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sabato 11 giugno 2022

Farsa putiniana

Al quinto giorno il prefetto Gabrielli, sottosegretario a palazzo Chigi alla sicurezza della Repubblica, si accorge che un dossier segreto (non declassificato) dei servizi segreti è stato fornito domenica al “Corriere della sera”. Che ne ha fatto ampio uso. E minaccia – il prefetto – la massima severità contro chi ha divulgato il dossier, presentandolo come una spiata sulle opinioni di politici, accademici e giornalisti: “Non esiste un Grande Fratello in Italia, una Spectre”, ha tuonato tra Orwell e 007, “nessuno vuole investigare sulle opinioni delle persone” - “il fatto stesso che un documento classificato sia stato diffuso è una cosa gravissima e nulla rimarrà impunito”. E la cosa fa riflettere.
Gabrielli non legge i giornali, nemmeno la rassegna stampa che sicuramente a palazzo Chigi gli faranno ogni mattina? È male informato? E, soprattutto, non ha capito che la divulgazione del dossier è un siluro contro Draghi, che è atteso giorno 21 da una delicata presentazione in Parlamento di quanto ha fatto e detto sulla guerra russo-ucraina. Ci voleva tanto per capirlo.
Il dossier, reso pubblico dal prefetto, è peraltro di una tale povertà da sconcertare: che servizi segreti abbiamo? È una rassegna stampa, fatta sui siti e gli articoli che in qualche modo non sono del tutto filo-Ucraina. Fatta senza discernimento. Mettendo assieme professionisti dell’informazione di lungo periodo, come Maurizio Blondet, che va per gli ottanta, qualche academico, come l’ottantacinquenne Manlio Ducci - oltre al solito Orsini – che scrive sul “Manifesto”, e un paio di personaggi “avventurosi”. Ci sono dei servizi segreti italiani, o di intelligence come ora si dice? Per lo stipendio, i viaggi e la rappresentanza, e per che altro? Il generale Caravelli dell’Aise, l’ex Sismi, il sevizio di intelligence militare, e il generale nonché prefetto Parente dell’Aisi, la intelligence interna. Si capisce che si siano fatti fare la guerra dagli statisti Sarkozy e Hillary Clinton per distruggere la Libia, per creare problemi all’Italia di cui la Libia era infine colonia effettiva, e mandare a morte alcune migliaia di africani in mare – allora, dieci anni fa, i generali non c’erano, ma la Libia resta inafferrabile anche oggi. Usa molto la formula free – sugar free, gluten free, carbon free: perché non fare dell’Italia un paese intelligence free? Si risparmierebbe qualche miliardo.
Il prefetto Gabrielli ha tuonato, ma nessuno si è nascosto sotto il letto, non ci sono cani evidentemente tra le spie e le croniste giudiziarie. Perché sì, da tempo la giudiziaria, che si penserebbe robba da maschiacci, da suburre e angiporti, è affidata a giornaliste. Sicuramente per caso. Si può anche dire che le croniste sono più affilate dei cronisti. Non c’è confronto, per esempio, fra Fiorenza Sarzanini, e il padre, anche lui cronista giudiziario, un galantuomo - la giudiziaria è del resto trainante al “Corriere della sera”, che ha riservato a Sarzanini una vice-direzione. E Guerzoni è la vamp del settore, senza confronti – Sarzanini e Guerzoni sono le due autrici dello scoop.
Fontana, il direttore del “Corriere della sera” che fa il giornale anche la domenica, qualche dubbio deve averlo avuto, poiché lo scoop ha confinato alle pagine interne, ultimo volet del dossier quotidiano sulla guerra – senza il richiamo in prima, che per un articolo di un vicedirettore si penserebbe d’obbligo. Oggi l’ha messo in prima - e senza scuse né dispiaceri, non suoi né delle croniste, per avere classificato spie di Putin delle oneste persone. Un risultato il prefetto Gabrielli l’ha ottenuto.
Collaboratore emerito delle fatiche domenicali di Fontana è del resto Walter Veltroni. Che il ruolo di piccolo Grande Fratello ha esercitato nel Pci come responsabile Stampa e Propaganda – fino alla caduta del Muro. Riunendo periodicamente i giornalisti del partito nelle varie redazioni. Per sapere chi dei loro colleghi era “affidabile” e chi no.  
Ora si direbbe che Putin non ha più bisogno di fare campagne contro l’Italia – ci pensa l’Italia: non avrebbe saputo ideare di meglio.

Pasolini si racconta

“Nel mare io mi rifugiavo, come in una non vita, un mio segreto benessere”, a totale arbitrio del Pasolini bambino e ragazzo. Delle tre prose qui raccolte, del 1949-1950, non pubblicate in vita, la più importante (rivelatrice) è senz’altro l’ultima, “Operetta Marina – il “romanzo” del titolo è importante per altri motivi, come primo tentativo di usare la terza persona, e di rappresentare, per quanto flebilmente, la “diversità” sessuale. Scritta al modo di Proust. Con un omaggio a Rimbaud, di cui riporta “Enfance” per intero, “la più incantevole Illuminazione”, la seconda. Completa il libro un’altra più breve memoria, “Un articolo per «Il Progresso»”.
Le prime prove (“forme aurorali” le dice Naldini, che ha curato l’edizione postuma) del discorso indiretto libero. E di vicende, ambienti e personaggi narrati attraverso gli occhi e il linguaggio del mondo popolare. Con l’omosessualità sempre sofferta, anche quando era ignota, in queste prose del 1949-1950 come negli ultimi anni, autore affermato e personaggio nazionalpopolare. Ci sono anche, settant’anni fa, le “riforme di struttura” – niente cambia.
“Un articolo per il «Progresso»” è un primo tentativo, molto prima di Calvino, di raccontare una vicenda elettorale, tra i manifesti murali della Dc contro la candidata di sinistra, “la signora profetessa” – era una professoressa. Ma è un appunto, benché in bella copia: un racconto che inizia e non finisce. “Operetta marina” è un esercizio di memoria infantile, scritto alla maniera di Proust. Con la constatazione sorprendente, per lo stesso Pasolini, del bambino che in terza elementare dichiara alla madre: “Quando sarò grande farò il poeta e il capitano di marina”. Un esercizio in autofiction, dell’infanzia e la prima adolescenza, a Cremona e a Sacile, nelle scuolette e le scorribande. Prova generale, a Cremona, del romanzo a venire: le periferie, i ragazzi, le marrane, le scarpate, “stracci di erbe acquatiche, luride, scompigliate”, “prati golenali”, “cocci scottanti”, “bruciati steri”. Qui col “fratellino Guido”, menzionato un paio di volte. E con “le brucianti inquadrature della Tragedia del Bounty e dei Capitani coraggiosi”, il film d Frank Lloyd con Charles Laughton, Clark Gable e Franchot Tone, e quello di Victor Fleming con Spencer Tracy e il piccolo Freddie Bartholomew.
Il mare è stato l’orizzonte del narratore fino a tardi, fino a Bologna, all’università. Quello “omerico” a Cremona”, quello “salgariano” a Sacile, quello “virgiliano” di Scandiano e Reggio, poi di Bologna. Poi basta: “Finito il Liceo fui per iscrivermi all’Accademia Navale di Livorno; mi iscrissi invece alla facoltà di Lettere” - il ruolo del padre, militare di carriera, riaffiora, come sempre innominato, socievole ma estraneo. “Operetta marina” è parte, spiega Naldini, doveva essere parte di un progetto vasto, “Per un romanzo del mare”,.
Salgari, De Amicis, “Cuore” sono porte aperte, come in tutte le vite giovani dell’epoca. Ma del mare c’è già una lettura “pittorica”, sulle immagini del museo Navale di Amsterdam. Di più però, di fatto, il ragazzo è già terragno, nell’evocazione di Sacile, della madre, delle amiche Irene e Pinella. È marino da “piccolo italiano”, con limiti: Yanez, Sandokan, Kammamuri e Tremal Naik sì, la fantasia li accende, e basta, “leggevo controvoglia Verne, e odiavo Conrad”. 
Il racconto del titolo è più strutturato, è un romanzo. È la storia di un prete giovane al suo primo incarico pastorale, parroco di un paesino del Friuli. Dove scopre la povertà e il bisogno. E la tentazione, nelle forme di un ragazzo - nella maniera d’essere e di porsi del giovane contadino. Che condivide con il federale del Partito, giovane anche lui, ma più solido. Turbamenti che si penserebbe platonici, e invece no. Cesare, il ragazzo del giovane prete, è per lui “puro mistero, un mistero senza segreti”. Lo stesso, coi pantaloni dell’anno prima, aderenti, è “qualcosa di impuro”. E la Bibbia, aperta a caso, dove rimanda? “A «restare nella carne», amare con la carne, evidentemente” – peggio: “Mi baci col bacio della sua bocca”. Interverrà l’esilio, per evitare lo scandalo – il racconto è di una passione irreprimibile e non punibile – con l’emigrazione. Che se allontana il peccato non interrompe la passione.
È bizzarro come la sessualità problematica venga inquadrata da Pasolini dapprima nella funzione discente, scolastica o politica – probabile riflesso della sua vicenda personale (o i turbamenti omoerotici si configurano in quelle specifiche forme, come avverrà poi per Cohn-Bendit, maestro pederasta, lui non turbato?) I primi fremiti si integrano su materiali dal vero, commissionati a vecchi amici, emigrati, artigiani, operai, cui lo scrittore chiede diari di vita vissuta, di esperienze – una pratica che Naldini documenta, attraverso la corrispondenza, in un paio di casi. Il racconto popolando di mondi mitizzati, e in fermo immagine, come figurine di vasi greci. 
Pier Paolo Pasolini, Romàns, Guanda, pp. 198 € 12   

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venerdì 10 giugno 2022

Problemi di base bellicosi 2 - 701

spock

La guerra è regolata dal diritto, dove, quando?


