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sabato 18 giugno 2016

Problemi di base elettorali - 280 bis

spock

Ma a Roma Grillo si fa chiamare Raggi? E si presenta in vesti leggiadre, da fantasia maschile – anche femminista?

Perché ai candidati di Grillo non si fa una prova Dna?

Perché i candidati di Grillo sembrano fatti con lo stampo?

Siamo già in era Blade Runner?

È Grillo Blade Runner?

E chi si è appropriat il bene e il male, con la schizofrenia, la paranoia: l’uomo o il replicante?

È Raggi la pecora o una replicante?

E Grillo-Blade Runner la “ritirerà dal servizio” se trasgredisce, come fa con gli altri sindaci?

Speriamo presto, allora?

spock@antiit.eu

L’intricato social di Lewis Carroll

Chi era Lewis Carroll? Non un buon matematico – i colleghi a Oxford erano indulgenti. Non un buon religioso. E anche gli analisti, cui Carla Muschio ricorre, dopo la grande fatica d trasporre “A tangled Tale”, di nome e di fatto, in italiano, si arrampicano sugli specchi. I pareri dotti raccolti in postfazione convergono su questo aspetto: Lewis Carroll era un inibito perché non mangiava – o non è viceversa?
L’analisi non è tenera con nessuno, e non fa sconti alla matematica. Ma l’inafferrabilità dell’uomo, e dello scrittore, è anche effetto del suo caleidoscopico metamorfismo: è uomo e scrittore sempre diverso, e sorprendente. Qui con i giochi matematici.
I problemi che propone chiama “nodi”, come in “Alice” – “Un nodo!, disse Alice. Oh, ti prego, lascia che lo sciolga!”. Ma più che problemi sono indovinelli e giochi, un divertissement a spese della matematica. “Nodi” astrusi, che si leggono più che porsi, giochi di parole. Ma con una soluzione.
Le “risposte” sono la parte migliore. sia le soluzioni che i commenti alle soluzioni.  Un social in tutti gli aspetti, benché in tempi differiti (comparivano mensilmente, i “nodi” e le risposte, su una rivista giovanile) e non in contemporanea: nickname fantasiosi, aggettivazioni forti, liti sul nulla, temperamentali.
Straordinari anche il numero elevato di risposte a ogni quesito. L’abbondanza di nickname femminili. La competenza dei giovanissimi corrispondenti, anche nell’ “errore”. Non essendo problemi di scuola, di aritmetica o algebra, ma di logica.
Lewis Carroll è tutto nella fantasmagoria dei nodi narrativi. C’è pure una digressione – irrisolta, al solito – sulla Logica Femminile. E nella puntigliosità dei commenti alle risposte, a volte anche un centinaio. È rubrichista coscienzioso, ma per non più di dieci “nodi”. Tratta male i giovani corrispondenti – si deve anche giustificare della brutalità.
Lewis Carroll, Una storia intricata, Stampa Alternativa, remainders, pp. 170, ill., € 6

venerdì 17 giugno 2016

L’euronoia

È difficile dare la palla più agli avversari che ai compagni di squadra. L’Italia ci riesce. Non si può dire ma è quello che vediamo.
L’Italia però non è la sola: questo Europeo è la sagra delle palle perse. Un torneo tra gli avvocati dopo il lavoro, o i bancari – senza la pancetta ma non in tutti i casi, sotto i tatuaggi si vedono anche  pancette. Selezioni nazionali che in una Champions non sarebbero passate ai preliminari, nella sezione Primavera.
Tutti simulano liberamente. Si mettono le mani addosso. Si tirano gomitate omicide, in elevazione e da fermi. Solo il pestone viene punito. Il calcio ha cambiato natura? In Europa sì.
I nostri pomeriggi e le serate sono di gioco uniforme e spento. Salire lateralmente e poi dal fondo  fare il famoso cross o traversone, che Altafini diceva il tiro più inutile, posto che l’avversario abbia una difesa e può guardare in avanti. Niente fantasista – dove ce l’hanno lo castrano. Niente centravanti di sfondamento. Niente schemi. Niente velocità. Nessuna invenzione, non uno sfondamento in massa, non un gesto tecnico degno di nota. L’unico gol vero di una ventina ormai di partite sarà stato quello del piccolo Giaccherini, e del non tecnico Bonucci. L’univa emozione le lacrime di Payet, l’assist-men, fantasista quando giocava col ripudiato Garcia, ora gregario.
È l’Europa: niente fantasia, e nemmeno tanta voglia: albagia e mediocrità. Dei calciatori e anche dei tecnici. Eccetto Lagerbäck, che ha tirato fuori una squadra dalle notti e i ghiacci. E Löw, che della mediocrità ha fatto una strategia e una tattica.  .
Si guardano gli Usa in Copa America e si resta allibiti: schemi, velocità, perfino tecnica individuale. E si veda l’Italia, o la Svezia, o il Belgio, o anche la Germania. E uno si dice: l’evoluzione c’è eccome, è anche rapida. Si capisce anche perché sono scomparsi i dinosauri.

Stupidiario di un’eroica qualificazione

Perché il centrocampo, esterni compresi, dà sempre la palla agli avversari?
Perché mettere in squadra Parolo? Per umiliarlo?
A un certo punto inquadrano il 23, Giaccherini. Dunque c’era in campo anche Giaccherini.
E Eder e Pellé che ci stanno a fare? Stoppare, girarsi, tirare no? Però, Eder è el hombre del partido…
Perché il destro Florenzi, che a destra fa sfracelli, deve giocare a sinistra, mutilato?
Si può fare una squadra con soli quattro là dietro?
Buffon compreso, che però quando rilancia mette in gioco la Svezia.
Si può giocare 93 minuti e non tirare in porta? La Svezia lo ha fatto, l’Italia quasi la eguagliava.
Sarà stato perché è venerdì 17. Ma 17 è anche Eder, cui riesce l’unica cosa che ha tentato.

Secondi pensieri - 266

zeulig

Ambizione – Platone la fa segno dell’immortalità o eternità dell’essere. Attraverso la fecondità. Del corpo, il “creare nuova vita”, e spirituale, il continuo aggiornamento. Motore della costante metamorfosi degli esseri, spirituale e anche fisiologica.

Amore – È cieco dal tempo di Platone, “Fedro”: come la saggezza, così “non si vedono tutte le altre realtà che sono degne di amore”. Ma subito dopo f a eccezione per la Bellezza, nella quale ha già ampiamente detto, nello stesso “Fedro” e nel Simposio” che sta l’Amore: “La Bellezza ha ricevuto questa sorte, di essere ciò che è più evidente e più amabile”.

Debito – Era metafisico - prima che lo diventasse nella Germania di Merkel - in Baudrillard, in un articolo da lui scritto per “Libération” il 15 gennaio 1996, “Dette mondiale et univers parallèle”. Partendo dall’esibizione del debito Usa su schermo gigante a Time Square, al centro di New York, “una cifra astronomica che aumenta al ritmo allucinante di 20 000 dollari al secondo”, auemtava vent’anni f a, oggi il ritmo è raddoppiato, quasi, Baudrillard dice la contabilità fittizia: “Questo debito non sarà mai rimborsato. Nessun debito sarà rimborsato. I conti definitivi non avranno mai luogo”. Per “la sparizione dell’universo referenziale” del debito stesso. Sul tabellone luminoso di Broadway il debito gli appare come “una galassia che s’allontana nel cosmo”. Anzi, un “universo nemmeno orbitale: ex orbitale, scentrato, eccentrico”.  Il debito è per noi lo “squilibrio del debito”, la “sua proliferazione”, la “sua promessa d’infinito”.
L’esito è però sbagliato: il debito Baudrillard mette in orbita “con una probabilità molto debole che raggiunga mai la nostra”. No, il debito è nostro. Non in sé ma in quanto ce lo addebitano le agenzie di rating, che sono, esse, ben “universo di riferimento”.  La differenza tra le tre BB del’Italia e le tre A della Germania è assurda (se fallisce l’Italia fallisce la Germania) ma è ben reale, e può indurre la povertà. Più che una galassia remota è un conto di profitti e perdite.
Realistica la conclusione – il debito non è simbolico: “La coesione delle nostre società, alimentata un tempo dall’immaginario del progresso, lo è oggi dall’immaginario della catastrofe”. 

