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sabato 21 gennaio 2017

Il mondo com'è (291)

astolfo

Africa – Il colonialismo è pessimo, sotto tutti gli aspetti – anche economico: è uno sfruttamento. Ma allora quanto peggio debbono essere state le indipendenza, se nel mezzo secolo post-coloniale hanno impoverito e non arricchito l’Africa? Impoverito in senso relativo, rispetto al resto del mondo.
L’Organizzazione per l’Unità Africana si rinnova in questi giorni con una constatazione di fallimento, seppure fra intrighi politici da grande potenza – attorno alla seconda o terza moglie del sudafricano Zuma…. Tutta l’Africa, compreso quindi il Nord Africa col petrolio e il gas, un miliardo e trecento milioni di persone, ha oggi un pil continentale quasi pari a quello della sola Italia, 2.282 miliardi di dollari contro 2.200. Malgrado il petrolio e il gas, e le tante altre ricchezze minerarie, fino ai diamanti: sono in Africa il 70 per cento delle ricchezze minerarie mondiali (per questo da tempo il continente è assiduamente frequentato dalla Cina).
Il dato peggiora molto per l’Africa Nera, a sud del Sahara. E peggiora anche in termini relativi, di prodotto pro capite, rispetto al resto del mondo, e tra il 1970 e il 2015. Nel 1970 il pil pro capite in Africa era di 296 dollari, un terzo di quello medio mondiale, 924 dollari. Nel 2015 il pil pro capite è stato in Africa di 1.927 dollari, un quinto di quello mondiale, 10.098 dollari. Nel 1970 la quota dell’Africa nel pil mondiale era il 3,2 per cento, nel 2015 non è migliorata, e anzi si è ridotta, al 3,1.
I limiti sono quelli di sempre, peggiorati: monoculture (caffè, cacao, etc.: il 90 per cento degli scambi dell’Africa si fa con paesi extra-africani) e esportazioni grezze (il 70 per cento africano delle riserve minerarie incide sul pil mondiale per l’1 per cento appena, quello che l’Africa esporta intensivamente sono le persone, in massa). Aggravati da un’involuzione politica disarmante: una popolazione giovane, con un’età media di 19 anni, è governata da utrasessantenni, militari più spesso, e politici che una volta al potere non lo mollano mai – il presidente (ex) comunista dell’Angola Dos Santos è al potere da quasi quarant’anni, e ora vuole la successione per una figlia. Metà della popolazione, 620 milioni, non ha ancora l’elettricità. Ha il telefonino, un miliardo di cellulari risultano in attività, ma perché i pochi che ce l’hanno devono usare molte schede per telefonare.
Sotto il Sahara il reddito è praticamente inesistente in termini monetari: poco meno della metà della popolazione vive con due euro al giorno. Gravata da fenomeni asociali e criminali prima sconosciuti, specie nell’Africa Occidentale, attorno al golfo di Guinea: il traffico di droghe, il traffico di essere umani. La prostituzione da alcuni decenni, in tutte le piazze europee, e ora l’elemosina elevata a business – di mendicanti giovani, importati a presidiare chiese, bar, edicole, teatri, piazze, e ogni angolo delle città d’Europa. Effetto, si vorrebbe, della fame. Che però non c’è. Mentre c’è l’avidità, incontestata.

Destra-sinistra – Il populismo completa e fissa lo scambio: la destra, nazionalista e razzista, che inventa e distribuisce quello che la sinistra più non fa, lavoro e reddito, irretita nell’ideologia liberista, dell’austerità e del guadagno dei ricchi, di cui per farsi perdonare si offre araldo.  Slavoj Žižek ha portato al congresso romano sul comunismo, C17, il caso della Polonia:  il partito Diritto e Giustizia di Jaroslaw Kaczynski al governo “nell’ultimo ano ha abbassato l’età pensionabile, avviato trasferimenti sociali, per esempio alle madri, reso più accessibili istruzione e cure mediche”. Negli Usa “Trump promette quel che nessuno, a sinistra, si sognerebbe di proporre: mille miliardi d dollari di lavori pubblici per migliorare l’occupazione, e così via. Alla sinistra, dice il filosofo, resta l’arroganza - ma giusto alla televisione, come parlarsi allo specchio.  


In Italia Grillo si gonfia dei voti degli ex Pci. Per i motivi che hanno portato il Pci alla dissoluzione, e i suoi militanti allo sbando. La sfiducia verso la politica, bandita da Berlinguer al culmine della sua lunga catena di errori con la crociata anti-partiti al coperto di una comoda “questione morale”. E dai suoi esecutori testamentari con la crociata contro le istituzioni, al coperto della ridicola e feroce polemica contro la “casta”. 

Eurasia – Si fa la pace in Siria, si tenta, a Astana, capitale del Kazakistan, prossima Expo dopo la celebrata Milano, autoproclamata “capitale” dell’Eurasia. In colloqui tra il governo di Damasco e i suoi oppositori patrocinati da Iran, Russia e Turchia. Dopo una guerra civile di sei anni che ha visto al fronte l’Occidente, se non l’Europa. Ora, in questo primo approccio pratico dell’Eurasia, l’Europa è rappresentata dalla Russia – e dalla Turchia?

Vittorio Strada tesse l’elogio di Aleksandr Dugin, da sinistra, la coscienza di una certa sinistra, domenica sul “Robinson” di “la Repubblica”, intervistato da Antonio Gnoli: “Più interessante (di Limonov, n.d.r.) oggi è un personaggio come Aleksandr Dugin, filosofo e ideologo”. “Si è parlato di lui come di un autentico fascista”. “È stato considerato tale anche perché aveva tradotto Evola. È una figura centrale per comprendere la nuova ideologia di Stato. Il suo pensiero circola tra le élite russe ed è influente tra i militari”.
Dugin è uno dei pilastri in Italia della rivista “Eurasia”, e delle Edizioni del Veltro, che editano la rivista e ne pubblicano le opere. La più nota, “Fondamenti di geopolitica”, lega la nozione a un movimento di russi emigrati dopo il 1917, e alla minaccia che la globalizzazione rappresenta per tutte le diversità, nazionali, storiche, culturali. Tradizionalista, cultore e seguace di Guénon e Jung, antiliberista e per questo antiamericano, fu uno dei capi del Fronte di Salvezza Nazionale venticinque anni fa contro l’ultraliberismo di Boris Yeltsin, e collaborò al programma del nuovo partito Comunista di Ghennadi Zjuganov. Ma presto si staccò dal Fronte, per fondare nel 1994 un partito Nazional-Bolscevico, con Eduard Limonov. Al quale qualche anno dopo lo lascerà. Sulla base di un manifesto, “La rivoluzione conservatrice”, pubblicato nel 1994, che fa proprie le posizioni  della “rivoluzione conservatrice” tedesca (antihitleriana) degli anni tra le due guerre.
Di dieci anni più giovane di Putin, Dugin ha la stessa formazione, all’ombra dei servizi segreti che portarono alla perestrojika, e poi tentarono di governarla. Nei primi anni Duemila ha fondato vari partiti e movimenti euroasiatici. Da qualche anno ha posto il centro della sua attività a Astana, la capitale del Kazakistan, che il dittatore Nazarbayev ha dichiarato capitale dell’Eurasia.
L’Eurasia è un’idea che è, o avrebbe dovuto essere, il pilastro della terza presidenza Putin. Il quale, subito dopo l’elezione, aveva anche indicato nel 2015 il decollo pratico dell’idea, con un’unione doganale con i paesi del Centro-Asia. In armonia con la Cina da un lato, e l’Unione Europea dall’altro. La Ue la rifiuta, e anzi ha in atto un bizzarro containment della Russia da guerra fredda. Di cui forse non misura l’assurdità: tenere Mosca impegnata in Europa.

