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sabato 6 aprile 2024

L’aggressore aggredito - 1

La Russia è quella di Putin, con Putin o senza: trincerata, e aggressiva Tanto più aggressiva per ritenersi aggredita. Dall’allargamento della Nato, in funzione antirussa, fino a pochi chilometri da San Pietroburgo - 60 km. dal confine con l’Estonia, dove sono schierati i missili Nato. Con 100 mila truppe Nato in Polonia, 300 mila fra tre mesi. Con le sanzioni europee a cascata in questi due anni. Con la minaccia americana di appropriarsi delle riserve monetarie, in oro, valuta e obbligazioni, detenute dalla banca centrale russa in America. Una iniziativa che non ha precedenti nel diritto internazionale (è ancora sub judice perché si teme che la Cina, il maggiore tra i tanti paesi creditori degli Stati Uniti, potrebbe mettere in crisi il sistema finanziario americano ritirando le sue riserve e liquidando i titoli del debito), ma basta che se ne parli per rifare l’unanimità in Russia.
La compattezza – così come, malgrado un’opposizione più articolata, avviene in Turchia, in Iran – è l’effetto anzitutto del senso diffuso di accerchiamento, più che di un’opinione povera o confusa. La dissoluzione dell’impero sovietico è stata la dissoluzione dell’impero russo, di tre secoli presenza russa in molte aree dell’Europa orientale. Il crollo del 1989 è stato seguito da una politica antirussa nei paesi Baltici, in Ucraina, in Moldavia, in Georgia, dove i russi o russofoni si aggiravano su un quarto della popolazione. L’espulsione (di fatto) dei russi nei paesi baltici non ha creato problemi perché ha comportato cifre contenute. Diverso il caso dell’Ucraina, della Moldavia, della Georgia. In Moldavia la Russia si è ritagliata la Transnistria, in Georgia l’Ossezia del Sud e l’Abcasia, in Ucraina si è ripresa la Crimea e ci prova col Donbass. L’assestamento degli irredentismi è laborioso e sanguinoso.

L’aggressore aggredito – 2

La sensazione di accerchiamento diffusa in Russia si è consolidata con l’espansione della Nato. Putin ha tentato di esorcizzarla, avvicinando la stessa Russia all’Alleanza Atlantica. Ma non c’è riuscito, gli Stati Uniti alla fine hanno optato per una Nato anti-russa. E il rischio del “confronto” ora è ben più largo del conflitto con l’Ucraina.
Con la Finlandia
e la Svezia nell’Alleanza Atlantica, il Baltico è una sorta di Mare Nato. Indebolendo o annullando la funzione di Kaliningrad, l’exclave di Mosca tra Lituania e Polonia dove la flotta russa nel mare del Nord si concentra (l’exclave è un territorio grande quasi tre volte Gaza, con un milione di abitanti). Contro lo sbocco russo nel mar Nero, cioè nel Mediterraneo, si concentra l'attività Nato, sotto forma di attacchi missilistici e droni contro la flotta russa – attacchi ucraini ma, si ritiene, manovrati da militari Nato. La chiusura dei mari, più che l’Ucraina, potrebbe portare la Russia a reazioni imprevedibili – Mosca ci ha messo secoli e guerre per uscire dall’occlusione.

La comicità è donna, e salva l’Agenzia

Si salva con gli ultimi due episodi la miniserie Call my Agent alla seconda edizione. Con la comicità femminile: una miniserie che avrà consacrato una serie di attrici brillanti, comprese le due Valerie, Golino e Bruni Tedeschi, ora registe seriose. Elodie e Impacciatore sono bravissime a impersonare le superstar, trionfi e miserie, aiutate da situazioni e dialoghi scattanti – con Dario Argento in un paio di pose, che ridicolizza Dario Argento.
Si rivaluta in questa chiave, di comicità al femminile, anche il lavoro delle brillanti di contorno, che hanno accompagnato tutti gli episodi: Emanuela Fanelli che completa infine (ma lo completa?) il suo inenarrabile biopic da Grande Attrice trascurata, e Sara Lazzaro, che rianima il ruolo vieto della segretaria imbranata innamorata del Capo.
Prende corpo anche la “Lea Martelli” fumigante di Sara Drago, la superagente colonna dell’agenzia, competitivissima (drago, martelli…), e femminista, specie con le ragazze che si porta a letto, per una notte. Un’altra gag? Non si tralasciano le molestie del regista all’attrice al provino, con lunghe, lente, solenni riprovazioni e minacce, mentre la Martelli-Drago si porta a letto la ragazza che al momento la eccita, ma al risveglio sempre se l’è filata, incognita – toygirl, non pagate?  
Luca Ribuoli,
Call My Agent- 2, Sky

 

venerdì 5 aprile 2024

La Nato suona la sordina

I 75 anni della Nato sono stati ridotti a mera cerimonia, affollata ma di pochi minuti, non c’era niente da dirsi - non un riesame, non un programma. L’Alleanza è solida, cioè nessuno la contesta, ma come svuotata. Effetto della Russia? Non osa fare la guerra alla Russia, dopo averla provocata con i suoi schieramenti, e non ha una strategia alternativa.
È che la Nato è, come è sempre stata, un’alleanza sghemba. Non tra pari, ma di un nugolo di satelliti sull’asse americano. E l’America, oggi, non ha nulla da dire, se non continuare la guerra “di frizione” in Ucraina – a spese degli ucraini.
L’America ha usato l’Alleanza, dopo il crollo dell’Urss, in Europa contro l’Europa, piuttosto che contro un nemico esterno. Contro quella che chiamava “Fortezza Europa” negli anni 1990, quando la Ue sembrava divenire, con l’euro, una potenza economica di primo piano. Bastò allora la globalizzazione, l’apertura dei mercati al mondo, e specificamente all’Asia, per riequilibrare il mercato, con la relegazione dell’Europa a un piano subordinato, tra licenziamenti, bassi redditi, bassa produttività. Poi gli Stati Uniti si sono fatti arbitri, stimolandoli, degli odi fra le tribù slave, che sono una buona metà dell’Europa. Incoraggiando la dissoluzione della Jugoslavia, inventando il Kossovo contro la Serbia, addestrando l’Ucraina e ogni altro ex suddito contro la Russia.  
L’esito? L’ipotesi di un conflitto generalizzato, della Nato contro la Russia, malgrado il tanto parlare che se ne fa, è invece non solo improponibile ma non voluto ed escluso a priori.  Per ragioni politiche prima ancora che umanitarie. Nessuno vuole impegnarsi direttamente in una guerra contro la Russia. La cerimonia dei 75 anni è servita solo a dare questo messaggio. Anche perché la Russia grande potenza militare resta nell’interesse della strategia anticinese degli Stati Uniti.

