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giovedì 7 febbraio 2008

L'imbroglio dev'essere verde

Veltroni gioca alle elezioni la partita della sua vita, ma ieri, oggi e tutta la settimana li dedica ad approvare, e farsi approvare dal Consiglio comunale, il piano regolatore generale. Cioè i piani di fabbricazione di Roma, detti piani delle certezze, piani di recupero, piani del decentramento. Ne ha anticipato anzi la scadenza. Per preservare naturalmente il territorio. Protagonista Roberto Morassut, ora assessore all’Urbanistica, e a lungo federale romano, all’insegna “il Partito mantiene le promesse”.
Sembra di sognare, tanta novità e anzi rivoluzione, con tante signorine dabbene al seguito, solo per fare gli affarucci incontrollati. Ma si può costruire a Roma solo passando per l’(ex) Pci, secondo il modulo cinquantenario che regge Firenze o Bologna, è questo che Veltroni col suo atto d’imperio ha voluto riaffermare: le adesioni si prendono in via Sebino, alla sede dei Ds, non al Palazzo Senatorio, o a Palazzo Vecchio, o a Palazzo Comunale. "Il Partito che fa", "il Partito che mantiene le promesse", grandi attestati di stima e riconoscimenti vanno al sindaco e alla giunta dalle associazioni dei costruttori e dagli immobiliaristi. Mentre Roma viene agli ultimi posti per la raccolta differenziata della spazzatura. E il Lazio addirittura viene dietro la Campania…
In compenso, dopo la rapida approvazione del Prg, la seduta notturna di giunta in Campidoglio ha provveduto lungamente ad esaminare le accuse contro un capo dei vigili urbani, decidendo infine di aprire un’inchiesta. Il capo è accusato dagli onesti vigili urbani di Roma di aver portato sua moglie nell’auto aziendale in ufficio. Insomma una sagra dell’onestà. La lettura delle cronache romane del “Messaggero” e di “Repubblica”, come sempre trionfalistiche, oggi toglie il respiro: evidentemente i lettori sono considerati stupidi.

lunedì 4 febbraio 2008

Il mondo com'è (6)

astolfo

Antiamericanismo – “Qui e in nessun luogo è l’Europa”, dice G.A.Borgese, echeggiando il Lotario del “Meister” di Goethe, nel suo “Atlante americano”. Non è vero: l’Europa è oggi ricca, popolosa, antica, malgovernata. È cioè asiatica. Ma era vero: era stata inventata l’Atlantide per mascherare l’ovvio fatto che l’Europa è una coda dell’Asia, il continente sprofondato tra l’Europa e l’America, diecimila o dieci milioni di anni fa.

Giornalismo – Il mondo vuole strano: esotico, matto, eccessivo, ladro, assassino, e sempre simpatico\antipatico. Il giornalista è un addetto agli effetti speciali.

È schierato e di parte, anche nel gossip. Perché questo è “il sale della vita”. Il giornalista è assiduo e dichiarato cacciatore della verità.

Liberazione - Sono morti più algerini dopo la guerra di liberazione di quanti ne sono morti in guerra. Molti di più sono gli iracheni morti nella guerra civile dopo la caduta di Saddam Hussein che sotto le bombe americane. Anche in Italia il dopo Liberazione ha visto cinquantamila morti, morto più morto meno. Mentre in Iraq gli stessi americani che nel 1945 in italia e in Germania sembravano avere azzeccato ogni mossa in vista della ricostruzione, si sono dimostrati sessant’anni dopo straordinariamente inetti. Che cos’è una guerra di liberazione?
“Yasmina Khadra”, l’ex colonnello dell’esercito Moulessehoul, lo fa spiegare a un sopravvissuto in “La parte del morto”, forte romanzo contro la vendetta alla fine della guerra di liberazione in Algeria: “Una volta si viveva bene qui”, in campagna: “Eravamo miserabili, certo, ma non come adesso. Poi c’è stata la guerra, non ha risparmiato nessuno. Quando venne proclamato il cessate il fuoco, si sentirono sollevati. Ma, ahimé, la festa fu molto breve. Appena i soldati francesi ebbero cominciato a evacuare il paese, le violenze sono ricominciate ancora più feroci. Intere famiglie venivano braccate giorno e notte dai sedicenti liberatori. I fellaga erano scatenati, davano alle fiamme le case e i campi degli sconfitti, le esecuzioni sommarie si trasformarono in stragi inaudite”. La notte tra il 12 e il 13 agosto 1962, all’indomani del cessate il fuoco, molti algerini furono mutilati e trascinati per i paesi prima di essere decapitati. E in alcune zone si ricorda ancora il fenomeno dei disparus, intere famiglie scomparse di notte. Ma senza che nessuno, ancora quarant’anni dopo la fine della guerra, sappia o si chieda come.

