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sabato 22 luglio 2023

Le guerre della Francia all’Italia

Si tiene a Roma una conferenza sul Mediterarneo, a cui partecipano tutti. Eccetto la Francia. Per nessun motivo specifico. E il pensiero va alla storia. Che vede l’Italia legata alla Francia in tutto quello che fa i suoi punti deboli, la cultura burocratico-giuridica (poco si è diversificato, forse solol l’Antitrust, costruito sull’esempio della Germania Federale), e la Costituzione modellata per la aprteb politica (palamento e governo) sulla Quarta Repubblica. E sempre trattata ostilmente dalla Francia.
L’unico torto dell’Italia alla Francia è la guerra di Mussolini nel1940 – risolta peraltro con l’occupazione benevola di parte del Sud, molto libera rispetto a Vichy, per esempio nella protezione degli ebrei. A fronte di ua storia millenaria di invasioni e soprusi. A  partire da Carlo Magno, dai Normanni, dagli Angioini – quelli dei Vespri Siciliani. Con l’invasione di Carlo VIII, con cui la sifilide dilagò e cominciarono le ruberie di oggetti d’arte e altri tesori, e le successive “guerre italiane”, di Luigi  XII e altri. Ruberie che Napoleone portò a vertici vertiginosi.
Anche nel Risorgimento si deve alla Francia la fine della Repubblica Romana e la protezione dello Stato della Chiesa - sarebbe stata un’altra Italia con Roma subito dentro. L’armistizio di Villafranca, un voltafaccia di Napoleone III l’11-12 luglio 1859, dopo le vittorie di Palestro e Solferino, a fine maggio e a fine giugno, e il susseguente trattato di pace di Zurigo del 10 novembre,  lasciavano all’Austria il Veneto e le città lombarde di Mantva e Peschiera, capisaldi del “Quadrilaero”, e Modena, Parma, Toscana e le Romagne (con Bologna e Ferrara) ai vecchi sovrani – nela prospettiva di un’Italia confederata presieduta dal papa.
L’unità si farà un anno dopo con i Mille, cioè con l’Inghilterra. Un’unità seguita da varie guerre economiche da parte francese, e dalla spinta forzosa verso gli Imperi centrali. Da ultimo, per farla breve, la guerra pretestuosa voluta dalla Francia contro la Libia nel 2011, per aprire una ferita nel fianco meridionale dell’Italia: non si dice, ma quella guerra non aveva e non ha avuto altro effetto. Per non dire della politica sprezzante delle acquisizioni: la Francia può comprare tutto in Italia, banche, assicurazioni, telefoni, moda, cantieri, anche la Fiat, senza pagarla, a scambio azioni, nessuna acquisizione italiana è andata a buon fine - ha fatto eccezione Luxottica con Essilor, ma facendosi francese.

L’Italia di Zaki

Patrick Zaki rifiuta il volo di Stato. Potrebbe dire per non profittare dell’Italia. Fa invece dire, o lascia dire, per non dover ringraziare il governo.
Va bene anche così, fa quello che vuole. Ma si può ora anche dire che il suo è stato ed è un modo di stare a fronte del Paese di accoglienza che si fa solo con l’Italia. Ha creato un problema fra l’Italia e l’Egitto (che peraltro ne hanno di veramente gravi, l’assassinio di Regeni) con una fake news sulla persecuzione dei Copti. Si dice: la libertà di espressione. Ma non si può giocare su una convivenza religiosa, pacifica.  
Si tralasci pure questo, l’oggetto del suo processo. Ma Zaki è uno che dopo avere impegnato diplomazia e interessi dell’Italia per un suo (non) problema, ora non vuole essere riconoscente. Questo succede solo con un Paese come l’Italia: poteva anche scusarsi e ringraziare, non il governo, l’Italia. Lui no, sa poco o nulla dell’Italia e non intende imparare, nemmeno la lingua.
L’Italia del resto lo ha proclamato cittadino, con voto parlamentare. E lo ha addottorato, non sappiamo per quali studi, a pieni voti - in che lingua, massonica? Una ventina di città lo vogliono cittadino onorario. Lo avremo presto parlamentare - in inglese?

L’emigrazione è un’avventura – dei forti

È il terzo volume della serie che che Hervé “Baru” Barulea, figlio di immigrati, maestro riconosciuto del fumetto di scuola franco-belga, dedica agli immigrati italiani in Francia. Una storia “eterna” in Francia da un secolo a questa parte, e sempre violenta, oggi con gli africani come un secolo fa con gli italiani.
Un fumetto “storico”, che Baru ha costruito su una documentazione solida, di eventi e personaggi. In chiave naturalmente di protesta e di riscatto – la serie, di tre volumi, nell’originale reca il titolo “Bella ciao”.
I personaggi sono “veri”. In situazioni “vere” – la siderurgia e le miniere belgo-lorenesi. Con il loro carico di oppressione e di morte, e di un  prolungato isolamento. Nel caso dei suoi nonni, attesta Baru, fu un’insistita richiesta di tornare alle origini nelle Marche, per esservi sepolti. Desiderio che non fu possibile esaudire, neanche questo.
Una storia però non rivendicazionista o asfittica: ci sono le tragedie e c’è la nostalgia, ma c’è anche l’orgoglio dell’integrazione, della patria acquisita, in guerra e oltre. E ci sono ricette, banchetti, feste, canzoni, familiari e di ogni occasione, tra parenti vicini e lontani. Baru, del esto, per quanto legato ai noni paterni  e all’Italia, non sa l’italiano: il padre, figlio di emigrati dalle Marche, aveva sposato una bretone, e la saldatura si è presto fatta.
Il curioso, nota Baru in un’intervista che accompagna la pubblicazione, è che “il prezzo pagato dagli immigrati italiani per mimetizzarsi nella società francese è la negazione della violenza che è stata loro inflitta”. Nell’immigrazione, come negli altri paradigmi della  storia dei popoli, tante ferite si producono, che poi si ricuciono – e l’emigrazione è un ferita dei forti (determinati, caparbi, avventurosi).
Baru, A caro prezzo, Oblomov, p. 136, ll. € 22

venerdì 21 luglio 2023

Problemi di base amorosi ter - 758

spock


“L’amore è la prima parola di Dio, il primo pensiero che veleggiò per la sua mente”, K. Hamsun, “Victoria”?
 
“Quando Dio disse: «Sia fatta la luce!», l'amore fu”, id.?
 
“L’amore fu l’origine del mondo e il suo dominatore”, id.?
 
“Ma tutte le sue strade sono piene di fiori e di sangue, di fiori e di sangue”, id.?
 
