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sabato 8 settembre 2018

Secondi pensieri - 359

zeulig


Benjamin – Mario Tronti, “Il nano e il manichino”, lo propone come un marcionita moderno. Intendendo Marcione come colui che “inventò” la gnosi. Mentre non la inventò. Ma negò il Vecchio Testamento, e questo sicuramente non è Benjamin, in nessuna forma, né innata, di linguaggio, mentalità, vocabolario mentale, eccetera, né di programma.

Bovary - “Madame Bovary sono io” di Flaubert indica la debolezza – del genere femminile? È probabile in Flaubert. L’aspetto di sé solitario, scontento, irresoluto. Ma partecipato: compatito, cioè assolto, se non rivendicato. L’essere si conforma col non-essere, di fatto e anche nell’intenzione. La personalità è sempre ambigua. Tra i generi, come usava dire-pensare un tempo, ma anche come forma (eseercizio) e mezzo di sopravvivenza. In potenza e in atto. 

Dio – È il corpo. L’anima nel corpo, un miracolo vivente.
Dio è nuovamente in catalogo, dopo essere stato espulso per un paio di decenni. Da Dawkins a Odifreddi e Augias. Ora vanno filosofi e complottisti che ci girano attorno, da Dan Brown a Vito Mancuso, “Io e Dio”, e Sergio Givone, “Quant’è vero Dio”. Si spiega come fenomeno editoriale, il gioco di la bascula tra una cosa e il suo opposto, una volta si vende una verità, la volta dopo se ne vende l’opposto. Non criticabile: i libri sono un cibo, non bisogna eccedere neanche con quelli graditi. Ma forse c’è di più, l’inconsistenza è totale, non ci sono pilastri alternativi e neppure pertiche, la modernizzazione non ne fornisce. La freccia del progresso, sia esso invece che tortuoso o stagnante, ha radici, viene d a un fondo. “Il sacro è andato perduto con il senso del miracolo”, dice Givone, del corpo, del miracolo del corpo.
Che c’entra Dio con il corpo? Il miracolo è il corpo, finché la genetica non l’avrà dissolto, magari in un’industria di pezzi di ricambio.

Fanciullezza – Termine desueto, di un mondo che non c’è più? Perduto nella “cura”genitoriale e sociale (assistenza sociale, tribunali dei minori). Quella che S. de Beauvoir dice in un passo di “Per una morale dell’ambiguità”, “l’affermazione vivente della trascendenza umana”. Nel fanciullo identificando “uno sguardo in agguato, una mano avida che si protende verso il mondo, speranza, progetto”.
Il fanciullo è viziato e iperprotetto, senza dialogo, o allora come con un pet, e sommerso dalle cose, che sarebbero i segni dell’affetto. Non più libero, non improvvisatore, malandrino, furbo, inventivo.
S.de Beauvoir aveva il pensiero della fanciullezza libera e liberatoria in Algeria negli anni 1950, benché sommersa dai coloni. Nella “rassegnazione sordida” del sistema coloniale trovando bambini “che giocavano e sorridevano”, ci vede “un avvenire d’uomo”: “Il loro sorriso denunciava la menzogna degli oppressori” – “tutti i regimi d’oppressione si rafforzano con l’avvilimento degli oppressi” -: “Era invocazione e promessa, proiettava di fronte al fanciullo un avvenire; un avvenire d’uomo”.

Quaderni neri – Una lettera di Taubes a Arwin Mohler meglio di tutto inquadra i “Quaderni neri” – lo scandalo pretestuoso che oggi se ne fa, bella scoperta: “«Ex captivitate salus»”, il dialogo postbellico – non risarcitorio: niente scuse – tra Schmitt e Heidegger sulle rispettive colpe, è “un resoconto sconvolgente di come i due abbiano accolto con soddisfazione la «rivoluzione» nazionalsocialista, che addirittura vi abbiano «preso parte»” – abbiano potuto, con tutta la loro sapienza, di pensatori profondi e uomini adulti. E ancora: “Se solo M.H., una volta che il discorso da rettore del 1933 è rimasto davanti agli occhi di tutti, oltre a qualche altra cosa (….),  avesse avuto il coraggio di giudicare se stesso allo stesso modo, avrebbe indicato alla gioventù tedesca in cerca di orientamento una via migliore del Feldweg, il sentiero di campagna”, la ritirata.

Resurrezione - La resurrezione della carne è venuta prima, tra gli stessi padri del cristianesimo, dell’immortalità dell’anima, tardo recupero platonico. È l’Eterno Ritorno. Che è detto mito e non lo è: è il corpo che non vuole morire. Proprio il corpo, rimasto alla meccanica e destinato per questo a morire, per usura o disfunzione. Il corpo informe anche quando è bello, “gettato lì” direbbe Heidegger, alla rinfusa, interiora, vene, pelle, le stesse ossa e i muscoli che poi si organizzano e lo tengono in piedi, ha volontà coriacea. Sempre in Russia, prima della rivoluzione ma in ambito già materialista, il filosofo F.N. Fëdorov ne progettò la ricostituzione, in quello che Majakovskij chiamerà l’Istituto delle resurrezioni.

Rinascita – L’uomo è sempre, direbbe Heidegger, “infinitamente più di ciò che sarebbe se lo si riducesse a ciò che è”.

Storia – È fede? È l’esito cui convenne l’epurando Carl Schmitt di “Ex capti vitate salus”, la salvezza dalla cattività – dopo aver fatto ammenda sulla dialettica Amico\Nemico: “Il nemioco èla figura del nostro stesso problema”. Sostiene poi Schmitt, in contesa-intesa con JakobTaubes sul concetto nuovo del tempo e della storia che si apre con il cristianesimo in quanto escatologia: “Il regno cristiano è ciò che arresta (kat-echon) l’Anticristo”. Si cambia il mondo con giudizio: “Per un cristiano delle origini la storia è il kat-echon, la fede in qualcosa che arresti la fine del mondo”. Spiegava Taubes: “Solo attraverso l’esperienza della fine della storia la storia è diventata una «strada a senso unico», quale si rappresenta la storia occidentale”. Non un buon esito?
“In divergente accordo” col decisionista Schmitt, Taubes apprezzava il giurista perché “apocalittico antiapocalittico”. Individuandone con semplicità, sotto le interminabili discussioni, il punto debole della tesi basica Amico\Nemico: “Se non si ammette che tra gli uomini la guerra poi porta alla pace, essa diventerà sempre più violenta, brutale, sfrenata”. La storia è subito finita.
La seconda guerra mondiale dopo la prima ne era stata un tentativo.