Occidente – È piccola guerra, cronica, nella Ue. Di questo contro quello. Roland Berger argomenta sul “Corriere della sera” l’uscita dall’euro della Germania, niente di meno. Che ora sarebbe penalizzata dagli equilibrismi della Bce a favore del maggior numero di Stati aderenti, con danno appunto della Germania. E anche, aggiunge Beger con sano spirito tedesco, per avere una moneta più forte, e quindi una spinta a investire in produttività, invece di lasciarsi all’onda facile del cambio debole. Berger, un tedesco italianista se mai ce ne sono, si vuole del resto realista e non prevenuto: “Le regole di Maastricht sono state violate”, dalla loro introduzione quindici anni fa, “almeno 165 volte”.
È guerra spesso dichiarata all’interno della Nato. L’Europa si fa scudo del superiore armamento nucleare americano, ma si fa le scarpe al suo interno, anche in dispetto agli Usa. Che del resto lavorano da un venticinquennio non per tenere in pace l’Europa ma per tenerla in soggezione.
Non c’è dubbio che l’attacco anglo-francese alla Libia, organizzato da spioni di lungo corso e in quantità sul terreno, era un attacco all’Italia. Ma dov’erano allora la Nato e gli Usa? O Sarkozy che chiede agli Usa di silurare il governo italiano.
Non c’è dubbio che gli Usa hanno forzato la crisi in Ucraina. L’estromissione del presidente Yanukovich venne a poche ore dall’accordo  per nuove elezioni tra lo steso Yanukovich e i ministri degli Esteri di Germania, Francia, Polonia e Russia. Fu fatta passare per una rivoluzione popolare che invece si dileguò un momento dopo, ed era stata organizzata dai servizi occidentali, con i soldi dello speculatore Soros.
Andando a ritroso nelle crisi balcaniche, nella ex Jugoslavia e poi contro la Serbia, il ruolo degli Usa è stato dissolutore e non unificatore. La democrazia e la libera scelta dei popoli sono stati una foglia di fico, poco coprente.
Non c’è dubbio, e si sapeva all’epoca, che le primavere arabe, da cui il nuovo terrorismo ha perso l’avvio, fossero organizzate dalla Fratellanza Mussulmani, per Stati confessionali.
Si fa ora strada in Germania un sentimento anti-atlantico, e non nella destra protestataria. Che evidenzia il dato che si sottace, di un Occidente diviso e concorrenziale. “Se gli americani trovano qualcosa che possa colpire un concorrente, colpiscono”, sottolinea Berger al “Corriere della sera”, riferendosi alla Volkswagen e alla la Fiat-Chrysler. E all’Iran: “Oggi è un’area in cui noi europei potremmo legittimamente fare affari, eppure nessuna banca europea s’arrischia per timore di avere problemi o ricevere multe negli Stati Uniti. Intanto, per qualche ragione, gli hotel internazionali di Teheran sono pieni di americani”.

Trump – L’immobiliarista è stato votato dalle periferie e dalle campagne – da quella che a sinistra si sarebbe detta l’America profonda. Secondo l’“Atlas of Us presidential elections” dell’US Bureau of Census, Trump ha straperso nelle città (16,3 milioni di voti contro 27,5 per H. Clinton), ha vinto nei sobborghi urbani (32,6 contro 29,9), e stravinto nelle zone rurali e le piccole città (14 contro 7,9). Questo anche a New York: ha perso nei quartieri centrali (Manhattan, Bronx, Queens, Brooklyn, Nassau, Westchester, Rockland), ha vinto all’esterno (Staten Islan, Suffolk, Putnam, Orange).
Per grandi regioni, Trump ha perso in quella di New York, in quella della capitale Washington,  e nel New England, straperso negli stati del Pacifico, Washington, Oregon e California. Ha vinto negli Stati industriali, pareggiando nella regione di Chicago. E ha stravinto negli Appalachi, nel Nord-Ovest, nel Profondo Sud, e nel Sud-Ovest.
Ha vinto, come si sa, per il meccanismo elettorale, che filtra il voto popolare per Stati. Ma ha avuto due milioni 338 mila voti meno di Hillary Clinton.

astolfo@antiit.eu

L’orgoglio del velo

Sotto il velo niente? La giovanissima grafica si diverte a passeggiare col hijab o soggolo, alle domande stupide che le rivolgono: ma ti lavi i capelli? ma cosa nascondi? ma sei una terrorista? Dice anche che fa intercultura, ma non è questa intercultura. Fa sorridere, e questo forse è meglio – per un domani migliore.
Dunque, arriva il giornalismo grafico, dopo la graphic novel: l’attualità a fumetti, una cronaca per immagini. Sintetica, speditiva. Ma inevitabilmente d’autore, poiché è disegnata, costruita. Takoua ben Mohamed ripropone un problema cui dà una soluzione semplice: ognuno si veste come vuole, anche se il velo crea impicci, a levarlo e metterlo, alla dogana, eccetera. Ma il hijab è il segno di un problema – la moda, figurarsi, non lo ha già adottato per questo inverno-primavera?
L’interculturazione è un problema perché nessuno è venuto finora in Italia, in Europa, a sfidare gli italiani, gli europei. I cinesi sono tranquilli, coi loro culti, e i loro matrimoni, mandano i figli a scuola e se la cavano, come tutti gli italiani, i filippini pure, i vecchi egiziani, i rumeni, e ogni altro ortodosso. Poi s’è intromesso un islam che si vuole diverso, e va bene. Ma non si accontenta.
C’era un’altra Tunisia, per dire, il paese originario di Takoua, col velo e senza, e c’è ora questa di Takoua che si fa un orgoglio del velo. Ma quella era molto migliore, un paese pieno di speranza – e badava a se stesso, non ce l’aveva con nessuno, anche se usciva dal colonialismo.
Takoua ben Mohamed, Sotto il velo, Becco Giallo, pp. 107 ill. € 15

venerdì 20 gennaio 2017

Usa e Ue divisi, tra di loro e all’interno

“Bruxelles è il nostro problema”, spiega Padoan ai potenti della terra a Davos”: “Molti nostri problemi vengono da Bruxelles o da Francoforte”. È lo stato dell’Europa, a metà burocratica a metà germanizzata, comunque divisa: competitiva al suo interno e non coesa. Uno dei due poli dell’Occidente non sta bene.
Da Washington Trump dichiara la Nato “obsoleta”. Ha ragione, la stessa Nato se lo diceva vent’anni fa, preparandosi il cinquantenario – Trump è solo il bambino della favola che dice che il re nudo è nudo. Ma gli Usa sono sempre stati e sono aggressivi. Da qualche tempo con l’Europa, per il mancato rilancio economico, per i rapporti con la Russia, per la mancata stabilizzazione del Mediterraneo e il Medio Oriente. 
Gli Usa di Trump non si può dire che stiano male. Ma c’è incertezza: stanno scomodi nella globalizzazione, che hanno creato, stanno scomodi al loro interno. E anche dell’Europa sono scontenti – oppure no: gli basta che sia divisa (unita ma divisa). Anche loro dunque non se la passano bene.

Ma gli Usa vogliono la Russia in Europa

La nuova guerra fredda resta in atto, fino a che – e se – Trump non deciderà di disinnescarla. Senza un fine dichiarato. Non in Europa, che se ne trova al fronte, ma non al comando. Washington invece, che l’ha innescata, la alimenta, e ne sa valutare la portata, forse sì. Ma allora con un errore grossolano, se non è voluto.
A una Russia che Putin, al terzo mandato, voleva dedicare all’Asia, nella geopolitica dell’Eurasia,  ha imposto un riconcentramento in Europa. Di cui forse non misura l’assurdità: tenere Mosca impegnata in Europa. La ratio è di un riarmo e una confrontazione che indeboliscono l’Europa.

