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sabato 6 giugno 2009

L'Enel (l'industria) batte la crisi

Aumento di capitale ampiamente sottoscritto in quattro giorni, l’Enel fa un passo decisivo in una situazione critica. Il ricorso al mercato nel generale scetticismo dei consulenti d’affari, sulle strategie di crescita del gruppo elettrico, specie nella crisi profonda e perdurante dei mercati finanziari, ha vinto senza resistenze - un aumento record di capitale in Italia, e probabilmente il maggiore nei mercati mondiali da un anno a questa parte. Effetto delle condizioni di particolare favore, a uno sconto non rifiutabile, su un prezzo ben inferiore alle quotazioni originarie, di cui una quota consistente è ripagata a breve dal dividendo 2009. Effetto anche delle scarse opportunità di investimento per il tipico azionista Enel, uno che in alternativa ha i bot. Ma effetto anche della strana crisi.
La sfiducia massima è riposta nei mercati finanziari, compresi gli stessi consulenti d’affari che fanno l’opinione, ma nel fondo c’è la tenuta dell’industria – vedi i casi della Fiat e ora dell’Enel. Per una tranquilla certezza più che per una voglia. Lo strano di questa crisi è che non c’è stata la corsa alla tesaurizzazione, la liquidità è sempre abbondante, malgrado il credit crunch (ma quello è l mondo delle banche - che intanto raddoppiano le tariffe dei servizi: non le incrementano, del cinque, del dieci per cento, semplicemente le raddoppiano, sotto l'occhio benevolente della Banca d'Italia, il loro gendarme…. ). Questa crisi è come in un film, in cui i cattivi si confrontano come i buoni, e la rappresentazione sembra funzionare.

Virtuosismi in bicicletta

Un gioiello, e più per il “Coppi e Bartali” di Gianni Mura che lo accompagna che per quello di Malaparte, d’autore. Che invece fa un inno alla bicicletta, quasi spontaneo, da collezione.
Curzio Malaparte, Coppi e Bartali, Adelphi, pp. 56, € 5,50

Il mondo com'è - 18

astolfo

Civile – Società civile è una tautologia: socievolezza è civiltà. Ma non innocua: i buoni sentimenti sono in politica traditori. Per essi si diventa tiranni, e spie, traditori, assassini, qualcosa sempre di brutto. Chiudersi nel privato esaltandolo, e insieme pretendendo di essere migliore interprete e gestore della cosa pubblica, produce al meglio un volgare superomismo del tipo “signora mia!”. La politica è esercizio duro. Illuminato, colto, appassionato, ma freddo: deve muovere la macchina della storia, il potere, gli affari, e perfino, attraverso l’etica che è il fondamento delle leggi, i sentimenti.

Durezza - La politica della durezza (esclusiva), Marx, Nietzsche, Heidegger, è tedesca, non c'è in Machiavelli né in Hobbes.

Elettronica – Ha raddoppiato il costo della vita. Lo ha triplicato, con la manutenzione, e i ricambi originali. Come già la meccanica. E su questo presupposto si espande in ragione geometrica. Inspiegabilmente da un punto di vista razionale, di razionalità economica, dello sforzo minimo. La chimica invece, che riduceva costantemente prezzi e costi, scompare.
La partita dell’elettronica si gioca, come per la meccanica, sulla moltiplicazione del tempo e delle opportunità, e la riduzione dello spazio. E, contrariamente alla chimica e alla stessa meccanica, sulla pulizia-polizia. L’elettronica come l’eden: più tempo, più opportunità, più pulizia, più ordine. Ma è un’industria che, per la prima volta, asservisce più che liberare, a una catena produttiva costosa, complessa, interconnessa (monopolista), eterodiretta. Dando l’illusione della libertà estrema – non è ognuno il centro della comunicazione?

Giustizia - È somministrazione di pene. A ogni delitto si commisura una pena, e questo la giustizia amministra. Ma viene presentata come ricerca della verità. In tale veste è politica, deteriore perché non dichiarata, non qualificata, e non responsabile.
Nell’uso italiano è quella dell’arbitro di calcio: procuratore della Repubblica e insieme giudice, e anche un po’ maestro di scuola (gli arbitri amano le paternali).

Islam – Ha ancora la forza del Vecchio testamento: l’attesa ferma, la certezza, perché il mondo è sacro, è Dio. Che lo tiene unito anche nel proselitismo e nelle sette.
Non è irrazionale. L’ipotesi ce il mondo è sacro non è irrazionale.

Israele – Ha celebrato i sessant’anni, ma non la maturità – la pace con se stessa. Perché nasce da un atto di conquista, interinato. E perché la cultura ebraica – la psicologia – prospera per tradizione consolidata in simbiosi con l’Altro – una religione esclusiva, legata al sangue, ha prodotto l’unico vero cosmopolitismo.