La storia comincia dalla guerra?


Dall’“Iliade”, per esempio?


Si muore e si uccide in guerra, e che altro?


Sarà la guerra un genere sbagliato, poiché è maschile?


Ma si combatte tra paesi per lo più al femminile? 


spock@antiit.eu

La Cina non è contenta

Il blocco delle esportazioni alimentari dell’Ucraina colpisce anche la Cina. La Cina è il maggior mercato dell’Ucraina. Di importazione - come per tutti i paesi del mondo. E di esportazione, più della Russia prima della guerra, e della Germania, per il 15 per cento del totale in valore.
È la Cina il maggior acquirente singolo, probabilmente, delle granaglie ucraine. Principalmente granturco (1,4 miliardi di dollari), più orzo, luppolo, etc. E olii di semi (un miliardo), specie soia. Per un valore doppio, la Cina, 2,5 miliardi di dollari, la Cina si riforniva in Ucraina di minerali di ferro e tubi in ferro.
Il mancato rifornimento ora a causa della guerra può non incidere sull’economia cinese, sui consumi alimentari, ma è un fastidio, e può spiegare il relativo mutismo cinese sulla guerra – la Cina ha bloccato la condanna della Russia in consiglio di sicurezza all’Onu, ma non ha detto e non ha fatto di più.

I dessous dell’Ucraina

Come mai l’Ucraina, ricca di istruzione, di miniere e di fabbriche, nonché da sempre granaio del mondo, è un paese povero – classificato “povero” nelle statistiche internazionali? Dei paesi ex sovietici è quello che è migliorato meno nei trent’anni di libertà – meno del Kazakistan, per dire, o della stessa Bielorussia, che pure non sono modelli, né sociali né politici, né hanno più risorse naturali. Perché è un paese corrotto: non si può dire oggi che è in guerra, aggredita dalla Russia, ma bisogna saperlo.
Il pil ucraino, di 150-155 miliardi di dollari prima dell’invasione, collocava il paese al 58mo posto nella graduatoria mondiale per valori assoluti – nei dati della Banca Mondiale. E al 107mo posto per pil pro capite. È – era – il paese più ricco dell’ex Urss, dopo la Russia e il Kazakistan, ma anche il più povero in termini di pil pro capite: meno della metà della Bessarabia, un terzo del Kazakistan.
Si sono fatti molti scioperi, dopo l’indipendenza. Nel Donbass e nelle altre aree industriali: semplicemente perché i lavoratori non venivano pagati.
Si sono fatte molte “rivoluzioni arancioni”. Che si suppongono della “società civile” per le riforme. Ma non in Ucraina: sono state sempre “rivoluzioni” organizzate da oligarchi contro governi eletti – nella migliore delle ipotesi da affaristi contrari ad altri affaristi. Schematizzati come pro-europei o filorussi, ma per comodo. E con molti soldi occidentali, di filantropi americani e altri di fonte non dichiarata.
In tempi normali sarebbe stato difficile per l’Ucraina accedere all’Unione Europea. Benché già legata alla Ue dal 2017 dall’Accordo di Associazione e Libero Scambio, che liberalizzò i visti. Alla vigilia dell’invasione, il Fondo Monetario aveva sospeso l’avvio (con una tranche da 700 milioni di dollari) di uno Stand by Arrangement del giugno 2020, l’accordo per un prestito di 5 miliardi di dollari, in attesa di “rassicurazioni sul progresso nella realizzazione delle necessarie riforme, in particolare nei settori della giustizia ed energetico, nonché nella lotta alla corruzione”.
Non si può dire, c’è la guerra, ma bisogna saperlo. L’Ucraina è anche in Europa l’unico Paese a celebrare una festa fascista.

C’era una volta l’Italia

Pomicino, il “Geronimo” di molte cronache politiche del “Giornale” di Feltri e Berlusconi, già ministro del Bilancio negli anni 1990, fedelissimo di Andreotti, ci ha preso gusto. Dopo “Strettamente riservato” e dopo “La Repubblica delle giovani marmotte”. A smantellare la Seconda Repubblica - o Terza, o Quarta che si voglia, tanto non si sa che cosa sia. “Controstoria della seconda Repubblica” è il sottotitolo. Con una ricetta semplice: dice quello che i secondi repubblicani non dicono, ma che tutti hanno visto e vedono. Il mercimonio delle banche e aziende pubbliche, spezzettate e svendute, lo stato pietoso dei servizi nel mercato libero, a vent’anni o trenta dalle privatizzazioni, al telefono, nelle assicurazioni, in banca. In un’economia allo sbando: ogni anno perde posizioni, nel mercato mondiale e in quello europeo. Senza investimenti, e quindi non più competitiva - la produttività stagnante è il segno della Seconda Repubblica, l’Italia segna il passo da venticinque anni buoni. Con una disoccupazione reale enorme: l’Italia è il paese europeo con il più basso tasso di occupazione (persone al lavoro rispetto al totale della popolazione), dieci punti sotto la media continentale – era la quinta o quarta economia mondiale prima del colpo di stato di Di Pietro, Borrelli&Scalfaro. Sotto un debito pubblico triplicato rispetto al 1991, a prima del diluvio.
Un po’ questo terzo libro morde poco, rispetto ai primi due. Dove c’era la scena in cui Borrelli fa blocco con i suoi armigeri, “i giornalisti”: il Procuratore Capo di “Mani Pulite”, quando Carlo Sama comincia a nominare giornalisti, lo blocca con un liquidatorio: “Per quello che ci risulta, si tratta di giornalisti con i quali Sama aveva appuntamenti di lavoro” - Sama era l’“ufficiale pagatore” del sistema di tangenti collegato all’affare Enimont, per conto del gruppo Ferruzzi. O la vera storia della “discesa in campo”. Berlusconi temeva il fallimento a opera del sistema Mediobanca, di Enrico Cuccia e i suoi salotti milanesi, e per proteggersi entrò in politica. Dapprima come patrocinatore, subito dopo, al concretizzarsi delle minacce, da capopopolo. Fu tenuto a galla da due banchieri marginali al sistema, Luigi Fausti della Commerciale, che per questo pagherà, e Cesare Geronzi dell’allora Banca di Roma, che Andreotti proteggerà dai fulmini milanesi – Cuccia scese a patti con Andreotti. E la morale finale: con la politica Berlusconi evitò la sorte dei Ferruzzi, un impero dissolto dai salotti buoni nel nulla, col suicidio del capo azienda, Raul Gardini.
Molto peraltro Pomicino qui si occupa di fatti correnti, come un qualsiasi opinionista (tratta pure della “buona morte”), dopo un avvio brillante. Prefato da Ferruccio de Bortoli, che certamente non è sulla stessa linea d’onda di Pomicino - e lo scrive. Ma sa qual è la chiave di volta della Seconda Repubblica: la svendita della manomorta pubblica. Anche se sembra avere, a tratti, la memoria corta, anche lui.
Pomicino apprezza Draghi, anzi lo ritiene indispensabile, e lo scrive in un capitolo – senza Draghi l’Italia in questa legislatura non sarebbe andata da nessuna parte. Giusto. Ma la parte migliore dei suoi ricordi riguarda le privatizzazioni piratesche, dei grandi enti economici, delle grandi banche e delle grandi aziende pubbliche – roba da oligarchie postsovietiche: chi ha potuto ha arraffato. Cui ha presieduto Draghi, direttore generale del Tesoro. Alcuni gruppi sono riusciti a sopravvivere e anzi a rilanciarsi, molto competitivi sui mercati internazionali – caratteristicamente quelli in cui lo Stato è ancora socio di controllo: Eni, Enel, Finmeccanica, Fincantieri. Altri invece sono crollati a picco: molte banche, specie dopo l’eliminazione di Antonio Fazio dalla Banca d’Italia, la Sip-Stet, gruppo allora d’avanguardia, che privatizzato e spolpato sopravvive da “salvataggio” in “salvataggio”, la siderurgia, la meccanica (Ansaldo, Breda, Galileo, Nuovo Pignone…), Autostrade, l’alimentare (quanti marchi svenduti, per niente).  
Paolo Cirino Pomicino, Il grande inganno, Lindau, pp. 217 € 18,50

giovedì 9 giugno 2022

Ombre - 619

Si pubblica un dossier dei servizi segreti sui filo-russi nei media italiani, sul più grande giornale italiano, con molto spazio e molti nomi, e non succede nulla. Nessuno si scandalizza, che i servizi segreti italiani spiino dei giornalisti, che magari dicono le cose sbagliate, ma perché è il loro mestiere, dire le cose.  


Non si scandalizza nemmeno il governo, anche se lo scoop di Sarzanini e Guerzoni – della manina che ha dato loro il dossier segreto - è diretto contro Draghi. Una tagliola in vista del dibattito sulla guerra di giorno 21. Si dice servizi segreti in Italia ed è sempre una questione di intrighi, a cominciare dal piano Solo – quante volte saranno stati riformati da allora, una dozzina? Perché non risparmiare? Si sono fatti fare la guerra alla Libia, che era un feudo italiano, e ne hanno letto sui giornali.  


