colonnello teorico e eroico della difesa, è “originario del Donbass”. Il Donbass è parte integrante della difesa russa, come gli Urali. Grossman è un ebreo russo nato e cresciuto in Ucraina.
L’evoluzione della guerra fino a Stalingrado in un anno è quella di oggi in Ucraina, a capo di tre mesi di guerra, ma con i russi nel ruolo dei tedeschi. E allora come oggi una verità, sempre a parti invertite, la dice il generale Eremenko, lo zoppo che comanda Stalingrado: i soldati giovani? “troppo impulsivi”, i vecchi? “non più, il vecchio pensa a casa …”, “il miglior soldato è il soldato nella forza dell’età… La guerra è un lavoro”.  
Oggi tutti si accusano di essere Hitler, e forse non c’è Hitler in campo. Ma la lettura si fa disagevole. Per la parte onesta – libera - della narrazione.
In altre edizioni, francese, inglese, annotate da altri curatori, subito dopo l’anti-Anteo viene ricordato: “In Russia, passarono dal lato dei tedeschi alcuni di quelli che avevano sofferto del potere sovietico in altri territori, specialmente in Ucraina e nei paesi baltici, la collaborazione massiccia della popolazione con i tedeschi era motivata dai sentimenti antirussi e dalla speranza di riottenere l’indipendenza”.
Con qualche riferimento sbagliato. P.es. Tjutchev al posto di Fet nelle considerazioni sulla Russia al § 34 della prima parte.
Vasilij Grossman, Stalingrado, Adelphi, pp. 883, ill. € 28

martedì 24 maggio 2022

Problema di base russo - 699

spock 

“Qualcuno saprebbe capire la Russia”, Afanasij Fet (1822-1892)?

spock@antiit.eu

Cronache dell’altro mondo – abortive (186)

La Corte Suprema è chiamata a pronunciarsi su una legge del Mississippi che vieta l’aborto dopo la  quindicesima settimana. Finora l’aborto è da quasi cinquant’anni negli Stati Uniti praticamente libero, in alcuni stati anche in “fase perinatale”, cioè nei primi giorni di vita del neonato – che sarebbe in altra legislazione infanticidio.
Una legge federale, The Unborn Victims of Violence Act del 2004, riconosce un embrione o feto a qualsiasi stadio di sviluppo come una vittima in caso di violenza contro la madre. Senza questa condizione, l’aborto è praticamente libero, senza limiti di tempo.
Questo fino alla decisone del partito Repubblicano, a partire dalla legge del Mississippi, di passare sul fronte dell’aborto regolato: in attesa che la Corte si pronunci tutti i 26 stati a governo Repubblicano hanno approvato o discutono leggi che limitano l’aborto libero. Idaho e Texas hanno proibito l’aborto dopo sei settimane di gestazione. L’Oklahoma l’ha reso del tutto illegale.
Le leggi statali restrittive non limitano di necessità l’aborto, essendoci in tutti gli Stati Uniti la libertà di residenza.  
In senso opposto marciano gli altri 24 stati, a governo Democratico, specie quelli del Pacifico. Washington ha vietato azioni legali, a qualsiasi titolo, contro chi abortisce e chi pratica l’aborto, anche in altri stati. Oregon paga le spese di viaggio per aborti di non residenti. La California ha ultimamente imposto alle assicurazioni private e alla sanità pubblica di coprire l’intero costo dell’aborto, senza franchigie.
In Italia – e in Europa in genere – si può abortire entro i primi 90 giorni di gestazione, per motivi di salute, e anche economici, sociali o familiari.

Ecobusiness

I “rifiuti di apparecchiature elettroniche ed elettriche”, Raee (grande e piccoli elettrodomestici: lavatrici, frigo, televisori, tostapane, frullatori, aspirapolvere, e la panoplia della video-scrittura: pc, tablet, cellulari, modem, mouse, chiavette, caricabatterie) sono in Italia oltre un milione di tonnellate l’anno - 18 kg per abitante. Di smaltimento complesso: costoso e limitato (smaltibili solo per il 20 per cento).  
Il totale dei Raee nel mondo si stima in 50 milioni di tonnellate.
L’inquinamento, in larga parte industriale (fabbriche), agricolo e della circolazione automobilistica, è ora soprattutto dell’elettronica di consumo – oltre che dell’agricoltura e della circolazione auto.
Finalmente si contano le morti per polveri sottili, biossido di azoto, e ozono - di morti premature causate da esposizione all’inquinamento atmosferico provocato dalla circolazione automobilistica: 307 mila in nel 2021 (52.00 in Italia) per le polveri sottili, 40.400 per il biossido di azoto (cica 7 mila in Italia), e 16.800 per ozono (3.170 in Italia).