Occidente – Nasce da una sconfitta, a opera dei greci. È il luogo del tramonto del sole, e della morte, in letteratura, al cinema, nella psicologia, nella filosofia.
Per l’abbondanza? È l’abbondanza che invoglia alla depressione (mancanza)? Non è la religione: non c’è cultura della morte (disfacimento) nella religione. Nemmeno nei cuori trafitti dei cattolici o nei riti prevalentemente funerari degli asiatici. O è un riflesso fisico, del sole che cade? Forse è semplicemente un tramonto marxiano, della cattiva coscienza.

È la cultura dell’autoaffermazione. Dei marginali, all’origine, dei provinciali, quando nell’appendice europea finivano coloro che per un qualche motivo non avevano posto nel corpaccione asiatico. Con l’agonismo contro il tempo, e col sistema logico, che privilegia il risparmio (affluenza), il progresso (moderno), il complesso. Mediante la forma espressiva del pep talk, l’autoconvicimento o autogratificazione: il giornalismo, la pubblicità, il voto, e l’esicasmo o giaculatoria, la ritualità come automatismo. Per questo la decadenza vi è rischiosa: spegne il motore.

È la cultura della decadenza, il culto del passato, della rovina, della morte. Dappertutto altrove invecchia e muore la natura, ma non la cultura.
È l’effetto del movimento a freccia, che il bersaglio intermedio sia fallito o sia centrato: c’è impazienza per il passato, che si vendica. L’Occidente è un arciere in corsa affrettato, che si vendica: capisce poco.

Forse non include abbastanza, ma è il solo mondo e la sola cultura che include.

Olocausto - Non è unico, con gli ebrei essendo stato perseguito lo sterminio anche degli zingari, i testimoni di Geova, gli slavi. Crimine contro l’umanità è certamente anche Hiroshima. E lo sono i bombardamenti, anche alleati, delle popolazioni civili.
L’unicità dell’Olocausto ha una valenza politica per Israele. Ma può – potrebbe – risultare utile anche alla cristianità, in Europa.

Pentiti – Indurre al ricordo è facile.

Tre pedigree sono stati ricostruiti per i mafiosi pentiti: l’untore manzoniano, l’infame, il sovveritore (terrorista). Ma il pentito opera nella legge, in combutta con l’inquirente. Il suo modello è il pentito dei processi politici, anch’essi legali, che dopo la guerra sono stati e sono comunisti – sovietici, castristi, asiatici – e islamici: il pentito si pente per un fine, processuale e politico.
Il modello è in Fortini, “Asia Maggiore”, dove racconta il processo a Hu Feng. Prima Hu Feng viene sotto accusa per le poesia. Poi per gli scritti teorici. Quindi per l’orientamnto politico. Infine, per il passato, dove si trova naturalmente di tutto. Qui intervengono i pentiti. Colore che, nati dal nulla, sono da credere perché si accusano degli stessi delitti di cui accusano Hu Feng.

È un mondo senza luce, sebbene magnificato da eccellenti autori di best-seller e dalle eccellenti tribune dell’antimafia. Sempre cupo, denso, senza trasparenza, senza un bagliore – nemmeno di violenza, la violenza vi è sorda. Perché è un mondo circolare, ce rimanda a se stesso. L’antimafia dovrebbe essere altra, radicalmente, dalla mafia – dal raggiro, il sopruso, la vendetta, la furbizia impunite. È vecchio e insolubile il dilemma della giustizia, che, egualizzando, elimina le distanze e quindi le diversità, tra bene e male. Ma è una necessità dolorosa, e essa stessa malefica.

Settecento – Faceva contenti i re e i maghi, sbugiardandoli – li teneva a distanza, in punta di penna.
Mai l’intellettuale è stato più libero – più influente. Con un artificio del tutto intellettuale, la lingua: l’autonomia (la libertà) garantendosi con la lingua. Compatta, semplice, significativa, senza abbellimenti e senza eccessi, di creste retoriche o profondismi psicologici (la psicologia non porta a nulla, è tautologica). Quindi inattaccabile. Ma efficace, molto più dei proclami ottocenteschi e dei piani novecenteschi. Da qui la stima perdurante dell’intellettuale, che invece da due secoli non conta nulla.

Sinistra – È falsa. È luttuosa – triste, pessimista. È moralista – la sessuofobia è nella mente della donna di sinistra. È vendicativa: personifica il nemico, odia le persone.
Non è ottimista, ecco dov’è l’inganno: non crea, non sviluppa, non libera.

Slavi – Nessuno è più naturalmente eccessivo degli slavi, in amore, fantasia, violenza – non di maniera, intellettualisticamente, come invece siamo noi euroamericani, del Gotama Cristo, culture giuridiche della società e della salvezza.