Pirandello uomo di fede

Una festa d’affetti da uomo laico, propone Guido D avco Bonino, che la raccolta ha curato, nove raccont brevi legat alla fede più che al Natale. Da uomo di fede in realtà, laico. Pirandello non avrebbe potuto reggere il gioco degli uno, nessuno e centoila, e dei persoamnggi in cerca d’autore, senza uno zoccolo duro. Multiforme ma roccioso. All’orza ma di un albero maestro solido: di radici, tradizioni, linguaggi, psicologia, logica.
O, se si vuole, un altro Pirandello. L’altro. Operoso e sempre innovativo ma prima della disidratazione, trabordante di umori e di linfe. Iperletterato, ma impossibile da ridurre alla unidimensionalità del nome. Beffe e paradossi. Segni irriverenti, ma dappertutto di Dio. Le beffe sono dei miscredenti: il prete che, già un secolo a passa f a, non voleva si celebrasse il Natale, e altri positivisti cattivi o stupidi. La sintesi è semiseria ma non aliena della fede nele varie forme: “Se Cristo fu logico quando, per togliere a Dio la reposnabilità del male,spostò la finalità suprema dala terra al cielo, più logico di Cristo fu poi il Cattlicesimo, il quale si avvide bene che gli uomini non potevao per un premionon ben sicuro di là, oltre la vita,  durare a lungo nellp’amara e dura raseganzione e nel disperzo deibeni di quaggiù e vole la pompa, vole le feste..”
Prima della “corda pazza” c’è già - “La messa di quest’anno”, 1905 - la “pompa a filtro”: una pompa “che mette in comunicazione il cervello col cuore; e la chiamano Logica”. Serve a questo: “Il cervello pompa con essa i sentimenti del cuore, e ne cava idee”. Un’impressione, una memoria, un povero sentimento, anche doloroso, “pompato e filtrato dal cervello per questo di questa macchinetta, diventa idea astratta, generale”. Risultato? Soffriamo della contingenza, del caso particolare, come ogni essere animato, e in più ci intossichiamo la vita “col sublimato corrosivo della deduzione logica”.
Luigi Pirandello, Sogno di Natale, Interlinea, remainders, pp.117 € 4

giovedì 19 gennaio 2017

Problemi di base trumpiani - 310

spock

Dunque, Trump è una marionetta di Putin?

Parlerà Trump russo, o Putin sa l’onglese?

Ma questo Trump, è quello che dice di essere?

Gli Stati Uniti hanno sempre avversato la Fortezza Europa e l’euro: Trump è proprio fuori registro?

La globalizzazione è invenzione kissingerina e quindi americana: sono gli Usa che ce l’hanno imposta, d’accordo col compagno Deng. Se Trump ci ripensa, dobbiamo proprio fargli la guerra?

Trump ha vinto con i poveri, Clinton ha perso con i ricchi e i ricchissimi, qual è la morale della storia?

Bisogna votare a destra per essere di sinistra?

E: “Perché gli Stati Uniti hanno buttato 26.171 bombe sul mondo l’anno scorso” – “The Nation”?

spock@antiit.eu

Il novelliere felice di se stesso

Camilleri è Andrea Camilleri, l’aneddoto di se stesso. A novant’anni ha di che, anche se non è stato in guerra e non ha avuto storie roventi. Curiosità, arguzie, scoperte, memorie, timori, tutto molto d’autore. Gnomico spesso, ma non irritante, filosofico a volte – “l’artista è colui che ha una costante percezione alterata della realtà” (come il folle?). Di vizi vecchi e nuovi, e qualche virtù, cui i molti (suoi lettori) si aggrappano in questi anni pieni di vuoto. Di lettura curiosamente rallentata rispetto al Camilleri narratore, col quale si va veloci: 142 storie compiute e misuratissime, ognuna esattamente di 7000 battute, il vecchio narratore sa essere conciso.
Qui recupera, con qualche pezzullo perduto o tralasciato, la rubrica di “segnali di fumo” che nel 2012-2013 tenne sul supplemento domenicale del “Sole 24 Ore”. In una sorta di prima cronaca del Millennio – la “macchina del fango” è “una delle poche cose che funzionano alla perfezione”. Farcita o confrontata coi ricordi. Di personaggi: Adamov, Orazio Costa, il Siqueiros celebrato di Frida Kahlo. Si parte con l’Europa, che è in guerra e non lo sa: “Le direttive che provengono dalla Ue e dalla Bce assomigliano ai piani srategici di uno Stato Maggiore”, i bollettini di Borsa si attendono “con lo steso timore dei bollettini di guerra di una volta” - guerra dell’Europa con se stessa, si può aggiungere, la statsi o guerra civile permanente che i filosofi riscoprono.
Andrea Camilleri, Segnali di fumo, Utet, remainders, p. 146 € 7

mercoledì 18 gennaio 2017

Secondi pensieri - 292

zeulig

Accomodazionismo – È di Galileo, prima che di Roger Wiliams. La parola e il concetto ritornano come professione di fede laica, in chiave di inculturazione (abbigliamento, alimentazione, riti, anche diritti speciali, in Inhghilterra), fra culture e fedi diverse chiamate a convivere nell’universo un tempo cristiano. Rilanciati da Martha Nussbaum , “La nuova intolleranza”, elaborati dal pastore e teologo Roger Williams a metà Seicento, il teologo inglese emigrato in America con la seconda ondata di puritani, poi da questi ostracizzato per il suo messianismo. Uno dei primi antischiavisti, fautore della libertà di culto nonché di un paritario trattamento degli indiani d’America, fondatore del Rhode Island e della Prima chiesa Battista, Williams teorizzò, predicò e praticò per primo la separazione tra Stato e Chiesa – che sarà poi uno dei fondamenti della costituzione americana. La separazione intese non come una punizione o privazione della chiesa, ma come una liberazione e un arricchimento, una sorta di licenza a occuparsi del suo proprio bene. E la separazione propose come “accomodamento”, con come il “muro” che Thomas Jefferson introdurrà interpretando la sua costituzione.
Wiliams è con Locke all’origine della tolleranza. Il concetto di accomodamento tra chiesa e stato estendendo al rapporto tra fede e scienza. Ma in questo era stato preceduto da Galileo, che nel “Dialogo dei massimi sistemi” lo fa argomentare dai suoi personaggi. Tra le tante obiezioni nela prima giornata del peripatetico Simplicio all’universo copernicano, c’è che, essendo così vasto, molto al di là del sistema solare, è troppo grande per essere bello, cioè creato. Il copernicano Salviati ha buon gioco a qualificare questa per presunzione, e quasi una bestemmia: tropo grande per Dio? Dio certamente una concezione della bellezza molto più vasta e comprensiva della nostra. Il fato che Dio abia un occhio di riguardo per il passerotto significa che lo spazio tra il passero e l’universo, come Dio lo vede, è fuori della nostra portata. È l’argomento del neo accomodazionismo in favore dell’evoluzione, la nuova dialettica fede-scienza: l’evoluzione non è alternativa al disegno intelligente, o creazionismo scientifico, è un disegno intelligente più intelligente.

Il rilancio dell’accomodazionismo è, secondo i Nuovi Atei, opera dei gesuiti. Dal concetto alla forze in campo, anche questo non è mutato dal tempo di Galileo: non c’è tolleranza, ogni concorrente è esclusivo. Galileo argomentata felice nel “Dialogo” di accomodare la scienza alla sua fede, ma la chiesa decise altrimenti.