La Russia è di Putin

Due anni di guerra, con spreco enorme di materiali, e molti morti (50 mila, 500 mila?)  non hanno mandato la Russia nel caos o alla fame.
L’informazione sulla Russia è viziata dalle “notizie di guerra”, in questo conflitto invadenti, giorno dopo giorno, commissionate alle migliori firme di formazione dell’opinione. Ma la Russia resta salda, anche politicamente. La morte di Navalny, l’oppositore principale di Putin, ha precipitato un movimento popolare di critica implicita a Putin, con le manifestazioni di protesta e il lutto esteso. Che però, nel momento di maggiore impegno, si è mostrato per quello che è: un movimento ristretto, urbano, professionale
Il regime di Putin, venticinquennale, è quello che è. Assimilabile a quello di Erdogan in Turchia: oppositori silenziati o eliminati, critici arrestati, giornali e siti chiusi, molto attivismo nazionalista, dai elettorali truccati – ma non del tutto, il sostegno è sicuramente maggioritario. Putin è emerso dal nulla a fine Novecento come l’uomo delle forze dell’ordine, contro le mafie. Come Erdogan contro le intromettenze militari. Ma con più determinazione, o compattezza.
La Russia non soffre Putin. Non è pronta a un regime politico di democrazia piena, di libertà. Come la Turchia, come l’Iran: paesi di molta storia e grandi culture ma politicamente poco articolati. E con una sindrome plurigenerazionale di accerchiamento.
L’accostamento a Turchia e Iran è utile anche per capire il senso diffuso di accerchiamento anche in un paese come la Russia, da sempre aperto verso l’esterno. Degli ex sudditi ora armati dalla Nato per Mosca, come dei curdi e degli sciiti (Siria, Iran) per la Turchia, degli Stati Uniti e del mondo sunnita per l’Iran.

Di chi è il papa, Francesco

Facendo la conta, ci sono solo i gesuiti dietro il papa Francesco – e non tutti. Con la chiesa “latina” (latinoamericana), che conterà molto nel conclave dopo le nomine di Francesco ma non decide. E alcuni cattolici negli Usa, intellettuali, studiosi. Non è più la curia romana a criticare il pontefice, che ne ha ha ridotto o eliminato privilegi e usi – né gli ultraconservatori. Ora sono in ballo questioni di fede.
L’isolamento del papa è emerso dopo il suo documento dottrinale “Fiducia Supplicans”. Quello in cui prevede la benedizione anche alle coppie “irregolari o dello steso sesso”. Una raccomandazione che va contro la dottrina del matrimonio come sacramento - come mtuum adiutorium, inteso alla procreazione.
L’opposizione al documento è stata generale, eccettuata la chiesa “latina”. Il papa ha fatto allora diffondere dal dicastero per la Fede la precisazione che la benedizione non deve protrarsi per più di 15 secondi (sic!) e che va somministrata ai singoli, anche se in coppia, ma non in quanto coppia. Inoltre, per smorzare le proteste, ha condannato vocalmente l’utero in affitto, “è solo mercimonio”, e la “pericolosissima” teoria gender.
La precisazione sul documento “Fiducia Supplicans” non ha bloccato le proteste. Il cardinale tedesco Gerhard Ludwig Müller, che è stato prefetto della Fede nei primi quattro anni di papa Francesco, poi emerito (pensionato), uno che ha condannato l’omofobia e ha avallato la teologia della liberazione, ha pubblicato una lettera in varie lingue per avvertire, dopo un prologo telogico, che “non ci sono testi biblici, o dei Padri o dei Dottori della Chiesa o documenti precedenti del Magistero a sostegno delle conclusioni di questo provvedimento”.
Un anno fa lo stesso cardinale aveva criticato l’inflessibilità del papa sui riti in latino: “La stretta di papa Francesco sulla messa in latino è un’imprudenza. Non è stato prudente insistere con intransigenza nel disciplinare i cosiddetti tradizionalisti. Sarebbe bastato mantenere il motu proprio del 2007 di papa Benedetto, che era più prudente perché teneva dentro tutto il panorama ecclesiale.
Al Pontefice suggerisco di essere maggiormente attento a tutte le sensibilità dentro la Chiesa, anche quelle più lontane dalle sue”.
Il papa ha risposto con una battuta polemica: “Nessuno si scandalizza se benedico un imprenditore che sfrutta la gente, che è un peccato gravissimo, mentre accade se si tratta di un omosessuale: è ipocrisia”. Il papa, che si vuole radicalmente progressista, lo è in forma oggi si direbbe populista, e questo apre lo spazio ai distinguo, anche fra i porporati che gli sono stai e sono accanto.
Sul documento “Fiducia Supplicans” la chiesa Copta si è detto “costretta” a congelare il dialogo teologico con Roma. E il Secam, Symposiun of Episcopal Conferences of Africa and Madagascar, che riunisce le conferenze episcopali africane, ha detto che non applicherà il documento - papa Francesco ha disposto per loro un’esenzione.

Contro i padri, e le donne

Il pittore del titolo è un ex cecchino della Cia, imbattibile. Vive e dipinge appartato, in Oregon, ed è felice, con una nuova compagna, finché un’apparizione lo riporta al passato. Una ragazza che si dice sua figlia. Ma forse non lo è. Oppure è una killer, addestrata dalla Cia in un programma di condizionamento di neonati, che rapisce al parto.
La genitorialità esposta. Padre del pittore riportato alle mattanze è Jon Voight, tanto affettuoso quanto terribile: il cowboy di mezzanotte, nonché genitore di Angelina Jolie, ormai ottantenne, è lui che ha cresciuto il figlio con la sindrome del dell’assassino infallibile. Sotto esame, però, è anche il femminismo: sono terribili anche gli agenti della Cia che perseguitano il pittore, due donne.
Sistema conti in sospeso lo sceneggiatore? È Brian Buccellato, fumettista di vasta produzione e fama, colorista dei megafilm dei supereroi Marvel, Batman, Superman&co..
Kimani Ray Smith, The Painter
, Sky Cinema, Now

 

giovedì 4 aprile 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (555)

Giuseppe Leuzzi
“Cristo non è a Eboli, dove si è fermato?”, si chiedeva un mese fa sul “Crrire dela sera” Paolo Di Stefano. Turbato forse dal parricidio opera di uno squilibrato, ma allargando l’obiettivo: “Ora non voglio demonizzare Eboli, ma la slavina di brte notizie proveniente da quella città-simbolo fa pensare, appunto, che il «dolore terrestre» di cui scriveva Levi non è più confinato in una «terra oscura» ma si è diffuso un po’ ovunque”. La «terra oscura» riacquista legittimità? Nel crimine comune?
 
Schiavone, “Sandokan”, “Il re dei Casalesi”, che ora si pente, dopo 26 anni al 41 bis, a suo tempo il superriecrcato numero uno, fu catturato, dice il vicequestore che lo catturò, nella sua casa, a Casal di Principe, dove viveva con la moglie e i figli piccoli.
 
Si prepara una serie Netflix in costume, in cui i briganti del Sud sono donne: una contadina malsposata, la moglie ammazzasette di un capobrigante, e una risorgimentale socialista.
Dacché la “donna del Sud” è uscita dal cliché lombardo-veneto, se ne fa l’avamposto del femminismo. Ma la “cosa” è più complessa – la donna del Sud anzitutto è madre.
 
Sudismi\sadismi
L’Inter ha, fa sapere, spiega con lunghe dichiarazioni, un problema di mafia nella sua curva allo stadio. Di ‘ndrangheta
specificamente. Di un paio di calabresi criminali (ma non incriminati) che vanno allo stadio. Per vendere droga? No. Per corrompere i calciatori? No. Per rivendersi i biglietti? Forse. Non sono i soli, anzi - saranno due delle miriadi di topi nel formaggio. Ma non c’è crimine se non c’è mafia.  


Ricordando in consiglio comunale Miran Hrovatin, il fotoreporter ucciso trent’anni fa a Mogadiscio, il presidente del consiglio, Francesco di Paola Panteca, ne avrebbe sbagliato nome e sesso, parlando di Miriam, uccisa. È quello che sul “Corriere della sera” si precipita a denunciare il superleghista Stella – sull’autorità, non dichiarata, di una consigliera grillina, Richetti, e di una consigliera grillina trombata alle elezioni, Danielis. Una satira di Panteca, miserabile “brindisino d’origine” – di cui storpia il nome di battesimo, chiamandolo “Francesco Di Paola (nome) Panteca (cognome)”. Se non che, come “brindisino”, o comunque di madre sicuramente meridionale, se lo ha voluto battezzato come Francesco di Paola, non il san Francesco per antonomasia, quello di Assisi, Panteca avrà la pronuncia larga, consonantica e vocalica, tra betacismi, palatalizzazioni e rotacismi - il cosiddetto “napoletano” della Linguistica.