zeulig@antiit.eu

Leopardi controrivoluzionario


Nel 1815, di 17 anni, fra il 19 maggio e il 17 giugno, al suo terzo o quarto scritto, Giacomo Leopardi fa il papà conte Monaldo: inveisce contro la rivoluzione francese, e inneggia alla liberazione degli Stati pontifici, compreso il suo Piceno, dall’occupazione gallica. Nulla di interessante alla lettura, ma sì in chiave storica: il bonapartismo probabilmente, più che le idee della rivoluzione, aveva reso la rivoluzione antipatica, la Restaurazione non fu solo una congiuntura bellica. All’“Orazione” il giovane Leopardi fu mosso, più che dalla liberazione, dal fallimento del Regno italiano di Murat, dalla fine definitiva del bonapartismo, un sistema familistico, più monocratico di quello papale.
Un libello, con due curiosità attaccate. Una è che è antifrancese, non c’è dubbio possibile, ma è stato a lungo considerato fra i primi testi costitutivi del Risorgimento – Leopardi è più detto che letto? Il secondo è la curiosa tradizione italiana di misogallismo nella quale l’“Orazione” si inquadra, sempre in un’ottica nazionalistica. Che si può tracciare già in Dante. E poi nel francesissimo Petrarca. E in molta pubblicistica, narrativa o storica, del Quattro-Cinquecento. Con Machiavelli, che pure fu a lungo ambasciatore in Francia, e Guicciardini. Che culminerà nel “Misogallo” di Vittorio Alfieri. Dubiterà della rivoluzione, degli effetti della rivoluzione, lo stesso francesista Manzoni.
Leopardi non fa molto: si compiace della sconfitta subita a Tolentino da Murat, « usurpatore » succeduto a un « oppressore ». Per una serie di eventi che confermavano la deriva bonapartista (familistica, personale) della rivoluzione. Ne fa la sintesi Saverio Ieva, in “Amor di patria e misogalismo nel giovane Leopardi” (in “Italies”, 2002). Caduto Napoleone, le Marche non furono restituite al papa: “Murat le aveva occupate in nome dell’Austria, con il pretesto di liberarle e proteggerle. Dopo Lipsia, infatti, Murat aveva cercato di conservare il regno di Napoli separando le sue sorti da quelle di Napoleone, e si era alleato con l’Austria e l’Inghilterra. Metternich, per ottenere l’appoggio di Murat, aveva firmato un trattato, nel quale una clausola segreta prometteva al re di Napoli l’acquisto di un territorio di 400.000 anime a spese dei possedimenti di Pio VII. Tale trattato impegnava soltanto l’Austria, poiché non era stato sottoscritto dalle altre potenze. La situazione pertanto era poco chiara. Fu risolta a proprio danno da Murat, che diffidando dell’Austria, spezzò nel 1815 ogni legame con la coalizione antinapoleonica, e con un esercito risalì la penisola dal regno di Napoli con l’intento di raggiungere la valle padana. Da Rimini, il 30 marzo 1815, rivolse un proclama, in cui incitava a prendere le armi per preparare «una rappresentanza veramente nazionale, una costituzione degna del secolo, [che] guarentisca la libertà e la prosperità interna, tosto che il coraggio avrà guarentita l’indipendenza ». Murat si proponeva di farsi re di un’Italia unita e indipendente, promettendo costituzione e leggi liberali. L’appello non fu accolto : dopo qualche successo sugli austriaci, battuti a Cesena, Murat dovette ripiegare e a Tolentino, fra il 2 e il 3 maggio, fu sconfitto, perdendo anche il regno di Napoli ove ritornavano i Borboni. Le Marche erano restituite allo Stato Pontificio”.
Giacomo Leopardi, Agli Italiani in occasione della liberazione del Piceno, free online

venerdì 7 settembre 2018

Ma l'altro mondo mena il gioco, del sovranismo

Si prescinda da Trump, dal personaggio, la verità è che con questa presidenza gli Stati Uniti s’impadroniscono del movimento nazionalista, o sovranista, che dilaga nel mondo, e lo dirigono. Lo indirizzano, lo plasmano Sul clima come sul commercio. Trent’anni dopo essersi impadroniti dell’ondata globalista, gestendola poi con mano ferma. La Cina potè fare la strage di Tienanmen nel 1989, il presidente iperrepubblicano Bush non ebbe nulla da obiettare, l’obiettivo era mettersi a capo delle quattro modernizzazioni proposte e attuate  da Deng Xiaoping.
Trump del resto, per inverosimile che appaia, è un presidente eletto. Sta lì tra poco saranno due anni, ed è sempre il politico americano con più seguito – l’unico leader importante a crescere nei sondaggi, a fronte di Merkel o Xi, per non dire dei vorrei ma non posso Macron e May. Il crac del 2008 ha del resto colpito i paesi europei, con dieci anni di ristagno economico e la deriva neo fascista - la temuta Fortezza Europa è svanita.
C’è negli Usa, al di sotto delle antipatie o simpatie, un mainstream politico-economico che sa dove vuole andare e ci arriva. Il ritorno negli Usa delle multinazionali. L’aumento dell’occupazione con salari veri, non come negli anni di Obama. Più America negli accordi col Messico e col Canada, e presto con Merkel e Xi. La corsa a investire negli Usa. Una economia di nuovo leader mondiale. Trump sarà pure pazzo, ma con metodo.

Letture - 357

letterautore

Majakovskij - C’era stata un’altra volta, diceva Lilja alla mostra “Majakovskij: 20 ans de travail”, ordinata da Pontus Hulten e Marie-Laure Antelme, al Centre Pompidou, a dicembre del 1975. nel ‘16: “La pistola non funzionò. Allora decise di aspettarmi”.
Nel ’16 Majakovskij era già stregato da Lilja. Ma prima o dopo l’ode “All’amato me stesso”, e la autobiografia “Di me stesso”, ventitreenne? Il poeta Majakovskij si amava.
Lilja era a Parigi seducente a 84 anni, i capelli ramati, col marito Vassili Katanian, piccolo, baffi, bocca incavata. Arrivò il giorno dopo l’apertura della mostra, per far pesare l’attesa, e per dire a “Le Monde” che il ritardo era dovuto all’invidia di “quelli” di “laggiù”, che la odiavano perché ebrea. L’unica oppositrice a piede libero a Mosca, con visto di uscita anzi, e con molti privilegi – nel dopoguerra sfamò sua sorella Elsa e Aragon con pacchi dono opulenti. Moltiplicava per tre gli anni della sua storia con Majakovskij, di cui si diceva moglie, benché non sposata – giraffone, è vero, il poeta si vedeva, inutile, “quali Golia mi hanno concepito\ così grande\ e (to)talmente inutile”, ma si proteggeva: “Non verrò mai raggiunto\ dall’infame senso comune”. Osip Brik resta primo e duraturo marito di Lilja, tra amori e affari. Il secondo, Vitali Primakov, finì nelle purghe del ‘36. Vassili era il terzo, ma l’insidia non s’arrestava, la voce ancora d’un cristallino adolescenziale.