astolfo@antiit.eu

giovedì 4 giugno 2009

Le false partenze di Obama il Buono

Non ha avuto un debutto facile, col fallimento della General Motors, nientedimeno, e una possibile guerra nucleare in Medio Oriente. Ma di più Obama ha fatto di suo: come la mula del Berni, sta sollevando le pietre per inciamparvi dentro. Vittima della stessa voglia di piacere e compiacere che lo ha portato al successo: patronizing è la sua divisa, Obama passerà alla storia come il Buono, ma lo sta mettendo in un imbuto, e con lui il mondo.
Una falsa partenza Obama ha avuto con la crisi. Occupandosi delle banche, che non ne avevano bisogno, mentre invece è tutta l’industria americana che rischia di fermarsi, con la General Motors, l’energia (l’energia verde purtroppo fattura poco), e la stessa informatica. Una falsa partenza ha avuto con la Corea del Nord. Che vuol essere trattata col bastone, e non con gli squittii della signora Clinton. È così che dopo un lungo sonno Pyongyang può di nuovo pensare di annettersi Seul, l’impensabile. Una tripla falsa partenza ha avuto in Medio Oriente.
Obama ha convocato il governo israeliano a Washington, per chiedergli uno Stato palestinese. Non era sbagliato. Ma lo è diventato alla seconda mossa, il reverente omaggio ai rais e capataz arabi, col presidente degli Usa che si scomoda apposta per loro. E più per il deferente linguaggio - benché sempre informe, monotono, di chi legge sul “doppio gobbo” laterale, a destra e sinistra alternatamente - che usa in loro omaggio. Sta esaltando cioè il peggio del mondo arabo, e ancora non lo sa, perché è come se chiedesse loro perdono. Gli Stati Uniti non sono in guerra col mondo arabo, che anzi hanno sempre protetto, contro l’Europa, contro il sovietismo, contro la sovversione. Hanno solo protetto anche Israele, come è loro dovere – e come è ancora loro interesse. Il presidente degli Stati Uniti non è il papa e non ha mea culpa da recitare, perché tanto siamo colpevoli. Né ha un dialogo interreligioso da intrattenere. Non ha neanche della crociate da farsi perdonare, o delle scorrerie e avanzate turche da memorizzare, perché no. L’islam è adulto, è ricco, è forte, e quello di cui ha bisogno sono atti conclusivi, non le pacche sulle spalle per ottenerne dei bravo! bis! per il giubilo della piazza, che solo ne alimentano la sterile immarcescibile superbia.
Il risultato immediato è che nessuna pace sarà possibile. Tanto meno quella a due stati che Obama ha decretato prima di mediarla. Perché gli arabi non sono pronti, e Israele ora meno che mai. Un altro presidente, Carter, ha tentato al primo mandato una mediazione, ed ha ottenuto Camp David, il solo buon risultato in una guerra ormai di sessanta anni, la pace fra Israele e Il Cairo. Ma aveva a segretario di Stato un duro, Brzesinski, e non la signora Clinton, che non sembra capire come va il mondo. Fare il primo passo isolando Israele non è prenessa di nessuna trattativa - e uno scenario perfino si intravvede in cui Obama, che tanto ama essere popolare, non sarà rieletto.
Il tributo ai potentati arabi è fatto anche per irritare l’Iran. Un risultato concreto dle suo triplice errore sarà che l’Iran non si arresta e anzi avanza col programma nucleare. Nel mondo degli ayatollah tanta arrendevolezza ha un solo significato: incrementare la diffidenza, e lo spazio di manovra. Non ci vorrà molto per saperlo: dopo le elezioni, anche se faranno eleggere un moderato, non c’è dubbio che incrementeranno il contenzioso nucleare. Non c’era altra ragione per sperimentare due settimane fa il missile a lunga gittata. Che, anche se l’Iran dovesse, in cambio della luna, firmare il trattato di non proliferazione nucleare, comunque resta negli arsenali. Ma Obama non l’ha capito.

Secondi pensieri (26)

zeulig

Amore - Ha pochi anni, prima non c’era.

Incostante, è immutabile. Non è darwiniano.

Corpo
- Per il cristiano è tutto. Gesù Cristo è venuto in veste di guaritore, itinerante. Guariva lo spirito guarendo il corpo.

Dio – Per prima cosa è motivo di sfida, prima ancora della creazione. Quando era solo nei cili con gli angeli, anche questi lo sfidavano.

Filosofia – L’approccio razionale - con escursioni fantastiche che sono estensioni della razionalità (rovesciamenti, enucleazioni, focalizzazioni, e anche le religioni e i buoni sentimenti) - alla vicenda umana è inconcludente, è manifesto. Non c’è risposta perchè non ci può essere, è evidente. Forse un altro approccio potrebbe essere più concludente - più umano - della razionalità: il silenzio, o la violenza, il disordine. Non quello della scienza, dei “sistemi” disordinati, che usa il caos per arrivare a una ragione, ma la deriva all’inutile, all’insignificante.
O allora la vicenda umana, con tutte le sue estensioni logiche e oniriche, non è altro che una concrezione occidentale, come è avvenuto di altre specie animali altrettanto complesse, e altrettanto passeggere, in rapporto ai tempi dell'universo. L’uomo ha un inizio, perché non dovrebbe avere una fine.

Giornalismo – Abolisce il tempo, esercitandosi sull’istante. Anche se con sincronie e reminiscenze, ma volutamente senza memoria, l’arte di narrare il presente su esercita sul vuoto, se il presente è un essere in fieri, un’attesa, un continuo rinnovo.
È il presente il vuoto? Può esserlo, se è evento senza coordinate, temporali e spaziali – un prima e un dopo, un nord e un sud. La realtà è sempre residua, ed è la storia.

