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sabato 5 febbraio 2011

Bazoli torna su Generali

Geronzi e la quota Generali in Rcs sono un falso scopo, l’obiettivo vero è il passaggio di Generali nell’orbita Intesa. Della Valle è un ariete manovrato da Bazoli, che se l’è asservito con l’ipotesi di farlo editore di riferimento di Rcs. C’è solo fastidio, al vertice di Generali, all’ammuìna provocata dall’industriale calzaturiero. Ma con molta preoccupazione: a Della Valle si accredita una megalomania senza limiti, e a Bazoli la spietatezza – peraltro ben nota dietro le apparenze curiali.
Potrebbero Generali cadere nel calderone di Intesa? In teoria sì. Sono la sola preda mancata nel Blitz di Bazoli, l’avvocato che trent’anni fa gestiva ancora il patrimonio della diocesi di Brescia, per l’opposizione di Fazio (la Banca d’Italia è il secondo maggiore azionista di Trieste), che ha già pagato col disonore, e di Geronzi. Una preda che potrebbe ora essere matura, già alla prossima stagione delle assemblee.
Più che Geronzi, il presidente di Generali, Bazoli deve battere Mediobanca, che Trieste vuole suo investimento privilegiato. E il management di Generali, che ritiene l’assetto proprietario attuale il migliore: molti azionisti, con poco peso individuale, sotto l’ombrello benevolo di Mediobanca. di rilievo. Bazoli sa anche che Mediobanca non è in condizione di resistere. Così come Unicredit dopo Profumo - cioè Geronzi e qualcuno dei grandi soci di Unicredit, quali Paolo Biasi. Il presidente di Mediobanca, Pagliaro, ha creduto di potersi comprare una tregua offrendo a Bazoli la quota in Rcs, ma in pochi giorni gli schemi si sono precisati in tutt’altra chiave: Bazoli può comunque contare sulla Rcs come sua, cioè sul “Corriere della sera”, e concentrarsi su Generali. Generali stessa, insomma, non si sente più protetta da Mediobanca. Mentre Bazoli non è nuovo a manovre che sembrano partire svagate – ora usando come ariete il suo critico d’ieri, il “modaiolo”, come lo chiama, Della Valle. Questo effettivamente è il modo a lui consueto di attaccare, saggiare prima il terreno, per poi stringere fulmineo.
Ma il gioco non è fatto: il vertice di Trieste – l’amministratore delegato Perissinotto come Geronzi – intende fare quadrato. La prima risposta la darà evitando di mettere sul mercato la quota Rcs. Quanto all’aumento di capitale Rcs, di cui non si parla ma che è dato per scontato, tutto sarebbe “da discutere”. Non per l’aumento in sé ma perché è lo strumento attraverso il quale Bazoli avrebbe prospettato a Della Valle la possibilità di diventare il “padrone del «Corriere della sera»”.

Una “vecchia” Torino perde la Fiat, e non lo sa

Marchionne dice l’ovvio, che Fiat potrebbe essere “americana” anche di diritto, e il sindaco di Torino Chiamparino non trova di meglio che chiedergli “un colloquio chiarificatore”. Si mostra così, come un abisso, la frattura fra la città, che per un secolo fu il luogo dell’innovazione, garantendo all’Italia il passo col mondo, e la contemporaneità. O forse solo fra una cultura politica obsoleta, dopo essere stata incapace, e la contemporaneità. Che politica è quella che non capisce il mondo? Ma è inutile chiederlo ai nostalgici – anche se non si sa di che.
Chiamparino, buon uomo, intende probabilmente proporre a Marchionne la mozione degli affetti. Ma dovrebbe sapere, uno che fa il sindaco di una città di un milione di persone, che un’azienda si batte ogni giorno per vivere, non può guardare al passato, se il passato non è espediente. E in cosa serve Torino alla Fiat? Che ancora poche settimane fa stava votando per non avere le vetture Chrysler a Mirafiori? Da parte di lavoratori che la cultura politica di Chiamparino illude che siano occupati a vita, e non si sa perché. Cioè si sa, se considera i metalmeccanici di Detroit stupidi o asserviti, e i suoi buoni perché utili a un titolo di giornale – si sa ma non si dice: il conformismo è doppio.
Dalla Juventus ai giornali il disimpegno da Torino dei vari rami della famiglia Agnelli è d’altra parte evidente da alcuni anni. Si può criticarlo (per poi magari, alla fine, ritenerlo giusto), ma come non vederlo? Come fa la politica torinese a non accorgersene? Magari imbracata nello schema Don Camillo e Peppone, che però è roba di cinquant’anni fa, sessanta, se mai lo fu. Dell’odio-amore, a base di “cattivi padroni” e “affettuosi operai”, come se gli affari fossero buffetti e pacche sulle spalle, magari all’osteria. La cultura del niente.

Letture - 52

letterautore

Arbasino – L’unico autore italiano non premiato.
Non concorrere ai premi fa, questo solo, un autore.

Bibbia – È un testo sacro, ma anche comico. Esagerato, sprezzante, perfino volgare. Noè, per esempio, che inventa il vino dopo il diluvio universale.
Dice Origene nel commento al “Levitico”: “La Scrittura è costituita, in un certo senso, da un corpo visibile, da un’anima che si può conoscere attraverso il corpo, e da uno spirito che è l’esempio e l’ombra dei beni celesti”. Questo lavoro, immenso e lunghissimo, di redazione fu svolto sotto un cielo terso, dentro un’aria profumata, tra le acque fresche, che fanno il paradiso dei poeti. In tutt’e tre le dimensioni di Origene la Scrittura ha posto per il sorriso. Il comico s’identifica più spesso col corpo: ma è una forma di conoscenza, per quanto bassa. E non è pensabile che i “beni celesti” di cui la Scrittura costituisce “l’esempio e l’ombra” escludano il riso.
Perché escludere che uno, o due, o tre, dei tanti redattori della Bibbia abbiano avuto spirito comico e l’abbiano travasato nella Scrittura? Con finezza, come un testo sacro richiede. La Bibbia si compone di visioni e profezie, maledizioni, invocazioni, atrocità, storie d’amore fedele e d’amore infedele e anzi assassino, eroismi, sublimi o banalmente quotidiani, tradimenti – beneficiando dell’ombra della luce, dice Clemente d’Alessandria: “L’ombra della luce non è tenebra, ma illuminazione”. Ma è ben artefatta.
La Palestina ne era un’ombra, come la stessa Scrittura. Che oggi in Palestina si sia instaurata cattiva coscienza (è la cattiva coscienza che riduce il comico all’ironia – che è una forma di aggressività – di se stessi, l’unica forma di comico che in quella regione persista), questo non impedisce che nei tempi andati essa fosse “libera e bella”, direbbe il Vate, come ogni altro angolo della terra.:

Dandy – Al tempo di Baudelaire era parte di un’aristocrazia, che rifiutava sdegnosa la massificazione incipiente. Oggi è un isolato un po’ disperato. Braccato dalla civiltà dei consumi, che immediatamente pubblicizza tutto, e quindi anche ogni trovata d’ingegno, di gusto, d’élite, impoverendolo delle sue stesse qualità.
Si salva facendo il pesce pilota della fascia di consumi che pretende al rinnovamento e al buongusto: il sistema della moda (Simmel, Barthes). Ma da pagliaccio: sberleffato prima, quando avvia la moda, e dopo, quando la sua moda è di massa. La massa è infettiva.

