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sabato 6 gennaio 2024

Il calcio è degli arbitri, dell’Inter

Si guarda Inter-Verona stropicciandosi gli occhi: come è possibile? Che gli arbitri facciano tranquillamente, spudoratamente, vincere una squadra?
Gli arbitri fanno errori, si sa. Non è (non era prima della “tecnologia”) un mestiere facile. Ma tutti a favore dell’Inter (e tutti contro la Juventus, ma questo è un altro discorso), da troppi anni? Dall’inverosimile Calciopoli di Guido Rossi, l’avvocato d’affari suo consigliere d’amministrazione con cui il club dei Moratti occupò la Federazione, si escluse da Calciopoli (colpevoli solo Juventus, Milan, Fiorentina e Lazio),  e si assegnò lo scudetto.
Il designatore Rocchi poi li sospende, arbitro in campo e arbitri Var. Ma Rocchi non è un cretino (incompetente). E agli arbitri la sospensione non fa un baffo – viene buona per una vacanza. Non devono neanche fare molto, solo quattro-cinque punti in più a chi sappiamo.
Poi dicono che vogliono avere un campionato ricco. Vendendoci queste partite? Sì, finché non sarà possibile rivalersi sugli abbonamenti tv.
Come mafie Rocchi e l’Inter non sono granché – killer in vista, eccetera. Ma questa Milano non ce n’ha per nessuno.

Il giornalismo fa pipì

A un certo punto la causidica, didattica, maestrina dalla penna rossa presidente del consiglio interrompe la risposta (o l’a completata? parla l’uno parla l’altra, ma non è un botta e risposta) per dire: “Scusatemi, ma ho urgente bisogno di andare al bagno”, qualcosa del genere. Mai visto, mai pensato che potesse accadere – il potere non ha bisogni. E non è una gag comica: è ben la conferenza stampa di fine anno, per assemblea giornalistica monumentale, niente spazi vuoti, del capo del governo, della sesta o settima, o quel che è, potenza mondiale.
Grande parata di “giornalismo” per la conferenza stampa di Meloni, nessuno vuole mancare. Con  domande lunghe e risposte lunghissime, per tre ore: 45 domande\risposte, quattro minuti ognuna, che sono un tempo interminabile in una conversazione. Ma è una conferenza stampa? Nemmeno Putin la mena così lunga. I giornalisti ci sono ma non fanno domande, parlano – la menano vagando, per “uscire” in tv, per prolungare l’“uscita”.
Il giorno dopo, dai lacerti di Blob, la casa dei reduci, in attesa di Bollani a Via dei Matti N. 0, emerge una presidente del consiglio di spalle, minuta più del solito, in fuga scomposta, verso il bagno si suppone, a fare pipì. Un fuori onda, certo, Rai. Fornito dalla stessa Rai, recentemente occupata dalle “forze della reazione”. Il sovietismo è vivo e combatte insieme a noi – una volta la violenza era di destra, l’irrisione, l’accanimento.
Sempre il giorno dopo, “la Repubblica” colpisce Meloni in conferenza stampa con una dozzina di titoli oltraggiosi, compresa la rubrica della posta e gli opinionisti, vittimismo, omertà, ricatti, questione morale, fregnacce, il partito armato, schierando altrettanti giornalisti. Colpisce ma non affonda, la ex corazzata di Scalfari. Che si ricopre citando in un angolo tre frasi killer. Che la smentiscono. Lo stesso giornale che della conferenza stampa ha dato la diretta in sintesi più precisa, per lettori quindi che sanno cosa si è veramente detto. C’è una logica? Forse sì: la politica è un cesso.

Il cinema pubblicitario

Superato a Ferragosto da “Barbie”, l’idraulico imbranato in ditta col fratello era stato il film dell’anno, per incassi. Il 2023 sarà dunque stato l’anno dei film promozionali di due società di “giocattoli”, Nintendo e Mattel, della sfisa, commerciale, Giappone-Usa. Ma questo è carino – non ha pretese, nemmeno di filosofia: è veloce, e anche spiritoso (aiuta pure il doppiaggio, scritto e detto senza pose).
Aaron Horvath-Michael Jelenic, Super Mario Bros.
, Sky Cinema

venerdì 5 gennaio 2024

Problemi di base senili (785)

spock


“Il più vecchio è migliore del più giovane”, Timeo di Locri?
 
“Invecchiare non significa solo rimuovere: è anche rinnovare”, E. Jünger.?
 
“Il tempo è il riflusso”, Nabokov?
 
La vecchiaia è una perdita di tempo?
 
“Muore ciò che non cambia”, Rocco Carbone?
 
“Dove va quando moriamo tutto quello che siamo stati”, John Banville?
 
Si vive una volta sola? 

spock@antit.eu

Il trash fa splash

Sull’onda del freddo e superpremiato “La forma dell’acqua”, Leone d’oro a Venezia e quattro Oscar 2017, il regista messicano porta il genere trash a una superproduzione e al gelo. Con un cast di grandi nomi, Bradley Cooper, Kate Blanchett, Rooney Mara, Willem Dafoe, Toni Collette, per un po’ di cannibalismo, più sonoro che visivo, di ossa scricchiolanti, sesso visivo, di lei che si manipola lui, e violenza psicologica.
Un racconto di cattivi, poveri e brutti. Ma poi belli. Per una drammaturgia non solo inverosimile, anche non filante. Un seguito di scene per qualche verso irritanti – in fondo è quello che cerca il trash.
Lei, Kate Blanchett, grande psicologa, che si fa lui, Bradley Cooper, un pitocco, senz’arte, assassino, sporco, nella tinozza dove lo spulcia, una delle prime scene del film, dà la misura del racconto, gelido freddo e sciocco. È anche vero che Blanchett, fuori dai film col ripudiato W.Allen, è un fantasma.
Guillermo Del Toro, La fiera delle illusioni-Nightmare Alley, Rai 3, Raiplay

giovedì 4 gennaio 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (548)

Giuseppe Leuzzi


Per il sindaco cesenate di Ravenna, Michele De Pascale, occhio fisso all’obiettivo, bocca sillabante, è una “grave resposabilità fare sbarcare una nave di migranti a Ravenna, imponendo due giorni in più di navigazione a gente tanto provata”. Non è una furbata, da candidato parlamentare contro Meloni, il sindaco è preoccupato, da democratico – così mostra di pensarsi: gli sbarchi sono per Lampedusa e Crotone. In Romagna, dove cinquant’anni fa muravano i casolari abbandonati in campagna per impedirne l’accesso ai meridionali, i negri devono arrivare rifocillati, e puliti.
 