Ma peggio Panteca ha fatto rispondendo agli sberleffi grillini, questa volta per iscritto: “Io sono a Trieste dal 1979. E conoscevo personalmente Miran Hrovatin. L’ho conosciuto come fotografo a Sgonico dove svolgevo il mio lavoro di attività lavorativa”. Cioè con una pezza peggiore del buco, per dirla alla Stella, il “lavoro di attività lavorativa” invece che investigativa, da luogotenente della Finanza. Condanna irreversibile.

Questo Panteca deve avere sugli ottant’anni, se nel 1979 lo mandarono a Sgonigo, col grado di luogotenente, il secondo più alto degli ispettori di Finanza, subito sopra il maresciallo. Ha sprecato i due terzi della sua vita.
 
La mafia, eccola qua
La realtà dei fatti sui Capriati di Bari smentisce l’allegra versione del presidente della Regione Puglia Emiliano. Sui suoi contatti ravvicinati con la famiglia del capoclan di Bari Vecchia, Antonio Capriati, “Tonino”, oggi 67nne. Uno che al processo – ai processi, a cavaliere del 2000 – si presentava in camicia bianca, cravatta, occhiali da vista a goccia, anticipando la tendenza, e onde di parrucchiere, come un professionista perbene. Da tempo in carcere, e dal 2008 definitivamente all’ergastolo, in cattività ha continuato a gestire gli affari: estorsioni, usura, stupefacenti. Attraverso il nipote Raffaele detto “Lello”, figlio del fratello Sabino, 39 anni, ora assassinato da cosche rivali. Un altro nipote, Domenico, era stato assassinato nel 2018, a 49 anni. In precedenza altri due nipoti, collaterali, Filippo e Pietro, avevano assunto la gestione del
clan, moltiplicandone le ramificazioni nella provincia di Bari, e fino in Basilicata. Arrestati nel 2018, di aprile, e condannati i due nipoti, il clan aveva continuato a prosperare. Una retata a settembre ha portato a sessanta arresti, parte di una struttura “verticistica e gerarchizzata” - con 600 mila euro in contanti in capo al membro del clan che gestiva le slot machines.
Un clan di “impuniti”, in un certo senso – nel senso romano della parola. E di assassini. Non di mammolette, come s’immaginava ascoltando Emiliano. Nei giorni in cui il presidente della Regione Puglia
ex giudice antimafia, pubblico accusatore di Tonino in Tribunale, raccontava il suo aneddoto pacioso, un altro nipote, Vincent, figlio di una sorella di Tonino, Elisabeth o Elisabetta,che ritroveremo, si passava il tempo inneggiando sui social allo zio ergastolano.

Non sono i Capriati la famiglia tutto sommato innocua che Emiliano, non un semplice, già giudice antimafia, già sindaco di Bari, già concorrente pure alla segreteria del Pd, lascia intendere con la storiella che lo ha portato sulle prime pagine. Raccontata a una manifestazione indetta dal Pd in solidarietà col sindaco in carica, Decaro, la cui giunta è stata messa sotto inchiesta dal ministero dell’Interno. Qualche anno dopo l’incontro ravvicinato e risolutivo da lui raccontato con una sorella del boss, nel 2001, ci fu una faida tra i Capriati e i concorrenti Strisciuglio, con molti morti, tra cui un ragazzo ucciso per errore, a sedici anni, Michele Fazio. “Lello”, ora assassinato, si è fatto sedici anni di carcere per “concorso” nell’assassinio del ragazzo Fazio – era stato scarcerato un anno e mezzo fa. 

Scarcerato, coincidenza, con due cugini figli di Tonino, Giuseppe detto “Ciccio” e Francesco detto “Ceschetto”, e con un suo proprio figlio, Sabino (in onore del nonno, fratello di Tonino). Il giovanissimo Sabino era in carcere da due anni per traffico di droga. Giuseppe detto “Ciccio” anche lui si era fatto due anni, per scommesse illegali. Francesco detto “Ceschetto”, 46 anni, usciva dopo diciassette anni di carcere. Per traffico di droga e di armi. Un boss di suo, a Valenzano, sposato con Marina Stramaglia, oggi 42nne, figlia ed erede del locale boss, Michelangelo, assassinato da un concorrente nel 2009 – una morte di cui la figlia aveva organizzato la vendetta. In carcere, “Ciccio” ha potuto concepire con Marina un erede.
Anche le donne fanno parte del malaffare nel clan Capriati. Nel 2011, al termine della solita lunga sequela di giudizi, la Cassazione ne condannò dieci per associazione mafiosa. Tra esse la principale era la moglie dello stesso Antonio Capriati, Maria Faraone: gestiva l’usura e il pizzo. Inoltre, erano una cosca, i Capriati, non piccola: al processo conclusosi in Cassazione a maggio del 2011, il clan risultava controllare (pizzo obbligatorio) Bari Vecchia, parte del Rione Murattiano, e Modugno.
Non c’è limite, insomma, né di articolazione familiare né di generazione, alla propensione dei Capriati al crimine. E di Antonio Capriati si ricorda che ancora nel 2004, nei dodici giorni di libertà che godette tra un processo e l’altro, impose un’estorsione a un concessionario di auto: una Y 10 da regalare alla figlia per i diciotto anni.
Questa la tela di fondo. Su cui non c’è giustificazione che tenga. Compresa la premura di una  sorella di Tonino, Ida, che con l’aiuto del Tg 1 ha provato ad accreditare la versione di un Emiliano un po’ svanito – “non è mai stato qui”. Brutta politica, nella migliore delle ipotesi politichicchia.
Ma l’aneddoto di Emiliano, che ha messo in difficoltà il suo (ex?) figlioccio politico e ora sindaco di Bari, Decaro, non va per questo liquidata, come imprudenza, o impudenza. Che cosa ha detto Emiliano? Secondo la versione più attendibile, quella cui si attiene la Commissione parlamentare antimafia, questo: “Un giorno sento bussare alla porta, Decaro entra, bianco come un cencio, e mi dice che era stato a piazza san Pietro e uno gli aveva messo una pistola dietro la schiena perché lui stava facendo i sopralluoghi per la ztl di Bari Vecchia. Lo presi, in due andammo a casa della sorella di Antonio Capriati, che era il boss di quel  quartiere, e andai a dirle che questo ingegnere è assessore mio e deve lavorare, perché c’è il pericolo che qui i bambini  possano essere investiti dalle macchine. Quindi, gli ho detto, se ha bisogno di bere, se ha bisogno di assistenza, te lo affido”. “Le” ho detto sarebbe stato più preciso, ma la sostanza c’è: Emiliano, allora sindaco di bari, ex giudice antimafia, di fronte a una minaccia mafiosa non denuncia ma si accorda – sa anche che le donne in quel clan contano, non è scontato.
Questa è l’apparenza della cosa. Lo scandalo conseguente è in sintonia con l’antimafia che ci Governa. Dopodiché si scopre che Antonio Capriati è in carcere da trent’anni e più.
La questione è politica – compresa la curiosa sbadatezza dei cronisti, che glissano su molte cose che  pure sono nei loro archivi se non nella memoria, per cui merita ricostruire la vicenda nel contesto. Ma sul piano del costume, e anche del diritto, Emiliano dice una cosa giusta, che non si vede perché non si applica: l’arresto e la condanna dei mafiosi, come di qualsiasi altro criminale. Subito, dopo il delitto. E la prevenzione del delitto, se se ne ha il sospetto.
Si parla di mafie come se fossero quella siciliana di fine Novecento. Una storia che ha dell’incredibile: due uomini da nulla, Riina dopo Liggio, che con con una banda di stupidi, per quanto sadici, per quarant’anni hanno compiuto violenze incredibili, assassinando centinaia e forse migliaia di persone, compresi un centinaio di alti rappresentanti dello Stato, giudici, parlamentari, politici, sindacalisti, commissari di Polizia, questori, maggiori e colonnelli dei Carabinieri, generali.
Un passato recente spaventoso, a guardarlo in retrospettiva, opera di bande di nessuna qualità, si è saputo dopo che sono stati catturati - in larga parte, purtroppo, pentiti, “collaboratori” e “testimoni 
di giustizia”… Il crimine si combatte subito e direttamente, senza teorizzare, la politica o la società.