Esenin lo hanno portato al suicidio i suoi ultimi versi, “in questa vita morire non è morire\ ma anche vivere non è, certo, più nuovo”. Dopo i quali non poteva che uccidersi, scrisse Majakovskij. C’è chi dice che Trockij lo volle morto, perché non tornasse a emigrare. Majakovskij era invece libero di viaggiare, anche se grazie a Lilja, l’amore che si negava, agli ottimi rapporti di Lilja e Osip con la Čekà, la polizia segreta. Di entrambi Tsevateva sostenne: “Il suicidio non esiste, esistono solo gli assassini” - che poi s’impiccherà povera e sola, nel Tatarstan. Esenin in realtà morì sfigurato dall’alcol, e dal cosmopolitismo imposto dal successo, a lui nazionalista contadino. “Il suicidio”, aveva scritto Majakovskij, “isolato dalla sua complessa situazione sociale e psicologica, con la sua momentanea negazione immotivata, opprime per il tono di falsità”. Un complotto dunque ci vuole se a spararsi è Majakovskij – il complotto è l’idea della politica che si fa l’intellettuale, che non si fa molte idee. Anche se col poeta è semplice, se era spia di se stesso, in quanto comunista.
Majakovskij si batteva, col Lef, col Ref, ci ha creduto. Autore di versi per la rivoluzione sterminati, tremila solo in morte di Lenin. Nel viaggio che lo meravigliò a New York, s’immaginò di far saltare il capitalismo: “Sotto Wall Street passa una galleria della metropolitana; basterebbe imbottirla di dinamite e farla esplodere”. Titolare dell’Educazione, dicastero che stava molto a cuore a Lenin, e suo protettore era Lunačarskij, che aveva tentato nei circoli ortodossi la “ricostruzione di Dio”, una ricostruzione materiale, pezzo per pezzo, da fornire alle masse in sostituzione del Dio vecchio. Ma le masse sono insidiose, il poeta invece prudente: “L’arte autentica, proletaria, sovietica, dev’essere compresa dalle masse?”, chiedeva. “Sì e no”, arguiva: “Il carattere di massa del Padrenostro ne giustifica forse il diritto all’esistenza?” La politica, diceva, “non è la mia specialità”. Non da ultimo. E: “Il nostro poeta è il giornale”. La sua fede era nella “risuscitazione” dei corpi, il progetto scientifico e mistico di Fëdorov, l’autore della “Filosofia della causa comune”. Era realista e astratto, anche se a un certo punto decise di “amnistiare” Rembrandt.
Osip-Ossian Brik gliel’aveva sentito dire dieci anni prima: “Non poche divinità ha rovesciato il proletariato. Ma un dio è rimasto intatto, in un tempio il proletariato vittorioso ha paura di entrare. Questo dio è la bellezza, questo tempio è l’arte”. Poco prima della morte una brigata Majakovskij s’era costituita, per la diffusione e lo studio dell’opera, diretta dall’operaia M. Koltsova. Il poeta aveva dedicato alla brigata una serata. Dicendosi malato, alla gola e forse agli occhi, forse prossimo alla cecità, forse all’ultima serata. Aveva anche allestito una mostra per i suoi venti anni di poesia. Di poca soddisfazione: la politica è volubile. Pasternak lo vide steso a terra “imbronciato e sdegnato”, su un fianco, “voltando con fierezza le spalle a tutti”. Majakovskij era alto un metro e novantatré.
Una tesi vuole che il suicidio sia stato indotto, dalla polizia politica che lo ricattava, tramite il donnino goloso di Parigi e il suo marito dell’epoca. È possibile. Majakovskij, dice Sklovskij, aveva un passato del quale non parlava. Fu in prigione da ragazzo, quasi bambino. Era controllato per essere stato precoce comunista. La casa della madre era invece sotto controllo per motivi di pudore. Majakovskij che, dice Sklovskij, era un pittore. Sempre elegante, nella povertà dei mezzi, e egolatrico. Ma inerme, e tanto più per la stazza.
La questione fu comunque decisa presto, quando a vent’anni il poeta s’imbattè in Lilja, sotto forma della più giovane sorella Elsa che lo innamorò. Lilja, già di ventisette anni, se ne impadronì e ne terrà strette le briglie col marito Osip.

Neolingua – La profezia di Orwell si avvera con i social, con la rete?  Il quattordicesimo requisito del fascismo è la Neolingua, la lingua di legno – quella per la verità che Orwell prese di mira nel sovietismo. Ma oggi la Novella Lingua non è il politicamente corretto, l’insostenibile conformismo di una certa sinistra – da ultimo obamiana - per il resto guerrafondaia, imperialista, monopolista, speculatrice?.
Scrittori – L’anno scorso più di quattromila scrittori hanno fato domanda di una residenza al Mall of America.
Il Mall of America è un centro commerciale. Ma non vuole gli scrittori alle vendite. Fornisce i soldi per un locale proprio, uno studio o una sanza, per alcuni mesi.

Sottomissione – Il cantante islamista Médine, autore di “Jihad”, vuole esibirsi al Bataclan, il locale della strage jihadista tre anni fa. Bene accolto dalla proprietà del locale, che ha già vendjuto tutti i biglietti. Sembra “Sottomissione” di Houellebecq. Che quindi era un reportage, non un romanzo.

Spie comuniste – Tra i letterati erano donne. Molte anch’esse letterate. Christa Wolf nella Germania Orienta le.  Kristeva in Bulgaria e poi a Parigi. Mentre resta da accertare il ruolo di Elsa Triolet, moglie di Aragon e scrittrice in proprio - Triolet per un precedente matrimonio, di suo Elsa Kagan, sorella di Lilja Brik. E della sorella rimasta in patria, Lilja, bisogna ancora accertare la funzione, Che di Stalin era collaboratrice stretta, al tempo del suicidio di Majakovskij, dopo e prima – una delle dame della Nomenklatura, sebbe non esercitasse nessuna funzione politica e non avesse nessun mestiere.
Julia Kristeva Laurent Binet l’aveva assolta dai sospetti, incieme con Todorov, perché bulgari dissidenti, nello pseudo-giallo “La settima funzione del linguaggio”. Ma anche Christa Wolf è stata spesso assolta, di cui non è in dubbio la collaborazione con la Stasi, la polizia segreta comunista in Germania: perché era dissidente, la regina anzi dei “dissidenti” a Berlino Est.
Anche Majakovskij fu spia, ma non si dice. Fin da quando a vent’anni il poeta s’imbatté in Lilja, sotto forma della più giovane sorella Elsa che lo innamorò. Lilja, già di ventisette anni, se ne impadronì e ne terrà strette le briglie col marito Osip. E di spie fu sempre attorniato. Nelle relazioni maschili, con le spie di professione Agranov e El’bert, che lo controllavano. E in quelle femminili. Quando nel 1928 Elizaveta Zilbert, in arte Elly Jones, da New York decise di recarsi a Parigi e rimettersi col poeta, Lilja l’anticipò, promuovendo l’affascinante Tat’jana Jakovleva, un’emigrata. Quando l’anno dopo il poeta ingenuo s’apprestava a proporre le nozze a Tat’jana, Lilja fulminea scambiò le parti: Tat’jana andò sposa a un visconte du Plessix, mentre una Veronica Polonskaja si rese disponibile, benché sposata.