“Invecchiare non significa solo rimuovere: è anche rinnovare”, id.?

spock@antiit.eu

Voltaire giornalista

Una proposta di testi leggeri di Voltaire. Nel presupposto, come diceva Valéry, che molto lo aveva in confidenza, che dopo i sessant’anni ancora dice qualcosa. Dopo i sessant’anni suoi, di Voltaire. Che prima invece era stato autore di un’abbondante produzione di tragedie in cinque atti, in versi, e di storie prolisse.
I titoli dei “pezzulli” sono invoglianti: “Dell’orribile pericolo della lettura”, “Siate conformisti”, “Donne, siate sottoposte ai vostri mariti”, “Fino a che punto bisogna ingannare il popolo”, “Dialogo del cappone e della pollastra, “Le tribolazioni dei poveri letterati(gens de lettres)”. Con le ennesime caricature dei grandi nemici, Legrand de Pompignan, e Jean Fréron (“Le pauvre Diable”) - “vermicello del culo di Desfontaines”, altro critico avverso a Voltaire.
Oggi forse impubblicabile, troppo “scorretto”. Il precetto delle donne andrebbe a segno: è di san  Paolo e non di Maometto. Quello del titolo è invece di un populista patriottardo, quale se ne trovavano a destra e a sinistra in Francia dieci anni fa, quando la raccolta è stata pubblicata: un’invettiva contro Maometto e l’islam, che vogliono l’ignoranza. Ma ce n’è anche per i secoli bui, l’undicesimo, impegnato in un “disputa degli stercoristi”,  di un’Europa incolta e ignorante, che per curarsi doveva andare dai mussulmani. Contro i gesuiti, naturalmente, qui impegnati a imporre l’“amore puro”. Contro gli stupidi e la stupidità. E contro la guerra: contro la guerra sempre, dal primo all’ultimo scritto, tanto è insensata – “più se ne ammazzano, e più se ne presentano”. La guerra è anche ridicola: “È ridicolo credere che Romolo abbia celebrato dei giochi in un miserabile villaggio fra tre montagne pelate, e abbia invitato a questi giochi trecento ragazze del vicinato per rapirle”, “Carlo Magno fece la guerra trent’anni ai poveri Sassoni per un tributo di 500 vacche”.
Ma non si ride con Voltaire. Anche sorridere, si fa poco: la sua sferza è insistita, prolissa, ripetitiva. Risentita più che ironica. Al meglio, quando non c’è motivo personale, è Gramellini nel suo diaio delle bêtise – uno strano effetto: Voltaire giornalista?
Voltaire, De l’horrible danger de la lecture, Flammarion, p. 183 € 6

giovedì 20 luglio 2023

Letture - 526

letterautore


Sibilla Aleramo – Lo pseudonimo è anagramma di “amorale” nella presentazione che Silvio Raffo alla riedizione delle poesie di Aleramo, da lui curate vent’anni fa. La biografia, pur ampia, di René de Ceccaty si era limitata a delinearne il carattere impetuoso, da virago. Partendo naturalmente d all’episodio che ne segnò la vita, il rapporto (subito? consentaneo?) a 15 anni con un dipendente del padre, col quale un anno si sarebbe sposata, pur non essendone rimasta incinta.
 
Cinema - Decretandolo arte del Novecento, “non più parte delle nostre vite”, Cazzullo fa sul “Corriere della sera” questa lista memorabile del secolo del cinema: “Io direi: Stanley Kubrik, Peter Weir, Ridley Scott, John Madden, Christopher Nolan”. Pur premettendo: “Ognuno ha la sua classifica”. Ma non si è perso il meglio?
 
Fantascienza-gialli – Vladimir Nabokov, che non amava i due generi, ne sintetizza così le debolezze  (in un racconto fantascientifico, “Lance”…. – il suo unico): “La stessa specie di tristemente pedestre scrittura, con tonnellate di dialoghi e quintali di calcolato humour”. Una scrittura di clichés: “I clichés, si capisce, sono mascherati; essenzialmente sono gli stessi attraverso tutta la materia di lettura a buon mercato, che attraversa l’universo o il tinello”.
 
Incipit – Sono l’unico, si può dire, riferimento letterario delle residue critiche novellistiche nei media. Esito probabilmente dei passaggi al giornalismo dei redsttori editoriali. D’Orrico, joker della narrativa per i periodici del “Corriere dela sera” ne fa la celebrazione sull’ultima “Lettura” bocciando i cinque finalisti del premio Strega, con due 3, due 4, e un “quasi sei” – a Maria Grazia Calandrone, “”Dove non mi ha portata”: “Di mia madre, ho soltanto due foto in bianco e nero” (“quella virgola strangola la frase”). All’opposto, quali incipit magistrali, “anni luce lontani”, D’Orrico propone Ammanniti, premio Strega 2007 (“Come Dio comanda”): “- Svegliati, svegliati, cazzo!”. E Volponi, Strega 1965 (“La macchina mondiale”): “Il mio pensiero e la mia memoria, le lacerazioni che si producono all’interno, nel tracciato della mia macchina e nell’accensione dei diversi commutatori, mi tengono anche vicino alle cose e ai fatti che camminano intorno a me”, e cosi via per altre quattro righe. “Questi sì che sono incipit che stregano”, commenta D’Orrico. Ma non si capisce se scherza.
 
Impazienza – “Per impazienza Orfeo perse E uridice”, J. P. Sartre, “Le parole”, 189. Ma non solo Orfeo: “Per impazienza”, continua il filosofo, “mi sono perso spesso. Sviato dall’inattività, mi capitava di ritornare alla mia follia quando avrei dovuto ignorarla, metterla da parte e fissare l’attenzione sulle cose esterne”. Sartre si riferisce a periodi in cui la noia lo dominava, lo scarso o nessun interesse.
 
Italiano – Ritorna in musica, in ambiti e aree quanto di più lontano dall’Italia, storia e cultura -  mentre i musicisti italiani prendono nomi quanto di più remoto dall’italiano, dalla declinazione e dal senso. Sul solco degli Abba, il gruppo svedese, il cui maggior successo è “Mamma mia”, da un paio d’anni cresce “Amapiano”, la house music, o musica dance, sudafricana – la “danza del futuro”. Che si fa strada da un paio d’anni, lieve e sensibile come il nome: un mix tra l’house sudafricana e il rhytm and blues – “il battito del cuore dei giovani”.
 