Bene – In un mondo senza Dio – senza comandamenti - dove altro si trova? Nei diritti umani dell’Onu, per esempio nel Mediterraneo che si riempie di morti? Bisognerebbe – bisognerà – instaurare un altro metro: senso comun, utilitarismo, valori condivisi, valori intrinseci (saere, creatività, arte, amore, amicizia, libertà individuale  (rifare a lista, è quella della Nyrb)? Un sistema di valori, “questo è bene”, “questo è male”: ma i valori non erano e sono insidiosi? Maneggiabili: che valori avremmo se Hitler avesse vinto la guerra? Stalin l’ha vinta ma poi abbiamo dovuto armare la guerra fredda, con i miliardi di kilotoni accumulati con la Bomba.

Contemporanea (Arte) – L’arte contemporanea è caratteristicamente negatrice del museo – della continuità, della preservazione, dell’esemplare: événémentielle. Ma è quella che più ha ricorso, molto di più che in età precedente, a mostre, ampie, lunghe, costosissime, e luoghi di raccolta e testimonianza, propriamente musei. Il contemporaneo è una negazione di se steso che vuole però riprodursi (sopravvivere-celebrarsi) in quanto negatore.
Dovrebbe conseguentemente scomparire, in quanto negazione di un “prodotto” artistico eterno, ma in realtà è alla ricerca di un’altra immortalità, basata sulla negazione, la cancellazione, l’occultamento.

Dialettica – Opera sempre più in chiave di rovesciamento:  il belo è brutto, il brutto è nello, il terremoto è la ricostruzione, la distruzione è la speranza. E ora l’abiura come atto di fede, al cinema e non solo. Che è un altro modo per dire che Dio è il diavolo. Lo schema della dialettica, che è conoscitivo, è stravolto nell’ontologia, nell’essere. Non solo nella conoscenza o logica corrente, dell’ “uomo della strada” o del web, ma nella riflessione.
Un’invasione di campo che passa attraverso la psicoanalisi: la coscienza determinata (controllata-gestita-manovrata, in realtà depotenziata e anzi annullata) dall’incosnsicio, l’essere dal non essere, la parola dall’ambiguo e anzi dall’insignificante.

Disinformazione – Passa oggi attraverso l’informazione. Non è cioè agita, da soggetti individuati, a un fine: è un modo di essere. Confusa con la democrazia, specie sul web, ne è invece la disintegrazione. Uno svilimento radicale: inavvertito  indolore e per questo letale. L’opinione pubblica ha perso senso e forza, e con essa quindi la democrazia.
Il teorico dell’agnotologia (ignoranza), Robert Proctor, la imputa ai centri di potere: i grandi interessi economici, le grandi leghe confindustriali, Big Pharma, Big il, Big Tobacco, etc. – a Washington operano non meno di cinquemila lobbies di interessi costituiti. Ma è più vera l’anticipazione di Marshall McLuhan, “il mezzo è il messaggio”. Che sconta anche il concetto di fake news – di fatto, se non si può dire che non c’è notizia non falsa, è quello che succede nella finta democratizzazione dell’informazione, che ognuno può dire ciò che vuole.

Giuda – È in effetti personaggio cristiano: tradisce un individuo, uno cioè che ha una coscienza. Altrimenti non si tradisce, si fa. Non c’è il tradimento in Omero, in Tucidide, dove pure pullulano: vengono registrati come eventi, il tizio ha fatto questo, non sottoposti a giudizio morale. Il concetto di tradimento è legato a una responsabilità e una coerenza individuali.

Indizio – È “prova” poetica: letteraria, fantasiosa, inventiva. Un indizio conduce in mille posti. Ogni indizio è uno di miriadi, tutti egualmente veridici, se non anche verificabili.
In un racconto satirico giocato su uno stratagemma filosofico, “A Double-barrelled Detective Story” (“Doppiette”), Mark Twain mette in scena Sherlock Holmes, redidivo “dopo essere morto tre volte”, tra i cercatori d’oro rozzi della California. A i quali il nipote Fetlock Jones, uno poco presentabile, così lo presenta: “Sa che non è capace di scoprire un crimine senza aver progettato in anticipo ogni cosa e sistemato gli indizi e assunto qualcuno perché lo commettesse seguendo le sue istruzioni….”. I rozzi minatori prenderanno Sherlock Holmes viene preso al suo laccio, di indizi che nessun altro ha raccolto, nemmeno lui – gli indizi in effetti sono interminabili.

Sacerdote - Figura e personaggio in disuso, in epoca di dereligione, a favore del maestro. Mentre sarebbe invece figura di riferimento nella laicità. È infatti ministro di culto, ma essenzialmente un amico e confidente, fuori da ogni ombra concorrenziale o competitiva. Mentre il maestro va col potere. Come  minimo con la pedagogia.
Si è maestri nel buddismo, nella gerarchia del buddismo, anche se solo funzionale: c’è uno che insegna ad annullarsi, per realizzarsi al meglio – non evidentemente per annullarsi, in quanto maestro.

zeulig@antiit.eu

Berlino tentata dalla fuga in solitario

Dopo Londra Berlino, perché no. L’ipotesi di Farage, e forse di Trump, la disintegrazione della Ue, non è balzana. È anzi più probabile che non. 
Il negoziato per la Brexit è cruciale, decisivo in questo senso: l’andamento e l’esito della Brxit, che non può tardare anche se Londra traccheggia, potrebbe determinare tra non molto anche la fuoriuscita della Germania. Se l’Inghilterra riuscirà a salvare il mercato comune pur uscendo dall’Unione. La premier inglese May dice che vuole uscire dalla Ue e dal mercato comune, ma non è vero: fa come al mercato, chi compra disprezza.
Visto oggi è fantapolitica. Ma in Germania se ne parla, là dove si decide – da ultimo Roland Berger con il “Corriere della sera”. La Germania sta male dentro l’euro già oggi. Se la prende con Draghi, ma è l’impalcatura del tutto, non solo la Bce, che le sta stretta. Cioè larga, mentre la Germania vuole che le politiche monetaria e fiscale siano strette, anzi rigide. Primeggia internazionalmente con la produttività e vuole mantenere il primato: un tasso costante elevato di investimenti, senza svalutazioni di comodo e senza sovvenzioni. L’euro, oggi più forte che mai, non lo è per questo abbastanza. 
Ma non è solo dell’euro che la Germania è insoddisfatta, bensì dell’insieme degli assetti europei. Sa che l’Unione non potrà essere tedesca: troppi rischi anche per la Germania. Ma non sa, e non vuole, essere tra i primi, seppure prima tra i primi, nell’assetto attuale.
È l’effetto riunificazione. Acuito dalla non felice esperienza nell’euro, che da un anno sta pagando con i tassi negativi. Ma non è un conto del dare e avere. In questo conto la Germania ha avuto di più – molto – di quanto ha  dato, o teme di dare. In politica e in affari. È l’effetto riunificazione. Acuito dalla non felice esperienza nell’euro, che da un anno sta pagando con i tassi negativi.
È un modo di essere, di vedersi. Che i movimenti antieuropei, non proprio minoritari in Germania, agitano. Ma sotto la superficie c’è una mentalità, arcigna – la Germania è stata salvata più volte dall’Europa, ma si vuole sfruttata.