Topolino – Su “La Lettura” Giorello ne fa un filosofo, “il filosofo del fare”. Per molte cartelle. Senza colpa: Giorello deve pur ricordare che Topolino è stato “visto via via come un nostalgico del passato o come un tipo proteso verso il futuro, come un ribelle anticonformista o come un difensore dei «valori americani», come un conservatore o come un  individualista sovversivo”, un anarchico.
Come una fantasia di bambini no, l’infanzia non è più con noi? Come un animaletto simpatico che non sia il solito gatto o cane, e anzi quello di cui si insegnava che bisogna avere paura?




Tutti spie all'Est, per nulla

Per decenni, dal 1945 fino al 1990, Berlino ha avuto nella pancia 150 chilometri di dossier politici. Trenta milioni di fascicoli, uno per ogni tedesco, dell’Est e dell’Ovest, tolte le casalinghe e i bambini, ognuno spiava chi lo stava spiando, la moglie il marito, e viceversa, il padre i figli, e viceversa, mezzo centimetro in media per uno, pressati, di taglio, da Milano portavano a Genova, o a Torino. Falanga dice 111 chilometri, e sarà così, a una revisione della chilometrica documentazione – i fascicoli erano compressi, la Stasi era all’avanguardia delle tecniche spionistiche: Falanga conta 39 milioni di schede, un milione e mezzo di fotografie e diapositive, 2.734 film e video, 31.300 cassette audio, e 7.832 archivi dell’era in formatica, dischetti, nastri, cd.
È la Stasi il ministero in questione, il ministero della Sicurezza dello Stato, la polizia politica della Germania Democratica, o comunista. A Berlino Est. Modellata sulla Cekà, la madre delle polizie politiche sovietiche, il cui modello i tedeschi della Stasi si vantavano di avere perfezionati fino a dopo la caduta del Muro.
Falanga sa tutto e riferisce con teutonica precisione perché ci lavora, lavora al Museo della Stasi: la Stasi si ricorda con un museo, benché  confinato in un ex penitenziario, a Hohenschonhausenun po’ come Auschwitz, a futura memoria, da “Auschwitz delle coscienze”. E per l’applicazione poliziesca e, di più, peggio, per la corruzione morale. L’imperativo categorico kantiano, o fondamento della morale, riducendo a denunciare, denunciare, e denunciarsi. Garanti della rivoluzione, e del potere proletario, non per altro. Senza cinismo, i tedeschi, si sa, non sono cinici, il dovere anzitutto.
Spiavano i contestatori, e le contestatrici. E i familiari. Oltre ai soliti vicini di casa, portieri, invidiosi, eccetera. C’era anche una scuola  di “decomposizione delle anime”, spiega Falanga: una Scuola Superiore di Diritto dove si insegnava ai quadri che ambivano alal dirigenza le tecniche di “psicologia operativa”.
Fecero colpi da leggenda. Il culmine fu l’aggancio di Gunter GuillauTutti spie me, il segretario di Willy Brandt, del quale fecero affiorare il tradimento quando vollero sbarazzarsi di Brandt. Ma usavano la tortura, e le esecuzioni, più o meno giudiziarie. Riesumarono anche la ghigliottina, che piaceva a Hitler: ne furono ultime vittime, il 23 novembre 1955, i protagonisti di un caso famoso, la segretaria di Grotewohl, capo del governo comunista, Elli Baczatis, e il giornalista suo compagno Karl Laurenz. Si fecero esecuzioni, più o meno sommarie, fino a giugno 1981 – l’ultima vittima, un ufficiale Stasi, fu ucciso nel carcere di Lipsia con un colpo alla testa.
C’erano precedenti, di tradimenti. La Stasi non era infiltrabile, ma non defezionabile. Il caso più clamoroso fu nel 1979, quando defezionò un colonnello, Werner Stiller, con i microfilm di 20 mila documenti, e soprattutto una lista di informatori attivi in Germania Ovest e Austria: professori, fisici, ingegneri, informatici, esperti nucleari. Il suo capo più celebre e inafferrabile, Markus Wolf, “settanta identità”, fu fotografato con la seconda moglie a Stoccolma – e fece un successo per “Der Spiegel”, che ne poté raccontare la storia.
Il terrorismo, palestinese, sudamericano, Raf, Br, fu monitorato in dettaglio. Ma solo per prevenire contagi, la Stasi non si sporcava con soggetti incontrollabili. Eccetto che nell’attentato a Giovanni Paolo II. Per il quale fornì al Kgb sovietico, che voleva assolutamente l’eliminazione del papa polacco, la messe di informazioni che riceveva dal Vaticano. Avevano più di una spia in Vaticano, e fornirono per anni al mondo sovietico informazioni di prima mano.    
Tutti spie nel sovietismo. Per nulla, le spie non cambiano la storia. Nemmeno nella forma tedesco-orientale, pervasiva, onnipresente, alla Grande Fratello orwelliano. La paranoia del titolo il titolo giusto.

Gianluca Falanga, Il ministero della paranoia, Carocci, pp.319 € 22 

giovedì 6 settembre 2018

L'altra Italia


Il 45 per cento degli italiani è sovrappeso o obeso: effetto della dieta mediterranea?

Un italiano su due, della popolazione superiore ai 13 anni, ha un account facebook. Sette case italiane su dieci sono collegate a internet, via computer o cellulare – negli Usa una casa su due.

L’Italia è il maggiore mercato europeo delle auto dalla classe D  in su, dopo la Germania – che ha 83 milioni di abitanti, contro 60.

In Italia si spende il 10 per cento del pil per cure e prevenzione sanitarie.

Su 100 persone ci sono 80 veicoli registrati: è la percentuale più alta al mondo.

L’80 per cento degli italiani vive in case di proprietà. È la percentuale più alta al mondo.

L’aspettativa di vita è in Italia di 83 anni (82,6), un anno e mezzo meno che in Giappone.