L’Italia è vino, mafia, corruzione e farniente
In Norvegia una lontana missione condusse per presentare un’industria italiana che concorreva ai permessi di ricerca di idrocarburi sopra il 64mo parallelo tramite primaria agenzia di publicità. Non si promuoveva l’industria italiana per ingenuità, nessuno dubitava che l’invito a partecipare alla gara non fosse un diversivo per spingere gli americani al rilancio. Si era voluto giocare per acquisire comunque dei meriti. Imprevisto fu l’esito, una volta giunti alla scelta dei messaggi pubblicitari promozionali: cinque messaggi forti per una campagna che si voleva impegnativa, con cinque uscite su tutti i media locali.
Imprevisto fu il no dell’agenzia alla piccola manna:
- Meglio evitare la parola Italia - disse professionale il direttore. - L’Italia è vino, mafia, corruzione e farniente - spiegò, risparmiandosi l’ipocrisia: - Sappiamo che non è così, ma i nostri parlamentari sono pescatori, montanari.
Il vino disse cheap, di poco valore. Il che è vero.
 

L’orgoglio mongolo
È curioso, di tanti viaggi in Norvegia nel mare del Nord, sotto il 64mo parallelo, le sole immagini residue sono di Stavanger, per averci portato a gelo disciolto qualche ministro in visita, dove i norvegesi si scazzottavano e accoltellavano all’osteria, e gli italiani costruivano formidabili piattaforme semisommergibili.
Della graziosa Stavanger, davanti alla Scozia, riemergono i canti all’osteria, così simili a quelli scozzesi dei balli in circolo. E le quadriglie, che sono il canto difonico della Mongolia e le danze dei cosacchi. E un lampo la delusione illumina, con la lusinga della scoperta: “Ecco dove i mongoli sono finiti!”
Una scoperta difendibile, non c’è da dimostrare che i mongoli hanno passato il mare.
Ma perché non si vantano le origini mongole del mondo? Dov’è l’orgoglio mongolo? Manca ancora un primato nella storia.

Ai norvegesi parlare tedesco
L’Ente italiano che concorreva in Norvegia ai permessi di ricerca nel mare del Nord sopra il 64mo parallelo aveva un rappresentante, il dottor Omero Cambi, che si difendeva parlando tedesco:
- Loro parlano in inglese, io rispondo in tedesco – spiegava: - Lo so altrettanto male che l’inglese, ma loro, che non amano il tedesco, mi rispettano.
Il dottor Cambi, inoperoso sotto il 64mo parallelo, e poi pure sopra, era dottore in psicologia. L’Ente aveva molti maestri che lo rappresentavano all’estero, maestri di scuola:
- In questi paesi del Nord bisogna parlare il tedesco anche solo per finta, solo la Germania rispettano – spiegava.
Cambi si chiamava Omero, ma senza complessi:
- Mio padre s’è vendicato, suo padre l’aveva chiamato Michelangelo.
 
La lingua dei negri
Ora non più, il politicamente corretto non consente più di distinguere il meridionale all’accento. Cioè, di obliterarlo pregiudizialmente.  Ma quando usava, il rigetto nel mondo dei negri aveva un curioso effetto. In esso avviene infatti d’immedesimarsi, pur con i canoni del parlare urbanizzato, per un dono della xenolalia inavvertito che tutto mette in comunicazione, anche le popolazioni più diverse, nel Mediterraneo, in Africa, in Medio Oriente, si capisce tutto e tutti, e tutti capiscono, per tono di voce, pause, mimiche appena accennate. Per un linguaggio non detto, una forma di comunicazione non verbale - un contatto di energie cosmiche, direbbe un teosofo. E tuttavia esplicita.
Con questa dote, nel senso dell’accumulo, il Nord e i suoi rigidi riti sono stati affrontati senza complessi, presumendo anzi di conoscere le pieghe dei linguaggi del Nord meglio degli stessi settentrionali, per il vantaggio che deriva dalla comparazione. Ma c’è un Nord e c’è un Sud, e non c’è gara, il Nord è normativo, il Sud in affanno per conformarsi.
 
Mafia e affari al palazzo di Giustizia
Si legge “La verità sul dossier mafia-appalti” di Mori e De Donno con un senso di scoramento. Di eccitazione per l’incalzare delle “rivelazioni”, un genere cui ci hanno assuefatto le “ricostruzioni” dei tanti soggetti e eventi della storia recente, stragi, Br, “gomorre”. Ma di scoramento finale perché qui  colpevoli sono magistrati e personaggi illustri, e di reati gravi, mafia e corruzione. Taluni peraltro tuttora vivi e qualcuno in attività. Di nessunodei quali, a un mese e mezzo dall’uscita del libro, si ha notizia di querela per diffamazione. Il solo Caselli ha reagito, ma non alle accuse che gli muove il libro, alla presentazione che del libro ha fatto Carlo Vulpio sul “Corriere della sera”.
Le cronache riportano anche che la Rizzani D e Eccher, la maggiore impresa coinvolta negli anni 1980-1990 negli appalti pubblici in Sicilia in condivisione con la mafia (insieme con la Tor di Valle dell’ing. Paolo Catti De Gasperi, figlio di Maria Romana De Gasperi) è bene in piedi, appaltatrice  di grandi opere pubbliche. Ha avuto problemi di liquidità, ma li ha risolti. Non è stata sottoposta (miracolo?) a interdittiva antimafia, cioè al sequestro preventivo. E ha appena vinto un appalto da 600 milioni, in Sicilia, per l’autostrada Catania-Palermo.
Il rappresentante della Rizzani De Eccher in Sicilia, il geometra Giuseppe Li Pera, pentito, ne aveva denunciato i metodi e le collusioni. Ma i magistrati di Palermo incaricati dal Procuratore capo  Giammanco degli appalti pilotati, Pignatore, Lo Forte e Scarpinato, si erano rifiutati di ascoltarlo (pp. 144-45 del libro).
 