Identità – La crisi è essenzialmente letteraria, da Pirandello a Tabucchi, da Joyce a Bernhard. Di un personaggio, l’Autore, che si vuole fortemente identificato, seppure nella sua crisi.
La crisi è una tecnica di ricerca, un compiacimento estetico, un artificio narrativo (espositivo): l’Autore afferma orgoglioso l’incertezza del suo affermarsi.

Immagine – È, si dice, di qualcosa. Invece è di sé, uno specchio: Ovvero: quel qualcosa è l’Immagine.
Il rapporto è chiaro in pittura. La cosa (il soggetto) può solo interessare alla catalogazione iconografica, alle indagini sulla committenza, ma è, per storici e contemporanei, la sua immagine.

Incredulità – La Riforma è ritenuta volgarmente in Italia la rivoluzione della libertà. Ma altre strade ha percorso la verità in Occidente: Tommaso moro, Erasmo, Spinoza. Anche se dalla Riforma ha mediato, involontariamente, l’incredulità. L’incredulità non è principio etico, ma con essa la verità (libertà) si deve confrontare. Significativamente diverso è stato il Percorso della Riforma (v. Novalis, Max Weber).

Malinconia – Origina nelle pause. Voltandosi indietro, inevitabile si vedrà tutto quello che è stato e non sarà – da cui la vita come occasione perduta.

Misticismo – Wittgenstein, che parte da una logica pura, vi approda. È amore di se stessi, consolatorio. Al più alto grado, è vero.
Ogni metafisica vi approda: la realtà si trasforma da ente in simbolo. Esprime una forma di logica allegorica, di conoscenza per evasione, o volontaria.

Morte - È inaffidabile. Come il tempo, che ne è materia: si può essere morti anche ieri. E vivi dopo due millenni.

Sogni – Sono storie, dettagliate, teatrali o filmiche. Frammenti di storie, ripetuti, esagerati, e pieni del senso completo delle storie, che quindi sta in agguato, dietro. Oppure segnali: vibrazioni, stimoli, anch’essi ritornanti. Oppure reiterazioni ossessive. Tutti linguaggi ripetitivi, benché in immagine, manierati, e non inventivi. Sempre sono un fatto nervoso, per la ripetizione.

Sono ancillari. Da analista se uno se ne serve per l’analista, da poeta se fa il poeta, da filosofo, da narratore, da viaggiatore perfino, da metalmeccanico che uno fa il metalmeccanico, e ossessivi, depressivi, liberatori, raramente. Sono rivelatori ex post: partendo da esigenze e punti di osservazione post-stabiliti, quelli felici non essendo specialmente interessati – la felicità, per quanto rara, è piena.
Ma hanno sempre effetto cumulativo. Il che potrebbe voler dire ce liberano i felici e opprimono i depressi e i deboli.

Storia – Quella del popolo non si può fare. Quella materiale sì, ma non riguarda il popolo, se non come gli eventi naturali. Quella della mentalità no, è falsa ed è prepotente – alla stessa maniera degli archivi liberi popolari: è l’iniezione di messaggi sempre eterodiretti su una massa informe di notizie.
Dei periodi popolari la storia non c’è. Dell’alto Medio Evo, o dell’Italia democristiana. Non negli annali e nemmeno nella pietra, anche se i conglomerati casilini, tiburtini e tuscolani sono ben piantati e parlanti. I popoli entrano nella storia tramite la sovversione, altrimenti si lasciano fare.

Scaccia la vita: giorno dopo giorno, minuto su minuto, la respinge, la sommerge nella memoria. Che è la vita. La vita è la storia – che quindi si nega, respingendosi nella memoria.

Non è un ritorno, se non si può riportare il tempo indietro. La storia ti si attacca addosso.

È vagabonda, diverte molto gli storici. Ma, diceva Orfeo, è una palude.

Diverte molto gli storici forse perché, stando a Freud, è finita nell’infanzia, dopo è rimozione, invidia, aggressività, transfert. O è già finita nella vita prenatale? Allora è biologia?

La storia degli uomini è diversa da quella dell’universo: questa è democratica, uguale per tutti gli elementi, anche se selettiva, quella premia il successo – che è solo apparentemente una tautologia, direbbe Darwin.

I tanti discorsi che se ne fanno sono inconcludenti perché in realtà vogliono fissare la storia, Cioè fermarla, abbatterla, una contraddizione.

zeulig@antiit.eu

Letture - 9

letterautore

Freud – Ha creato un altro occhio sulla realtà. Una terapia che è una forma di conoscenza. Che la realtà però complica e non semplifica (spiega): è un’estetica, sotto le forme della mitologia, la storia, l’ermeneutica, non una logica.
L’estetica è una forma di conoscenza. Non razionale. Freud ha puntato sulla realtà un occhio non razionale. Molto attraente e quindi molto potente. Ma la sua terapia presenta come un fatto conoscitivo, semplificatorio e semplificante, obiettivo e quindi incontestabile, mentre è un teatro, sia d’immagini che di schemi dialogici: parlante-muto, lapsus, complessi, transfert – soprattutto di significati, ogni cosa significando sempre un’altra.