Sposarsi fa bene – la nuova commedia all’italiana

Un inno al matrimonio, dopo sette anni di convivenza. Sotto forma di incubi che il nubendo timoroso vive la notte precedente il matrimonio, dopo la rimpatriata con gli amici. Girato a Spoleto, ma con mordente toscano, nei dialoghi e nelle situazioni – se ne erano perduti il suono e il taglio.
Una commediola leggera, senza altre pretese. Un genere che comincia a connotare il giovane cinema italiano. Viviamo in un mondo senza problemi? Così si direbbe.
Oggi Laura Morante lamenta con Valerio Cappelli sul “Corriere della sera”: “Per essere definito un buon film, devi andare nei sobborghi di una grande città, fare lunghi piani sequenza e usare pochi dialoghi. In qualunque altra arte sarebbe ridicolo: al cinema no”. Per gli Oscar, certo – ma non solo i sobborghi: ci vogliono anche i sottoproletari, sbandati, soli, tra cartoni e fango, un po’ di neorealismo, meglio neoasiatico. Mentre l’Italia vira al leggero, delle “notti prima”, degli esami eccetera.
Marco Martani, La donna per me, Sky Cinema

lunedì 23 maggio 2022

Letture - 491

letterautore
 
Annibale
- Un solo suo busto si è conservato – ora al museo Archeologico di Napoli. Lo ha recuperato e messo in valore Arturo Osio, in qualità di creatore e direttore generale nel 1929 della banca Bnl  (inizialmente Bnlc, banca nazionale del lavoro e della cooperazione, Osio veniva dalle cooperative bianche), che molto spendeva in opere di arte.
 
Bamboccioni
- Non sono una novità né un’eccezione, sono parte della tradizione italiana, della famiglia. Pirandello manteneva i tre figli adulti (di Lietta riuscirà a “liberarsi” nel 2026, quando lei aveva 29 anni, accomunandola ai contrasti col marito di lei, il diplomatico cileno Manuel Aguirre, che accampava “eccessive pretese “dotali) e se ne lamentava. Da Berlino scriveva, il 19 marzo 1929, dei due figli maschi, Stefano e Fausto: “Non possono pretendere che io, a sessantadue anni, seguiti a lavorare giorno per giorno per mantenerli come quando erano bambini e io avevo trent’anni: trent’anni, ora, li hanno loro”.
Anche D ‘Annunzio, per quanto sempre indebitato, mantenne i quattro figli, Ugo Veniero, Gabriellino, Mario e Renata, fino ai quasi quarant’anni. In questo ben organizzato, con assegni mensili – che chiamava, irritato, “mestruali”.
 
Consumismo
– Pasolini lo appaia al nazismo. In più interventi, ma specificatamente alla presentazione a Stoccolma di “Salò o le 120 giornate di Sodoma”: “In questo film il sesso non è altro che l’allegoria, la metafora della mercificazione dei corpi attuata dal potere. Penso che il consumismo manipoli e violenti i corpi né più né meno che il nazismo. Il mio film rappresenta questa coincidenza sinistra tra consumismo e nazismo”.
Ma il consumismo è anche anarchico:In sostanza questo film è un film sulla vera anarchia, che sarebbe l’anarchia del potere”.
 
Dialetto – “È solo ideologia cercare di scavare nei dialetti chissà quali tesori ancestrali e originari”, sbotta Enzensberger (“L’Espresso”, 27 ottobre 2005): la giornalaia all’angolo parla il dialetto di preferenza perché “nel dialetto si sente bene, come a casa propria, punto”.
  