Democrazia – Si ribalta in rete, dove diventa dominio delle minoranze – radicali, vociferati, spiritose, violente, paradossali, e soprattutto tempestive. Contro il suo senso ottocentesco-politico del governo del popolo, ossia della maggioranza. Ritornano le élites, sia pure solo dialettiche e non più per censo o potere – ma in realtà le élites sono state tali solo se e in quanto intellettuali e politiche, dialettiche, c’è il ricco amorfo e il potente autolesionista.
Si ribalta in incostanza, in assunzioni mutevoli. È dominio di minoranze per variabili. Che si formano e si dissolvono, si allargano e si restringono, in funzione di precisi e limitati obbiettivi. E molteplici, senza poter essere raggruppabili o sommabili: una rete può convivere con un’altra analoga, semplicemente imitata dalla lingua, senza risolversi o identificarsi con l’altra. E mutevoli: le parti non sono ma si formano (divengono). E si dissolvono o trasformano.  

Dio – Se ne cercano le “prove” razionali o altre. Mentre è l’improvabile. Dio non viene dalla ragione, nemmeno nella forma dell’irragionevolezza o incoerenza: viene dall’inconscio. Lo si approssima anche, per larghe volute oppure strette, senza fissarlo.

Fanatismo – Quello religioso è stato a lungo “entusiasmo”. In particolare nelle guerre civili britanniche di Cromwell, col loro milione di morti – in prevalenza irlandesi, è vero.

Interruzione – O reperibilità, è il tratto comunicativo recente e dominante: si è interrotti da una chiamata al cellulare, da un sms, da un whatsapp, volendolo dalla martellante posta elettronica. Escludendo la concentrazione, ma non per caso. Non si tratta infatti di una virtù opposta all’altra, e del resto l’interruzione-reperibilità non ha niente da opporre alla concentrazione, se non la démise di se stessi. È un senso condiviso di mancanza. E nello stesso tempo di compartecipazione : non essere interrotti è essere esclusi – anche escludersi, segno d’insocivolezza..
È il motore di un mondo di azioni\reazioni eidermiche. La reperibilità-interruzione è parte del programma di intrusione: quello commerciale, a cui tutto il sistema comunicativo è ordinato, dai social alla mail.

Matematica – È “la” scienza del millennio. Una scienza per natura inconclusiva come ogni procedimento logico, se non per la sua correttezza formale. Cioè per la definizione e ammissione dei suoi limiti strumentali, autovalidanti, tautologici, e di quelli dei suoi procedimenti, se non per una fine specifico. Invece la si vuole incontestabile e decisiva: algoritmi e equazioni non sono più strumentazioni, sono verità entro cui il reale fisico e quello e il sociale si devono conchiudere. La matematizzazione della realtà è un artificio, a fini commerciali e politici. E a questo fine può giovarsi della credulità, che sarebbe il suo opposto. Una fede doppiamente falsata, quindi. Ma l’ingenuità che sollecita è ampia, presso gli stessi matematici, e spessa.

Odio – Si estingue. Anche quello di famiglia, generazionale. Non ci sono persone o eventi condannati in toto e per sempre: se ne perde la memoria. Se non in ambiti tribali conchiusi. C’era Nerone, a cui però si riconoscono da qualche tempo dei meriti. Ora c’è Hitler, ma la storia resta da fare.
Mentre invece il buon ricordo, amorevole, ammirato, riconoscente, etc., si perpetua – si rinnova, si celebra. Orwell inventa la Giornata dell’Odio ma istituzionalizzandola.
Il “Non avrete il mio odio“ di Antoine Leiris, marito di una delle vittime francesi dell’Is, viene però troppo presto, quando la ferita inferta è aperta. Il suo “non vi odio”  un atto di disprezzo – la cancellazione del nemico.

Saggezza – Platone (“Fedro”) la vuole invisibile – sarebbe altrimenti intenibile alla vista, che pure “è la più acuta delle sensazioni che riceviamo mediante il corpo”: “Non è possibile vedere la saggezza, perché, giungendo alla vista, susciterebbe uno struggimento terribile, se offrisse una chiara visione di sé”. È materia oscura.

Totalitarismo – A lungo, e  nell’opinione comune, è un fatto di polizia: controlli, censure,  obbligazioni, violenze, Ha invece il suo segreto quale Hannah Arendt l’ha individuato:  cortocircuitare dal reale, far vivere in un mondo fittizio, di slogan, campagna, mobilitazioni. È l’equivalente-esito della mobilitazione totale di Jünger. Il vero totalitarismo, per esempio il “pensiero unico” che domina l’economia anche dopo averne provocato la crisi più lacerante della storia, è in questa costruzione fantascientifica – è, si può anche dire, la realizzazione della fantascienza, forse la più semplice e ricorrente: la fantasia volentieri crede a se stessa.

Verità – Residua fra gli strizzacervelli  Che si danno il compito di svelarla. Di scalzarne le fondamenta. Con un lavorio incessante e interminabile, poiché gira in tondo. Ma con attrezzi che giudicano veri.

zeulig@antiit.eu

Il velo della memoria sull’odio terrorista

Si legge come una testimonianza d’amore per la moglie Hélène uccisa dai terroristi islamici al Bataclan, di memorie e suggestioni. Di come la vita si ricompone, col figlioletto i due anni, tenendo in qualche modo viva la presenza materna. Un libro privato, on un velo sui fatti.
Il titolo evoca un gesto di perdono. Ma è  indifferenza. Cioè negazione: chi dovrebbe non averne l’odio in realtà è fuori fuoco. Leiris, giornalista di radio France, lo disse del resto subito  su Facebook, come un gesto di cancellazione del terribilismo terrorista. E lo ha ricordato all’uscita del libro: “Avrebbe potuto essere un automobilista che dimentica di frenare, un tumore un po’ più maligno degli altri o una bomba nucleare, la sola cosa che conta è che lei non c’è più. Le armi, le pallottole, la violenza, non sono che lo sfondo della scena: quel che importa è l’assenza”.
Antoine Leiris, Non avrete il mio odio, Corbaccio, pp. 122 € 8,50

giovedì 16 giugno 2016

Ombre europee – calcistiche

Conviene all’Italia arrivare prima, e doversi poi sciroppare la Spagna o la Croazia, oppure seconda, e andare avanti con l’Ungheria? E dunque conviene non vincere più in questa eliminatoria.

Belgio-Italia, l’epopea di due squadre mediocri: giocano a perdere la palla. Tutte le azioni pericolose del Belgio sono avviate dall’Italia – Candreva e Parolo a destra sono il centrocampo del Belgio, col contributo di Darmian finché ha potuto. Ma è stata giocata come la fine del mondo, con un Belgio primo della classe, invincibile etc.. L’Italia si crea sempre un Grande Nemico, contro cui poi è difficile non sbattere. Ora c’è l’“immenso Ibrahimovic”.