Il leghismo viene da lontano
Nel suo borbottio contro il lombardismo, contro la case, il decoro, le genealogie bottegaie, i dialetti, deformati, Gadda ne ha una che dice tutto (in una delle redazioni del progetto di romanzo ora pubblicato sotto il titolo “Un fulmine sul 220”, alla p. 98 dell’edizioncina Garzanti): il rifiuto dell’unità, che li portava a studiare le lingue: “Amavano coltivare le lingue, salvo beninteso che l’italiana. Essi accudivano a studiare il tedesco fin  dalla prima giovinezza, cominciando con la fraülein, e perseveravano a studiarlo tutta la vita”, oggi si direbbe l’inglese, “tralasciando però di commetere l’imprudenza di arrivare a impararlo, così che non avrebbero più potuto perseverare a studiarlo”).
Le letture dei romanzi, dei principi dell’impero e delle loro eroiche amanti, come ogni altra evenienza quotidiana, li riportavano ai bei tempi che furono: “I Cavigiòli deducevano che «anche gli Asburgo, in fondo, avevano saputo tener duro», e segretamente erano rincuorati a perseverare in quella loro forma di absburgismo lombardo, che consiste nel tener duro e a studiare e non imparare il ted esco, a studiare e imparare meno ancora l’italiano, e a considerare lo Stato italiano come un’accozzaglia di meridionali in cerca di occupazione”.
 
Differenziata, la miniera sporca del Sud
La Tari costa a Trapani quasi quattro volte che a Belluno. A Trapani sporcheranno di più, o perlomeno hanno più rifiuti, mangeranno quattro volte tanto, che a Belluno. Ma in tutto il Sud, più o meno, il costo della differenziata è superiore, di molto, al resto dell’Italia: tra aziende comunali e ditte in appalto la Tari è un fiume di denaro – nelle rilevazioni di Altroconsumo.
Il record spetta a Catania, 594 euro – con un aumento di 90 euro nel solol 2023. Tengono testa al Sud solo Genova e Pisa, e un po’ Latina. Per il resto la graduatoria vede ai primi posto solo il Sud:  Napoli (491 euro)  dopo Catania, Brindisi (464 euro), Messina (453), Salerno (451), Reggio Calabria (443), Benevento (442). In coda, con la Tari più economica, tutti capoluoghi del Nord, eccetto Isernia, che fanno pagar tra i 180 e i 220 euro: Udine, Brescia, Fermo, Vicenza, Bergamo, Macerata, Verona, Siena, Novara.
Non è un dato isolato. Nel 2018 la graduatoria della Tari era analoga, cioè al Sud più cara del doppio rispetto al Nord - anche se con comprimari diversi. In Trentino si pagavano 188 euro, in Campania 422. Le città più care, allora, erano Trapani (571 euro), Cagliari (514), Salerno (468), Trani (461), Benevento (460), Reggio Calabria (456), Napoli (446), Siracusa (442), Catania (435), Ragusa (427). In cima alle città meno care (e più pulite), con costi tra i 150 e i 190 euro, tutte città del Nord, eccetto Vibo Valentia (non però la più pulita) e Isernia: Belluno, Udine, Brescia, Bolzano, Pordenone, Verona, Trento, Cremona.
Per regioni, la graduatoria delle più care vedeva in testa la Campania, con 422 euro, seguita da Sicilia (399 euro), Puglia (373) e Sardegna (353). Si pagava di meno nel Triveneto, l’area più pulita del paese.
 
I siciliani in Germania sono mafiosi
Fra le tante missioni all’estero in cui accompagnò Giovanni Falcone, l’ex ufficiale del Ros De Donno ricorda nel libro “La verità sul dossier mafia-appalti” una a Wiesbaden, segreta, nella sede del Bka, Bundeskriminalamt, la polizia criminale tedesca. “Accolsero Falcone come un capo di Stato, anzi, di più”, col livello di protezione 1, di massima sicurezza. In elicottero da e per l’aeroporto, senza la possibilità per Falcone di sgranchirsi le gambe, né prima né dopo il colloquio. E il presidente del Bka, Heinrich Boge, che annuncia trionfale: “Senta dottore, abbiamo fatto un lavoro enorme, abbiamo schedato tutti i siciliani che risiedono in Germania”. Sconcerto. Boge, “un tedesco poco cordiale e molto testardo”, spiega finalità e metodologie, e conclude : “Noi ora vi diamo questo elenco e voi ci dite a che famiglia mafiosa appartengono tutti i siciliani”. Panico.
“Falcone si schiarì la voce, non si scompose, sbattè un paio di volte le palpebre”. Prende tempo. Obietta che non tutti i siciliani sono mafiosi. Boge si agita: “Lei mi sta dicendo che non ci vuole aiutare?”.  Falcone si agita, non ha ancora digerito l’estrema sicurezza adottata per proteggerlo. Esordisce apprezzando il lavoro del Bka, “un lavoro complesso”. Mette le mani avanti, “noi siamo in una fase di attività intensa, non possiamo permetterci di verificare l’elenco dei nomi”. E alla fne si rischiara: “Lei mandi i suoi uomini a Palermo, e io condividerò con loro tutti i miei elenchi”. Catarsi. Boge approva, “molto soddisfatto”: “La prossima settimana manderò i miei uomini in Sicilia”.
Boge li ha mandati, “un gruppo che passò settimane a copiare i nostri fascicoli”. Senza nessun esito evidentemente: “Che uso ne abbiano fatto, non è dato sapere”. La Germania ne sa di più.