Non c’è storia in tv

Si muovono i Bernabei (Lux Vide) e Rai 1 senza più Terence Hill, trademark e uomo audience, spedito in Nepal, non male. Ma senza il pilastro non c’è più storia. Tanto più diluita, come è ora l’uso, per più episodi. Daniele Liotti dà più ritmo, ma non evoca niente, e ne sarebbe bisogno.
Le Alpi fanno spettacolo da sole – la regia le illumina. E anche Rocio Muñoz Morales con Fedez, per un paio di minuti si ride.. Ma i cotorni sono incredibilmente logori: le eterne storie di amori, abbandoni, ritrovamenti. Tutti molto ordinari, come avvengono nella realtà. Ma anche quella di San Candido e le Dolomiti? No è possibile: allontanano dallo schermo.
Opure no? È stata la cosa più vista ieri, da oltre sei milioni. Diciamo che le ore perse  servono: ogni tanto bisogna vedere una fiction per sapere come parla e cosa pensa l’Italia. Sgradevole: un cicaleccio.
Jan Maria Michelini, Un passo dal cielo – 4

martedì 17 gennaio 2017

L’Europa è americana

C’è un Occidente senza gli Usa?  La reazione europea a Trump sembra dire di sì, ma non c’è. E senza gli Usa non c’è neppure l’Europa. Sono stati gli Usa a federare l’Europa, la grande novità storica di questo lungo dopoguerra – il più lungo della storia, troppo?
Trump non si propone di disintegrare o comunque minare l’Europa. Non gli conviene, e non lo potrebbe. E che cosa l’Europa può fare, senza gli Stati Uniti – contro è perfino inconcepibile? L’Italia lo sa. E anche la Germania dovrebbe saperlo. La reazione europea è di pelle, per una sorta di allergia al nuovo presidente americano – o forse solo per inevitabile ipocrisia.
Che la Nato vada rivista è solo ovvio. Era nei piani Nato per il cinquantennale al tempo di Clinton, quasi vent’anni fa. Che la relazione con la Russia debba tornare al disarmo nucleare, invece che al riarmo, e alla non aggressione del 1989, sembra sol auspicabile e nell’interesse di tutti.  
Il mondo è grande,  l’Europa fatica a rendersene conto – solo l’Europa. “Siamo il maggior mercato mondiale, siamo più colti e innovativi, abbiamo il maggiore patrimonio Unesco”, i suoi argomenti non sono corazze e nemmeno scudi, e non sono per sempre. Il mondo, fuori dall’Europa, va anche veloce. Ma con c’è mai stata un’Europa prospera e in pace se non transatlantica. – prima del piano Marshall.

La Polonia e il male dell’Europa

Salvata dal comunismo e dalla Russia dal papa polacco, inventato dai cardinali italiani. E dai soldi di Craxi, via Nerio Nesi e la Bnl Atlanta. Accolta generosamente a Roma e dintorni nell’esodo verso  il Canada e gli Usa – ricordate l’ingegnere polacco al semaforo, l’inventore del pulivetro? Avviata al mercato dalla Fiat, in tempi incerti e di nessun mercato – reddito da spendere. Ora è distante il centuplo delle canoniche mille miglia, estranea, e in tutto ostile. Non per partito preso, per incoscienza, e questo è il peggio.
È la Polonia. Ora patrocina la crociata anti-Fiat dei bavaresi del governo Merkel con tranquilla indifferenza: la sua commissaria Bienkowska è molto più sparata del vanitoso Dobrinski. Che dirne?
Non ci sono praticamente relazioni tra Roma e Varsavia. Come non ce ne sono altre che tra Varsavia e Berlino e tra Varsavia e Washington. Puntando sul grosso – cosa di meglio che la Germania e gli Usa – la Polonia è diventata immemore e anche sprezzante. Che dirne, se non augurarle fornicazioni eterne con questi due paesi, e buon pro. Ma non sarà così, e quindi bisogna occuparsene.
Si prendano l’Ucraina e la Russia, il nuovo problema slavo che la Polonia ha creato. Dobbiamo a Varsavia la disintegrazione dell’Ucraina e la nuova guerra fredda contro la Russia. Che fa male all’Europa, ma giova evidentemente alla Polonia, a chissà quali disegni egemonici in terra slava. Per questo la Polonia è ora saprofita della Germania e suo fedele esecutore. Poi domani Alternative für Deutschland chiederà indietro la Slesia, e allora la Polonia andrà a Mosca, e si ricorderà di Roma e di Parigi. Bisogna quindi reagire al suo saprofitismo teutonico sapendo che domani se ne vorrà protetta.
La storia non si ripete? Come no, la prima parte si è già ripetuta: la Polonia non sa stare in pace con se stessa. È dal tempo della “terza guerra di successione al trono di Polonia”, quindi dalla seconda liceo, che la Polonia si vuole antipatica più che simpatica..

Recessione – 60

Il 30 per cento delle 800 persone che vanno a prendere un pasto alla mensa di Sant’Egidio a Roma sono italiani. Nel 2007 gli italiani erano l’1 per cento.

Più italiane tra colf e badanti secondo il dato Inps: oltre il doppio dal 2008. Erano il 9,1 per cento, quelle assunte regolarmente, nel 2008, erano il 19,1 per cento a fine 2015.

L’Italia è ufficialmente in deflazione. A dicembre l’Istat ha certificato un calo dei prezzi dello 0,1 per cento. È l’effetto della debolezza dei consumi, cioè del reddito disponibile. Ma ognuno paga aumenti a doppia cifra per la spesa alimentare, i trasporti, l’energia.

Lo stesso Istat lo conferma: la deflazione c’è benché a dicembre i prezzi siano aumentati dello 0,4 per cento. Per gli aumenti dei generi alimentari di prima necessità, delle tariffe elettriche e del gas, dei trasporti.

L’Italia è stata – è – in deflazione come nel 1959. Ma allora in pieno boom, di un’Italia in ascesa, oggi in inarrestabile discesa, da venticinque anni ormai, dal 1992.

Lo “sviluppo inclusivo” del World Economic Forum mette l’Italia al ventisettesimo posto fra i trenta paesi più ricchi. Molto indietro per occupazione giovanile, infrastrutture, scuola.

Il serbatoio (gnostico) di F&L

Opera prima a 25 anni, nel 1950-51, di uno Zolla ancora non mistico, seppure minacciato dalla tubercolosi, questo “Minuetto all’Inferno” fu pubblicato nel 1955 nei Gettoni Einaudi, con una inedita messa in guardia del curatore della collana, Elio Vittorini: “Non so, francamente, quanto valga questo romanzo (“satanico”)”. Pubblicato, sembra di capire, per obbedienza massonica. Dopo che era passato al vaglio, per tre lunghi anni, dei migliori lettori di Einaudi, tra essi Calvino e Fenoglio. Ma tra essi c’era anche Fruttero, che questa Torino diabolica rifarà in abiti civili, insieme con Lucentini, nella fortunatissima “La donna della domenica” e in altre narrazioni, non edificanti, della ex capitale.
Questa la scheda che Vittorini premise alla pubblicazione: “È un filone di letteratura che mi riesce inesplicabile: quello in cui si avverte, deliberata, l’azione speculativa dell’intelletto, come quando vediamo, a una radioscopia, il bario percorrere i visceri che vuol rivelarci”. A lui, continuò, non piaceva: “Specie poi se si tratta della sottospecie che ama sataneggiare io precipito in uno stato di allergia”. Quindi: “Così ora non so…” Per concludere: “Ma è solo cervellotico o libresco? Oha, in qualche modo, una sua validità realistica, una sua storicità, per oggi? Nel dubbio lascio che sia il pubblico a giudicare”.
I lettori apprezzarono e il libro vinse lo Strega opera prima, per virtù propria come usava allora e non per torte editoriali. Ma è anche il libro di Zolla che meno ha circolato, e anche questa edizione sembra già introvabile. Malgrado la ricostruzione della vicenda editoriale del libro che Grazia Marchianò premette, ed è un altro romanzo. Calvino non si opponeva alla pubblicazione, “purché poi lo si possa presentare per la vecchia letteratura che è”. E siamo già nel 1953. L’anno dopo era di turno Fruttero, cattivo senza remissione: il romanzo è “cupamente fantasticante”, “un incubo puramente libresco”, “un libro… brutto e arcaico, presuntuoso e inattuale, cervellotico e ingiustificato”.
La storia è di personaggi amorali o che si ritengono tali, tra essi una fattucchiera, un figlio timido di padre uxoricida, una coppia lesbica. Fluttuanti su una città dai gangli oscuri, dai comportamenti eterodossi, con uso di droghe, orge da salotto e matrimoni di calcolo, omicidi, suicidi, morti accidentali, aborti. Un romanzo molto alla Huysmans, decadentismo pieno. Con un assaggio della gnosi che Zolla avrebbe analizzato e coltivato. Già in apertura del romanzo, “Prologo in cielo”, con un Demiurgo (“dittatore”), il Diavolo, e gli angeli, “bei giovani, abbronzati, forti” – il Diavolo è un bel massone, come a Zolla piecevano, col pizzetto curato, profumato, lettore di “Bouvard e Pécuchet”. Poi in lunghi dialoghi, poco appetitosi. Ma, più veloci, personaggi, luoghi, atmosfere, perfino la gnosi e il plot, sono i materiali che che Fruttero metterà a frutto con Lucentini qualche anno dopo.
Lo stesso Zolla, malgrado la gnosi, prelude al passaggio. Che in esergo alla seconda parte mette gli ingredienti proustiani del “Santeuil”: “In quanto al regno dello spirito, egli lo immaginava come sovrapposto alla terra, ma senza che dalla terra vi penetrasse mai nulla, eccetto i profumi, la pietà, la corruzione, la malinconia, e i gatti”.
Elémire Zolla, Minuetto all’inferno, Aragno, pp. 256 € 14




