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mercoledì 31 marzo 2010

Bossi ci libererà dalla Lega?

Nel mentre che faceva man bassa dei voti berlusconiani in Veneto e in Piemonte, Bossi ordinava ai suoi di non votare Brunetta a Venezia e Tabaro a Portogruaro. Non sono casi isolati e non sono incidenti. Né sono fatti locali, legati alla personalità dei candidati. La defezione dei leghisti è stata totalitaria, quindi decisa a tavolino - forse perché Tabaro, già responsabile per la Cultura alla Regione, lesinava i fondi per il risibile bilinguismo veneto. La defezione, dopo la guerra a Galan, rende ora totale nel Veneto la rottura dei berlusconiani con la Lega. Mentre un’altra se ne preannuncia a Milano e dintorni, la culla del leghismo.
Letizia Moratti non potrà che essere ricandidata a sindaco di Milano tra un anno. E questo semplice fatto aggraverà la frattura con la Lega, che la Moratti venga rieletta senza i voti di Bossi oppure che venga trombata. Moratti sindaco dei lavori dell’Expo significa cortocuitare la Lega, l’ex ministro non è un debole. Moratti non più sindaco è la fine dell’alleanza Bossi-Berlusconi. Senza contare che Bossi non ha neppure un candidato presentabile a Milano, dovrebbe candidarsi lui.
Si vede che il capo della Lega come i lupi perde il pelo ma non il vizio. È cresciuto abbrancandosi a Berlusconi, dopo il passo falso del 1996. Ma è sempre quello che usciva di casa mattina con la cartella dicendo alla moglie che andava a lavorare, e in vece non era vero. Oggi celebrato, al solito all’unanimità, dai grandi giornali del Nord come il trionfatore delle elezioni, ha invece dimostrato, dove non è stato coperto da Berlusconi, singolare imperizia: nelle candidature, nelle esclusioni, nelle alleanze.
C’è ora voglia di Bossi sui giornali: non potendosi parlare male di Berlusconi si celebra il contraltare Lega - la Lega supplisce le Procure nell’antiberlusconismo. Anche oltre il ridicolo. Si fanno per esempio paginate su Giuncagnano, in Garfagnana, dove la Lega, si scrive con puntiglio, ha preso il 39 virgola etc. per cento. Tacendo che si tratta di un comune di poco di 500 persone, dove votano in trecento, divisi in sei minuscole frazioni, delle quali è sindaco col 90 per cento un simpatizzante di Berlusconi, e dove la campagna elettorale per le Regionali ha visto solo la presenza di una signora di Pietrasanta, un altro mondo, che si dice imprenditrice ma è in realtà la moglie di un imprenditore del marmo, e non avendo altro da fare fa la leghista. Hanno votato poco meno di duecento persone, e la Lega ha preso una ottantina di voti, tutte le signore visitate dalla signora di Pietrasanta. In Toscana la Lega ha preso i voti di Grillo, che si è tenuto fuori dalla contesa, non si sa perché (cioè si sa). In Emilia, Toscana e Liguria la Lega ha preso i voti di protesta, quelli che non sono andati appunto a Grillo o a Di Pietro. Sui quale non si costruisce.

Ombre - 45

Il giudice di Napoli aspetta il giorno dopo le elezioni regionali per rinviare a giudizio il presidente uscente della regione Campania Bassolino. L’accusa è peculato, non lieve. I coimputati di Bassolino sono stati già giudicati, e condannati.
È innegabile, i giudici hanno il senso del tempo. Anche a Napoli, non solo a Firenze e Trani.

Floris riprende “Ballarò” leggendo, dal gobbo, una sorta di Atto d’indipendenza, o Dichiarazione dei diritti. Perché gli è stato impedito di parlare in campagna elettorale e far parlare i politici. Gli è stata impedita, dice, la libertà d’informazione. Senza dire che il vincolo è stato voluto e imposto dalla sua parte politica, se non dal suo partito.
Poi presenta le squadre in campo, dosate fra destra e sinistra. Ma chiude la trasmissione elencando una serie di indici economici violentemente negativi per il governo. Per i quali ha disposto solo il commento di una non precisata professoressa del suo partito, e del “buon imprenditore” Diego Della Valle. Senza malafede, forse: l’istinto cominternista è incontrollabile, barare.