Fa senso lo schieramento del Pd, fino a Fazio e la Littizzetto, e della Rai del Pd Fuortes, contro i referendum sulla giustizia. Fa senso non per i referendum, si possono avere pareri diversi e contrari, ma perché su nessun’altra questione il Pd è così unito e impegnato, i giovani senza lavoro, per esempio, l’inflazione, la pulizia delle strade dove governa. E s’impegna contro i referendum non per una questione di giustizia ma di potere - di avere più potere tra i giudici.

Medvedev, l’ex presidente russo, economista mite, diventa una belva contro l’Occidente e gli Occidentali: “Li odio tutti!”, urla su Instagram. Odioso. Ma nessuno si chiede come sia arrivato a tanto - non richiesto. O si domandi se non si prospetti continuatore di Putin - se Putin è effettivamente in fin di vita, come vogliono le spie inglesi.
 
Elon Musk che minaccia di ritirare l’opa su Twitter se Twitter non fornisce la cifra, o la stima, degli account falsi è liquidato come il furbastro che si è pentito di avere offerto 45 miliardi e vuole tirarsi indietro. Ma Twitter non fornisce i dati richiesti, questo è il fatto. Che sarebbe una notizia – il dato non è marginale, per gli inserzionisti pubblicitari con tutta evidenza, e per l’“informazione” social.
 
Vince e convince l’Italia senza un solo juventino. E allora sorge il dubbio se un allenatore può reprimere, invece di mettere in valore, i giovani: Bernardeschi, Kean - per non dire di Dybala, che preferisce andare all’Inter per meno soldi. Dopo Spinazzola, che è dieci volte meglio di Alex Sandro, ma è stato ceduto in cambio di Luca Pellegrini, che era il miglior terzino sul mercato e dopo un anno di Juventus nessuno vuole. O viceversa, di allenatori che sanno fare ottimo uso dei calciatori e migliorarli, Lorenzo Pellegrini, Cristante, Spinazzola.
 
Il “Corriere della sera” presenta il docufilm che Rondolino ha dedicato a Berlinguer, come al “politico più amato dalla sinistra italiana”. Che invece ha sbriciolato e distrutto. Basti il pensierino che a Berlinguer dedicava vent’anni fa uno dei suoi successori, Piero Fassino. Assomigliandolo “a un campione di scacchi che sta giocando la partita più importante della sua vita”: la partita dura ormai da molte ore “e guardando la scacchiera il campione si accorge che con la prossima mossa l’avversario gli darà scacco matto. Come evitarlo? Morendo un attimo prima: “In fondo, la tragica fine risparmia a Berlinguer l’impatto con la crisi della sua strategia politica”.
 
Ma è sempre l’ora di Berlinguer. Si vende anche la scorta di Berlinguer, la scorta di polizia, che Luca Telese riesce a scrivere e l’editore del “Corriere della sera” a promuovere evidentemente con profitto. Non c’è stato il regime ma ci sono i nostalgici.
 
“Insonnia?”, chiede il medico. “”No! Non riesco a dormire perché mia moglie russa”. “Non lo dica! Se lo scopre il Copasir sono guai!”. È la vignetta di Giannelli sul “Corriere della sera” martedì. Il Copasir fa ridere, sono quattro parlamentari che non sano fare altro, se non chiacchierare. Ma il. dubbio sorge che i servizi segreti, o di intelligence come ora usa dire, non siano da più – da meno? Possibile che sula guerra forniscano al Copasir solo scemenze? Non da ora, da almeno dieci anni, da quando si fecero fare la guerra in Libia da Hillary Clinton e Sarkozy, due geni della politica.  
 
Grillo consiglia i grilli a tavola”. Sembra uno scherzo, e invece è la politica italiana.
Grillo consiglia i grilli a tavola soprattutto per i bambini – per divertimento? E allora gran dibattito tra nutrizionisti, chef e personalità, della politica, dello spettacolo.
 
La Ue decide l’embargo contro il petrolio russo e il giorno stesso l’Opec+, cioè l’Opec più la Russia, aumenta la produzione. Come sarebbe a dire, perché la Russia aumenta la produzione?


Vince Johnny Depp contro l’ex moglie Amber Heard, per colpe evidenti, e il “New Yorker”, subito imitato da “la Repubblica”, stabilisce che il Tribunale, presieduto da una donna, ha condotto il procedimento per affossare #metoo e scoraggiare le denunce di violenza sessuale. Invece di dire, come sembra ovvio, che danneggiano i diritti delle persone oltraggiate le denunce infondate. Questa Heard riceveva cani e porci a casa, si ubriacava e picchiava il marito. Che non è simpatico, ma che vuol dire?


Luciano Violante ricorda nelle presentazioni del suo ultimo libro che nella seconda metà degli anni 1960 fu assistente di Aldo Moro. Per il quale, si può anche ricordare, allora segretario della Dc e\o presidente del consiglio, fu creata una cattedra di Diritto Penale, o Procedura di DP, a Scienze Politiche. Un corso di studi che fin’allora, e dopo di allora, non si è occupato di penale. Ma era Scienze Politiche a Roma, dove Moro voleva la cattedra – essendo a Giurisprudenze i corsi di penale già occupati.  


Andrà a finire male

Non si può sapere come andrà a finire sul campo (non ci sarà – non ci può essere – una vittoria militare, è impensabile un governo ucraino che accetti la mutilazione di un quarto, o un terzo, del territorio) ma già si sa che molte cose sono cambiate con l’attacco della Russia. Per la Russia stessa, in Europa, e in Asia.
Il mercato delle fonti di energia è già rivoluzionato. Il maggiore e meno caro fornitore di petrolio e gas naturale dell’Unione Europea era la Russia, che ora non lo sarà più. Nella transizione a nuovi approvvigionamenti i prezzi cresceranno, e prevedibilmente, sua base dei costi di produzione, resteranno elevati. Lo stesso per i cereali, e le granaglie in genere, di cui la Russia è grande esportatrice – insieme con l’Ucraina, la cui produzione resterà comunque fuori mercato per molto tempo.
In generale, la Russia sarà considerata a lungo estranged dall’area e dalla politica europea – isolata, con la sola Bessarabia al suo fianco. Questo anche nel caso che l’Ucraina (e la Georgia, e altri paesi che si sentano minacciati dalla Russia), non entrino nell’Unione Europea e\o nella Nato.
Ci sarà un rallentamento della crescita economica mondiale, più incisivo e forse anche più duraturo che per effetto del covid. Anche perché la ripresa in uscita dal covid era già minata dall’inflazione, nei due grandi mercati di consumo della globalizzazione Stati Uniti e Ue.
L’Unione Europea rimarrà definitivamente minoritaria nel concerto delle Grandi Potenze, a questo punto ristretto a Stati Uniti e Cina. Senza la sponda russa, e anzi con la Russia ostile, è solo un largo mercato. Ancora ricco ma a sviluppo limitato. E senza autonomia, né di sicurezza né monetaria.

Cronache dell’altro mondo – giudiziarie (191)

San Francisco ha fatto un referendum per cacciare il Procuratore Capo, Chesa Boudin,  che aveva appena eletto due anni fa come più libertario in una città libertaria: figlio di terroristi dei Weathermen, o Weather Undergorund Organization, collaboratore di Hugo Chavez, fautore delle carceri aperte, della depenalizzazione dei furti, e della demobilitazione della polizia. Naturalmente i furti e le rapine si sono moltiplicate, come anche gli assassinii, e gli stessi suoi elettori di sinistra hanno promosso un referendum per rimuoverlo. Che hanno votato al 60 per cento.
Un centinaio di atlete di ginnastica artistica fanno causa all’Fbi, la polizia federale, per un miliardo di dollari, per non essere state protette dalle molestie sessuali che avevano denunciato. Il caso riguarda uno degli allenatori delle atlete, Larry Nassar. Denunciato a suo tempo da alcune di esse, e dalla federazione della ginnastica artistica, a Indianapolis e a Los Angeles, senza effetto. Nassar è stato perseguito solo successivamente, in Michigan.
La Procura di Manhattan, che ha istruito il caso Epstein, del miliardario che procurava agli amici minorenni, voleva chiudere in bellezza processando il principe inglese Andrea. Ma la regina Elisabetta, senza apparire, ha chiuso la vicenda pagando la donna che accusava il figlio. La stessa Procura, pur in cerca di personaggi celebri, ha invece evitato di coinvolgere l’ex presidente Bill Clinton, uno dei più assidui ai parties di Epstein.