Paul Nizan – È mefistofelico, per il suo grande amico Sartre. Infine a scuola, passati i dieci anni, alla media del liceo Heny IV di Parigi come esterno, Sartre, figlio e nipote fino ad allora solitario,  scopre la vita in comune dei ragazzi, con grandi spassi e grandi amicizie. In particolare con il bello e buono e bravo della classe, di nome Bénard. Che però, come nei migliori romanzi con i quali Sartre aveva convissuto, “alla fine dell’inverno morì”. Il cordoglio non fu di facciata. Fino al giorno in cui in classe, durante la lezione di latino, “la porta si aprì, Bénard entrò, scortato dal bidello, salutò Durry, il professore, e si sedette. Riconoscemmo tutti i suoi occhiali di ferro, la sciarpa, il naso un po’ adunco, l’aria di pulcino freddoloso”. Il professore chiede al nuovo venuto di presentarsi. “Bénard rispose che era semi-convittore, figlio di ingegnere, e che si chiamava Paul-Yves Nizan”. Sartre non demorde, e alla prima ricreazione ci fa amicizia. Senonché “un dettaglio  minimo fece presentire che non avevo da fare con Bénard ma con col suo simulacro satanico: Nizan era strabico” - ma non lo era anche Sartre?
I due diventeranno veramente amici, spiega subito Sartre, molti anni dopo, all’Ècole Normale, “dopo una lunga separazione”, ma anticipa i problemi di questa amicizia, in una lunga pagina: “Era troppo tardi per tenerne conto”, del diavolo nello sguardo, “avevo amato in questo viso l’incarnazione del Bene, finii per amarlo per se stesso. Ero preso in trappola, la mia propensione per la virtù mi aveva condotto ad amare il Diavolo”. Un diavolo particolare: “A dire la verità, lo pseudo Bénard non era molto cattivo: viveva, ecco; aveva tutta le qualità del suo sosia, ma appannate. In lui, il riserbo di Bénard virava alla dissimulazione: sconvolto da emozioni violente e passive,non gridava ma l’abbiamo visto sbiancare di colera, balbettare.; quello che prendevamo per dolcezza non era che paralisi momentanea; non era la verità che si esprimeva dalla sua bocca ma una specie di oggettività cinica e leggera che ci metteva a disagio, perché non ne avevamo l’abitudine e, benché adorasse beninteso i genitori, era l’unico a parlarne con ironia”.
 
Pasolini – Rimandato in quinta, benché fosse alunno diligente e bravo (“lodevole” in tutte le materie). Perché in casa parlavano in dialetto? Si spiega anche la prima poesia in friulano.
 
Paternità – Nel memoir “Le parole” Sartre, inizialmente sicuro che il padre assente, all’interno della sua “famiglia” allargata che era materna, essendo morto subito dopo averlo generato, fosse la causa del suo Superìo di fanciullo solitario e isolato – uno che ha vissuto di libri, alla maniera di don Chisciotte. Poi ci ripensa, è la sua mancanza che lo isola: “Un padre mi avrebbe liberato di alcune ostinazioni durevoli: facendo dei suoi umori miei principi, della sua ignoranza il mio sapere, dei suoi rancori il mio orgoglio, delle sue manie la mia legge, mi avrebbe abitato; questo rispettabile locatario mi avrebbe dato del rispetto per me stesso”.

Roma – Ogni quartiere è un altro, ogni pochi anni: la geografia urbana muta costantemente, rapidamente – a differenza dei paesi, che invece perpetuano i caratteri. I Parioli fascisti sono da una generazione ormai saldamente Pd. Trastevere dei ladroni ancora trent’anni fa è un quartiere ora intellettuale e quasi culturale – non fosse che di notte diventa una mangiatoia. San Lorenzo, a lungo ribollente di ogni “alternativa”, di teatro off, di musica pop e di sballo, strapieno di giovani (studenti fuori sede), è ora smorto, sembra vuoto – orfano e muto.  Il Pigneto, modesta immigrazione calabrese, di artigiani, è da trent’anni il quartiere off-off, il più in. Garbatella, tranquillo quartiere (“mussoliniano”) di piccola borghesia, scoperto dai “Cesaroni” in tv, cresce esponenzialmente, nell’immobiliare e nella gastronomia - già da anni, ben prima di Meloni. 

letterautore@antiit.eu

Troisi ricomincia da sé

Due ore di cinema documentario ma vispe come un film a soggetto. Grazie alle scene dei film di Troisi che lo animano, e alle testimonianze. Specie quella, poco o nient’affatto abituale, di Anna Pavignano, la scrittrice torinese che fu per un tempo la compagna di Troisi, e la coautrice dei suoi fim migliori, “Ricomincio da tre” (1981), “Scusate il ritardo” (1983), “Le vie del Signore sono finite” (1987), “Pensavo fosse amore… invece era un calesse” (1991), “Il Postino” (1994). Che dà ragione dei personaggi femminili fuori cliché dei film di Troisi. E poi c’è Troisi, la sua faccia e le sue battute.
Per questo aspetto, del Troisi-che-non-vuole “fare il napoletano”, particolarmente rinfrescante in questo momennto di napoletanitudine invadente, tra scudetto, il ministro Sangiuliano, e il ritono dei turisti. Di Troisi che a Firenze vuole essere in vacanza, “partenopeo e… parte fiorentino”. Curiosamente, Troisi riesce ancora a bilanciare Martone, anche lui in vena di napoletanitudine – con l’insistito incongruo assunto che nel Golfo nacque in quegli anni una nouvelle vague cinematografica italiana, e da Napoli si espanse nel vasto mondo.
Non è la sola incongruenza. Martone, che pure è uomo di teatro, sa cioè che l’improvvisazione non paga, insiste sulla semplicità e naturalezza della comicità di Troisi. Come se fosse un attore di strada fortunato. Mentre ogni mimica, ogni pausa, ogni parola della “semplicità” e “naturalezza” è opera d’arte, va coltivata, costruita, provagta, azzardata.
Funziona invece l’altra idea di Martone: legare la filmografia di Troisi, benché limitata, all’opera di  di Truffaut. Come un lungo racconto, a episodi, di se stesso e del mondo verso se stesso. Che è comunque ipotesi vera, e àncora Troisi saldamente, fuori dal cabaret, dalle battute, nella comicità classica.  La vera Napoli si penserebbe questa, troppo scafata per non essere misurata.
Mario Martone, Laggiù qualcuno mi ama, Sky Cinema Due, Sky Documentaries, Now

mercoledì 19 luglio 2023

Problemi di base amorosi bis - 757

spock

 

“L’amore può rovinare un uomo, risollevarlo, e marchiarlo a fuoco di nuovo”, K. Hamsun, “Victoria”?

