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Dunque,
ci sono i “giornalisti sotto copertura”. Che militano per mesi o anni nell’estrema
destra, e scoprono che i fascisti si salutano col saluto romano. E che si bara
sulle iscrizioni al partito, e sulle quote di iscrizione. Il tutto da “vendere”
a un talk-show. Alla vigilia di elezioni, così si fa il botto.
Non
è giornalismo, è militanza. Lecita, e anche benvenuta. Ma che miseria.
Un
tempo la “denuncia” era di destra – del potere, che per antonomasia è di
destra. Spiate, dossier, rivelazioni, tutto sempre telecomandato, per i bisogni
arcani del potere. In Italia, da decenni ormai, dal “Corriere della sera” di
Ottone, che usava perfino giornalisti dei servizi segreti, poi da “la Repubblica”
di Scalfari e dal “Corriere della sera” di Mieli, i giornalisti-confidenti-denunciatori
sono di sinistra – confidenti dei servizi segreti, e delle Procure della
Repubblica. È la destra che si è spostata a sinistra, o la sinistra che è
andata a destra?
“La
Repubblica” ne dà un esempio oggi, con l’intervista, eccezionalmente fruibile senza
spesa,
https://www.repubblica.it/cronaca/2021/10/01/news/il_pm_i_reati_ci_sono_stati_e_gravi_ma_umanamente_sono_dispiaciuto_-320334592/
il
grido di dolore del dottor Permunian. Questo dottore, giudice di prima nomina a
Locri, una delle aree di maggiore mafiosità al mondo, se l’è cavata
perseguitando per cinque anni, con i colleghi Ezio Arcari e Marzia Currao, e
col capo della Procura Luigi D’Alessio, il grande criminale Lucano, sindaco di
Riace, su denuncia, risultata infondata, di un paesano invidioso, vedendoselo
condannato al doppio della pena da lui
richiesta, con una requisitoria di dieci ore (dieci ore). A uno così il
quotidiano lava la coscienza.
“Sono
dispiaciuto”, dice il giudice. Aggiungendo, infine sincero: “Risalirò in
Veneto, o in Friuli”. Spitzenkandidat d’ora in poi di Salvini per ogni grande incarico,
con la protezione della sinistra – della sinistra del giornale ex di Scalfari. Un
dottore in perfetto stile leghista – magari non da salviniano (“sono stato in Africa”), anzi da chierichetto, contro il ladro di elemosine: è sceso al Sud,
ha fatto sporco anche il pulito, se ne risale.
La condanna di
Lucano al doppio della pena richiesta dall’accusa, è un atto politico dei
giudici del Tribunale, il presidente della sezione Penale del Tribunale, Fulvio
Accurso, e la sua ancella e il suo damo del collegio giudicante. Che si lavano la
coscienza dando per scontata l’assoluzione di Riace in Cassazione (le spiegazioni
che Permunian e D’Alessio, e lo stesso Accurso, ne danno sono da “sentenza
suicida”), se non già in Appello. Ma che giustizia è questa? Nemmeno si può
dire politica, come lo Stato-mafia in scena a Palermo: è spasso, divertimento,
goliardia. Senza responsabilità: giudici e sbirri in Italia possono fare quello
che vogliono. Basta non uscire per Locri.
“Mohammed
Osman Boburi, conosciuto nelle migliori accademie internazionali, è stato
costretto a dimettersi da rettore dell’università di Kabul. Al suo posto i talebani
hanno messo Ashraf Ghairat, guerrigliero senza laurea che ha subito escluso le
donne”. Che notizia è?
Ghairat
è guerrigliero? I talebani sono guerriglieri o terroristi?
Tutto
in effetti nell’affare Morisi appare organizzato. Compresa l’intervista del
capo della Procura di Verona, Angela Barbaglio, al “Corriere della sera”: “Ho
l’assoluta certezza che nulla è stato detto da noi e posso assicurare che nulla
è stato detto dai carabinieri, quindi sinceramente non capisco proprio questa
uscita”. L’uscita no, si capisce: è (l’inizio di?) una campagna di demolizione,
della Lega nel suo punto debole-forte, l’immigrazione
e la malvivenza. Quel che non si capisce è la certezza: Barbaglio come Muzio Scevola?
La
Procuratrice Capo di Verona, 69 anni, quindi alla pensione, sembra divertirsi
un sacco: “Si tratta di una storia banale, che risale alla scorsa estate”, “la
denuncia risale al 14 agosto”, “per noi è un fatto antico”, “che motivo avremmo
avuto di far uscire adesso la notizia?” . Già, che motivo?
Si diverte tanto, la Procuratrice Capo, che denuncia Morisi per il possesso di 0,31 grammi di cocaina zero trentuno. Occhio di lince, della Procuratrice o dei Carabinieri. Senza nessun senso del ridicolo, per i cronisti che pensosi accolgono la notizia. Ed è il solo ritrovamento di droga a Verona e dintorni?
E quanto, e da chi, sono stati pagati i due gigolò rumeni della trappola, che da cinquemila euro a notte, duemilacinquecento anticipati, sono passati a zero - nessuno li chiama più? Come faranno a pagarsi la droga - certo di modica quantità, meno dello 0,31 grammi?
Unicredit prosegue nel massimo silenzio le
trattative, con Roma e con Siena, per acquisire il Monte dei Paschi. Cioè, non
proprio nella segretezza: si fa dire che della operazione sarebbe opportuno
fosse parte il Banco Popolare di Milano - ex, ora Bpm. Che non è una
nocciolina.
È una operazione politica questa
acquisizione-salvataggio di Mps, oppure una di mercato? Unicredit, Mps, Bpm non
sono sul mercato, al listino, sotto il controllo della Consob - non dovrebbero
informare su negoziati e trattative, specie se acquisizioni?
Mourinho
le vince tutte ed è un delirio. Perde il derby ed è un delirio in senso
opposto. Immediato. Generale senza eccezioni. Violento, un bulldozer, su carattere,
passato, tattica, comunicazione. Non solo Mourinho, il direttore sportivo è
insultato, i calciatori uno per uno, perfino Trigoria, il centro sportivo. Solo
la proprietà americana – “i Friedkin” – è risparmiata: i soldi si rispettano.