Come terapeuta è un santone e un ciarlatano. Alla pari dei neurologi e gli psichiatri ma senza i loro apparati statistici e le pratiche consolidate, solo parole in libertà e libere associazioni, e interpretazioni ugualmente libere. I casi tragicomici, i guariti suicidi. La povertà è testimoniata dal linguaggio: nessun concetto nuovo, se non formule ambigue e non significanti.

È buon scrittore, ma più spesso ai limiti del ridicolo: i sogni, i lapsus, i motti di spirito, Leonardo, Godiva, Mosè… È estremamente romantico sul versante maschile, Fliess, Adler, Jung (svenimenti, tradimenti), ha concezione sottilmente servile della donna e spregiativa (con l’eccezione di Lou Salomé, che però è ben “maschile”). Che non a caso “suicida”, acculandola al sesso. Riscrittore fantasioso dei miti, ma quanto impoverendoli!

Ridicolizza la ragione laica, fino al ludibrio – a volte, sembra, compiaciuto. Dando a intendere d’intronizzarla. Elimina ogni capacità di scoperta e gioia – l’unico self-help nel transito – per un grigio schiavismo, che tale è la terapia che mai libera. Il mondo avendo ridotto a colpa in ogni sua forma. Niente più famiglia (intimità, aiuto, società), niente amore, gratitudine, simpatia. Nulla più di gratuito e non egoista.
Ha annullato, con i suoi mitologemi, tutta la tradizione. Quella occidentale ma anche quella umana: ogni spazio di libertà. Sogni-sonni impianta mostruosi come quelli di Goya. In un mondo dissoluto: piatto e biagio. Dove solo campeggia – lui saprebbe perché – il sesso.

Gadda – Il barocco è parente del romantico, direbbe A.Huxley (Along the road, 104). E: barocco e romantico sono espressioni naturali della commedia: Ariosto, Rabelais, Nashe, Balzac, Dickens, Rowlandson, Goya, Doré, Daumier.
Bizzarra scelta. Ma più vera che non: nel barocco si esprime anche il semplice comico, dai maccheronici ai berneschi, e il modesto (ben educato) manierismo. È vera comunque per Gadda. Anche nelle due considerazioni complementari: 1) solo nei geni, Marlowe, Shakespeare, Michelangelo, Rembrandt, il barocco ha effetti seri; 2) in epoca più tarda l’effetto è grottesco: si tenta di esprimere cose tragiche con uno stile essenzialmente comico.
Gadda dove si colloca? Lo stile essenzialmente comico gli serve per dare dimensioni tragiche a eventi inessenziali - la vita in villa, i metronotte, le risposte sgarbate alla mamma… Mentre tace i grandi fatti: la guerra, la prima e la seconda, il fascismo durante il fascismo, l’anticomunismo dopo, una scelta pure precisa, l’omossesualità. Gadda veste in doppiopetto, è amico cerimonioso, è calcolato nel giudizio: il dato biografico – Gadda è borghese – è rilevante.
È un romantico, frenato ma inguaribile. Un sentimentale, anzi, la sua filosofia lo conferma. Tragico è il suo rapporto con le realtà, come per tutti i romantici (Manzoni escluso, che infatti non è romantico sebbene tale si dichiari). Che è in costante fibrillazione, se non in sospetto. Da un punto di vista esagerato: moralistico, razionalistico in senso stretto, perfino ordinatorio, oppure mistico. E sempre disperato, perché vissuto in modo “soggettivo oggettivante”, come quell’anguilla della natura.

Giallo – Non è la storia di un delitto di cui si trova il colpevole. È la storia di come lo si trova, aperta essa a ogni soluzione. Il giallo ha fortuna perché introduce nel delitto – che è sordido, è la cronaca grama e deprimente – la libertà sotto forma d’indagine, la fantasia, il fascino del metodo della scoperta. Sherlock Holmes, Marlowe, Poirot, Nero Wolfe, Pepe Carvalho prosperano perché moltiplicano l’inverosimile – Poirot, il migliore, è tre volte sorprendente, perché è insignificante e per di più belga, quando i belgi erano argomento di barzelletta.

Gli indizi non esistono. Non come segni di colpa. Anche nella diagnosi medica (molto si è scritto sugli influssi della pratica medica nelle deduzioni di Conan Doyle) l’anamnesi non porta in nessun posto: l’occhio clinico deve valere sopra gli indizi. La loro funzione è semmai di puntelli ex post, e ha carattere esplicativo (o giustificativo, ma allora è perché gli indizi non reggono bene). Lo stesso nelle indagini: l’inquirente sente il colpevole, e su questo costruisce l’accusa, ordina la caccia, preordina l’azione.
La colpa che non discende da flagranza di reato è sempre presunta. Anche quella che discende da confessione. È su questo, su questa area immensa d’incertezza, che s’innesta la fortuna del giallo, del delitto con colpevole.