 

“Può amare oggi me, domani te, e un altro la notte dopo, tanto è incostante”, id.?

 

“Ma può anche resistere come un sigillo indistruttibile e fiammeggiare inestinguibile fino all’ora della morte, tanto è eterno”, id.?

 

“Quindi, com’è l’amore?”, id.?

 

“Ahimè, l’amore rende il cuore dell’uomo una fungaia, un giardino lussureggiante e insolente, dove crescono impudenti funghi misteriosi”, id.?

 

“No, non è neppure questo, è tutt’altro, nulla al mondo gli somiglia”, id.?

spock@antiit.eu

Diavoli, o angeli

Il racconto di un sogno. Di una visita o smarrimento nella cattedrale di Autun, “la nostra cattedrale”. O più facilmente la lettura in sogno di un “testo-guida” alla cattedrale e al suo celeberrimo portate, “la ricca opera dell’abate Denis Grivot, Maestro di Cappella della Cattedrale di Autun” - da cui i  riferimenti alla “nostra cattedrale”. Di una poetessa, narratrice e critica letteraria italiana attiva in Francia, collaboratrice di “Critique”, la rivista di Bataille poi diretta da Jean Piel, dei “Temps Modernes” di Sartre e De Beauvoir, e infine di Deleuze e Guattari, della loro rivista “Chimères” (“rivista delle schizoanalisi”). Un racconto scrtto in italiano, unico libro mai pubblicato dalla scrittrice – a opera di Jacqueline Risset, la poetessa traduttrice della “Divina  Commedia” in francese, francesista allora, vent’anni fa, influente alla Sapienza.
Una forma di scrittura in automatico, quale si è tentata in Francia per mezzo secolo, dai surrealisti a Sollers e Guattari. Per associazioni di immagini. Per immagini insorgenti, accostate anche se non correlate - non necessariamente in sogno: accostate anche a occhi aperti, in forma di sogno. Di cui è paradigma, fra le tante immagini-storie insorgenti, la morte casuale di Caino, personaggio pure tanto conseguente, dopo essere stato dimenticato dalla Bibbia. Caino muore vecchissimo “di centinaia e centinaia di anni”, quando un giovane Tubalcaino, figlio di “uno dei suoi innumerevoli discendenti di nome Lameche”, che, “vecchio e cieco continuava ad andare a caccia”, indirizza l’arco del padre verso qualcosa che si muove tra le foglie fitte, e la freccia trapassa il collo di Caino.
La visione-racconto di un sacro molto profano. Nell’“opera-guida” e nel portale  di Gislebertus – 29 blocchi di pietra calcarea, scolpiti indipendentemente, prima di essere giustapposti. Forse i diavoli sono il male, come vuole l’“opera-guida”. O forse no, come dicono le fiabe, quelle di Esopo, tradotte da Fedro, “due schiavi”, che Agostino vorrà materia cristiana. O forse è un “intatto, disperato, fatale  dismemorarsi davanti ai prati in fiore e agli ori del Paradiso del Beato  Angelico”, nel pur “gelido convento di San Marco a Firenze”. Un altro mondo, anch’esso cristiano.
Antonella Santacroce, Diavoli e dannati, Sellerio, pp.77 €

martedì 18 luglio 2023

A Sud del Sud -. il Sud visto da sotto (531)

Giuseppe Leuzzi


La scoperta del Sud
Emanuele Farneti, già “Vogue Italia”, direttore di “d”, il femminile di “Repubblica”, può dedicare l’ultimo numero al Sud. Partendo da una lunga serie di constatazioni. Lo scudetto del Napoli, il traffico aeroportuale che “cresce a doppia cifra”, “i neologismi (Salentoshire, Notoshire), e il lungo boom immobiliare. Le sfilate di moda. Le popstar internazionali che cantano canzoni di idoli locali. Ci son i set in cui si girano i prossimoì blockbuster. Le startup. Le basi spaziali. I matrimoni dei vip. Le masserie che aspettano il G7. Gli innumrevoli nuovi luoghi dove dormire, mangiare, ballare”. Insomma, non è detto.
In più ci sono i festival, gli eventi letterari, i teatri, greci e di strada, i buen retiro di stelle e vip, anche simpatici. Quindi, anzi, non si vede perché il Sud sia sempre sud. Nomi e eventi si moltiplicano, Dior, Gucci, Dolce & Gabbana, Madonna, Mick Jagger. E i luoghi sono indubbiamente del Sud, anche se qualche manager e imprenditore viene da Milano.
Resta da dire che la “scoperta del Sud” è opera, episodica, di giornali inglesi, e americani. Il “Guardian”, il “Wall Street Journal”, il “New York Times”. Che hanno bisogno di diversificare le mete turistiche – i lettori vogliono novità. Uno ha consigliato un anno la cucina calabrese (sic!), un altro la Sicilia, un altro il Cilento. Il Salento lo hanno scoperto gli inglesi, come residenza alternativa alla costosa (burocratica, censoria) Toscana. La Sicilia i produttori di “White Lotus”, la serie che ci ha portato Mick Jagger e tutti quanti – un’idea di Barbara Salabé quando gestiva Hbo-Warner Bros Europa.         
E che la scoperta non è nuova, veramente. La scoperta del Sud era uno dei pezzi forti del “Grand Tour”, dei viaggi inglesi, tedeschi e francesi avventurosi, nel Sette-Ottocento. Di avventure per lo più immaginarie. Più spesso delle signore, giovani o in età, per la penna delle quali il Sud diventava luogo obbligato di azzardo, con i briganti e senza – “ci volevano rapire i briganti, però…”. Forse il problema del Sud è proprio la scoperta, essere stato scoperto - essersi lasciato scoprire. Nel Sei-Settecento, anche nel primo  Ottocento, a Napoli e Palermo si facevano incontri e si tenevano conversazioni come a Parigi o a Vienna – Berlino ancora “non c’era”, Londra aspettava Dickens, pagandosi qualche musico tedesco bisognoso. Le scoperte si fanno a danno degli indigeni, li cancellano.
 