Occidente - È entrato in crisi (Usa-Ue, cristianesimo, etica, bioetica, immigrazione) quando ha vinto? È la crisi della solitudine? Ma l’Occidente aveva vinto da tempo, l’irrealtà sovietica da decenni si teneva in piedi con la forza. L’Occidente si può dire in crisi perché lo è sempre stato, è la sua natura, questionarsi. Che ne fa la sua “grandezza” (durevolezza). Diverso è il fondamento del potere, che è forma di governo, forza militare, capacità economica, idealità, che l’Occidnete ha esercitato incontestato e potrebbe ora – l’Europa – non più esercitare.

Olocausto – C’è stato ma non è unico, potrebbe riprodursi. L’Olocausto fu l’annientamento deliberato degli ebrei ma in due forme: come sterminio e come schiavitù, come forza lavoro asservita. Sotto questo aspetto era esteso alle comunità nazionali dei paesi ostili, la Polonia, la Russia, la Francia, l'Olanda, il Belgio, l’Italia dopo l’8 settembre. E si è già riprodotto, nei gulag, nei laogai, i campi di lavoro comunisti, che hanno sfruttato diecine di milioni di oppositori, o non comunisti, fino alla morte. Mentre lo sfruttamento etnico si riproduce nelle politiche europee dell’immigrazione, che sono non politiche, per il mantenimento dei lavoratori immigrati fuori della protezione contrattuale e sindacale.
I forni crematori sono una soluzione tecnica, un’alternativa all’impossibile sepoltura, e alla cremazione individuale. L’Olocausto mantiene l’unicità per lo sterminio degli Einsatzkommandos e, nei lager, per le camere a gas, per chi era giudicato inetto al lavoro, o non aveva posto nelle baracche. Ma è una soluzione impossibile nel quadro di una soluzione possibile – immaginabile, ripetuta, costante.

Secolarizzazione – Si è imposta in tutte le culture, ma non ha un bell’aspetto. Si può rinominare anche depressione. E si può mettere all’origine del fondamentalismo religioso, del ritorno alla mentalità totalitaria che in teoria essa è nata per distruggere.
Ci sono arrivate prima le culture riformate di stampo luterano e calvinista. Il Concilio di Trento ha coperto le culture latine e centro-europee per oltre tre secoli, ma queste si sono adeguate in fretta, con la pax americana, agli effetti della secolarizzazione deleteri.
Si può anche dire che la secolarizzazione si è svuotata proprio per essersi estesa, sulle cose da fare oltre che nella mentalità. Non più contrastata il vuoto le si è spalancato: ha valore in quanto critica, non ha – non ha ancora – un suo sein.
È – è percepita – come il capitalismo, non altro, il mercato. La felicità dello shopping.

astolfo@gmail.com

Secondi pensieri (9)

zeulig

Ambiguità – Urta. L’ambiguità è nelle cose. Ma quando è giustificazione è un miscuglio di ragioni pervertite.

Antisemitismo - È anticristiano. La prima bestemmia è dire: in croce è morto un ebreo.

Dio – Essendo il creatore è il colpevole, con tutto il libero arbitrio
Come si sa, è senza cuore, e senza testa.

È come la ragione: c’è ma sfugge.
La radice quadrata di meno 1 non è più razionale della creazione. Dell’azione di Dio sull’animo umano.

Si nasconde bene nel roveto ardente: “Io sarà quello che sarò”. Non essendo evoluzionista

Guerra – Ultimamente la fanno le tribù, in Africa, Medio Oriente, Balcani, America Latina. La facevano le repubbliche, i principati, gli imperi, le classi sociali, le idee.