Letteratura – Era ordine e conoscenza, è disordine (mercato: della lettura, della critica, dei segni). Di cui si dice che è un prolungamento (approfondimento) della conoscenza. Ma questa è sempre ordinativa, anche del disordine, del brutto, del male.

Lettura – Ridá vita alla scrittura.

Machiavelli - È il Plutarco dell’“ideologia” italiana: pettegolo anche, e accidioso, ma anarchico, avido di libertà. L’Ottocento, che ha disprezzato Plutarco, ha seppellito Machiavelli sotto le sue smanie, al storia erudita e la politica scientista – Machiavelli subisce ancora la tara di essere stato l’eroe del positivismo.

Tomasi di Lampedusa – “Il Gattopardo” è titolo fortemente connotato: è titolo suo o dell’editore? Cambia molto la lettura del libro. Se Tomasi pensava alla Sicilia in termini così fortemente critici, come ogni buon siciliano approfittatore di regime – appaltatore, gabellotto – o del circolo della caccia. O se era polemicamente addolorato per la scomparsa-non scomparsa di un mondo, la persistenza di un negativo.

Virtù – Non è rappresentabile, non si può narrare la virtù, il lavoro ben fatto, l’affetto corrisposto. Il lettore è un cannibale, un po’ invidioso, vorrebbe poter essere crudele, traditore, egoista, torturatore, almeno nell’immaginazione, mentre sta seduto, uomo nero, dark woman. La virtù che s’insegna del resto nessuno la pratica. Non nella storia, e quindi nemmeno nella poesia.
Il romanzo borghese, dei buoni sentimenti, è in particolare fatto di paraculaggini. Proust ne è pieno, Joyce, Musil, Céline – molte nel senso proprio del termine, non potendosi più infilzare, squartare, mozzare le teste, il bravo borghese si compiace d’improsare il prossimo, è tutta qui la voga dell’improsatura, in affari e nell’amore, dell’adulterio, della trasgressione - il buon borghese si vuole sadico per difetto, sadico in quel punto preciso.

letterautore@antiit.eu

martedì 2 giugno 2009

Cristina o la magnificenza dell'inutile

Cristina Campo è scomoda ai più, anzi comoda solo a poche amiche, che poi ne ebbero il culto. Perché è la letteratura, anche nelle virgole, e in ogni soffio. Anche nella fede, che ebbe costante, benché si ritenesse convertita nel 1964. Inquietante è la fede nella letteratura. Pura, depurata delle fatiche della pubblicazione, le attese, le delusioni, i rancori. Intatta sempre, cristallina. Come la scrittura. E lieve, malgrado le miserie fisiche. Ma insopportabile? Cristina fu devota a molti, in forme squisite, invidiabili, ma non c’è specchio – a parte quelli postumi. Amante temibile, di Leone Traverso, Mario Luzi, Elémire Zola, benché spirituale, e di molte donne. Sempre buona e molto saggia, ma aspra e anche tagliente. Un’esistenza spirituale se mai ve ne furono, che fu infine vittima di tre zii superstiti, emersi a tumulazione avvenuta per impadronirsi dei suoi risparmi, per il privilegio della legge, i quali ne vendettero i libri, i mobili e i quadri, e ne buttarono via le carte, cioè la posterità – non sanno nemmeno se ci fossero carte e se sono state buttate via.
Cristina, divenuta famosa per l’irruente difesa della liturgia (il sacro, la tradizione) contro la desacralizzazione voluta da Paolo VI, cosa su cui i molti oggi le danno ragione, fu in vita e a lungo per questo trascurata o irrisa. Ma soprattutto pesa l’identità, da essa stessa individuata, tra santità e genio. E la bellezza, sempre, aggiunge Pieracci. La diligenza di Longhi e Contini, la sprezzatura di Baldesar Castiglione. Teorica anzi temibile della sprezzatura, quella cosa che, quando si dice e si richiede, è già il suo contrario, come sapeva lo stesso Castiglione che la parola inventò e definì. C’è infatti, c’era anche nel suo grande amico Emo di Capodilista, non ingiustificata, “diffidenza per la grazia della negligenza, della sprezzatura” (Pieracci). E tuttavia oggi Cristina si legge, meglio di prima.
“Opera magnifica e inutile”, dice i suoi scritti rari Mario Luzi. Ma allora, poeta, non serve più la parola, la letteratura? È l’inutilità che è magnifica.
Cristina Di Stefano, Belinda e il mostro, vita segreta di Cristina Campo
Margherita Pieracci Harwell, Cristina Campo e i suoi amici

La Germania era spensierata

La coprolalia di Mozart ragazzo è di Goethe fino ai trent’anni, e in qualche poesia sparsa anche successiva. La Germania è decisamente un’altra prima della normalizzazione ottocentesca (prussiana? nazionalista? filosofica?).
Goethe, Poesie erotiche