Restanza e abbandonologia
Restanza (Vito Teti) e abbandonologia (Carmen Pellegrino), il “Sud floreale” di “d” non manca di agudezas, anzi ne abbonda.
L’abbandonologia è una scoperta. Doppia: si scopre che esiste da tempo, è scienza canonica. E già un mestiere, “abbandologo”, registrato dalla Treccani tra i neologismi. Conio di Carmen Pellegrino, sia la parola che il mestiere. Di cui Treccani dà questo ritratto, tra i riferimenti del termine: “Giovane, molto bella, vive a Napoli. Scrive i suoi post su facebook, sono drammatici oppure evocativi. Racconta di luoghi mai visti, galleggiano nella sua stranissima percezione del mondo…”.
Teti, antropologo, con ottime ragioni. Che ha esposto nel lungo saggio dal titolo “La restanza”, qui censito. Sullo speciale “d” le sintetizza così, in polemica con i piani di ripopolamento, di Badolato, o Riace: “Vendere le case dei borghi a un euro significa non capire che, per la gente che le abitava, erano axis mundi, luogo degli affetti familiari e del succedersi delle generazioni, rifugio e sicurezza… Anche a voler sovolare sul concetto di casa-mondo, la casa a un euro è un espediente che nasconde il desiderio di cancellare il paese come comunità e di fondare un non-luogo senza relazioni… Restare è una scelta, e deve avere delle forti motivazioni sociali e antropologiche”.
E se le motivazioni non ci sono? Non molte? O la demografia, soprattutto, fa difetto? Restare così, in astratto, senza abitanti, senza vicini di casa, qualcuno con cui scambiare qualche parola? Fare la guardia al bidone? Anche solo a voler salvare la memoria – che di per sé non è sensato: per chi, per che? Incrostare la memoria non ha senso, se non c’è chi memorizzi compartecipando, combinando. Anche col silenzio, il “traudire” di Praz, la “stanza accanto” di Vernon Lee.
Le case dei borghi a un euro in Abruzzo o in Sabina hanno salvato molti paesi. Nel senso che permettono loro di sopravvivere, con poche differenza peraltro – il “carattere” rimane, e i servizi, dalla spazzatura alla rìstorazione e alla sanità e socialità. Li hanno ripopolati, quindi hanno riattivato strade, servizi, ambulatori, perfino ospedali. Il territorio è rifiorito, più verde, meglio servito, più contento di se stesso. I luoghi si rigenerano, sennò che storia sarebbe
 
Ma la mafia non si spia
“Le intercettazioni con i trojan sono poche e indirizzate contro le mafie”, titola “Il Sole 24 Ore”. Dando i numeri sugli ascolti forniti dal governo. Che, attesta il giornale, “sono solo il 3 per cento del totale”, del totale degli ascolti, delle intercettazioni. Anche  se “il confronto con gli altri paesi attesta la centralità dello strumento investigativo”. Trojan è il virus informatico che opera come il cavallo di Troia, senza che la persona spiata se ne possa accorgere.  
“Se il totale delle intercettazioni nel 2021 totalizza 94.886 «bersagli (il che non equivale ad altrettanti indagati, visto il più che probabile possesso di più di un’utenza da parte della medesima persona), quelle effettuate col virus informatico sono 2.896”.
Le intercettazioni, con trojan o senza, sono poche, sono molte? Sono molte. In Gran Bretagna sono nell’ordine delle migliaia, e la diffusione di materiale intercettato non autorizzata è punita con un anno di carcere e una multa illimitata. In Francia le intercettazioni sono disposte da un giudice e non dal pm. In Germania l’intercettazione è ammessa per “sospetto di reati gravi” all’esterno dell’abittazione\ufficio, all’interno per reati “gravissimi” – può essere presa dalla Procura ma un giudice deve confermarla entro tre giorni. Negli Stati Uniti si fanno duemila intercettazioni l’anno, poco più. Ma soprattutto è curiosa in Italia la distribuzione dei trojan, quelli del 2021, come documentata dal “Sole”.
Il “numero dei bersagli per distretto” nel 2021 è stato di 40 a Palermo, e di 220 a Brescia. Numeri come uno se li aspetta, riferendosi alle mafie, sono quelli di Napoli, che capeggia incontestata anche questa classifica, con ben 563 “bersagli” nel 2021. Seguita da Reggio Calabria con 264, e da Catania con 209. Ma Reggio Calabria va di pari passo con Roma, 263 “bersagli”, che ha una popolazione di oltre dieci volte quella del distretto giudiziario reggino. Mentre Catanzaro, dove la Dda, la procura antimafia, è diretta del terribile Gratteri, con migliaia di carcerazioni l’anno, è la meno “bersagliata”, 12 trojan in tutto – veramente all’ultimo posto viene Trento, con zero “bersagli”, ma Catanzaro è subito sopra. Cosenza dev’essere immune dalle mafie, non figura nella distribuzione dei “bersagli”. Come la pur disastrata, nelle cronache, Foggia. Torino invece e Bologna sono tra le città più pericolose, con 139 e 134 trojan.   
 
Il Brancati cancellato
Si parla di Brancati solo nelle lettere al direttore. Lorenzo Catania, che evidenzia il contrasto tra la professione di fascismo dello scrittore, in udienza nel 1931 da Mussolini, e i romanzi che in quegli anni veniva pubblicando e lo avevano reso celebre, “per ridicolizzare il mito della virilità propugnato con enfasi dal regime e la stupidità del suo attivismo”, trova spazio solo nelle lettere al direttore, un po’ compresso (tagliato), del “Corriere della sera”.
Lorenzo Catania vorrebbe anche correggere una svista nelle crono-biografie redatte per le “opere complete”, Bompiani dapprima e poi Mondadori, che danno Brancati in visita da Croce nel 1947, con  Sandro De Feo, “per «riparazione» della visita effettuata nel 1931 a Mussolini”. Mentre Croce, nei “Taccuini di guerra” riediti vent’anni fa annota semplicemente, 29 novembre 1945: “Visita del De Feo e di V. Brancati e conversazione”.
Di più Brancati non merita.
 
Puglia
“Bruciare ulivi e idee scientifiche”, Paolo Bricco può intitolare sul “Sole 24 Ore Domenica” lo sterminio degli  ulivi secolari in Puglia a causa del virus xylella. Per lo più nel civilissimo Salento. Per ignoranza – basandosi sulla ricerca di Daniele Rielli, “Il fuoco in visibile. Storia umana di un disastro naturale”: 21 milioni di ulivi sacrificati secondo il Cnr, 22 milioni secondo la Coldiretti.
A causa di sciocche “narrazioni” complottiste e negazioniste. Non si crederebbe, poiché per moltissimi è stato un danno grave e gravissimo, ma è quello che è avvenuto. Del tipo: è l’Europa che vulole tagliarli, “probabilmente per sostituirli con ulivi transgenici della multinazionale Monsanto”. Per cui non si è fatto quello che si doveva fare, o altrimenti in ritardo.
 