La commedia dei migrantes


Certificati morenti dal Procuratore di Agrigento, accolti come profughi e quindi come rifugiati, privilegiati nella richiesta di asilo, gli immigrati della “Diciotti” se la sono data. Rischiano l’espulsione e lo sanno, ma non la temono, sanno che non si arriverà a tanto. Sono arrivati per uno scopo, sapevano dove andare, non erano denutriti né malati - né perseguitati dai libici con la tortura video modello Dustin Hoffman, “Sesso e potere”, 1997 (allora bisognava commuoversi per l’Albania).
L’immigrazione clandestina è in parte familiare, di ricongiungimenti (mogli, figli), in parte economica, per una piccola percentuale politica (quella attraverso il Mediterraneo minima, l’1 per cento e anche meno), di profughi in fuga da guerre e persecuzioni. Il fatto è noto, e andrebbe regolato. Garantendo a chi ha la possibilità, anche indiretta, di un’occupazione un viaggio normale, con visto, e scoraggiando i clandestini dall’avventura.
Ma una politica dell’immigrazione sgonfierebbe il traffico di esseri umani: è per questo che non si fa? Di africani che servono al commercio ambulante irregolare, oppure alla manovalanza spicciola, familiare o aziendale, a paga irrisoria. Ma nemmeno questo serve a portare alla sua realtà l’immigrazione selvaggia. Che è peraltro fonte di un alto tasso di criminalità: un terzo dei detenuti è immigrato, contro il 9-10 per cento della popolazione che risulta immigrata.
Una commedia dei furbi attorno a un mercato degli schiavi, il business umanitario non si fa scrupoli, tartufesco: “I centri di accoglienza non sono prigioni”. E poiché non è stupidità, e non può essere pregiudizio, certi fatti sono fatti, c’è collusione. La tartuferia clericale non muore mai, ma i preti sono pochi nel business.

Cronache dell'altro mondo - 6

La rivista culturale “The New Yorker” prima invita Bannon, il teorico nazionalista, al suo festival della Mente e poi, criticata da cantanti e attori, cancella l’invito. L’America è fatta a Hollywood – di celluloide si diceva una volta, oggi ombra digitale? L’America ha cancellato il dissent, che diceva la sua colonna vertebrale.
Bob Woodward, che intercettò la “gola profonda” del Watergate, pubblica un libro contro Trump, con le testimonianze dei più alti collaboratori del presidente odiato. Che ne dicono male e malissimo, anche se sono stati messi lì da Trump. John Kelly, il generale che è il suo braccio destro alla Casa Bianca, lo dice “un idiota”.
Un commento sul “New York Times” afferma che i dirigenti di più alto livello alla Casa Bianca di Trump ne sono “disgustati”. Un commento anonimo, nella pagina dei commenti. Sul “New York Times”, il giornale americano per eccellenza. Trump avrà avuto la colpa di inselvaggire l’opinione americana, l’opinione pubblica. Tanto più se, com’è probabile, l’anonimo del “Nyt” è parte del lancio pubblicitario del libro di Woodward. O non sarà l’opinione pubblica americana selvaggia di vocazione? Asia Argento, Woody Allen, #metoo ipocrita, George W. Bush, ora riverito, Ronald Reagan, ora osannato, ogni giorno un’esecuzione capitale, con pentimento?
L’America si sveglia agli stupri, e alla violenza in genere contro le donne, a opera delle star e starlette che se la sono fatta con chiunque capitasse, di poter fare un film. Quanti film inutili si conoscono, come il cavolo a merenda, di attrici italiane a Hollywood – Weinstein produceva, faceva produrre, e vinceva tutti gli Oscar a cui puntava. Trump, presidente bene o male eletto, è messo sotto accusa da una pornostar, peraltro matura. Asia Argento da una modella in cerca di likes.

Il terremoto cancella la storia


Ritrovamenti sparsi e poco significativi, come ovunque nelle zone abitate, in clima temperato: grotte, cocci, ossa. Che induce a una considerazione sull’esito dei terremoti. Il terremoto cancella il passato. Molte vite umane, che però si riproducono – lo schema non vuole essere cinico: la vita umana vince comunque. Mentre la pietra e ogni altro segno materiale della storia vengono cancellati per sempre. Il passato delle patrie sismiche è quindi fatto unicamente di continuità personale - di individui, di popoli - e quindi delle culture di cui essa è, sa essere, portatrice. Per il grado di consapevolezza e culto della continuità che essi abbia.
Si spiegano così le tracce umane in questa stessa zona non archeologica del mondo ellenico e bizantino, perfino pesanti, nella corporeità, nel gesto, nella stilistica della comunicazione (gestualità, silenzi, anacoluti, ironia), oltre che nell’onomastica e la toponomastica, di larghe regioni della stessa Calabria. Ma fuori contesto, storico e inevitabilmente anche culturale. Come residuo. La cultura persiste, nella mentalità, i linguaggi dietro la lingua, e ancora nel fisico, esito del dna, i vezzi, i vizi. Ma non conscia – riproducibile, creativa. E non documentata, non documentabile, cioè senza continuità storica.
Diligente, e probabilmente accurate. Un repertorio dei ritrovamenti – scarsi – dilegente e probabilmente accurate. Anche se il titolo reca come sottotitolo “Il Medievo”. Che è un’imprecisione, non si fa archeologia nel Medievo – ma Nucera è poi entrata all’università come medievista. E più che dell’Aspromonte tratta del lato jonico del massiccio, e più in particolare della bovesia, la piccolo zona grecanica.  
Erminia Nucera, Archeologia in Aspromonte, Città del Sole, p. 184, ill. € 12


mercoledì 5 settembre 2018

Problemi di base estivi - 445

spock

Perché la roba sotto l’ombrellone è al sicuro e in casa no?

537 atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali nel 2017 - “Avviso Pubblico”: sono sicuramente troppi, ma sono molti?

Per la prima volta “il fenomeno coinvolge tutte le regioni italiane”, dopo Campania, Sicilia, Calabria, Puglia e Sardegna, viene la Lombardia, con 28 casi: la “linea della palma” è salita all’improvviso, su tutte le venti regioni?

Meglio Woody Allen o meglio #me too, chi dà più affidamento?

Meglio Asia Argento o meglio Rain Dove, la colombella?

Meglio Di Maio o meglio Salvini, chi parla di più?

spock@antiit.eu

Recessione - 71

Aumentano gli scoraggiati – chi non cerca più lavoro: sono il 45 per cento della forza lavoro potenziale, record Ocse. Prevalentemente donne.

Gli under 35 sono disillusi rispetto alla politica, perplessi su sindacati e web (Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo).

Il 30 per cento dei giovani meridionali under 35 è emigrato nell’ultimo decennio o vorrebbe emigrare. I più da Sud a Nord, anche per attività demansionanti.

In due anni 450 mila lavoratori hanno lasciato il sindacato. Dal 2015 al 2107 le principali organizzazioni sindacali hanno subito una contrazione di 447 mila tesserati.

Più elevata la sfiducia al Sud: le tessere sindacali sono diminuite di 293 mila unità nelle regioni meridionali.