Montalbano in bella vista

Una storia senza storia. Per di più con molto sangue – Camilleri “si adegua” allo splatter in voga. Che dà però la chiave, nella lettura che impone travolgente, del successo di Montalbano, tutto nei particolari: i contorni, le caratterizzazioni, le fantasie, le ovvietà. Specie nel personaggio principale, che è qui spiegato in dettaglio: antisiciliano (tutti mafiosi), antitaliano (tutti scemi), tribale, antifemminista, autoritario. Una ricetta che funziona per il lettore rapido, che non vuol essere distratto, e per il degustatore. Il fascino è anche di un personaggio desueto, in tempi di politicamente corretto. Anche l’aneddoto, in sé non travolgente (il capomafia cattivissimo con passione transessuale), è più che divertente: conferma un Camilleri autore “leggero”, e in questi casi, quando bisogna raccontare la mafia, eccezionalmente vero – non terribilista cioè. Ma più in generale, Camilleri sfonda perché è, eccezionalmente, realista: rappresenta la Sicilia, e il Sud, quali sono.
Montalbano in un certo senso è un mistero, che abbia tanto successo. Come l’investigatore del suo omonimo Mantalbàn, Pepe Carvalho, è simpatico ma di nessun carattere. Non sniffa, non porta il cilicio, raramente scopa e sempre costretto: non ha passioni, se non ultimamente, Berlusconi, e ha una fidanzata ma la tiene lontana,anche a costo di trucchi complicati, e senza che si possa dirlo nemmeno ricchione. Per cui uno ha il sospetto che il vero Montalbano sia Zingaretti, col suo regista Sironi e il produttore Degli Esposti che l’hanno fatto vivere al cinema, in sé sarebbe una non persona. Invece no, Montalbano un tempo era al Sud il “fascistone”, un capoccione dotato di molto ego (si dice personalità) e che non bada a nessuno, al procuratore, al questore, al vescovo, all'onorevole, una sorta di anarchico dell'ordine.
Ma Montalbano non è solo Sicilia, o Sud, essendo anche un tipo politico. E uno, sotto le apparenze provinciali e tradizionali, molto contemporaneo. Camilleri, che è antiberlusconiano di prima fila, potrebbe cominciare a interrogarsi da qui, dal suo personaggio: la fidanzata introdotta per lunghe pagine e di colpo trascurata, puro dileggio, ragazze e checche ricattabili e ricattate, politicanti mai puliti o intelligenti, questure di trogloditi.
Andrea Camilleri, La danza del gabbiano, Sellerio, pp. 261, € 13

Critici che odiano i film

“Per fare buone le polpette bisogna bagnarsi le mani”, dice il protagonista. Il regista non deve averne avuto il tempo. Ma bisogna pure capirlo: una polpetta di una polpetta non può venire bene.
Si è fatto il film in fretta per sfruttare il successo dei libroni – un film che è la cucitura di un serial tv. E tutto vi è più irreale che nell’irreale romanzo. Con in più le torture, il genere splatter è ingrediente indispensabile nei film teutonici, che il primo romanzo della trilogia ci risparmiava.
È solo prova della disonestà dei critici, che evidentemente non vedono i film.
Niels Arden Oplev, Uomini che odiano le donne

lunedì 1 giugno 2009

Un voto contro, Franceschini e D'Alema

Non votare o votare a sinistra. Per fare i conti con D’Alema, e con la supponenza democristiana. Alle amministrative (forse) no, ma alle europee sì. A Roma, a Firenze e a Torino è marcata la diffidenza della base diessina nei confronti di Franceschini e di D’Alema. Ombre ci sono anche a Bologna e in altre piazzeforti emiliane, seppure mitigate dalla fiducia in Bersani. Massimo D’Alema non ha più l’aureola dell’ex Pci che per primo e unico ha governato l’Italia da palazzo Chigi, e un altro ex Pci ha portato alla presidenza della Repubblica: è visto ora nelle vesti del king maker dello stesso Franceschini, e nel dissolvimento del partito nelle trame democristiane. Che per molti sono una sorta di tradimento. Per D’Alema non sono comunque più i tempi di quando ordinò al Mugello di votare Di Pietro, e tutti i sessantamila compagni della circoscrizione andarono diligenti a votarlo.
Non è la vendetta di Veltroni, che si è veramente eclissato, ma di quelli che una volta si sarebbero chiamati i miglioristi. Chi nella svolta riformista ci ha creduto, sapendo anche che era una lunga marcia verso la socialdemocrazia, e non si riconosce nell’opportunismo e nei giochi infiniti di potere, e anzi si sente tradito. Che ha nostalgia della politica e delle scelte discusse. Gli scontenti sembrano maggioranza, forse perché ne parlano apertamente nei circoli e nelle associazioni. Sono più vecchi che giovani, più legati alle questioni del lavoro, del governo, dell’amministrazione, che non alle vendette della moglie di Berlusconi. A Bologna peraltro è rimarchevole pure il silenzio di Prodi, che non vuole neanche lui identificarsi con i cascami della sinistra Dc.