Khedira gioca partite intere con la Germania, mentre non regge un tempo con la Juventus. Lo allenano a Torino per la Nazionale tedesca? Ma lo pagano pure?

Rigore netto e fallo da ultimo uomo - il portiere Neuer - per l’Ucraina contro la Germania. Nessuno l’ha visto. Si riprende come nulla fosse e subito poi la Germania segna partendo in fuorigioco. Che nessuno vede.

I calciatori ucraini non affondano contro una Germania molle. Anzi, sembrano contenti di perdere. Per riconoscenza? Vogliono emigrare in Germania, pure loro?

Si gioca molto con le mani e le braccia in Inghilterra-Romania, arbitro Rizzoli. Si gioca anche a calcio, ma molto a lotta libera. La memoria corre a quando Collina dirigeva il campionato ammonendo quattro, cinque, sei giocatori, quanti era necessario tenere fuori dal prossimo match, per un semplice tentativo di trattenere per la maglia. Sono cambiate le regole? Le ha cambiate lo stesso Collina, uno che sa l’inglese, supermanager degli arbitri Uefa.

E quante simulazioni, in questa e nelle altre partite, sfacciate. Alcune teatralissime. Nessuna punita.  Faranno spettacolo.
Dunque l’arbitro mondiale Collina, oltre che essere uno dei due o tre sopravvissuti sopravissuti all’alluvione Uefa-Fifa, fa di mestiere il designatore, o allenatore, degli arbitri in Ucraina. Che incarico è? Era in credito e gli hanno inventato questa posizione?

Voglia democrat di dissoluzione

D’Alema presta Visco a Raggi e fa sapere a tutti – smentendo, in modo che la notizia tenga banco per due e tre giorni – che la voterà. È lo zoccolo duro che passa con Grillo, o Grillo che si fa zoccolo duro? È la dissoluzione del Pd: dopo Milano e Roma, anche se perde, Renzi resta saldo al governo e i voti contro zavorreranno i contestatori .
C’è voglia di dissoluzione nel Pd. Non c’è un’opposizione interna a Renzi perché non c’è dibattito. Non in pubblico, sui media, e nemmeno nelle sezioni, che praticamente sono chiuse. E non c’è dibattito perché gli oppositori di Renzi non propongono nulla di cui dibattere. Non sulla legge elettorale o sulla riforma costituzionale – dopo due anni di dibattiti e votazioni – né sulle tasse o sul lavoro.
L’opposizione è esterna. E confusa e imprecisa, tanto quanto violenta, da ultima spiaggia – i limiti del vecchio cannibalismo democristiano sono superati. Si tratta però di oppositori, non c’è un’opposizione: non una linea o uno schieramento. Che più che politiche attive propongono dei distinguo. Come a dire, se va male: “io l’avevo detto”. Per un piccola voglia di protagonismo, da subrettine, o per stanchezza, da cavalieri solitari.
Gli oppositori sono tantissimi. Essendo tutti più o meno visibili sui media. Ma poi – in assenza di idee, proposte, iniziative – contano ognuno per uno. Si può capire la strafottenza di Renzi, che sembra volerli facilitare nella voglia di dissoluzione – D’Alema gli ha guadagnato i prodiani e i veltroniani in un colpo solo, gratis.

Lo sciogliete le righe di Berlinguer

Si scorrono le duecento fitte pagine fra costernazione e scoramento. Sono l’antologia degli scritti di Berlinguer su “Rinascita”, compreso l’ultimo contributo preparato alla vigilia della morte improvvisa, che la rivista titolerà “Centralità della questione morale”, immortalandone l’eredità.
Sono le famose teorizzazioni del “compromesso storico”, o della dismissione del Pci e della sinistra. E le analisi autoassolutorie dopo la sconfitta alle elezioni post-compromesso, la prima del Pci. Col successivo tentativo di recuperare isolando il partito, tra rancori e estremismo – l’occupazione della Fiat… Non un progetto, uno qualsiasi, non un briciolo di entusiasmo. Solo politica politicante.
Il linguaggio è vuoto: insonoro, insignificante. Gergo forse di un hortus conclusus di nessuna legittimità, se non quella del Capo. Non intellettuale, e nemmeno alla fine morale: come una dichiarazione di incapacità o impossibilità, con invito sottinteso ad arrangiarsi.
Enrico Berlinguer, La crisi italiana

mercoledì 15 giugno 2016

Eurexit – 2

L’opportunismo di Murdoch, sinistrissimo in Italia destrissimo altrove, conferma che i sondaggi delle banche sul Brexit sono ormai definitivi: la stragrande maggioranza è per l’uscita dalla Ue.  
Qualora la partita britannica finisse davvero 6-4, il Brexit potrebbe preludere all’implosione della stessa Ue, si argomentava su questo sito tre giorni fa. Per essere l’uscita volontaria, calcolata cioè e non passionale, non come quella che ha tenuto banco tra Grecia e Germania. Un’aspettativa dell’abbandono che a questo punto potrebbe prendere piede nella stessa Germania, il maggior beneficiario dell’Unione.
Nel clima nazionalistico dei governi Merkel-Schäuble-Weidmann è, o sarà presto, inevitabile che la Germania diventi la prima forza anti-Europa. Il trio attribuisce a Draghi, non avendo più altro interlocutore nella Ue, la crescita dei movimenti liberal-nazionalistici in Germania, ma questo è solo un segno della loro indigenza (furbizia) politica. 
Il Brexit è il fallimento della “egemonia” tedesca sull’Unione: una recessione quasi decennale inflitta a 400 milioni di persone con tutti i mezzi, per il vantaggio della Germania. Che ora potrebbe ribaltarsi in danno per la stessa Germania. Ma forse no, e qui sta tutto il dramma.

L’anti-Ue cresce a Berlino

Alternative für Deutschland, liberal-conservatore, al 25 per cento dei sondaggi, con l’estrema destra di Pegida al 5-7 per cento, e le forze nazionalistiche tra i vecchi Liberali e la Cdu
-Csu, più qualche aiutino dell’estrema sinistra, Linke, fanno maggioranza? Se si votasse a un referendum molto probabilmente sì.
La Germania, il paese che ha più guadagnato e guadagna dall’integrazione europea, potrebbe optare per la dissoluzione. Per un’ebbrezza da potere (autosufficienza) da tempo evidente in ogni settore dell’opinione pubblica, compresi il liberale “Spiegel” e la socialista “Süddeutsche Zeitung”. L’opinione è formalmente pro-europea ma di fatto è in sintonia con gli anti-europei.
Non si valuta appieno il cambiamento dei “caratteri fondamentali” della Germania col collasso del sistema sovietico e la riunificazione. Il dopoguerra coi russi in casa è stato breve, non abbastanza per plasmare un diverso modo di essere. Tanto più che i protettori erano risentiti come vincitori più che come liberatori. La società è la stessa, soddisfatta e tronfia, della Germania guglielmina-bismarckiana, che anch’essa faceva affari e “non parlava di politica”, piena del suo buon diritto, che Norbert Elias ha ricostruito in “I tedeschi” – leggere i giornali tedeschi oggi è come averli letti un secolo fa alla vigilia della guerra, con le crisi del Marocco, che antagonizzarono l’Europa, anch’esse “a buon diritto”.  