Le “famiglie”? Sì, sono complicate. Prendiamo le Capriati che si sono fatte il selfie con l’ignaro Decaro alla festa patronale. Annalisa Milzi, la giovane della foto, nipote collaterale di “Tonino”, sposata con Tonino Cortone, “una vita dedicata alla scrittura di libri sulla storia di Bari e sulle sue icone religiose” (Nicolò Delvecchio, “Corriere della sera”). Sua madre Isabella Capriati, sorella di “Tonino”, sposata Milzi, può dire: “Io lavoro da 50 anni e ho sempre fatto le cose per bene”. L’altro suo figlio, Vincent, è quello che sui selfie con Decaro, fratello di Annalisa, celebra sui social lo “zio Tonino”, e si proclama “sempre al tuo fianco”. Nella famiglia Capriati erano undici, tra fratelli e sorelle.


leuzzi@antiit.eu

Quando l’Italia passò alle “leggi speciali”

Una grande mostra, ricca di immagini. Con foto, manoscritti, libri, articoli di giornale, filmati, documentari, e i reperti commemorativi (quadri, sculture, ceramiche, perfino brani musicali). Specialmente interessante nelle due sezioni “Matteotti giovane”, nel Polesine, e “Sequestro e morte”, i due anni 1924-1926 che segnarono la rottura radicale di Mussolini con la Costituzione, e le leggi speciali contro i partiti e la libertà di opinione.
Una storia nota, ma “vederla” fa ancora impressione. Che sia potuto succedere, che l’Italia vi si sia immersa senza resistenze.
Un grande mostra, promossa dal Campidoglio, curata dallo storico Luca Canali. In begli ambienti, spaziosi e anche luminosi. Ma vuota, o quasi – mentre la mostra accanto, sulla calligrafia giapponese del Settecento, in ambienti angusti e bui, scoppia di pubblico. La democrazia non ama discutersi? La “gente” vuole solo svagarsi?
Luca Canali (a cura di), Giacomo Matteotti. Vita e morte di un padre della Democrazia
, Museo di Roma a palazzo Braschi

mercoledì 3 aprile 2024

L’Ucraina non finirà a Vichy

L’Ucraina non capitola. E comunque non ha un maresciallo Pétain, quello che il nemico lo aveva sconfitto nel 1918, per fare un armistizio, per quanto criticabile – una pace, per quanto temporanea e non libera, non del tutto. Se c’era, Zelensky ha provveduto ad eliminarlo, nelle “liquidazioni” vecchio stile cui periodicamente procede.
Per fare un armistizio, soprattutto in una guerra che si è provocata, e che è in larga misura perduta, ci vuole uno che se ne assuma la responsabilità. E che sia anche una garanzia, di libertà e di integrità, per quanto concordata, e quindi accordata. Le altre condizioni ci sono. L’odio dei russi in Ucraina non è così radicale come l’Occidente è stato portato a credere, malgrado le distruzioni e i lutti della guerra. Né la Russia può pretendere che un terzo dell’Ucraina sia suo “territorio nazionale”. Ma per sapere tutte queste cose bisogna trattare. E il Pétain ucraino non c’è, non si vede.
Di Pétain si potrebbe anche argomentare che, accettando l’armistizio, ha tenuto un largo pezzo della Francia intatto, per la riscossa. Ma, certo, in Ucraina nessuno sbarco è previsto.

Ma la Nato ha perso la guerra

L’Ucraina “diverrà un membro della Nato. È questione di quando, non di se”, afferma il segretario dell’Alleanza Atlantica Stoltenberg. Nomen omen? Perché allora la Nato ha perso la guerra.
La Nato è impotente. Ha portato l’Ucraina a sfidare la Russia, e ora si limita a fare “la faccia feroce” – era questo uno dei canoni della tecnica militare borbonica detta dell’ammuìna, del fare finta: “Facite ‘a faccia feroce!”
Gli Stati Uniti non sono minimamente interessati a una guerra contro la Russia. Aiutano l’Ucraina quanto basta per rinnovare i propri arsenali – e tenere l’Europa in guerra. E l’Europa è al solito “vorrei ma non posso”. Ora si parla di difesa europea, e già parlarne sembra rivoluzionario. Ma sul niente: non ci sono, e non ci saranno in tempi prevedibili, eserciti, comandi e piani militari integrati, una strategia europea.  Per ora c’è l’assurdo che la Ue, una quasi nullità in termini di potenza militare, ha speso per la difesa 240 miliardi nel 2022 (e 286 miliardi nel 2023), contro gli 80 circa della Russia, che è una superpotenza militare ed è in guerra. Macron, poi, è il tipo dell’“armiamoci e partite”- è bellicoso solo per non cadere nel vuoto al voto europeo tra due mesi, è un presidente che nessuno si fila.
La strategia americana è evoluta - ma forse solo si precisa - verso uno stallo. Che sarebbe un po’ un cappio attorno all’Europa, anche se di questo non si discute. Volendo razionalizzare, è come se gli Stati Uniti avessero condotto l’Europa a uno stato di tensione permanente, ineliminabile in tempi prevedibili. Aleggia ancora il “fuck the Eu”, il vaffa alla Ue, dieci anni fa, prima della crisi di Crimea, della vicesegretaria del dipartimento di Stato di Obama (e di Biden, allora vice di Obama), al suo ambasciatore a Kiev, che le opponeva le riserve europee sul rischio di precipitare le cose in Ucraina contro la Russia. E l’avvertimento (pubblicato da wikileaks) dell’ambasciatore americano a Mosca nel 2008, Wiliam J. Burns, che l’1 febbraio di quell’anno mandava a Washington un’analisi allarmata con questo titolo: “Nyet significa nyet. Le linee rosse della Russia all’espansione della Nato”. Nel testo specificando che l’Ucraina nella Nato era ipotesi irricevibile a Mosca. Burns è il capo della Cia della presidenza Biden.
La Russia non è un nemico americano. Non c’è paura, non è più la Russia che minacciava la proprietà, non interessa all’opinione. Sui media la guerra c’è poco o niente – le cronache, rare e distanti, per lo più sceneggiano confidenze dei vari servizi di intelligence. Sui social è assente. La guerra non c’è neanche nella campagna elettorale. In Congresso c’è stallo sui finanziamenti. Ma non perché i Repubblicani mettono in difficoltà la presidenza Biden: molti Repubblicani sono a favore, molti Democratici sono contro.