Convinti che “esperti contadini”, direbbe Bricco, “erano in grado di curare gli ulivi secolari con metodi naturali e antichi e ciononostante l’Europa voleva tagliarli” (Monsanto) erano i magistrati. Bricco e “Il Sole” non osano colpevolizzarli, ma registrano che “il pattern degli interrogatori” degli esperti non cambia mai, è costruito attorno all’ipotesi che la xylella è endemica, e quindi non c’è da preoccuparsi. Scrive Rielli: “I magistrati ricordano che lo Stato li paga per fare le domande, ma leggendo la trascrizione mi chiedo quanto stiano poi anche ad ascoltare le risposte”. Bell’affare.
 
Gli stessi giudici che volevano la chiusura del siderurgico di Taranto ora sono in pensiero che non arrivino all’impianto i soldi previsti dal Pnrr. Che l’impianto debba chiudere. Gli stessi giudici, non sono cambiati.  In questo senso sì, la Puglia può ambire a essere Milano.
 
Mostre e festival a Vieste. La cucina a Rodi. Monte Sant’Angelo e la Foresta Umbra, primissima riserva naturale. Rilanciare il mare del Gargano, che era stato scoperto dall’Eni sessanta o settant’anni fa - sulla traccia Aga Khan-Porto Cervo. Fare molto terzo settore, delle anime pie, coi soldi del Comune, della Provicia. Creare una o due “buone notizie”, al mese se non a settimana. Aprire il palazzo o museo Arbore. Si agita Foggia, l’ex Tavoliere d’Italia, per non annegare quale “grande Rosarno”, sfruttatrice degli immigrati e mafiosa. Con molte speranze appese al film che vi ha girato Omar Sy, l’attore francese, “Pins and Needles”, con 500 comparse locali, dei Fossi d’Arcadia, sui monti Dauni. Cosa (non) bisogna fare per sopravvivere. E sempre la Federazione Calcio trova un motivo per non ammettere il Foggia in serie B, in corsa per la A, che pure ha avuto un  passato illustre, del miglior Zeman.
 
Presiede la Federazione Calcio, in questi anni di purgatorio del Calcio Foggia 1920, Gabriele Gravina, che è pugliese. Ma è di Castellaneta, Taranto. Che è dire un altro mondo da Foggia. Il tribalismo esiste per escludere, oltre che per includere.
 
Sempre parlando di Foggia in cerca di rispettabilità, si dà per scontato che la Puglia è la capitale del caporalato. Mentre non lo è – non più che altre regioni, anche la Liguria e il Veneto o il piacentino, fiori, pesche e pomodori. È però certamente il luogo dove il caporalato viene denunciato.
 
Il Salento, viceversa, ha fatto un balzo al vertice, economico e di stima, ricercato. Malcom Pagani, che pure non deve avere molti anni, se lo ricorda polveroso e remoto, “un avamposto estremo, una Gibiltera italiana, un confine quasi metafisico”. Fino a Bari ok, poi la “lunga Marcia”: “A Bari si scendeva e iniziava un altro viaggio. Una volta a Lecce, poi, le Ferrovie dello Stato, oggi come allora, cedevano lo scettro alle Ferrovie Sud Est”, che arrivavano quando potevano – immortalate vent’anni fa nel film di culto ”Italian Sud-Est”. La storia si fa.
 
“L’immagine internazionale della regione è profondamente cambiata”, può sintetizzare i suoi reportage la rivista “d”: “A partire dai nomi con cui è conosciuta: Pugliawood, Murgia Valley, Silicon d’Itria,  Grottangeles”. Con commento: “Nell’eterno derby tra il barese e il leccese, da tempo ha vinto un terzo incomodo, l’inglese”. Casa di Helen Mirren, Francis Ford Coppola, Dépardieu, Meryl Streep, Malkovich, forse Clooney. Le sfilate “storiche”, scenografiche, di Dior, Gucci, Dolce & Gabbana.  E le faraonate dell’“Apulian Wedding”, per miliardari.


David Ferrie, uno degli strambi personaggi che complottarono l’assassinio Kennedy nel 1963, porta il killer designato, Lee Oswald, nel docuromanzo “Libra” di Don Delillo, a casa sua. Dove, tra “centinaia e centinaia di libri di medicina, di diritto, enciclopedie, pile di reperti autoptici, libri sul cancro, libri di patologia  legale e sulle armi da fuoco”, si trova “appeso alla parete un documento in cornice, un dottorato in psicologia della Phoenix University – Bari, Italia”.

leuzzi@antiit.eu

Cipputi, o la saggezza dell’impiccato

“Animo Cipputi “ era la prima raccolta di Altan, nel 1977: “Il compromesso storico in 116 vignette”. Questo volume, il catalogo della mosta organizzata a Bologna dallo stesso Altan con la Fondazione  Mast, presenta “un racconto di 50 anni di lavoro in Italia”, con 227 opere, di cui 201 vignette originali e 26 stampe digitali. Di spirito ovvio e insieme “profondo”, durevole: vero.
Le vignette di Altan sono semplici, si sa. Uguali a se stesse. E sorprendenti, ognuna innovativa – sorprendenti nell’ovvietà. Cipputi già deluso o in età, bocca rientrata mento sporgente, occhiali, uomo d’esperienza. E la sua spalla Bersazzi egualmente renfrogné, bocca a luna calante, bazza, e in età, ma censorio, e col naso a proboscide, da pinocchio saggio. Ma ognuna innovativa, sorprendente per senso comune. Corredata di vignetta anch’essa semplice, ma fulminante. Semplice: “Più la Fiat va bene, più ci paga!”, “E più ci paga, più va male”. Delusa. “Guarda che un sacco di bella gente non va a votare!” “Beati loro”. Scherzosa: “Dice che per una vita non abbiamo capito niente”, “Siamo stati troppo spensierati, Bersazzi”.
Altan è come un direttore di giornale che ogni mattina facesse  la ramanzina ai suoi giornalisti sui fatti del giorno, come se avessero mancato l’essenziale, andando semplice e diretto al nocciolo delle questioni. Ma senza spirito punitivo o correttivo, piuttosto rassegnato. La realtà infatti è spiacevole – è fatta per deludere.
Questa rassegna di cinquant’anni sono anche di un fallimento, politico, sociale, culturale. Di chi pure sa la verità delle cose, ma non conta. La saggezza, si direbbe, dell’impiccato. 
Cosimo
Torlo, (a cura di), Animo, Cipputi, LiberArte, p. 148, ill. € 20