leuzzi@antiit.eu


Gadda ha un orgasmo

“Una novella, progettata niente meno che nel ’31, e cresciuta via via anch’essa alle dimensioni di un racconto lungo”, con le parole del curatore Dante Isella; “poi, di un romanzo in cinque capitoli”. Un progetto abbandonato, ma da cui molti materiali Isella trova rifluiti ne “L’Adalgisa”, la raccolta di “disegni milanesi” pubblicata a fine 1943 – nelle Firenze occupata dai tedeschi, è il caso di sottolineare.
Una ripresa postuma, molto curata, da cultori della materia. Sempre effervescente, però, benché ripetitiva. Per lo humour attorno a Milano, ai lombardismi, di abitudini e linguaggi, e al generone milanese, sempre applicato e innovativo, e chiuso e ripetitivo. Nelle sue regole piccolo borghesi, di un mondo che corre in avanti con la testa all’indietro, applicato a costituirsi, consolidare, proteggere un pedigree. Fatto di niente, solo abitudini. E per il tentativo di Gadda di creare un personaggio, altri che se stesso, una donna lombarda con un po’ di nervi e di sangue caldo.    
L’impressione è netta, scorrendo le varie redazioni (tre) del progetto, novella-racconto lungo-romanzo, che Gadda, oltre ai lombardismi, avesse di mira il bovarysmo. E per una volta senza cattiveria – un’eccezione doppia, dunque.
Tutto gira attorno a una lei, con vari nomi, Margherita, Zenaide, Zoraide, Noemi, Carla, da ultimo donna Elsa, vedova procace risposata con un commerciante in cioccolaterie di consolidata tradizione, in età, con la gotta, e il mal di schiena. Che la parentela acquisita, i passanti, e la platea al concerto Levi Stangermann con 120 professori d’orchestra ammirano invidiosi, e per la quale il ragazzo del macellaio, Bruno\Carletto, dalla signora promosso pulitore di parquet, stravede, ricambiato. Per donna Elsa Gadda si spinge, capitolo III della seconda redazione, “Un’orchestra di 120 professori”, a un linguaggio poco gaddiano, addirittura partecipe invece che ironico: “Un orgasmo strano s’era impadronito di lei; forse il passato, forse, invece, il futuro; ella reluttò alle misericorde carezze della consuetudine, selvaggiamente: nuovi gridi irruppero in lei. Un orgasmo come di febbre”. Immaginario. Da letteratura cosiddetta di appendice, non flaubertiana. Doppiato da amore-morte, altro tema della novellistica francese di costumi o per signore, pure variamente sbertucciata (Prevost, Ohnet) - nonché delle storie di passione degli arciduchi absburgici, altrettanto irrisi.
Un’opera di appassionato amore del curatore, che ne propone la documentazione e la decifrazione per metà buona del volume, navigando fra gli scartafacci autografi, con tagli, cancellature, rinvii, note sparse – a conferma che l’Autore ha (vuole, necessita) il “suo” critico. Gadda ha avuto la fortuna, straordinaria, al pari successivamente di Pasolini, di averlo in gioventù in Gianfranco Contini, e postumo in Isella (ora nel gran lavoro di rilettura in casa Adelphi, tra Paola Italia, Pinotti e Claudio Vela).Con inevitabili errori di lettura-trascrizione, malgrado l’acribia? Una si può rilevare, curiosa. La muscolarità di Bruno, tema ricorrente, ossessivo, a p. 126 è, da “portiere della Juventus”, quale capitava alla povera Elsa di ammirare sulle foto del “Secolo Illustrato”, “uno juventino mancato”, appaiato anche a “Martinetti, quanto a gambe, non il solitario filosofo di Castellamonte, s’intende, ricordato ormai da 30 persone, ma lo springer della sei giorni di Leipzigerstrasse, idolatrato da trenta milioni di persone”. Piero Martinetti il filosofo, Avanti Martinetti (nato a Losanna da genitori socialisti della Valle Stroma, morto a Parigi) lo “springer”, un campione di ciclismo su pista, un velocista – uno sprinter nella terminologia tecnica.
Pezzi di bravura. Per una lettura episodica. Per una volta Gadda si spinge anche a tessere le lodi, naturalmente semiserie, di Milano. E mette in chiaro le proprietà del mistilinguismo - non la preferenza personale ma la sua necessità - del riuso dei dialetti (nel primo progetto, qui pubblicato come dossier finale). Di una scrittura comunque polisensica – “mille sensi ha il verso, e li abbia”.  
Carlo Emilio Gadda, Un fulmine sul 220, Garzanti, pp.327  €10

mercoledì 3 gennaio 2024

Ecobusiness

(Si vedono grandi colonnine di rifornimento in un prato). “È (sarebbe) una stazione di ricarica Be Charge ad alta potenza sita nella ridente Olgiate Olona, in provincia di Varese, peraltro – in una sottile ironia che spero non sfuggirà a nessuno – esattamente alle spalle di un distributore di carburante. In mezzo al prato, su un piano rialzato di 20 centimetri rispetto alla strada, si ergono questi desolati e costosissimi monoliti ovviamente inattivi, visto che non c'è modo di raggiungerli (e non è affatto detto che sia stato fatto l'allaccio alla rete).
“…. le Hpc sono state installate perché c'erano da spendere di corsa i fondi, poi la responsabilità di costruire la piazzola tutt’attorno si sarà incastrata in un bizantino palleggio di responsabilità…”
L’Italia è piena di casi del genere…. Ed è giunta l’ora di dirlo chiaramente: fra i numerosi inciampi generati dalla rivoluzione peggio costruita che la storia economica ricordi, il tema dell’infrastruttura di ricarica non può che evocare un clamoroso fallimento. Le colonnine sono messe dove non servono (e infatti rimangono per anni abbandonate), funzionano a singhiozzo, spesso non sono neppure collegate alla rete (l’11% delle 23.600 infrastrutture di ricarica censite risulta inattivo), sono progettate male (i cavi di quelle ad alta potenza sono troppo corti, obbligando a faticose manovre per disporsi a loro favore), erogano energia a velocità lontanissime da quelle nominali e scontano enormi problemi di connettività, sempre che non siano occupate abusivamente”….
Una volta di più risulta evidente come l’edificio della transizione sia stato costruito partendo dal tetto, obbligando oggi a sistemare ex post le conseguenze che in un piano organico e lungimirante avrebbero dovuto essere premesse”.
(Gian Luca Pellegrini, “Quattroruote”, editoriale di gennaio).
L’“incentivo” pubblico all’acquisto di una macchina elettrica o ibrida è stato elevato ieri fino a € 13.750 – il costo di una media cilindrata a combustione interna.  

Alla fine del mondo, la remissione dei peccati

Aspettando l’asteroide che (forse) si abbatte sulla Terra, un gruppo di begli amici, in una bella casa sul mare di Torre Paola al Circeo, rammenta o svela ciò che poteva essere, o fu-e-non-fu. Principalmente relazione amorose. Sulle note di Leonard Cohen, Dance me to the end of love. Intervallandole con notazioni di fisica einsteiniana, sul tempo che si dilata e lo spazio che si curva – dal saggio di Carlo Rovelli, da cui il film trae il titolo. E c'è già il granchio blu, "che ci distruggerà ". Per i 5o anni della padrona i casa una festa sui generis.
Si direbbe niente, un teatrino boulevardier, ma Cavani, novantenne, riesce a montarci un racconto godibile - solo un po’ insistito – di cui è anche soggettista e sceneggiatrice. Coadiuvata da un cast di grandi interpreti. Per prima Ksenia Rappoport, la più in sintonia con la minacciosa leggerezza della situazione, col problematico Edoardo Leo (riuscirà mai a liberarsi della maschera?), i padroni di casa che celebrano i cinquant’anni Gerini e Gassmann, e Valentina Cervi, Francesca Inaudi, Angeliqa Devi, tutte di una recitazione non-recitata (“spontanea”), e il recupero di Angela Molina, altra -enne, star del cinema italiano e spagnolo cinquant’anni fa.
Cavani, è curioso, ma dà il meglio di sé con attori-attori – spesso, dopo, in ombra: Bogarde e Rampling nel “Portiere di note”, Mastroianni-Malaparte, Burt Lancaster e Cardinale ne “La pelle”, Rourke, Bonham Cater, Ferréol in “Francesco”.
Liliana Cavani, L’ordine del tempo, Sky Cinema, Now

