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sabato 18 giugno 2022

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (495)

Giuseppe Leuzzi

Pizzo, pazzo, pezzo, pozzo, puzzo
Declinabile e ubiqua sarà nata
La violenza da un suono impuro.
Dire dare, è il linguaggio
Che si fa legge - messaggio.
 
“Pesante fardello dello snob settentrionale\ è il vecchio spleen di Onegin”, il personaggio di Puškin, nei primi versi del poeta russo Osip Mandel’stam. L’oneupmanship come snobismo, perché no. Una forma di forza autonoma, convinta.
 
Quattro impiegati della società che gestisce il centro commerciale Euroma 2 pretendevano il “pizzo” dalle aziende che chiedevano in affitto i locali del centro. Denunciati, sono stati arrestati: è semplice. Si faccia una denuncia per il pizzo a Bacoli o a Gioia Tauro, non succede niente – niente non proprio: il negozio verrà bruciato, o la macchina distrutta.
 
È curioso che l’America, paese di minatori, trascuri il giacimento del Sud. L’ha spillato in “Via col vento” e l’ha richiuso. New Orleans è ricchissima, e non dei ricordini per turisti: i santi e il vudù, le matriarche, la cucina, i padroni bianchi e i servi neri che si danno del tu, e la musica cajun, non c’è solo il jazz e il rock.
Il Sud non fa più cronaca in America, impegnata com’è in #metoo, Black Lives Matter e lgbtqia+, e forse è giusto così – è meglio non “fare cronaca”?   
 
La persistenza del tribalismo
Ceccarelli segnala, sull’altro “Venerdì di Repubblica”, la ricorrenza del “cerchio magico”, personale, amichevole, di fiducia, quale organo decisionale della politica da alcuni anni: di Salvini ora come già di Bossi, di Berlusconi (cerchi variabili, solitamente al femminile – “non mi fanno le scarpe”), di Bersani, il “Tortello magico”, di Renzi, il “Giglio magico”, di  Virginia Raggi, il “Raggio magico”. Insistendo sul lato “magico” della cosa: come se l’amicizia bastasse e supplisse all’esperienza dei vecchi uffici di segreteria o direzioni politiche. Ma il dato più cararatterizzante è il tribalismo: nella tradizione del partito, il leader della Lega Salvini decide (accumula errori) consultandosi con un gruppo ristretto di collaboratori, tutti lombardi - il “cerchio magico” è connotato regionalmente, come paese o tribù. Le “magie” dei leghisti e di Berlusconi sono lombarde (Berlusconi scende la penisola, fino a Napoli, perfino in Calabria, per andare a letto, per un desiderio di esotismo), di Bersani sono state emiliane, di Renzi fiorentine, di Raggi romane.
 
Nel cuore del leghismo, a Milano, convivenza difficile, anzi botte, incendi, distruzioni, nelle residenze occupate da rom bosniaci, serbi, romeni. Che le cronache cittadine sono in imbarazzo a raccontare – non si può dire che i rom, forzosamente sedentarizzati, sono disordinati, caciaroni, sporchi, e anche violenti, non molto riflessivi, non secondo le norme accreditate di civile convivenza:
senza pensieri. Molto connotati – anche quando fanno finta di volersi sedentarizzare e magari accettano un lavoro. Specie nelle diatribe tribali, “nazionali” e anche interetniche, tra bosniaci e serbi, e contro i romeni - alla Polizia molti denunciano specialmente “una famiglia nuova” che avrebbe rotto gli equilibri.

Lo Stato- mafia è vecchio
Risale al 1992: lo Stato-mafia lo voleva l’ex Pci. Dopo le stragi che colpirono Falcone e Borsellino – che culminarono una lunghissima serie impunita di ass
assinii, stragi comprese, di “servitori dello Stato”, giudici, generali, commissari di Polizia, agenti, uomini politici, alcuni anche di parte Pci. Forse non lo voleva Napolitano, ministro dell’Interno, che da ultimo, da capo dello Stato, si tenterà di coinvolgere, ma i suoi compagni di partito sì. Lo ricorda Paolo Cirino Pomicino in uno dei suoi tanti libri, ma è vero.
È anche vero quanto Pomicino ricorda dell’ex giudice Violante. Che, da deputato Pci-Pds, votò con gli altri pidiessini contro un decreto Andreotti-Vassalli inventato per non scarcerare un nugolo di mafiosi, i loro processi essendosi prolungati più dei termini legali della carcerazione preventiva.
Ai ricordi di Pomicino si può aggiungere la curiosità che, nella lunga carcerazione di Riina, la belva umana che decretava e organizzava le stragi, solo una confidenza gli sarebbe stata intercettata. Quella in cui dice: “I comunisti sono i nostri nemici”. Per il resto è stato muto? Ma no, non si ricorda che a Reggio Calabria, a uno dei suoi processi, il boss solitamente muto si fermò per dichiarare all’improvviso la stessa cosa: “I comunisti sono i nostri nemici”. Ce n’era così bisogno?  
 
Napoli
Mediava i classici per la cultura italiana nel Trecento. Dionisotti, “Geografia e storia della letteratura”, lo spiega a proposito di Boccaccio, che a differenza di Dante, che pure idolatrava, aveva il gusto della cultura classica: l’aveva mediato a Napoli, ambiente saturo di cultura francese, che al tempo, prima di Petrarca, mediava i classici per il resto degli italiani – aveva avviato l’Umanesimo.
 
Solo (ancora) quindici anni fa varava il “tempo di Napoli”: orologi tipo Swatch, di platica, con il Golfo nel quadrante, da regalare o vendere come gadget negli alberghi, pregando i clienti di depositare, prima di uscire, gli orologi veri. Una trovata politica, con Regione, Provincia, Comune, Confindustria all together, ma ideata in realta dal gestore dell’albergo “Vesuvio” contro gli scippi.
 
Avviene di dover viaggiare da Roma in Calabria il giorno di Pasquetta, e di fare il viaggio inverso il 25 aprile. In giornate e orari che registrano un traffico in autostrada modesto, senza peraltro mezzi pesanti. E di trovare le stazioni di servizio, prima e dopo Napoli-Salerno, piene. Sono giovani in coppia per lo più, o in gruppo, e famigliole, che prendono la pizza con la birretta, o la coca-cola, in cerchio, in silenzio. Festeggiano così: non hanno altro luogo in paese, altro richiamo, che la stazione di servizio, ventosa quando non è puzzolente, attorno ai baracconi degli autogrill, variamente denominati.
 
 “I napoletani sono oggi una grande tribù, che anziché vivere nel deserto o nella savana, come i Tuareg o i Boja, vive nel ventre di una grande città di mare”: Pasolini così rispondeva nel 1971 a Ghirelli, che indagava “La napoletanità”, con questa (Ghirelli) “pagina stupefacente”. Che i napoletani diceva in ultimo “irripetibili, irriducibili e incorruttibili”.
 
Nel rimpianto del dialetto come forma espressiva reale, prima della omologazione nella società dei consumi, fittizia, che pervade l’intervista con Enzo Golino nel 1973 (“Il Giorno”, 29 dicembre 1973), Pasolini fa eccezione per Napoli: “Napoli è rimasta l’unica vera grande città dialettale”. Come una grande formazione partigiana, si direbbe, di resistenza linguistica: Napoli fa suoi i modelli o le norme che via via arrivano “dall’alto nella lingua e nel comportamento”, ma in superficie – “sono secoli che i napoletani si adattano mimeticamente a chi è sopra di loro, ma poi nella sostanza restano uguali, conservano il loro modello culturale”.
 
È “aggressiva, ruggisce”, l’attrice Luisa Ranieri la sintetizza così, napoletana cresciuta fuori, sulla rivista “7” due settimane fa: “Napoli è un unicum di colori, caos, vitalità, ma è anche una città feroce”. Nel senso proprio – “anche la gentilezza è più cruda, non ha tratti borghesi”.
 
È nobile, stranamente, nelle periferie è rimasta tale. Nelle periferie del “Regno”. Nobilmente femminile, o femminilmente nobile. In Calabria una “gentildonna” è sicuramente napoletana. Anche nel Cilento. Per il tratto, il modo di guardare, di porgere, di relazionarsi, la calma introversa.
 