lunedì 17 luglio 2023

Che lingua parla Meloni

È curioso che la presidente del consiglio parli inglese e spagnolo senza accento, da anglo-americana e da castigliana, e il francese con errori minimi ma sempre di buona pronuncia, il che da solo le ha dato spessore in pochi mesi nella scena internazionale, e quando parla agli italiani accentui le nasalità della Garbatella, che la diminuiscono.
Sarà uan strategia comunicativa – avrà anche Meloni una sua politica dell’immagine, come Elly Schlein con i colori grigio topo?  È possibile che non riesca a parlare italiano senza le nasalità? Che suonano male anche a Roma.
Si dice romanesco, infatti, ma il romanesco ha molte declinazioni. Caterina Guzzanti, che ora Pilar Fogliati riprende, ne aveva rubricate una ventina, e a sentirle, alla radio, in effetti erano diverse - da qui lo spasso.
A Roma ci sono almeno quattro dialetti: a Trastevere e San Lorenzo, al Flaminio-Parioli, a San Basilio-Tiburtino Terzo, e a Testaccio-Garbatella. Più uno bastardo nelle aree a forte concentrazione d’immigrati abruzzesi o calabresi. Il romanesco è diverso, è di un umorismo garbato. Un non romano può rendersene conto con gli scrittori che hanno adoperato il romanesco, Gadda e Pasolini. Quello di borgata di Pasolini, fricchettone, accentuato, bozzettistico, è già inespressivo, da tempo. Regge il romanesco di Gadda, che è quello mediato dalla tv, del Flaminio-Parioli adattato a San Giovanni (Merulana), tra professionisti, compresi gli impiegati di concetto e le loro mogli.
Quello nasale di Testaccio-Garbatella (era quello del Mattatoio, che però è da mo’ che non ci sta più) sarà pure simpatico a qualcuno, ma è poco affidabile, quasi una mascherata. Volendo “andare verso il popolo” (era un racconto di Moravia, finiva male) tanto meglio il trasteverino, è anche quello dei poeti.  

Sotto analisi

Il linguaggio dello studio del terapista filtra nella conversazione quotidana. Stranamente ogni nuovo libro o show tv riguarda ferite psicologiche dei personaggi. Bizzarri trattamenti e regimi di auto-miglioramento rifioriscono con le stagioni. E niente, sempre titoli di angoscie e solitudini, spcialmente tra gli adoleecenti. Forse la nostra fissazione con la psicoanalisi è un sintomo oltre che un cura.
Un numero speciale, digitale, su questi e altri temi, composto da vari articoli e saggi già pubblicati sull’uso e il ruolo della psicoanalisi. Con spunti anche critici, o divertenti. “Il genitore di un adolescente è un collettore di rifiuti emotivi” è un altro tema. “Crescendo nella casa di Freud” è il racconto del figlio di due psicoterapeuti, che anche a casa si comportavano come a studio. 
“Il Mdma ridenominato” è l’ecstasy – a lungo proposta come supporto nelle terapie di Post-Traumatic Stress Disorder. Gli incerti del transfert (“Are you my mother?”), “Che fare col panico climatico”, le socio-dinamiche del cruciverba alleggeriscono la raccolta.

Al fondo “La professione impossibile”, sulla difficoltà della psicoterapia. Con la persistenza di Freud, “smascherato più e più volte” ma non eliminabile.   
The Therapy Issue
, “The New Yorker” 16 luglio, digital edition, free online

domenica 16 luglio 2023

La destra gattopardesca

Si può dire della destra italiana, al governo ormai da quasi trent’anni, oggi addirittura senza rivali, che è quella del “Gattopardo”, più che della “sindrome Fini”. Del “Gattopardo” a parti rovesciate. Che invitata dal principe Salina, un inetto che si finge saggio, tutto rosari, buffi e gelati squagliati, si presenta col berretto in mano. E anzi se ne sposa l’erede, bellimbusto senz’arte, per locupletarlo, chiedendo scusa e quasi perdono. Una destra che, pur portata con insistenza dall’elettorato, si batte sempre il petto, “non sum dignus”.
La legittimazione non finisce mai, come nel “Gattopardo”. Di fronte ai Salina di oggi, giornali che recitano il rosario e quindi nessuno più legge.
Il timore reverenziale per i giornali si direbbe buona cosa. Per l’opinione, diciamo, bisogna rispettare le opinioni. Come lo era il rispetto per il principe, vecchio, mille anni o quanti erano di storia. Ma sapendo che che è solo un fatto di garbo, di buona creanza. Invece è un complesso d’inferiorità. Che non è una buona cosa, neanche per la sinistra.
Una destra evidentemente operosa, se viene sempre votata. Ma, poi, sempre complessata. E per quanto convitata con le dovute forme al potere, sempre fuori posto. Sempre a dire scemenze – invece di limitarsi a non mangiare il gelato squagliato, se proprio non può fare a meno di andare al “palazzo”, a dire il rosario eccetera. La legittimazione nn finisce mai, ma per colpa di chi?

Ombre - 676

“Vladimir e io”, l’ennesima gaffe di Biden, a Vilnius a conclusione del vertice Nato, che ha interpellato il presidente ucraino, amichevolmente, con la declinazione russa del nome invece di quella ucraina, Wolodimir, piace pensarla come voluta – in fondo Biden leggeva da qualche gobbo. È come  “rimettere a posto” l’Ucraina. Nel senso: ci serve, facciano quello che noi diciamo. Che è la verità dei fatti – e dell’imperialismo americano, piuttosto brusco. 
 
Esce sul “Corriere della sera”, compressa in poche righe, la corrispondenza più interessante dell’inviato Cremonesi dal fronte ucraino: “L’Ucraina si svuota: da 52 milioni a meno di 30”. In parte per la guerra, ma su una fuga consistente prima: gli ucraini erano 52 milioni nel 1991, all’indipendenza,  42 milioni prima della guerra, e si sono ridotti a 29 milioni dopo. Chiunque abbia  incontrato ucraini (ucraine per lo più) emigrati prima della guerra ha avuto un solo motivo dell’espatrio: la corruzione (“non ci sono leggi, non c’è diritto, tutto si fa per i ricchi e potenti”).
 
Alla p. 139 di “Libra”, il romanzo dell’assassinio Kennedy di Don Delillo, che mescola realtà e finzione, l’ideatore del complotto, Walter “Win” Everett, ha iniziato alla Cia con “demolizioni subacquee in Puertorico e nella North Carolina”. Everett è inventato, le pratiche Cia sono quelle emerse in tanti processi. In che guerra siamo in Ucraina – dove il primo contrattacco è stato il sabotaggio del gasdotto sottomarino Russia-Germania?
 