Dal superbonus al giubileo, il sindaco della provvidenza

 Imperturbato Gualtieri, oggi sindaco di Roma, prosegue dal Campidoglio la frenesia spendereccia che lo contraddistinse al ministero dell’Economia. Oggi per i mile o duemila appaltatori romani, grazie ai fondi speciali per il giubileo (essere sindaci di Roma al quarto di secolo è una pacchia, paga tutto lo Stato). Quando fu all’Economia col miracolo del superbonus, che secondo gli ultimi calcoli del suo ex ministero costerà 200 miliardi. Un’enormità, anche Paperone si sarebbe spaventato. Di cui avrà beneficiato il 4 per cenrto delle abitazioni civii. Un gigantesco privilegio.
L’ex ministro ora sindaco fa come se niente fosse. Ma nessuno gliene chiede conto. I suoi amici fanno sapere che la colpa è della Ragioneria Generale, che non ha calcolato il costo del bonus. Ma la Ragioneria le obiezioni le aveva fatte. Qualcun altro rovescia le responsabiltà sugli uffici legislativi del ministero dell’Economia. E qui la colpa è evidente: la tecnica legislativa collaudata si cautela sempre con un plafond, raggiunto il quale la norma che aziona la spesa cessa di validità. Mentre qui si sono spalancate le porte. Non un errore, troppo marchiano – un limite alla fine è stato posto, il termine temporale, ma congegnando la norma in modo che il termine dovesse slittare.
Ma Gualtieri è come se non ne sapesse nulla. Come non ne sa nulla l’allora sottosegretario grillino alla presidenza del consiglio, suo interfaccia per la supermiliardaria regalia miliardaria, Lorenzo Fraccaro. Che oggi, trombato alle elezioni, mette a frutto, anche lui, il superbonus: fa il consulente per sanare i danni prodotti dalla sua, e di Gualtieri, legge. Da libero professionista, in primari studi tributari. Un “campo largo” di bonus.

La storia di Israele di usare il cibo come un’arma

Centinaia di migliaia di persone a Gaza sono alla fame, “un disastro opera dell’uomo, con radici nella storia d’Israele di usare il cibo come un’arma”. L’articolo ripercorre la serie di annunci israeliani dopo il 7 ottobre di voler ridurre Gaza alla fame. Non è una novità, è la politica israeliana di occupazione dei territori palestinesi, argomentano gli autori, con la somministrazione delle forniture di acqua e elettricità, e il controllo dei mercati e gli approvvigionamenti. Contraria al diritto internazionale. Specificamente allo Statuto di Roma – l’atto con cui il 17 luglio 1998 fu creata la Corte Penale Internazionale, in vigore dall’1luglio 2002”: lo Statuto definisce “un crimine contro il diritto internazionale «l’utilizzo della fame dei civili come metodo di guerra»”.
Haddad è una giovane avvocata palestinese specializzata in diritti umani. Gordon, oggi sessantenne, israeliano di terza generazione, è stato parà da soldato di leva, mutilato di guerra nel 1985, alla fine dei tre anni di invasione del Libano. Nel 1999, a 35 anni, si è addottorato in Diritto Internazionale, e lo ha insegna all’università Ben Gurion, direttore di Dipartimento, ordinario dal 2015. Ma da un quindicennio sostenitore del boicottaggio di Israele, che ritiene “un regime di apartheid”, per i diritti umani contro le politiche dei governi Netanyahu.
Un articolo polemico. Gordon è anche l’autore, insieme con Nicola Perugini, di due libri radicali sui diritti umanitari: “The Human Right to Dominate” e “Human Shields”, contro il diritto al dominio, e contro l’uso militare dei civili. Ma la sostanza dell’articolo-denuncia è confermata dal bombardamento ieri a Gaza del convoglio che trasportava beni di conforto per i profughi. Che non è stato un incidente, ma un’azione di guerra, programmata e gestita a lungo, in situazioni diverse, per scoraggiare le organizzazioni umanitarie.
Questo è anche il parere, per la guerra in corso, del demografo Stefano Della Pergola, direttore emerito del dipartimento di Studi ebraici all’università di Gerusalemme, (intervista sul “Corriere della sera”, 2 aprile: “Israele sa distruggere, ma non sa che fare dopo”.
Neve Gordon e Muna Haddad, The Road to Famine in Gaza
, “New York Review of Books” 1 aprile 2024

martedì 2 aprile 2024

Secondi pensieri - 531

zeulig


Destra e sinistra – La superiorità, culturale, mentale, perfino economica (di stili di vita), che connota la sinistra, e il disprezzo dell’avversario, Walter Benjamin stigmtizza(va) nel 1931, nella recensione-stroncatura dei “tre grossi volumi” delle poesie di Erich Kästner – “Malinconia di sinistra. Sul nuovo libro di poesie di Erich Kästner”: “l’ironia”, “l’impertinenza”, “la grottesca sottovalutazione  dell’avversario”  dice “un fenomeno di disgregazione borghese”. Specifica anche analiticamente come. In sintesi: “I pubblicisti del tipo di Kästner, Mehring o Tucholsky, i radicali di sinistra, sono la mimetizzazione proletaria della borghesia in sfacelo. La loro funzione è quella di creare, dal punto di vista politico, non partiti ma cricche, da quello letterario non scuole ma mode, da quello economico non produttori ma agenti”. Consumatori si sarebbe detto successivamente, di “vacanze intelligenti” e seconde case o “castelli in campagna” per il  week-end. W.Benjamin li individuava nel protagonismo culturale, sprezzante: “Da quindici anni in qua questi intellettuali di sinistra sono stati ininterrottamente gli agenti di tutte le congiunture culturli, dall’attivisno all’espressionismo fino alla Nuova Oggettività. Ma il loro significato politico si riduceva a convertire riflessi rivoluzionari, nella misura in cui apparivano nella borghesia, in oggetti di distrazione, di divertimento, di consumo”.    
 
Bobbio, che si ripropone, andrebbe contestato lapalissianamente: la libertà è il fondamento della democarzia, ma siamo liberi in quanto non siamo uguali. Siamo liberi anzi in quanto siamo diversi, assolutamente diversi gli uni dagli altri. Liberi vogliamo essere non per essere uguali ma differenti, per poter essere noi stessi e non altri, sudditi, succubi  o gregari. L’uguaglianza si direbbe il fondamento inverso, delle civiltà e delle politiche di massa, dei totalitarisimi – era spietata l’uguaglianza sotto Stalin se non sotto Mussolini.
Una contraddizione, anzi un contrasto, che si risolve in un quadro societario, comunitario, che sappia superare la contraddizione – la “fratellanza” che la Rivoluzione aggiunge a libertà e uguaglianza.
L’uguaglianza può ben essere di destra, dittatoriale, totalitaria.
 
Fascismo – È risorgimentale. Mussolini lo era. Nelle celebrazioni del centocinquantenario dell’unità, solo An ricordava Mazzini, al Gianicolo. E il Risorgimento anch’esso voleva un’Italia unita per essere potente, prima fra le nazioni. Nel mito di Roma, come recita anche l’“Inno” di Mameli: “Dov’è la vittoria? Le porga la chioma che schiava di Roma Iddio la creò”.
 
Intellettuale – Nasce, come si sa, con l’illuminismo. Nel quale però doveva avere e mostrare radici culturali salde. S’impone e degenera con i media, con la “riflessione” qui e ora.
 
Malinconia – Quella dell’intellettuale W. Benjamin dice effetto della stitichezza - “Malinconia dell’intellettuale”: “Da sempre la stitichezza si è accompagnata con la malinconia”. O non ne è la causa? La disappetenza, l’inerzia, l’immobilità, l’isolamento – non uscire di casa, niente aria, niente moto, o altrimenti con dispetto.
 