La rivista “7” del “Corriere della sera” riesuma un vecchio articolo di Carlo Nazzaro sul “canto magico dei posteggaiori napoletani menestrelli da trattoria (adorati da Wagner)”. Anche Caruso, ricorda Nazzaro, aveva esordito tra bagni e caffè, “e del posteggiatore conservò l’accorato canto e la umana comunicativa”. Anche ora, qualche anno fa, prima del covid, a Trastevere un ristorante napoletano aveva un giovane cameriere che ardeva dalla voglia di cantare: se richiesto si produceva, senza alcun la, e strappava alla fine, dopo la sorpresa, gli applausi. Si direbbe città dal canto incontenibile.
 
L’università oggi intitolata a Federico II si appresta a celebrare gli ottocento anni di attività nel 2024. Facendosi merito, secondo Marino Niola sul “Venerdì di Repubblica”, di essere stata un’università pubblica, voluta cioè dal sovrano, dallo Stato – “a differenza di Bologna e Padova, fondate nel 1088 e nel 1222”, da privati gruppi di cittadini, da una corporazione e da un’associazione. Sarà, ma delimita l’ambito di una cultura. Che sarà a lungo innovativa, gli aragonesi dopo gli Altavilla-Hohenstaufen hanno avviato la cultura dei classici, aprendo studi e opportunità a Petrarca e Boccaccio tra i tanti. Ma non esprime – e non forma – la famosa classe media, la classe di tutti, il melting pot che mette insieme i lazzari e i baroni.
 
Arturo Perez-Reverte, lo scittore spagnolo reporter di guerra e romanziere di best-seller, è un italianista, innamorato specialmente di Napoli. Nato a Cartagena, sul mare, considera il Mediterraneo la sua patria, spiega a Luca Caioli sul “Venerdì di Repubblica”: “E Napoli è la condensazione del Mediterraneo. Lì c’è tutto: la Spagna, Bisanzio, i greci, i romani, gli arabi, gli americani, i normanni, i tedeschi, tutti sono passati da Napoli”. Mondo meticcio per eccellenza – l’eccellenza del meticciato?
 
L’ex ministro Pomicino, peraltro napoletano purosangue, ricorda nel suo ultimo libro, “Il grande inganno”, di essere stato processato 42 volte, e mai condannato. Certo l’aggiustizia a Napoli è raccapricciante, da Tortora alla Juventus – che la giudice Palaia si rifiutava di giudicare. A Napoli, e anche a Milano, da Borrelli a Minali, a Boccassini e a Greco. Resta negli annali il giudice di Cassazione che in sessione feriale che condannò Berlusconi. E il giudice figlio di giudice, nipote di giudice, De Magistris che s’inventò Prodi capo massone a San Marino, per farsi finalmente cacciare da Catanzaro e tornare a Napoli, via Santa Maria Capua Vetere - per poi, esaurite le sindacature a Napoli, candidarsi a governare a Catanzaro.

Erano anche gli anni, quelli ricordati da Pomicino, di Cordova capo della Procura a Napoli, un calabrese che pretendeva di far lavorare i cento o duecento sostituti, i quali, quando “andavano”, non aprivano le denunce – uno o due milioni le inevase. E mal gliene incolse, come a tutti i calabresi a Napoli: vi finì la carriera triste y solitario – destituito con disonore, su relazione di Giovanni Salvi, oggi inflessibile Procuratore Generale della Cassazione, di Lecce.  

leuzzi@antiit.eu

I tedeschi sapevano, il mondo sapeva

Un racconto semplice, breve, del fascino demoniaco di Hitler e della fine degli ebrei in Germania. Max Eisenstein e Martin Shulse, amici e soci carissimi, mercanti d’arte di successo a San Francisco, si separano: è il 1932, Martin torna in Germania per fare politica, da liberale, Max continua a fare gli affari anche per lui a San Francisco. È il 1933 e Martin non solo crede in Hitler e lavora per lui, ma dirada la corrispondenza con l’amico. È il 1934 e Martin comunica all’amico l’assassinio della sorella minore, sorella di Max, Griselle, che recitando a Berlino in teatro si è dichiarata ebrea, nel giardino di casa sua, dove era arrivata inseguita dalle SA, per cercare rifugio dallo stesso Martin, che l’ha respinta. Il finale è a sorpresa.
Niente di più di quanto si sa ormai da lungo tempo della Germania di Hiler, dell’invasamento tedesco. Ma questo racconto, in forma di lettere tra i due (ex) sodali, è del 1938, pubblicato su rivista, esauritissima, ripreso nelo stesso anno dalla rivista “Readers’s Digest”, esauritissima, l’anno successivo pubblicato come libro, esauritissimo, e qualche anno dopo trasformato in film. Di autrice non ebrea, e scrittrice, fino ad allora, non professionale. Nella questione storica se i tedeschi sapevano oppure no, e cosa sapevano, loro come gli americani e ogni altro, la cosa era chiara agli inizi, nei seondi anni 1930.
Katherine
Kressmann Taylor, Destinatario sconosciuto, Br, pp. 77 € 10

 

venerdì 17 giugno 2022

Letture - 494

letterautore

Sant’Agostino – “L’uomo più intelligente tra quanti ne siano mai vissuti”, lo dice Yambo-Umbetto Eco nel romanzo “La misteriosa fiamma della regina Loana”: “Insegna molte cose anche a noi psicologi di oggi”. Per esempio sul tempo: “Noi viviamo nei tre momenti dell’attesa, dell’attenzione e della memoria, e l’uno non può fare a meno dell’altro”.

Bloomsday – Il “New Yorker” ha festeggiato il Boomsday, il giorno o la festa di Bloom, ieri 16 giugno, il giorno in cui Leopold Bloom fece la sua Odissea nell’“Ulisse” di Joyce. Raccomandando una buona compagnia con cui festeggiare, e Guinness – la birra, non i primati: “Guinness è optional ma altamente raccomandata”.

Chiesa – Pasolini ne aborre “la pia prosaicità”, la dimensione (vocazione?) pastorale – lo annota di sé ragazzo a catechismo a Sacile , in “Operetta marina” 

Conan Doyle – “Ci porta dove vuole, quando vuole, e ci fa entrare nell’interiorità dei personaggi che ha scelto”, Michel Houellebecq, lectio magistralis all’università di Enna – “e lo fa, davvero, in meno di una pagina”. Una lectio che è di fatto una rilettura dell’autore di Sherlock Holmes: “Andate in spiaggia, in un bel pomeriggio d’estate. Immergetevi in un racconto di Sherlock Holmes, inn meno di una pagina, se così ha deciso Conan Doyle, vi troverete catapultati a Londra, in una fredda e piovosa notte d’inverno, con la nebbia che invade le strade…”.

Corrida - Si faceva anche a Siena, chiamandola “caccia”. A  metà  Quattrocento: sicuramente nel 1468, e forse anche prima, nel 1466, e anche dopo. Roberto Barzanti lo documenta sul “Corriere della sera-Firenze” (“La «Corrida» dei senesi”): due tele di Vincenzo Rustici, di proprietà degli Uffizi, in deposito nella collezione del Monte dei Paschi, hanno per tema la “caccia” del 15 agosto 1546. Sempre nella piazza del Campo, poi arena del palio equestre.

La tauromachia, sport tra i più assurdi, combattere a mani nude contro un toro, perpetua  il vecchissimo culto del toro, pre-ellenico (minoico? miceneo?), un “animale-totem” (Barzanti), personificazione della forza. Nel Mediterraneo è forse il toponimo più diffuso.

Cucù – Lo smemorato di Eco, “La misteriosa fiamma della regina Loana”, ricorda bene ciò che non lo riguarda, e sa anche molte cose. Del film famoso, con Orson Welles a Vienna, anzi precisa: “Vienna, Kunsthistorisches Museum, il terzo uomo, Harry Lime sulla ruota del Prater dice che gli svizzeri hanno inventato l’orologio a cucù, Mentiva: l’orologio a cucù è bavarese”.

Kissinger – Arbasino, La Capria, Furio Colombo non scrissero su “Confluence”, la rivista di Kissinger a Harvard - non invitati?, a differenza di Vittorini (che però alla fine, dopo varia corrispondenza, non scrisse), Alvaro, Moravia e altri - ma parteciparono all’International Seminar che sempre per conto di Harvard il dr. Kissinger organizzava nei mesi estivi, a discutere di storia e filosofia, per giovani dai 25 ai 34 anni, scrittori, giornalisti, studiosi, per lo più europei, nei “primi anni Sessanta” – era il 1961, o il 1962. Lo scrive su “la Repubblica" giovedì 9 Furio Colombo. Ancora ammirato dell’intelligenza “europea” di Kissinger, dal quale fu invitato a darsi del “tu” ( a chiamarsi col nome proprio all’uso americano) – “invito amichevole (molto importante nella vita sociale americana)”.