A “Ballarò” Di Pietro difende le intercettazioni politiche. Paolo Mieli gli dà ragione, pur obiettando che duecentomila pagine d’intercettazioni gli sembrano troppe – ma forse voleva dire due milioni, o duecento milioni, duecentomila sono gli intercettati, ogni anno. Diego Della Valle, sotto accusa a Calciopoli per le intercettazioni, dice che beh, insomma, si può fare. Ipocrisia? Paura.

Diego Della Valle parla col sindaco di Firenze Renzi e poi di “dimette” dalla Fiorentina. Insomma, fa un po’ di ammuìna. Lui è a Firenze per la lottizzazione dell’area di Castello, e un po’ di pressione, anche a parere del sindaco di Firenze, non guasta. Ma questo non si dice sui giornali.
Il fratello minore di Diego si è anche lui “dimesso” dalla Fiorentina, per la questione lottizzazione.
Sui giornali solo si dice che Della Valle è in lite col suo allenatore Prandelli. Che, quindi, resta solo, e padrone della squadra? Paginate incomprensibili.

Si fa un processo a Napoli che supera tutti i canoni dell’immaginario, anche il peggiore napoletanismo: è quello che deve portare alla condanna di Moggi. Il colonnello dei carabinieri Attilio Auricchio, l’autore dei Libri Neri dell’“Espresso” contro la Juventus, vi testimonia vantandosi di avere registrato “circa” 51 mila telefonate di Bergamo, l’arbitro che designava gli arbitri. A una pagina in media di trascrizione per ognuna delle telefonate, fa 51 mila pagine. Una biblioteca. Una pensata molto napoletana.
Il colonnello non ha trovato, malgrado tanto dispendio, nemmeno l’ombra della corruzione. Solo un pranzo di pesce, offerto peraltro da Bergamo. Ma ciononostante farà condannare Bergamo e Moggi.
Il colonnello ha operato come ufficiale giudiziario dell’antimafia. Ecco perché i casalesi prosperavano – prima che Maroni e il capo della Polizia li arrestassero.

“Beh, lo ammetto. Sono culturalmente molto anticomunista”, dice Stefano Caldoro, neo eletto presidente della Campania, a Goffredo Buccini sul “Corriere della sera”. Era un socialista, figlio di deputato socialista, e non dimentica il 1992, il livore antisocialista del Pci. I guasti della Terza Internazionale perdurano.
“Ma dove li trova i comunisti? “ chiede Buccini. “Ne conosco a bizzeffe”, la risposta. Non si parla molto della vittoria in Campania, con il più grande margine di tutte le elezioni, diciotto punti, anche più della monolitica Toscana. Questo residuo socialista disturba, c’è ancora molto cominternismo nei giornali.

Una signorina candidata a un posto di consigliere comunale in Puglia va alla riunione elettorale della candidata sindaco rivale per insultarla. Poiché la candidata sindaco rivale è la Carlucci che è onorevole berlusconiana, la signorina è diventata un’eroina. Ma queste donne pugliesi non sanno fare altro?

Il Gr 3 domenica mattina ricorda Ezio Tarantelli con un economista ex socialista ora del Pd. Ne viene fuori che Tarantelli ha abolito la scala mobile e ha battuto l’inflazione. Nessun accenno a De Michelis e a Craxi. Nessun accenno alla furibonda campagna di Berlinguer, con toni brigatisti. Né al referendum di Lama per conto di Berlinguer, con l’ancora più incredibile risultato di 6 a 4 contro la scala mobile. Nessun accenno evidentemente all’incapacità politica del Pci di Berlinguer. Ignoranza? Anche l’intervistatore è in età, ed era socialista all’epoca. Questa è ipocrisia, anche se tracotante.

Il governatore della Banca d’Italia Draghi invece dà la colpa ai politici: “Ci hanno messo diciotto anni per capire Tarantelli”. Quali politici, non lo dice. Ma lui è un gesuita.