Un aiutino alla Germania

A chi ha fatto bene il Quantitative Easing (“Public Sector Purchase Program”, Pspp) lanciato da Draghi quindici mesi fa? Alla Germania in primo luogo e più di tutti. Criticato per questa, e ogni sua altra decisione, giornalmente dai ministri e governatori di Angela Merkel, si direbbe che il presidente della Bce è in realtà un agente tedesco, che il loro è un gioco delle parti – nei fatti lo è.
La Germania ora celebra i tassi negativi sui Bund – guadagna emettendo debito… Per il Btp invece, il QE ha portato a un rincaro. Lo spread era sceso sotto quota 100 a fine febbraio 2015, alla vigilia del QE, ora è a 150.
Sarebbe stato lo spread Btp-Bund maggiore senza il QE? Forse. Ma il QE è strutturato soprattutto per favorire la Germania, tramite la clausola “capital key”: gli acquisti sono ripartiti proporzionalmente alle quote dei singoli paesi nel capitale della Bce. Per la Germania quindi il 18 per cento (tabellare, di fatto il 26), per l’Italia il 12,3 (di fatto il 18). Nei due anni del QE, marzo 2015-marzo 2017 la Bce avrà comprato 330 miliardi di titoli di Stato tedeschi e 230 di titoli italiani.

Il mondo com'è (265)

astolfo

Comintern - Una storia del Comintern, e della propaganda politica, del personaggio rilevantissimo di Münzenberg per esempio, un genio, resta ancora da fare. Ancora uno sforzo.

La storia del Comintern è paradigmatica dell’enorme influsso della propaganda, se azionata nel verso di una fede o credenza comune, quale può essere oggi il cosiddetto pensiero unico.  Münzenberg, un personaggio pure non eccezionale (finirà solo durante la guerra, assassinato forse da sicari del Partito), lo fu per la capacità di far avallare tutto di Stalin. Perfino i terrificanti processi staliniani e la persecuzione dei comunisti in massa nei secondi ani 1930, dei quali lui stesso rischiò di restare vittima, con la bella moglie Babette. E di voltarlo anzi al meglio.  

Culto dei morti – È nato come Remuria. Da Remo, il fratello di Romolo. Ai piedi dell’Aventino. Dove Remo, il perdente, s’era ritirato coi suoi, e Romolo volle seppellito con onore, dopo averlo ucciso.
Il luogo è anche quello dei Baccanali fra i trentamila italici, moderni calabresi, da Fabio condotti schiavi a Roma nel lucus Stimulae, alle pendici del colle. Sui quali il Senato esercitò la prima pentita, Ispala Fescennia. Narra Livio che nel 186 a. C. il Senato romano decise di prevenire le sovversioni. Fu trovata un’Ispala Fescennia pronta a testimoniare di baccanali notturni nei quali si copulava senza limiti, tra fiaccole e cembali, ai piedi dell’Aventino. Il Senato stabilì allora che ogni riunione di cinque persone o più dovesse essere autorizzata, in tutta Italia, pena la morte.
I riti orgiastici saranno sempre comode scuse, contro i cristiani e poi dei cristiani. Prima di essere convertiti in culto dei morti. E anche la meretrice Ispala forse non sarà stata la prima. Per lo storico è irrilevante, questo tipo di persone lo è, ogni testimone: ciò che conta è ciò che è stato deciso, da Remo in qua..

Chiesa - La chiesa vacilla dai tempi di Schopenhauer. E ora muore, come ogni storia dopo un certo tempo?

Eurovaticano – Si ammorbidisce l’opzione europea del Vaticano. Era inevitabile, con un papa che si vuole della “fine del mondo”. Ma Bergoglio va più in là: non gli piace nulla di questa Europa. Che si tratti del lavoro, degli immigrati, delle nascite non trova abbastanza parole per criticare le politiche europee: più che critico è sdegnato. E in tutto l’arco di crisi non fa ormai da tempo più appello alle politiche ma a una sorta di autocura, della chiesa e degli uomini di buona volontà.
Il rifiuto è radicale, benché non spiegato, nella critica costante della cosiddetta economia di mercato  che produce povertà e emarginazione. Di cui evidentemente l’Europa è ai suoi occhi parte. Senza essere altro: non c’è un solo suo appello ai doveri o agli ideali di una storia o una cultura europea, la critica è radicale – dissolvente, disperata. .

Mein Kampf – Chi ha paura di Hitler? Sembrerebbe nessuno, e tuttavia c’è diffusa la sensazione, non solo tra gli spiritualisti, che “Hitler non è morto”. La pubblicazione-regalo da parte del “Giornale”, il quotidiano di Berlusconi, del “Mein Kampf” in edizione critica, ha suscitato reazioni come se, appunto, Hitler fosse vivo e combattesse insieme a noi, come recita il mantra dell’estrema destra.
Carlo Ossola prendeva posizione su “Origami”, a dicembre 2015, all’annuncio della pubblicazione del manuale di Hitler in edizione critica in Germania – “Perché Mein Kampf non va pubblicato, né ora né mai” - in questi termini:
“1) Nessuna edizione critica renderà sana una mela marcia, come recita l’adagio antico basta una mela marcia a infettare il paniere.
“2)Lo stato di maturità delle “società democratiche” europee è ben precario oggi: risorgono neonazismi e delitti razzisti in tutti gli Stati della Comunità europea; non si vede perché si debba gettare ulteriore benzina sul fuoco.
“3)L’invocato primato della libertà di stampa non è preminente rispetto ai diritti che concernono il «bene comune» (pace, sicurezza, dignità dei singoli e delle comunità)”.
Lo stesso Ossola dice d’acchito che è difficile sbagliarsi su Hitler, anche senza studi, leggendo il suo programma alle prime righe - «Il primo provvedimento preventivo che prendemmo, fu la creazione d’un programma il quale spingesse verso un’evoluzione che nella sua più riposta bellezza sembrava adatto a rifiutare i meschini e i deboli, cacciandoli da quella che è oggi la nostra politica di partito». Ma contesta “la pretesa e l’illusione faustiana di poter signoreggiare il demone al quale si dà vita. Siamo sempre alla presunzione prometeica che l’intelligenza non debba rispondere che a se stessa”.
Una conferma che Hitler in qualche modo è sempre tra noi.

Omosessualità – Il fenomeno politico è recente: fa outing nel 1869, con la lettera pubblica di Kàrolyi Mària Kertbeny avverso l’inclusione nella Costituzione tedesca degli statuti prussiani contro la sodomia. Kertbeny, che firmò Karl Benkert apprezzate traduzioni in tedesco di scrittori ungheresi, corrispondente e amico di Heine, Musset, George Sand, Andersen, i Grimm, sarà pensionato d’onore dell’Austria-Ungheria. Ma in quanto traduttore, e denegatore dell’omosessualità - si capisce il disagio di Freud a Vienna. Morì del resto presto, a 58 anni, forse di sifilide.
Nel 1900, a quasi vent’anni dalla morte, un suo saggio sulla condizione omosessuale in Europa fu pubblicato sul secondo numero dello “Jahrbuch für Sexuelle Zwischenstufen”, l’annuario dei transgender, si direbbe oggi, dell’erotomane tedesco Magnus Hirschfeld. Ma non si dichiaro mai omosessuale, giustificando il suo interesse per il tema col suicidio di un amico d’infanzia, vittima di un ricatto. Si proponeva anzi, con un altro neologismo, come “normalsessuale”. Si fidanzò, anche se con un donna col doppio die suoi anni, e esibì una breve relazione con Bettina von Arnim.