Dittatori artisti – Hitler, Mussolini e Stalin avevano grande concetto dell’arte. È la scoperta di Tzvetan Todorov (“Avanguardie artistiche e regimi totalitari”, una conferenza tenuta all’università di Siena il 23 novembre 2006, su “la Repubblica” del 25 novembre). Di Hitler si sa, le ambizioni di pittore, la devozione a Wagner, dei cui scritti aveva mandato a memoria interi passi, e affermava di avere assistito a trenta o quaranta rappresentazioni di “Tristano e Isotta”. Di Mussolini Todorov ricorda che si di definiva nel 1922 “lo scultore della nazione italiana” (“Il popolo italiano è una massa preziosa. Farne un’opera d’arte è ancora possibile”). Deluso poi, naturalmente, perché l’Italia non era di marmo, a Ciano confidando: “Michelangelo ha avuto bisogno del marmo per le sue statue. Se avesse avuto a disposizione soltanto dell’argilla, non sarebbe stato altro che un ceramista”. Stalin era un che leggeva tutto, e telefonava ai poeti, che chiamava “gli ingegneri dell’animo umano”, seppure per rimproverarli. Li fucilava (Meyerchold) o suicidava (Makakovskij), o li mandava in Siberia o al manicomio perché li teneva in grande conto.
 
Leggere – Dopo la sfida calcistica a Parma il 16 marzo 1975 fra le troupes dei film di Bertolucci (“Novecento”) e di Pasolini (“Salò”), perduta da Pasolini per 5-2, “nei giorni seguenti”, spiega Paolo Bonacelli, che lavorava in “Salò”, nel documentario di Di Nuzzo e Scillitani “Centoventi contro Novecento. Pasolini e il calcio”, “Pasolini non la smetteva di manifestare il suo disprezzo per ‘Ultimo tango a Parigi’, continuando a ripetere di Bertolucci: «Quello non legge, non legge più niente»”. Dodici anni dopo avere confidato a Arbasino: “Non leggo più…. Anche al cinema non ci vado mai. È finita, è finita”.  
 
Mishima – Si eviscerò nel 1970 per protesta contro la costituzione pacifista del Giappone. Ora sarebbe stato felice, che il premier Kishida è pronto alla guerra all’estero, e alla Bomba.
Un scrittore delicato e militarista? È vero che la poesia comincia con la guerra, a Troia.
 
Pavese – Pasolini lo disprezzava. In un’intervista alla Rai nel 1972, che la Rai decise di non mandare in onda, lo diceva “un letterato medio, o addirittura mediocre”, amato dalla critica solo perché “politicamente corretto”.
 
Pirandello – Fu fascista convinto fino alla fine, benché il regime lo bistrattasse, e Mussolini non lo avesse in simpatia, convinto che “la massa non ha una propria volontà”. Accademico d’Italia fu l’unica concessione che ebbe dal regime. Per il Nobel del 1934 la stampa ebbe l’ordine di dare il minimo risalto, malgrado il nazionalismo imperante. A Roma gli fu imposta una messa in scena celebrativa dell’aborrito D’Annunzio, “La figlia di Iorio” al teatro Argentina, con costumi e scene di De Chirico. Mussolini in persona, dopo avere assistito alla prima romana della “Favola del figlio cambiato”, con musica di Malipiero al teatro Reale dell’Opera (la prima mondiale si era avuta a Brunswick due mesi prima), ne ordinò il sequestro – con la scusa che l’opera è ambientata in un bordello. Ma lui da New York scrive al figlio Fausto ancora nel 1935: “Ho visto una recente fotografia del Duce nell’atto di parlare a Eboli: m’è parso il Davide del Bernini”.
 