L’ora del giornalismo

Una serie che si annuncia d’eccezione, storica ma ricostruita con acume, negli ambienti, nella politica, nella Palermo dei tardi anni 1950 – che si vede poco, ma si sente molto: i primi due episodi, regista Piero Messina (gli altri vedranno alla regia Ciro D’Emilio e Stefano Lorenzi), sembrano abbracciare anche l’intera città, pur girate in quattro soli ambienti, chiusi. Con una cura particolare per gli attori, per i personaggi evocati – sulla traccia dei ricordi di Giuseppe Sottile, che nel quotidiano sbarcherà una quindicina d’anni dopo: tutti scelti con appropriatezza, e funzionali, caratterizzati.
Il nuovo direttore mandato dal Partito (la persona evocata è Vittorio Nisticò) in un giornale di partito che non vende e non paga gli stipendi, decide che invece di “ridurre i costi” (licenziare) bisogna fare giornalismo, cronaca. Dapprima forzando i giornalisti stessi, stanchi galoppini politici.  Palermo s’incarica di dargli ragione – la cronaca non manca.
“L’Ora” di Palermo è stato un giornale soprattutto politico. La serie ha scelto di privilegiare il giornalismo, una funzione che “L’Ora” ha svolto anche egregiamente: è una iniezione di cui oggi più che negli anni 1950 si sente la mancanza.
Piero Messina, L’Ora – Inchiostro contro piombo, Canale 5

mercoledì 8 giugno 2022

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (494)

Giuseppe Leuzzi


Il divario cresce con la Repubblica 1 - lo stato dell’arte
La mostra al Maxxi di Roma del grande fotografo veneziano Gianni Berengo Gardin, in attività per sessant’anni, dai secondi anni 1950, “L’occhio come mestiere”, mostra curiosamente che nelle campagne e nei borghi non c’era grande differenza di condizione e stato dell’arte fra le diverse aree come oggi. Fra le mondine di Vercelli e le falciatrici lucane, per esempio, tra il borgo semiabbandonto toscano e l’analogo siciliano. La differenza è cresciuta – è nata? – negli anni della Repubblica, post-boom anni 1960.
Si spiega in questa chiave anche il leghismo. Che non nasce con l’unità, è una sopravvenienza – Milano era diversa prima, riformista, quasi giacobina.
 
Il divario cresce con la Repubblica 2 - niente ricerca al Sud
La graduatoria dei dipartimenti universitari di eccellenza, appena resa nota dall’Anvur, l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, per la suddivisione di 1,3 miliardi di contributi statali, lascia in corsa 350 dipartimenti dei quasi 800 che avevano fatto domanda di accesso ai fondi – i quali verranno suddivisi, dopo una ulteriore scrematura, fra 180 dipartimenti: come dire un dipartimento su cinque in concorso. È un concorso astruso, nel senso che non sono noti i criteri di valutazione, e non sono spiegate le graduatorie. Meglio, il criterio di valutazione c’è, si chiama Ispd, Indicatore Standardizzato di Performance Dipartimentale, che però lascia senza parole per l’elusività – è leggibile sul sito Anvur: non ci si capisce niente. E l’Anvur si rifiuta di spiegarlo.
Che c’entra il Sud? Il concorso ha un precedente, del 2017, i cui esiti il sito roars.it è riuscito a procurarsi malgrado la segretezza. Scoprendo che il miliardo e trecento milioni di cinque anni fa sono andati ai dipartimenti universitari del Nord, con l’eccezione della Liguria, con l’esclusione praticamente dei dipartimenti del Sud. Le percentuali sono altissime, per alcune regioni del Sud, dei dipartimenti giudicati a Ispd zero: in Sicilia per il 51 per cento, uno su due, in Puglia il 39, che pure ha università emerite, come Bari e Lecce, in Calabria, sede della prestigiosa Unical, il 32 per cento, in Sardegna il 26. Mentre l’inverso si registra per i dipartimenti del Nord: nessun dipartimento escluso in Veneto, Trentino-Alto Adige e Umbria, in Emilia-Romagna solo l’1 per cento, il 2 per cento in Piemonte, il 5 in Friuli-Venezia Giulia.
All’apparenza una discriminazione. Che però non è un sospetto: lo conferma l’assoluto diniego, sia dell’Anvur che del Miur, di spiegare i criteri della scelta. Cioè l’assoluta non trasparenza della valutazione. Di cui si capisce l’arbitrarietà leggendo appunto l’Ispd, l’Indice su cui l’Anvur avrebbe effettuato le valutazioni – una lettura senza senso, forse uno scherzo.
Uno scandalo talmente grossolano che se ne fa bandiera perfino Gian Antonio Stella, colonna antisudista del “Corriere della sera” – lo stesso che lo stesso articolo ieri su questa storia chiude al veleno, con i “corsi siciliani” di formazione (nulla a che vedere con le università) “per «baristi acrobatici» o esperti di merletto macramè” (e oggi si riproduce imputando alla Regione Sicilia - cioè, sottintende, alla corruzione - l’impoverimento relativo dell’isola nel dopoguerra: nel 1951, “quando sulle Madonie grandi auto e grandi piloti si contendevano la Targa Florio, l’intero Pil siciliano era un ottavo di quello italiano, oggi è un ventesimo. Come mai? Lo sanno tutti”): “È mai possibile che su 119 dipartimenti esclusi per «Zero tituli», per dirla con Mourinho, ben 72 siano nel Sud e nelle isole? Con la Sicilia che arriva a 25 stroncature avvilenti, cioè quasi il doppio di tutto il Nord messo insieme”.
L’abuso, curiosamente insindacabile in un governo che si presume parlamentare, potrebbe essere politico. Come l’energia (Eni, Enel, Eena, etc.), la ricerca (Cnr, Anvur, Miur, Infn, etc.) è saldamente democristiana, con la breve parentesi di Fabio Mussi al Miur nel secondo breve governo Prodi, 2006-2008. Con prevalenza Pd rispetto ai vecchi Dc poi berlusconiani: con le infaticabili Moratti, Gelmini, Massa, Carrozza, et al. E allora è una manovra, una delle tante, per riconquistarsi il Nord leghista-berlusconiano. Oppure è semplicemente un riflesso condizionato, di tecnocrati pazzi che si nascondono sotto ricette segrete – l’Ispd, va ripetuto, merita una lettura. Comunque una pratica talmente scandalosa, contestabile sia in sede amministrativa che penale, da meritarsi una denuncia non da Palermo o da Bari, dagli esclusi, ma da Pavia. Da un ordinario di Modelli e Analisi dei Dati, il professore Giuseppe De Nicolao. Originario di Padova, di famiglia bellunese.
De Nicolao è un esperto del settore, animando dal 2013 un osservatorio sui “ritorni” degli investimenti scolastici e per la ricerca, al sito roars.it. Dove parla di “alchimie numerologiche pseudoscientifiche”.
 
Un altro Sud
La Francia avrebbe tutti i titoli per una “questione meridionale”. Da sempre uno Stato accentrato e accentratore, a fronte, al Sud, di una lingua diversa e una cultura complessa, provenzale, italiana, spagnola. L’Occitania era più che un’utopia per Simone Weil, parigina, ancora nel 1942. Il movimento occitano è stato effervescente ancora negli anni 1970-1980.
La storia è diversa. La Francia, Stato continentale, arriva tardi e svogliato al Sud. Del divario economico non si cura - ma in Francia è più forte col Nord (quello di “Benvenuti al Nord”, il film cult che in Italia è diventato “Benvenuti al Sud”, come a dire sempre “strano”, diverso). Ma non c’è stato vittimismo e non c’è nemmeno revanscismo. Il Sud della Francia ha avuto anche le mafie, negli anni 1950-1960 i “Marsigliesi” dominavano il malaffare in Europa. Se ne è liberata. Ha rifatto Marsiglia – letteralmente, l’ha ricostruita a parte. Il Sud ha i suoi usi, perfino la corrida, e le sue fabbriche. Si sa gestire. E non ha bisogno di polemizzare.
 
Nel primo Rapporto Censis sulla Transizione Ecologica, in tutte le quattro categorie di centri urbani rilevati, Citta metropolitane, Province con più di 500 mila abitanti, Province tra i 300 mila e i 500 mila abitanti, e province con meno di 300 mila abitanti, per il contesto Imprese (“investimenti green dal 2016 a oggi”) vengono per prime le province meridionali. Messina, Reggio Calabria e Bari per le Città metropolitane. Taranto, Salerno e Foggia per il secondo gruppo. Catanzaro, Trapani e Potenza per il terzo. Nuoro, Crotone e L’Aquila per il quarto.
Il tessuto industriale naturalmente è debole, in queste come nelle altre province meridionali, e l’incidenza di queste aziende nel complesso nazionale resta minimo. Però, gli indici certificano che non sono le idee né l’iniziativa che difettano al Sud, insieme con l’aggiornamento, con l’attenzione a come il mondo va, cioè l’essenza dell’imprenditoria: intelligenza e iniziativa. Manca il complesso, difficile da creare e far maturare in un mercato globale, le cui “catene di valore”, catene produttive, portano sempre più lontano. E manca l’infrastruttura – fare rete, averne i mezzi: manca la politica, il governo pubblico dell’economia, sia pure nell’aspetto minimo, comunicazione (stradali, ferroviarie, digitali), burocrazia intelligente, scuole, sanità.
 