Nord - Come snobismo lo registrava un secolo fa Mandel’stam nelle sue prime prove poetiche, “Tristia”: “Pesante fardello dello snob settentrionale\ è il vecchio spleen di Onegin”, il personaggio di Puškin.

Ossezia – Non ci sono solo la Crimea e il Donbass, da sottrarre all’Ucraina, anche il nord della  Georgia Mosca voleva russa al tempo dell’Urss. Benché non apprezzata: “Figlio di osseta” era un appellativo spregiativo, nota Remo Faccani editando le poesie di Mandel’stam, benché l’Ossezia fosse terra d’origine di Stalin: “In Unione Sovietica, e soprattutto in Georgia, era diffusa la «leggenda» che la famiglia di Stalin fosse originaria dell’Ossezia”, minuscola etnia evidentemente non onorevole, “tanto più che il vero cognome di Iosif Stalin, Ďugašvili, ha il significato letterale di ‘figlio di osseta’”.

Russia – Un componimento breve, “Viviamo senza più avvertire sotto di noi il paese”, che l’autore Mandel’stam giudicava debole ((“è un finale scndete, ha qualcosa di cvataeviano”, di accomodante), anche se gli meriterà l’arresto e il confino, nel 1934, cui seguirà la morte per inedia quattro anni dopo, ritraeva in Stalin una certa Russia: “il montanaro del Cremlino”, dalle “tozze dita come vermi” e “occhiacci di blatta”, vi figura attorniato da “mezzi uomini”, “una marmaglia di gerarchi dal collo sottile”.

Salgari – Occupava la fantasia di Pasolini ragazzo a Sacile,Yanez, Tremal Naike, Kammamuri. Di un ragazzo che sognava il mare, dapprima “omerico”, alle elementari, poi  “salgariano” - da ultimo sarà “virgiliano”, proseguendo gli studi: “Leggevo controglia Verne e odiavo Conrad. Soltanto nel mio Salgari il mare era pulito, tinto di un unico colore geografico e sempre perfettamente funzionale” – “non solcato da navi a vapore ma da tre-alberi, brigantini, giunche e vascelli, era veramente il regno dell’arbitrio interiore”.

Caterina Sforza – “L’anticonformista”, la dichiara la due giorni di commemorazione nella sua Forlì – sua per eredità dal marito, essendo appunto nata Sforza, milanese, che però si tenne stretta, contro una papa “guerriero” come e più di lei, Giulio II, e altri malintenzionati. Venendo però dall’iperconformismo: a nove anni era già sposa a Girolamo Riario, di nient’altro capace che di essere nipote del papa regnante, Sisto IV – a venticinque vedova con sei figli. Maritata dal padre, il duca di Milano, peraltro celebrato, Galeazzo Maria.

letterautore@antiit.eu

La timidezza di Pasolini, arrogante

Il docufilm di Ferrara, uno dei primi del genere, su Pasolini, presentato a Venezia nel2014, e lì sepolto sotto le critiche, riemerge come una gradita sorpresa per il centenario della nascita. A Pesaro domenica,  alla Mostrra Internazionale del Nuovo Cinema, e in streaming.
È Pasolini nella sua ultima giornata di vita. Impersonato da Willem Dafoe, che vive a Roma da molti anni, conosce i luoghi di Pasolini, ne ripete gesti e modi di porgere. Attorniato da Laura Betti (Maria de Medeiros) e Ninetto Davoli (Riccardo Scamarcio). In una sorta di film-verità che è invece la parabola  (una parabola) di Pasolini.
Non sarà “tutto Pasolini”, ma testimonia la sua speciale timidezza: la maniera aggressiva di porsi, senza imporsi. Da vittima, anche di se stesso, e ai margini. 
Abel Ferrara, Pasolini, chili.com, free online

giovedì 16 giugno 2022

La globalizzazione non fa bene all'economia

Fa bene agli affari –mai guadagno così facile e così elevato da quando si può “produrre” in Cina. O in altri laboratori a basso costo e di rispettabile qualità. Ma non all’economia.
La globalizzazione ha immiserito l’Europa, e gli italiani, poiché ne ha ridotto i livelli di reddito relativi, e questo non va bene all’economia. In una bilancia mondiale, dei crediti e demeriti di una politica,è normale e anche giusto che il made in China soppianti ogni altra attività in altri mercati di produzione non in grado di competere. Ma allora bisognerebbe che fosse a condizioni operative ugualizzate, senza il dumping di cui molti mercati emergenti si avvantaggiano, economico (salariale, di costi) e sociale (sindacale, legale). In Cina soprattutto vasto, grazie al regime politico duro e forte, in grado di permettersi un dumping sociale (paghe orarie, orari di lavoro) di imbattibili proporzioni.
L’economia italiana, che era la quinta, forse anche la quarta trent’anni fa, ora arranca, nella seconda decina. La povertà assoluta delle famiglie italiane è passata dal 4,3 per cento del totale nel 2000, 954 mila nuclei, per un totale di 2 milioni 937 mila individui, a poco meno di 2 milioni di famiglie nel 2021, il 7,6 per cento del totale delle famiglie, per 5,6 milioni di individui, il 9,4 per cento della popolazione – quasi il doppio che vent’anni prima.
Che il pil malgrado tutto cresca ancora non è di per sé segno di salute. Se c’è, come in questi anni,  un redistribuzione in calo del reddito, anzi una piramidalizzazione accresciuta del reddito disponibile, prodotto. Il motore in realtà è asintono, una distribuzione piramidalizzata del reddito implica un allentamento progressivo della funzione produzione\consumo, che è il vero motore di un’economia. Qui, nella globalizzazione, si ha un’accumulazione che è piuttosto una sterilizzazione del reddito, in attività commerciali (quanto imprenditori sono di fatto meri venditori di prodotti cinesi), in paradisi fiscali, in consumi d lusso - non lo yacht da duecento metri di stazza fa il benessere, ma duecento dodici metri a vela, con modesta capacita di cavalli vapore: il reddito produce, oltre che riprodursi, solo se distribuito.
I ricchi poveri
Nel 1994 venivano censite 2.038.000 famiglie in povertà, per 6.458.000 individui – il 10,2 per cento delle famiglie, l’11,5 per cento degli individui. Ma è diverso il concetto di povertà assoluta. In termini di povertà relativa, il dato 2021 censisce circa 2,9 milioni di famiglie, l’11,1 per cento del totale, per un totale di quasi 8,8 milioni di individui, il 14,8 per cento della popolazione. Tutti di immigrazione recente? Non tra i residenti, che l’Istat monitora – del resto la povertà è più ampia al Sud, più del doppio che al Nord, mentre al Sud gli immigrati sono tra un quarto e un terzo che al Nord. In parte dovuta all’immigrazione, in parte al prolungamento della vita media (persone sole anziane). Ma soprattutto per tre fattori. Per una riduzione del reddito medio comparato. Per il numero sempre in calo di occupati nelle fasce di età lavorative. E per il monte salari stagnante, in calo in germini reali.
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Ombre - 620

“Il Pd perde consensi in tute le città”, in Toscana, già roccaforte rossa - Vannino Chiti, uno dei fon datori del Pd: “Per il Pd è la sconfitta più grande”, sempre in Toscana. Per un difetto più generale: “Il partito è diventato una confederazione di correnti pensano a sistemare le notabibilita”. Cosa che tutti sanno, ovunque, ma non si dice – non se ne scrive.
 
Il gas liquefatto? Subito, domani, basta girare l’interruttore. Mentre ci vogliono anni, anzitutto per individuare un sito dove costruire l’impianto di rigassificazione – che nessuno vuole: puzza, ed è poco sicuro. Per esempio a Piombino, dove la Snam , la società del gas, ha fatto la prima uscita - con un rigassificatore già pronto, un gigantesco impianto galleggiante da ormeggiare. Tra Piombino e l’Elba, non se ne parla. Ma sarà lo stesso a Ravenna, o a Chioggia.
 