San Sebastiano – È passato a icona gay per i quadri di Guido Reni, ben cinque. Dove “le frecce si addentrano nel vivo della giovane carne polposa e fragrante, e stanno per consumare il corpo dall’interno con fiamme di strazio e d’estasi suprema”, ricorda nelle “Confessioni di una maschera” il protagonista autobiografico di Mishima. Che dichiarava di avere scoperto la propria omosessualità sul san Sebastiano del Reni, uno dei cinque - e prima di suicidarsi, nel 1970, si fece fotografare da san Sebastiano, il torso nudo trafitto da frecce, cosparso da rivoli di sangue. Di suo era uno sfigato, si direbbe oggi: originario di Narbonne, guardia pretoriana a Roma sotto Diocleziano, condannato al martirio con le frecce, fu salvato da Irene, futura santa. Condannato una seconda volta, fu finito a colpi di bastone. Protettore di arcieri, tappezzieri, e vigili urbani, per un tempo invocato anche contro la peste - poi sostituito da san Rocco, santa Rita e sant’Antonio Abate.
 
Il primo accostamento del santo sessuale lo fa Oscar Wilde, ne “La tomba di Keats”, in cui evoca, senza citare il pittore, una immagine di Guido Reni. O D’Annunzio parigino, col “Martyre de Saint-Sébastien” – dove per la prima affidò la parte del santo a Ida Rubinstein, colpita quindi più scopertamente, in quanto donna, da frecce come simboli fallici, che implora: “Ancora! Ancora! Ancora! Amore Eterno… Colui che più a fondo mi ferisce, più a fondo mi ama”.  


letterautore@antiit.eu

Neonazista a capo del Disinformation Board americano

Uno straordinario ritratto di una strana “disinformazione” americana. Il 19 maggio, una settimana dopo questo ritratto pubblicato dal periodico di sinistra “The Nation”, l’orwelliano “ministero della verità” creato a fine aprile da Biden, il Disinformation Governing Board, è stato disciolto, ma la personalità cui era stato affidato merita una lettura. Nina Jankowicz, 33 anni, scrittrice, parte della “bellicosa industria della disinformazione” già in Ucraina, dove è stata dopo la laurea quale Fulbright Clinton Public Policy Fellow, nonché collaboratrice di StopFake, autrice il 29 gennaio 2017 per StopFake di un podcast, “StopFake Episode 117”, in cui difende i battaglioni di volontari in Ucraina, “ossessione perenne della propaganda russa”, ma macchiati di molte colpe.
StopFake, spiega “The Nation”, è un’organizzazione pubblica “anti-disinformazione”, creata dal governo federale nel marzo 2014 e subito definita un modello contro la propaganda del Cremlino. Ora è partner ufficiale di Facebook per il fact-cheking, il controllo della veridicità delle informazioni. Ma tre anni dopo la creazione StopFake si distingueva nello “sbiancamento” dei gruppi neonazisti in Ucraina, di ucraini e di stranieri. Col contributo di Jankowicz.
In Ucraina ci sono “dozzine di formazioni paramilitari formate nel 2014 per combattere i separatisti nella regione del Donbass sostenuti da Mosca”.  Quando a Kiev si parlò di una nuova festività da introdurre in onore dei volontari stranieri, e Mosca rilanciò contro i volontari, definendoli violenti e estremisti, venne il 29 gennaio 2017 il messaggio rassicurante di Jankowicz: i volontari hanno collaborato con le forze armate ucraine contro l’aggressione russa, sono ora parte delle forze armate ucraine, il movimento dei volontari in Ucraina è molto ampio, militare ma anche sociale, economico, umanitario, di sostegno ai due milioni di sfollati del Donbass. Jankowicz parlava sullo sfondo delle insegne di quattro gruppi paramilitari, Aidar, Dnipro-1, Donbas, Azov.
“Tutt’e quattro (questi gruppi) hanno una storia documentata di crimini di guerra, mentre Azov è un dichiarato gruppo neo-nazista”, “The Nation” spiega poi in dettaglio. In un servizio di “Newsweek” del 10 settembre 2014, basato su un rapporto di Amnesty International, il gruppo Aidar risultava avere una storia di “violenze molto diffuse”, dai sequestri di persona alla tortura e a “probabili esecuzioni”. StopFake ha sempre difeso il battaglione Azov, “che è stato formato da una bada neo-nazista, usa due simboli neo-nazisti sulle sue insegne, ed è documentata neo-nazista da numerose fonti occidentali”. Portando Facebook ad annullare a febbraio l’esclusione di Azov quale “gruppo estremista”, e anzi ad elogiarlo.
StopFake ha anche difeso il gruppo C 14, ucraino, ultranazionalista, creato nel 2010 con un programma estremista, e responsabile nel 2018 di una serie concertata di distruzioni di campi rom -  C14 in cirillico, solitamente S 14, o Sich. Il gruppo è classificato anche dal Dipartimento di Stato come “nazionalista razzista” (hate group). Nel 2002 StopFake ha difeso C 14 con un apposito comunicato stampa, negando che fosse estremista, e portando come prova la smentita dei pogrom anti-rom - che però Sich ha fatto (organizzato, eseguito), numerosi e organizzati.
Putin è Putin, ma noi a che gioco giochiamo?
Lev Golinkin, Meet the head of Biden’s new “Disinformation Governing Board”, “The Nation”, 12 maggio, free online