Il grottesco del Sud
A 31 anni, appena diventata un nome nella letteratura americana, Flannery O’Connor deve difendersi in un saggio, “Alcuni aspetti del grottesco nella letteratura meridionale” (poi incluso in “Mistery and Manners”, la raccolta tradotta come “Un ragionevole uso dell’irragionevole”, non più disponibile – l’originale si può leggere online), dal “grottesco” di essere etichettata meridionale, in quanto scrittrice. Anche perché il southern si lega in America, alla degeneracy, alla perversione: “Quando ho cominciato a scrivere, la mia speciale bête noire era questa entità mitica, la Scuola della Perversione Meridionale. Dovunque sentivo di Scuole della Perversione Meridionale”.
Collocata dai critici nella “scuola” del “grottesco meridionale” (Poe, Faulkner) o della “degenerazione meridionale” (Truman Capote, Carson McCullers), Flannery O’Connor reagiva. Anche se la connotazione è – era all’epoca, 1960 – un segno di distinzione, nella generale piattezza delle lettere americane: “Critici e lettori…. associano il solo materiale legittimo dei romanzi al movimento delle forze sociali, al tipico, alla fedeltà ai modi come le cose appaiono e avvengono nella vita normale”. Solo che, se si tratta di uno scrittore del Sud, la sua normalità è, “in senso peggiorativo, il grottesco”. Commentando, caratteristicamente: “Naturalmente, ho scoperto che qualsiasi cosa viene dal Sud sarà chiamata grottesca dal lettore settentrionale, a meno che non sia grottesca, nel qual caso sarà chiamata realistica”.
Ma, fuori dell’irritazione, con affascinanti intuizioni. “Ogni qualvolta mi si chiede perché gli scrittori del Sud hanno la tendenza a scrivere di freaks, di personaggi strani, rispondo che è perché siamo ancora capaci di riconoscerne uno. Per essere capace di riconoscere un personaggio strano devi avere qualche concetto dell’insieme uomo, e al Sud il concetto generale dell’uomo è ancora, nel complesso, teologico. Questa è una vasta affermazione, ed è pericoloso farla, perché qualsiasi cosa sulla fede al Sud può essere negata al prossimo con la stessa giustezza. Ma approcciando l’argomento dal punto di vista dello scrittore, penso sia possibile dire che, mentre il Sud è difficilmente Cristo-centrato, è quasi certamente Cristo-ossessionato. Il meridionale che non ne sia conscio, ha comunque paura di poter non essere stato formato nell’immagine e somiglianza di Dio. I fantasmi possono essere molto feroci e istruttivi. Fanno strane ombre, particolarmente nella nostra letteratura. In ogni caso, è quando il freak può essere sentito come una figura per il nostro spiazzamento essenziale che raggiunge qualche profondità in letteratura”.
O ancora: “Lo scrittore meridionale è obbligato da tutti i punti di vista a estendere il suo sguardo oltre la superficie, oltre i meri problemi, finché non tocca il mondo che è il tema di profeti e poeti”.
È il piccolo segreto di Camilleri, che è sfuggito al cappio delle mafie. Pur scrivendo (prevalentemente) dei polizieschi, in terra di mafia.


leuzzi@antiit.eu

Petrobufale

Grande edizione, con apparati più lunghi dei testi, rilegata, in formato gigante, da grande classico. Con sgomento reiterato di Walter Siti, onesto curatore. E “pezze d’appoggio”, i materiali su cui Pasolini lavorava, che ne dicono la difficoltà, trattandosi – volendosi - il romanzone documentario, un romanzo-verità. Sono articoli di giornale. Su e contro Cefis, che si era fatto manager-padrone di Montedison, allora grande cosa a Milano, che “Milano” (banche e giornali) non gradiva. Su Girotti, che nessuno sa chi sia ma era il successore e longa manus di Cefis all’Eni, finché non tentò di fargli le scarpe in Montedison – e con ragione: come Eni, doveva colmare ogni anno le perdite multimiliardarie di Montedison senza contare niente. E sulle liti di Girotti con Francesco Forte, l’economista ora deceduto, nominato vice-presidente Eni per “lottizzazione” politica (Girotti era fiero democristiano, come tutto nel mondo dell’energia, sarà anche senatore Dc, Forte era nominato dal partito Socialista), che Girotti in un organigramma memorabile collocò in una pagina a sé, casella solitaria, e senza alcuna incombenza – una vice-presidenza che distrusse il brillante economista lombardo: Roma, dove scese a vivere da solo, lo ubriacò, lo si incontrava la sera a piazza Navona o Campo dei Fiori, solitamente ubriaco anche lui.
Franco Fortini, “Io, tu e Pier Paolo”, “L’Espresso” 7 dicembre 1986, la recensione dell’epistolario 1940-1954 curato da Nico Naldini, seppure sempre apocalittico, ha ragione nella sostanza:
“Per innovare il discorso critico su Pasolini, la pubblicazione degli epistolari, degli inediti, e delle varianti serve a poco, fuorché alla chiacchiera universale” – e si può immaginare cosa ne avrà pensato all’uscita di “Petrolio”, affrettata, raffazzonata, sei anni dopo. Una pubblicazione scandalistica, ma in sé più che per i contenuti che esibisce. Arbasino ne scrisse a lungo urtato, malgrado l’amicizia personale, dalla violenza insistita del “romanzo” (trattamento? bozza? appunti), e dalla ricerca editoriale di un succès de scandale con l’esibizione degli “atti impuri”: “Ripete molte volte «il glande», che sembra un verdura desueta o un frutto della Quercia con necessità di note filologiche”.
Questo per la filologia, e sarebbe già abbastanza per chiudere il libro. Ma “Petrolio” ora si vuole vendere come la soluzione dei “misteri italiani”, dei lunghi terribili anni 1970, seguiti all’Autunno Caldo del 1969 a partire da piazza Fontana. E la cosa è bizzarra – diminuisce molto il Pasolini civile, dantesco, degli ultimi suoi tempi.
La riedizione insiste su un capitolo rubato. Né Naldini a suo tempo né ora Siti sanno nulla di capitoli rubati, o di Eni. Ma Carla Benedetti e “L’Espresso” tipicamente vi insistettero all’epoca della prima pubblicazione. Basandosi sul giudice Cali, uno che ha passato la sua vita in magistratura  a intessere ipotesi sulla fine di Enrico Mattei, il fondatore dell’Eni. E ipotizzando che il cosiddetto capitolo mancante – c’è la copertina, “Cefis”, non c’è niente dentro – fosse “basato”, scriveva Benedetti su “L’Espresso”, “su uno strano libro, «Questo è Cefis», pubblicato nel 1972 con lo pseudonimo di Giorgio Steimetz dall’Agenzia Milano Informazioni, di Corrado Ragozzino” – che è Steimetz? “Finanziato da Graziano Verzotto”, che Benedetti e Calia definiscono “amico di Mattei”, mentre non lo era: Verzotto era uno dei tanti veneti maneggioni in Sicilia, definito “l’uomo dei misteri” in morte, che a un certo punto fuggì all’arresto rifugiandosi a Beirut, “amico di Mattei” (che non aveva “amici”) per sua peculiare fabulazione. Mentre Cefis aveva all’Eni come uomo di fiducia, presso giornali e partiti, che lui personalmente disdegnava, Franco Briatico, una Grande Democristiano che finanziava il “Manifesto” – che però da ultimo ebbe qualche dissapore con Cefis, poiché Cefis non l’aveva voluto con sé alla Montedison, come era nelle ambizioni di Briatico.
Avendo lavorato con queste persone in quegli anni, a partire dal fatidico 1968, si può testimoniare che le “agenzie” erano una miriade, in funzione di ricatto, per uno o più “abbonamenti” (milioni di lire), altrimenti scatenavano “campagne stampa”. Il problema vero che ponevano era che bisognava spulciarle ogni giorno, o quando uscivano, perché erano specialisti di quelle che oggi si chiamano fake news, allora “voci” o “boatos”. Erano opera di qualche carabiniere a riposo, e di informatori veri o presunti dei servizi segreti, persone che avrebbero ambito a esserlo, carabinieri e\o agenti segreti, un po’ come il vigilante è tipicamente quello che voleva essere poliziotto, e facevano sospettare di poter essere espressione o massa di manovra di servizi segreti – il che non era impossibile, i servizi in Italia erano e sono opera di basso giornalismo.
Contro Cefis le “agenzie” si scatenarono quando passò dall’Eni alla Montedison - che Cefis attraverso l’Eni si era comprato. Manager certamente poco accomodante, un ex ufficiale dell’esercito che l’8 settembre era passato con la parte giusta, che fu facile trasformare in agitatore di complotti – insieme con Carlo Pesenti, che oggi invece si celebra come grande democratico, e con Attilio Monti, un petroliere (della raffinazione) che era padrone dei giornali del Centro Italia. A opera degli stessi servizi di (dis)informazione che invece sono stati dietro a molte tragedie dell’Italia in quegli anni – i cd “servizi deviati”. Alla Montedison Gioacchino Albanese, che Cefis si era portato dietro dall’Eni invece di Briatico, ritenne di non dover più stare al ricattino delle “agenzie” – anche perché aveva a disposizione il “Corriere della sera” (il “Corriere della sera” di Ottone, di cui Pasolini era la star), che Montedison pagava per conto dello squattrinato Angelo Rizzoli. E Cefis divenne il complottatore universale – presto del tutto dimenticato quando riconobbe il suo fallimento alla Montedison e abbandonò la scena. Un “romanzo” costruito sul niente, sulle chiacchiere?
Pier Paolo Pasolini, Petrolio, Garzanti, pp. 828, ril. € 28


martedì 7 giugno 2022

Letture - 492

letterautore


Architetto
– Si vuole dominatore degli spazi, cioè voluminoso? Mezzo secolo di critica dell’architettura Novecento, detta fascista, piacentiniana, inutilmente grandiosa, con dispendio enorme di energia, per il riscaldamento e per il raffreddamento. Dopodiché l’architettura contemporanea, per esempio a Roma il Maxi di Zara Hadid e l’Ara Pacis di Richard Meier si segnalano unicamente per lo spreco di spazio, per incapsulare volumi enormi i spazi vuoti, a nessun effetto, né pratico né visivo, se non per il dispendio che richiedono incommensurabile per il riscaldamento e per il raffreddamento. 