Immaginazione - È esercizio onanistico. Anche quando si effettua su vicende a materie d’altri, nella storia, nell’amore. Si moltiplica con la solitudine, ne è superfetazione, si dilata, si gonfia. È il mondo dei desideri, senza l’argine in realtà dell’Altro, se non a fini strumentali.
Si esercita senza limiti, anche in presenza di contrasto. È potere dis-soluto. Non storicizzabile, benché intervenga pesantemente nella storia.
Ma bisogna allora dire lo scrittore, l’innamorato, il demiurgo dei masturbatori, seppure in grande stile?

Levi – Primo e Carlo sono l’Italia repubblicana che non ha potuto essere, laica: curiosi, intelligenti, sempre intellettualmente onesti.
Sono morti presto perché non era il loro posto.

Libertà - È il vero potere degli uomini, e forse anche di Dio. Ma a quelli che non ci arrivano, e sono i molti, la cosa dà fastidio: non si è liberi impunemente.
La libertà intesa come liberazione dalla violenza, dal bisogno, e in un certo senso anche dalla malattia – dalla morte. Dalla violenza con l’etica, la legge, dal bisogno con l’industriosità, l’economia. Dalla morte con la religione, la filosofia.

Può essere una condanna. Soprattutto se non vi si è coinvolti personalmente, nel qual caso scattala difesa. Quando si soffre per un’aporia della giustizia, un sopruso, un’aggressione che non ci tocca personalmente.

La libertà conferma Kant, è un apriori della ragione. Ma non c’è se non viene esercitata. L’uomo se la rappresenta bene quando gli viene spiegata, e altrettanto rapidamente se la dimentica – in molte società è sconosciuta, temuta, avversata, nella prefazione allo “Spirito delle leggi” e in grandi società moderne. Perfino la schiavitù può essere preferita ala libertà, per la forza dell’abitudine.

Libri – Sono un mondo a parte. Anche quelli di storia e di sociologia. Anche quelli di cucina: la presentazione e la scrittura sovrastano le porzioni e i tempi di cottura.

Linguaggio – È uno specchio. Se uno ci tiene, lo specchio per eccellenza.
Non porta in nessun luogo se non alla retorica, che è un artificio. Wittgenstein, Derrida, Barthes possono essere solo questo: sapere che il linguaggio incide sulla verità in quanto la nasconde. La approssima ma non la esprime – l’essere delle cose e del linguaggio stesso. Come sapeva la vecchia retorica, da Gorgia a Sklovskij e Jakobson.

Male – È la cartina di tornasole, e lo scoglio sommerso, della ragione. In cui è forzatamente insito il senso del bene, della morale, ma cose e perché non si sa. Del male, al contrario, si può dire che è istintuale, cioè “naturale”.
L’impossibile misura giuridica della capacità d’intendere e di volere (per durata e intensità, per l’incidenza dell’ereditarietà e della caratterialità, per l’insorgenza di patologie, allergie, raptus) ne è il “brodo di cottura”.

Morte – È l’effetto del tempo – del tempo dell’orologio, che trascorre.
È solo l’effetto del tempo. Altrimenti è un atto della vita, tra esistenza e ricordo.

È in realtà ricorrente. Fisicamente arriva solo una volta nella vita, una volta almeno è certa, per malattia, incidente, vecchiaia. Ma ognuno di noi muore più volte, anche in forma di suicidio, per cattiveria, follia, fallimento, incomprensione.

Natura – È coltivata. È un modo d’essere – di minerali, vegetali, animali, fenomeni – durevole, ma mutevole: adattabile, flessibile, conservativo.

Nichilismo – Il nulla e l’assurdo c’erano prima della storia. La storia – la cosmologia, la filosofia – è nata per cercare un rimedio. La prima religione è stata filosofia. La prima filosofia è stata cosmogonia e politica – questionatrice, consolatrice. Il pensiero è un attributo di Dio accessibile all’uomo.