martedì 2 gennaio 2024

Il mondo com'è (469)

astolfo


Bloody Sunday – È l’azione di guerra-terrorismo ripetuta da Hamas il 7 ottobre, una sorta di modello. La mattina del 21 novembre 1920, una domenica, nel corso della guerra irlandese d’indipendenza dall’Inghilterra, un gruppo di venti ex agenti segreti britannici, richiamati in servizio e addestrati per assassinii mirati di patrioti irlandesi, la cosiddetta Cairo Gang, fu decimata preventivamente dai servizi di sicurezza degli insorti irlandesi: dodici dei venti membri del gruppo furono assassinati simultaneamente, uno per uno, in vari post di Dublino, domenica all’alba.
La domenica passò alla storia come Bloody Sunday. Per un cinquantennio, fino alla strage di irlandesi perpetrata dai paracadutisti britannici la domenica  30 gennaio 1972 a Derry, in Irlanda del Nord, sparando sulla folla che manifestava contro l’internamento senza processo di irlandesi sospettati di terrorismo. I paracadutisti britannici fecero 14 morti e quindici feriti.
 
Cacangelici – Una setta di eretici luterani i quali assicuravano di parlare con gli angeli – di parlare con Dio attraverso gli angeli. Un nome spregiativo, “cattivi angeli” in greco, che risuonava escrementizio in italiano, lingua nella quale l’epiteto fu adottato. A opera di Stanislao Osio, il cardinale tedesco di Cracovia, che da Roma, dove si era stabilito, procurò di mantenere la Polonia fuori dall’influsso luterano e calvinista. Della setta avrebbe saputo da Fabiano Quadrantini, un ri-converso al cattolicesimo che poi si farà gesuita - “Palinodiae Quadrantini”.

Dei cacangelici parla anche Giovanni Sianda, il poligrafo del Settecento, monaco cistercense, “Partenilogo Taniense” in Arcadia, nel “Lexicon Polemicum”.
 
Cherson
– La città ucraina epicentro da alcuni mesi della guerra russo-ucraina, alla testa dell’estuario del Dnepr, a trenta km. dal mar Nero, prende il nome da Chersoneso, la colonia greca classica in punta alla Crimea. La zarina Caterina la Grande la fece fondare nel 1778 al maresciallo Potëmkin  - sul sito di una fortezza costruita quarant’anni prima nella guerra contro la Turchia del 1735-39. E le fece dare il nome dell’antica colonia greca di Crimea. Per la cui alimentazione idrica Cherson ora sarebbe indispensabile.
La Chersoneso Taurica fu distrutta in epoca bizantina, nel X secolo, da Vladimiro I di Kiev – Vladimiro Svjatoslavic, detto il Grande o il Santo per essersi per primo convertito al cristianesimo, nel “battesimo della Rus”, nel 988, e da quella data Principe di Kiev, fino alla morte nel 1015.
 
Jefferson Davis
– Un ufficiale e un politico americano del primo Ottocento (1808-1889), che resta negli annali per essere stato l’unico presidente americano sudista, della Confederazione del Sud, benché contrario alla secessione, durante la guerra civile, e l’unico ex presidente condannato, imprigionato e destituito dei diritti politici (rielezione) – ultimamente riabilitato.
Nato nel Kentucky, era cresciuto in Luisiana, Mississippi e Alabama. Fece studi politici, e pratica militare , all’accademia di West Point. Fu a capo di un reggimento di volontari, col grado di colonnello, nella guerra contro il Messico. Dopo una prima avventura politica, tra i Democratici, che gli aveva fruttato l’elezione nel 1846 alla Camera dei Rappresentanti federale. Dopo la guerra contro il Messico, fu per un anno al Senato federale, in rappresentanza del Mississippi. Carica da cui si dimise per concorrere e governatore dello stesso stato, ma senza successo. Fu poi ministro della Guerra nell’amministrazione del presidente Franklin Pierce, 1853-1857. La presidenza che precedette Buchanan, 1857-1861, che precedette Lincoln - con cui Jefferson Davis ha una straordinaria somiglianza nei ritratti, eccetto che per il pizzetto caprigno al mento.
Finita la presidenza Pierce, fu per una legislatura nuovamente senatore federale. Inabilitato dopo un anno, per la perdita dell’occhio sinistro, non si dimise. E allo scoppio della guerra civile difese la secessione della Carolina del Sud, e poi organizzò e annunciò la secessione del Mississippi, dimettendosi dal Senato federale. E divenendo presidente degli Stati Confederati d’America.
Il suo non fu un governo facile, ogni Stato confederato volendo mantenere poteri decisionali. Per di più, Davis era in linea di principio contrario alla divisione del Paese, alla secessione. Ma alla fine del 1861 la posizione di Davis si rafforzò con un voto, che lo elesse presidente per sei anni.
Nella primavera del 1865, alla confitta, Davis fu arrestato (si disse mentre si nascondeva sotto il foulard della moglie, forse per screditarlo), condannato, e fece due anni di prigione, prima di uscire su cauzione. Durante la prigionia cedette la sua magione nel Mississippi a un suo ex schiavo, Ben Montgomery. Per lui fu adottata la sezione 3 del 14mo Emendamento alla Costituzione, che toglie i diritti politici a chi abbia violato il giuramento prestato alla Costituzione - nel suo caso, da ex senatore, con la presidenza della Confederazione. Nel 1978, sotto la presidenza Carter, presidente del Sud, il Congresso votò, con una maggioranza di due terzi in entrambi i rami, per la rimozione retroattiva del bando contro Davis.
Pietro il Grande – Lo zar di cui fra un anno si celebrano i trecento anni della morte, fu il primo “sovrano illuminato”, precursore di Giuseppe II a Vienna e di Federico di Prussia a Berlino. E insegnò alla Russia a guardare verso l’Europa, dall’alto dei suoi quasi due metri di statura. Fondò San Pietroburgo sul mare, giovandosi del meglio dell’urbanistica e l’architettura europee (italiane per la gran parte). E aprì lo sbocco della Russia verso il Mediterraneo, nel mar Nero, con un occhio ai Dardanelli. Sancì il destino europeo della Russia - che ora si vuole “contenere” (negare), da parte della stessa Europa, su iniziativa e indirizzo degli Stati Uniti e della Gran Bretagna.