Viviano e Foschini sono perquisiti, interrogati e accusati non per furto di documenti ma perché non si sono attenuti ai protocolli di Trani: è la Procura che regola le indiscrezioni secondo suoi canali (il “Fatto” e le giornaliste del “Corriere della sera”).
È assurdo ma è così. I due cronisti di “Repubblica” hanno avuto le indiscrezioni dal gip, e questo non sta bene. Le precedenti indiscrezioni, a opera della Procura, invece non sono state e non saranno punite.

Il Tribunale di Trani, forte di ben dieci sostituti Procuratori, tutti evidentemente sfaccendati, è servito da scena alla fiction tv del “Giudice Mastrangelo”, impersonato da Abatantuono. Personaggio peraltro anche lui nella fiction singolarmente sfaccendato. Fiction prodotta da Mediaset, cioè da Berlusconi.

Non c’è solo Trani, Tribunale sfaccendato a venti minuti di macchina da Bari. A Santa Maria Capua Vetere, dépendence napoletana, a venti minuti dalla metropoli, ora si scopre, dopo una delle tante follie dell’ex Procuratore Capo Maffei, che il Tribunale è affiancato da una Procura della Repubblica forte di ben due aggiunti e 25 sostituti. A Santa Maria Capua Vetere, in teoria, una sontuosa Procura è più che giustificata: in paese e nei dintorni non c’è fiato che non sappia di violenza e camorra, le competenza vanno da Baia Domizia a Castel Volturno, per intendersi. Ma risultano poche le inchieste di rilievo condotte da tanto apparato, prima di quella che ha coinvolto i coniugi Mastella, ha fatto cadere il governo Prodi, e ha dato con Mastella la Campania al Pdl.
Tanto spreco avviene con la protezione del Csm dell’onorevole Mancino, altro napoletano illustre: che ha fatto il Csm per far lavorare i 28 Procuratori di Santa Maria Capua Vetere? Ventotto procuratori della Repubblica che non fanno niente. Una Procura che serve giusto per “dare lavoro” alla società civile napoletana.

Pietro Ichino celebra sul “Corriere della sera” l’anniversario dell’assassinio di Marco Biagi. Di cui non tesse alcuna lode, ma critica la legge. In punti in cui si è già dimostrato che la sua critica è sbagliata. Ichino, una colonna del Pd. Il Comintern non ha mai cessato di funzionare, la faziosità.

martedì 30 marzo 2010

Il sistema è più forte del non voto

La percentuale del non voto in altri tempi avrebbe abbattuto la Repubblica, nel 1990-92. Ora no, per almeno due motivi. I due schieramenti hanno sempre saldamente in mano l’opinione pubblica, tv e giornali. Gli appalti-corruzione sono gestiti bipartisan in maniera evidentemente equanime: le associazioni di settore, che fanno da camera di compensazione, non si lamentano, mentre i giudici per i loro scandali non trovano pezze d’appoggio, solo intercettazioni. Lo stesso antiberlusconismo, che a volte sembra estremista, è nei fatti spuntato: non morde e non sposta.
In questa instabile stabilità qualche chiarezza, se non proprio novità, il voto di domenica l’ha introdotta. L’incapacità e l’irrilevanza degli ex neofascisti, a partire dai capi, Fini e Alemanno. La cifra politica ben superiore di Bossi nel fronte berlusconiano – specie di fronte ai vecchi e nuovi Dc, Casini e Fini. Il ruolo di dressage che in questa destra singolarmente povera continua ad esercitare Berlusconi, sui leghisti, sugli ex fascisti, sugli ex Dc. La fine dell’equivoco del ruolo politico dei quaresimalisti in tv, buoni per il qualunquismo. La senilità del partito più giovane, il partito Democratico.