Diavolo – Belzebù è il “principe dei diavoli” secondo Dante. Che però non conosceva l’ebraico, che la parola ha coniato, ba’ al zebūb. Col significato, si dice, di “dio mosca”, o “dio delle mosche” o “dei vermi delle mosche”.
Era diffusissimo: le città erano per i moralisti post-medievali sedi di Satana.

Donna – Sono stati i greci a dividere la donna. In tre: madre-genio domestico, prostituta, vergine. Ad assolutizzarne il modo d’essere, fuori da ogni realtà.

Fallimento – “Nessun uomo che possegga ancora della vanità può essere considerato un fallimento completo”, Max Beerbohm, “Enoch Soames”, in “Storie straordinarie”, 74. C’è una dignità dell’insuccesso, che non è solo revanscismo.

Fascismo – Ha radici italiche insospettabili, risorgimentali: o Roma o morte, ci siamo e ci resteremo, la parola è d’acciaio, il posto al sole, il destino – e la terra, il ferro, la spada, il pugnale, l’aratro. Il mito del pugnale è durato un secolo e mezzo (Chénier, Puškin) perché le radici ultime sono nella rivoluzione francese. Anche la pretesa a una nuova era.

Gadda– È stato giovane bello, alto, magro, appassionato. Quando finì prigioniero a Celle in Germania, con Buonaventura Tecchi e altri giovani altrettanto appassionati della guerra. Poi frequentatore di salotti, sempre amoroso delle belle dame, purché non sciocche. Non il manzoniano cav. grand’uff. spaventato dei suoi maturi aficionados (Parise, Arbasino, un po’ meno Cattaneo). La sua prosa è giovane – si legge meglio giovane: irrituale, e un po’ scettica.

È riconosciuto come gaddiano a Roma. La diversa felicità personale delle testimonianze romane (Cattaneo, che pure è tanto fiorentino, Contini, Parise, Citati, Arbasino…) e in quelle malevoli fiorentine (con l’eccezione di Giorgio Zampa, a sua volta molto romano). Dopo essere fuggito, senza ritorno, da Milano. A Roma Gadda si sente abilitato a scherzare, pettegolare, spernacchiare, buttare giù la maschera della nevrosi – si pensi alle tragicommedie dei premi, Strega, Formentor. E vi è riconosciuto come autore comico – come autore.

Inglese – È la lingua di tutti perché non ha grammatica né sintassi? Ma è ricco di ottima letteratura, nonché di filosofia, ed è insuperato nella narrazione, d’invenzione e storica.
Morfologia e fonetica sono le basi naturali di una lingua. Ma l’italiano, che “ha l’ortografia più semplice e più logica del mondo” (P. Louÿs, “Archipel”), non lo parla nessuno. Mentre la lingua di tutti è quella che ha le peggiori morfologia e fonetica. È l’indistinto il segno prevalente della comunicazione, preferito? Come della narrazione: la comunicazione è narrazione, anch’essa.

Italia – J.Giono, nel fulminante “Voyage d’Italie”, vi trova la grandezza (la felicità) dell’ordinario: Machiavelli al suo tempo non era Machiavelli, né uomo di corte odi potere, era l’oste, il barbiere, il droghiere.

Petrarca scrive a Urbano V, nell’autunno del 1366 (“Senili”, 7,1) di una discussione col cardinale Guy de Boulogne, il quale sosteneva che l’Italia è bella ma la Francia meglio governata. Petrarca ribatte che l’Italia può sempre governarsi bene, ma che la Francia non può darsi una natura variata e bella quanto l’Italia. E se fosse la natura a rendere impossibile il buon governo?

Kafka - Ha nelle lettere, compresa quella al padre, e nelle parti meno cesellate uno stile rococò, l’agudeza dell’angoscia, che molto nasconde invece di rivelare – es. le “Lettere a Milena”, p. 152. Nascondere nella narrazione rende: è il thrilling di Kafka. La scrittura però resta sempre sopra (o si dice sotto?) le righe. È “una forma di preghiera” per la componente rituale, non per quella liberatoria.

Le lettere a grafia di Milena, ma non scritte da lei, che giravano per Praga (ib., n.83) chi le ha scritte, chi era il grafologo? Poteva essere il marito, o Max Bord, o Kafka stesso.

C’è in tedesco una scrittura piana, dopo Goethe? Il grande uso che Kafka fa del tedesco burocratico, germanico o austriaco, potrebbe non essere ironico.

Borges (“Altre inquisizioni”) immagina Kafka un Supereroe postero – sarà Kafka, dopo un secolo, a dare carattere kafkiano a un racconto di Hawthorne. E anche nelle vesti di Precursore. Non è più semplice dire che Kafka ha inventato Kafka? Certo non quadra con l’immobilità (circolarità) degli esseri, la chiave di tanto Borges.

È la materializzazione dei limiti di Freud, la cui analisi è confinata alla fisiologia. Vive e scrive dark perché non è uscito dall’ombra del grande Padre. Padre come alterità, cioè mondo esterno o reale, con le guerre, il dopoguerra, il lavoro, la convivenza obbligata, la malattia, e padre come se stesso, come materializzazione del suo essere, la coscienza di un modo d’essere. Qui è per esempio la radice dell’eterno (non sveviano – Svevo si sposò, che era anche un manager e un imprenditore) rinvio del matrimonio. Kafka non teme la donna. Con Cora Diamant vivrà solo e isolato, in una città a lui estranea e in subbuglio, tra riti femministi ch’egli non comprendeva, senza soldi, con cure insufficienti, uno strato di mancanze per lui del tutto nuovo, a cui non ci si allena in età adulta. Né temeva i figli, se stava a suo agio tra i nipoti e i bambini. Temeva la vita familiare, impersonata dalla patria potestas, il cardine del rapporto tra il personale (affetti, abitudini, piccoli misteri e piccoli drammi) e il reale.

letterautore@antiit.eu

venerdì 4 febbraio 2011

Napolitano salva il federalismo – e il Pd?

Non può emanare il federalismo per decreto, ma salverà la riforma: il no di Napolitano al decreto federalista è in realtà un sì. È una maniera per il presidente della Repubblica di smarcarsi dal condizionamento, che al Quirinale si definisce “pesante”, del presidente della Camera Fini. Che avrebbe fatto boicottare il federalismo alla Bicameralina non per un’opzione politica o un principio ma per tattica, se non per motivi personali.
Al Quirinale si considera che anche alla Camera, oltre che al Senato, il federalismo ha una maggioranza. Qualificata dal punto di vista politico, cioè della maggioranza di governo. Ma ancora più ampia al di fuori del gioco politico tra maggioranza e opposizione. Di interesse comune dell’Anci, l’associazione dei Comuni. E anche del centro-sinistra, sopra e sotto l’Appennino ovunque dove il centro-sinistra governa: in Friuli-Venezia Giulia, in Piemonte, in Liguria, e nelle regioni centrali. Dove il partito Democratico è radicato, la riforma federalista è ritenuta prioritaria per la società civile e l’elettorato, soprattutto dai sindaci ma anche dai presidenti delle Province e delle Regioni, e qualificante per l’opinione pubblica. Se si votasse sul federalismo, come avverrebbe in caso di rigetto dei decreti, Bossi e Berlusconi avrebbero il successo assicurato.