Curiosamente, Piombino è – era – minacciata dalla deindustrializzazione. Per la crisi dell’acciaio etc. – “Acciaio” è il romanzo della città, di Silvia Avallone (che però è di Biella, o di Bologna, non di Piombino). Ma contro il gas liquefatto c’è un solo grido: “L’impianto ci ucciderà, vogliamo salvare il mare e il lavoro”. La solerte cittadina si è riqualificata con un serie di itticolture, apprezzate sui mercati.
 
Per affrettare il delisting dell’As Roma dalla Borsa, i Friedkin, padroni del club, offrono una serie di ricchissimi incentivi, a chi possiede poche azioni e a chi ne possiede cento e duecentomila. Ma, nonostante gli incentivi, nessuno si è affrettato. Amor di Roma, o semplice dimenticanza – di possedere il titolo? Che vale pochi centesimi, ma in Borsa va su e giù, come fosse un titolo trattato – il flottante residuo è solo l’11 per cento.
 
Aspettando fine anno, quando dovrebbe operare il blocco alle importazioni di petrolio russo, l’Europa ne acquista come mai prima. La Germania e l’Italia, insieme con la Cina, se ne dividono la metà.
Il greggio russo è soprattutto esportato con i tanker, di nazionalità britannica e norvegese - la guerra ha fatto bene agli affari, non c’è solo la Exxon con le tasche piene di dollari, come dice Biden.
 
A colmare il (piccolo) gap nelle importazioni occidentali di petrolio dalla Russia nei primi cinque mesi del 2022 sono l’India e gli Emirati Arabi - con la Cina, di cui Mosca è diventata la prima fornitrice. Gli Emirati sono esportatori di petrolio. Passando da Abu Dhabi e Dubai il petrolio russo si ribattezza.
 
Dalle sanzioni contro la Russia è escluso il nichel. Evidentemente, poiché l’export di Norisk, il gruppo russo che ne possiede le miniere, non ha conosciuto battute d’arresto, moltiplicando il fatturato nei primi cinque mesi. Una società di Vladimir Potanin, uno degli uomini più vicini a Putin. Personalmente escluso dalle sanzioni, sia americane che europee.
 
È un appoggio o un siluro a Draghi la presentazione sul “Corriere della sera” del rapporto riservato dei servizi d’informazione sulla propaganda russa in Italia come la “lista delle spie di Mosca”? Probabilmente è solo giornalismo di un certo tipo, dei cronisti giudiziari – che erano poco tollerati in redazione e ormai dominano i giornali. Ma a Draghi non ha fatto bene, in vista del dibattito in Parlamento: sembra lui l’obiettivo dell’informativa. Non voluto naturalmente – il sottosegretario ai servizi, Gabbrielli, minaccia indagini interne e sanzioni alle gole profonde. Ma per chi lavorano i servizi? O bisogna presumere che ai servizi siano addetti poco capaci?
 
Basta annunciare la visita fiscale e duecento dipendenti subito sono guariti, dopo mesi di malattia. Succede a Roma, all’azienda dei rifiuti. Governare a volte non è difficile.
 
I due migliori poliziotti, i più attivi e di successo, Cortese e Improta, condannati per “sequestro di persona e falso”, per avere espulso una donna kazaka, Alma Shalabayeva, che girava con un passaporto falso, sono assolti in appello. Dopo dieci anni: carriere troncate, per la gioia di qualche malvivente. Perseguiti dalla Procura di Perugia, contro il parere della Procura generale. La stessa Procura che ha evitato di identificare gli assassini di Meredith Kercher. Mentre incriminava Andreotti come assassino di Pecorelli. È Perugia che fa male ai giudici? O sono sempre gli stessi, che si divertono?
 
Dice che tra i giudici a Perugia – nella condanna di Cortese e Improta c’entrano, con la Procura, anche il gip e in Tribunale - c’entra la massoneria. Che vuol dire? C’è una massoneria particolare che fa fare castronerie ai giudici?  
 
“il Venerdì di Repubblica” celebra il sindaco di Manerba del Garda per la semplice idea di rendere i cittadini responsabili della pulizia, del verde, e in genere del decoro. Con ottimi risultati. Senza dire che è un sindaco di destra. Perché la sinistra rinuncia alla verità?
 
“La peste suina entra negli allevamenti” - “a rischio 50 mila capi”. Nel Lazio, dove i cinghiali possono circolare liberamente protetti, anche dentro Roma. Ma che ci sarà in questa protezione a oltranza di un animale non bello e nemmeno utile, e anzi dannoso?
 
Un processo si trascina stancamente a Roma dal 2006, per l’assassinio a Kabul di due cooperanti, in teoria vittime dell’eroina, col trafugamento di ben 12 milioni di dollari, pagati dall’Italia e dall’Onu, alla Idlo, una International Development Law Organization, che avrebbe dovuto insegnare il diritto agli afghani. E invece trafficava droga, oltre che milioni pubblici. La liberazione dell’Afghanistan si rivela per ogni aspetto un pozzo senza fondo di corruzione. Compresa l’inerzia dell’inchiesta, quindici anni per non accertare nulla.

Le streghe in Calabria

Lo sfrenato Filosa, il “mangaka” italiano vincitore di tutti i premi internazionali per racconti graphic, milanese di adozione, esce dalla pausa covid più armato (aggressivo) di prima. In tavole colorate pop e supersfrenate, ma insieme dettagliste, quasi miniaturizzate, moltiplicate - le tavole saranno un migliaio. Riprendendo dopo la pandemia la saga calabrese – i “pruppi” di questo secondo volume sono i polipi, come i “lupi minari” del primo volume (2019) sono i lupi mannari - in forme nipponiche, di miti e di streghe. Di streghe più che di demoni.
Il ragazzo Cosma, con la madre intrepida, corre e sbaraglia demoni e diavole. Con molto bianco e nero là dove sono in ballo “calamità femminili”. Anche in forma di “zinnuse”, tutte tette, “magare” per lo più. Una caccia illustrata più che scritta, cui Filosa dà graficamente le forme della corsa e del tumultuoso (e il ruolo di Zurlo – è lo Zurlo di “Artisti si nasce”?). Intervallate – raramente – da quadretti in riposo, quasi idillici, più dell’odiosamata Crotone natia.
Una “corsa” divertente – oltre che di grande capacità grafica. E di divertente scorrettezza, da istrione che l’abilità libera, e anzi consacra. Non da ultimo, di professare il manga “calabrese”. Imponendo cioè, per la maestria, per l’autorevolezza, una realtà marginale come luogo d’avventura, con tanto di riferimento specifico, Rose, Cirò Marina, Punta Alice, Crotone appunto (irriconoscente del suo figlio geniale?, l’imperdibile S.S.106, l’imperdibile Aspromonte, luogo di tutti i fantasmi.
Nicola Zurlo-Vincenzo Filosa, Cosma&Mito 2 - L’assedio dei pruppi,
Coconino Press Fandango, pp. 136 ill. € 18
 
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mercoledì 15 giugno 2022

Divorziare dalla Cina, è difficile

Decoupling è ora il mantra, e quasi la parola d’ordine, anche per gli alfieri della globalizzazione, dei mercato aperti. Staccarsi cioè dalla grande fabbrica del mondo che è la trent’anni la Cina – con altri apaesi asiatici, Vietnam, India, ma il decoupling  è riferito alla Cina. Non per ragioni di convenienza, “produrre” a mezzo di produzioni cinesi è sempre conveniente. Ma per una questione di politica generale, di equilibri.
Era inevitabile, per almeno due motivi, che Trump aveva messo con la solita irruenza in chiaro. Produrre in Cina significa disinvestire in patria e questo non ha senso economico – va bene per gli affari, non va bene per l’economia: se profitta a qualcuno, non va bene a nessuno – compresi, ma alla fine, gli stessi che “producono” in Cina. Dove, questo il secondo motivo, un regime politico non liberale è al comando, le cui scelte politiche non obbediscono alle logiche democratiche, del maggiore benessere per tutti. Né alle consultazioni, ai compromessi, agli impegni legali, ma a una politica del potere e quindi di potenza.
Il ragionamento è semplice: la Cina ha dato molto agli imprenditori occidentali, e in parte anche ai consumatori – la Cina è entrata nel mercato americano negli anni di Clinton perché consentiva di fare la spesa anche ai poveri, con prodotti (abbigliamento, calzature, prodotti per la casa) a prezzo minimo. Ma con un progetto, che non è di essere per sempre la fabbrica del mondo, ma anche il padrone. Un progetto comprensibile. Anche inevitabile. Ance giusto, non fosse per il regime autoritario e di potere.
Se decupling sarà, non sarà però senza danni. Ci saranno più investimenti in Europa e negli Stati Uniti. Ma molti grandi gruppi (Volkswagen su tutti) potrebbero soffrirne, avendo nella Cina il loro più grande mercato. Perché il decoupling sarà ovviamente, di necessita, reciproco.
E comunqne non si può fare a meno della Cina. Il mercato di gran lunga più grande e più in espansione al mondo. Nonché fornitore, specie all’industria europea, delle cosiddette “terre rare”, minerali sempre più essenziali alla transizione verso l’economa verde. Stati Uniti e Canada si offrono di compartecipazione le loro risorse, ma non basterà.
 