domenica 22 maggio 2022

Il caro-energia è qui per restare

Le sanzioni per l’invasione russa dell’Ucraina possono averlo anticipato, ma il caro-bollette era nei numeri dell’industria dell’energia da tempo. Per effetto degli investimenti sempre più ridotti, da due decenni, nella ricerca e produzione di idrocarburi. E per investimenti in fonti di energia alternative e non inquinanti non sufficienti a compensare nell’immediato la ridotta offerta di petrolio e gas. Uno squilibrio accentuato in questa fase di transizione all’economia verde dall’entrata delle grandissime economie asiatiche, tipo India e Cina, come grandi consumatori nel mercato internazionale dell’energia.
Negi Stati Uniti non si investe più nei combustibili fossili per effetto di misure legali. Gli azionisti di molte banche, incluse Bank of America, JPMorgan Chase e Wells Fargo, hanno votato risoluzioni che impegnano a chiudere il credito a chi investe in combustibili fossili. E sono ora sotto pressione i grandi clienti liquidi delle banche, come Google, Apple o Salesforce, che sono impegnati in proprio a ridurre le emissioni nocive, a fare pressione in tan senso sulle banche.   
La ricerca petrolifera è l’unico settore che non è ripartito negli Stati Uniti dopo il covid. Le ultime gare per nuovi permessi di ricerca sono andate deserte.

Problemi di base americani - 698

spock
Manca il latte artificiale per i bambini – gli Stati Uniti come il Biafra?
 
È la sanità un diritto – in America è un problema?
 
È la scuola un diritto in America, per chi?
 
Non toccare la donna bianca vale anche per i bianchi?
 
E per le bianche, a quando le cause per danni?
 
Niente avversari politici in America, solo nemici?
 
Se la giustizia degli avvocati a percentuale non è ricatto?


spock@antiit.eu

Dopati dal tennis

Sotto il pretesto di evocare un caso politico famoso, la partecipazione dell’Italia alla finale di coppa Davis a Santiago del Cile sotto Pinochet, nel 1976, una rimpatriata. Da patiti del tennis – lo sport individuale che agisce come una droga. Sull’ottimo tennis e i grandi successi del quartetto Panatta, Bertolucci, Barazzutti e Zugarelli, a Santiago del Cile, con la prima (e l’unica) vittoria italiana in Davis, e poi con quattro finali sui cinque tornei successivi – perdute contro avversari più che onorevoli: Australia nel 1977, nel 1979 gli Usa e nel 1980 la Cecoslovacchia.
Con molto bellissimo tennis d’epoca, da cineteca, protagonisti i quattro. Gli interventi di Pietrangeli, capitano di quella nazionale. Con qualche flashback sui predecessori di Pietrangeli, Sirola non amato, e Gardini – il Gardini del duo altrettanto imbattibile Gardini-Pietrangeli. E con qualche amarezza.
Dopo la sconfitta del 1977 in Australia, Pietrangeli venne esonerato dal ruolo di capitano. Lo dice “il più grande tradimento” della sua vita. Ma tutti i rapporti erano difficili, anche fra i quattro: giovani, temperamentali: il racconto si arricchisce di molti aneddoti di litigi, mutismi, scelte azzardate, avventure sbagliate. Il capitano Sirola che impone al ventenne Panatta di tagliarsi i capelli è una scemenzuola, ma fa testo.
Domenico Procacci, Una squadra, Sky Documentaries