Il Pd si smarca dai Procuratori finiani

Mentre è sospeso il giudizio sull’alleanza elettorale con Fini proposta da D’Alema e Bersani, c’è la quasi unanimità al vertice del Pd su una presa di distanza da Procuratori e Procure che sono giudicate eccessivamente finiane – oltre che da Di Pietro. In particolare dal capo della Procura di Roma, Ferrara, da quello di Firenze, Quattrocchi, e dai Procuratori vicari di Palermo e Milano, Ingroia e Boccassini. A Milano, dove è aperto un fronte sensibile contro Berlusconi, c’è fiducia che il capo della Procura Bruti Liberati saprà gestire il caso Ruby senza danni. Ci sono dubbi invece sulle inchieste di Firenze e Perugia sui Grandi Lavori, e su quelle di Roma sulla P 3, Finmeccanica e il caso “Giornale”.
Il dissenso è sempre aperto, rispetto alla gestione Bersani-D’Alema, dei veltroniani e degli ex Popolari sull’alleanza elettorale con Fini. A molti ripugna l’idea di fare campagna elettorale con gli ex fascisti, e magari votarli là dove la desistenza giocherà a favore dei candidati di Fini. Molti voti democratici, si ritiene, potrebbero defluire favore della sinistra di Vendola. Ma sul piano giudiziario c’è concordia su una posizione di attesa, e anche di dissociazione, con l’eccezione di Franceschini e Rosy Bindi.
Il dissenso si è generalizzato dopo le recenti iniziative del Procuratore di Roma Ferrara. Che ha proposto di non indagare Fini per la casa di Montecarlo, e di indagare invece Frattini, che su quella casa si è limitato a mandargli i documenti, non sollecitati, ricevuti da St.Lucia. E ha messo in opera, senza avere aperto alcuna indagine giudiziaria e senza alcun indizio di reato, una serie di perquisizioni, col denudamento degli inquisiti, attraverso una magistrata che si ritiene a lui vicina, Silvia Sereni, senza il “rispetto della dignità e del pudore” che il codice prescrive. Senza flagranza di reato, senza avere aperto un indagine giudiziaria, e senza un indizio di reato.

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (79)

Giuseppe Leuzzi

Mafia
Prospera in situazioni di illegalità diffusa. Ma non è un governo nel governo, un nucleo o un potere autonomo e eversivo: è un’estensione brutale dello stesso governo. Tradizione, omertà, povertà concorrono. Ma in una situazione definita, di diritto e di forza (polizia), le mafie si estinguono. I casi di Marsiglia, Chicago, New York a varie epoche e con varie mafie, di Las Vegas negli anni 1960. La Piana di Gioia Tauro è passata rapidamente, cinquant’anni fa, in cinque-dieci anni, da ‘ndrangheta, una onorata società separata, minuscola (contrabbando di sigarette, spaccio di banconote false, rituali, pellegrinaggi, riunioni, muffu o fazzoletti da collo…) a mafia, radicate in tutta la società, agricoltura, commercio, finanza, politica, professioni, compresa la giudicatura, e nel regime comunitario dell’olio d’oliva, del bestiame e degli agrumi (i mafiosi ne sono padroni), gli appalti, la droga, l’usura, così benevola e così diffusa.
Sul piano pratico ne è riscontro l’impunità accordata, in situazioni di mafiosità acclarata e perfino professa, dalle autorità – carabinieri, Procure. Nei piccoli reati: porto d’armi, assicurazione auto, guida o parcheggio scorretti, multe stradali, parcheggi, occupazione di suolo pubblico. E anche nei grandi: vengono abbuonati anche atti di violenza alla persona. A fronte della brutale, perfino cinica, applicazione delle regole al resto della comunità per reati anche minimi, il caffè degli impiegati o la patente dimenticata a casa.
In paese c’è un assassino acclarato, che però non è stato condannato. È anzi diventato guardia forestale, e col suo gippone spesso occupa la strada, il tempo che gli piace per prendersi un caffè, conversare, comprarsi le sigarette (questo forse no, non fuma). Si dice in questi casi che sono confidenti. Non si vuole mai perdere la speranza.
Lo Stato è ordine e insieme disordine. Il disordine non sempre è un male: è cambiamento, e può essere benefico. Non al Sud, dove lo Stato è invece necrofilo, fomentando l’imbroglio: la mafia prospera in una situazione di piccola delinquenza economica diffusa: invalidità, contributi, assicurazioni, integrazione di prezzo Ue, appalti, protezioni.

La “mafia imprenditrice” (Arlacchi) è nozione falsa: la mafia non intraprende, ma ricicla. E non è nemmeno espediente alla sociologia, per allargare cioè la ricerca. Essendo in realtà un’equazione rovesciata - l’imprenditore è un mafioso - che porta fascine al ribellismo. Non per caso Pino Arlacchi l’ha elaborata col Procuratore Cordova, magistrato di formazione conservatrice e propensione reazionaria, nel quadro delle mistiche anticapitaliste.

I mafiosi vanno in Mercedes corpulente o Bmw. Perché alcune di questa macchine tedesche nascono blindate – sarà per divertimento: non si possono dire i tedeschi mafiosi. Preceduti da Punto o Fiesta civetta. Non contro i carabinieri. Hanno case con cancellate o muri di protezione, e videocitofono. Non per ostentazione: le case sono spesso non intonacate e non finite.