Non
è Roma, è la Roma dei romanisti - i laziali non sono da meno, una sconfitta e crolla tutto, ma si vedono, o sono, meno. Nei social, nelle radio, nelle cronache di Roma, niente
è risparmiato, e i commenti che si sentono, esacerbati, al mercato, al bar. Non
è tifo, è una religione, paurosa.
Sulle
tracce di Stevenson, “In viaggio con un asino nelle Cévennes”, la maestra
Antoinette, un po’ svitata, insegue l’amante, che all’ultimo disdice la
settimanella di vacanze insieme per passarla con la famiglia, moglie e figlia,
su in montagna. Lo insegue in montagna, sul sentiero Stevenson. E con l’asino.
Ma - al contrario di Stevenson, che non era svitato ma inseguiva giovane un
amore assoluto, una signora americana già in età, che lascerà il futuro cammino
Stevenson quando lui vi arriva per inseguirla - senza il lieto fine. O forse sì:
Stevenson ritroverà l’amore della sua vita in America, la sposerà e ci vivrà
per sempre, Antoinette rinsavisce con l’asino – la saggezza dell’asino.
Novanta
minuti di riposo. Perfino l’incontro inevitabile con la famigliola dell’amante,
benché scontato, non crea tensioni. Si può fare un raccontino stravagante, di
paesaggi, piccole scene di piccoli personaggi, fra i terribili che si incontrano
nei “sentieri” organizzati, con un asino che fa l’asino – ma si sa che gli
animali sono di aiuto ai deboli.
Caroline
Vignal, Io, lui, lei e l’asino, Sky
Cinema
È passata sotto silenzio, ma non al
ministero, la storia dell’ambasciatore italiano a Pristina (Kossovo) destituito
e processato per associazione a delinquere (traffico di immigrati), benché sia innocente, da sette
anni tenuto pervicacemente fuori ruolo dal ministero, malgrado due decisioni del Tar che ne impongono il reintegro. È la storia dell’ambasciatore
Michael Giffoni, che si può leggere online. Che la Farnesina gli ha fatto pagare per
intrallazzi di un Rugova figlio del padre della patria kossovara – governata
peraltro sempre sotto l’ombra di Hashim Thaci, il suo vero creatore (Rugova, il
“Gandhi del Kossovo”, è il cache-sex),
che era un capomafia, ora sotto accusa all’Aja per crimini di guerra.
Una storia personale, che accompagna
però il declassamento del ministero negli stessi anni. Da punta di diamante del
governo al niente. In particolare col “giro di walzer” assurdo con la Cina. E con
l’abbandono colposo della Libia, che pure era stata in qualche modo recuperata dopo la déroute del 2011 a
opera della Francia di Macron e degli Usa di Hillary Clinton, con la riapertura
dell’ambasciata. Più in generale con la fuoriuscita dal Mediterraneo. Qui le
contestazioni sono molte: l’inerzia con l’Egitto sui problemi giudiziari e penali,
l’immigrazione selvaggia, con la stessa Libia e con la Tunisia, la ricerca di
fonti di energia nelle aree marine.
Sotto accusa è la gestione del segretario
generale Elisabetta Belloni. Che ha avuto la gestione del ministero da Mogherini
e Gentiloni, cioè da Renzi, e ora è promossa a capo del Servizi di intelligence.
Successore di Belloni a capo della
Farnesina è stato nominato il capo di gabinetto di Di Maio, l’ambasciatore Sequi.
Di Maio è per molti, soprattutto a Washington dove non lo invitano, “l’uomo di
Pechino”. Sequi ha debuttato col ritiro precipitoso dell’ambasciatore e del personale
diplomatico da Teheran a Ferragosto – che in Italia non si sapesse?
“Gli americani
pagano per i farmaci da prescrizione due volte e mezzo più di ogni altra
nazione sviluppata”.
“Tra gli american
con perdita di udito, solo uno su sette utilizza un apparecchio acustico”.
“Oltre 65 milioni
di americani (un quinto del totale, n.d.r.) vivono in aree con un solo
fornitore di internet ad alta velocità”.
“Tra aumento dei
prezzi e riduzione dei salari, la mancanza di concorrenza costa alla famiglia media
americana cinquemila dollari l’anno”.
“Siamo da
quarant’anni nella situazione di consentire a società gigantesche di accumulare
sempre più potere. Con l’effetto di meno crescita, investimenti più deboli, un
minor numero di piccole imprese; troppi americani che si sentono lasciati
indietro; troppe persone più povere dei loro genitori”.
(Joe
Biden, ordine esecutivo “Promozione della concorrenza nell’economia
americana”).
Chiusa
in casa, in una Londra deserta, alla prima applicazione, severa, della chiusura
per pandemia, la coppia in crisi Anne Hathaway-Chiwetel Ejiofor continua a
litigare, dormendo o videotelefonando ognuno dal suo piano nelle pause. Salvo rimettersi
insieme alla fine per una rocambolesca truffa, ai danni dei rispettivi
truffatori – una truffa su una truffa, anzi su due.
Lui è
un ex giovane di belle speranze che ora fa le consegne – un rider col furgone. Limitandosi
a sfoghi sporadici di fantasia, quale la lettura di una poesia dal cortile ai condomini
alle finestre. Ricattato per via di un precedente penale (una rissa al bar) dal
suo datore di lavoro. Che ora lo obbliga a un trasporto in nero, con fatture false,
sotto il nome di Edgar Allan Poe, autista di una società fittizia, di un carico
importante dai magazzini Harrod’s. Lei è un’americana raffinata che dirige a
Londra un business americano di grandi eventi, per conto del quale licenzia fredda
i collaboratori locali ora che c’è il lockdown.
Il trasporto da Harrod’s è una mostra di gioielli che lei ha curato, attorno a
un diamante speciale, di cui in America si decide la vendita a un riccone
asiatico che vuole pagarlo in nero in contanti per eludere il fisco americano.
Una
prova di forza per Anne Hathaway, sempre in scena con poche pause, che deve
sostenere con cambi di registro e estremizzazioni del personaggio, benché
costretta alla solita maschera, marmorea. Col compagno, con i collaboratori, e
infine con amici, conoscenti e capi azienda. In un sottilissimo gioco di
sguardi, pause, tagli. Una storia da niente, animata da una recitazione
brillante. In ruoli minori compaiono anche Ben Stiller e Ben Kingsley.