lunedì 16 gennaio 2017

Ombre - 350

“Giovanile, velista, spigliato, un bavarese così raffinato da parere finto, Alexander Dobrindt ha impazzato contro l’Italia per tutto il 2012, fino a Natale, nel quadro d’una crociata anti-mediterranea, Spagna esclusa – per essere la Spagna mezzo visigota? o mezzo atlantica: su che mare ha casa l’onorevole Dobrindt?” – G.Leuzzi, “Gentile Germania”, p. 75. Ora s’attacca alla Fiat, dopo l’euro e Draghi. La Germania premia, giustamente, la coerenza.

Questa non è la prima, è la terza o quarta volta che Dobrindt da qualche mese attacca la Fiat. Sui cui modelli fa suoi personali test di emissione. Senza aver mai fatto o detto nulla contro Volkswagen, che i regolamenti antismog ha sicuramente violato. Furbo – anche i tedeschi ogni tanto lo sono.

Furbo l’azzimato ministro, attacca 500, Doblò e Renegade, i modelli che Fiat vende in Germania. Con le Alfa nel 2017 gli verrà il mal di fegato – Bmw è campione nazionale in Baviera?
Ma Dobrindt non è nessuno: futuro capo della Csu, la democrazia cristiano-sociale, è ministro dei Trasporti. Può e vuole fare danni, anche senza beneficio. 

“Otto supermiliardari possiedono la stessa ricchezza netta (426 miliardi di dollari) della metà più povera del mondo, vale a dire 3,6 miliardi di persone”. Il calcolo è di Oxfam, organizzazione filantropica, ma sui dati del migliore capitale, di “Forbes” e Credit Suisse.

“L’esplosione del populismo è il fallimento della sinistra liberale” – è il contributo di Slavoj Žižek a C17, la conferenza di Roma sul comunismo,18-22 gennaio, che il “Corriere della sera” anticipa oggi. Di una sinistra affarista: i poveri hanno votato Trump e non Clinton. E arrogante: si rifà insolentendo nei talk show i populisti. Gli unici a spendere per i poveri, in Polonia e, secondo promessa, negli Usa.

“Continuo  o pensare che il ballottaggio sia il modo migliore per evitare inciuci”, spiega Renzi a “la Repubblica”: “Se la Consulta lo boccerà, c’è il Mattarellum. Con il proporzionale si torna alla Dc”. Vero, ma l’Italia lo ha già bocciato. C’è voglia di Dc dietro Grillo – una mancia per tutti.

“Il Pd potrebbe vantarsi di un Jobs Act votato dalla sinistra”, dice ancora Renzi a “la Repubblica”, “di unioni civili votate dai cattolici, della legge sul caporalato e del miliardo e otto stanziati per la povertà, degli oltre 17 miliardi di recupero della lotta all’evasione, dell’abbassamento delle tasse. Invece i nostri votano in Parlamento, e tacciono nel paese”.O nel Paese non votano contro?
Ma questi sono più Dc o più Pci?

L’acquisizione dei cantieri navali Saint-Nazaire da parte di Fincantieri, che si può configurare come un salvataggio ed è comunque un azzardo, genera mura di no e boicottaggi in Francia. Mentre l’assalto di Bolloré a Mediaset, una comoda banca della pubblicità, è osannata. I cantieri navali sono “strategici”, l’informazione no. L’Europa è sempre malata di nazionalismo

Condannata per corruzione  a due anni e mezzo di carcere e 600 mila euro di multa – pena ridotta perché patteggiata – e quindi licenziata, una dirigente del Consorzio del Mose, la fabbrica della corruzione a Venezia, viene reintegrata al lavoro da un’altra giudice, con risarcimento per il danno morale e economico, di 1,3 milioni. La corruzione viene dalla giustizia. 

Soros, dice il “Wall Street Journal”, aveva scommesso su Hillary Clinton e ci ha rimesso un miliardo di dollari. Ma è sempre ricco e ricchissimo. Forse ci ha guadagnato sull’Ucraina.

L’Ex braccio destro di Soros, Stanley Druckenmiller, col quale aveva sbancato l’Italia e l’Inghilterra nel 1992, guadagnandoci un miliardo, ci ha visto giusto e ne ha ricavato “lauti guadagni”. C’è una morale nelle elezioni politiche ma non si può dire.

L’occupazione militare dei paesi baltici, l’inchiesta sull’Fbi delle mail clintoniane, la vendetta sulla Fiat-Chrysler, quanto squallore nell’uscita di scena di Obama. Magari Jeep ha barato sulle emissioni, ma all’ultimo minuto utile?

O va azzoppato il diesel, che è tedesco e italiano, prevalentemente, e ha troppa fortuna.

Obama vuol essere un ex presidente ingombrante, capo dell’opposizione? Questo è perfino incostituzionale in America, fuori della costituzione materiale.

Voteremo a marzo per evitare la commissione parlamentare su Mps? Sicuramente sì, se la proposta di commissione verrà mantenuta. I traffici della banca senese con questo e quello, soprattutto con gli editori di giornali, devono restare riservati – basta leggere la reazione di “la Repubblica” alla proposta.

La storia è stata subito ingarbugliata, tra grandi debitori veri e presunti di Mps. È tattica scontata, a Montecitorio e nei tribunali, per insabbiare gli scandali. Ma che ci siano esposizioni plurimilionarie si è sempre saluto – anche da questo sito
Di chi, a crisi aperta, poteva usare la politicizzatissima banca senese come bancomat a perdere.

Trump? È Berlusconi (“Donald a scuola da Silvio”): così Francesco Merlo su “la Repubblica” presenta il presidente americano dopo la sua prima uscita pubblica. E lo pagano pure – il Merlo?
Dopo la sua – di Merlo – farsa della consulenza per rivoluzionare l’informazione Rai.