Proust - È l’ultimo lirico. È realista ma lirico: il ricordo è materia lirica – onirica, fantasmagorica, ma con impianto lirico.
Apprezzabile in quanto evita le fumisterie esoteriche del Fine Secolo e del suo mondo, Montesquiou, Laure de Chevigné, Anna de Noailles, la contessa di Greffhule, l’imperatrice Eugenia…

Rivoluzione – Nel momento in cui si dichiara c’è già stata.
C’è stata in Francia malgrado Robespierre. Malgrado Danton, Marat e ogni altro congiurato – ma questo lo sapeva già Büchner. C’è stata in Russia malgrado Stalin, certo, e Lenin.

zeulig@gmail.com

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (14)

Giuseppe Leuzzi 
Oinopas, colore del vino, è in Omero lo Ionio. E detto dello Ionio si capisce, quel mare, prendendo il nome dalla ragazza Io, è altrettanto capriccioso. 

 Il “don” è uso lombardo – don Lisander. Lo attesta Isella dei Dossi, Carlo e il figlio, e da qualche parte Dionisotti. 

 Anche nella questione spazzatura, come già per i mega yacht, alfiere della coscienza civile in Sardegna è Soru. L’imprenditore che la sinistra ama, questa sinistra di Mani Pulite, speculatore e un po’ bancarottiere. Dopo Carlo De Benedetti e con George Soros. Dall’attaco feroce alla lira che ha messo in gnocchio l’Italia, avviando quindici anni di stagnazione se non di crisi, alle molteplici attività irregolari e perfino illegali di De Benedetti (Fiat, Ambrosiano, Sme, Société Générale, Olivetti, Infostrada), alla famosa rapina del collocamento Tiscali, quando il titolo fu portato a cento euro – sembra incredibile – mediante il gioco dei compari con le banche d’affari. La tradizione è lunga delle simpatie della sinistra per gli avventurieri, Parvus, Stavisky, Maxwell, Soros, il più incredibile di tutti, se è vero che è sopravvissuto al lager. Ma con Soru sono, sono stati, di sinistra perfino Colaninno e Gnutti, sotto l’occhio compiacente dell’inflessibile ministro delle Finanze Visco. Nella spazzatura Napoli si riflette non più magnificente e lazzarona ma piccolo borghese, nella durezza della vita quotidiana, di chi, tornando a casa, vuole stare in pantofole. Si vede anche dall’opposta reazione dei napoletani che vivono fuori, Martone, La Capria, legati al clichè, e di chi la città la vive in città, “Elena Ferrante”. La politica vi è politicanteria, senza nessuna grandezza, nemmeno criminale: piccoli clan familiari (i Pecoraro, i Mastella, i Bassolino, i Jervolino), posti, favori, prebende, anche miliardarie, mini appalti truffaldini. I giudici soprattutto vi sono piccolo borghesi: paurosi, tromboni, nepotisti, opportunisti, scoperti e feroci nei raggiri. 

 "Quelli di Roma” si diceva già nel 1941. Carlo Levi sceneggia ne “L’Orologio” l’incontro simbolico, davanti alla sua porta di direttore del giornale “Italia Libera“ a Roma (dopo esserlo stato di “La nazione del Popolo” a Firenze) di quattro esponenti della Resistenza del Nord, un avvocato di Cuneo, un operaio di Bergamo, un giudice di Novara e un ingegnere di Udine, i cui umori così sintetizza: “Quell’odio di Roma era l’espressione sentimentale, più o meno rozza, la manifestazione simbolica di uno dei motivi permanenti della nostra storia”. E commenta: erano uomini che, “almeno per un periodo, avevano mosso le cose e gli uomini”, e ora “tornavano a ridursi, al solito, a parole. Worte, worte, keine Taten, keine Knödel in der Suppe” – il primo e il quarto verso di una poesiola postuma di Heine: parole, parole, niente fatti,\niente carne nella zuppa. 