Nazione – È un concetto di sinistra, all’origine. I paesi o i popoli che si liberavano dell’Impero, “sacro” e “romano”. Di culture anche, che si affermavano fuori o contro quella decidua se non morta di una latinità perenta – delle lingue, delle leggi, delle sensibilità. Delineando dei quadri o contorni contestabili, ma nell’insieme coesi, o convergenti.
(Non) per questo benefica, non del, tutto: è la rottura dell’unità, di Astraea, della giustizia universale. E l’idea di popolo o di patria non implica libertà e tolleranza, la coesione vuole impositiva.  E bellicosa. Ha fatto più guerre, e più micidiali, la nazione che non le tirannidi o l’0impero. La nazione è divisiva. Lo è stata nella storia, e forse non può essere altrimenti, lo è per natura, dopo aver praticato le giaculatorie di buona volontà.
 
Opinione pubblica – È il fulcro e il. crogiolo della democrazia, una comunità d’intenti, una unione. Tocqueville lo spiega nel discorso di ammissione all’Accademia di Francia, quando criticò l’Illuminismo in quanto individualistico – in polemica con l’intellettuale, il “chierico” di J. Benda un secolo dopo, il “maestro estraneo”: “La nuova filosofia, sottomettendo al solo tribunale della ragione individuale tutte le credenze, aveva reso le intelligenze più indipendenti, più fiere, più attive, ma le aveva isolate”. Esponendole al rischio “che il potere finisse per dominarle tutte. Non perché aveva con sé l’opinione pubblica, ma perché l’opinione pubblica non esisteva più”.
Oggi, nell’eclisse dell’intellettuale, è però perfino più facile dissolverla. Per l’uso distorto del suo luogo proprio e fondamento, la discussione pubblica attraverso i media. Sotto la ferocia squisita del potere che si nega, quello dell’apparato repressivo giudiziario. La disaffezione elettorale ne è la manifestazione evidente – e le oscillazioni dei votanti residui.
 
Stupidità – Oltre che della manualistica (Jean Paul, il più attinente, Musil, Flaubert et al.), è ricorrente ne breve scritto di Walter Benjamin intitolato “Malinconia dell’intellettuale”, la recensione-stroncatura delle poesie di Erich Kästner raccolte “in tre grossi volumi”, nel 1931. Eccezionalmente virulenta - specie per un mite: Kästner è colpevole di “stupidità tormentata”. Definita come “l’ultima delle metamorfosi che la malinconia ha subito nel corso di duemila anni”. Effetto di un sinistrismo stitico: “Il brontolio che si ode in questi versi ha più della flatulenza che della sovversione”.  

zeulig@antiit.eu

Che fatica, la famiglia multirazziale

Alla multirazzialità sia arriva facile, per immigrazione e per incroci di copia. Ma gestirla non è facile, in una famiglia latina e non quella anglosassone da manuale. Dove cioè la famiglia c’è, e conta. La serie francese è al terzo capitolo, vuol dire che il tema è comune, anche se si ride.
Quattro figlie significano quattro generi, che nel caso sono di diversa provenienza: un africano, un algerino, un cinese e un ebreo. E quando per i quarant’anni di matrimonio degli amati genitori le quattro figlie decidono di coinvolgere nella festa i suoceri - solo i suoceri, non le cognate e i cognati, con i nipoti acquisiti - equivoci e bizzarrie non si contano. Fra consuoceri, e fra genitori e figli.
La serie è ottimista – tutto si risolve. Ma che fatica: si fa festa all’ultimo minuto, giusto per essere sopravvissuti.
Philippe de Chauviron, Riunione di famiglia - Non sposate le mie figlie, 3
, Sky Cinema

 

lunedì 1 aprile 2024

Letture - 547

letterautore


Dostoevskij – Reazionario – anarchico reazionario? La prova decisiva si troverebbe in Nina Berberova (“Il quaderno nero”, o. 45), che ne mette in rilievo la diffidenza o contrarietà contro la civiltà: “Dostoevskij scrive (nei “Ricordi del sottosuolo”) che la civiltà non porta nulla di nuovo, complica solo le cose. La civiltà non è che una complicazione della vita, l’esistenza a un piano si trasforma in esistenza a più piani. Poi su questo edificio cominciano a sorgere torrette e balconcini di ogni genere e le dépendances si riempiono di mezzanini. Questo gotico-rococò fasullo diventa improvvisamente un intralcio”.
 
Giuramento fascista – “Durante il fascismo il nonno voleva evitare di giurare”, ricorda sul “Corriere della sera” Roberto Einaudi, nipote di Luigi, l’economista poi presidente della Repubblica: “Ma è stato persuaso a farlo da Benedetto Croce. Gli disse che se avesse rifiutato avrebbe lasciato il posto a un fascista, costringendo i giovani a imparare da una persona non libera. Croce gli consigliò di fare uno spergiuro mentale al momento del giuramento”.
 
Gogol’ – È in Ucraina - Gogol’ ha vissuto fino ai vent’anni a Kiev, suo padre era un drammaturgo ucraino, di lingua russa - l’origine della grande narrativa russa, e del “mito” di Pietroburgo? In Gogol’ più in Puškin, suo coetaneo e amico? È quel che si legge nei materiali che accompagnano la riedizione Adelphi delle “Memorie di un pazzo”.
“Siamo tutti usciti dal cappotto di Gogol’”, è frase famosa di Dostoevskij, per dire che la narrativa russa è cominciata con Gogol’ – “Il cappotto” è un suo racconto, parte della raccolta “Racconti di Pietroburgo”.
 
“Gogol’ è Martedì nel romanzo di Chesterston «L’uomo che fu Giovedì»” - Nina Berberova, “Il quaderno nero”, 129 (dove trova l’equivalente russo di personalità e personaggi letterari europei).
 
Italiano – “L’aggettivo «italiano» nel mondo musicale del Settecento…. era sinonimo del più aggiornato e pregiato stile internazionale, le cui caratteristiche, maturate nelle scuole, nei teatri e nelle chiese del Bel Paese, erano valuta di corso continentale, fatte proprie da schiere di compositori nati al di là delle Alpi, che spesso attraversavano per compiere il loro apprendistato a Roma, Napoli, Milano. Non a caso, tra i principali artefici dell’opera italiana del Settecento si contano Händel, Gluck e Mozart” – Raffaele Mellace, “Il Sole 24 Ore Domenica”.
 
Letto matrimoniale – Nina Berberova, donna indipendente, russa per una vita apolide, ne fa l’elogio impromptu un giorno di dicembre 1940, nella sua casa di Longchêne vicino Parigi: “La stessa camera, lo stesso letto, la stessa coperta. Chi non capisce questo, non capisce niente in fatto di matrimonio. Se si ha paura di questo, allora è inutile sposarsi. Durante il giorno la vita talvolta divide, raffredda, fa vacillare, lacera qualcosa. La notte tutto si ricompatta. Un corpo sostiene l’altro con il suo tepore (se non con il calore)” – (“Il quaderno nero”, pp. 48-49).
 
Malinconia di sinistra – È il titolo di una recensione di Walter Benjamin, nel 1931, alla raccolta di poesie del “ribellista” Erich Kästner. Donatella Di Cesare vi si è appellata in una intervista con Francesca Sforza su “La Stampa” come ispirazione del suo epicedio in morte di Barbara Balzerani, una delle brigatiste più feroci: “La tua rivoluzione è stata anche la mia. Le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia un addio alla compagna Luna”. Ma la “malinconia” di Benjamin era una stroncatura, il mite critico la stigmatizzava feroce – anche lui, per una volta: come di “un nichilismo” piccolo borghese, un “tipo particolare di disperazione: la stupidità tormentata”, “un fenomeno di disgregazione borghese”. Ne tratta a lungo, sempre arrabbiato. In particolare spiega: “L’odio che essa proclama contro la piccola borghesia ha a sua volta un accento piccolo borghese”, come da linguaggio, rivelatore.
 