La violenza della solitudine

La Medea di Tremestieri, che ha ucciso la figlia dopo averla accudita con amore, non è la vittima di un disturbo mentale. O allora di una sindrome di cui soffriamo tutti: la solitudine. La stessa che è all’origine degli uxoricidi, sempre più immotivati e truculenti, che si moltiplicano: sono carnefici che sono anche vittime. Solitudine di uomini, e anche di donne (la madre di Catania non è la prima che uccide il figlio o la figlia). Per una generale difficoltà di relazionarsi, che sempreeno trova limiti alla violenza.È l’effetto dell’isolamento invasivo. Senza più i rifugi tradizionali, la famiglia, il confessore, la maestra. E senza sostegni nuovi – i telefoni di pronto intervento psicologico semmai acuiscono la solitudine, sono come la Asl per il malato in carne. L’effetto di una modernità si direbbe vuota. Di sostegni esterni nella presunzione di una liberazione. Che invece è un carcere, duro, di fantasmi e demoni. Il buon saggio non c'è. Non comunque che si veda, mentre l’essere umano si vuole socievole.



Le ore felici di Zelda e Scottie

Ospiti in Europa dei Murphy, Gerald e Sara, negli anni 1920 ancora felici, non intossicati dal presunto fallimento di Scott come scrittore, Tomkins ricostruisce quei momenti, con plurimi dettagli. E dalle testimonianze e le corrispondenze, specie con Sara, trae anche notevoli spunti critici, di come Scott Fitzgerald pensava l’arte del romanzo – a differenza, per esempio, di Hemingway.
Scott Fitzgerald è divenuto un grande scrittore postumo, benché pubblicato in vita, per il  riconoscimento insistente di Hemingway e altri amici. “Tenera è la notte”, cui pure teneva più che agli altri tre suoi romanzi,  lui stesso considerava un romanzo fallito, dopo le disattenzioni e le stroncature critiche, e lo riscrisse – in una versione che tutti giudicano peggiorata (quando morì, nel 1940, il romanzo non era più in stampa).
Calvin Tomkins, Living well is the best revenge, “The New Yorker”, 28 luglio 1960, free online
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martedì 14 giugno 2022

Problemi di base bellicosi 3 - 702

spock


Dice che Kissinger è un cretino – che spiega che se la Cina si prende Taiwan la Russia la sostiene?
 
Se la Cina si prende Taiwan dopo Hong Kong - per la quale nessuno ha protestato, nemmeno il papa ha fatto il solito lamento?
 
La pace è divisibile?
 
Ci informano o si divertono - poi si dice che nessuno compra più il giornale?
 
Va Draghi a cercare gas e mediazioni da Erdogan, che ha definito un dittatore?
 
Sanzioniamo tutto, ma non quello di cui abbiamo bisogno?


spock@antiit.eu


La leggenda di Pasolini

A cura di Bernard Vanel e Roberto Veracini, la raccolta di una dozzina di tributi, compresi Paolo ed Emilio Taviani, all’arte e al genio di Pasolini, in incontri di vario carattere, in diverse località, a Roma, Parigi, Volterra, Pisa, Venezia, Nantes e altrove.
Un florilegio più che un’analisi critica. Ma il fondamento celebrativo è ben convinto, e di forte impatto. Pasolini “è parte oggi della memoria collettiva”, dicono i curatori: “Come Kafka. Come Rimbaud” – “le sue immagini e le sue parole trascinano e agitano chiunque le guardi o legga”. Pasolini è “una leggenda, e pronunciare il suo nome basta a evocare paesaggi, corpi, colori, sorrisi, rabbie, rivolte”.
In Francia il suo mito è fortissimo. Almeno un centinaio di sue opere sono in edizione – e non si sono ancora liberalizzati i diritti. Per lo più curate criticamente.
Pasolini 2022-1922
, L’Ours de granit, pp 136 € 15

lunedì 13 giugno 2022

Il mondo com'è (448)

astolfo


Chautauqua-Licei – Chautauqua, dal nome del lago sopra New York, era la rappresentazione dei cantastorie indiani che giravano il paese a dorso di cavallo e in ogni remoto villaggio, sotto la tenda, parlavano di tutto all’impronta. Il nome fu utilizzato nel secondo Ottocento e fino al crac del 1929, come “circuito” di conferenze e spettacoli, solitamente estivi, mobili, per l’America rurale. Per cinquant’anni portò la cultura nell’America remota, seppure quella dell’America protestante, anglosassone. Come estensione del movimento dei licei, club di educazione popolare con biblioteche e conferenze. Avviati nel 1826 nel Massachusetts, i licei s’erano estesi alla Nuova Inghilterra, a New York e a tutti gli Usa, trasformandosi dopo la Guerra Civile in attività di lucro. Famoso fu il Lyceum Bureau, lanciato da James C.Redpath nel 1868, che nel decennio successivo esibì a pagamento P.T. Barnum, Mark Twain, Wilkie Collins ed Emerson.
Nel 1874 un pastore metodista, John H.Vincent, e Lewis Miller, un uomo d’affari di Akron, Ohio, lanciarono il Circuito o Tenda Chautauqua, una catena di scuole estive per formare i maestri delle scuole parrocchiali domenicali, anche su temi profani. La prima scuola, nell’agosto del 1874, fu un tale successo che il lago Chautauqua ebbe un immenso sviluppo, di ville, alberghi, teatri. Cinque anni dopo si costituiva una Scuola Normale di Chautauqua. Il Circuito portava le conferenze l’estate in ogni canto, per tre-dieci giorni, alternate a concerti, sotto una tenda grigioverde, di 125 per 175 piedi, che divenne il simbolo dell’America rurale. Nel 1920 venti compagnie gestirono novantatré circuiti negli Usa e in Canada, e spettacoli in 8.580 località, per trentasei milioni di spettatori. Negli anni 1920 ogni centro avrebbe voluto una Tenda. Nel 1932, con la crisi, il Circuito si dissolse.
Il Circuito sarà stato anche l’ultimo uso esotico dell’“America che non c’è”, i suoi indiani.


Indiani – Quelli d’America non hanno avuto tutti la stessa sorte, ridotti alle riserve, e abbrutiti, di “fumo” e alcol – di cui hanno avuto a lungo libera licenza di vendita, insieme con la privativa del gioco d’azzardo. Per il resto limitandosi a fornire toponimi ispirati, come avveniva quando li cacciavano nel nome della civiltà. Altrove, nel Nuovo Messico, la California del Sud, l’America Latina, dove c’erano i preti, gli indiani di Colombo sono sempre lì, benché nel Cinquecento si eliminassero a milioni, secondo il testimone Las Casas.
I protestanti avranno avuto mira migliore nella corsa verso Ovest, non avendo lasciato residui. I sopravvissuti che emergono dal folklore di augh! e tomahawk sono a loro modo integrati. Anche se in una cultura, in Luisiana, California del Sud, Nuovo Messico, spagnola e francese prima che americana, densa e non desertificante.
Anche nella fase storica attuale, in cui l’America estende i diritti a ogni essere animato, e anche inanimato, come possono essere i minerali, trascuri i pellerossa. Se non altro per ragioni commerciali, potrebbero anch’essi dire e dare molto. Gli indiani sono ancora anonime “tribù”, popoli senza storia, l’America può essere spietata, nella sua infinita bontà.
I re anglosassoni non se ne curarono, degli indiani, l’America semplicemente diedero in appalto ai buoni puritani – i re cattolicissimi di Spagna invece se li fecero sudditi propri, benché “para ser menores, miserables y rùsticos”, per contenere gli avidi coloni, e li salvarono dallo sterminio.