Gli ex missini sono un disastro

La farsa della mancata lista Pdl a Roma è solo l’ultima della serie, seppure singolarissima: non riuscire a presentare la propria lista perché Alemanno all’ultimo minuto vi ha voluto includere il marito della sua ex amante. Alemanno che si è ritrovato sindaco di Roma due anni fa perché gli ex diessini non sono andati in massa a votare Rutelli. Una città, Roma, di destra, che Gianfranco Fini, l’altro dioscuro dell’ex Msi, era riuscito nel 1991 a passare a Rutelli. C’è una singolare incapacità politica, di ideazione, rappresentazione, gestione, negli ex neofascisti. La Polverini appena eletta non finisce una dichiarazione senza abbarbicarsi a Berlusconi: sa di che si tratta.
Nessuna idea o proposta politica dall’ex Msi. Nessuna persona di rilievo. Ha stravinto l’ex camerata sindaco di Reggio Calabria, ma perché contro Loiero avrebbe stravinto anche una zucca. Nessuna legge, nessun atto di governo da questi ex giovani. Il migliore di loro, Matteoli, ministro da due anni dei Lavori pubblici, non ne ha avviato uno. Ministro per cinque anni dell’Ambiente, si era limitato a commissariare i Parchi nazionali, le vecchie gestioni di sinistra – che Prodi, tornato al governo nel 2006, ha prontamente ricostituito. Fini, che si riempie la bocca degli immigrati, ha prodotto una legge che rende impossibile l’immigrazione legale. A lungo vice-presidente del consiglio, si segnalò per pretendere un crisi di governo e allontanare Tremonti. Per difendere Fazio, il governatore poi cacciato dalla Banca d’Italia, e i sottufficiali dell’Aeronautica, che non volevano comprarsi gli alloggi di servizio messi in vendita da Tremonti, ai prezzi di favore, dimezzarti, che Tremonti erta disposto a praticare per loro. La prima delfina di Fini, Poli Bortone, si è segnalata in Puglia per essersi candidata domenica, d’accordo con l’ex senatore del Pd Pellegrino, contro il candidato di destra e consentire così a Vendola la riconferma, seppure con pochi voti – Vendola, che è un politico, non la farà nemmeno assessore.

Bossi non è Casini e non è Fini

In un’intervista del 1992 Bossi spiegava che il suo obiettivo era porsi al posto della Dc: al centro, la parola non gli faceva paura, “dove c’è il vuoto”. Poi il centro gli fu rubato da Berlusconi, e lui si spostò a destra, razzista, antitaliano, padano. Bagaglio con cui passò a sinistra… Rischiò per questo di sparire nel 1996. E da allora si tiene saldamente legato a Berlusconi: buona amministrazione e, nei limiti del possibile, qualche riforma. Non molto, ma abbastanza, tra i tanti nani del centrodestra, per riportarlo all’8 per cento del voto nazionale da cui era partito in Lombardia, e ora qualcosa di più.
È d’uopo, nel cerchiobottismo della commentatorìa politica, assimilare Bossi a Di Pietro: la spina nel fianco, l’imprevedibilità, eccetera, l’uno a destra, l’altro a sinistra. Invece Bossi è uomo di governo. Là dove governa: in Lombardia e nelle Venezie, i suoi assessori hanno la stessa capacità amministrativa dei vecchi assessori Dc (una parte della Dc aveva grande competenza e capacità), e talvolta sono le stesse persone. Ed è uno che si confronta col nuovo. Il termine di paragone per valutare lo spessore politico di Bossi non è Di Pietro o Grillo, gli antipolitica, ma i suoi concorrenti nel centro-destra: Casini e Fini. Un abisso. Se Fini fece una crisi di governo per le case dei sottufficiali dell’aeronautica, Casini la pretese per dare la vice-presidenza del consiglio a Marco Follini, che nessuno sa chi sia. E questo è stato il top della loro politica. Bossi ha tentato l’antipolitica, con la triplice virata ideologica, razzista, antitaliana, padana. Ha capito che non funziona, e il tutto ha stemperato nella tradizione. Rapidamente collocandosi nel buon governo, là “dove c’è il vuoto”.

Berlusconi domatore, ma troppo buono

Senza sbilanciarsi troppo, si deve ridire che Berlusconi si conferma un domatore. Del suo proprio schieramento, naturalmente. È piuttosto bravo, perché è uno schieramento il cui dressage sembra interminabile, seppure senza corregge né frustini. Ma i risultati sono contrastanti, e in buona misura spiegano la singolare inefficienza dei suoi governi.
Berlusconi ha arginato la deriva antinazionale e razzista della Lega. E tempera non poco, anche se non con lo stesso successo, l’inguaribile deriva democristiana di Fini e Casini, della Dc del non governo. Ma ne è anche vittima, non incolpevole.
Un Casini passato a sinistra è una non existing person. O Fini. Un caso ancora più eclatante, quest’ultimo, perché deve tutto a Berlusconi. L’uscita dal ghetto, il governo, la Camera. Quando tentò di fare a meno di Berlusconi, mettendosi con Mariotto Segni, cadde impietosamente: è uno a cui non si accredita più del due per cento del voto, meno di un milione. E tuttavia entrambi condizionano il partito di Berlusconi, la maggioranza e il governo.
Il bipolarismo implica che uno solo sia al comando. Prodi l’ha saputo dimostrare, anche a costo di ribellioni poi esiziali. Berlusconi è invece un domatore prudente. Sicuro leader, e anzi creatore del suo schieramento, soggiace però ai Casini e ai Fini, che sono nullità politiche. Perché in fondo è in sintonia col partito del non governo?