Penitenza ecclesiastica – Era pena sostitutiva in Russia ancora nel secondo Ottocento, analoga a quella attuale ai servizi sociali. Nel racconto di Tolstoj “Il diavolo”, il protagonista, colpevole della morte dell’amante, viene condannato in assise alla “penitenza ecclesiastica”. “Le giurie popolari erano state istituite da poco tempo, pertanto gli venne riconosciuta una temporanea infermità mentale e la condanna si ridusse alla penitenza ecclesiastica. Era stato in carcere per nove mesi, e al monastero rimase un mese soltanto”.
 
Primavera – È stagione di grandi racconti, fa notare un lettore, Fabio Fiaschi, sul “Robinson”. Del “Maestro e Margherita” di Bulgakov, dell’“Ulisse” di Joyce, delle fantasie della Bovary di Flaubert, del Werther di Goethe, dell’Anna Karenina di Tolstoj, e dell’Aschenbach, forse del giovane Tadzio, di Thomas Mann, “La morte a Venezia. Nonché Alda Merini, nata un 21 marzo.
Ma in poesia è tema comune. Di Leopardi naturalmente, come di Pascoli. Di Ungaretti, di Pavese. E Shakespeare, Dickinson, Wordsworth, Neruda. Perfino di Oscar Wilde: “Una volta era sempre primavera nel mio cuore”, lamenta del “De Profundis”
 
Repubblica romana - “Una preziosa ma effimera Repubblica animata da patrioti liguri”, Aldo Cazzullo.
Roma ha pero “custodito di più la memoria del Risorgimento” di più che Milano, “dal teatro al cinema, da Rugantino al film di Magni”.
 
Russia – In letteratura è ridotta a “Tolstoevskij”. S’indigna per questo Nina Berberova, “Il quaderno nero”, p. 129: “Cosa succederebbe se in Francia tutta la critica storico-letteraria si aggirasse intorno a Flaubalzac, come da noi intorno a ‘Tolstoevskij’?”.
È qui che s’indigna per la riduzione di Gogol’ a “Martedì nel romanzo di Chesterston ‘L’uomo che fu giovedì’”. E per gli apparentamenti: “Majakovskij è Kipling. Puškin è insieme Pope, Coleridge e Byron”.
 
Shakespeare – Giovanna d’Arco fa santa nell’“Enrico VI” – che la chiesa invece santificherà solo il 18 aprile 1909, papa Pio X. “Virgin from her tender infancy, Chaste and immaculate in very Thought” Shakespeare la fa nelle parole dei francesi, del “delfino” Charles, mentre gli inglesi poi ne diranno male. Con partecipazione: “Sweet virgin”, “Divinest creature, Astraea’s Daughter…. Glorious prophetess”. Il Delfino profetizza pure che sostituirà san Dionigi quale protettore della Francia: “No longer on Saint Denis will we cry,/ but Joan la Pucelle shall be France’s saint”.
 
“Ci sono tanti nemici in Shakespeare”, nota Gertrude Stein, che si professa cultrice della sua opera, nei due anni che passò a Londra nel 1910-11, e dopo –“Le guerre che ho visto”, 47.
 
Tolstoj – “L’Omero del mondo cristiano”, Gianlorenzo Pacini, postfazione a “Il Diavolo e altri racconti” – per “l’olimpica serenità con cui tutti i lati della vita vengono accettati e descritti… congiunta con senso di umana partecipazione”.
 
Nichilista secondo Gor’kij, nel saggio “Lev Tolstoj”. Nela sua ultima fase, la sua predicazione Gor’kij dice “il più profondo e feroce nichilismo”. Era un aspetto della Russia urbana del tempo di Tolstoj.

letterautore@antiit.eu

Cronache dell’altro mondo – plutocratiche (263)

La più grande e solida democrazia del mondo ha la più elevata concentrazione della ricchezza: un terzo della ricchezza americana - il 30 per vento per l’esattezza - è posseduto dall’1 per cento della popolazione. Due terzi della ricchezza - il 67 per cento - sono posseduti dal 10 epr cento della popolazione (Federal Reserve Usa, “Monetary Policy Report”, marzo 2024))
 
P.S. “La Lettura” dà all’1 per cento più ricco degli Usa, nell’ultimo grafico Visual Data (24 marzo), solo il 20 per cento della ricchezza. Ma su dati anteriori che risentivano del rallentamento covid.  
Nei grafici “La Lettura” la quota del reddito nazionale detenuta dall’1 per cento più ricco della popolazione è massima nell’ex Terzo Mondo: Messico 26,8 per cento, Perù 25,2, Cile 23,7, Costa d’Avorio 21, Costa Rica 20,9, Libano, 20,5, Brasile 19,7, Colombia e Sudafrica 19.3.
La Russia, l’ex paese del comunismo, viene al terzo posto, col 23,8 per cento – la Georgia segue, col 18,5.
La classificazione “La Lettura”, di Federica Fragapane, non è mondiale, riguarda “una selezione di 30 paesi”. In Europa viene prima la Danimarca, con un tasso quasi terzomondista, 18,6 per cento.
L’Italia figura nel Visual Data della ricchezza fra i primi dieci paesi al mondo per numero di miliardari, al sesto posto ma quasi alla pari col quinto, Hong Kong, 64 contro 66 miliardari – e prima della Gran Bretagna, decima con soli 52 superricchi.  

Ritornano le cineserie

Ukiyoe sta per “immagine fluttuante”. La calligrafia e la soggettistica della “pittura” giapponese Kyoto in epoca Edo, tra fine Seicento e primo Ottocento, del governo militare dei Tokugawa, con largo spazio per i piaceri privati. In xilografie. Su carta per lo più, talvolta su seta, in rotoli, da appendere o srotolare, grandi paraventi, e stampe in policromia. Opere di una trentina di artista, ma soprattutto di Utamaro, Hiroshige, Hokusai e la scuola Utagawa. Di soggetti borghesi – Tokyo era già borghese, a differenza di Kyoto, ancora classica, imperiale: mercanti, e donne. Donne soprattutto, di varie arti, prevalentemente erotiche, a vario titolo, anche non mercificato. Con un po’ di teatro, costumi e maschere Nô e Kabuki. Ritornano le cineserie, qui “giapponeserie” di fatto - ma la tecnica dell’ukiyoe veniva dalla Cina. Non nel senso della ricerca artistica-pittorica degli anni 1950-1960, di segno, carattere, macchie, neri, ma in senso proprio, dell’infatuazione Fine Secolo, fine Ottocento. Diafanie, di figure stilizzate.
A Roma la mostra itinerante della collezione genovese di arte orientale intitolata al donatore, il collezionista Edoardo Chiossone, lui stesso incisore, è iperaffollata – forse anche perché ospitata in locali angusti, con illuminazione da alcova e didascalie micro. Malgrado il prezzo elevato. Con aperture straordinarie nei giorni di riposo e serali.
Ukiyoe. Il mondo fluttuante. Visioni dal Giappone
, Roma, Palazzo Braschi

 

domenica 31 marzo 2024

Ombre - 713

Analizzando dati di 20 paesi sviluppati, l’“Economist” trova che, mentre vent’anni fa non c’era differenza tra giovani maschi e femmine (18-29 anni) su chi si diceva liberale più che conservatore, ora c’è una differenza di 28 punti: i giovani maschi sono più anti-femministi dei genitori.
Sondaggi condotti in 27 paesi europei, in Gran Bretagna, in Corea e in Cina dicono che i maschi sotto i trent’anni sono più portati degli ultrasessantacinquenni a considerare che “il sostegno ai diritti delle donne è andato troppo oltre”.
 