Ucraina-RussiaLa guerra civile dopo la rivoluzione sovietica si combatté prevalentemente in Ucraina, nell’entroterra e nella regione costiera sul mar Nero. In un’Ucraina che fu parte tra le più attive, della rivoluzione e della controrivoluzione, in una serie di guerre di tutti contro tutti, per circa cinque anni, che vide Kiev liberata e occupata quindici volte, di cui tre in un giorno. Fra ucraini, rossi e bianchi, e contro i polacchi - contro i polacchi con più determinazione e impegno che contro il sovrastante russo.
Un movimento per l’indipendenza si era rafforzato dopo la caduta dello zar nel febbraio del 2017, che in pochi mesi portò a una dichiarazione di indipendenza. Dapprima in forma di Repubblica Popolare, cioè rivoluzionaria, filorussa ma autonoma, nel novembre 2017, e il 25 gennaio 1918 alla dichiarazione di indipendenza. Riconosciuta il 9 febbraio dagli “imperi centrali”, Austria-Ungheria e Germania. I “rossi” non cedettero, non subito: presero il controllo di Kiev lo stesso giorno in cui fu firmato il trattato di Brest-Litovsk, il 3 marzo 1918. Ma con il trattato Lenin portava la Russia fuori dalla guerra, e i “rossi” ucraini furono presto sopraffatti, da “bianchi” col sostegno di Germania e Austria-Ungheria.
Formazioni ucraine furono anche parte attiva nella controrivoluzione. A iniziativa di ufficiali dell’esercito zarista. Che mobilitarono le unità di cosacchi volontari nello schieramento zarista, eredi delle tribù di guerrieri banditi del Sei e Settecento, contadini privilegiati, assegnatari di terre senza lo statuto di servi della gleba, nonché protagonisti di molta letteratura. Per quattro anni, fino a tutto il 1921, queste formazioni, sotto il comando di Simon Petljura, un giornalista e agitatore politico ucraino a Mosca, furono impegnate contro l’Armata Rossa, e contro gli anarchici di Nestor Machno, col sostengo più spesso dei polacchi. Dei quali finì anzi alleato, accordando loro la sovranità sulla Galizia occidentale, con Leopoli – vecchia città santa polacca - in cambio del riconoscimento come capo dell’Ucraina, e di assistenza militare. Era una delle intese polacche contro la Russia, contro il regime rivoluzionario, che era arrivato a minacciare la presa di Varsavia, e non portò fortuna a Petljura. Che andò esule in Francia, dove nel 1926 fu ucciso, mentre passeggiava a Parigi, da Sholom Schwartzband, “poeta e anarchico russo”, secondo wikipedia, “ebreo di idee libertarie” - che al processo dirà: “Ho ucciso un grande assassino”.
Buona parte delle attività di Petljura furono nel contrasto delle formazioni anarchiche, di origini contadine, di Nestor Machno. Un ex contadino lui stesso, perseguitato dal regime zarista, che dopo la rivoluzione d’Ottobre fu uno dei protagonisti della guerra civile in Ucraina. Interlocutore di Lenin, da questi poi avversato, anche lui poi esule a Parigi. Machno è ricordato da Pio Turroni, un anarchico romagnolo – vivrà fino al 1982 – che lo aveva frequentato a Parigi negli anni 1930 e ne ha fatto testimonianza scritta in “Nestor Makhno. La rivoluzione russa in Ucraina Marzo 1917 - Aprile 1918”, pubblicato nel 1974.
I “rossi” intanto, anche senza e contro Machno, prendevano il sopravvento in molte zone del paese. L’8 febbraio 1920 l’entrata vittoriosa a Odessa assunse speciale significato. L’Ucraina si avviava a diventare uno stato confederato nell’Urss, che solo formalmente era una federazione, in pratica era un impero diretto e gestito con rigore dal partito Comunista Sovietico, cioè russo.
Instaurato il regime sovietico, molta della resistenza alla collettivizzazione fu, nelle campagne, ucraina. E più vasta ed efferata vi fu la repressione – via via più intollerante e autoritaria. A mano a mano che si consolidava il potere di Stalin - il cui proconsole sarà Krusciov, come capo del governo regionale di Kiev già nella guerra civile Krusciov si era distinto a capo dei commissari politici nel Donbass). L’abbandono della Nep e la collettivizzazione forzata lanciata da Stalin nel 1929 rapidamente portarono alla confusione organizzativa e al blocco della produzione. Il 1932 fu un anno di carestia, nella quale si conta che almeno quattro milioni di ucraini siano morti di stenti.
La Russia nell’Urss fu sempre più risentita come un occupante, un dominatore. Le radici dei due tentativi delle due Meidan di sradicare i russi dall’Ucraina si radicano in questa stagione di odio, anni 1920-1930. Che fece più morti di qualsiasi guerra: il più gran numero l’ha sterminato Stalin, i mugiki dopo i kulaki, i piccoli proprietari - cinque milioni? Dieci? non contano. L’odio di Stalin, del regime sovietico, contro i mugiki, i contadini, era più radicale di quello dei nazisti contro gli ebrei, se esistesse una classifica dell’odio – nel caso degli ebrei, erano almeno un Nemico temuto: contro i mugiki solo disprezzo, pedate e bastonate, non se ne parla ma nessuno lo nega - ci sono i discorsi, i manifesti, gli slogan. In Ucraina come in Russia. Ma in Ucraina i contadini sfidarono Stalin, abbattendo i commissari del popolo della collettivizzazione man mano che arrivavano, a migliaia, e a milioni i porci, le vacche, le pecore, rifiutandosi di mietere e seminare, e la moglie di Stalin spinsero al suicidio. La repressione fu terribile, con milioni di vittime. Diretta da Krusciov, benché di origini contadine – veniva però dalla Russia di confine con l’Ucraina, i confini possono essere terre di odio.
Tutto sommato, un rapporto da un secolo armato, conflittuale. Yalta, dove furono firmati gli accordi che hanno regolato l’Europa fino all’attacco della Russia all’Ucraina, è territorio ucraino – era. Ma il rapporto tra i due mondi è sempre stato conflittuale.
 
A guerra quasi finita, nel febbraio 1945, in Germania, un Esercito Nazionale Ucraino fu costituito quale forza amata di un governo provvisorio dell’Ucraina indipendente dall’Urss, il Comitato nazionale ucraino. Forte di due divisioni e di “gruppo speciale”. Era un tentativo di proporsi, in analogia col governo polacco di Londra, quale interlocutore degli alleati occidentali contro l’Unione Sovietica – benché fosse un progetto subordinato al comando tedesco. Molti anche nella Wehrmacht, e lo stesso Himmler, il capo delle SS, s’illusero a guerra perduta di poter passare con gli Alleati contro lo spettro russo-sovietico. Contro il quale, però, anche se subito dopo si accenderà la guerra fredda, non era interesse di nessuno marciare. Il generale Reinhard Gehlen, che nella guerra aveva creato per Hitler lo spionaggio anti-Urss, con polacchi, ucraini, rumeni, baltici, nel 1945 passò con tutta la rete al servizio degli Usa, e fu quindi capo dello spionaggio della Germania Federale. Ma non si fidava degli ex suoi collaboratori anti-Urss, dei non tedeschi.
L’Esercito Nazionale Ucraino si gonfiò, caratteristicamente, in una formazione temibilissima, arrivando a vantare 200 mila o più effettivi, mentre non arrivava a racimolarne un quarto, o un quinto. Male armati e non bene inquadrati – erano i residui ucraini volontari nella Werhmacht e nelle Waffen.
Come comandante fu ripescato Pavlo Shandruk, un ucraino che aveva combattuto con Petljura, e dopo gli accordi di Petljura con la Polonia era diventato un ufficiale polacco. Nei quattro anni dell’occupazione tedesca della Polonia aveva fatto il direttore di una sala di cinema. Da generale dell’esercito ucraino si distinse per la ritirata. Verso l’Austria passando per la Slovenia, giànel febbraio del 1945 dopo la costituzione, incalzato dai partigiani di Tito. Il 7 maggio l’Enu (normalmente citato come Una, Ukrainian National Army) era in salvo, nell’Austria anglo-americana, benché diviso in piccoli gruppi. Dal Tirolo Shandruk si diresse alla frontiera italiana, consegnandosi al 15mo Gruppo d’armate britannico. Altri si diressero a Nord, al confine con la Svizzera e la Germania, consegnandosi al Sesto gruppo d’armate americano. Poi furono raggruppati, e internati in Italia, nella zona controllata dal 2do Corpo polacco. Shandruk cercò un contatto con il generale polacco Anders a Londra, lo ottenne, e ottenne la protezione degli Alleati per i suoi uomini, al quasi totalità dei quali poté restare in Occidente, fuori dall’Urss. Altri piccoli gruppi, dispersi, o caduti prigionieri dei russi, furono poi espatriati in Svizzera. Shandruk è vissuto poi a lungo negli Stati Uniti, scrivendo libri di storia militare ucraina.  
 