Botteghe Oscure – È il top delle riviste letterarie per la scrittrice americana Flannery O’Connor  nel 1960 (“Some Aspects of the Grotesque in Southern Fiction”): “Puoi pure pubblicare i tuoi racconti in ‘Botteghe Oscure’, non sono per niente buoni”. Intende dire in America – il lettore di “carcere federale, o manicomio statale, o casa-albergo locale dei poveri, che vi scriverà che non avete servito i suoi bisogni”. 

Però: il lettore in America scrive(va) ai suoi autori?


Chautauqua – Robert M. Pirsig fa “chautaqua” ogni tanto nel suo libro di viaggio “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”. Chautauqua, dal nome del lago sopra New York, era la rappresentazione dei cantastorie indiani che giravano il paese a dorso di cavallo e in ogni remoto villaggio, sotto la tenda, parlavano di tutto all’impronta. Tra fine Ottocento e primo Novecento un Circuito Chautauqua portò la cultura nell’America remota, seppure sempre dell’America urbana. Pirsig si rappresenta le posizioni dei suoi compagni di viaggio, il figlio e una coppia di amici, per meglio capirne le reazioni.


Classico-Romantico – Sono “maschile” e “femminile” nella vecchia dicotomia di “Fedro”, alias di Pirsig quando faceva il filosofo logico, prima del ricovero in clinica psichiatrica che lo ha normalizzato. Una distinzione a cui però Pirsig, pur criticandola, non rinuncia da savio, in “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”, 1974, un quindicennio dopo la discussione sulle “due culture”, irriducibili, l’umanistica e la tecnico-scientifica, al § 6 della Parte Prima: “Un’intelligenza classica guarda al mondo primariamente come la sua forma sottostante. Una romantica lo vede primariamente in termini di apparenza esteriore”. Una differenza che Pirsig diventato savio spiega in termini di differente lettura di un disegno di meccanica, per esempio, o di schema elettronico: “Il modo romantico è primariamente ispirato, immaginativo, creativo, intuitivo. Predominano le sensazioni piuttosto che i fatti. L’“Arte”, quando è opposta alla “Scienza” è spesso romantica. Non procede dalla ragione o da leggi. Procede per sentimenti, intuizioni e coscienza estetica. Nelle culture Nordeuropee il modo romantico è solitamente associato con la femminilità…. Il modo classico, al contrario, procede dalla ragione e da leggi – che sono esse stesse forma sottostanti di pensiero e comportamento. Nelle culture europee è primariamente un modo maschile, e i campi della scienza, della legge e della medicina non attraggono le donne primariamente per questo motivo. Benché andare in moto sia romantico, la manutenzione della moto è puramente classica”.
Ora i campi non allontano o attraggono per sesso – attraggono o allontanano per opportunità, di guadagno e di carriera (potere). Sono cambiati i campi o sono cambiati i sessi?


Do – È il “do” che sostituisce l’“ut” della scala originaria di Guido D’Arezzo, anno Mille, e non il viceversa: non è l’uso francese – che tuttora ha l’“ut” al posto del “do” – che sostituisce l’uso “italiano”. La notazione di Guido, “Micrologus”, fu cambiata in Italia nel Cinquecento da Giovanni Battista Doni, probabilmente dalla sillaba iniziale del suo cognome.


Grottesco – È “il vero stile anti-borghese” di Thomas Mann – non figura tra i suoi detti celebri, ma è anche ovvio: è anti-convenzionale.
È però la cifra di Thomas Mann, di tutti i racconti, compreso “Morte a Venezia”, e probabilmente il “Doctor Faustus”. Anche “Tonio Kroger”, e lo stesso “I Buddenbrook. Decadenza di una famiglia” si potrebbero leggere in questa chiave - benché, allora, prolissa: il grottesco è rapido, anche fulmineo. Non epica: il romanzo borghese non è epico, e allora in qualche modo è grottesco, anche Proust, anche Flaubert – soprattutto Proust e Flaubert, i due romanzieri super della borghesia.

Forse è qui la differenza con i romanzieri sussi, della nobiltà (Tolstoj), della ribellione (Dostoevskij), e della semplicità (Turgenev, Cechov).


Intellettuali chierici – Sono stati chierici i maggiori letterati del Tre e Quattrocento, nota Dionisotti alle pp. 61- 64 della “Geografia e storia della letteratura”: Petrarca e Boccaccio, Alberti e Poliziano. Una condizione di privilegio intellettuale e pratico – alla qualifica erano legati benefici (rendite, pensioni).
Il concilio di Trento – ancora Dionisotti – fu un concilio di letterati, ma di potere.
Gli intellettuali laici, d’altra parte, sono soprattutto toscani, sempre secondo Dionisotti, che li valuta in un terzo del totale. 

Hitler – “La Germania, vinta in una guerra imperialista, cercava un Hitler, e l’aveva trovato”, V. Grossman, “Stalingrado”, 2da parte, § 30. Cercava un leader revanscista, però, e ne trovò uno, e un disegno, costruiti sui fallimenti: “Tutte le sue idee furono contraddette dalla storia. Niente di ciò che aveva promesso si realizzò. Tutto ciò che aveva voluto annientare trovò in questa lotta un nuovo vigore, un nuovo soffio”. Hitler come rigeneratore, dunque, nel mezzo delle distruzioni che senza posa architettava.


Latino – Il latino del tardo Quattrocento è di gran lunga più realistico e popolare della letteratura in volgare, trova Dionisotti nella “Geografia e Storia della letteratura”: è nel primo ‘500 che il latino diventa una severa disciplina ciceroniana e virgiliana – mentre Bembo codificava il volgare.
Più popolare forse no, non era possibile, ma più vivace.

Pasolini – Ebbe una fase proustiana, nel 1951, quando già viveva a Roma. Nel progetto “Per un romanzo sul mare”, poi ridotto, nell’estate del 1950, a “Operetta marina”, un racconto lungo, una cinquantina di pagine, dell’infanzia a Cremona e a Sacile. Inviato nel 1951 al premio Taranto, non fu premiato, “benché giudicato”, scrive Nico Naldini, “«un finissimo racconto proustiano»” – la stessa impressione, netta, si ha senza sapere del premio Taranto leggendo il racconto nei Meridiani: una derivazione trasparente e quasi un’imitazione, quasi un pastiche, genere di cui Proust si dilettava, nelle figurine e il loro mondo, oltre che nella scrittura, benché tessuta di coordinate e non di subordinate.


Poesia cavalleresca – “Genere umilissimo, tradizionalmente anonimo” – Dionisotti, “Geografia e storia della letteratura”, 158.


letterautore@antiit.eu

Ecobusiness

L’auto elettrica sposta il centro mondiale di produzione dall’Atlantico all’Estremo Oriente. In termini di minerali necessari alla produzione di batterie performanti, e di capacità di produzione delle batterie stesse.
Uno studio di Ubs Evidence Lab, laboratorio di analisi del gruppo bancario svizzero, calcola che con un mercato mondiale dell’auto al 100 per cento elettrico, la domanda di litio crescerebbe del 3.000 per cento, del cobalto del 2.000 per cento, di terre rare del 655 per cento, di grafite del 524 per cento, di nickel del 200 per cento. Tutti minerali di produzione soprattutto cinese e asiatica, oltre che russa. Mentre la domanda di acciaio resterebbe uguale – meno 1 per cento.
La capacità di produzione delle batterie per auto elettrica più performanti è al momento quasi totalmente cinese, sudcoerana e giapponese: per il 94 per cento esattamente. Quattro aziende cinesi hanno il 44 per cento del mercato delle batterie, in termini di potenza installata. Tre sudcoreane coprono il 32 per cento del mercato. E tre giapponesi il 18 per cento.

Quant'è cambiata l'Italia

La pregnanza della “narrativa” per immagini soprattutto, che il fotografo veneziano oggi ultranovantenne esercita con perizia e risultati duraturi, nelle tematiche, i soggetti, le luci. Sotto un velo di malinconia, di chi sa che sta facendo testimonianza di realtà periture – specialmente impressionante la documentazione dei cosiddetti “ospedali psichiatrici” prima della “legge Basaglia”, 13 maggio 1978, appena quarant’anni fa, poco più.
La visione oggi comparativa che la grande mostra consente, di reperti tra il 1960 e il 2015, testimonia anche una curiosità: l’Italia, città e campagne, era nel 1960 molto più uniforme nelle varie aree di quanto non lo sia oggi, tra metropoli e provincia, tra Nord e Sud.
Gianni Berengo Gardin, L’occhio come mestiere, Maxxi Roma € 7

lunedì 6 giugno 2022

Il mondo com'è (447)

astolfo


Catòblepa – S’incontra leggendo di Gide il “Viaggio al Congo”, del 1927, un riferimento a un animale mai sentito, catòblepa, che allo scrittore viene in mente trovandosi di fronte a qualcuno che non gli piace – i coloni in genere non gli piacevano, mezzo affaristi e mezzo razzisti: “Mi sento come sant’Antonio che riflette sulla stupidità del catoblepa” – “la sua stupidità mi attira”.

