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sabato 5 giugno 2010

Dopo Fini, Murdoch da Veronica?

Il regime non c’è, ma l’aria è da fine regime, quando i capi vengono contestati dai loro cari, i figli, le donne. Ci manca solo che, dopo la visita a Fini, il figlio di Murdoch si faccia fotografare con Veronica Lario, magari per presentarle un programma anti-minorenni – o a favore? coi Murdoch non si sa mai, tra l’altro di questo figlio in missione in Italia non si sa nulla, se non che non conta nulla. Sarà stato peraltro, nonché un mancato regime, un governo che non lascia traccia, se non un manipolo di brutte leggi che gli vengono regolarmente cassate: Berlusconi sarà pure liberale, ma proprio per aver ridotto il governo a zero. Non ci sono naturalmente le finte contesse, quali usavano al tempo dei telefoni bianchi, ci sono finte minorenni e finte imprenditrici, ma ugualmente aggressive, e con la voglia di mettere le mani in pasta.
A differenza ancora dal vecchio regime, la transizione non si presenta cruenta. Le minorenni e imprenditrici, sia del ramo Berlusconi che di quelli Di Pietro e Bossi, sono perfettamente fungibili con le nobildonne, alcune vere, di casato, che già pensano a mettere le mani in pasta nel dopo regime. Il solo problema lo pone Fini. Le cui somiglianze con l’altro figlio acquisito sono impressionanti, ma di cui non ci si può attendere la liquidazione. Bisognerà restaurare la pena di morte?

È Napolitano l’opposizione di sua maestà

Un cosa finalmente Berlusconi sembra aver capito. Dopo i tanti errori nelle poche leggi che i suoi ministri riescono a mettere in piedi. Che la sua vera opposizione è Napolitano. Non i vari farfalloni che si vogliono imperatori della sinistra, esausti e felici quando hanno fatto le loro battutine nei talk-show della Rai e su Sky. E che Napolitano è un uomo di governo, e ha alto il senso dello Stato. Col quale quindi nei limiti del possibile, e sempre più spesso dell’impossibile, può proficuamente collaborare. Proficuamente per l’immagine, se non per la sostanza, del suo governo.
Sono ormai innumerevoli i casi in cui il presidente della Repubblica ha salvato il governo. Senza alcuna macchia politica, di accondiscendenza o peggio. Talvolta suggerendo egli stesso accorgimenti e soluzioni. Oltre agli errori di fatto, Napolitano ha anche un ruolo dirimente nello stemperamento della vis punitiva da cui i ministri di Berlusconi non riescono a emendare neppure il più insignificante dei loro provvedimenti – “Auctoritas per vim” sembra essere il motto di questi incolti, immaturi, piccoli Cesare.
Inutile fare l’elenco delle castronerie del governo, non c’è giorno senza una nuova. Il decreto Tremonti, per esempio, annunciato non dopo il varo, come è elementare di ogni decreto con risvolti fiscali, ma discusso a lungo prima del varo, in modo che chi doveva scappare è già scappato. O la legge sulle intercettazioni, in cui un onesto oppositore quale l’ex senatore democratico Barbera non riesce a rendersi conto come mai il governo si faccia un autogol ogni due giorni.
È questo il prezzo da pagare alla politica caligolesca del tutti i cavalli sono senatori, ma possibile che non ci sia un biglietto d’ingresso per i berlusconiani? Anche la democrazia ha dei limiti. Quella manageriale poi, di cui Berlusconi è il vanto, è anzi estremamente selettiva. Dobbiamo quindi pensare che l’incapacità è una strategia del capo del governo. Ma anche per questo aspetto l’azione di Napolitano è encomiabile: è la rivincita della politica, della vecchia politica, vecchissima, pensando da dove viene il presidente della Repubblica, al confronto di questi nuovissimi ambrosiani, così petulanti ma vuoti carrieristi.
Napolitano del resto era il leader naturale dell'ex Pci nel 1994: dopo l'equilibrata performance di presidente della Cemera tra il golpista Scalfaro (due Parlamenti sciolti in due anni) e i giudici mariuoli, si sarebbe preso tutti gli otto o dieci milioni di voti dei senza partito, i socialisti, i repubblicani, i liberali, che invece hanno dovuto astenersi o votare Berlusconi. Il 1994 poteva essere un 1948 rovesciato. Invece i gattini ciechi berlingueriani riuscirono a confermare la batosta del '48, e ancora occupano tutti gli spazi - per il diletto, è vero, dei giornali di Lor Signori: ce ne propongono anche la misura e il colore delle scarpe.