Sciismo – È stato imposto all’Iran, tardi. Le guerre in atto tra sunniti e sciiti sono di potenza. Di potenza regionale, dell’Iran contro la Turchia e contro l’Arabia Saudita e i suoi vassalli. Bausani lo scriveva chiaro nel 1980, nella sua silloge sull’Islam, alla prima ondata d’interesse in Europa per l’islam stesso, dopo l’insorgenza del khomeinismo sciita in Iran. “Quella šīٔ a che alcuni si ostinano ancora a chiamare «reazione ariana persiana alla religiosità semitica sunnita» fu imposta ai Persiani (fino allora nella grande maggioranza sunniti) nel XVI secolo (dunque ben dieci secoli dopo la morte di ‘Alī e gli avvenimenti che originarono la šīٔ a) da una dinastia turca, quella dei Safavdi, i quali riesumarono  più antichi trattati di giure e diteologia sciita opera per lo più di arabi, e fecerp venire  soprattutto dalla Siria meridionale (‘Āmil) e da Bahrein, zone arabe, i predicatori e i propagandisti necessari alla loro opera di sciitizzazione del paese. Abbondano fra i grandi sciiti «persiani» i nomi come ‘Āmilī o Bahrānī o simili, che tradiscono l’origine extrairanica di questi primi propagandisti”.
Fu subito uno sciismo “in versione estremistica”: “La šīٔ a fu introdotta in i Persia inizialmente in una forma entusiastica, non lontana dalle antiche correnti estremistiche. Šāh Ismā’il Safavide (m. 1524), il conquistatore della Persia,  è autore di poesie religiose in cui si proclama a tutte lettere «Dio»”.
Alessandro Bausani, che ancora per dieci anni dopo quella summa sarà il decano degli islamisti italiani, era già bahai quando la scrisse, adepto di una setta religiosa sviluppata in Iran. Era piuttosto severo con le approssimazioni europee al mondo arabo e islamico (illuminismo, riforma, arianesimo) e con gli entusiasmi “democratici” o “rivoluzionari” suscitati dalla ribellione disarmata di Khomeini. Insistendo sul carattere relativamente intollerante della gerarchia sciita.

astolfo@antiit.eu

Platone non è platonico

“Amore non ha avuto un poeta come Omero che ne sapesse far vedere la delicatezza”. Platone rimedia col “Simposio” e col “Fedro”. Soprattutto con l’amore socratico, coi suoi vincoli di sottomissione e acquisizione, ma non solo.
Dopo “Prendila con filosofia”, cinque anni fa, una nuova compilation filosofica di “Socrate & C.”, questa volta con brani dei dialoghi platonici amorosi. Un po’ stucchevole. Anche se per restaurare una verità: che “l’amore platonico” non ha nulla di “platonico”, e anzi è “estasi”, “furore”, “divina mania”, e sempre “Bellezza pura”, partendo da quella fisica. Anche l’amore non socratico: la procreazione rientra tra i segni d’immortalità o eternità, quella del corpo come quella dell’anima.
Omero ne sapeva di più, che secondo Platone non parla d’amore – ma perché si fa la guerra di Troia?
Socrate & C., Elogio dell’amore platonico, il melangolo, pp. 124 € 8

martedì 14 giugno 2016

Ombre - 320

La Polonia e i paesi Baltici sostengono che gli ultrà russi a Marsiglia sono agenti segreti e truppe speciali di Putin. Lo sostengono per davvero.

La Nato del resto apre un fronte a difesa della Polonia e dei paesi Baltici contro la Russia, sta cercando i “volenterosi” che schierino le loro armate. Contro l’Is no, meglio la Russia, che non ci fa male.

Lo stratega Nato si chiama Stoltenberg, una montagna.

Schaüble fissa a cinquemila euro il tetto ai contanti in Germania. Propone di fissarlo, non  lo ha ancora fissato. ;a non c’era una norma europea che lo impone?

E Monti, che quel limite lo aveva fissato a mille euro? Per la tracciabilità e contro l’evasione e il riciclaggio naturalmente, non per imporci di andare in banca. Non aveva decifrato bene il messaggio?
I sicari, si sa, sono più duri dei mandanti.

Ha dimesso alla radio il presidente della Consob. E ha preso a criticare Renzi con la scusa di difenderlo. È Calenda, appena nominato da Renzi superministro. Sottraendolo all’altissimo incarico cui lo aveva appena destinato: difendere l’Italia a Bruxelles.
Altrove, a Londra, a Washington, a Parigi, sarebbe già fuori, qui è il prezzemolo – dappertutto ci vuole Calenda.

I tedeschi si lamentano, si sa. Ma che Draghi faccia il gioco della Germania? Isabella Bufacchi documenta sul “Sole” domenica che la Bce ha acquistato 191,4 miliardi di Bund tedeschi (su 846 acquistabili, il 22,5 per cento) e 131,2 di Btp (su 1.300 acquistabili, il 10 per cento).
Quanto ai deprecati tassi negativi, i Bund acquistabili dalla Bce con rendimento sotto  - 0,40 per cento ammontano a 287 miliardi, contro nessun Btp. Un grande risparmio per la Germania.
Le querimonie tedesche sono un gioco da compari?

Si leggono pochi articoli, pochissimi quelli di qualche interesse, e si viene respinti, pur avendo praticato l’inglese da una vita, da flight to quality, capital key, keynote speech, scaffolding, fan fiction, e la danza flex. Avendo anche dovuto imparare a scrivere che sui giornali Roma va seguita, dopo la virgola, da “capitale dell’Italia”.

“Il Giornale” dei Berlusconi ha regalato “Mein Kampf” in edicola per far mancare a Parisi quel migliaio di voti che gli mancano per vincere a Milano? Magari no – la stupidità esiste – ma chi lo sa.

Con la bibbia di Hitler “Il Giornale” ha inaugurato una serie di libri sul nazismo. Per questo lo regala, per la fidelizzazione – anche in una buona edizione, con apparato critico. 

L’anticorruzione è di parata. L’Anac, Autorità anticorruzione, fa poco. La legge sugli appalti è inutile, poiché non prevede abbastanza carcere. È il parere di un giudice, Davigo, che però ci fa campagna elettorale. Al coperto delle leggi, che effettivamente non sanzionano tutta la corruzione – la sua certamente no.

Gli industriali del Lazio invitano Raggi, che non sa nulla d’industria, e tantomeno d’industrtia a Roma, non lo nasconde, risponde di malavoglia, e se ne va, applaudita. Loro si riservano di tartassare Giachetti , il quale invece, poveretto, s’è preparato. Voteranno Raggi? È probabile, fa fino – sicuramente l’hanno già votata.
Bisogna rivedere le logiche del voto. Rivedere anche le logiche della politica - l‘autononia parte da qui, dagli industriali.

Davigo, presidente del super lottizzato sindacato dei giudici, critica il Csm perché è lottizzato e fa nomine lottizzate. I giudici sono senza pudore: è una buona cosa?

Il dottor Rubolino dice una serie di enormità sui carabinieri e i medici che (non) accudirono Cucchi. Forse le dice per farli assolvere. Ma com’è che è arrivato al grado di Procuratore Generale, sia pure Sostituto?

Per fare colpo (spaventare? scandalizzare i bambini?) il dottor Rubolino dice che Cucchi fu trattato come Regeni. Facendo offesa al giovane ricercatore, ma a lui non gliene frega nulla. 