8 “Nel 1993 la moglie di Provenzano portò i figli a Corleone e si scoprì che parlavano meglio il tedesco dell’italiano”, racconta Danilo Taino sul “Corriere” del 14 gennaio. C’era la mafia allora, ma anche prima, negli anni Ottanta, per le strade in Germania, a raccogliere il pizzo nelle pizzerie e gli ortofrutta. Spesso sotto forma di tasso usurario per conto del direttore o vice-direttore della banca all’angolo. Che si pagava così il riciclaggio di mezzo milione, un milione di marchi. O raccolta in tavolate appartate a ora tarda a dividersi la coca, e a contabilizzarne i proventi. Bastava essere turisti in Germania per vederlo. Un po’ come a Mazara, a Brindisi e a Crotone nel tempo si vedevano al bar i trafficanti di carne umana organizzare, aspettare, dividersi i carichi. Ma solo ora la polizia tedesca se ne accorge, dopo quindici anni, dopo la mattanza di Duisburg. C’è una inefficienza di base nei sistemi della polizia che batte sempre ogni teoria complottistica – basti pensare all’11 settembre. Ma la mafia sempre prospera nell’assenza di contrasto. Ogni altro delitto, sia pure un furto in villa o uno scippo, viene perseguito all’istante. La mafia può tessere la sua tela, non incognita, per anni e per decenni, deve solo non fare stragi per restare impunita. Ma – complotto a parte – il quesito è: per inefficienza della polizia o per compiacenza? Alla definizione classica che Sciascia ne ha dato, della mafia bisogna dire anche questo: che ne ha per tutti. Pentitismo. È un regalo alla mafia: la legge imposta nelle forme inquisitoriali. Segrete, inquinabili. E un veleno inoculato nell’antimafia: un artificio, all’origine, di polizia ecclesiastica, che ne è diventato la legge e l’anima.

 La mafia, quando l’etimologia era in voga, e anche gli arabi, si diceva di origine araba. Ma c’è la mafia al Cairo, città informe di dieci milioni di abitanti? C’è nella casbah di Algeri? No, non c’è. È che al Cairo e nella casbah algerina, per motivi politici, tutto si sa. C’è il controllo. A New York ci sono state una mafia irlandese, prima di quella siculo-napoletana, e una polacca. Si potrebbe allora dire la mafia un fenomeno cattolico. Ma c’era anche una mafia ebraica. C’è sempre stata una supermafia cinese, e una giapponese. E c’è ora una russa. La mafia è l’impunità.

 Sudismi\sadismi. Francesco Erbani, “la Repubblica”, 31 gennaio, in apertura della sezione Cultura: “Uno studio sugli errori commessi da docenti universitari di Salerno. Quanti svarioni chiarissimo professore”. A proposito di uno studio che “prende in esame una quarantina fra testi e dispense”. Promosso dal titolare di Italianistica, o di Storia della lingua italiana alla stessa università, Federico Sanguineti. Su testi della facoltà di Lettere e della contigua scienza della Formazione, ex Magistero. Dove si rilevano quantità di “un’altro” e “qual è” e di solecismi napoletani. La verità non conosce limiti. La correzione delle dispense, o la supervisione delle stesse da parte del titolare sarebbe auspicabile. Allo stesso modo come, di nuovo, la correzione in bozze dei giornali: ci sono troppi “un’altro” in ogni numero di “Repubblica”. Mentre di “qual” si contesta la natura di troncamento e non elisione. Colpita a morte è una delle migliori università del Sud, meglio organizzata, meglio dotata, per studenti e professori, meglio governata. Una delle prime, se non la prima, ad aver adottato corsi di alfabetizzazione primaria per le matricole – lo studio degli errori delle dispense è per questo specialmente perfido. Federico Sanguineti, protagonista un anno fa di un incidente con l’“Espresso”, che l’aveva messo nella categoria dei baroni per essere figlio del poeta-professore Edoardo, è autore di un’edizione critica della “Divina Commedia”: “Un lavoro improbo”, testimonia lo studioso di se stesso in un suo blog a tempo perso, “che ha portato lo studioso a fare le acrobazie per far combaciare gli impegni di lavoro universitario con la necessità di raggiungere di persona, pagando di tasca propria treni, vitto e alloggio, i molti fondi e biblioteche (una trentina solo in Italia) dove sono sparsi i codici danteschi”. L’ultime entry del blog è del 17 gennaio, un epigramma contro il papa: “Il Papa è papa e re\Dèssi abborrir per tre”. Dove però non si capisce: il papa non sarebbe da aborrir, con una b, per due? Ma forse il papa è anche il diavolo, anche lui, questa terza incarnazione deve’essere rimasta nella penna allo studioso. Babà, cassate, bacetti, non una linea di colore è mancata alla condanna del governatore della Sicilia per mafia, la condanna a metà – la condanna cioè è grave, cinque anni sono tanti, ma non è circostanziata, e insomma, si sa come andrà a finire. Il molle Cuffaro è ora un personaggio,di cui sappiamo tutto. Ma la cosa essenziale del processo non viene detta, e la più interessante: tra i condannati figura il maresciallo di Finanza Giuseppe Ciuro, che da anni fa le indagini di mafia per conto dei giudici Ingoia e Borsellino. Essenziale anche perché acclarata: i contatti tra l’investigatore e i boss ci sono stati. Omertà? Quanti giornalisti sono intimi del maresciallo? Noto per la giovialità, e la disponibilità per i giornalisti giudiziari di ogni bordo, molto ospitale anche.