Una
sorpresa per lo spettatore italiano, che si rida attorno a ordinarie truffe
fiscali – non pagare l’Iva. Una
“commedia all’italiana”, non in Italia, a Londra e in America.
Doug
Liman, Locked Down, Sky Cinema
Giuseppe Leuzzi
Il Sud era reo di ogni peccato nel nazismo – il
mito del Nord fu al centro del nazismo. Il film “Ewiger Wald” del 1936, il bosco
eterno, mostra la deforestazione in arrivo dal Sud, una peste – la deforestazione
dal Sud andava in parallelo con la cristianizzazione: la conversione dei
Germani al cristianesimo si fa vedere e si assomiglia alla devastazione delle
foreste, al deserto.
Le terre
dell’osso
In
“Eclissica”, il libro di quindici anni di annotazioni e ricordi, Vinicio
Capossela si allaccia a Paolo Rumiz, “La leggenda dei monti naviganti”, dividendo l’Italia in verticale
invece che tra Nord e Sud, tra la dorsale appenninica, trascurata, abbandonata,
l’osso, e il resto, Una divisone che così sintetizza con Fabio Genovesi su “La
Lettura”: “In quel caso vedi l’osso interno, la dorsale”, un po’ spopolato perché
“la società dei consumi ha deciso” altrimenti: “Spopolanento, dove possibile un
po’ di saccheggio energetico (l’acqua, n.d.r.), magari qualche ricettacolo di
scorie industriali”.
L’“osso”
Capossela vede unito anche linguisticamente: “In termini di lingua, sulla dorsale
tra sud delle Marche, Abruzzo, Molise, Sannio… (e dimentica il Tavoliere, n.d
.r.), sarà stata la transumanza, ma anche nei dialetti ci sono molte
assonanze”.
Conclude
ricordando che “le «Terre dell’osso», contrapposte alla «polpa », sono una definizione
dell’economista Manlio Rossi Doria”. Di quando al Meridione si studiava.
Giù lo Stato,
libera mafia
Un
colpo al cerchio e uno alla botte, l’Aggiustizia di Palermo non si smentisce:
lo Stato-mafia c’è, lo Stato-mafia non c’è. Ma a naso la seconda, come direbbe “Quelo”,
è la buona. Il buonsenso avrebbe detto che le indagini di polizia non stanno a
spaccare il capello: ci si sporca anche le mani se necessario. Naturalmente
senza infrangere la legge - come invece fa spesso il commissario Montalbano, la
coscienza del Paese virtuoso. I delinquenti bisogna conoscerli, ci si deve parlare.
Cosa che i cronisti giudiziari sanno, ma gli conviene dire il contrario - un cronista giudiziario c’è se c’è lo scandalo
(ma, poi, chi crede ai cronisti giudiziari? si divertono e divertono, una
figura del gossip, il “nuovo” giornalismo).
I
giudici, invece, che si divertono con la giustizia, in ambiente mafioso, lasciano
senza respiro. Il giudice Montato soprattutto, quello del tutti colpevoli, non
i mafiosi, no, Berlusconi e tutti i suoi, col processo spettacolo, portato in giro
per mezza Italia a onorare i delinquenti, nelle loro residenze carcerarie, con
giornalisti al seguito a centinaia - forse
migliaia quando un Graviano doveva accusare Berlusconi. Che condannò tutti, con
una sentenza di 5.200 pagine – tutti eccetto Mancino.
In
un processo imbastito, quanti anni sprecati alla Procura di Palermo invece di
lavorare, sulle dichiarazioni di Busca. Di Brusca, quello che uccise con le
mani e sciolse nell’acido il piccolo Di Matteo, che tirò la cordicella per la
strage di Capaci. Cioè: uno come Brusca ha diritto di parlare. Anzi, ha diritto
di dire lo Stato mafioso. Montalto, pietà.
“La
sostanza, la verità della cosa”, scriveva questo sito recensendo Fiandaca-Lupo,
“La mafia non ha vinto”, un paio di anni fa, “è che col processo Stato-Mafia
da quindici anni non c’è più mafia a Palermo- Trapani”, dove Messina Denaro
passeggia quasi certamente indisturbato, e comunque è “l’area a più alta
densità mafiosa.”
Liberare
la mafia certo non è un progetto. Né, certo, si può fare di colpo. Ma dire che
tutto il resto è mafia è come se. Un come se non ipotetico, ma di immediato,
ampio, grande, effetto pratico. Sui Messina Denaro, la cocaina, le estorsioni.
Sulla mafia.
Pavese calabrese
– più che un caso (4)
Ritrovarsi
“in Grecia” a Brancaleone ripetutamente inebria Pavese. Al punto di trasfigurare
il povero borgo in cui si trova. Sempre nella lettera del 27 dicembre ne fa un
esteso elogio. “Fa piacere leggere la poesia greca in terre dove, a parte le
infiltrazioni medievali, tutto ricorda i tempi in cui le ragazze ϋδρενούσαι si
piantavano l’anfora in testa e tornavano a casa a passo di cratère”.
Greco
pure l’abbandono, il passato presentandosi in forma di rovine: “Niente è più
greco di queste regioni abbandonate. I colori della campagna sono greci. Rocce
gialle o rosse, verdechiaro di fichindiani e agavi, rosa di leandri e gerani, a
fasci dappertutto, nei campi e lungo la ferrata. E colline spelacchiate
brunoliva. Persino la cornamusa – il nefando strumento natalizio – ripete la
voce tra di organo e di arpa che accompagnava gli ozî di Paride θεοοειδής”,
divino, “quando sui pascoli dell’Ida mangiava il formaggio delle sue pecore e
sognva gli amori di Ελένης λευκελέου” (“tutta
bianca”, Pavese se ne ricderà in Leucotea – Elena in Omero è solitamente “dalle
bianche braccia”) – “congiunta seco lui su di un’isola sassosa”.
Riscopre
il dialetto, come forma espressiva diretta, “reale”. In più accenni, seppure
minimi, della corrispondenza: alcune parole locali, le forme espressive e la
forma mentis, senza difficoltà, di compitazione e comprensione, senza forzature.
Specie l’espressione lieve, ironica e autoironica, della “zannella” – di cui
Pavese non tratta, ne erano all’oscuro del resto probabilmente anche i locali, di
fatto ne delinea l’uso: la scherzosità, connaturata alla socialità, su un fondo
di irrisione, anche se non cattiva, non personale (in funzione apotropaica, una
forma di scongiuro).