Pietro il Grande – Lo zar di cui fra un anno si celebrano i trecento anni della morte, fu il primo “sovrano illuminato”, precursore di Giuseppe II a Vienna e di Federico di Prussia a Berlino. E insegnò alla Russia a guardare verso l’Europa, dall’alto dei suoi quasi due metri di statura. Fondò San Pietroburgo sul mare, giovandosi del meglio dell’urbanistica e l’architettura europee (italiane per la gran parte). E aprì lo sbocco della Russia verso il Mediterraneo, nel mar Nero, con un occhio ai Dardanelli. Sancì il destino europeo della Russia - che ora si vuole “contenere” (negare), da parte della stessa Europa, su iniziativa e indirizzo degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. 

Roghi - Gli eretici si bruciavano perché il popolo non potesse trasformarne le spoglie in reliquie.

 
Massimo Scaligero – Uno dei più prolifici scrittori fascisti e antisemiti degli ani 1930-40, orientalista, esoterista, fu studioso e persona mite negli anni 1970, gli ultimi della sua vita, nello studio di via Cadolini a Monteverde Vecchio a Roma, di cui si era coinquilini. “Curatore di anime”, di ragazzi che per qualche verso tenevano in ansia le famiglie. Critico verso Julius Evola, di cui era stato ammiratore, condividendone la dottrina del razzismo spirituale, perché , nell’analogo esercizio di maestro di umanità che esercitava nella sua residenza di corso Vittorio, indulgeva alla forza rigenerante della violenza.   

astolfo@antit.eu

Gaber, così vicino così lontano

Molte canzoni ancora di richiamo, e soprattutto un personaggio diverso: un cantautore che è showman tv, uomo di teatro, e specchio, corrivo o avverso, del Novecento dei viventi. Del movimento prima , il “Sessantotto”, e del “riflusso” dopo, dell’affarismo a ridosso del massimalismo. Un personaggio e un mondo che era appena ieri, ma si vede e si ascolta molto lontano, remoto.  
C’erano tanti modi per raccontarlo. Milani ha scelto quello del personaggio diverso. Che esce fuori dal juke-box del “Musichiere”, la trasmissione cult della primissima Rai, celebre a vent’anni per 59 secondi di televisione, che sono anche l’atto di nascita del rock italiano  – dopo di lui escono dallo stesso juke-box Mina, e poi Celentano, era proprio un altro mondo. Dell’intrattenitore tv nella Rai rinnovata dal primo centro-sinistra - quella animata anche da Fo e da Biagi. Con la celebre esecuzione di “Addio, Lugano bella” a cinque chitarre, con Jannacci, Silverio Pisu, Otello Profazio e Lino Toffolo. Con l’esordio di Battiato e poi di Guccini nella trasmissione Rai che Gaber presenta con Caterina Caselli nel 1967. Dell’uomo di teatro, all’esordio con Mina, poi a lungo da solo, in giro per l’Italia. Del polemista da ultimo, dapprima contro il rivoluzionarismo, poi contro il “mercato”.
Due ore di materiali d’epoca, di prime esecuzioni delle canzoni più note, e dei monologhi teatrali. Intervallati dalle testimonianze dei molti che sono nati o cresciuti con lui, Gianni Morandi, Jovanotti, l’ex ministro Bersani, Michele Serra, Fazio, Bisio, Francesco Centorame. E di coetanei e collaboratori, Mogol, Mario Capanna, Gino e Michele, Ricki Gianco, Paolo Jannacci, Mercedes Martini, Guido Harari. Attorno alla figlia Dalia e ai Luporini: Sandro, per lungo tempo il suo “paroliere”, Roberto, nipote di Sandro, genero di Gaber, e Luca, figlio di Dalia e Roberto Luporini, il proprio nipote di Gaber.  
Riccardo Milani, Io, noi e Gaber, Rai 3, Raiplay

lunedì 1 gennaio 2024

Problemi di base storici - 784

spock


La storia è l’essere del tempo?
 
La storia viene mascherata?
 
La storia è pericolosa, piena di trabocchetti?
 
Non di suo, la storia è inerme - un palcoscenico aperto?
 
La storia si riflette negli occhi di chi la guarda - bramosi, concupiscenti, cinici, bari (e giusti?)?
 
La storia è un corpo desiderato, arrendevole?

spock@antiit.eu

Ecobusiness

Emissione record di CO2 nel 2023 (rapporto “Global Carbon Budget” del Global Carbon Project), malgrado le politiche di contenimento, di transizione verde, adottate dalla Ue e dagli Usa. Le emissioni da fossili sono cresciute di 400 milioni di tonnellate, al totale record di 37,5 miliardi di tonnellate – 40,9 considerando l’uso del suolo.
Cina (più 460 milioni di tonnellate) e India (più 230 milioni) hanno più che compensato le riduzioni di Europa (meno 200 milioni di tonnellate) e Stati Uniti (meno 165 milioni).
Scarica più anidride carbonica la Cina, 11,9 miliardi di tonnellate, il 31 per cento del totale rilevato. Seguono gli Stati Uniti, con 4,9 miliardi di tonnellate (in calo del 3 per cento), il14 per cento del totale; l’India, con 3,1 miliardi di tonnellate, l’8 per cento; e l’Europa, con 2,6 miliardi di tonnellate (in calo del 7,4 per cento), il 7 per cento del totale. La Russia pesa per il 4 per cento, il Giappone per il 3.
L’anidride carbonica è soprattutto effetto dell’uso del carbone, per 15,4 miliardi di tonnellate. Poi del petrolio, 12,1 miliardi di tonnellate, e del gas, 7,8 miliardi.
Più della metà delle emissioni mondiali di CO2 da carbone sono della Cina. Che va per tre quarti (poco meno) del suo consumo di fonti d energia a carbone – l’India per due terzi.