È un animale leggendario, inventato da Plinio il Vecchio e ripreso da Eliano, come di ambito africano, quadrupede, col collo lungo e la testa pesante, che tendeva ad abbassare a terra – donde il nome, che è greco greco: καταβλέπω è “guardo verso il basso, guardo a terra”. Secondo Plinio era dotato di uno sguardo fulminante, un potere che però non esercitava dato che lo trascinava per terra.

A parte Gide, dimenticato. Ma non da Elio e le Storie Tese, nellalbum “Italian, Rum Casusu Cikti, i servi della gleba, del 1992. E da Fabrizio Barca, l’economista che fu ministro per il Sud del governo Monti dieci anni fa, per criticare lo Stato “occupato” dai partiti politici. Memore probabilmente del presidente emerito della Banca Commerciale, nonché mecenate culturale e letterario, Raffaele Mattioli, che nel 1962 parlò di “catoblepismo” a proposito degli intrecci perversi tra industria e banche che avevano portato alla crisi bancaria del 1932 – gli stessi che hanno portato qualche anno peraltro alla crisi delle banche venete, l’Antonveneta e la Popolare di Vicenza, spolpate dai grandi azionisti.


Pacto de olvido – L’accordo tra le forze politiche e le istituzioni spagnole che ha retto la transizione dal franchismo alla democrazia è stato abbandonato dopo quarant’anni, nel 2007 da una Legge della Memoria Storica che condanna il franchismo. Il patto, firmato nel 1977 dal primo governo postfranchista, presieduto da Adolfo Suárez, con le forze parlamentari, ufficialmente “Patti della Moncloa”, aveva garantito una sorta di pace civile, ma a aveva anche come cancellato il passato, ma aveva coperto anche impunità, ancora perseguibili.
Da inizio millennio varie associazioni erano sorte per un ritorno della memoria. In particolare la Asociaciόn para la Recuperaciόn de la Memoria Histόrica, del sociologo Emilio Silva, per il recupero  dei corpi delle vittime della repressione franchista rimaste senza nome in fosse comuni. Che è il tema dell ’ultimo film di Almodovar, “Madres paralelas”. La Ley de Memoria Histόrica (Ley 52/2007, por la que se reconocen y amplían derechos y se establecen medidas a favor de quienes padecieron persecución o violencia durante la guerra civil y la dictadura), che pone fine alla tregua, è stata approvata nel dicembre del 2007.
Nel contempo il governo spagnolo, presieduto dal socialista Zapatero, annunciava di voler rivedere restrittivamente il Concordato firmato nel 1979, nel quadro del “parto de olvido”. Mentre, però, il Vaticano di papa Giovanni Paolo II procedeva a una rivendicazione di “resistenza” contro le persecuzioni della Repubblica spagnola, e poi delle milizie durante la guerra civile. Nel nome dei tanti trucidati solo per essere chierici o anche solo fedeli della chiesa, preti, frati, suore, e anche giovani laici.
La domenica 28 ottobre 2007 papa Woytiła proclamò beati 498 “martiri” spagnoli, vittime della seconda Repubblica (1934) e della guerra civile (1936-37): due vescovi, 24 sacerdoti diocesani, un diacono, un suddiacono, un seminarista (di sedici anni, aspirante salesiano), sette laici, e 462 membri di congregazioni religiose – in prevalenza agostiniani (98), domenicani (62) e salesiani (59). In alcuni casi vittime di stragi – la più numerosa al convento dei Carmelitani di Toledo: all’inizio della guerra civile, nel luglio 1936, i miliziani presero il convento e uccisero a uno a uno i 16 religiosi che lo abitavano.
Il governo Zapatero fece finta di nulla, mandando a Roma, per la beatificazione in piazza San Pietro, il ministro degli Esteri, Angel Maria Moratinos. Ma quella era l’ultima cerimonia di beatificazione di vittime della guerra civile in Spagna di una serie che Giovani Paolo II aveva voluto: altre undici l’avevamo preceduta, con la beatificazione di 465 religiosi e civili spagnoli uccisi dai miliziani.
Alla cerimonia del 28 ottobre 2007 in piazza San Pietro presenziava anche il deputato socialista, e uno degli autori della Legge sulla Memoria che andava allora in votazione, José Andres Torres Mora, il cui prozio, il diacono ventiquattrenne Juan Duarte Martin, era stato protagonista nella stampa spagnola della precedente beatificazione: il giovane, di Malaga, era stato torturato nel luglio del 1936 dai miliziani con scariche elettriche, perché rinnegasse la fede e gridasse viva il comunismo!” – così recitava la causa di beatificazione della Conferenza Episcopale spagnola (un dossier di 500 pagine). Torture a cui il giovane invariabilmente rispondeva: “Viva Cristo Re!”.
  
Waffen SS – Le SS combattenti, inquadrate nella Wehrmacht, furono in grande parte costituite da volontari, dei paesi occupati – tra essi molti ucraini, il precedente che è all’origine della prima propaganda russa, il curioso appellativo di “nazisti” riferito agli ucraini che Mosca stava attaccando.
C’erano mezzo milione di stranieri, dai baltici ai turcomanni, nella Wehrmacht e le SS alla fine della guerra. Nel ‘44, a guerra praticamente perduta, su 910 mila Waffen SS, oltre la metà erano non tedeschi – con una larga partecipazione anche dei “tedeschi etnici” (Volksdeutsche), le popolazioni tedescofone di Romania, Repubblica Ceca, Jugoslavia – non dei Volksdeutsche di Russia, che stanno sul Volga, quindi sono venuti a contatto con l’esercito tedesco.
Combattenti regolarmente inquadrati: ai sopravvissuti la Germania Federale ha pagato le pensioni di guerra, con complesse procedure – eccetto che ai polacchi e agli ucraini, i cui rispettivi governi non hanno attivato la procedura per opportunità politica. E regolarmente operativi, anche se alcuni gruppi si distinsero in operazioni di polizia, contro gli ebrei, con esecuzioni in massa (i baltici), e nella caccia ai partigiani (ucraini), anche in Italia, ma specialmente in Russia.
Il fatto non è molto studiato, e le cifre che se ne danno sono approssimate. Tuttavia, danno un’idea del volontariato europeo a fianco della Germania di Hitler. Queste le cifre considerate più attendibili dei volontari:
Olandesi 50.000
Cosacchi 50.000
Lettoni 35.000
Ucraini 30.000
Estoni 20.000
Italiani: 20.000
Croati: 20.000
Serbi: 15.000
Belgi: 14.000
Bielorussi 12.000
Danesi 11.000
Francesi 8.000
Norvegesi 6.000
Volksdeutsche (per regione di origine)
Ungheria 80.000
Cecoslovacchia 45.000
Croazia 25.000
Europa occidentale 16.000
Romania 8.000
Polonia 5.000
Serbia 5.000
Baltici e ucraini vennero impiegati anche sul fronte russo. Con meno fortuna i baltici contro Leningrado, con più successo gli ucraini al Centro-Sud, dove stavano per attraversare il Volga e dilagare fino agli Urali – la battaglia di Stalingrado. Volontari oppositori della Russia di Stalin, i baltici e gli ucraini, più che per vocazione fascista (ma in Ucraina questa componente resta forte): i piani di Stalin avevano prodotto spopolamento e perfino la carestia nell’ubertosa Ucraina. L’Ucraina si segnalò anche per avere dato una svolta alla campagna di reclutamento volontari delle SS, candidandosi in numero elevato - i russi dicono in 300 mila, dieci volte il numero che si considera attendibile degli effettivi ucraini. Inoltre, resta forte in Ucraina il reducismo, anche a distanza di due e tre generazioni, dei nostalgici di Hitler. Il 28 aprile, con Kiev ancora sotto le bombe russe, alcune centinaia di persone (trecento secondo il “Jerusalem Post”) hanno sfilato al centro della città, in una “Marcia del Ricamo”, per celebrare il 78mo anniversario della fondazione della 1ma Galizia, la 14ma divisione Waffengrenadier delle SS. Una celebrazione annuale, insieme con simpatizzanti tedeschi, tenuta gli anni precedenti a Leopoli. Fino al 2000, quindi dieci anni dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, la professione di fascismo era proibita anche in Ucraina. Quell’anno i partiti nazionalisti ottennero il riconoscimento di “eroi della patria” per alcuni collaborazionisti, contro l’“imperialismo sovietico”.
I volontari venivano inquadrati nelle SS, i volontari dei territori occupati, essendo una forma di reclutamento e formazione che la Wehrmacht non contemplava. La campagna SS di reclutamento in Europa occidentale, benché immediata, già nel 1940, e consistente, non fu di grande successo. Tuttavia, la prima formazione fu composta, nel 1942, la Nordland, con volontari norvegesi e danesi. L’Olanda fornì due legioni, Flandern e Niederlande. Altre legioni furono fornite dai volontari belgi, la Wallonie, ungheresi, e croati. La legione ucraina fu la N.1.
Col Piano Generale per l’Est Hitler aveva pianificato nel ‘42 l’espianto degli slavi, polacchi, ucraini, bielorussi e cechi, in buona parte amici dei tedeschi, destinazione la Siberia. Questione di principio, di razza: con i semiti e i latini i tedeschi disprezzano gli slavi. Senza distinzioni, tra russi e polacchi per esempio, o tra i polacchi e i semplici “russi rossi” della Galizia e dei Carpazi. Gli stessi russi che molto si aspettavano dai tedeschi, Stalin non eccettuato. Poi andò diversamente.