Un
Pavese disteso, perfino allegro. Cioè a suo agio. In un paese, una lingua, un
mondo che si penserebbero a lui alieni. Se non odiosi, in quanto, di fatto, sono la sua
prigione, seppure all’aperto. Passando anche sopra a problemi reali, quale la
scarsa igiene: “Ho notato che le scrofe, qui numerosissime”, scrive alla sorella
Maria il 19 novembre, “viste di dietro hanno una somiglianza impressionante con
la vista di dietro delle signorine in genere – tacco alto e fine, gambetta nervosa,
vivace sculettamento e codino frisé – e sono tentato di condurmene una a letto per
compagnia. Ma non lo faccio perché la came di maiale è un afrodisiaco”. Un raccontino
che sembra di uno scrittore calabrese, Zappone, Delfino, lo stesso La Cava.
Contro
il freddo ha adottato il “braciere”, annuncia nella stessa lettera, che descrive
accurato come “un guerresco bacile di rame munito di maniglie”, eccetera –
salvo, per risparmiare, adottarlo nella forma di “catino di scarto”, di
lamierino e non di rame, eccetera. Senza rischio di avvelenamento da anidride carbonica,
conclude nella stessa chiave: “Col mal di testa, per via del carbone, ci si
sveglia presto”.
Brancaleone
è un paese, ha scritto a Sturani il 2 novembre, dove tutti, “parlando tra
uomini, accennano goderecciamente all’Alta Italia”– dove sono stati militari, ma questo non lo nota, la
grande e sola “esperienza” della vita. E alla sorella, a metà
gennaio: “Qui ho molte consolazioni, a parte mangiare carciofini”. Una lettera
che conclude: “Sentite questi versi paesani, se non vi paiono notevoli”: “A
malatedda meja, a malatedda,\ no jè de morte la to’ malatia,\ bedda, no je
tarzane e no quartane,\ solu nu rame de malincunia.\ Vienne a state cu me na
settemane\ te la fazzo passà sta malatia.\ Quanne la malatie no t’ha passate,\
tu, rundinella, pigghiala cu mia”.
Sempre
a Maria ha mandato il 19 novembre uno dei “bei proverbi popolari” che sente:
“Corna di mamma\ corna di canna;\ corna di soro\ corna d’oro; \ corna di mugliere\
corna vere”. Trascrizioni tutte sempre ortogaficamente rispondenti alla pronuncia.
Col
nuovo anno l’esigenza è già di “sorpassare Torino e giochi connessi”, 16 febbraio. E a cascata, il 17 febbraio, “è bene rifarsi a Omero”. Con varie
elucubrazioni sul modo tecnico di rifarsi a Omero. Compresi gli accorgimenti
minimi. Ma per pensare in grande, e narrativamente.
Brancaleone
figurerà in cima al diario, “Il mestiere di vivere”. Che avrebbe avviato
proprio nel paese del confino, come “Secretum professionale”. Così scrive nel
frontespizio (il diario ha lasciato
manoscritto ma in ordine per la pubblicazione)
“Secretum professionale
Ott.-dice.
1935 e febbr. 1936, a Brancaleone
(Il
Mestiere di poeta, 1934, stampato in Lavorare stanca precede idealmente”)
Il
primo impatto col luogo del confino, appuntato nel “Mestiere di vivere” il 10 ottobre,
è di estraneità: “Questa terra, sotto le rocce rosse lunari, pensavo come
sarebbe di una grande poesia mostrare il dio incarnato in questo luogo, con
tutte le allusioni d’immagini che simile tratto consentirebbe”. Ciò avverrà
molto dopo, nei “Dialoghi con Leucotea”, l’opera di Pavese più distesa, a suo
stesso parere – di cui sempre pensa bene, col sorriso. Ora no: “Subito mi
sorprese la coscienza che questo dio non c’è, che io lo so, ne sono convinto”. Ma
non senza effetto. “Di qui ho pensato
come dovrà essere allusivo e all-pervading
ogni mio futuro argomento, allo stesso modo che doveva essere allusiva e all-pervading la fede nel dio incarnato
nelle rocce rosse”. Per ora “queste rocce rosse lunari…non riflettono nulla di
mio” – “se queste rocce fossero in Piemonte saprei bene però assorbirle in un’immagine
e dar loro un significato”.
Poi
si precisa un’opportunità – malgrado le trappole del localismo: “Non è letteratura
dialettale la mia – tanto lottai d’istinto e di ragione contro il dialettismo”,
anzi con “gli occhi aperti su tutto il mondo”, e “specialmente sensibile ai
tentativi e ai risultati nordamericani”. Un’esperienza che ora ritiene
esaurita, forse per avere “esaurito il punto di vista piemontese”. Da qui un
nuovo sguardo sul dialetto, “un nuovo punto di partenza”.
L’inverno
di Brancaleone sarà un puntiglioso, ripetuto, riesame del rapporto con i luoghi
di origine: la residenza obbligata in un borgo remoto lo riporta al problema
delle radici, come rappotarsi a esse proficuamente, per crescere e non per implodere,
all’ombra del bozzetto. Se stesso vedendo unicamente sotto l’aspetto del poeta
– non ancora il narratore. È a Brancaleone, a contatto cun una realtà diversa,
di rocce, mare, donne e uomini, non di letture, per quanto aggiornate, che l’immaginario
riprende forza.
(fine)
leuzzi@antiit.eu
Titolo
flaubertiano per una storia di amour fou.
Personale, dell’autrice, Ernaux racconta in forma diaristica, il che la rende
più piccante. Con un giovane russo – non proprio giovane, di 38 anni, ma glabro,
come un ragazzo, oltre che alto, occhi verdi, biondiccio, mentre lei, se ha l’età della scrittrice, nel
1988 ne ha 48, e senza tacchi gli arriva al mento.
Una confessione? Si direbbe, per aggiungere al piccante degli incontri, ma non è
così che avviene: il racconto è proprio flaubertiano, quasi casto. A parte il
bisogno dei due amanti di vedersi, a date e ore e luoghi incerti ma allora subito, per un anno
circa. Lei scrittrice invitata nella Russia di Gorbacev, 1988, per turismo e conferenze, lui accompagnatore-interprete.