martedì 1 giugno 2010

Diavolo d'un Mussolini

La “totalità” volontaria del fascismo, il consenso a un regime che fu violento e bellicoso, specie da parte di intellettuali e letterati, solitamente allenati alla critica, e il segno che il fascismo lascia nella storia, pur essendo durato più o meno come Berlusconi, ne fanno un dominio ancora pieno di sorprese. Quando si potrà riparlare di Mussolini, si verranno a sapere cose molto interessanti. Per esempio nell’attualità internazionale. La “nazione proletaria”, con “fischia il sasso”, la Xma Mas e la guerra partigiana all’imperialismo, ovviamente britannico: i palestinesi, che studiavano gratis a Roma, con viaggio pagato, l’Irgun, i socialisti revisionisti di Jabotinski, che modellarono il gruppo militarista Stern sulle corporazioni, e gli afghani, l’India, l’Indonesia, Burghiba, Nasser, Sadat, i principati balcanici e l’Ungheria, lo stesso Giappone, il Sud America. Al re dell’Afghanistan Zahir fece educare la futura moglie, una sola correttamente, al Poggio Imperiale, e le figlie che ne nacquero. Il principe Daud, cugino di Zahir, era camicia nera in gambali, al tempo di Mussolini e dopo, in odio agli inglesi. È il principe che nel 1975 scacciò il re suo cugino per proclamare la repubblica e passare l’Afghanistan nell’orbita sovietica, sempre in odio agli anglosassoni.
Missiroli, direttore di giornali cinico più d’ogni altro, attivo anche nel dopoguerra, si cimenta qui in un elenco di lodi che toglie il respiro. Nell’anno 1941, è vero, quando la guerra non era ancora perduta. E in un libro, bisogna a dire, rimasto in buona parte nei depositi, di cui gli eredi dell’allora Società Editrice di Novissima si liberano. Insomma, l’antifascismo è venuto dopo. Ma, è questo il lato peggiore, molte delle cose qui dette non sono piaggerie, e alcune (il consolidamento del debito, il salario reale, la politica demografica, i lavori pubblici, la conciliazione religiosa, il Cnr…) anzi invidiabili: era migliore la burocrazia, l’Italia, il regime?
La persistenza mussoliniana si può vedere ribaltata. Il nazionalismo arabo e il fondamentalismo islamico riducendo a forme di fascismo, niente più. Come certamente sono, ma non sarebbe la stessa cosa. La continuità del fascismo è una cosa: il nazionalismo mescolato con le modernizzazione, e con la violenza. Il nazionalismo anche è un’altra cosa: l’antimperialismo difficilmente urta con la democrazia, specie se si coniuga con la modernizzazione (progresso, sviluppo), anche se in forme autoritarie. Il fondamentalismo islamico è invece terrorismo: è eversivo nel nome dell’assolutismo, della violenza senza limiti, dell’intolleranza più faziosa esclusiva. Mentre il fascismo è pur sempre un regime politico.
Mario Missiroli, Cosa deve l’Italia a Mussolini

Finito Freud, e il papa

Il filosofo segue i pittori lorenesi del Seicento Didier Barra e François de Nomé a Napoli, dove presero il nome collettivo di Monsu Desiderio. E si specializzarono in rovine, di palazzi, cattedrali, città. Per illustrare, scopre con sottile indagine, che dipingevano il crollo del cattolicesimo romano. C’è Napoli, naturalmente, al di sotto, qui, del vulcano. Roma con le vanità. E Nietzsche, cui Onfray fa dire: “L’arte alza la testa quando le religioni perdono terreno”. Nel Quattrocento per esempio, nel Cinquecento, secoli come si sa vuoti di arte. Oppure in questo Duemila, così pieno di arte, che la religione è scomparsa.
Le rovine di Monsu Desiderio, capita di leggerne due volte all’improvviso insieme, nel “Giorno della Locusta” (Nathaniel West) e in questa “Metafisica”: è un segno.
Il problema è che il papa, dopo quattro secoli, è ancora lì. Onfray, che ha appena finito di dichiarare finito Freud, è un revenant?
Michel Onfray, Métaphysique des ruines, Livre de Poche, pp.157, € 6

Ombre – 51

Nel Nuovo Diritto che si codifica a Firenze, città di tutti gli abusi, nuova capitale della questione morale, avendo defenestrato i napoletani di Milano, c’è un giudice che delle intercettazioni mette a conoscenza della difesa solo prende quelle ritenute buone dalla Procura. È come un giudice che del testimone ascoltasse solo l’interrogatorio dell’accusa.
Ma i cronisti giudiziari sanno anche delle intercettazioni sono buone quelle ritenute tali dai carabinieri – finanzieri, poliziotti. Questo, certo, il giudice di Firenze non è tenuto a saperlo, i giudici sono galantuomini.