L’odio-di-dé meridionale
È una categoria che si deriva dal Selbsthass ebraico, formulato a fine Ottocento a proposito di chi, soprattutto in ambito germanofono, per assimilarsi rinnegava le origini. Se ne trovano molti cenni nelle polemiche giornalistiche. Specie in raffronto al sionismo, il movimento delle radici del popolo ebraico dei primi del Novecento. Costeggia dunque l’antisemitismo. “Der Operirte Jud”, l’ebreo operato, una satira del 1893 di Oskar Panizza, lo scrittore di Bad Kissinger, di padre cattolicissimo, di una famiglia di pescatori del lago di Como, e di aristocratica madre ugonotta, ne sintetizza, seppure in chiave grottesca (critica) gli stereotipi: un giovane medico ebreo tenta di mutare fisionomia e carattere sottoponendosi a una serie di operazioni, compresa una trasfusione di sangue da parte di “vergini ariane”, per poi finire, al momento del matrimonio con la bella tedesca bionda, in una massa gelatinosa al suolo. L’ultimo caso clamoroso è stato cinquant’anni fa quello di Dan Burros, un giovane ebreo americano diventato parte attiva del Partito Nazista Americano e di uno dei gruppi più feroci del Ku Klux Klan, che si suicidò quando le sue origini furono rivelate dal “New York Times”. Ma la categoria è sistematizzata in ambito ebraico. Da Daniel Felleiter, “Jüdischer Selbsthaß. Eine Betrachtung der Ansätze von Theodor Lessing, Otto Weininger und Sigmund Freud”, 2010, considerazioni sul tema. Sulla base dell’ormai classico “L’odio di sé ebraico” di Theodor Lessing, 1930.
Selbsthass non è l’opportunismo, questo è facile da definire, oltre che da individuare. È credersi qualcosa che non si è, e non si può essere. Non che sia impossibile essere italiani, e anzi lo si è, per lingua, usi e leggi, ma ci sono italiani buoni e altri no – come gli ebrei tedeschi, che erano ben tedeschi, e molti titoli di merito s’erano acquisiti e avevano acquisito alla Germania, nella letteratura, le arti, la filosofia, la scienza, l’industria, la finanza, eccetera, ma non potevano esserlo.
L’odio di sé ebraico diviene così una delle radici dell’antisemitismo: “Il bisogno di sentirsi odiato per sapere che non si è commiserato”, nota Rilke di Thalmann-Wassermann. Donde la sottile sfida tra simili, seppure non consanguinei. Furono ebrei in Germania alcuni dei più furiosi antisemiti. Non fino ai forni crematori, ma non ne ebbero l’occasione. Molti intellettuali: da Pfefferkon a Weininger, Trebitsch, Grossmann, Rathenau, Max Scheler, che Th.Lessing dice “il vero Caino ebraico”. Era ebreo pure Torquemada, che però non era tedesco. Benedikt Friedländer, suicida per essere ebreo, l’ingente patrimonio lasciò al dottor Eugen Dühring, il mangiatore di ebrei, grato per aver da lui “appreso la verità”. Al giubileo del 1900 Walther Rathenau, che mobiliterà la Germania in guerra con l’appello “Noi tedeschi”, aveva pubblicato un altro appello famoso, “Ascolta Israele”, che esortava al battesimo collettivo e al germanesimo. Maximilian Harden si votò alla “causa dell’uomo tedesco”, come poi Walter Benjamin: “Se muove da intime convinzioni”, disse Harden, “la lotta contro il semitismo non dovrebbe essere considerata in sé e per sé più spregevole di quella contro il cattolicesimo, il capitalismo, gli junker e il socialismo”. “Mosè era un forte antisemita”, ha scritto Freud a Arnold Zweig, e “non nascondeva di esserlo. Forse era in realtà egiziano. E aveva comunque ragione”. Una lettura di Mosé, della Legge, che viene ascritta al Selbsthass - che Freud terapeuta depreca, ma di cui si è nutrito.
La nozione è semplice, e tuttavia è difficile parlarne, perché si assume come buona la condanna contro cui essa si elabora. Un equivoco di fondo è alla sua origine: Th. Lessing, che l’ha sistematizzata, “pensa di fatto, paradossalmente, a una figura di ebreo costruita su un calco non troppo lontano da quello utilizzato dagli ideologi völkisch per articolare i mitologemi pangermanici di impostazione razzista da consegnare al consumo non riflesso delle masse” - così deve concludere Maurizio Pirro, introducendo la traduzione di “L’odio di sé ebraico”(Besa Editrice, s.d.). Th. Lessing - “Io sono sionista. Sono tedesco. Sono comunista” – fu a scanso di equivoci un attivo pacifista e socialista, tanto da procurarsi diffidenze negli stessi ambienti progressisti della repubblica di Weimar, e morirà assassinato dai nazisti nel 1933, perseguitato fin nell’esilio a Praga, e infine a Marienbad, l’ultima sua stazione. Anche lui scoprì l’ebraismo e cominciò a “sentirsi ebreo” ai trent’anni, “sentendo levarsi tendenze antisemite”. Anche lui come molti meridionali, che hanno scoperto nella maturità, al lavoro, sui giornali, di essere meridionali. Con la stessa incapacità di sentirsi diversi, tale era il grado di assimilazione: una falsa identificazione – Th. Lessing elesse a suo amico di adolescenza Ludwig Klages, che sarà capofila dell’antisemitismo, e non rinnegherà mai questa amicizia.
La categoria nasce però solida, non è fumo polemico, né scandalismo. È un passo indietro per sgomberare l’orizzonte e la via. Nella sintesi di Pirro: “Theodor Lessing si basa sulla distinzione tra uno stato di unità dell’essere anteriore alla nascita della coscienza e uno stato posteriore di scissione e di privazione determinato dalla rottura dell’equilibrio naturale a opera di turbamenti non più precisamente ricostruibili. L’insorgere di un «malessere nell’ambito dell’elemento vitale in riposo» induce l’uomo a riflettere sulla propria posizione nel mondo”.
L’opera principale di Th. Lessing, dopo “Europa e Asia”, una sorta di antropologia dello spirito, è “Die Geschichte als Sinngebung des Sinnlosen”, la storia come attribuzione di senso all’insensato. Lo studioso sa pure che l’antisemitismo è una sorta di “vizio inglese”, una dilettazione in autoflagellazione, sulla carne di altri: il “rabbioso nemico dell’uomo” parte sempre dall’odio di sé. E questo è il vero problema dell’antimeridionalismo: che chi ci governa non ne ha le qualità. Non le qualità del buongoverno: l’ultima verità della questione meridionale è che essa nasce per non essere risolta.
Anche questo Th. Lessing sapeva. “Come mai tutti gli uomini amano se stessi e solo l’ebreo è così poco in grado di farlo?”, chiede. Perché è dentro una gabbia da cui non può uscire. Una prima via d’uscita è: “Può accadere che proprio l’uomo dagli ignobili natali diventi giudice del mondo”. La seconda “volge tutte le spine contro il proprio cuore: gli altri sono assolti e tu diventi il tuo giudice e il tuo boia”. La terza è nota: “La grande metamorfosi riesce, la tua mimicry ha successo, diventi «uno degli altri» e fai un effetto favolosamente autentico”. Finché servi. “Forse un po’ troppo tedesco per essere veramente tedesco”, aggiunge Th. Lessing. E anche questo è vero: ci sono immigrati troppo milanesi.
Di fronte alla classe politica che ci viene data – che Milano che ci governa ci dà, compresa la Procura della Repubblica della città - la conclusione è tanto più vera in questa seconda Repubblica. Perché la via d’uscita vera, cui tutto porta, è quella falsa: è la prima, le altre sono succedanee. Dühring e Trebisch, fortissimi antisemiti, quest’ultimo anche ebreo, morirono ciechi, nota Th. Lessing con soddisfazione. Ma la mala erba non muore - con Trebisch erano tanti gli ebrei che si camuffavano, o prendevano altre pelli, proprio, ma non si salvavano.
Analizzata la categoria, anch’essa riporta alla casella base: il problema del Sud è il Sud. Ci possono essere state, ci sono state, prevaricazioni, furbate, distruzioni di valore, ma ora non più. Da tempo ormai. La classe dirigente italiana è del resto stata per lunghi periodi, prima e dopo Giolitti e il fascismo, meridionale. Siamo sporchi e cattivi come i cattivi dickensiani, che di se stessi dicono: “Sono vendicativo, sono falso e meschino, sono insensibile, ma fin da piccolo sono stato tiranneggiato, ogni più elementare necessità della vita mi è stata negata, non ho istituzioni, libertà, doveri, sono cresciuto con ladri e violenti. E questo può essere più o meno vero, storicamente come nella vita di un uomo, ma non conduce a nulla. E se ripetuto non è una buona scusa, e anzi non è più vero.
Felleiter trova in Freud una ragione peculiare dell’odio-di-sé: “Freud analizza la tendenza all’autocritica tipica dell’humour ebraico”. Che può non essere vero in ambito ebraico – Freud su questo è contestato. Ma non è chi non veda questa autocritica insopprimibile tra i meridionali. Un settentrionale non andrà mai a caccia dei propri difetti, e non li scaverà per confidarli a un meridionale, il meridionale solo sa esprimersi ridendo di se stesso. Tanto più in presenza del settentrionale, per compiacerlo. Felleiter dice anche che Freud “tenta nel suo lavoro analitico di emanciparsi dal gergo ebraico”. Ma di questo non c’è bisogno: una buona liberazione anzi farebbe tesoro della capacità di vedere l’“altro” lato dell’esistenza e del mondo – basta non farsene una colpa.

La squalifica del Sud
Il calciatore Neuville ha madre calabrese nelle cronache tedesche delle scommesse sul calcio. Quando ha giocato la finale del Mondiale del 2002 non aveva madre.

Per Tommy, il bambino di Parma rapito e ucciso da due barbari, il “Corriere della sera” evocava un complice “siciliano nato a Parma”.