Con un po’ del mistero che accompagna(va) gli interpreti-guida russi, essendo anche spie.
La
storia nasce a Leningrado, alla fine del viaggio della scrittrice, ma prosegue
poi a Parigi, dove l’interprete è inviato, all’ambasciata, con generici compiti
“culturali” – ma confessa: “Lavoro nella sicurezza, è complicato”. Lui
telefona, in giorni e a ore imprevedibili, e lei entra in orgasmo, per sedute
di torridi amplessi, da due a quattro ore. Quando non telefona, le manca.
Una
storia vera? Un tentativo di uscire dal marchio Ernaux, dei grandi eventi che si
dipanano attraverso fili personali e
familiari? Lei stessa non sa decidere, verso la fine del racconto, che cosa sta
raccontando, perché non sa che storia ha vissuto: per tutto il rapporto “ho
avuto l’impressione di vivere la mia passione sul modo romanzesco, ma non so
ora su che modo la scrivo, se quello della testimonianza, o delle confidenze
come se ne praticano nei giornali femminili, quello del manifesto o processo
verbale, oppure del commento al testo”.
Storia
d’amore, di sesso, di una donna matura – “Lui mi fa dono del suo desiderio”.
Lui, A., senza nome, è praticamente muto: lei sa che non sarà “mai sicura che
di una cosa: il suo desiderio o la sua assenza di desiderio”. Anzi, di due.
“Avevo il privilegio di vivere dall’inizio, costantemente, in tutta coscienza,
quanto si finisce sempre per scoprire con stupore e sgomento: l’uomo che si
ama è un estraneo”.
Per
mettersi alla prova, la scrittrice protagonista si allontana, va a Firenze. Di
cui racconta vivace, per variare e rimpolpare il racconto - con un solo
errore, piazza San Michelangelo invece
di piazzale Michelangelo. Altro errore, veniale, fa a Padova, nel corso del suo
viaggio rituale a Venezia, ogni anno o quasi, quando lui è già partito,
attaccando “sulla parete della tomba di sant’Antonio” il ritratto di A., una
foto sfocata, l’unico ricordo, come preghiera per un suo ritorno.
Dal
racconto è stato tratto il film “L’amante russo” (“Passione semplice” in
originale), in concorso a Venezia. Pieno invece, questo, di scene bollenti.
Annie
Ernaux, Passione semplice, Bur, pp.
80 € 8
spock
“La vera storia è quella segreta”, Ronald
Syme?
“La
gente è il più grande spettacolo del mondo, e non si paga il biglietto”,
Charles Bukowski?
“Meno intelligente è il bianco, più gli
sembra stupido il nero”, Gide?
“Quanto meno si ha paura, tanto meno c’è
in genere pericolo”, Titoli Livio, XII, 5?
“Si abbia paura solo della paura”, Montaigne?
“Un uomo coraggioso quasi sempre è privo
di immaginazione”, Charles Bukowski?
spock@antiit.eu
La Ue pesa per l’8 per cento sulle
emissioni mondiali di gas serra. Se si realizzasse il Piano di ridurle o catturarle,
del 55 per cento nel 2030 rispetto al 1990, le emissioni globali si
ridurrebbero dell’1 per cento – non tutto, naturalmente, nell’aria che l’Europa
respira.
L’Agenzia Internazionale per l’Energia (Aie)
calcola che, con le politiche in corso, in tutt’e cinque i continenti (l’aria
circola), nel 2030 si produrranno le stesse quantità di CO2 del 2019. Si investe,
enormemente, per restare fermi.
La transizione energetica, nei prossimi
trenta anni, richiederà uno sviluppo enorme dell’elettrificazione.
Nello scenario Aie, per arrivare all’emissione
“Net Zero” di gas serra nel 2050 bisognerà più che raddoppiare gli investimenti
in campo energetico, dai 2.000 miliardi di dollari l’anno degli ultimi cinque
anni, 2016-2020, a 5.000 miliardi entro il 2030, e successivamente di 4,5
miliardi l’anno fino al 2050. Il settore energia, che è poi tutto elettricità,
che ora assorbe il 2,5 per cento del pil mondiale, passerebbe al 4,5 per cento
nel 2030, per ridiscendere al 2,5 per cento nel 2050.
Il generale Mark Milley, capo di Stato
Maggiore Unificato delle forze armate americane, ascoltato al Senato americano
per il disimpegno caotico dall’Afghanistan, per il quale ha rifiutato ogni
colpa, ha confermato di avere parlato con Bob Woodward, il giornalista anti-Trump
ex “Washington Post”, per l’ultimo suo libro, in cui dice Trump deciso a bombardare
la Cina e Milley no.
Il generale ha riconosciuto anche di avere collaborato con
altri autori di due libri in uscita, scandalistici su Washington, la Casa
Bianca, il Campidoglio.
Il generale è stato interrogato anche in
merito a un articolo del “Washington Post”, su un suo colloquio l’8 gennaio con
la speaker della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi. Ha confermato che Pelosi voleva sapere quali
salvaguardie erano in atto per prevenire un “presidente instabile” dal lanciare
un attacco nucleare. “È pazzo. Lei sa che è un pazzo”, ha detto Pelosi. Che è
sempre presidente (speaker) della
House of Representatives.
Con
una serie svelta, e senza nomi, Rai 1 se la batte col supermatch Milan-Atletico
Madrid, col 20 per cento di audience,
quattro milioni stabili di spettatori (certo, molto al di sotto dei 5-6 milioni che
seguono lo stracco giochino – dopo tanti anni, immutabile, scontato - dei
riconoscimenti, “Soliti ignoti”: il pubblico soprattutto è abitudinario). Una serie
franco-belga - più belga, cioè non scontata, che francese. Di storie rapide, da
50 minuti, con giusto il minimo sindacale per gli a parte, personali,
familiari, storici, geografici, sentimentali e non. Effettivo anche sul lato
comico: la sorpresa è sempre buffa. E Morgane comunque ha – ha già avuto mentre
si parla e si ascolta – un’altra idea: la sorpresa è il miglior ingrediente
della suspense.
Lo
spunto anche non è ricercato: una donna di 38 anni, uno o due mariti e alcuni
figli, senza mestiere, colf a ore, ha un quoziente d’intelligenza superiore e
“vede” i casi dove altri non ci arrivano, anche se gli indizi sono in superficie.
