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lunedì 22 dicembre 2008

Se Draghi si dimettesse

“In una Repubblica bene ordinata un ministro del Tesoro e un governatore della Banca centrale che polemizzano in pubblico sarebbe materia di preoccupazione”, scriveva questo sito l’1 ottobre, alla terza o quarta scaramuccia fra Draghi e Tremonti. Sembrerebbe di no. La politica monetaria la fa ora la Bce. Le banche sono transnazionali. E comunque la Vigilanza fa corpo a sé. Della Banca d’Italia pilastro dell’economia è rimasto un grande ufficio studi, che se bene impiegato può essere utile. Come un buon articolo di giornale, per intendersi. Si direbbe che non c’è nulla di male se il suo governatore, non avendo da fare altro che discorsi, si espone alla critica del “suo”ministro, il titolare dell’Economia col quale la Banca quotidianamente interloquisce.
Nulla di male, in effetti. Draghi a luglio, o era ancora giugno, ha aperto una serie di critiche al governo. Che stava per costituirsi. Forse improvvidamente, o forse contava su qualche disgrazia di Berlusconi. O sull’impaludamento di Tremonti, che già una volta Roma ha fagocitato. E invece la crisi ha legato le banche al governo, e Tremonti non perde occasione per spernacchiare il governatore. C’è normalmente di peggio nella politica. Ma un conflitto tra il titolare del Tesoro e il governatore della Banca d’Italia non è un pettegolezzo come un altro.
Forse Draghi dovrebbe prendere atto che, come ufficio studi, la Banca d’Italia ha bisogno di una direzione credibile. Non governativa, si spera, e nemmeno anti. Che dica le cose come stanno, nel mondo, in Europa, e certo anche in Italia, ma con acume. “Il debito pubblico è aumentato”? La Banca d’Italia lo dice ogni tre mesi, quando al governo c’è Berlusconi, ma il debito pubblico aumenta ogni giorno. E dunque? Coraggio, perfino i papi si ritengono passeggeri. Perfino Padoa Schioppa, una volta lasciata l’Economia, evita di suonare le campane a morto per il suo successore. Se uno vuol fare un altro mestiere, d’altra parte, per esempio il ministro dell’Economia ombra, perché impedirselo? Ci guadagnerebbe da ogni punto di vista.

Liberare il Grande Orecchio

Se sono parte del gossip perché censurarle? Può darsi che le intercettazioni facciano bene. Anzi è certo, questa è la verità. Ai giornali, per esempio, che altrimenti non sanno che scrivere. Non dovrebbero però gravare, ecco il busillis, sulle spese della giustizia: che c’entrano le intercettazioni, i verbali, le indiscrezioni, con la giustizia? Perché fare leggi sulle intercettazioni, sprecare il tempo dei parlamentari e il poco denaro dello Stato, quando, come le droghe, il loro consumo è incontenibile? Tanto vale liberalizzarle.
Non è una modesta proposta, un paradosso. L’onorevole Rutelli ha scritto ai maggiori giornali per lamentarsene vittima, chiedendo però che il titolo della missiva recasse: “Ma dico sì alle intercettazioni”. Giusto. Cioè no. Cioè, è un’ottima professione di fede liberale, radicale, ma l’onorevole Rutelli fa male a lamentare che in queste intercettazioni si parli di lui, e di sua moglie Barbara Palombelli, persona tra le più stimabili, a caso, in conversazioni di nessun rilievo penale, giusto per accostare il suo nome a quello dell’imprenditore napoletano Romeo. Che è in carcere anche perché è il maggior appaltatore del Comune di Roma delle amministrazioni Rutelli e Veltroni. Ma questo non incide: nessun addebito è mosso all’onorevole Rutelli.
Ora, ciò che si lamenta delle intercettazioni è appunto questo, il loro uso a fini di pettegolezzo. Con la mezza frase, il contesto immaginario, lo sbobinamento discrezionale, attraverso mani e orecchie a loro volta amiche, anche non pagate, di giornalisti o informatori di polizia. Per dire che sì, forse, non si sa, ma potrebbe essere. Ma è questo il loro bello: è giusto, perché i giornali dovrebbero privarsene, se “Novella Duemila” è già alla quinta o sesta imitazione. E i grandi settimanali e i posati quotidiani ardono di copiarla? È il genere di informazione che tira, e anche la letteratura, a ben guardare, vi fa solido affidamento, su confessioni, verbali, registrazioni, lampi di memoria fulminanti. Ecco dov’è la nuova frontiera di libertà: non più segreti.
Perché avere vergogna, di che? A un galantuomo non fa paura un carabiniere che ne registri le virgole - il defunto senatore Spadolini, che pure spernacchiava da storico la questione morale, impiegava un addetto alla registrazione al seguito. O che lo assista in camera da letto, e se vuole anche al gabinetto di decenza. L’onorevole Rutelli vada in piazza, o da Vespa, o da Santoro, e lanci questo semplice messaggio: “Italiani, ancora uno sforzo!” Vedrà che risposta plebiscitaria.