Le donne giovani letteralmente “volano avanti” dei maschi negli studi – sempre secondo le analisi  dell’“Economist”: “Nell’Unione Europea un buon 46 percento di esse raggiugono un diploma, contro il 35 per cento dei ragazzi, “un gap che è raddoppiato da 2002”. All’inverso, i ragazzi superano in numero la ragazze al “fondo della scala scolastica”: “Nei paesi ricchi, il 28 per cento dei ragazzi non riesce a imparare a leggere a livello basico. Per le ragazze la percentuale è il 18 per cento”.
 
Diminuiscono gli sportelli bancari, di un migliaio l’anno, aumentano le retribuzioni dei manager, legate agli utili - arriva a quasi 10 milioni il più pagato in Italia, Andrea Orcel di Unicredit.
La banca funziona meglio con meno dipendenti? I correntisti vengono strizzati meglio, con meno servizi? 

È anche vero che Unicredit si è rivalutata in Borsa di quasi l’80 per cento nel 2023 (superata solo da Leonardo-Finmeccanica, armamenti, grazie alle guerre), il titolo più scambiato in Borsa, per 74 miliardi. E del 38 per cento in questi tre mesi.
 
Torna al governo a Varsavia l’“americano” ex presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, e subito è “guerra con la Russia”. È un caso? No.
 
"Non mi candiderò mai e poi mai alle Europee. Né con il Pd né con nessun altro partito”, solenne Lucia Annunziata annunciava a settembre, in vista delle Europee otto mesi dopo. Ora che si fanno le liste, sgomita per una candidatura “sicura”. È sempre come alle vecchie fiere, tra sensali: chi disprezza compra.
 
“Style”, il magazine maschile del “Corriere della sera”, si sfoglia con servizi e proposte del diritto delle donne a “tradire”,  e ad “abortire con leggerezza”, delle donne “forti e terribili, potenti e temibili”, delle donne che infransero le regole”, del queer pop, delle drag queen, del diritto delle trans alla parità di genere, di Alba Flores, “la donna che decretò l’inizio del matriarcato. Per  vendere roba (pubblicità commerciale e pubblicità redazionale) da migliaia di euro al pezzo. In copertina un tailleur binario di Dolce e Gabbana. Alla fine uno sbuffo: “La medicina dovrebbe considerare anche le persone non binarie”. Settanta centesimi per farsi venire il bisogno urgente di cambiare (aria, paese, giornale)?
 
Aumenta ogni mese la bolletta del Superbonus, di 5-10 miliardi che paghiamo e pagheremo con le tasse. È già a 115 miliardi, buco enaurme, per dirla con padre Ubu. Ma sono soldi veri, non da Monòpoli.  Una frana, uno sfacelo. I cui autori sono sempre protagonisti della politica, a sinistra. E si atteggiano a mortalisti, sempre a sinistra.
 
Il giudice del calcio, Mastrandrea, dice che he le offese di Acerbi a Juan Jesus, “non disconosciute dal medesimo offendente”, tuttavia non sono certe, perché non profferite “platealmente”, ma “con modalità tali da non essere percepite dagli altri calciatori in campo, dagli ufficiali di gara, dai rappresentanti della Procura a bordo del recinto di gioco”. C’è dunque una logica “mastrandreana” - o calcistica (ipocrita)? Le “modalità tali da non essere percepite” si riterrebbero aggravanti, di un reato “non disconosciuto dal medesimo offendente”. Ma dove li trovano, i giudici ci vogliono togliere anche il calcio  
 
Ma ci sono pure, nelle partite, dei “rappresentanti della Procura a bordo del terreno di gioco”? Per vedersi la partita gratis? Magari spesati, con trasferta e diaria, o a a piè di lista. Una fogna senza fondo.
 
“Cameron Diaz di nuovo mamma a 51 anni”. Emozione. Anche per l’età. Ma lei ha voluto il secondo figlio, assolutamente. Il primo del resto l’ha avuto poco tempo fa, “era diventata genitrice la prima volta nel dicembre 2019”. Con la maternità surrogata, cioè comprata. Senza scandalo.
 
“Una pratica abbastanza diffusa a Hollywood, quella delle madri surrogate: prima di Diaz, anche Kim Kardashian, Naomi Campbell,  Sarah Jessica Parker”. È più comodo. Comprare il figlio adesso è parte della società dei diritti. Molto democratica, per i ricchi. Fino a ieri era illegale, ma era un’epoca autoritaria.

Ossessione Tolstoj fra sesso e morte

Racconti del mondo rurale. Ignorante: il valore della cartamoneta si individuava e designava per il colore, i “limoni”, i rossi, i turchini. Promiscuo: si dormiva tutti nello stesso letto. Sudato e sporco. Ma con donne giovani e forti.
Quattro racconti che sono “tutto Tolstoj”, abbracciano i suoi cinquant’anni di attività letteraria.
Tema conduttore, si dice, il sesso. Secondo qualcuno sarebbe stata l’ossessione di Tolstoj, già prima, molto prima, della conversione socio-religiosa. E in questi racconti le situazioni, se non i toni, sono boccacceschi: mariti ignari, mogli procaci e provocanti, situazioni e tutto il complesso fisico della seduzione, sguardi, bocche, parole, mostrarsi e non mostrarsi, invitare e beffare. Ma, a leggerli di seguito, il filo è dell’ansia o ossessione della morte – filo che si rintraccia anche nei grandi romanzi, in “Guerra e pace” naturalmente, in “Anna Karenina”. L’annullamento di sé nel “Diavolo”, morti violente negli altri racconti. Senza forzature, morali o ideologiche. E anzi con leggibilità persistente, con la scrittura fluida e solida che anche in questi racconti fa il Grande Narratore. Ma con tensione percettibile.  
Il sesso qui è la contadina. Giovane, i piedi scalzi, le scarpe in mano, la gonna tirata su sui polpacci solidi, lo sguardo vispo, la battuta pronta, si direbbe un modello di seduzione. Ma era un mondo di fango e fieno. E Tolstoj era un altro, il
barin snob se non ricco, non il moralista della vecchiaia. La sua contadina è il suo “andare verso il popolo”, da giovane e meno giovane, nobile e padrone di campagne, nella “possessione” inevitabile. Anche se, pare, un figlio con una contadina l’ha fatto. Oltre ai tredici con la giovane moglie, di 32 anni minore (Tolstoj ragazzo era innamorato della madre di lei, che gli passava un anno o due), e “Il Diavolo”, benché tornito e ritornito, si tenne chiuso nel cassetto.   
Una raccolta forse casuale. Insieme col racconto più famoso, quello lungo del titolo, uno dei primi racconti di Tolstoj, “Tre morti”, e due altri racconti lunghi, “Idillio”, non finito, nel senso di non licenziato, anch’esso postumo, e “Il divino e l’umano” - titolato anche “Altre tre morti”. Qui peraltro niente Boccaccio, solo morte, per terrorismo - un racconto che si potrebbe leggere ambientato in Italia un secolo dopo, tal quale, variando solo i nomi (il terrorismo non ha varianti?).

Lev Nikolaevič Tolstoj, Il diavolo e altri racconti
, e\o pp. 185 € 10