Ulisse geloso


Ulisse e Penelope giocano a sfidarsi: chi è stato più fedele?
Una parafrasi, l’ennesima, dell’ “Odissea”. Satirico-decostruzionista, ma non tanto. “La più stupida Guerra del mondo”. Itaca sassosa e sterile. La sposa che imbastisce “la favola della tela”. Resistendo “all’assedio dei proci più a lungo di Troia all’assedio degli Achei”. Eroi-guerrieri che volentieri avrebbero disertato, Achille per primo, e Ulisse. Gli dei gozzoviglianti e astiosi.
Luigi Malerba, Itaca per sempre, Oscar, pp. 181 € 12

martedì 4 settembre 2018

La repubblica dei giudici


De Magistris lancia su facebook la creazione di “una moneta aggiuntiva all’euro per dare forza a Partenope”. E propone una “Napoli Città Autonoma”. De Magistris è sindaco di Napoli, che lo ha plebiscitato in entrambe le possibili elezioni. Ma è anche magistrato, solo in aspettativa. E da magistrato a Catanzaro e a Santa Maria Capua Vetere ne ha pensate anche di più solenni che da sindaco.
L’atto di accusa del giudice Patronaggio, personaggio tv, a Salvini per sequestro di persona e arresto illegale parla anch’esso da solo. Se non è un atto di irrisione nei confronti della giustizia e della legge, da non escludere visto lo stile del Procuratore Capo di Agrigento.  
I giudici sono, si vogliono, la parte migliore della società civile. Peraltro insindacabile. La supplenza della politica da parte della società civile ha finora aperto solo baratri. Di incompetenza e strafottenza. 

La reazione rivoluzionaria

Ripresa dello studio che Cioran premise a una antologia degli scritti di Joseph De Maistre nel 1957. Una curiosa inversione d’interessi per uno scrittore che già si era dichiarato estraneo all’idea di Dio, “Saggio di decomposizione”, 1949: “Sogno un universo immune da intossicazioni celesti, un universo senza croce né fede”. Studiare e proporre un pensatore tutto Dio e fede. Sarà successo a lui come già a Baudelaire, rivoluzionario conservatore, che nel “Mio cuore messo a nudo” trova che J. De Maistre “insegna a pensare” – Calasso, “La folie Baudelaire”, potrà dire ce il “Mio cuore” è “il più importante supplemento a Joseph de Maistre”. O la forma orgogliosamente reazionaria del suo pensiero risorge, anche nel senso politico della cosa. Reazionario è un termine politico, J. De Maistre lo era politicamente - “Il papa”, tra le tante sue, è un’opera volutamente reazinaria, Cioran dice che il papa romano lo accolse impaurito. Ma non è una novità assoluta, l’apostolo della Restaurazione è già stato ultimamente sdoganato da Mario Tronti , quello di “Operai e capital” – “Il nano e il manichino”.
Ma al di fuori del fatto, degli atti, delle figure del potere, J. De Maistre ha intuizioni solide, apre percorsi. Animatore, in epoca rivoluzionaria, tra tardo Settecento e primo Ottocento, a suo modo dell’anticonformismo, anche nei confronti della Restaurazione decisa al Congresso di Vienna.
Un libro di Cioran, ma di fatto una rilettura, per interposto Cioran, di J. De Maistre. Critico radicale del naturalismo superficiale, di Rousseau:  “Dello stato di natura”, o della natura come utopia reazionaria. “Se c’è un termine di cui si è abusato, è quello di natura”. Rousseau dispiega la sua felice (rigorosa) misantropia, da “filosofo che spregia i filosofi”. Mentre “non c’è che violenza nell’universo”, spiega in altra opera, le “Considérations sur la France”, un’anticipazione di Hitler e il male assoluto. Con Rousseau bisogna invece addebitarlo a questo e a quello, alla religione, sia romana che wittemberghiana, ai barbari, all’impero romano, e magari pure alla natura, ma solo a quella dei tedeschi. La natura sarà pure superiore, dice de Maistre, ma solo quella dell’Atlantide di Platone, non quella dei cannibali di Montaigne: di questa natura il selvaggio è piuttosto la bestia da preda. La storia nasce dalla politica, spiega: “La storia è la politica sperimentale; è la migliore o piuttosto la sola buona”.
L’obiezione di de Maistre a Rousseau è semplice: l'uomo è attivo e perfettibile, un essere sociale. La partita giocando a ruoli rovesciati: l’antillumimista adotta la ragione, che Rousseau chiama invece “i lumi funesti dell’uomo civile”. Più che il rovesciamento, a de Maistre piace spiegare che il “filosofo” Rousseau procede in realtà “a casaccio”, come egli stesso dice in nota.
Le innumerevoli sciocchezze che Rousseau ha collazionato nel “Discorso” sono indiscutibili. Ma ancora piacciono - mentre di J. de Maistre non si parla se non come di un rinsecchito reazionario, lui sì misantropo e non lo spregiatore Rousseau. Rousseau piace, si dice, perché è ottimo scrittore e anzi poeta. E lo è, ma a leggerlo passo passo con de Maistre è solo ridicolo. Del resto, anche J. de Maistre è fine, vivace, e apodittico. Come Rousseau. Se non che Rousseau ha la forza dell’utopia. Di un’utopia – in questo caso della natura – che per i molti è il solo senso
della vita, la rinuncia a sapere.
Molto devoto, alla Provvidenza, alla Chiesa, e molto massone, il capofila della pubblicistica antirivoluzionaria rimase sempre un intellettuale. Uno isolato cioè, si capisce l’interesse di Cioran, che pure è agli antipodi del suo personaggio, uomo di corte: lo trattarono freddamente tutti i capi reazionari che si provò a omaggiare, Alessandro I, Pio VII, i vari re di Sardegna suoi sovrani, e Luigi XVIII, come già Napoleone. Un caso, si noti en passant, che potrebbe risolvere l’annoso problema del perché la destra non ha una cultura: la soluzione è che la destra è monocratica (carismatica, unitaria, totalitaria, servile) e perciò rifiuta la cultura politica, nega alla radice, d’istinto, che ce ne sia una.
Teorico della sovranità: “sovranità” e “infallibilità” vuole “perfettamente sinonimi. Ma dobbiamo espiare, “a questo scopo il prezzo più potnte è il sacrificio”, spiega a margine delle “Serate di Pietroburgo”, dov’era ambasciatore del re di Sardegna, o “Conversazioni sul governo temporale della Provvidenza”, anticipando René Girard. Con un utile richiamo alle proprietà “sacrificali” della crudeltà. Molto Manzoni anche è in J. de Maistre. E il “pensiero debole”, nella polemica di Ferraris, “Manifesto del nuovo realismo”: il “pensiero debole” riconduce a J. de Maistre, alla “polemica cattolica contro gli esprits forts” – ma il realismo, la Realpolitik, non è l’essenza della reazione?
Curato da Riccardo De Benedetti, ottimo francesista, del lato cosiddetto “oscuro”  (Céline, Blanchot, Caillois, Girard) o “maledetto”.

Emil M. Cioran, Saggio sul pensiero reazionario., A proposito di Joseph De Maistre, Medusa, pp. 116 € 13


lunedì 3 settembre 2018

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (374)

Giuseppe Leuzzi


“Sicilia, terra di librai”. Una catena di libreri, Ubik, si fa pubblicità con questo slogan. Le parole non mancano al Sud – terra anche di lettori?