La guerra per Trento e Trieste non l’hanno combattuta i trentini e i giuliani, ma i calabresi, i siciliani e i sardi. E questo è male. Hanno distrutto la Mitteleuropa, regno armonioso di pulizie etniche, nei Sudeti, nel Banato, nei Siebenbürgen, in Istria, Dalmazia, Moldavia, Transinistria, in ogni dove, da Scutari a Lubecca. Hanno provocato biblioteche di lacrime, di nostalgia.
Ma già prima le cose non andavano bene: c’è una Radetzskystrasse in ogni città e paese della Mitteleuropa, che i trentini e i giuliani ancora rimpiangono, molti lombardi e qualche veneto.

leuzzi@antiit.eu

giovedì 3 febbraio 2011

Problemi di base - 49

spock

Ma il ministro Ronchi è ministro di quale governo?

E chi è Casini – a parte il nome?

Come avvenne che Dio ebbe un volto?

Dio come Adonai (assenza), trasmigrando dalla Bibbia alla metafisica tedesca, Heidegger incluso, non imbroglia la matassa?

Dove sarebbe il mondo senza la filosofia tedesca? E la filosofia?

Perché la cronaca giudiziaria la fanno le donne?

E le foto nude di Ruby? E di Anna Maria Greco? Non se le vorrà tenere la dottoressa Sereni?

Perché Berlusconi non è camorrista? Mafioso sì e camorrista no? Lui che si è arricchito con Gomorra.

E le intercettazioni dei Procuratori? In ufficio e a letto?
Sarebbe urgente, non ne possiamo più di Berlusconi nudo.

Perché la prova tv non vale per gli arbitri?

spock@antiit.eu

La bestemmia non batte il conformismo

Papini è al meglio – che si continua trascurare, vent’anni dopo la caduta del Muro. I suoi tre scritti valgono la lettura di questa piccola antologia di “Lacerba” (“I cattivi”,”La vita non è sacra”, “Marcia del coraggio”): il paradosso non è gratuito, né volgare, la brevità feconda. I cattivi” è perfino esemplare per acutezza: per comprensione e capacità di giudizio delle leggi. Il resto risente del linguaggio artefatto di “Lacerba”, come di ogni avanguardia, presto caduco. Italo Tavolato, qui presente con cinque testi, è del resto ben dimenticato. Benché abbia titoli accattivanti quali il famoso “Elogio della prostituzione” e le “Bestemmie”, contro la democrazia, contro il giornalismo: i testi sono manierati e informi, colpa maggiore per un avanguardista e un blasfemo.
Le avanguardie, contrariamente al nome, non sono un investimento nel futuro, nemmeno il futurismo, che si voleva tutto modernità, perché non sono né si pretendono durevoli: sono, al meglio, un divertimento. “Il significato migliore che si può riconoscere al Futurismo è di essere stato arte della bestemmia”, conclude Anna K. Valerio, che per Ar, le edizioni di Franco Freda, cura questa buffa antologia. Si giustificano in epoca di conformismo, e questo è tutto – oggi, certo, non è poco: la pianta dei tartufi non commestibili è comune.
Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Italo Tavolato, Bestemmia contro la democrazia, Ar Edizioni, pp. 55, € 8

mercoledì 2 febbraio 2011

L’indiscrezione è solo della Procura

I verbali della Minetti sono secretati dall’inflessibile Bruti Liberati, collaboratore emerito di “Repubblica”, Procuratore Capo a Milano. Ma non per i giornali. Per tutti i giornali, bisogna riconoscere, non solo per “Repubblica”. E non tutti: ogni giornale ha la sua porzione, equamente divisa, della deposizione. Se ne lamenta il presidente della Repubblica, indignato dalla “abnorme invadenza di cronaca nera e cronaca giudiziaria” nei media, ma a Milano la giustizia è uguale per tutti.
Se non che ci sono alcune cose inquietanti. Un giorno c’è la droga, che il giorno dopo scompare. A casa di Berlusconi, s’intende. Al posto della droga subentra Iris, una minorenne, un’altra, che il giorno dopo scompare. Ed emerge invece una prostituta, una cioè di professione, che il giorno dopo scompare. Lasciando il posto alla mamma della minorenne di Casoria. Che poi scompare, e lascia il posto a foto compromettenti. Che poi scompariranno anche loro. Oppure no. Inquietante non è il fatto che ci siano notizie che scompaiono, i giornalisti non si curano della verità. Ma che c’è qualcuno che elabora e lancia queste informazioni.
Non alla Procura, beninteso. Dove invece il Procuratore, quando non ha nulla di dire, dice che è pronto il processo immediato per Berlusconi. Domani – domani si vota il federalismo, che non c’entra nulla con l’annuncio, ma forse sì. Oppure fra una settimana. Sicuro comunque di averlo, il giudizio immediato, domani o fra una settimana: è il bello di poter fare insieme l’accusatore e il giudice - giudice (a Milano) non morde procuratore.
E perché non si può parlare male della Boccassini? Cioè si viene automaticamente perquisiti, spogliati, e magari fotografati nudi - le famose foto promesse? Senza nessun indizio di reato. Questo nemmeno nel ventennio si faceva, le barzellette si potevano dire.