L'Europa è una carcassa vuota

“La questione delle regole è centrale nel contenzioso culturale europeo. Anzitutto perché non è chiaro chi stabilisce le regole”. Si può partire da questo assunto, incontestato, neppure dai montiani, se ancora ce ne sono, della miseria politica (l’assunto è politico, non culturale: ‘cca nisciuno è fesso, capiamo tutto ma siamo deboli, incapaci) in cui si sta asfissiando l’Europa. “Le regole si stabiliscono con la forza”. Anche questo è noto, da più tempo, poco contestabile. Ma se la regola è rubare, con buona coscienza?
Questo non si può dire – non riesce a dirlo neppure lui, il radicalissimo “Bifo”. E questo è il punto: non poterlo dire. La cultura cosiddetta laica ci ha improsati – Bifo, a quel che si legge, compreso – con Max Weber, con lo spirito protestante del capitale, e il rispetto delle regole. Non è niente vero, non c’è un’etica protestante (di quali protestantesimo stiamo parlando) – è anche un falso Max Weber. Ma ora comunque è questione superata: ora la differenza è fra chi, il sindacato tedesco, accetta di impoverirsi per “arricchire la nazione”, e chi si difende, il sindacato francese e quello italiano, e forse quello britannico fra una settimana. Solo, giusto per dirci europei, vorremmo poterlo dire, mentre il pensiero è unico pure in questo, che bisogna abbozzare. .
Ma a volte anche l’indignazione è fuorviante, bisogna essere chiari. “Bifo” lo è: “Il nazionalismo tedesco del ventunesimo secolo è un assoluto tabù”, rimarca nell’introduzione. Non del tutto, però,  tabuizza anche lui.  Il debito non è anatemizzato dall’“etica protestante”, supposta: è un’etica che ha convissuto col debito, fino alle creste speculative, dell’Olanda e degli Usa a più riprese, della stessa Inghilterra. Il debito non è anatemizzato in Germania - semmai l’inflazione, che è un altro business. È anatemizzato da Merkel, che fa aggio su un solido revanscismo nazionalista. Cui la Germania, è vero, più che volentieri si è piegata fino ai liberali dello “Spiegel” e della “Zeit” e agli stessi socialisti. Ma è un fatto politico, dei governi Merkel. Governi di destra e di sinistra alternativamente, che Merkel domina con questo golem. Si veda la “festa” che ha fatto, lei personalmente, alla Grecia. E quella che ha provato con l’Italia.
Che farcene della Germania è il tema. O come un tedescofilo, formato con Rudi Dutschke, diventa antipatizzante. “Bifo” ha raccolto alcuni scritti, su Maastricht a suo tempo, oltre vent’anni fa, sulla crisi greca (con due diari, uno in difesa di Varoufakis), e sul prima e il dopo. Di taglio catastrofista, e quindi di poco impatto - contemporaneamente pubblicava una ponderosa riflessione, dall’antifrastico titolo “Heroes: suicidio e omicidi di massa”, sulla voglia di dissoluzione del Millennio, ancora più pessimista. Ma non distratto, e non senza argomenti. “L’Europa s’impoverisce”, questo ognuno lo vede. “Maastricht disarticola le società”, pure. E il lavoro ricottimizzato: “Il lavoro operaio non è più il motore del processo di valorizzazione, e il lavoro cognitivo è incapace di farsi coro solidale”.
L’Ue è “una carcassa vuota che il sistema finanziario usa per depredare il prodotto sociale”, e “l’Europa è unita come lo era nel 1941”. Sotto Hitler? No. Ma. “C’è un enigma al cuore della situazione europea: quali sono le intenzioni della classe dirigente tedesca? Quali sono le sue aspettative riguardo al futuro dell’Unione? Non si rendono conto  dei pericoli (vittoria  delle destre nazionaliste, crollo dell’Unione,  guerra euro-russa) che si delineano all’orizzonte dopo cinque anni di austerity?”, è una nota di diario del febbraio 2015 – Syriza ha appena vinto le elezioni, è a maggio che la Grecia capitolerà a Berlino, cioè  a Bruxelles.
La distopia che azzarda, invece, è sbagliata in ogni suo punto: “È più probabile un proliferare di conflitti sempre più violenti (in Ungheria, in Grecia, nel Sud italiano, in Spagna) fino alla continentalizzazione dello scenario jugoslavo degli anni Novanta”. No, i tedeschi inorridirebbero – sono abituati a comprare senza pagare – un tempo si sarebbe detto alle razzie. E il Sud non si ribellerà mai. Né la Grecia o la Spagna. Magari si dissolveranno, si stanno dissolvendo, ma senza combattere. La speranza è dura a morire, certo, ma nei proverbi.
Franco Berardi Bifo, La nonna di Schaüble, Ombre Corte, pp. 165 € 13

lunedì 13 giugno 2016

Problemi di base - 280

spock

“Chi ucciderà per la causa della giustizia, o per la causa ch’egli crede giusta, non avrà colpa” (Borges)?

“Chi odia finisce per distruggersi: l’odio insorge contro chi lo prova” (Borges) ?

“Non odiare il tuo nemico, perché se così fai sei in qualche modo il suo schiavo” (Borges)?

“Il tuo Dio non sarà mai migliore della tua pace” (Borges)?

È soggetto chi riflette e decide oppure chi è suddito, sia pure di Dio?

Si può offendere Dio per evitare di rendersi nemico un amico (sant’Agostino)?

Se Dio ci ama, perché ci fa killer?

È venuto prima Dio, o prima l’uomo?

spock@antiit.eu

L'econmia del fallimento

Rampini sembra dire di no. Non di quelle europee comunque: in fatto di fallimento delle banche, “l’Europa continentale non è ancora approdata compiutamente al capitalismo moderno”. Cioè non ha ancora imparato che si può – si deve – fallire. Ma lo dice dall’alto dello stesso capitalismo “moderno” e “compiuto” di cui non dobbiamo fidarci, ammesso che siamo ancora in vita. Da professore a Berkeley, Shangai e alla Bocconi, oltre che a “Repubblica”, molto establishment, nonché membro del Council on Foreign Relations Usa – è il pulpito che fa la predica, specie se brillante.
È un double bind, direbbe l’antropologo, due autorità in contrasto: di chi dobbiamo fidarci?
Un terzo bind si potrebbe – dovrebbe – introdurre: che saggezza è questa, del fallimento? Tutti ne sono capaci. Anzi, a quest’ora, direbbe quello, saremmo tutti morti.
Federico Rampini, Banche, possiamo ancora fidarci?, Oscar, pp. 123 € 15

domenica 12 giugno 2016

Se l’Is fa campagna per Trump

La vittoria di Reagan a novembre 1980, piccolo attore e semisconosciuto ex governatore della California contro il presidente in carca Carter, fu celebrata a Teheran come una vittoria dell’Iran, del khomeinismo. La storia non si ripete, non sempre. E Obama non è Carter, non ha fatto gli errori di Carter, tra essi la missione dei parà per liberare gli ostaggi americani insabbiata con gli elicotteri, e quindi la sua alter ego Clinton non va alle elezioni con questo handicap. Trump del resto non è Reagan. Ma l’imprevidenza è uguale.
L’errore politico si ripete del resto oggi come allora. Allora Carter sostenne, armò e spinse Saddam Hussein alla guerra contro l’Iran. Oggi gli Usa mantengono rapporti privilegiati con i finanziatori, animatori di ultima istanza, del fanatismo islamico, i potentati della penisola arabica. Mentre sarebbe opportuno che li lasciassero alle loro responsabilità.
Non sono i “volenterosi”, non è l’Europa a dover combattere l’estremismo – non lo sa fare neanch’essa, ma questo è un altro discorso. Al fronte contro l’estremismo dovrebbero essere i potentati che, in teoria, ne sono l’obiettivo. È un ben strano islamismo fondamentalista questo che si esercita contro persone e paesi remoti e non contro i “falsi” islamici, i non puri.