astolfo@antiit.eu

L’11 Settembre a Ostia

Un gioiellino dell’autore di “Fatherland” (Hitler ha vinto la guerra) - che poi sarà il grande narratore, da superlatinista, di Cicerone in tre volumi e di Pompei - qualche giorno dopo l’11 Settembre. È l’autunno del 68 a.C, il porto di Ostia, al cuore dell’impero romano, l’unico del Mediterraneo, viene occupato e bruciato, la fotta consolare distrutta, due senatori eminenti presi in ostaggio, con i loro addetti e le scorte armate.
Non è l’unico déja vu. Gli attaccanti non sono avanguardie o emissari di nessuna potenza straniera, nessuno oserebbe sfidare Roma in casa. Sono battitori liberi - i frustrati della terra li dice Harris con le parole di Mommsen, in linguaggio pre-fanoniano: “I dannati di tutte le nazioni, uno stato piratesco con un peculiare spirito di corpo”.
Una curiosità e insieme un ammonimento: il terrorismo non ha posto nella storia, per quanti morti e distruzioni faccia.
Roobert Harris,
Pirates of the Mediterranean, “The New York Times, free online

domenica 5 giugno 2022

Secondi pensieri - 484

zeulig


Anticonformismo – O dello spirito critico. Un valore associato con l’individualismo, e insieme con l’apertura al diverso e al nuovo, quindi politicamente progressista o di sinistra. Ma questa si identifica più propriamente col movimento delle masse, con le masse, oggi come ieri, anche se il concetto di massa è passato dall’indistinto e innominato a un pulviscolo o agglomerato di non-esistenze, seppure individualizzate: tutti insieme, dello stesso avviso a pena di scomunica, col comunismo ieri come con Greta oggi, o il woke, il politicamente corretto, il postumano. E lo spirito critico conformista?
È una contraddizione, e può spiegare la crisi della politica – dell’antica funzione della politica, che era, è, pedagogica. Si vede in particolare con la critical theory americana, che propone una revisione storica radicale, dell’America non come rifugio e esercizio della libertà, ma di oppressione, degli indiani prima e poi degli schiavi. Di un anticonformismo radicale. Che si scontra però con quello ancora incumbent del Mayflower, dei Padri Pellegrini, tutti più o meno eredi dei dissenter.  
Oppure è segno – la contraddizione - che l’anticonformismo è totalitario, non tollera dissenso. Che sarebbe una contraddizione al quadrato, lo spirito critico si vuole liberale e libertario.
 
 
Fede – Non per sé, anzi come mancanza e come bisogno, è nel Millennio problema (rifugio: dubitare è già ammettere) di molti agnostici e atei. Scalfari in Italia che si parla col papa, Woody Allen per tutti, che con Monda sul “Robinson” si diverte a ribaltare i suoi aforismi negativi più noti: “Purtroppo… nei momenti più belli sento quello che W.H.Auden  ha definito il suono in lontananza di un tuono durante il picnic. Ma, voglio ribadirlo, non significa che la vita non sia degna di essere vissuta”. O anche, ricordando un suo sketch di “Io e Annie”, in cui due vecchiette in casa di riposo si lamentano, una del mangiare che fa schifo, e l’altra del fatto che lo schifo lo servano “in piccole porzioni”: “Essenzialmente è così che io guardo alla vita: piena di solitudine, di miseria, di sofferenza, di infelicità e disgraziatamente dura troppo poco”. Che a 87 anni si può ritenere non più il gusto del paradosso.
Resta la negazione: “L’esistenza quotidiana è …. un brutto affare concepito senza il nostro consenso che genera costantemente dolore”. E per finire la vecchia differenza tra la “religione istituzionale” e “il credo personale, che non ho ma che rispetto” – “ho conosciuto molte persone che cercano nella religione qualcosa che dia senso all’esistenza e renda costanti e compiute le bellissime emozioni che ogni tanto proviamo tutti, ma ci sembrano solo oasi nel deserto della vita”.
Un “bisogno non razionale” da che cosa viene? Dall’abitudine non si direbbe, il letterato o artista non lo è in quanto smagato?
 
Forza
È psichica. “I fisici, nei loro calcoli pratici, si permettono di non tenere conto della forza infinitesimale con la quale una pietra attira la Terra, senza negare per questo la legge della gravitazione universale” – V. Grossman, “Stalingrado”, 2da parte, § 30.

 
Paranormale - Non solo Conan Doyle, anche Kipling nello stesso periodo, primissimo Novecento, e nello stesso luogo, Londra, navigava tra telepatia, medianismo, possessione. La lunga bonaccia vittoriana si chiudeva con una sorta di positivismo del soprannaturale.
 
Scienza – È fantasmatica? Non c’è differenza fra chi, indiani o europei, credeva ai fantasmi e l’uomo moderno: così l’argomentazione del “filosofo pazzo” Robert Maynard Pirsig, in “Lo Zen o l’arte della manutenzione della motocicletta”, un romanzo. Il romanzo è preceduto dall’avvertenza: “Quanto segue si basa su cose accadute… Tuttavia, non dovrebbe essere correlato in alcun modo con quel grande corpo di precise informazioni rispondenti alla pratica ortodossa Zen buddista. Non è neanche molto preciso sulle motociclette”. Ma l’argomentazione non è per ridere, come si suppone. Pirsig ci credeva, e lo spiega anche, persuasivamente – poiché ha avuto l’esaurimento nervoso, è stato in clinica psichiatrica, dove è stato curato con l’elettroshock (“ventotto sedute di elettrodi di annichilazione artificiale” aveva contato sornione), non gode di credibilità, ma il ragionamento fila: “L’intelletto dell’uomo moderno non è superiore. I quozienti d’intelligenza non sono molto diversi. Quegli indiani e uomini medievali erano altrettanto intelligenti quanto noi, era il contesto dentro il quale pensavano che era differente. In quel contesto di pensiero, fantasmi e spiriti erano altrettanto reali quanto atomi, particelle, fotoni e quanti lo sono per l’uomo moderno”.
“Le leggi della fisica e della logica…il sistema numerico… il principio della sostituzione algebrica. Questi sono fantasmi. Solo che noi ci crediamo così fortemente che sembrano reali”.
Si può obiettare che le “leggi” esistono, di fisica o di logica, solo che vanno scoperte, riconosciute. Ma anche questo è contestabile: “Sembra del tutto naturale presumere che la gravitazione e la legge di gravitazione esistevano prima di Isaac Newton… Ma, quando ha cominciato questa legge a operare? è sempre esistita?.... Prima dell’inizio della terra, prima che il sole e le stelle fossero formati, prima della primordiale generazione di qualcosa, la lege di gravità esisteva? Lì seduta, senza massa sua propria, senza energia sua propria, in mente di nessuno perché non c’era nessuno, non nello spazio perché non c’era lo spazio, né altrove, questa legge di gravità esisteva?... Se questa legge di gravità esisteva, onestamente non so che cosa una cosa deve fare per essere nonesistente”….
“Il problema, la contraddizione con cui gli scienziati si confrontano, è quella della mente. La mente non ha materia né energia ma essi non possono sfuggire al suo predominio su qualsiasi cosa facciano. La logica esiste nella mente. Non mi sconvolge che gli scienziati dicano che i fantasmi esistono nella mente, è il solamente che mi interessa. Anche la scienza è soltanto nella mente, solo che questo non la fa cattiva”….
“Le leggi della natura sono invenzioni umane, come i fantasmi. Le leggi della logica, della matematica sono anche invenzioni umane, come i fantasmi. L’intera benedetta cosa è invenzione umana, inclusa l’idea che non è invenzione umana. Il mondo non ha alcuna esistenza fuori dell’immaginazione umana. È tutto un fantasma, e nell’antichità era riconosciuto come un fantasma, l’intero benedetto mondo nel quale viviamo. È condotto da fantasmi. Vediamo quello che vediamo perché questi fantasmi ce lo mostrano, fantasmi di Mosé e il Cristo e Budda, e Platone, e Descartes e Rousseau e Jefferson e Lincoln… Il senso comune è niente più che le voci di migliaia e migliaia di questi fantasmi del passato…”.
La mente è il tentativo di mettere ordine al mondo, di controllarlo (dominarlo). Con qualcosa di innaturale. Ma la mente è “naturale”, è fisiologica - l’uomo è bene pur esso natura. La matematica, la logica e le leggi della fisica sono quindi anch’esse naturali, seppure si occupino di mettere ordine al mondo, di dargli un senso. Ma se il mondo non ha natura spirituale (fantasmatica), è lo spirto che è solo materiale, fisiologia – reazione nervosa, per quanto accudita e affinata?


Viaggio – È metafora, come si dice, della vita? Ma allora di una vita molto ananke, di piccole obbligate attività.
Si rinverdisce al ricordo (Goethe dopo una trentina d’anni)  – a condizione che sia molto selettivo, e bene indirizzato.


zeulig@antiit.eu

Quando il fascino era femminile

Il fascino – le streghe del titolo sono onnicomprensive – femminile, in favole e racconti, di Baudelaire, George Sand, Victor Hugo, Shakespeare, Lovecraft, Updike, Maupassant naturalmente e Michelet, Roal Dahl, Apuleio e altri. Una quindicina di racconti attorno al fascino (femminile).
Un monumentino, una raccolta a futura memoria, in un mondo senza più generi? E perché, giustamente, la fascinazione dovrebbe essere femminile? Se non ci sono più femmine.  
Les sorcières dans la littérature
, Folio, pp. 140 € 2