Nulla di medianico o di macchinoso, solo geniale.
Alice
Chegaray-Breugnot- Stéphane Carrié- Nicolas Jean, Morgane - Detective geniale,
Rai 1
Lunedì
alle 13,30 il Tg 1 insiste che tra il candidato socialista e quello
democristiano il risultato del voto in Germania è quasi alla pari, e che si deve ora decidere a chi
dei due toccherà la mano per fare un governo. La sera alle 20 dice infine che
la Cdu-Csu ha perso nove punti, e che è il peggior risultato della coalizione
nella storia della Repubblica Federale. Ma sono molte le cose che ancora non si
dicono, non solo al Tg .
Cdu
e Csu sono in subbuglio. Si litiga molto, anche contro Angela Merkel. Ci sarà
un ricambio generazionale, guidato dai governatori dei Länder ancora a governo Cdu. Nella Cdu il timore è diffuso di non essere più una Volkspartei, un partito popolare di massa.
Il
seggio di Merkel per trent’anni è andato a una ragazza socialista.
Due
importanti ministri uscenti, Altmaier (Economia) e Kramp-Karrenbauer (Difesa),
quest’ultima già prima scelta di Merkel per la sucecssione alla cancelleria,
non sono stati eletti.
L’estrema
destra Afd è partito maggioritario in Sassonia-Anhalt, sotto Berlino, e in Turingia,
due Länder piccoli ma di tradizione e
cultura (in Sassonia-Anhalt è oggi Stendal, da cui Stendhal prese il nome
letterario).
In
Brandeburgo, il Land attorno a
Berlino, e Meclemburgo-Pomerania Anteriore (col collegio Ruegen-Geifswald che
per trent’anni ha votato Merkel), col mare apprezzato di Rügen sul Baltico, Afd
è il secondo partito. Afd è la novità degli ultimi due cancellierati Merkel: prima, per tutto il dopoguerra, la Cdu-Csu aveva saputo canalizzare il voto di protesta di destra.
Chiuse le celebrazioni sui vent’anni dall’attacco alle
Torri Gemelle, anche il processo ai cittadini sauditi implicati nell’attaco, in
attesa da quasi vent’anni, è stato rimandato. Nella disattenzione generale.
Il rapporto Fbi sui collegamenti
sauditi con gli attentatori dell’11 Settembre non è vero che non contiene nulla
– benché non sia stato in realtà desecretato, contenendo molti omissis. Nella
parte resa pubblica un funzionario del consolato saudita a Los Angeles, Fahed
al-Thumairy, e un confidente della Cia, Omar al-Nayoumi, hanno ospitato due dei cinque terroristi che hanno colpito il Pentagono, Nawaf al-Hazmi e Khaled
al-Mindhar.. Di più, ne hanno organizzato il soggiorno. Materialmente, li ha
ospitati il saudita collaboratore della Cia.
Adattato
da “Passione semplice”, dice il film, il racconto lungo di Annie Ernaux, 1991 –
“Passione semplice” è il titolo originale del film. Presentato a Cannes
l’altr’anno, con poco successo. Ma un racconto forte. Segnato forse nel film dalle immagini insistenti dei corpi nudi avvinghiati, in ogni possibile posizione, che però è
la sostanza del racconto originale, della passione scatenata, senza condizioni
e senza giustificazioni. Tra una scrittrice affermata e un russo più giovane di
cui lei niente sa, se non il nome, ammesso che sia quello vero – forse è una
spia, forse ha una moglie che non è sua moglie, forse ha un’altra amante.
Un
rapporto di dipendenza. Dalle telefonate di lui. Che arrivano a caso, il giorno
dopo o il mese dopo. E sempre rianimano il rapporto, lo accendono: lui viene
tra mezzora o fra tre giorni e questo basta, lei non farà che aspettarlo.
Una
storia di amour fou. Del desiderio,
senza ragioni e senza limiti. Una fascinazione. Che la scrittrice dirà nella
seconda redazione della storia dieci anni dopo, “Se perdre”, sempre
pretendendola autobiografica, l’irruzione dell’assoluto nella sua vita. Alla
soglia dei cinquant’anni, della morte del desiderio.
È su
questa seconda redazione in realtà che il film si dipana, non su “Passione
semplice”, che è invece un racconto quasi castigato. Danielle Arbid, la
sceneggiatrice e regista libanese di “Beyruth Hotel” e altri lungometraggi, attrice
in “Riparare i viventi”, segue pari pari le annotazioni di Ernaux. Sarà questa la forza segreta del film, saperlo una storia reale.
“Tutto
quel tempo”, scrive Ernaux in “Passione semplice”, “ho avuto l’impressione di
vivere la mia passione sul mondo romanzesco”. In “Perdersi” invece (“Se perdre”)
- dove pretende di raccontare la storia con le annotazione di diario tra l’ottobre
1988 e l’ottobre 1989, tra un viaggio ufficiale in Russia in qualità di scrittrice,
invitata per una serie di conferenze, con l’accompagnatore d’obbligo, col quale
avvia una relazione sessuale improvvisa a Leningrado in albergo, e prosegue con
lui tempestivamente incaricato all’ambasciata a Parigi per un anno – fa della
storia “una figura dell’assoluto, di ciò che suscita il terrore senza nome”. Una possessione, direbbe l’antropologo.
Danielle
Arbid, L’amante russo, Sky Cinema
letterautore
Augusto
–
Sacro, venerabile - da augur, augure,
“consacrato”? O l’“accrescitore” della città, poi del regno, con le sue
conquiste – da augeo? O traduzione latina
del greco Sebastòs, venerabile, già
in uso in Oriente per indicare la divinità, e i sovrani di rilievo, innalzati
al rango di divinità alla morte?
Autobio
–
“Io, sempre la stessa, generata mille volte da questo io, tuttavia”, Annie
Ernaux annota nel diario a Venezia nel 1988, nei luoghi dove era stata in
viaggio di nozze venticinque anni prima, ora sola, divorziata. E tre anni più
tardi, sempre a Venezia: “Non c’è differenza qui tra la mia vita e un romanzo:
i personaggi continuano a vivere in qualche posto. Noi passeremo sulla terra…”.