Alla Corte Costituzionale sul referendum della Cgil contro il Jobs Act la giudice Silvana Scianna, che viene da destra (eletta dal Pd con Fdl e 5 Stelle) figura di sinistra, Giuliano Amato, che viene dalla Cgil, di destra. Si sono rovesciati  i fronti? Al gioco dei quattro cantoni?

I giornali hanno perso pubblicità e copie ancora nel 2016, e di più a Roma. La notizia viene comunicata dalla Fcp, la federazione dei concessionari di pubblicità, insieme con quella dell’assoluzione di Marino a Roma per lo scandalo degli scontrini. E non si sa se non è una buona notizia – il calo delle vendite e della pubblicità.

Senza il digitale, a diffusione incontrollabile, il “Corriere della sera” vende 300 mila copie giornaliere, “la Repubblica” 250 mila. Meno della metà di dieci anni fa. In un trend in calo costante. Ma è come non detto.

Però, Verofstadt, liberale, europeista e tutto, gli eletti di Grillo li voleva. Per avere più poltrone di comando nel Parlamento europeo, e più soldi. Tutto il mondo è paese, o Bruxelles è dei furbi.

Bolloré prima non ha onorato l’acquisto di Premium, facendo crollare le quotazioni in Borsa di Mediaset. Poi è partito a comprarsi Mediaset a forte sconto. Furbo, pure lui. Ma la Consob che ci sta a fare – che ci costa pure caro? E il Garante per la Comunicazione?

“Uber vale 60 miliardi, quattro volte Fca”, Sergio Marchionne. Vale che cosa? Non è bastato il boom delle dot-com e la New Economy vent’anni fa? Tiscali valeva più della Fiat. Fu creato un listino apposta, il Nuovo Mercato: un vero furto con destrezza La storia si ripete uguale nella stessa generazione.  

Paolo Conti, che al “Corriere della sera-Roma” cura i mal di pancia dei pensionati, prende va al McDonald’s aperto a San Pietro, dopo le proteste ricevute. Ne esce trasecolato: decoro, pulizia, sapori, e prezzi contenuti. In un quartiere devastato dal cibo di strada per il turismo di massa, scongelato a prezzi proibitivi. Cioè: Conti non era mai stato in un McDonald’s.
Bisognerebbe farne materia di esame per i cronisti: la visita a un McDonald’s, oltre che a un ospedale – e a una scuola, perché no: dove va la gente.

Chi cammina sulla testa non pensa coi piedi

Cose viste e gag saporite del miglior humour da organizzazioni onusiane. Giochi di parole – “pensée unique, panse unique”. Le realtà irreali della cooperazione allo sviluppo, delle organizzazioni internazionali, del volontariato – “bisognerebbe pensare a un’iniziativa sistemica pluridisciplinare, multi e bilaterale”. In missioni che altrimenti sarebbero vacanze esotiche, ben assistite, di e con belle ragazze. Tra aperitivi e gossip, un prosecco, un capirinha, un rioja. Il peggio-meglio dell’Occidente agito e parlato da africani (linguaggi, formule, burocrazie), in Africa, a Roma, “sulla terrazza dell’ottavo piano” della Fao, “di fronte al Colosseo e al Palatino”, a Parigi e a Bruxelles.
In materia di humour internazionalista avevamo Céline e Albert Cohen, ma deprecatori – per quanto: un romanzo, anche languoroso, anche sadista, o un pamphlet, contro questo mezzo secolo di cooperazione allo sviluppo, il turismo a cinque stelle delle buone coscienze, che ha lasciato l’Africa più povera di prima sul resto del mondo, non sarebbe malvenuto. “Nasser” si diverte e diverte. La solidarietà non si può smontare, ma la sua gestione consente un cosmopolitismo poliglotta effervescente. La cucina del Congo-Kinshasa, comprensiva di tigre e caimano, è anche l’unica guida disponibile, volendoci andare. Il meglio sono le nuove e nuovissime arti e aree: l’e-studio, l’e-sviluppo, le-agricoltura, sul solco dell’e-comunicazione e l’e-commerce; lo Sceglitore, per tutte le evenienze della vita quotidiana – una specialità del personal trainer; il consigliere comunale africano al Campidoglio (un capolavoro, non della politica); o il clima, la mania del “Che tempo che fa”, in cucina, a cinque stelle, in pasticceria, al cinema, nelle arti; mentre “la quasi totalità dei programmi di microfinanza è regolarmente sovvenzionata”. Ma non bisogna disturbare il politicamente corretto. 
Nato a Parigi sessant’anni fa, “formato alle relazioni economiche internazionali e all’umanitario”, “Nasser” ha provato a fare lo scrittore, di racconti e romanzi, ma “prestissimo è inciampato nello sviluppo”, nella cooperazione allo sviluppo. Beur (francese di genitori algerini) romanizzato, per Fao e affetti, soprattutto diverte per l’uso del francese, peculiare e appropriato insieme, come è di tutti i nordafricani che hanno resistito all’arabizzazione forzata – in Algeria Assia Djebar e Yasmina Khadra tra gli altri. Nel migliore spiritaccio algerino.
Nasser, Ceux qui marchent sur la tête ne pensent pas avec les pieds, El Ibriz Algeri, pp. 141 € 5

domenica 15 gennaio 2017

Letture - 288

letterautore

Da Ponte – Ha un punto di vista “femministo” (si diceva per femminista di un uomo). Da puttaniere. Ma da magnaccia più che da frequentatore di bordelli: uno che gli uomini li osservava, nell’atto come dice in tedesco, e le donne.

Galileo Ancora vittima come opportunista del “Galilleo” di Brecht? Che però Brecht dovette rifare più volte, non riusciva a ridurlo – senza contare che, se c’è stato un intellettuale opportunista, questo è stato Brecht, che scelse la Germania comunista col conto in Svizzera (e il passaporto, che la Svizzera dà solo ai conti opimi).

Nasceva destinato alle arti e le lettere. Lo stesso anno di Shakespeare, il giorno in cui moriva Michelangelo – non lo stesso giorno, una settimana dopo, ma piacque confondere le due date. Fu anche cresciuto e istruito nelle arti liberali: musica, disegno, poesia, retorica. Nasceva anche da un padre musicista, Vincenzo, liutaio e teorico della musica, che il figlio ammirava, uomo di vaste cognizioni – la madre era anaffettiva e anche avara (provò a vendere il “segreto” del telescopio). Un uomo a tutti gli effetti del Rinascimento, niente in lui del suo secolo, secentista e scientista.

Il centenario della nascita, in comune con Shakespeare, è passato senza novità. E nemmeno interesse. Non, però, nel mondo anglosassone, che lo ha celebrato con nuove biografie e nuovi studi: “Galileo’s Muse” del fisico e matematico di Harvard Mark Peterson, una nuova biografia, “Galileo”, dello storico della scienza di Berkeley John L. Heilbron, e ben due ricerche dello storico canadese Thomas F. Mayer, “The Trial of Galileo”, e il più ampio  “The Roman Inquisition: A Papal Bureaucracy and Its Laws in the Age of Galileo”.

Lo scrittore Adam Gopnik ne lega la libertà intellettuale, in un’età pure di controlli e censure, in Italia, all’educazione musicale: “Il giovane Galileo prese per dovuta la libertà intellettuale concessa ai musicisti del Rinascimento. L’Inquisizione era tutta orecchi, ma non ai concerti”.
Collaboratore del “New Yorker”, in un saggio sui nn. dell’11 e 18 febbraio 2013 delle rivista Gopnik lega Galileo – fertilità, eleganza, amoralità – al Rinascimento: “Parte del genio di Galileo fu di trasferire lo spirito del Rinascimento italiano nelle arti plastiche alle arti del calcolo e dell’osservazione. Assunse la spinta competitiva, empirica, con cui i pittori fiorentini avevano guardato al mondo e la usò per scrutare la notte il cielo”. Con “le abitudini intellettuali di dubitare dell’autorità e provare”.
Il “Dialogo dei massimi sistemi”, che pure ha punte ardue di filosofia, Gopnik dice “il classico di scienza più divertente mai pubblicato”. Con “ogni strumento dell’Umanesimo rinascimentale: ironia, teatro, commedia, sarcasmo, punte polemiche, e una specie speciale di poesia fantastica”. In una prosa difficile da rendere in traduzione, ma con “passaggi che sono ancora divertenti, quattrocento anni dopo”.
Galileo è anche autore di saggi letterari sempre notevoli. E di una vivacissima corrispondenza, specie con gli altri scienziati, Tycho Brahe e Keplero.