La cantante Khrystyna Soloviy, che a marzo è diventata celebre adattando “Bella ciao” in ucraino, esibisce su facebook, proprio quando canta “Bella ciao” (che peraltro è un canto russo) degli anfibi con la scritta “Nostro padre Bandera”. Soloviy cioè fa parte del movimento di estrema destra Svoboda, libertà, che si ispira a Bandera. Forte di un 10 per cento alle elezioni parlamentari del 2012, protagonista della seconda rivolta di Meidan, nel 2014 – quella che ha acceso il conflitto con la Russia – e parte attiva del governo successivamente del governo. Estromessa dal governo con la presidenza Poroshenkho, nel 2015, Svoboda si è poi ridotta al 2 per cento al voto parlamentare del 2019.
Stepan Bandera è il giovane politico ucraino che guidò il movimento per l’Ucraina indipendente sotto l’occupazione tedesca. Collaborò con i tedeschi attivamente, anche se finì in campo di concentramento, a Sachsenhausen, per la pretesa di un’indipendenza totale. Poi liberato in cambio di una partecipazione attiva alle azioni militari contro l’Armata Rossa, quando questa passò all’offensiva. A guerra finita, si rifugiò in Baviera, sotto protezione alleata. Sarà assassinato nel 1959 – avvelenato, si presume da agenti russi. Nel 2010 la sua memoria fu onorata dal presidente antirusso Viktor Jushenko con l’onorificenza di Eroe dell’Ucraina – che l’anno dopo verrà revocata dal Tar di Donesk, la capitale della Repubblica Popolare di Donesk per la quale oggi si combatte.


astolfo@antiit.eu

La filosofia in motocicletta - la ragione non è razionale

Nel corso di una girata in moto senza meta per il Middle West semideserto, Minnesota, i Dakota, il Montana, col figlio disappetente e una coppia di amici, il professor Pirsig riflette sulla sua disavventura, la follia cui l’ha portato la logica  matematica – curata con 28 elettroshock, in un “processo di Annichilamento”, o di “silenzio elettrocerebrale”. Rivive il suo prima ipostatizzandosi come Fedro, un pensatore classico. Che si chiede, gira e rigira: quanta ragione ha la ragione? Un tour de force intellettuale che è diventato un libro di culto, da quasi cinquant’anni ormai – è del 1974 – fuori commercio solo in italiano: straordinaria la capacità del filosofo, distanziato sanamente dalla follia filosofica, di farsi leggere per 400 fitte pagine.
Nelle pause del viaggio il professor Pirsig si fa una “chautauqua”, la tenda-spettacolo itinerante per l’America rurale (non urbana), che ha usato nel secondo Ottocento e fino agli anni 1920-30, con conferenze e spettacolini edificanti, di storia e di morale – uno dei tanti “prestiti” a titolo gratuito dagli indiani, senza la saggezza. E discorre con “Fedro”, il Pirsig di prima dei manicomi. Sul tema sempre - da vari punti di vista e per varie occorrenze, a volte partendo dalla manutenzione senza fine della motocicletta - della razionalità, che è occidentale, è riduttiva, ed è il contrario della razionalità fantasmatica, magica, gerarchica. Nella quale Pisig-Fedro riescono anche a collocare, per l’intermediazione di Budda, la Tecnologia, per quanto faticosa, e la Qualità, assillo mentale  incessante.   
Sulla traccia di “Easy Rider”, il film di cult dei biker mezzo “fatti” che attraversano l’America, un viaggio di (ri)formazione, da adulto per adulti. Le pause sono molte, le pause di riflessione, tra i luoghi di refrigerio nella calura e i motel nel mezzo del nulla, e una riparazione e l’altra della motocicletta. Era anche il tempo in cui la moto veniva mossa da una catena, o cinghia, che si allentava. E il carter perdeva olio. Il caso di riferimento è la Harley Davidson, la moto più di culto, quella di Dennis Hopper e Jack Nicholson in “Easy Rider”, che Bmw soppiantò, benché tedesca e spartana, perché non perdeva olio. Qui è una Honda 350 Super Hawks, sappiamo dai paratesti, ma per Pirsig è come una Harley Davidson, ogni cinque minuti deve metterci mano, ora le valvole, ora l’accensione, ora i cilindri perdono colpi, ogni momento è buono per una sosta, e una riflessione.
Il linguaggio è un po’ scorretto, anzi non poco, ma ancora cinquant’anni fa si poteva.
Robert M. Pirsig, Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta

domenica 12 giugno 2022

Secondi pensieri - 485

zeulig


Amore
– “L’amore è nostalgia”, dice Freud, e intende della nascita, del ventre materno – la vita intrauterina diverrà per i discepoli il paradiso (il paradiso prima del peccato, da qui la nascita come il biblico peccato).
In effetti, quello che di Freud colpisce in tema è che non se ne occupa, peer mancanza di interesse o incapacità. Poco altro ne ha detto, se non come fatto psicogeno: l’amore deriva direttamente dalla pulsione sessuale, e vive di essa, “l’amore è il passo più vicino alla psicosi”, “Non siamo mai così indifesi di fronte alla sofferenza come nel momento in cui amiamo”.
 
Evoluzione – Nel 1925 il maestro Scopes fu condannato a Dayton, nel Tennessee, per avere insegnato a scuola l’evoluzionismo. Sul maestro Scopes, che comunque vinse l’appello, è stata fatta una commedia, Inherit the Wind – meglio sarebbe stata una commedia musicale, le trovate scientifiche e filosofiche vanno al ritmo del charleston, con cha-cha-cha. Il nemico del maestro Scopes, William Jennings Bryan, era uno dei pochi americani socialisti e pacifisti. Era contro l’evoluzione perché era contro l’imperante darwinismo sociale, allora e oggi imperante in America, quello dei ricchi e poveri per destino, dei signori della guerra, e della sopravvivenza del più capace, impiantato da Spencer sulla selezione naturale, il fatto che “la giustizia appartiene ai forti”. Leggendo nel 1905 “L’origine dell’uomo” Bryan notò che Darwin può “indebolire la causa della democrazia e rafforzare l’orgoglio di classe e il potere dei ricchi”. La ragione lo stesso Darwin la spiega, che si disse “cappellano del diavolo”, volendo catalogare i misfatti della natura, cappellano di tutti quelli per cui Dio non esiste perché c’è il diavolo, c’è il male.
 