domenica 3 febbraio 2008

La sporca storia politica della monnezza

Lo spettacolo quotidiano di anni di spazzatura per le strade di Napoli e dintorni sembra niente al confronto della storia di insipienza politica, abusi e illegalità che le sta dietro. Di cui la torinese Gabriella Gribaudi, ordinario di Storia contemporanea all’Università di Napoli Federico II, e direttrice per molti anni del dipartimento di Sociologia della stessa università, fa la storia sulla rivista “Il Mulino”. Una storia inverosimile, se non fosse vera: “La Campania sommersa dai rifiuti paga la tassa sui rifiuti più cara d’Italia”. Non una storia di camorra: “Non è stata la camorra, si deve sottolineare, a indirizzare il piano e a farlo fallire”. No, di politica: “Commissariato e imprese costituiscono un circolo vizioso e autoreferenziale”. Un’impresa di sottopolitica da far tremare i polsi, a favore di amici e compagnucci, a spese delle amministrazioni comunali, che pagano carissimo questo disservizio, e quindi, doppiamente, dei contribuenti-utenti.
Sono stati appaltati nel 2000 due termovalorizzatori e sette impianti Cdr (Combustibile derivato dai rifiuti) al consorzio arrivato ultimo nella gara d’appalto, per tecnologia, capacità, qualità delle esmissioni e degli scarti. Che poi ha realizzato soltanto impianti (alcuni, non tutti) tritarifiuti. Oltre la tariffa più cara pagata dai campani, la mondezza ha assorbito quindi inutilmente un paio di miliardi, di euro, pagati dallo Stato. Questo Grande Piano Regionale del Governatore Bassolino ha impedito tra l’altro ad alcune province, Avellino e Salerno, di provvedere da sé, con i propri mezzi e i propri piani, allo smaltimento dei rifiuti.
Le discariche di cui periodicamente si fantastica la riapertura sono state dimesse da tempo perché al limite, e oltre, della capacità.
La raccolta differenziata fu istituita nel 1993, con la creazione di 18 Consorzi di Bacino. Nel 2000 si fecero 2.300 assunzioni, ripartite tra i 18 Consorzi. Si privilegiarono le cooperative di disoccupati, “eredità storica dei comitati di lotta dei disoccupati organizzati, sorti a Napoli negli anni Settanta sull’onda delle proteste sociali e delle crisi endemiche della città. I comitati lottavano per un posto di lavoro assicurato, chiedendo un’assunzione “di lotta”. I primi comitati sorsero in seguito all’epidemia del colera del 1974; erano composti da pescatori e cozzicari che erano rimasti senza lavoro. L’amministrazione Valenzi nel 1975 li immise, attraverso corsi di formazione, nei ruoli della pubblica amministrazione come spazzini, portantini, infermieri, bidelli…” Gli aspiranti al posto di lotta hanno pagato “fra un minimo di cinque milioni, corrispondenti alle prime quattro o cinque mensilità della prestazione lavorativa e il massimo di venti-trenta milioni di vecchie lire”, a presunti sindacalisti, mani lunghe della criminalità di quartiere. “Se di questi 2.316, duecento lavorano è un miracolo”, dirà il commissario Catenacci, “gli altri non fanno niente”.
Questi “lavoratori” costano sessanta milioni l’anno. Ognuno ha 1.600 euro netti in busta paga, per quattordici mensilità. Il disegno di trasferirli dai Consorzi alla Asìa, l’Azienda dei rifiuti di Napoli, dove dovrebbero lavorare e insieme perdere la quattordicesima, è stato bloccato sul nascere: i camion trasferiti all’Asìa dopo dieci giorni si sono rotti, centraline, fanali, coppe, una cinquantina mancano, "forse" rubati.