La chiesa è di Pilato

Universale è il silenzio in Italia, paese proponente, sul’indisponibilità dell’Unione europea a condannare gli attacchi ai cristiani nei paesi islamici. A condannare gli attacchi sì, ma non quelli ai cristiani: la baronessa Ashton, che esiste, non è un personaggio da commedia dell’arte malgrado le apparenze, è il ministro degli Esteri e della Difesa dell’Unione, non vuole. Ma non solo lei. Il “Corriere della sera”, giornale del cristianissimo Bazoli, dedica alla cosa sei contortissime righe. Mentre nella “Stampa” di Johnny Elkan, padre di Oceano, la cosa “non esiste” – Mario Calabresi continua a essere fuori stanza.
Soltanto la laicissima “Repubblica” ha fatto un’adeguata, professionale, corrispondenza, grafica e testuale, con foto e circostanziata corrispondenza di Andrea Bonanni. Intitolata : “Ue, schiaffo all’Italia sulla difesa dei cristiani”. Niente menzione esplicita nel documento sulle persecuzioni religiose. E Frattini lo fa ritirare. Il ministro italiano: “Questo laicismo esasperato è dannoso per la credibilità dell’Ue”.
Ma non c’è solo il laicismo in campo, ci sono anche i preti. Monsignor Fisichella, ministro vaticano “per la promozione della nuova evangelizzazione”, si consola che “tutto è cenere” – ash è cenere. Bella battuta, si suppone, da talk show. Più sorprendente ancora il commento dei vescovi: sul loro quotidiano, “Avvenire”, il cui sito reca una fascione a colori sotto la testata, “Cristiani perseguitati”, e sotto la testatina “Cristianofobi”, si leggono una breve corrispondenza e un commento, a firma Andrea Lavazza, dal titolo “L’indicibile tragedia”, che non dice nulla. Anzi, conclude chiedendosi: “Perché quel tabù, viene da chiedersi per l'ennesima volta? “, il tabù della parola cristiano. Già, perché? Cioè, è giusto che lo chiedano a noi, la chiesa è nata con Pilato. E un laico non ha che da congratularsi: magari non dovrà più spendere per altre carissime missioni peacekeeping delle forze armate.
“La vicenda”, spiega Bonanni, “parte dalla mobilitazione del governo italiano dopo l'attentato suicida contro i cristiani copti di Alessandria d'Egitto e altri episodi di violenze interreligiose che hanno colpito le comunità cristiane in Medio Oriente e in particolar modo in Iraq. Frattini si era battuto per avere una dura posizione di condanna da parte dell’Unione europea. Ma nella bozza di comunicato, messa a punto dal servizio diplomatico che fa capo alla Ashton, si parlava in modo generico di violenze contro «le comunità religiose», senza citare in modo specifico quelle cristiane.
“Il ministro degli esteri italiano si era impegnato per far cambiare il testo, e domenica sera era venuto anticipatamente a Bruxelles per un incontro con i quindici ministri degli esteri che fanno capo al Partito Popolare europeo, di ispirazione democristiana. «Una larga maggioranza di paesi, sia per dimensioni sia per numero, aveva condiviso la mia proposta di emendamento, che era quella di menzionare gli attentati terroristici contro le comunità cristiane ed anche quelli contro la comunità sciita di Kerbala», ha riferito Frattini. Ma, poiché la Ashton non aveva modificato la propria proposta, l'emendamento italiano avrebbe potuto essere approvato solo all'unanimità. Al momento del voto, invece, almeno quattro paesi si sono detti contrari a modifiche: Spagna, Portogallo, ma anche Lussemburgo e Irlanda, che hanno governi conservatori”.
Tanto più “sorprendente” (Ruini) appare la lettera che Giovanni Paolo II, in prima persona, indirizzò ai vescovi italiani per l'Epifania del 1994, quando veniva travolta la Democrazia Cristiana, sull'Europa, e sull'Italia in Europa:
“Sono convinto che l' Italia come nazione ha moltissimo da offrire a tutta l' Europa. Le tendenze che oggi mirano ad indebolire l' Italia sono negative per l' Europa stessa e nascono anche sullo sfondo della negazione del cristianesimo. In una tale prospettiva si vorrebbe creare un'Europa, e in essa anche un'Italia, che siano apparentemente «neutrali» sul piano dei valori, ma che in realtà collaborino alla diffusione di un modello postilluministico di vita. Ciò si può vedere anche in alcune tendenze operanti nel funzionamento di istituzioni europee. Contro l' orientamento di coloro che furono i padri dell' Europa unita, alcune forze, attualmente operanti in questa comunità, sembrano piuttosto ridurre il senso della sua esistenza e della sua azione ad una dimensione puramente economica e secolaristica.
“All' Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modo speciale il compito di difendere per tutta l' Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo. Di questo preciso compito dovrà avere chiara consapevolezza la società italiana nell' attuale momento storico, quando viene compiuto il bilancio politico del passato, dal dopoguerra ad oggi”.
“Le tendenze che oggi mirano ad indebolire l'Italia...”. Era un altro mondo? Certo, non c'è una uguaglianza delle intelligenze, l'opportunismo è più forte. Un talk show poi è attrazione irresistibile, altro che Ruby!

lunedì 31 gennaio 2011

Secondi pensieri - (62)

zeulig 

Cristo - È mito umano, la divinità vi è poco presente. Ma ha mai peccato? No. E allora, che uomo è? È un uomo dell’Oriente che “fa carriera” in Occidente. È l’agente dell’Oriente che conquista l’Occidente? Quant’è la parte di Cristo nel cristianesimo, e quanta la parta di san Paolo e dei Padri, è vecchio problema. Linguaggio e temi dei Vangeli sono più vicini alla bibbia o alla tradizione iranica (indiana)? Le parabole. L’irenismo. I miracoli. Gli angeli. Lo stesso monoteismo, più indoeuropeo che ebraico. Di biblico c’è la promessa della salvezza, e il Messia, l’Incarnazione. Cristo è vicino alla Bibbia. Che è vicina alle culture mediorientali.

Dio - È nel cristianesimo un’ipotesi consolatoria, anche nella sua cattiveria, che può essere senza limiti. Non può essere creazione demoniaca, ma la felicità inafferrabile è idea malvagia in sé. Nietzsche dodicenne (Halévy, 24) pensava che lo Spirito Sato fosse in realtà il Diavolo. Ma dirà poi a Deussen (ib.,52): “Se sacrifichi Gesù, devi sacrificare anche Dio”. A. Cohen lo vuole, con Pivot, “una nostra invenzione: l’hanno inventato gli ebrei nella Bibbia. È la proiezione dello spirito profetico”. È la nostra Mancanza, l’ipostasi dei desideri inappagabili? Il diavolo è allora la realtà – la materia – che si configura invece come impenetrabile. Dio è soggettivistico, idealistico, e il diavolo realistico? “Esiste un mondo reale, un problema reale del tempo, un problema reale dello sviluppo e un problema reale dell’aumento di entropia” (Popper di Boltzmann, “Società aperta universo aperto”, 68). Resta il problema del perché l’uomo rifiuta il reale, lo abbandona al demonio. Il rifiuto della sessualità si spiegherebbe come paura della riproduzione, e quindi desiderio di morte. Oppure come rifiuto dei vantaggi evolutivi della riproduzione nei grandi numeri, e quindi come paura. Ciò non si spiegherebbe, saremmo in un circolo. Oppure si spiega proprio così. “Ciò che si chiama Dio” (Tommaso d’Aquino) è incoerente: è in corsa per salare il mondo dalla sua condanna, cioè contro se stesso. Dante lo rileva - beffardo? – sulla porta dell’Inferno: “Fecemi la divina potestade, la somma sapienza e il divino amore”. È vendicativo? La stessa incertezza materialista sui destini dell’universo è della fede religiosa – se Dio è ritenuto, come nell’ebraismo e nel cristianesimo, collerico e vendicativo. Anche in senso religioso il mondo può prendere significato unicamente in una prospettiva di “miglioramento”. Il filone pessimista dello storia come rotolamento verso il basso rispetto all’età dell’oro (Guénon et. al.) è anti-religiosa. 

Ecologia – È la storicizzazione (sterilizzazione) della natura. Vecchia polemica del Tre-Quattrocento era il rigetto della natura in quanto corruttrice. Il rigorismo cristiano (stoico)e la morale ascetica negavano la natura. Natura era l’accettazione (epicurea) di se stessi, delle inclinazioni umane. L’ecologia trasferisce alla natura il rigorismo ascetico: rinuncia, asepsi, silenzio. Una razionalità lineare, mentre la natura è eccessiva: violenta, imprevedibile, estrema.

Edonismo – Spiega da solo l’invadenza della morte: là dove c’è la paura della morte non può che esserci una cultura edonistica, o viceversa. Perché l’Occidente cristiano anche se laico, fa la morte così brutta e insieme condanna l’edonismo? Forse perché è nell’edonismo che hanno le radici alcune piante pericolose, come la tolleranza e l libertà. Di cui l’Occidente si fa bandiera ma che ammette da poco e con riserve. 

Fede – Il sesso è il più grande equalizzatore che ci sia, si sa (il sesso e non l’amore, né l’erotismo, più o meno raffinato che sia). Più della natura o ecologia – il trekking in solitudine, le chiare fresche dolci acque, eccetera. Anche la fede è un equalizzatore, e un piacere che non costa: Con un vantaggio e un handicap, rispeto al sesso: si può godere in solitario, ma vuole stimoli complessi. 