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (289)

Giuseppe Leuzzi

Viene dalla Siria lo scirocco, il vento del Sud? È l’etimologia più scientifica, considerando che la Rosa dei Venti faceva centro convenzionalmente accanto al’isola di Creta. Il vento di Sud-Est Nord-Ovest.

Edmund White ha la figura ricorrente del provinciale a New York, che distingue per l’insicurezza.  In “La sinfonia dell’addio” lo vuole specialmente inurbato dal Sud, e lo distingue per “le pacche, l’astuzia campagnola, e l’istinto di indipendenza”.

L’angelo calabrese di Alì
Sapido ritratto di Angelo Dundee, l’angelo di Cassius Clay, in margine allo straordinario ricordo che dell’atleta ha scritto Mario Sconcerti sul “Corriere della sera”, “Il mio Alì. La tournée in Europa”. Dundee – l’edizione online ne mostra anche una bella foto - è stato l’“inventore” della farfalla peso massimo: quello che l’ha scovato in palestra, l’ha addestrato, e poi ne fu il procuratore.
Dundee “era figlio di due emigranti calabresi, aveva sette tra fratelli e sorelle. Vero nome Miranda, storpiato in Mirena dall’ufficio immigrati, trasformato da lui in un cognome scozzese perché si vergognava della sua emarginazione, del suo americano alla cosentina”. Voleva essere wasp, il bianco dominante, e non wop (guappo?) – doveva esserlo, per poter fare il procuratore.
Angelo “frequentava quasi solo ragazzi neri perché parlavano in modo anche meno comprensibile del suo. Crebbe tra le risse di quartiere, non aveva fisico, ma aveva testa. Le bande si picchiavano, vinceva chi tirava il primo colpo. Lui insegnò a doppiare i pugni. Due per volta, uno-due e con il terzo lo stendi, vinci davvero. Divenne un maestro quasi involontariamente”.
Si fece allenatore-procuratore-tuttofare di quelli dal fisico più dotato. “E come prima cosa si mise a caccia di Cassius Clay, una corte lenta, intelligente, insistente. Clay allora non aveva le idee chiare, l’altro gli diceva sei il più grande, non buttarti via. Lo seguì anche alle Olimpiadi, fu lì che lo convinse a diventare professionista con lui e con lui rimase anche quando i Fratelli musulmani non volevano bianchi intorno”.
Anche il padre di Mario era un procuratore della boxe. “Dundee era piccolo, come mio padre, sensato come lui, con un’idea del marketing del pugilato che in Italia era sconosciuta. Si trovavano bene insieme, si sono aiutati per tutta la vita. Per mio padre Dundee era l’America che non avrebbe mai avuto”.

Voto di scambio al Csm
Voto di scambio al Csm per nominare Greco alla Procura di Milano. Il candidato della sinistra  passa con i voti del centro, in cambio dei voti della sinistra al candidato di centro per la Corte d’Appello della stessa Milano. Senza omertà però, è vero, tutto dichiarato.
Dichiarata anche la filosofia mafiosa, al coperto dell’antimafia. Si dice infatti che le nomine al Csm non sono politiche, le posizioni sono di garanzia. A chi? Agli amici degli amici.
L’accordo su Greco a Milano è pubblico. Ma Unicost può permettersi di negarlo:.”La nostra è una risposta alle illazioni di mercimonio del voto e di etero direzione delle scelte del Csm”. I mafiosi soprattutto si negano.

Corleone capitale mondiale della legalità – o ll processione
La processione.
Lea (Leoluchina) Savona, sindaca dal 2012, con Berlusconi, poi con Alfano, è stata avversata dal Pd in tutti i modi: mancato titolo di studio, curriculum mancante o insufficiente, interessi mafiosi naturalmente (la mafia dice sempre: chi non è con noi, peste lo colga), ma è sempre saldamente al suo posto, e probabile rieletta l’anno prossimo. Del resto Napolitano, quand’era presidente, non ne ha disdegnato l’operato.
La contestazione più radicale (ridicola) ha riguardato il curriculum. Perché la sindaca non pubblica il suo curriculum. E quando l’ha pubblicato si è confermato che non aveva una laurea, la chiamavano dottoressa abusivamente. Anzi, non ha nemmeno un diploma - il curriculum attesta vaghi “studi agrari e giuridici”.
Ma sempre lei ha risposto a tono. Quando la campagna di stampa era su tanti anni passati a Palermo e nemmeno uno straccio di laurea, ha risposto: “Una mia cara amica mi ha chiesto come mai dopo tanti anni trascorsi a Palermo non ho conseguito una laurea quinquennale in scienze politiche. Ho risposto che in quegli anni ho assistito amorevolmente la nonna, ho fatto una importante esperienza spirituale in via Chiavelli a Palermo dalle suore clarisse attraverso suor madre Teresa Cortimiglia, ho vegliato il nonno ammalato di cancro tre anni, ho gestito l’azienda di famiglia dal punto di vista contabile, ed abbiamo ingrandito la stessa con allevamenti bovini ed ovini, ho fatto volontariato per i non vedenti, leggendo per loro la vita dei Santi, ho imparato a soffrire in silenzio immedesimandomi negli altri, ho imparato a servire e lavorare duro affinché i miei nipoti possano essere orgogliosi della loro zia che li ama tanto”. Come dire la differenza l’abisso tra le persone vere, anche in politica, e la società “civile”, dei rancorosi e odiatori sociali – che un tempo, più che furbi, si pensavano e dicevano falliti.  
La mafia naturalmente è più insidiosa, ubiqua com’è, anche nei luoghi meno deputati. A Corleone la sindaca ha voluto nello stemma la dizione “capitale mondiale della legalità”. Una che sa fare politica, insomma. E per questo forse indigesta all’apparato repressivo che governa il Sud, oltre che – legittimamente - al Pd. E così, pensa e ripensa, il busillis è stato trovato nella processione del santo. Che passa davanti alla casa di Riina, e vi si ferma, perché qualcuno (la moglie di Riina) vuole fare un’offerta.
Scandalo. Le Autorità lasciano la processione. Il vescovo trema e manda fulmini, ignavo. Scatenati i social di tutto il mondo, i santi e i preti non sono popolari. I ragazzi della parrocchia che hanno sostituito i procuratori del santo, e sono i responsabili della fermata improvvida, piangono frastornati. Giusto la sindaca dice la verità: che è tutta una baggianata. E i giudici non sanno che fare. Archiviare non possono – e i social poi?

Idea del Nord
“The Idea of North” è un libro di un professore di Aberdeen, Leida e Warwick, Peter Davidson. Uno che spazia tra Olanda e Islanda, noto per altre pubblicazioni analoghe, sui tesori del Nord - edite da una Reaktion Books, ma non importa. Pubblica per la Scozia, in prevalenza, e per gli inglesi del Nord. Nell’“Idea del Nord” fa la cronaca di una lenta escursione in queste due aree. Dopo un viaggio mentale attraverso le “figure del Nord”: la pittura olandese invernale del Rinascimento, i paesaggi romantici tedeschi, fantasmi, trolls, saghe, ghiacci, interni, la mezza estate Baltica, i “regni di Zembla e Naboland” (il Nord di Nabokov).
Un esercizio probabilmente risarcitorio, come una rivendicazione dello schiavo. In questo senso Davidson dice  il Nord un “di più”, di “assoluta, difficile bellezza”. Per lo stesso motivo non sarebbe venuto in mente di scrivere una “Idea del Sud”: il Sud è, non si deve far riconoscere. Ma come “titoli collegati” (“se sei interessato a … sarai interessato a…”) l’editore suggerisce - oltre che “Natale” e “Troll” - “la mafia”, “l’ascesa del Vampiro”, “l’enciclopedia dei Bugiardi e Imbroglioni”.