Si sa tutto della manovra: interventi, tempi, effetti dei tagli. “Il Sole 24 Ore” lo spiega domenica, preciso, didascalico, anche semplice. Su “Repubblica”, “Corriere della sera”, “Stampa”, invece, non si capisce niente. A parte il litigio di tutti contro tutti, e cioè di tutti contro Berlusconi. I giornali che fanno l’opinione non sono informati? Impossibile. Sono per Bersani? Improbabile. Sono per la speculazione? I servi sciocchi ci sono sempre.

Toscano e fanfaniano senza peli sulla lingua, e ormai novantenne, Ettore Bernabei si consente, e Aldo Cazzullo gli consente, di dire tutto sul “Corriere della sera”. C’è il solito veleno fanfaniano, che vede l’agguato massonico (protestante, ebraico) ovunque, contro l’Italia del papa. Ma c’è anche il coraggio di dire quello che tutti sanno e nessuno dice, che Fazio fu cacciato dalla Banca d’Italia dagli affaristi, quelli dei merger & acquisitions, e dei titoli spazzatura – che poi ne presero il posto. E che la Dc fu modellata sulla Fuci dal cardinale Montini. Con la schiena diritta che avevano allora i democristiani, oggi verminosi.

Un Procuratore Nazionale Antimafia che denunzia un golpe della mafia, così, per sommi capi, per sentito dire, confidandosi con alcuni giornalisti, era ancora da vedere. Antimafia? Mafia? Lo stesso che, quando era capo della Procura palermitana aveva liquidato le chiacchiere sul golpe.
L’ex presidente Ciampi dà ragione al Procuratore del golpe. Ero presidente del consiglio, dice, e ne ebbi sentore. E allora anche Scalfaro, che era il presidente della Repubblica, si ricorda. E che fecero? Non se lo ricordano? Manca Mancino per completare lo schieramento, il capo del Csm, ma lui i mafiosi pentiti accusano come golpista.

La rubrica “Fuori verbale” di Fiorenza Sarzanini questa settimana su “Io Donna”, femminile del “Corriere della sera” diretto da Diamante D’Alessio, merita la lettura:
http://www.leiweb.it/iodonna/ascolto/10_a_sarzanini-gloria-piermarini-moglie-bertolaso.shtml
Cronaca? Giudiziaria? In originale, con la fotina, invoglia molto a votare Bertolaso, sua moglie, i suoi figli, il suo cane. Ma lo squallore, certo, resta imbattibile.

Il giudice di Milano trova l’indagine Telecom tanto indecente che chiede alla Procura di fare altre indagini. Scopriremo presto che questo giudice è un corrotto?
La Procura è del parere che lo spionaggio di Pirelli e Telecom non c’è stato. Che un certo Tavaroli se ne sia abusato, ma neanche lui sia propriamente colpevole, poiché lo si ammette a un patteggiamento: sarà condannato a pagare un certa somma. Ma la Procura non lo intercetta per vedere chi gli dà i soldi.

Due casi di giustizia killer sullo stesso numero del “Corriere della sera” mercoledì 26: di Formica, dichiarato innocente dopo diciassette anni, e di Saccà, mai giudicato ma silurato dalla Rai di Prodi su intercettazioni abusive della Procura antimafia di Napoli. Due socialisti. È il compromesso storico? È il referendum sulla responsabilità civile dei giudici?

Solo il “Corriere della sera” dà notizia dell’assoluzione di Formica. “La Repubblica” neanche una riga – ma per il giornale di De Benedetti i socialisti non sono mai “esistiti”. Neanche “La Stampa” ne parla: Mario Calabresi dirà poi che lui non c’era nella stanza?

Solo “il Foglio”, a proposito di Formica, dirà il giorno dopo, in una lettera, che l’accusatore dell’ex ministro socialista, Alberto Maritati, ha poi meritato il seggio di senatore dell’ex Pci.
Si può aggiungere che Maritati è senatore dal 1999, allora subentrante e poi rieletto in tutte le votazioni. Subito dopo il subentro, è stato sottosegretario agli interni, nel secondo governo di Massimo D’Alema. Aveva effettuato lui stesso l’indagine a carico di D’Alema per il finanziamento illecito del Pci-Pds in Puglia, fino alla prescrizione. Una sola volta si candidò personalmente, a Lecce per il sindaco nel 2002, ma prese pochi voti, meno di quanti andarono ai partiti della sua coalizione.