Laicismo – È insufficiente per il pregiudizio antireligioso, specie delle religioni totalizzanti, cattolicesimo, islam, e soprattutto in Italia. Comportando la rinuncia a molti strumenti che, inestirpabili, rendono sterile la ragione che non ne tiene conto. Per esempio le “opere”: la soma di opere buone per il cristiano cattolico conduce alla salvezza, per cui i favori politici difficilmente si connotano negativamente. Oppure, salendo di livello rispetto alla politica, la “confessione”: il disprezzo della confessione (peraltro rivalutata in ambito psicanalitico, laico all’estremo) comporta il rifiuto, ingiustificabile, della sequenza colpa-rimorso-confessione da cui la natura umana (non solo gli ordinamenti in vigore, cioè) non può prescindere. Nato modernamente e male, per il pregiudizio anti-religioso, il laicismo s’impoverisce insieme col razionalismo.. 

Morte – La morte che non c’è finché viviamo, e quando non viviamo più non ce ne frega nulla, è Epicuro. Ma non vuole dire nulla. Anche Cristo certo ne ebbe paura, e prima ancora della Passione. Ma è il suo peccato: non ebbe abbastanza speranza. 

Razionalismo – È minato dall’identificazione con la modernità, e con la semplificazione. L’automobile, icona principe della modernità, non ha nulla di razionale (ingombro, costo, design, fatica, veleni) – se non quella sensazione di libertà che è la meno razionalizzabile, cioè semplificabile. Razionalzzare è “andare avanti” e scegliere, cioè semplificare. Ma questa funzione richiede più, e non meno, saggezza. Mentre il razionalismo pratico induce un senso di superiorità che si accontenta di poca riflessione, e di ancora più ristretta considerazione. Così l’auto prospera, il sesso si sterilizza, e la procreazione, la politica si pensa disinfettata, e il primo ministro norvegese, una signora, può rimproverare al papa il mancato uso del preservativo. È razionalista anche la “nuova razionalità”, quando non è indagine critica, modello aperto. Vale il principio della scoperta – “la spiegazione del noto mediante l’ignoto” (Popper, “Scienza e filosofia”, 52). Vale anche per la filosofia. È, come la scienza, il “venire a sé dello spirito”. 

Riso – Il mistero è nel ridicolo. “Il ridicolo è più tagliente\ che la lama della ghigliottina”. Baudelaire, “Th. Gautier”. Dio non ne è capace, solo l’uomo. La statua di Giove ride sorniona nel “Caracalla” di Svetonio, Dio mai. È il senso critico? È una reazione nervosa? 

Santità – È nozione fisica e comportamentale. Non si diventa santi per aver interpretato-capito Dio (teologi) ma per averlo imitato: è santo chi vuole, non lo si è per caso. Resta il problema dell’umiltà. È orgoglio? In Ignazio sì, dichiaratamente, in Filippo Neri o Luigi Gonzaga pure, benché (proprio perché) negato: il santo è un superbo, come il diavolo. La partizione è casuale? I santi costruttori hanno molto fiducia in se stessi, inclusi i teologi, i pauperistici (Francesco d’Assisi ha creato un’allegoria – francescano – e quindi un mondo), perfino i mistici. Ignazio ha creato un organismo: non una pietas, non una sensibilità, ma una strategia. Dell’amore missionario, compresi i gesuiti che governano Pechino fomentando alle frontiere la rivolta. Ma resta, come all’origine, una difesa. Il termine in uso per la vita celebrativa dei santi – apologia – è all’origine argomentazione a favore di qualcosa o qualcuno oggetto di biasimo.

zeulig@antiit.eu

Ombre - 76

“Repubblica” schiera oggi una serie di governi alternativi. Uno lo fa Bocchino. Uno lo fa Follini. Ma non è follia. Né parole al vento. È la politica alla berlina. Vendola, anche lui interpellato, si defila.

Il Procuratore Generale di Milano Minale divide e sottrae e infine calcola che le intercettazioni della Procura di Milano non costano niente, una inezia. Procuratore non morde procuratore.
Il Procuratore Generale, esempio preclaro di onestà, è famoso per avere condannato Sofri mentre aspettava il trasferimento a quella Procura di Milano che della condanna di Sofri farà il fondamento del suo assalto alla politica e alle istituzioni.

Il primo presidente della Cassazione, in pelliccia di ermellino, toga rossa, tocco rosso con greca d’argento, cita il “Manifesto”. E difende l’ordinamento della giustizia italiana: “Il migliore al mondo”. A quando i telefoni bianchi?

I soli colpevoli della spazzatura a Napoli sono dirigenti della Protezione Civile. Poi si dice che la giustizia non è napoletana.

Continua a vincere cause civili Riccardo Fusi, a Firenze e a Roma, per la Scuola dei Marescialli a Firenze-Castello. Ma per la Procura di Firenze Fusi ha rubato l’appalto, in combutta con Verdini. Ci sono due giustizie, dunque. Ma quella di Fusi, delle assoluzioni, non ha spazio in nessun giornale, eccetto che, in piccolo, sulla “Nazione” di Firenze.

Murdoch ha fatto spiare per anni, fino a qualche mese fa, alcune migliaia di politici e giornalisti in Gran Bretagna, ed è per questo sotto processo. Ma non si dice. Quando si dice, in breve, si tace che è padrone (anche) del “Times”, giornale così severo contro la corruzione italiana. Nonché di Sky Italia, che ha profumati collaboratori molti giornalisti – con effetto domino sul resto del giornalismo italiano.

Casini e Bocchino lamentano che contro Bondi non hanno potuto schierare alla Camera le loro truppe, decimate dall’influenza, o dal Consiglio d’Europa a Strasburgo. Creduti e anzi giustificati con ampie paginate. Ma allora Bondi ha poteri taumaturgici, se manda indenni dall’influenza i suoi, o li rende ubiqui, a Strasburgo e a Montecitorio.
Poi si scopre che a Casini manca un solo deputato. Ma non si dice.

Pullulante di laici, l’opposizione chiede l’intervento della chiesa contro Berlusconi.
I cardinali ne sono lusingati: vanno così sui giornali e sono invitati ai talk show.
È la scuola politica della chiesa superiore, come si dice? Superiore a che? È saprofitica – parassitaria, dicevano i vecchi mangiapreti. In tanta merda, di Berlusconi, della Procura di Milano, di Milano, un vero prete, che il voto ha affrancato per sempre, avrebbe solo il compito di essere chiaro.

Cinesi e colf in fila a Napoli per votare il candidato del partito Democratico sono anche immagine, e anzi cinema. Una vera sceneggiata napoletana, aggiornata. Ma You Tube e i provvidi siti dei giornali non se ne accorgono – “l’Unità” non l’ha detto?