La cultura del carciofo
Il protagonista di un racconto di Bianciardi segue negli anni 1970 una lezione d’inglese alla tv, in cui Jole Giannini insegna a denominare gli articoli alimentari del fruttivendolo. Carciofo, artichoke, gli riporta alla mente “che articiocco per carciofo è termine diffuso in vari dialetti del Nord, seguendo un’area di contaminazione, forse, longobardica”. E quindi andremo a cercare il carciofo in Germania, o anche solo in Svizzera, e nelle isole britanniche. Mentre è pianta italiana, di nome latino – dall’Italia poi diffusa alla Spagna mediterranea e alla Francia meridionale. Ne parla lo storico Teofrasto, IV secolo a.C.. Gli arabi, che lo scoprirono in Spagna, lo chiamarono “harsciof”, da cui il nome italiano. Ma era una derivazione dal latino “articactus”.
Se il carciofo di Bianciardi non avesse avuto le proprietà che propagandava Calindri a “Carosello”,  sicuramente lo scrittore maremmano non avrebbe avuto problemi a riportare la semantica di carciofo all’origine latina, con buona filologia.

La Principessa dell’isola dei morti
Nell’ultimo Montalbano, “L’altro capo del filo”, Camilleri ricorda, a proposito di una cotonata libanese così denominata nell’isola, la “Principessa Sicilia”.
Ci sono riscontri. La Sicilia avrebbe preso il nome da una principessa libanese “costretta a una navigazione solitaria e lunghissima per raggiungere queste coste allora deserte”, attesta Santi Correnti, “Breve storia della Sicilia dalle origini ai nostri giorni”. Che però non rinuncia all’origine nordica. Il nome facendo derivare da una radice indogermanica che suona sik, per indicare l’ingrossamento, la crescita, e in greco serve ad indicare frutti che si gonfiano in fretta, tali siké (= fico) e sikùs (= zucca), sicché il termine significa “terra della fecondità, isola della fertilità”, come in effetti è sempre stata.
Correnti non vuole rinunciare nemmeno ai neo-greci. Afferma infatti che in periodo bizantino (secc. VI-IX) si credette che il nome Sicilia derivasse da siké ed elaia, unificando il nome greco di due piante tipiche dell’isola, il fico e l’ulivo. E non è finita.
Qualcuno, aggiunte Correnti, la vuole derivata dalla voce italica “sica”,  falce: la Sicilia come terra di falciatori. È l’etimologia che Marco Terenzio Varrone, il grammatico, avrebbe privilegiato. Con la solita aggiunta che Zancle, falce, era il nome di Messina, il cui porto naturale ha forma di falce.
Da Sikelòs no, il re eponimo che al tempo di Troia condusse i Siculi in Sicilia, in aggiunta ai Sicani e agli Elimi. L’unica etimologia plausibile.
La versione di Giuseppe Maria Salvatore Grifeo è di una Principessa Sicilia un po’ diversa: “Un oracolo aveva predetto, quando essa era ancora bambina”, in un suo Regno, forse il Libano, comunque affacciato sul Mediterraneo, “che se avesse voluto sopravvivere al quindicesimo compleanno avrebbe dovuto abbandonare il Paese da sola e in barca. Se non lo avesse fatto, sarebbe stata divorata da un mostro famelico, il Greco-Levante”. Il vento, cioè, di Nord-Est – rispetto al punto accanto all’isola di Creta dove si collocava convenzionalmente il centro della rosa dei Venti.
Quando la Principessa raggiunge l’isola la trova deserta. Sgomento. Finché un bel giovane appare, che le spiega che gli abitanti sono tutti morti di peste, ma ora gli dei gentili hanno deciso di ripopolarla con gente migliore. Dunque, la Sicilia come isola dei morti.
Il siciliano mai si smentisce, nemmeno nelle favole: parlare male di sé sarà opzione di resuscitati?

leuzzi@antiit.eu

Può – vuole – l’America difenderci?

Dove attaccato, anche da forze locali, poco organizzate e equipaggiate, l’Is recede. È una tigre di carta.  Che ha prodotto e produce danni enormi. E dunque, può – vuole – l’America ancora difenderci? Quella di Obama come quella dei Clinton, o se sarà di Trump?
Forse con le armi atomiche sì. Ma nessuno ci minaccia con le atomiche. Anzi, per lo più ci minacciamo da noi stessi: dopo la fine della guerra fredda, o dopo la riunificazione tedesca che è la stessa cosa, non siamo più l’Europa del dopoguerra, unita e consapevole: trappole di ogni genere armiamo al coperto delle ambiguità.
Ma l’Europa non conta, è sempre stata litigiosa – chi la evoca come un eden di ricerca e poesia trucca le carte. Quello che conta è che l’America non ci protegge più. Su tutti i fronti che ha aperto vicino a noi e per noi non fa che perdere: Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, forse anche l’Iran dell’accordo nucleare. Sfidata da niente: dal disordine, dalla confusione, dal fanatismo, di mezzi anche limitati, limitatissimi, malgrado la favola dell’autofinanziamento con l’esportazione di greggio. In Georgia e Ucraina pure. Come già nell’ex Jugoslavia – ha vinto la guerra contro la Serbia, ma a che prezzo.
Si può anche dire che gli Stati Uniti non sanno proteggere nemmeno se stessi, dalle Torri Gemelle a Orlando, e dunque. Ma Washington ha ancora la moral suasion, del mezzo secolo in cui ha tenuto duro nella guerra fredda. E ha l’Asia, con cui invece dialoga, seppure tra i contrasti, e costruisce: la Cina, il Giappone, le “tigri”. Lì sa dialogare - forse per avere controparti serie. E non fa guerre tanto per farle - a malincuore, disastrose.

Proust favolista, dello spirito

L’ennesimo esercizio sull’Autore Incommensurabile - malgrado il cattivo gusto: inzuppare il biscotto nel tè? Di tale autorevolezza che “molte persone parlavano di lui come di un uomo alto, quando in realtà arrivava appena al metro e sessantasette”.
Un ritratto di Proust non ha senso, non c’è nulla da dire in più, non in breve. White ci riesce da sornione professore di Letteratura invece che di narratore. Specie su una serie di idiosincrasie. Verso l’omosessualità, che praticava. Molto antiebraico, benché dreyfusardo. Contro gli amati genitori. Petulante in amore, insistente, da quand’era bambino – finendo per alienarsi tutti gli amati. Incostante, peraltro, capriccioso. Intellettuale più che romanziere. Molto indebitato con Ruskin, che ora si trascura.  Poco o nulla curioso, benché socievolissimo, delle vite e opere altrui. Socievole per essere al centro dell’attenzione, uno che rideva alle sue barzellette. Da ultimo forse patologicamente egomaniaco, con le continue serate che pagava al Ritz e le mance stratosferiche.
White ne propone anche una diversa lettura. Non più sociale o storica ma favolistica, allontanandosi la figura dell’autore e le sue storie nel tempo. “Viene letto più come uno scrittore di favole che come un cronista, come un creatore di miti”, afferma, forse sulla base della sua esperienza d’insegnante.  E questo ritiene che gli giovi: “Proust emerge come il supremo compositore dello spirito”.
Edmund White, Ritratto di Marcel Proust, Lindau, remainders, pp. 159 € 9