Lager – Lo storico Capogreco s’indigna sul “Sole 24 Ore” che i campi d’internamento degli stranieri in Italia durante la guerra siano chiamati lager o campi di sterminio. Ma il giornale lo illustra con la didascalia fotografica “Lagerkapelle nel campo di Ferramonti”.
Non erano lager, insiste Capogreco, semmai la vecchia pratica italiana aggiornata del confino amministrativo, per motivi politici o di ordine pubblico. Ma no: è – era – prassi internare in guerra i cittadini dello Stato nemico. L’internamento non lo dispose il solito Mussolini capriccioso, si fece in Francia per i tedeschi (ebrei compresi, quelli che avevano cercato rifugio in Francia…), in Gran Bretagna per italiani e tedeschi (ebrei tedeschi compresi, se non abbastanza ricchi), negli Usa per italiani, tedeschi e giapponesi.

Mogli – Il repertorio si arricchisce delle mogli che erano il marito scrittore. Dopo che il “New Yorker” a fine 2015 vi ha annesso quella di Kurt Vonnegut, l’intrepida Jane. E “La Lettura” a fine 2016 Zelda, da cui Fitzgerald avrebbe preso molto, inteso come scrittura – salvo poi rinchiuderla in una clinica per pazzi (perché non potesse parlare creduta? o effettivamente stremata dai furti?). Ora “Sette” opina che Bontempelli debba molto alla moglie, scrittrice in proprio, Paola Masino.
Le mogli classiche autrici invece dell’uomo erano Sonia Bronwell, sposa di Orwell vedovo, la moglie di T.S.Eliot, la ballerina Vivienne Haigh-Wood – che pii anche Eliot fece ricoverare in una clinica per pazzi. Quella di Terzani, sua curatrice appassionata, Angela Staude. Più le varie donne, non mogli, di Brecht – il cambiamento di partner si è anche voluto coincidere in Brecht con i cambiamenti nella sua poesia e drammaturgia.

E Sylvia Plath con Hughes,  il “poeta laureato”, che poi la portò al suicidio coi tanti tradimenti? C’è da indagare. Qui si può individuare l’origine del gaslighting, che si conia in America per dire il marito che induce la moglie a credersi folle, dal film di Ingrid Bergman, “Gaslight” – in italiano “Angoscia”. E le mogli di Hemingway? E quella di Moravia, tutt’e tre scrittrici? Forse per questo molti scrittori non si sposano, non per onanismo.

Il problema può essere l’inverso, della moglie che deve qualcosa al marito? Per esempio “Elena Ferrante” a Starnone.

Neuroscienze – “La corteccia cingolata anteriore dei liberali ha più materia grigia di quella dei conservatori, che invece ne hanno di più nell’amigdala”, John Jost giunge a questo risultato oggi sul “Sole 24 Ore”.  E non è una buona cosa. Il neuroscienziato infatti opina: “È pensabile che un giorno le differenze nelle dimensioni dell’amigdala potranno spiegare perché i conservatori più spesso dei liberal descrivono come «altamente minacciosi» un’ampia gamma di nazioni, leader, gruppi ed eventi”. Forse, perché no – tutto è possibile.
Sempre sul “Sole 24 Ore” domenicale Pietro Pietrini argomentava qualche tempo fa che “gli psicopatici hanno uno scarso controllo del comportamento dovuto a danni alle aree prefrontali del cervello”.

Settecento – È il Millennio. Più che non l’Ottocento, pratico costruttore – sicuramente più che non il Novecento ideologico e calligrafico (avanguardie, arte per l’arte, ermeneutismo): Da Ponte, i philosophes, il vagabondo Sterne che si ripropone. Anche il Seicento in parte: molto siamo Molière, tartufi, malati immaginari, avari, e borghesi gentiluomini (le donne saccenti non si può dire, però).

letterautore@antiit.eu

La felicità dell’onorevole fa la nostra infelicità

C’è la filosofia politica: Napolitano è quello che si schierò con “i carri armati sovietici che sedarono nel sangue le sacrosante rivendiaczioni di libertà” nel 1956 (per poi recarsi negli Usa, “«casualmente», durante i giorni tragici del sequestro Moro”). E c’è il diritto all’informazione: regina dei pennivendoli è Daria Bignardi, che lo invita in tv, sì, e ne fa un personaggio, ma gli fa “una domanda non concordata” (sul padre fascista di Di Battista) – Bignardi è presentata come “la moglie di Luca Sofri, figlio di Adriano Sofri, l’ex leader di lotta continua condannato a ventidue anni di carcere quale mandante dell’omicidio del commissario Calabresi”. Essere fascisti non è una colpa, in effetti. E c’è il diritto a divertirrsi, anche per il Ballista dellAnno (2015), incoronato dal sito Pagella Politica, specializzato nella denuncia delle fake news e le castroneriedei politici, e a ruota dal New York Times. Ora, uno che è uscito sul New York Times”... Ed è pure vicepresidente dela Camera.
Il pensiero di Di Battista è breve, e non per colpa di twitter, sembra di capire - anche se lui lo mena per 250 pagine. La sua felicità è viaggiare. E del resto è una buona ricetta, meglio essere ottimisti che pessimisti: può capitare di diventare onorevole, lo stipendio meglio pagato d’Italia per non lavorare, con cassa mutua e pensione, tutto a gratis.
Scorrendolo, c’è un po’ d’invidia: un libro di memorie a 38 anni, promossa dal megaeditore Mondadori-Rizzoli. E anche di sorpresa. Cioè no, si sapeva che il giovane geniale era incapace di applicarsi a alcunché, anche soltanto a viaggiare – il ferry sullo Stretto di Messina, le arance siciliane, tarocco, moro e sanguinello, tra pescatori multati “mentre gli spagnoli no”, tra italiani solari e eroici, “decine di eroi”, in una Europa che “ci obbliga ad andare in pensione semrpe più tardi”, e nient’altro. Ma è questo lo stesso Di Battista che Michele Serra e “la Repubblica” volevano icona della sinistra?
La sorpresa è in realtà una conferma: che queste destre e sinistre sono intercambiabili. Senza colpa, il paese è quello, la lingua, la cultura, il modo d’essere, la cialtroneria di Di Battista non c’entra. Lui è uno fortunato che non ha rubato nulla. Con un partito che va fortissimo perché promette il reddito di cittadinanza, cioè una pensione per tutti. Che sembrerebbe impossibile e incredibile ma è quello che succede in Italia: tutti Di Battista. Solo che, invece che all’ottimismo-con-felicità, tutta questa bella roba messa insieme invita alla depressione.
“La vita ha più fantasia di noi, meglio non fare troppi programmi. Meglio provare a restare a galla come un tappo di sughero in un ruscello e magari lasciarsi trasportare dalla corrente”: è questa la filosofia che ci aspetta? E Di Battista non è antipatico.
Alessandro Di Battista, A testa in su. Investire in felicità per non essere sudditi, Rizzoli, pp, 252 € 17