La tv è dei quaresimalisti

Usavano negli esercizi spirituali di Loyola e nella vecchia Quaresima i predicatori di terrore. Che ora non ci sono più in chiesa, ma si ritrovano, senza stola né la tonaca ma perfettamente riconoscibili, sulla tv nei programmi d’informazione. Stesse occhiaie, stessa saliva agli angoli della bocca, e una sola parola: morte a voi. Dei diavoli nemmeno mascherati: vogliono scene chiuse, colori cupi, toni gravi, applausi disperati e non gaudiosi.
Berlusconi li teme perché pare, nei suoi sondaggi, che spingano a votargli contro. Invece, ormai è dimostrato, spingono all’antipolitica: a non votare, oppure a votare Grillo o Di Pietro, le ciccioline di quest’epoca cupa. Spingono cioè la gente a tagliarseli, come se avesse altro modo di contare che la politica. Lasciando in realtà il campo libero a Berlusconi.
Della loro natura, possente e sterile come il peccato, sono compartecipi naturalmente i Grillo e i Di Pietro. Destinati a finire a ogni Pasqua. Che è, bene o male, il voto: si vota ancora infatti, malgrado la feroce antipolitica della Rai e dei maggiori giornali, e ogni voto è bene o male una scelta, e implica un governo, che bene o male governa. Più male che bene, per demeriti propri, della politica, oltre che dell’antipolitica. Ma questo è un altro discorso.
Gli esercizi spirituali sono stati sempre in sospetto nella chiesa, per il troppo parlare che vi si fa della morte. Un sospetto che poi ha colpito la stessa Quaresima. La chiesa si è da tempo resa conto che il terribilismo colpisce i più deboli, e lascia quindi più forti i forti. Ritorna ora laico nelle tribune tv, ma gli effetti sono gli stessi.

Il partito Democratico è nato morto

Capita, “celebrando” le elezioni in Toscana, di toccare con mano l’inconsistenza del partito Democratico. Che pure si prende la regione col 60 o quello che è per cento. Senza gioia, e senza un’idea di che fare. Giusto gestire il partito degli affari, che in Toscana sono particolarmente fiorenti nell’immobiliare e nella sanità, con una fiscalità, diretta e indiretta, superiore di almeno 5-6 punti, al resto dell’Italia. Questo sistema di governo dura da quaranta anni, e la durata sarà stata la sua unica ragione di perpetuazione. Si propone ora un modello Toscana per la sanità, così come negli anni 1970 si proponeva la regione Emilia come modello della gestione sociale e del territorio, ma i modelli sono robaccia sovietica, da Comintern.
Il partito Democratico resta al palo nell’amalgama fra ex Pci e cattolici, ai quali ha lasciato una sola candidatura, quella dello screditato Loiero. Molti cattolici del Pd sono passati con Casini, e molti di più andranno con Rutelli. Resta al palo anche il rinnovo del gruppi dirigenti ex Pci: i nuovi sono come i vecchi, solo più grigi. La casuale candidatura di Emma Bonino a Roma – giusto perché nessun capataz democratico voleva affrontare una sicura sconfitta – conferma l’incapacità di questi ex comunisti di parlare col resto della sinistra non confessionale, i socialisti, i radicali, i verdi.
Questi limiti continuano a essere mascherati da furbi media corrivi, il partito del non governo. Nonché dai nannimoretti, dalla Rai ancora veltroniana, e dalle signorine girotondo con forum, chat e email. Ma nei fatti sono un fatto. La sezione del Pd ex democristiana “non si parla” con la vicina sezione Pd ex Pci – le sezioni sono così divise. L’odio dei socialisti e dei radicali è più forte, se fosse possibile, di quello di Berlinguer. L’unica ragione d’essere del Pd è di essere il partito degli affari in Toscana e in Umbria, e ancora, ma sempre meno, in Emilia-Romagna e Marche.
Si potrebbe perfino porre una questione morale a questo Pd. Che ha fatto una campagna di puro scandalismo: avvisi di reato, intercettazioni, la cancellazione pervicace della lista berlusconiana a Roma, malgrado l’intervento di Napolitano. Come già con gli Zappadu (Zappadu, coi conti alle Bahamas…) e le D’Addario. Mentre gli avversari sorvolavano su Marrazzo a Roma, una storia di cocaina e di morti. Sul sindaco di Bologna che faceva pagare al Comune i viaggi con l’amante e i regali. Sul vice di Vendola arrestato a Bari per la corruzione nella sanità. Su Bassolino a Napoli. Fatti sostanziosi e non veline di servizi più o meno segreti.
Le elezioni il Pd le ha perdute male. Dopo l’eccezionale schieramento di giudici, dai quattrocchi fiorentini all’ufficio elettorale romano e a tutti i Tar e i consigli di Stato del Lazio, per non dire degli incredibili procuratori di Trani. Avrebbe perso anche la Puglia, dove non voleva Vendola. E se Vendola non si fosse inventata la ruota di scorta Poli Bortone, per i buoni uffici di Pellegrino, disperdendo così il voto della destra. Una sconfitta su cui c’è poco da costruire.