L’antimafia dilaga, non  senza ragione, secondo Ulderico Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”, 146, a proposito “dei progetti scolastici, convegni segue cena, libri e relative carriere, film premiati e non visti, eccetera”: “È lecito sospettare che i suddetti professionisti non vorrebbero, magari inconsciamente, che sparisse la mafia”. Allo stesso modo dei medici, è vero, che, magari “inconsciamente”, anche loro, “non sarebbero contenti se tutti fossero sani”. 

La festa delle forze dell’ordine, con processione
Festa ieri a Polsi, il luogo di culto con più continuità in Europa, per la Madonna della Montagna. Alla presenza di carabinieri, poliziotti e guardie di finanza probabilmente più numerosi dei fedeli. Sicuramente più ingombranti, tra armi e videocamere. Da un paio di decenni si vuole che questo sia il luogo dei vertici di mafia. Come se i mafiosi calabresi, gli ‘ndranghetisti, fossero scemi.
Tre forze di polizia a Polsi camuffate da cineoperatori: sembra la satira di un ciak cinematografico. La cosa è a suo modo consolante: significa che non hanno altro di cui occuparsi, un delitto qualsiasi.
In occasione della festa di Polsi, ha tuonato il vescovo di Gerace, che se ne tiene lontano, contro le mafie che profanano il santuario. Ce l’aveva con le forze dell’ordine?

A Gallicianò invece i Carabinieri e la Polizia assicurano il corretto uso dei luoghi di culto: hanno militarizzato la celebrazione annuale il 29 agosto di san Giovanni Battista che per la gioia “danza” tra i fedeli. Numerosi, presenti in ogni angolo della “processione”, anche qui con videocamere. Le Autorità Militari avevano chiesto al parroco le generalità dei portatori dell’altarino del santo. Ma non si fidavano.

Gallicianò è un borgo di 60 abitanti, “l’Acropoli della Magna Grecia”, frazione aspromontana del Comune di Condofuri, che in tutto ne ha cinquemila, di cui forse la metà effettivi, ritornata vent’anni fa al rito greco ortodosso, con la riapertura dopo secoli di una piccola comunità di monaci greco-ortodossi, non ha bande mafiose né mafiosi spiccioli. 

Calabria
Nota Ulderico Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”, p. 20: “Pensate quanti film americani d’avventura e gloriosa conclusione a suon di musica se la battaglia di Lepanto l’avessero combattuta e vinta gli Inglesi invece che, come fu, i Veneziani, gli Spagnoli Napoletani, e molti Calabresi”. Vero – una battaglia vinta “contro un calabrese, del resto, Ulugh Alì delle Castella”.

Si fotografano a Gioia Tauro i pacchi dono della Caritas intonsi nella spazzatura, di pasta e altri generi commestibili. Forse destinati ai rom, ma non importa: troppe bugie. Chiacchiere, ritualità, sulla fame, la povertà, il bisogno. È il problema del volontariato, o terzo settore: troppo superficiale. Ma qui, nel “profondo Sud”, profondo nel senso di indigente, fa più senso.

Crolla il viadotto a Genova e la “Gazzetta del Sud-Calabria” fa una pagina allarmata: “Cosche a appalti, così crollano ponti e strade”. Ma il viadotto non è crollato a Genova?

Il film “Ragazzo di Calabria” è modellato su Francesco Panetta, campione del mondo dei 3000 siepi, 1987. Di famiglia borghese, di commercianti, Ma spacciato nel film per pastore analfabeta e scalzo, naturalmente figlio di “padre padrone”, che lo bastona. Non c’è altro calabrese?

Graecia Major”, la Magna Grecia, nella cartografia di Ortalis, Anversa, 1593, in proiezione rovesciata (il Sud è a Nord) limita a Salento e Calabria.

I vigili multano a Pizzo gli sposini per divieto di sosta della macchina con autista davanti a una chiesa romitaggio per le fotografie. Con comandante dei vigili in testa. Il Comune dovrà aprire un apposito capitolo di entrate, le multe non s’erano mai viste.
L’auto, dice il “Quotidiano di Calabria”, era parcheggiata nell’area riservata ai Noc, noleggio con conducente, come quello degli sposini. Ma quando ci vuole ci vuole.

Terra per eccellenza di emigrati, da fine Ottocento, era stata fino ad allora terra di immigrazione, nota Ulderico Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”.
Era anche, fino all’unità, “regione ad alta intensità industriale”. La cosa non piace a “La Lettura”, il settimanale del “Corriere della sera”, che dedica un lungo servizio a smontare la ferriera di Mongiana, spiegando che, subito dopo l’unità, non era più concorrenziale con l’Inghilterra – con l’Inghilterra?

Aveva San Sosti una zona di mare protetta dai pozzi neri: acqua cristallina. Poi il Comune fece giustamente le fognature, e da allora l’acqua di mare qua e là, a giorni alterni, è infetta. È il caso di quasi tutte le spiagge in Calabria.

Ha come poema di fondazione una “Chanson d’Aspremont” del ciclo carolingio. Fatta scrivere in fretta dai Normanni di Mileto per una crociata in partenza da Messina nel 1190. Poi volgarizzata, due secoli più tardi, in Toscana, da Andrea da Barberino, in ottave (che l’Ariosto sicuramente conobbe, poiché l’ “Orlando Furioso” prende avvio proprio dall’“Aspromonte”, dalle armi che Orlando strappa ad Almonte, il capo saraceno, ma questo qui non interessa) ): un poema cavalleresco del ciclo carolingio. La storia d’amore di Orlando con una Gallicella, che si salvano in montagna alla caduta di Risa (Reggio), nella campagna dei Saraceni contro il Sud Italia – il regno cui miravano i Normanni, a mano a mano che spodestavano i Longobardi, di Salerno e Benevento.

In Calabria non si parla che di Calabria. Anche tra viaggiatori, politici romani, “milanesi”, “piemontesi”. Faticoso. Ma compatibile: è una patologia. Come di chi parla sempre delle (sue) malattie.

Il tempo senza tempo.
Ulderico Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”, ha il “tempo senza tempo”. Proprio del dialetto calabrese – dei dialetti calabresi, diversificati nella pronuncia e anche nel lessico, ma uniti in questa forma verbale-mentale. E anche della Sicilia, va aggiunto. È l’aoristo greco. Che è “una concezione del mondo senza inizio né fine, sempre uguale”.
Con una controindicazione. Il tempo futuro, scrive Nisticò, che i calabresi scoprono a scuola (ma anche i siciliani), li affascina – “è accaduto loro come ai maschi gatti di casa: quando sentono odore di gatte, non tornano più”. E quindi tutti a giurare sul futuro e un vasto promettere, tanto domani è un altro giorno. È qui “la radice inconscia del peggior vizio mentale calabrese: l’idea che se uno dice una cosa, quella cosa medesima è già bell’e fatta”. I calabresi (e i siciliani) “parlano con il tempo futuro ma pensano sempre con l’aoristo. Il risultato perverso è che, secondo loro, il futuro diventa presente”. 