Bovarismo – Tabucchi lo nobilita
(“Elogio della letteratura”, in “Di tutto resta un poco”) come “amore non di un’altra
persona ma dell’amore”: “Il bovarismo esisteva rima di Emma Bovary: il genio di
Flaubert l’ha formulato in letteratura. Flaubert non ha inventato il bovarismo,
l’ha semplicemente scoperto”.
Calcio – Gramsci ne fa la celebrazione
in un articolo sull’“Avanti!” il 16 agosto 1918, “Il foot-ball e lo scopone” –
il calcio opponendo allo scopone, attività arretrata e poltrona: “Osservate una
partita di foot-ball: essa è un modello della società individualistica: vi si
esercita l’iniziativa, ma essa è definita dalla legge; le personalità vi si
distinguono gerarchicamente, ma la distinzione avviene non per carriera, ma per
capacità specifica; c’è il movimento, la gara, la lotta, ma esse sono regolate
da una legge non scritta, che si chiama «lealtà», e viene continuamente
ricordata dalla presenza dell’arbitro. Paesaggio aperto, circolazione libera
dell’aria, polmoni sani, muscoli forti, sempre tesi all’azione”. Un’anamnesi
perfetta, del calcio, della sua attrattiva.
Italo Calvino – Il successo internazionale di
Calvino è dovuto alla sua traducibilità, stima Jumpha Lahiri in un saggio sullo
scrittore, su “La Lettura” dell’altra domenica. È un complimento? Lahiri
propende per il sì, avendo dato da tradurre ai suoi studenti a Princeton un racconto
breve di Calvino accolto da loro con entusiasmo, e considerando la vita stessa
di Calvino, “sempre divisa”, tar Cuba e l’Italia, l’Italia e Parigi, con New
York nel cuore, il melting pot per
eccellenza. Traduttore lui stesso, aggiunge, di Queneau – “ma aggiungerei che
anche le ‘Fiabe italiane’, raccolte e riprodotte da lui fossero una specie di
traduzione”. E considerando infine “la sua passione per gli autori stranieri:
la scoperta determinante da ragazzo di Rudyard Kipling, la tesi di laurea su
Conrad, autore tra l’ara che scrive in una lingua straniera, e l’amicizia e la
collaborazione con Pavese e Vittorini, due autori-traduttori-editori come lui”.
Endecasillabo – “L’endecasillabo aiuta a riprendere ritmo”, spiega
sul “Sole 24 Ore Domenica” il linguista Lorenzo Tomasin, presentando il “Manualetto
di metrica italiana” del filologo romanzo comparatista Di Girolamo - una
disciplina che faceva parte dell’insegnamento medio ma da tempo è desueta. Un
tentativo di messinscena questa estate – per gli eventi estivi di Santa
Domenica, a Capo Vaticano - di episodi della “Odissea” di Katzantzakis,
tradotta da Crocetti, è risultato arduo da mandare a mente e ricordare
recitando. Impresa compiuta solo con sottolineature musicali, per suscitare un’armonia
di fondo.
Collera – Si annida nella cistifellea, secondo Ippocrate: nella bile gialla. Da
qui il soggetto cholericus: magro,
logorroico, avido di onori, e irascibile.
Editori - Si moltiplicano nel decennio. Gli editori a stampa, quindi con
investimento reale, in carta, tipografia, distribuzione – non editori online.
Giuliano Vigini trascrive su “La Lettura” i dati dell’Anagrafe di Alice (Italia,
Canton Ticino, Città del Vaticano, Repubblica si San Marino). Nel 2011 gli
editori censiti erano 9.738. Cinque ani dopo erano saliti a 16.484, due terzi
in più, il 69,3 per cento. Oggi sono
22.231, un terzo in più rispetto al 2016, il 34,8 per cento.
Hemingway - Bukowski (“Storie di ordinaria follia”, 304-5) aveva la migliore
redazione della vecchia tesi del suicidio per mancanza di ispirazione: “Dicevano
che ero matto”, fa dire al “vecchio Ernie” in “strade notturne di pazzia”, “che
mi immaginavo le cose, dentro e fuori del manicomio, dicevano che mi immaginavo
che il telefono fosse controllato, che mi immaginavo che la Cia mi stesse alle
calcagna…. A dire il vero, avevo un doposbronza micidiale, e sapevo di aver toppato.
E quando hanno preso sul serio IL VECCHIO E IL MARE sapevo che il mondo era un
mondo marcio” Essendo tornato al suo vecchio stile, ma artefatto: “Lo so che
era artefatto, e mi hanno dato IL PREMIO, e mi stavano alle calcagna. La vecchiaia
mi piombava addosso. Ciondolavo per casa bevendo come un vecchio scorreggione,
che raccontava storie stantie a chiunque volesse ascoltarle. H dovuto farm
saltare le cervella”.
Italia – “L’Italia non
è tanto vasta, ma è profonda. Basta scavare un metro e si trovano strati,
strutture longobarde, e sotto romane, sotto greche, sotto l’età del ferro e via
così” – Vinicio Capossela, con Fabio Genovesi, “La Lettura”.
Librite-Libridine – Un lungo articolo su “The Atlantic” del 14
settembre, “Ebooks are an Abomination”,
https://www.theatlantic.com/books/archive/2021/09/why-are-ebooks-so-terrible/620068/
di Ian Bogost, professore
alla Washington University di Media Studies, e disegnatore di videogames, uno
che vive dello schermo. parte chiedendo: “Avete forse notato che gli ebooks
sono terribili”. Ma non si sa perché – “io stesso”, scrive l’articolista, “non
lo so, forse è snobberia”. Poi ci ripensa, e lega il libro ala lettura. All’esperienza
di “leggere”: che cosa è leggere. Facile dire che i libri sono qualcosa da leggere,
ma che cosa è leggere? La parola è “praticamente inutile, pleonastica, si legge
sempre, di tutto, ovunque. Nel nostro caso però è legata alla bookiness, alla libritudine. E che cosa
è la libritudine? Il libro esiste da così tanto tempo, e in così tante forme,
che è difficile rinunciarvi. Tutto cambia, tutto è cambiato nei millenni, e ora
più rapidamente proprio nel campo delle parole e delle immagini, ma il libro è
rimasto sostanzialmente lo stesso, perché è legato ala memoria.