Non bisogna sottovalutare Bryan. Great Commoner, William Jennings Bryan era l’Uomo della Strada, del quale tutto sapeva. E di cui condivideva la filosofia politica: combattere i privilegi. Nativo di Salem nel Massachusetts, il posto delle streghe, fu giovane il primo o secondo deputato democratico di Chicago. Sarà il candidato democratico, populista e progressista alle presidenziali di fine Ottocento, 1896 e 1900 - sconfitto da William McKinley, il presidente più sconosciuto degli Stati Uniti. E sarà sconfitto ancora alle presidenziali del 1908 - ma il vincitore William H. Taft realizzò le riforme da lui proposte. Alle elezioni successive, nel 1912, candidò con successo Woodrow Wilson, che lo nominò segretario di Stato. In questo ruolo Bryan portò Wilson ad adottare le riforme per la Libertà Nuova. Benché perdente, insomma, realizzò il suo programma. Ai lavoratori propose, in un “patto dei produttori”, la giustizia economica, la tassazione progressiva, il controllo della circolazione monetaria, il controllo dei monopoli.
Molte università bruciavano al suo tempo, al tempo della condanna del maestro Scopes, i libri di Darwin, e i libri che ne esponevano le teorie, Harvard per esempio. L’evoluzione, non c’è religione o filosofia che non ne tenga implicitamente conto, l’inconscio stesso ne è pregno, nonché la natura, ogni tanto siamo qualcosa che non siamo più, e saremo qualcosa che ora non siamo. Un po’ come le stelle che all’improvviso non vediamo, che non esistevano da milioni di anni. Un mondo di fossili morti, compresi gli umani, alimenta la vita, l’erba dei campi, la funzione clorofilliana, l’acqua. Darwin voleva dare, uomo del suo secolo, ordine a questo essere e non essere, e nel suo piccolo c’è pure riuscito - anche perché poi è morto. L’evoluzione è la vita che accade mentre moriamo, quando siamo svegli è ben una rivoluzione che a ogni istante ci proponiamo. Anche rinunciando. La dottrina della creazione invece è di Platone. Che sarebbe poco male. Ma tutte le nostre credenze si giustificano solo se si crede nella creazione, questo è principio concorde di ogni ermeneutica.
 
Freud – Molto non gli perdonava la nipote Sophie Freud, che ora è morta. Sotto l’accusa genera le di “indulgenza narcisistica”, di un uomo pieno di sé, e nient’altro. E l’osservazione che salta agli occhi di tutti, che rese infelici tutte le donne di famiglia, compresa l’amatissima figlia Anna e la moglie. Sciocche Sophie diceva molte teorie del nonno, dalla invidia del pene (“un’assoluta sciocchezza”) al transfert. Vent’anni fa era apparsa del docufilm di Manfred Becker, “Neighbours: Freud and Hitler in Vienna”, per dire: “Ai miei occhi entrambi, Adolf Hitler e mio nonno erano falsi profeti del XX secolo” – in quanto condividevano “l’ambizione di convincere gli altri uomini dell’unica e sola verità che loro avevano scoperto”.
In particolare, da psicologa, insegnante e praticante, ne contestava la elazione edipica, e il transfert – il transfert nacque per disinnescare il fenomeno delle pazienti che s’innamoravano del terapeuta, ma senza effetto: le pazienti poi cambiano terapeuta e s’innamorano del nuovo.
 
Gerarchia – È il principio dell’ordine. È il principio del mondo? Non la classificazione, la dipendenza gerarchica. Dal merito, dalla violenza, dalla saggezza, dall’attitudine o dalle attitudini. Trovandosi a “entrare” nel motore della sua motocicletta, Robert M. Pirsig riflette che pezzo dopo pezzo, dal più grande al più piccolo, e fine, e sottile, sta costruendo “una struttura”: “Questa struttura di concetti è formalmente chiamata una gerarchia, e fin dai tempi antichi è stata una struttura di base per tutte le conoscenze occidentali. Regni, imperi, chiese, eserciti, tutti sono stati strutturati in gerarchie. Gli affari moderni sono strutturati così. Le tavole dei contenuti di riferimento dei materiali sono strutturate così, le catene di montaggio, il software dei computer, tutta la conoscenza scientifica e tecnica è strutturata così – al punto che in alcuni campi, come la biologia, la gerarchia di regno-filo-classe-ordine-famiglia-genere-specie è quasi una icona”, una relazione sacra.
È il principio della funzionalità (ordine). Ma fino a che punto? Non c’è società – economica, religiosa, politica, intellettuale, morale – senza gerarchia. Di valori, di funzioni, di personalità.
E l’uguaglianza, postulato di base ineliminabile, come si combina? È anarchica, dissolutoria? Nel vecchio linguaggio politico la gerarchia era il “sistema”. Ma il sistema, sotto la crosta di abusi e soprusi, non è la razionalità?
 
Grande Fratello – Si tende a fare confusione con l’originale di Orwell, l’autorità politica che tutto controlla, anche il respiro, con le chiacchiere – social, televisive, giornalistiche (specie quelle sempre malevole delle cronache giudiziarie). L’equivoco è alla base della confusione che si è fatta questa settimana sul dossier dei servizi segreti a carico dei “putiniani” d’Italia, dei sostenitori della Russia nella guerra contro l’Ucraina. Mentre non era un controllo dei segreti di queste persone, o anche il loro riutilizzo, ma una rassegna di ciò che essi hanno detto in pubblico. Il Grande Fratello, qualora fosse stato pro Ucraina, semplicemente non avrebbe consentito ai “putiniani” di parlare.
Il Grande Fratello non tollera eccezioni – non tollera la tolleranza. E non reagisce ma agisce – è monolitico, quasi sempre monocratico, e istituzionale – ha la forza dello Stato.  


zeulig@antiit.eu



Il romanzo dei luoghi comuni, degli anni 1930-40

Il libro più Eco di Eco, il più divertito. – e il meno fortunato, sono troppe 450 pagine di divagazioni. Un libro di citazioni. Eco nelle vesti di Pierre Menard, il personaggio di Borges che si voleva riscrittore del “Don Chisciotte” tal quale, e non riusciva mai a eguagliare l’originale. Figurandosi nelle vesti di Yambo, un signore che di nome fa l’impegnativo Bodoni, anzi proprio Giambattista Bodoni detto Yambo, che ha perso la memoria. La memoria “autobiografica”, di tutto ciò che lo concerne, non quella “semantica” che invece ha attivissima, di tutto ciò che ha letto e imparato, e quindi è in grado di procedere per citazioni di mezze frasi e frasi intiere. Citazione del genere “mezza calzetta” o popolare, quello che faceva impazzire Eco, tra Mike Bongiorno e il conte di Montecristo, qui allargato a Pitigrilli e simili - roba da “Ma Pippo non lo sa” a “Forse qualcuno ti disfiorerà”. Al modo delle frasi fatte che irritavano e divertivano Flaubert.
Un racconto del 2004, agli inizi dell’era dell’autofiction. Eco, vecchia generazione un po’ pudica, la prova con le citazioni, le parole degli altri. Dovendo ricostruirsi la biografia, ne ricostruisce il mondo. Uno scherzo. Yambo-Eco ritorna così, per rifarsi la memoria, bambino, e vive gli anni 1930 e 1940. Soprattutto con i suoi giornaletti – i fumetti - così pieni di eroi e eroine: pistoleros, cow-boys al vento, bayadere ammiccanti, alla Josephine Baker. I titoli dei film, con i manifesti, e delle canzoni. I motivetti. Si comincia dall’infanzia, e quindi dalla nebbia. Che ora non ha più, a Milano dove abita. Ma nella valle padana, attorno a Alessandria, era spessa, come la memoria perduta.
La smemoratezza è un modo per rivivere i tempi passati, tutte le situazioni. Una opportunità al quadrato, in quanto soggetto e autore – autore di personaggio che deve risituarsi di suo, anzi ricostituirsi. Un congegno inventivo goloso per il golosissimo Eco – goloso di trovate e agudezas. Con molte liste, e repertori. È anche un’occasione per raccontarsi – pudicamente.
Eco era per il romanzo romanzesco, non per l’autoromanzo, ama Dumas – ama anche Joyce, ma non cita mai, nella sua opera sterminata, Proust. Legittimo, anzi promettente. Non fosse che non vuole sprecare nemmeno una virgola, e quello che ha tesaurizzato, in cataloghi evidentemente sterminati, qui riutilizza. Come già nella “Rosa” e nel “Pendolo”. Solo che qui la digressione è a ogni riga, da piccolo Rabelais incontinente.
Resta un centone di fesserie. Una sorta di monumento alla stupidità, sotto le fattezze della filologia, della citazione colta. Inframezzato da scoperte – Yambo scopre, delle cose perdute in memoria, il vero senso, ora che non sono più il prodotto dell’abitudine, irriflesse. Anche se, sempre, del tipo scemenzario flaubertiano: “La vita sociale è solo finzione”, “è tutta una commedia”, la storia è un enigma, il mondo un errore, sanguinoso.... Dopo verrà la “vertigine della lista”, cicaleccio puro e semplice.
Un libro bellissimo, in carta patinata, da collezione. Con una bibliografia delle citazioni - non esaustiva: non ci troverete quella che vi interessa. Da leggere a puntate.
Umberto Eco, La misteriosa fiamma della regina Loana, Bompiani, pp. 454, ill. € 13