leuzzi@antiit.eu

La solitudine non è bella

Una storia in due episodi di solitudine, imposta. Dalla guerra, a interrompere un’amicizia intensa come un’immedesimazione. Semplice, “tirata via” come si vuole di Scerbanenco, scrittore veloce. Ma calibrata sull’esperienza dello stesso autore, profugo in Svizzera dopo l’8 settembre. Della quinta o sesta specie di profughi. “Quando il nemico invase la Paria”, spiega Scerbanenco in apertura, “alcuni continuarono come prima… Altri invece, forse perché avevano più orrore del nemico, si nascosero…  Altri combatterono, altri cospirarono per la liberazione. Altri cercarono di raggiungere un paese neutrale. Qui vennero messi in campo di concentramento”. O affidati alla buona volontà dei cittadini: “Molti di essi vennero un giorno tolti dai campi e ospitati da pietosi amici”.
Scerbanenco, pubblicandola a caldo nel luglio 1945, spiega il bisogno di scriverne con l’utilità: “Un romanzo può anche essere utile. All’autore è servito durante il suo gramo esilio”. Storie venate da amori impossibili, come se un malefizio vigilasse invidioso contro l’intelligenza, la passione, la dedizione. Nelle quali Scerbanenco è al meglio, con Mutti nella prima storia, con Mita nella seconda, tratteggiate con lievità ma ben delineate – Mira “era una donna, ma era anche un’amica, anzi un amico”.
Un “romanzo” sommesso, sui toni dell’elegia. Di piccole vicende, di minuti affetti, le ospiti, sorelle nubili, il cane, l’isolamento, le malattie, l’amorosa famiglia. Seppure con l’onomastica falsata che Scerbanenco predilige, che un po’ falsa le sue storie – una sorta di brechtiana estraniazione. L’esito è quello che l’editore ci legge: “Una sinfonia patetica discretamente travolgente”. Sul presupposto vigorosamente chiaro all’autore: nessuna solitudine è bella.
È l’altro tema dell’avvertenza con cui concludeva il romanzo subito alla fine della guerra: “Nessuna forma di solitudine è bella, e tanto meno buona. La solitudine obbligata, come quella dei protagonisti della vicenda, è dolore. Quella volontaria è egoismo, disamore, perfino superbia, anche la beata solitudo. La misantropia è immorale, su di essa germogliano le guerre”

Giorgio Scerbanenco, Non rimanere soli, il melangolo, remainders, pp. 298 € 7,62  


domenica 2 settembre 2018

Ombre - 430

Sbollita l’emozione, oh quanto emozionante, per gli immigrati della “Diciotti”, trasformati in profughi e poi in rifugiati, “Corriere della sera” e “la Repubblica” si allarmano oggi per gli sbarchi abusivi a Lampedusa : “Lampedusa, torna l’emergenza. Sbarchi non stop”. Cioè? Un’ombra di verità no?

Sbarchi abusivi si fanno anche a Isola Capo Rizzuto e Crotone. Non fanno notizia, i media sono pigri, ma ci sono delle rotte negli sbarchi. Non casuali dunque.

Manuel Valls, 56 anni, ex premier socialista francese, torna nella natia Barcellona per candidarsi sindaco, a capo di un movimento unionista, anti-indipendentista catalano. A questo fine lascia la moglie francese e si fidanza con la più giovane, 53 anni, miliardaria Susana Gallardo, erede di una delle più grosse fortune spagnole, nata anche lei a Barcellona e anche lei unionista. Bella donna lei bell’uomo lui, non c’è che dire, ma è l’unione di denaro e potere. È anche giusto, ma questo commuove i “belli-e-buoni”, benpensanti, democrat, politicamente corretti, preoccupati dal populismo - non hanno altra preoccupazione: riusciranno i nostri eroi?


  • Dazi Usa, immigrati, Russia, Iran, terrorismo, crisi economica: di cosa si occupa la Ue? Dell’ora legale.

La Cina investe quest’anno poco meno di 90 miliardi di dollari in Africa (“The Atlantic”). In investimenti diversificati, principalmente infrastrutture. La Cina, non la Ue.
In Europa questa è una non notizia.

I Dc tedeschi si ricompattano per candidare Manfred Weber alla presidenza della Commissione europea. Sono 24 anni che l’Europa è guidata da democristiani. L’hanno consegnata, letteralmente, ai populisti, ma questo non basta.
Certo, nel 1933 fecero peggio, consegnarono la Germania a Hitler.

Calciatore dell’anno era Cristiano Ronaldo. Quando era al Real Madrid. Ora è Modric, del Real Madrid. Dopo che ha firmato col Real, lasciando cadere l’Inter. Non c’entrano i castelli in Spagna di Florentino Perez, il padrone del Real? Il voto, si sa, è libero. Anche quello dei cronisti sportivi.

In effetti molti tifavano già al Mondiale per Modric, che non ha fatto un grande Mondiale. Difetto di vista?

La chiesa caritatevole, la Caritas, accoglie ben 90 migranti della “Diciotti”. In strutture pagate e mantenute dallo Stato, da Salvini nella fattispecie, di cui la Caritas è appaltatrice. Perché la chiesa vuole essere ipocrita?


“Ogni giorno nel mondo nascono 400 mila bambini.  Nessuno di loro sceglie il genere, l’appartenenza etnica, il luogo in cui si è venuti al mondo. Né le condizioni economiche o sociali della famiglia. Il punto di partenza della vita è una lotteria”, Banca Mondiale (“Fair progress”, intr.). E mo’ se n’è accorta?

Il governo inglese non ha ancora deciso, dopo due anni, sulla Brexit, se se ne va del tutto o a metà, ma si è già provvisto di un ministro della Solitudine. Gli inglesi sono superiori in tutto.


L'Europa non fa ridere


Un polpettone, molto venduto in originale tedesco – Menasse è austriaco. Del solito “europeista convinto” che  Bruxelles non sa se ridere o piangere. Una serie di racconti satirici sulla burocrazia europea, legati da una trama sottile romanzesca: la solita celebrazione di Auschwitz, trovata di una dirigente a caccia di riconferma, inciampa in un’Europa che non vuole sentirne più, per opposti motivi, non antisemita ma in tutt’altro affaccendata. Come dire: l’Europa non è neanche antisemita, non è.
Il presupposto è giusto: il sovranismo  (populismo) è la reazione a un mercantilismo che è da tempo il modo di essere della Ue. Ma si ride poco - molto più incisivo, per dire, in tedesco, il breviario di Enzensberger, “Il mostro buono di Bruxelles”. E se si legge rapidamente non si perde nulla, il “mostro” è sempre ugiuale. Manca poi sempre, anche in questi pamphlets europeisti anti-Bruxelles, l’essenziale: una Unione alla mercé delle lobbies, e degli interessi politici dominanti, cioè germanici. Di cui ci sarebbe molto da fare la satira, ma non si fa.
Robert Menasse, La Capitale, Sellerio, pp.445 € 16