Una causa per diffamazione è stata vinta, dopo quattro anni ma è stata vinta, dall’ex calciatore della Roma De Rossi. Contro “la Repubblica”, il giornale dei giudici. Non c’è più religione? Ma “la Repubblica” ha potuto non pubblicare la notizia.

Roberto Napoletano invece, l’ex direttore del “Sole 24 Ore”, da quattro anni in lite con l’editrice, la Consob e alcuni azionisti e dipendenti, si vede riconosciuto dall’ex proprietà un indennizzo di 200 mila, a transazione della causa civile per danni che gli era stata improvvidamente intentata – per falsificazione dei dati di diffusione. Dopo che il processo penale con gli sessi attori, più la Consob, era stato dichiarato senza fondamento dalla corte d’Appello di Roma.

Pende ancora su Napoletano la condanna a due anni e sei mesi del Tribunale di Milano, giudice Flores Tanga, pronta a scaricare sul giornalista le “false comunicazioni sociali” e la “manipolazione del mercato” che invece ovviamente sono responsabilità dell’editrice. In Appello, sempre a Milano, la Procuratrice Celestina Gravina ha chiesto tre mesi fa la conferma del giudizio di primo grado. Come farà ora la corte d’Appello a darle ragione? In alcuni  casi i giudici agiscono prontamente contro i giornalisti.  

 
Elon Musk ha deciso che ogni utente di Twitter non pagante potrà visualizzare solo 600 tweet al gioeno. Chi ha detto che non si legge più? Si legge semmai troppo – si legge soltanto, si lavora, si fa sport, si fa l’amore molto meno: 600 tweet per 280 caratteri fanno mezzo libro.
 
“Se ne devono andare, devono tornare al loro paese”, il ministro britannico dell’Interno Jenckins non si nasconde – dopo aver fatto cancellare da un centro di accoglienza un “murale” distensivo, con Minnie e Paperino. La politica di deportazioni in Ruanda, o a Sant'Elena, ancora, in attesa che le pratiche di rimpatrio coatto siano perfezionate, non lasciava peraltro dubbi. Deportazione è  ben peggio del resoingimento, è la Cayenna. Un governo ben più fascista che quello ungherese o polacco, che almeno non deportano nessuno. Anche se i giornali italiani non lo dicono (questione di logge?).
 
Janet Yellen, ministra del Tesoro di Biden, va a Pechino e assicura: “ll business con la Cina va oltre i contrasti politici”. E allora, solo l'Italia deve reciderli? Chi lo chiede, se non lo chiede l’America? Troppa stupidità nei media sulla politica estera, non da ignoranza.
 
“Stiamo usando una quantità spropositata di risorse fianziarie, che dovrebbero servire ad aiutare gli americani poveri, per combattere una guerra per procura contro la Russi”. Non ha remore la scrittrice Alice Walker, democratica convinta, a criticare la presidenza Biden, parlando con Marco Bruna su “La lettura” dell’altra domenica. In America le cose si dicono
 
“Kiev assicura: non useremo le bombe a grappolo sul suolo russo”. E dove allora? Giornalismo? Stupidità? La guerra purtroppo è brutta.
 
Margherita Cassano, Prima Presidente della Corte di Cassazione, prima presidente donna, è sdegnata sul “Sole 24 Ore” dell’altra domenica sulla separazione delle carriere dei giudici: “Valori e doti sono comuni a entrambe le carriere”. Come no.
Arrivare al vertice della magistratura non dev’essere facile. Ma si vede che Cassano si vede vivere integralmente nel mondo delle fiabe.
 
“Vince Ferrai quando Verstappen e Perez litigano”, celia il general manager di Ferrari Vasseur su “La Nazione”. Invece, il giorno dopo litigano i ferraristi, Leclerc e Sainz, e la Ferrari si fa sorpassare da McLaren, oltre che dalla imbattibile Red Bull. Ci vuole intelligenza anche a 300 all’ora.
 
Si fa sempre riferimento, quando il governo o il Parlamento vuole regolare le intercettazioni, la diffusione delle intercettazioni, all’America, Francia, Germania, Gran Bretagna, e anche Spagna perché no, cone se fossero la cuccagna delle intercettazioni, In Gran Bretagna la diffusione di materiale intercettato non autorizzata è punta con un anno di prigione e un multa illimitata. In Francia le intercettazioni devono essere disposte da un giudice e non dal pm. In Germania l’intercettazione è ammessa per sospetto di reati gravi all’esterno, all’interno per reati gravissimi – può essere presa dalla Procura ma un giudice deve confermarla entro tre giorni. Negli Stati Uniti si fanno duemila intercettazioni l’anno, poco più, in Italia “circa 120 mila”.

Il Novecento liberato, nel marmo

“Avventure artistiche tra le due guerre” è il sottotitolo anodino della mostra – “cda Sironi a Carrà, da Martini a Melotti” il blurb promozionale. Una grande mostra, che si giustifica col fatto che Carrara nel “secolo breve” del Novecento ebbe un lungo periodo di vitaltà artistica, per botteghe locali e per artisti in visita. Una mostra che in realtà libera artisti e opera occultate, come usa ancora per gran parte del Novecento, dalla falsa dialettica fascismo-antifascismo. Ci sono Lorenzo Viani e Soffici, ma ci sono anche, con l’astrattismo di Alberto Viani, il solido Novecentismo dei tanti monumenti,  a Carducci come ai Caduti.“Dal Liberty di Leonardo Bistolfi”, che ebbe a lungo bottega a Carrara ed è un po’ la star della mostra, “al Novecento di Arturo Msrtini”, spiega il programma del curatore.
Una mostra, a Carrara, finalmemte libera dagli equivoci politici. Sono anni, quelli tra le due guerre, rivendica il curator Bertozzi (già curatore del Palazzo Ducale di Massa, dove stabilì una feconda collaborazione con l’Ermitage di San Pietroburgo, dal 2015 curatore di palazzo Cucchiari, con molto Canova ma anche con Fattori, Lega e Signorini , e naturalmente molto marmot) in cui “scaturiscono incontri inconsueti e contaminazioni  impreviste, come quando nel Monumento allaVittoria di Bolzano il disinvolto eclettiamo di Marcello Piacentini resce a far convivere le forme di Libero Andreotti con quelle di Arturo Dazzi, e quele di Pietro Canonca con quelle di Artuto Wildt” – un gigante di Wildt campeggia nel manifesto e in copertina al catalogo.  
Massimo Bertozzi (a cura di), Novecento a Carrara, Palazzo Cucchiari, Carrara