La violenza della critica

Una sfida alla noia.
Una favola della natura bell-e-buona? Ma se finisce squatter.
Ex post, sono corsi a spiegarlo come il film di un “allestimento” della musicista Eriko Ishibashi, con la quale il regista si sarebbe sentito indebitato per la colonna sonora del suo precedente film “Drive my car”, premiato a Cannes – roba da (modesto) ufficio stampa. Solo si salva  Hitoshi Omika, il protagonista, quando spacca la legna: non sbaglia un colpo d’accetta.
Premiato a Venezia da chi non è mai andato a passeggio fuori porta – nemmeno a villa Pamphili. Solo perché il precedente Hamaguchi era stato premiato a Cannes? Poi dice che la critica non esiste più. Purtroppo sì.
Ryusuke Hamaguchi, Il male non esiste

domenica 31 dicembre 2023

Le sanzioni europee contro l’Europa

Il previsto effetto boomerang delle sanzioni europee contro la Russia sul petrolio è ora certificato dal Crea, il Centro di Ricerca per l’Energia e l’Aria Pulita dell’Agenzia Internazionale per l’Energia.
Il price cap al greggio russo, fissato a 60 dollari al barile, è stato aggirato con le triangolazioni, da sempre attive contro le sanzioni (vendere\comprare attraverso un paese terzo, al costo di un modesto fee, il 5-10 per cento) . La metà circa delle esportazioni russe di greggio è stato così venduto alle condizioni di mercato, di prima delle sanzioni. Andando a paesi che non sono parti del regime sanzionatorio, essenzialmente India e Cina. Per il resto, le vendite nei paesi che sono parte attiva delle sanzioni (tra essi quasi certamente l’Italia), le vendite sono continuate con lo schema delle triangolazioni. ‘
L’effetto punitivo è stato maggiore per le economie europee importatrici in termini di costo, e di organizzazione degli approvvigionamenti.

Europa esclusa, nuove potenze, politica dei brand, Kissinger aveva ragione

Questo smilzo - per le abitudini kissingeriane, di argomentazioni profuse - volume si riapre come un classico. Di chiaroveggenza. Che è utile riproporre - la sorpresa è quella di precedenti letture. Anche perché le guerre in corso, in Ucraina e in Israele, successive alla riflessione di Kissinger, vi si adagiano. Con l’America di Pelosi e Biden all’attacco, in Asia e in Europa, contro le politiche di bilanciamento (di moderazione) proposte da Mosca dieci anni fa, e ora, da tre anni, da Pechino.