Medea a Milano e il problema capitale

La lettura dei pettegolezzi su Berlusconi, seppure sapida, è singolarmente ininteressante. Perché è già nota la conclusione? Sua moglie, che non gliela dà da anni, dopo aver distrutto i figli, ne distruggerà il regno e lo lascerà disfatto. È il canovaccio di Medea, l’odio delle donne per gli uomini - basta vedere lo starzio cui Margherita, la figlia prediletta di Gianni Agnelli, sottopone la figura del padre e il patrimonio di famiglia. Ma è storia anche molto milanese: il tipo Medea furoreggia tra le ricche milanesi o quelle che vogliono diventarlo, loro la usano solo per quello. Il canovaccio della "Donna lombarda", la romanza più popolare, che a un certo punto si deve liberare del marito. Nulla di avventuroso, insomma, tutta roba che sapevamo: non ci sono amanti celebri a Milano, donne o uomini, storiacce di passione, solo rancori e patrimoni - la moglie di Berlusconi ha chiuso le porte quanto il marito non ha vendto tutto a Murdoch per costituire una rendita ai tre figli di lei, e anzi ha introdotto in azienda i deu figli della prima moglie.
Le milanesi si capiscono al confronto con le ricche americane. Le quali si sposano per il patrimonio (i patti patrimoniali sono l’essenza dei loro matrimoni), pure loro, ma si sposano anche per sollazzarsi. E quando non ne possono più del primo marito ne sposano un secondo, un terzo, un quarto. Curano gli interessi, ma si divertono. Le ricche milanesi no, loro si sorprenderebbero molto di essere la "donna lombarda" della romanza, ma ugualmente non si divertono: dalla contessa Bellentani alla Gucci, e alle tante mogli che non seguono i mariti politici a Roma. Con la scusa magari che Roma è ladrona, mentre invece la temono, non sanno uscire fuori dal tinello di Gadda, nemmeno mettere due parole in fila. Per cui questa Italia ormai da un ventennio politicamente tutta milanese è fonte di molte tragedie, mentre prima non prendeva le storie di letto sul serio – da questo punto di vista sarebbe giusto che si prendessero anche la capitale: tutti a Milano.

È il “Corriere” di D’Alema (e del cardinale)

Un navigatore solitario, Schiavi, e un appassionato di web, con una solida trequarti diessina, anzi dalemiana: Fontana promosso condirettore, e Macaluso, più la spumeggiante Barbara Stefanelli, che fa pure quota rosa – oltre che per fare maggioranza in un ipotetico areopago: tre vice-direttori a due. Si precisa con i vice-direttori il senso dell’avvicendamento, il secondo in dieci anni, tra Mieli e de Bortoli alla direzione del “Corriere della sera”: la gestione liberal di Mieli passa a quella vecchio compromesso storico, sotto le specie di D'Alema e del cardinale, di de Bortoli. Con un ruolo come da prassi inverso per i direttori: per la macchina compromissoria tritasassi un sorridente liberal alla direzione.
Tra Mieli e de Bortoli non c’è in realtà un mutamento di linea, se non per il diverso carattere dei due, più accomodante de Bortoli. Ci sarà meno Olocausto e meno Israele. E più arcivescovado, con i valori della vita, che peraktro sembrano incontrare il gusto dei milanesi, che si riaffezionano al giornale dopo le sbandate estremiste. Ci sarà anche meno Lega. Ma non è un rivoluzionamento. Il giornale è sempre più di Bazoli, il banchiere cattolico bresciano che in pochi anni ha rivoluzionato la finanza e il potere di Milano, a lungo laici.
Lo scambio Mieli-de Bortoli è stato rifatto per allontanare dalla vice-direzione i due laici, Di Vico e Battista, spiriti troppo critici per il “Corriere”. Che per questo li immola e li santifica. E con loro a cascata Cevasco e gli altri liberi battitori. Senza nessuna reazione peraltro dalla redazione. Che è più pluralista oggi rispetto agli anni di piombo della gestione Fiengo, ma un po’ per la crisi e un po’ per la diversa mentalità generazionale si disinteressa della linea del giornale.
Il “Corriere” resta in area democratica, presidiata dal solido Perricone, ma con un netto colpo di barra: oggi l’amministratore delegato è più dalemiano che ulivista (prodiano). De Bortoli, che dieci anni fa, quando D’Alema era in auge, ebbe con lui scontri prolungati, sia al “Corriere” sia, dopo, al “Sole”, addirittura con cause per danni, ha subito disposto nella sua nuova vesta una lunga “anticipazione” di un libro per altri versi ignoto di D’Alema, “Il mondo nuovo”. Che poi è andato a presentare a Torino, alla Fiera del Libro.
Il cardinale servirà a riportare il giornale nel cuore dei milanesi, frastornati da Berlusconi. Il cambiamento politico è invece in dierzione più diessina che democratica alla Rutelli-Veltroni. Come già dieci anni fa, Massimo D’Alema è tornato nel cuore dei banchieri di Milano che gestiscono il gruppo del “Corriere”, Bazoli e Geronzi – allora c’era Cuccia. Personalità diverse e anche inconciliabili, i due banchieri, ma uniti dalla stessa filosofia (che è poi quella dell’Avvocato Agnelli, il personaggio di maggior successo della Repubblica): affari a destra, cuore a sinistra. Che è più divertente, quando non costa.