domenica 30 gennaio 2011

Poste Italiane fa la cresta all’e-commerce

Le tasse sui libri e i dischi sono specialmente odiose. Specie se vengono messe due e tre volte. Ma non per Tremonti, o chi per lui, insomma per il ministero italiano del Tesoro, che attraverso le sue Dogane e le sue Poste Italiane ci riesce. Ma bisogna essere onesti: non a fini speculativi, il Tesoro non lo fa per incassare, solo per bloccare il famoso mercato. Si sa che Tremonti è un antimercatista, come dice lui. Quindi bisogna bloccare il mercato soprattutto là dove è più conveniente per i consumatori. Una convenienza che nel caso di eBay e di Amazon arriva al 100 e anche al 200 per cento, e quindi è specialmente pericolosa.
Il prezzo dei libri è negli Usa un terzo, mediamente, di quelli europei. Il prezzo dell’abbigliamento è, stessi marchi, stessi modelli, mediamente del 50 per cento inferiore. Ma agli italiani è impedito comprare negli Usa. Anche se nessuna legge lo prevede, non c’è protezionismo italiano o europeo contro gli Usa. Ecco allora cosa le Dogane e le Poste hanno escogitato. Si ordinino, per esempio su Amazon, libri per 40,51 dollari ad aprile del 2008, allora corrispondenti a € 25,80, più 14,46 dollari per trasporto e assicurazione, in totale 54,57 dollari, corrispondenti allora a € 41,35, in un pacchettino di piccole dimensioni. Le Poste pretendono altri 3 euro per spese postali, 2,50 euro per una cosiddetta presentazione in dogana, che non si sa cosa sia, e 2,16 euro di Iva, il 4 per cento, su tutto il valore della spedizione, compreso il trasporto e l’assicurazione. Oppure si ordinino oggi tre Dvd per 21 dollari. Le spese di spedizione siano 9 dollari, pagati all’origine. Alla consegna le Poste esigono 11,50 euro in più, l’80 per cento del costo originario, spese di spedizione incluse: 3 euro per spese postali, 2,50 per la famosa “presentazione in Dogana”, niente dazio, 6,10 euro di Iva, il 20 per cento. Pagare due volte le spese di spedizione, e due volte l’Iva sulla stessa transazioneè una truffa, ma non per Poste Italiane. Per non dire della costosissima, fantomatica, presentazione.
Che sia una truffa il destinatario lo sa quando fa reclamo alle Poste. Le Poste hanno un call center affabile, che risponde e prende nota del vostro reclamo, assicurandovi che riceverete la spiegazione richiesta entro trenta giorni per posta. Il destinatario ne lasci passare sessanta, senza ricevere la promessa lettera, e poi richiami. Gli verrà risposto, con cortesia, che una lettera gli è stata inviata, così risulta nel sito, ma che l’operatore non può leggerla. E gli verrà proposto di rinnovare il reclamo, assicurando che un’altra pratica, con nuovo numero, è stata aperta, in base alla quale riceverà una risposta entro trenta giorni. Il destinatario ne lasci passare sessanta, eccetera. Questa pratica è stata rinnovata tre volte, o quattro, ogni volta completa con numero di identificazione, e potrebbe sicuramente essere rinnovata all’infinito (sono passati quasi tre anni…).
Un’ultima cosa: si sa che uno non fa causa per 15 o 20 euro. Ma la pratica non ha interessato nessuna delle associazioni a protezione dei consumatori – tutte hanno accordi vantaggiosi con Poste Italiane?

Il Mediterraneo, mare Usa

Spicca l’attivismo della Casa Bianca, in Tunisia prima e ora, specialmente esplicito, in Egitto. Tanto più al confronto del fragoroso silenzio dell’Europa. Dell’Unione Europea come dei singoli paesi: Italia, Francia, Spagna, Grecia, che ancora qualche anno fa si sarebbero molto preoccupati, com’è giusto, di quanto succede nei paesi arabi confinanti, consultandosi, mediando, proponendo, e ora sembra che non vedano e non odano. A parte il tifo da stadio per democrazie inafferrabili. Il commento più informato dice: “Sta cadendo un muro come nell’‘89”. Con grandi elogi e belle immagini di donne “in prima fila” – senza sapere, o dire, che sono le stesse che hanno rivoluto trent'anni fa il velo, e rifiutano da una quindicina d’anni il bilinguismo, col francese, con l’inglese, ereditato certo dal colonialismo, ma per il quale il resto del mondo, Asia, Europa, America Latina, pagherebbe.
Nessuno sembra sapere che l’esportazione della democrazia in Iraq e Afghanistan non sortisce dopo anni alcun effetto, se non la guerra civile con diecine di morti ogni giorno. Con una diferenza: per gli Usa la guerra civile in Iraq o in Afghanistan non è un problema, e nemmeno per l’Europa – in quei paesi c’è solo da dimostrare chi comanda. Ma per gli Usa non è un problema nemmeno l’instabilità del Mediterraneo del Sud, mentre l’Europa, anche questa Europa “tedesca” che solo si guarda l’ombelico, se il contagio si allarga a Libia e Algeria è già in difficoltà. I paesi del Mediterraneo subito, ma subito dopo anche gli altri paesi del’Unione. In grave difficoltà, per gli approvvigionamenti di gas e di petrolio. E domani, chissà, per una qualche democrazia islamica del tipo khomeinista alla porta di casa. Per non dire dei doveri di “equilibrio”, se non di protezione, che l’Europa ha, dovrebbe avere, nei confronti di Israele. Trascurando l’evidenza. Che per esempio in Libano, un paese che aveva un regime costituzionale e una democrazia parlamentare, l’islamizzazione forzata del paese non ha portato, da quasi quarant’anni, che guerra endemica – o non si vuol vedere per poter spendere in peacekeeping i soldi sottratti all’università?
C’è un diverso peso specifico degli Usa anche nel Mediterraneo, come in tutte le zone del globo. A loro il mondo arabo guarda con più attenzione, da almeno un trentennio, che all’Europa, falliti o abbandonati i disegni di integrazione euro-araba. Ma c’è soprattutto un gap culturale: gli Usa, pur essendo in guerra con mezzo mondo islamico, il terrorismo, il nazionalismo radicale filo palestinese, sono vicini agli arabi. Il governo americano, pur così remoto (e, nella puzza al naso europea, dilettantistico, con quegli ambasciatori alla Wikileaks), è molto meglio informato di cosa succede in quei paesi così vicini all’Europa. Conosce meglio le forze in campo. Sa come trattare con i governi, quelli in carica e quelli possibili. L’Europa non ne sa più niente, non la lingua e la cultura, e nemmeno la politica. O forse la differenza è d’intelligenza: gli Usa sanno benissimo che non esportano la democrazia, con le invasioni e i golpe, ma solo riaffermano il proprio controllo, l’Europa invece ci crede.

Milano vuole le tangenti del gas - 2

Continua senza verecondia la campagna di Milano, da tempo traslocata sul “Corriere della sera”, di Edison e l’A2A, le grandi società energetiche di Milano, per avere i profitti dell’importazione del gas. Non tutti, una parte. A titolo di privativa: senza cioè andare a cercare il gas, né a importarlo, anzi nemmeno a venderlo, giusto così, per diritto di signoraggio. Che in termini moderni si chiama tangenti.
Il “Corriere della sera” se ne fa veicolo a giorni alterni. Sabato con un articolo che dice che il trafficante di questa importazioni in signoria è il presidente della Provincia Guido Podestà. Tipica tattica diversiva dei ricattatori, in artiglieria si dice del “falso scopo”. Per creare il trambusto necessario ad appropriarsi del bottino. Podestà infatti non c’entra niente, né può entrarci. Ma il quotidiano lo sostiene in perfetta allegria (il teso si può leggere in
http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=X2XI0). Non senza effetto, bisogna dire.
L’obiettivo della campagna ricattatoria non è Podestà - fare il suo nome è solo un dispettuccio di Giuliano Zuccoli, grande manager della Lega e gran patron di A2A e Edison insieme, al berlusconiano presidente della Provincia. L’obiettivo è l’Eni, e l’Eni si penserebbe inattaccabile da A2A, sia pure attraverso il “Corriere della sera”. Molto solido, ben piantato sulle sue relazioni privilegiate con i grandi esportatori, Russia, Algeria, Libia. E forse lo è. Ma è subito addivenuto a un accordo con la Rcs, l’editrice del “Corriere”: le compra 60 mila copie di ognuno dei dieci Romanzi d’Italia che Rcs pubblica per il centocinquantenario da regalare nei suoi shop (non i romanzi, solo l’introduzione e il primo capitolo, un estratto inutile, giusto per rimpinguare l’editrice), e si fa fare tre antologie della sua storica rivista “Gatto selvatico”.