La guerra russa all’Ucraina, guerra europea, la seconda guerreggiata dopo la fine della guerra fredda - la prima fu nella ex Jugoslavia, appositamente smembrata -, è parte del conflitto mondiale per le aree di influenza. Si svolge infatti attorno al tema, una volta finito nel 1990 l’immobilismo imposto dalla guerra fredda, dell’Europa: se deve – vuole, può - continuare a essere prim’attore della scena mondiale, o deve accontentarsi di un ruolo di comprimario commerciale, restando, nell’insieme e singolarmente, gregaria degli Stati Uniti. Gregaria nel senso del ciclismo: portatrice d’acqua, volenterosa collaboratrice, e qualche volta, nelle tappe minori, vincitrice in proprio, non per la classifica, per la soddisfazione.
La guerra di Israele sui “sette fronti” è caso esemplare di ingovernabilità, di rischio per la sicurezza - di un ordine mondiale debole (frastagliato, concorrenziale).
Europa, convitato di pietra
Questo non sembra il caso con Kissinger: l’Europa è, come anche  Israele, la grande assente dai suoi scacchieri. Ma proprio per questo è invece una presenza, in negativo: un convitato di pietra, il convitato di pietra. Ancora si ricorda il suo fatale “anno dell’Europa”, il 1973, che vide l’embargo del petrolio, i prezzi del petrolio e del gas triplicati in una notte, le domeniche a piedi, al buio, inflazione al 10 e al 20 per cento, un mese dopo la sua ascesa al dipartimento di Stato il 3 settembre - in coincidenza con il golpe sanguinoso contro Allende in Cile. È in Europa e con l’Europa che Kissinger assume la fisionomia di Stranamore, non con le bombe atomiche. 
L’“anno dell’Europa” fu utilizzato da Kissinger per agganciare il Medio Oriente, fino alla Persia dello scià, in funzione anti-sovietica, e insieme  manifestare la debolezza (dipendenza) dell’Europa? Nello stesso anno, non si ricorda ma ha progettato pure questo, ipotizzando un gasdotto North Star, dal bacino russo dell’Urengoy agli Stati Uniti attraverso il mare di Barents – contro i gasdotti dell’Eni… (cui tentava di agganciarsi la Germania, è vero). Che bisogna dedurne?Forse Israele c’entra. Forse Kissinger è sempre l’ebreo espatriato dall’Europa, dalla Germania, un’origine alla quale non ha mai sentito il bisogno di tornare – benché lo abbia marchiato a vita, nella parlata, nel modo di vita. Non espatriato, in fuga, nel 1938, con la famiglia, a quindici anni. La storia è fatta anche di eventi personali. Ma Kissinger, certo, ne sa di più.
Multipolare in Orwell
Si parla di mondo multipolare in “1984”, il romanzo fantapolitico di Orwell, 1949: nel 1984 il mondo è già diviso in tre, Oceania, Eurasia, Asia Est – Oceania è la Nato. Il multilateralismo che Kissinger qui (ri)spiega è la sua dottrina fin dal 1974, scritta in una brochure che circolò poco, discussa con i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Gran Bretagna. Ai colleghi europei Kissinger prospettò sei fronti: la guerra civile in Jugoslavia dopo Tito, in Spagna dopo Franco, in Finlandia dopo Kekkonen, in Italia e Portogallo con i comunisti al governo, e il blocco di Berlino. L'Europa, dunque, votava alla guerra civile.  
Non bisogna sottovalutare Kissinger. Ai tempi in cui era attivo aveva l’abitudine di scrivere dieci anni prima quello che avrebbe fatto poi. In pensione, ha sempre saputo quello che stava per succedere, e come si poteva gestire, con la Cina, e su altri scacchieri. Qui si parte dalla pace di Vestfalia, il riferimento non si può evitare, Kissinger è pur sempre un vecchio trattatista, studioso dei trattati internazionali. Studioso della balance of power, nostalgico del Congresso di Vienna, il suo studio di dottorato, di cui non manca mai di fare menzione. Ma prima di Vienna, e non famigerato, viene l’equilibrio di potenza “vestfaliano”, il primo e più durevole tra gli Stati nazionali novellamente costituiti in Europa, col riconoscimento e la definizione del concetto di sovranità – senza contare che fu il capolavoro del cardinale Mazzarino, lo statista per eccellenza, come Kissinger lo concepisce.
Nel mondo nuovo post-ideologico e globalizzato ci vorrebbe una Vestfalia della globalità, un ordine mondiale. Kissinger lo intravede, e sa anche come gli Usa possono gestirlo – il punto di vista è naturalmente americano. Nell’interesse proprio e di ogni altro, è ovvio, altrimenti nessuna “pace” tiene - questo è molto importante, è il presupposto della diplomazia, della arte cioè della pace, che la presidenza Biden, in contrasto netto con gli otto anni della presidenza Obama-Biden, non intende praticare: la pace tiene se tutti vi hanno un interesse. Kissinger giunge al punto di prospettare una sorta di quinta colonna, in uno Stato per qualche verso ostile, che ne faccia gli interessi, per evitare uno scontro.
La cattiva opinione 
La novità è il posto che Kissinger assegna all’opinione pubblica. A quarant’anni dalla sconfitta in Vietnam, da molti imputata al “fronte interno”, alla tensione antibellica che fotografi e televisioni montarono implacabili, in America, contro la guerra americana in Vietnam. Qui l’allarme è preventivo. Le opinioni pubbliche sono sempre eccessive, nella militanza come nella passività, ma oggi sono qualitativamente diverse, e non per il meglio. Sono praticamente senza giudizio: l’“interazione quasi costante con uno schermo durante tutto il giorno” che “televisione, computer e smartphone formano”, è inaffidabile. Per “la sua enfasi sul fattuale piuttosto che sul concettuale, su valori plasmati dal consenso piuttosto che dall’introspezione”, dal giudizio. 
Per fattuale il realista politico intende superficiale: il vizio della navigazione oggi rimette in gioco tutti i dati della partecipazione, o controllo democratico. Non solo sugli eventi internazionali, sempre complessi, ma su ogni decisione di politica nazionale, dalle elezioni presidenziali alle scelte locali. Si perdono “la conoscenza della storia e della geografia”, e il senso comune, “la mentalità necessaria per percorrere sentieri politici poco battuti”. Lo spettatore inerme di questi giorni, accasciato sotto un profluvio di immagini di cui non gli viene data il nesso, non può che dargli ragione: l’opinione è più che mai manipolabile, anzi, la sua manipolazione sembra essere l’arma migliore – più distruttiva, meno cara.  
Condominio con le potenze asiatiche
Con questo limite, se esso non dilagherà sugli sviluppi internazionali, un ordine mondiale tuttavia si prospetta. Con al centro sempre gli Stati Uniti - nella “pax americana” cioè, che Kissinger mai pronuncia, insieme lenta e vincolante. Come un condominio multilaterale, allargato alle potenze asiatiche, Cina, India, Giappone, e a una voce latino-americana. Se la balance of power, Vienna-Vestfalia, è il pilastro dottrinale del Kissinger studioso, il multilateralismo è l’opera sua di statista da cinquant’anni, da quando nel 1969 fu associato alla Nsa, la National Security Agency, e poi al dipartimento di Stato. Teorizzato nel 1974, subito dopo la crisi del petrolio, è rilanciato ora su scala mondiale. Senza l’Europa.
Un multilateralismo, con assenza inclusa dell’Europa, che è lo stesso che si prospetta a Pechino, va aggiunto, all’altro estremo del manifesto globale – è un merito di Kissinger, un demerito? Anche a Pechino l’ordine americano è assunto nei fatti, non contestato. In un quadro multilaterale: Usa, Cina, India, America Latina (Brasile-Messico). Con un dubbio: se ci sarà una “potenza Europa”.
Una lettura che è una ventata di rinfrescante conservatorismo: Kissinger sarà stato l’ultimo maestro dell’arte diplomatica, ossia della politica intesa a tenere i popoli fuori della guerra. Lo studio e l’applicazione diplomatica sono in bassa stima, in questa epoca di wilsonismo a perdere, di moralismo e superficialità. Mentre le insidie sono dietro l’angolo.
La politica dei brand
Già nel 2015 Kissinger parla di campagne presidenziali trasformate in “confronti mediatici tra operatori internet”. Ancora senza QAnon e le spie russe, ma con i candidati ridotti a brand, a “portavoce di operazioni di marketing”. Anzi no, c’è pure il Russiagate: il Kissinger cyberanalfabeta sa già che “un portatile può avere conseguenze globali”. Anche senza complotto: “Un attore solitario con sufficiente capacità di calcolo può accedere al cyberdominio per disabilitare e potenzialmente distruggere infrastrutture chiave, da una posizione di quasi completo anonimato”.
Kissinger va anche un passo più in là, a un accordo sull’uso del cyberspazio analogo a quelli suoi sui missili e la potenza nucleare. “Una qualche definizione di limiti”, chiede, in “un accordo su regole di reciproco autocontrollo”. Il realpolitiker si fa a questo proposito profetico: il cyberspazio è “strategicamente decisivo”. Di più: la “prossima guerra” si combatterà in rete – che è la guerra di oggi, quale la vediamo.
Ha pure il populismo invasivo dei primi arrivati, “individui di oscura estrazione” liberi di manipolare la politica, al punto che “la stessa definizione di autorità statale può diventare sfuggente”. Le opinioni pubbliche sono sempre eccessive, nella militanza come nella passività, ma oggi sono praticamente senza giudizio: l’“interazione quasi costante con uno schermo durante tutto il giorno” che “televisione, computer e smartphone formano”, è inaffidabile. Per “la sua enfasi sul fattuale piuttosto che sul concettuale, su valori plasmati dal consenso piuttosto che dall’introspezione”, dal giudizio.
Fattuale per il realista politico è superficiale: il vizio della navigazione oggi rimette in gioco tutti i dati della partecipazione, o controllo democratico. Non solo sugli eventi internazionali, sempre complessi, ma su ogni decisione di politica nazionale, dalle elezioni presidenziali alle scelte locali. Si perdono “la conoscenza della storia e della geografia”, e il senso comune, “la mentalità necessaria per percorrere sentieri politici poco battuti”.
Henry Kissinger, Ordine mondiale, Oscar, pp. 411 € 16