Il mercato boccia Malpensa, e Mi-Na

Senza vergogna Bonomi, l’ultimo manager leghista, chiede i danni ad Alitalia per Malpensa, ben duemilacinquecento miliardi, 1,25 miliardi di euro. Mentre la Brianza, che “Il Sole 24 Ore” mette in prima, lamenta otto miliardi di perdite (in euro?) se Alitalia lascia Malpensa. Il sindaco di Milano, Moratti, bacchetta Bonomi perché i danni vorrebbe chiederli lei. E il governatore Formigoni minaccia i Comuni alle Crociate, o dov’erano – alle Cinque Giornate? Milano butta la maschera, tra i Bravi e Masaniello – l’asse Mi-Na è forte non solo in Tribunale.
La verità di Malpensa è quella nota: Linate è a due passi, Malpensa è lontana e senza infrastrutture, e insomma non si parte prima delle nove, direbbe Spinetta, il presidente di Air France: solo otto passeggeri del Noprd su cento fanno capo a Malpensa per i voli intercontinentali. Anche se a tariffe, Padoa Schioppa spiega al “Sole”, “sovvenzionate”: l’Alitalia pagava per i manager brianzoli. Non sono dati contestabili. Il comitato di Malpensa per il Parco del Ticino, chiama a raccolta la popolazione a difesa dell’ambiente “contro le illegalità, i soprusi e le falsità” dei difensori dello scalo. Le “illegalità e i soprusi” denunciati da Formigoni e i suoi 87 sindaci, scrive il Comitato, sono tutte loro, quelle rotte sono in perdita: “Il mercato boccia Malpensa”.

Rotto l'asse Bazoli-Prodi

O Passera è in rotta col suo capo Bazoli, o Bazoli è in rotta con Prodi. Poiché la prima ipotesi non è possibile (Bazoli può estromettere Passera quando vuole), la seconda s’impone. Roma ha avuto una mattinata di fibrillazione, malgrado il carnevale, all’attacco che Tomaso Padoa Schioppa, dopo averci pensato su qualche giorno, ha mosso all’ad di Intesa. A Gianni Dragoni, del “Sole 24 Ore”, il ministro dell’Economia, ha dettato dichiarazioni violentemente non ministeriali sul caso Alitalia, Air One, ricorsi al Tar, interviste di Passera: “L’amministratore delegato di Intesa San Paolo ha assunto posizioni che lasciano stupefatti”. E via di questo passo. In particolare Passera è un bugiardo: “Lui sa che non ci sono impegni veri, eppure in incontri e dichiarazioni ha ingenerato la sensazione che questi impegni ci fossero. Ma nelle carte che sono state presentate non ci sono. Non so neppure se gli organi collegiali della banca hanno deliberato”. Perché tutto questo oggi? La risposta è una sola: Milano ha già sparigliato, sapendo già che domani è un altro giorno, si va cioè a votare.

Passera in politica con Malpensa forever

È la berlusconite. Ci si chiede perché Passera faccia il capo-popolo di Malpensa forever. Lui, un manager accorto, tra De Benedetti, Di Pietro, la sana Dc, e Fini, accorto navigatore? La risposta è che scende in politica. Non ora, dicono i suoi, ma si costruisce la posizione per dopo. Come sia possibile, anche questo ha una risposta: è Berlusconi. L’infezione della politica da una parte, pur con tutte le sue delusioni, e dall’altro la convinzione, diffusa a Milano e tra i ricchi, che, “se ce l’ha fatta Berlusconi”… È così che l’Italia si ritrova maestri di politica in tv personaggi come Montezemolo, Monti, Della Valle, i Colaninno, Soru, sicuri di essere capi del governo se solo lo volessero. Passera no, è più prudente. Prima che a lui la tentazione è venuta al suo capo, l’avvocato Bazoli. E quindi deve aspettare, che Bazoli decida cosa vuole fare da grande.