La legge Mastella sulle intercettazioni era più restrittiva di quella Alfano. Riuscire a scatenare un putiferio con una legge meno censoria è conferma del dilettantismo dei governi Berlusconi. Quest’uomo di formazione aziendale, e con uno spiccato senso dell’immagine, non sa gestire il governo e non sa curare l’immagine.
Ma né gli editori, né i giornali, né i loro padroni banchieri elevarono contro il ddl Mastella l’un per cento delle proteste che elevano contro Berlusconi.

La Guardia di Finanza fa le azioni esemplari contro gli evasori. Come un tempo mettere dentro Sophia Loren. Ora requisisce lo yacht di Briatore per contrabbando. Non si indagano però ricchi di più lunga data che Briatore, gli Agnelli, Elkann, De Benedetti. Che risiedono in Svizzera, mentre in Italia fanno i soldi, l’opinione, e la politica.

Il libro "Guzzanti vs. De Benedetti" si vende sotto questa insegna: ""Bersani e D'Alema stanno ammazzando il Pd". E De Benedetti?

domenica 30 maggio 2010

La storia della letteratura? È tribale

Con prefazione di Auden, traduzione di Fruttero, e corone d’alloro di Edmund Wilson e F.S.Fitzgerald, buoni amici dell’autore, un racconto massicciamente esile. Un raccontino, ai margini di Hollywood. Che al più anticipa quella che oggi si chiama antifrasticamente American Dream, la vita squallida del cittadino americano. Peraltro anticipata con ben più forza da Steinbeck e Dos Passos, e dal neo realismo – sì, proprio, anzi peggio: la commedia all'italiana. Ma forte degli U.S.A., e della solita biografia, anche se più che altro West dissipò i suoi poco più di trent’anni - della biografia si ricorderà soprattutto la notizia che qui manca, che l’autore, quando gestiva l’albergo Sutton a New York, ebbe come cliente nel 1933 Dashiell Hammett, reduce dall’albergo Pierre, che non riusciva più a pagare. Carlo Fruttero, che questo West ha tradotto (faticosamente) quando aveva ventisei anni, nel 1952, ha poi fatto ben di più, per dirne uno. Ma West si faceva appaiare dall’editore a Hemingway, Faulkner, Fitzgerald e Steinbeck, e questo basta.
Nathanael West, Il giorno della locusta

L’Italia sovietica - 2

Un addendo s’impone alla lista delle persistenze sovietiche in Italia
(http://www.antiit.com/2009/09/litalia-sovietica.html):
Le intercettazioni. Come già nei mgliori alberghi di Praga, Varsavia e Mosca, e nei ministeri: nulla è cambiato.
Le “manifestazioni” popolari (spontanee) in divisa.
I "processi" a Berlusconi.
La Cgil, il sindacato del no, mentre si lavora ormai senza contratto, o con contratti minimi, senza contributi - in attesa della rivoluzione?
La Rai, così partitocratica.
I giudici, pure - al Csm, alla Corte costituzionale.
La carcerazione preventiva.
La Corte di cassazione.
Zanchini, Fahrenheit, Dandini, Annunziata, Floris, che sembrano fatti con lo stampo, non scartano mai: sguardo introspettivamente censorio, un giudice per tutto, stessi ospiti e stessa scaletta, come se ci fosse ancora il cominform. Pieni di un’autorità interiore, quella di tutte le turpitudini. La destra li lascia fare, sono il suo reagente.
Il teatro del Comune, della circoscrizione, del sindaco.
L’orchestra stabile della Provincia. Che suona gratis, nelle sale affittate dal Vaticano, o dall’arcidiocesi.
I docufilm dell’assessore.
La cattedra alla gloriosa rivoluzione cubana.
L’informazione giudiziaria di “Repubblica”, “Corriere della sera” e “La Stampa”, fatta sempre con lo stesso stampo. La gestione dell’informazione è molto sovietica.
Le cronache politiche degli stessi giornali.
C'è uno spreco perfino di conformismo.
I proscritti. Alla Rai, bei giornali, nell’editoria: i socialisti, i repubblicani, i radicali, i cattolici non compromessi, con la storia o con Berlusconi.
Il silenzio dell’opinione – la proscrizione funziona nel silenzio, dopo i primi posti nelle graduatorie dei licenziamenti, per stati di crisi anche fittizi, e gli ultimi nelle sostituzioni estive, che interrompevano la disoccupazione.