domenica 28 marzo 2010

Comunismo freddo anche nell'anticomunismo

Un racconto carcerario, quindi senza aria. Ma inappetibile anche come accusa dello stalinismo, più freddo di “1984”. Non tocca nessuna corda umana, il compianto, lo sdegno, niente: tutto il sovietismo è compreso in due pagine, a metà del libro, il resto è casuismo. E' ancora un “discorso” da comunista sul comunismo, che invece era tutto marcio.
Arthur Koestler, Buio a mezzogiorno

Secondi pensieri (40)

zeulig

Civile – La società civile sembra una definizione corriva: socievolezza è civiltà. Ma i buoni sentimenti sono in politica traditori. Per essi – la buona ragione - si diventa tiranni, assassini, spie, sempre qualcosa di brutto. Chiudersi nel privato (gli amici, il gruppo, il clan) e esaltarlo, e pretendersi migliori interpreti e gestori della cosa pubblica induce, al meglio, un fastidioso revanscismo, del genere “signora mia!” La politica è esercizio duro. Illuminato, colto, appassionato, ma freddo. Deve muovere la macchina della storia, il potere, gli affari, e perfino, attraverso l’etica che è fondamento delle leggi, i sentimenti. Il processo inverso è un cortocircuito.

Coscienza - È, sarebbe, Dio in noi. Il cammino ferrrato del vero e del giusto, che a ogni battito di ciglia scandisce il senso delle cose. Ma è, essa stessa, la cosa che meno ricorre nella vita di un essere umano – in alcuni mai: la coscienza ce l’hanno in pochi, questo non è giusto ma è vero.

Creazione – Non può essere che continua.

Desiderio – È forza non necessariamente motivata, anche quando è moto irriflesso, moda, vizio. Non ci sono desideri superflui o vani. Per questo la felicità non è un lusso, ogni desiderio essendo legittimo.
È una della “cose” più effettive che esistano: c’è un terribilismo del desiderio nella vita. In quante occasioni la vita stessa non è che il desiderio di vivere? Di vivere meglio, bene, di sopravvivere. Il desiderio di distruggere e di distruggersi è altrettanto forte.

Determinismo – È falso in dottrina come nei fatti. È falso non solo moralmente, ma anche logicamente e realmente. Anche il volontarismo è falso – stupido, a volte.
Il caso gioca. E molto di più la ragione (il sentimento, il desiderio): è a un asino che Buridano applica il suo paradosso, l’uomo sceglie sempre. Anche quando “non ha scelta”. La vita è a ogi istante un sistema di equazioni a molteplici variabili.

Diavolo – È anch’esso figlio di Dio, anche ora dopo la caduta, poiché esiste. È per l’esistenza del diavolo che Dio ha avuto bisogno dell’Altro figlio, Gesù Cristo. Che trinitariamente dovrebbe essergli consustanziale, ma è l’Altro figlio, l’opposto del diavolo.

Più che cattivo, è falso: è tutto ciò che è illusorio. Compresa la violenza, la follia, la malvagità.

Dio – Perché si sarebbe stancato di creare? E quando avrebbe creato? La creazione non può che essere continua.

Dio non può modificare la storia, l’uomo sì. Dio non conosce il futuro, poiché non lo determina.

Secondo i suoi stessi attributi è incapacitato: di pensare e parlare perché onnisciente, di agire perché onnipotente, di muoversi perché onnipresente, di amare perché è padre di tutti. La sua è vita anteriore.
È l’ipostatizzazione dell’evento, che – per essere? – si dà la natura dell’esatto contrario: il tempo è l’eternità, eccetera.

È cancellato dalle cose. Non dalla ricchezza, né dalla potenza, che anzi si accompagnano perfino alla bigotteria. Ma dalla affluency, dai consumi: la secolarizzazione universale viene con la pubblicità, con i bisogni derivati delle cose, alle quali è ridotta l’incertezza della condizione umana, e la mentalità. La secolarizzazione è un fatto anche euro-americano. È possibile che Dio abbia arricchito gli occidentali perché non avessero più fede in lui.
E dopo le cose che? Il loro cammino, certo, è breve, la soddisfazione che inducono minima.

È il secondo principio della termodinamica: la vita (l’energia) che si crea decomponendosi.

È l’uomo, senz’altro. È un sentimento e un desiderio dell’uomo, quindi è l’uomo. In tutto l’universo non c’è altro di divino se non la percezione che l’uomo ha dell’universo, un ammasso informe.
Anche se l’uomo non ne è partecipe, l’infinito è suo, poiché ne è sua la concezione, del tempo, la giustizia, la saggezza. È ancora poco cresciuto, ma in embrione lo vive già.

Hegel – Un illuminista tedesco. Confuso cioè tra la ragione e Dio, o l’anima del mondo. Fosse stato poeta sarebbe diventato un Hölderlin, un pazzo. Incontrò Napoleone e pensò di domare la ragione.
La filosofia tedesca è dopo Kant – e con Kant – la ricerca di Dio, o dell’anima del mondo. Anche nelle sue derive più risibili, come il pedigree greco. Per questo è confusa profondamente, fino ai denegatori di Dio, da Nietzsche a Heidegger.
Ogni metafisica è in fondo una ricerca di Dio? Non necessariamente, ma quella tedesca lo è.

Heidegger – La nostalgia dell’innocenza, la vita integra, la natura agreste… Pasolini ha questi rimpianti anch’egli, senza affettazione: erano stati una sua gioventù e nei poeti, quando sono ingenui, la gioventù è eco sopportabile, anche apprezzabile. Ma è una delle forme del nazismo – la sua forma migliore, naturalmente: la gioventù, con la natura agreste e l’innocenza.

Illuminismo – Filosofia per despoti, come Platone d’altronde. Non nutrì la rivoluzione, anche in Francia nutrì Napoleone. Ovvero sì, nutrì la rivoluzione, ma nel senso di scoprirla impraticabile.

C’è più stupidità – o tatticismo, vincente o perdente che sia, insomma furbizia – nei despoti che l’illuminismo travolge, o nell’illuminismo che insegue i despoti? È l’anima doppia, o ambigua, delle massonerie: della borghesia figée, nel suo buon diritto, quello della ragione. Mai effettivamente liberale, democratica.

Piacere – È la sazietà? È l’attesa? È l’una e l’altra.

Politica - È sempre democratica, anche se totalitaria – purché non tirannica. Antidemocratica è sempre l’antipolitica: intellettuale, elitaria o professionale - il governo dei tecnici. Una buona legge dev’essere buona politica, prima che canonica, proceduralmente corretta. Le Corti costituzionali si surrogano un potere che non hanno, se si appaiano al legislatore.

Sogno – “Sognare è insipido” per R.Barthes (“Barthes di Roland Barthes”).

zeulig@antiit.eu