Paradiso della sinistra – Stimolato da un connivente Failoni per gli ottant’ani,
Salvatore Accardo evoca i “momenti felici” con Abbado, Nono, Berio, Pollini, e
Renzo Piano, in Sardegna, a Capo Caccia – “li aveva casa Claudio, io a Capo
Testa. Quando all’orizzonte vedevo arrivare la barca di Renzo, Aguaviva…”.
Un gruppo d’eccezione. Tutti eminenti di sinistra – Accardo non cita altri, con
cui pure ha lavorato molto, in sintonia. Un iperuranio, che però non suscita
simpatia (empatia?): noblesse oblige.
Svenimenti – In uso, nella vita e nei romanzi, nel Sette-Ottocento, poi non più.
Solo di donne – raro di uomini, e in questo caso indici di complicazioni
(malattia, morte, tradimento).
letterautore@antiit.eu
Il
racconto delle trattative informali, e segretissime, tenute nascoste anche alla
Cia, che hanno portato agli accordi di Oslo (1993), tra Israele, primo ministro
il socialista Itzak Rabin, ministro degli Esteri Shimon Peres, e l’Olp di
Yasser Arafat. Tra momenti drammatici, e comici. Tra due “mondi” che non si
erano mai incontrati fino ad allora, ebrei che non avevano mai parlato con un
palestinese e palestinesi che non avevano mai parlato con un israeliano.
Accordi poi in gran parte disattesi, anche per l’assassinio di Rabin da parte di
un israeliano fanatico, ma che comunque portarono alla retrocessione di Gaza e
Gerico all’Autorità Palestinese.
Filmato
dal regista spartanamente, e in forma didascalica, sceneggiando l’opera teatrale (il maggior
successo di J.T.Rogers, premiato sia a Broadway che a Londra, successi di cui
lo stesso Sheer è stato regista) da cui è derivato, il racconto tiene bene per
circa due ore. Sottofondo del film, prodotto e supervisionato da Steven
Spielberg, è che gli Stati Uniti non
vogliono un accordo tra Israele e i Palestinesi, e per questo lo condizionano
al tutto o niente, a una miriade di impegni specifici, anche contraddittori.
Mentre la pace sarebbe semplice, e ha solo bisogno del dialogo, che due che non
si sono mai parlati, e anzi mai nemmeno visti, si incontrino.
Bartlett
Sheer, Oslo, Sky Cinema
Dunque,
la Asl Roma 4 (Civitavecchia) organizza un lungo week-end dei morti per
settanta dirigenti – una settantina. Spesato, in resort cinque stella, sotto
forma di “evento formativo”, sulle montagne di Rieti. Forse un week-end poco
caro benché lungo. Ma di settanta dirigenti? Per questo non c’è nessuno allo sportello,
e le code sono lunghe: le Asl sono fatte di dirigenti.
La
Asl Roma 4 poi rinuncia all’evento formativo, quando cioè i solerti cronisti di
“la Repubblica-Roma” lo denunciano. Su iniziativa probabilmente della regione
Lazio, pur sempre amministrata dal probo Zingaretti. Senza cronisti al controllo,
le Asl vano a ruota libera? Una Asl, la Roma 4, certamente diretta da “manager”
in linea col Pd.
Il
Csm che licenzia in tronco, senza discutere, la (ex) segretaria di Davigo è un
perfetto autoritratto dell’autogoverno dei giudici. Sordido: è la sola cosa che
il Consiglio Superiore della Magistratura ha avuto da dire sulla sordida vicenda,
del giudice Storari a Milano che trafuga atti riservati, e del giudice Davigo
al Csm.
Con
il mercato spot del gas, cioè per
contratti singoli invece che per quantità definite a lungo termine, l’Europa pensava di avere messo nel sacco la
Russia, che invece si è prontamente adeguata, e ha fatto moltiplicare le quotazioni
per cinque e per dieci. Questo già nei contratti preliminari, alla viglia della
stagione fredda, quando la domanda effettiva crescerà per il riscaldamento. In
Cina, negli stessi Usa, esportatori di carichi spot, di gas liquefatto, e nell’Europa a corto di ogni riserva.
Perché
l’Europa lo ha fatto? Per favorire la pletora di mediatori – commissionari, un
business dove non si perde mai. Per favorire il mercato, si dice. In realtà per
il mercato della corruzione – il mediatore, grossista, commerciante, non ha
nessuna funzione.
Chiede
Frattini a Esther Peleg Cohen, che ha fatto rapire il nipote Eitan: “Eitan ha
la cittadinanza italiana grazie a lei, gli antenati passati da Livorno. Perché
è così contraria all’idea che viva in Italia?” “Sono contenta per me e la mia
famiglia di possedere un doppio passaporto, ma sono ebrea e israeliana”. Beh,
senza “vaffa” e “che c.”, la signora è ben livornese, parla come Allegri.
Ma
rincara sullo stesso “Corriere” un corrispondente dal nome tedesco, Ilan
Brauner, in ottimo italiano peraltro (il “noto medico legale trevigiano” di
google?):”Vanno capite le differenze tra israeliani-ebrei e italiani-ebrei, differenze
che in certi aspetti caratteriali sono abissali”. Il caso del piccolo Eitan non
è quello di un rapimento di minori, ma di diverse “identità”. Poi si dice che il
tribalismo è morto.
Il
papa che va in giro a dire che i cardinali lo volevano morto era ancora da
vedere. Ammesso che sia vero (ma che cardinali sono, che vanno in giro a
dire?), i panni sporchi non è meglio lavarli in pubblico? Non c’è più rispetto
del pubblico? Non c’è più religione?
Più
che una campagna elettorale nelle città dove è maggioritaria, secondo i
sondaggi e secondo il “nasometro”, a Roma, a Napoli, a Torino e in Calabria, la
destra sta conducendo una campagna, nemmeno subdola, contro se stessa, Salvini
contro Meloni e viceversa, e entrambi contro Berlusconi. È una destra
sopravvalutata rispetto alla sua offerta (Salvini, Meloni)? Ma non è un buon
segno, vuol dire che altrove non c’è niente.
Sembrano
perfino improbabili i candidati di Meloni a Roma e di Salvini a Milano. Nel
2021. Sarà stato anche difficile trovarli. Regge la destra, almeno in immagine,
dove c’è ancora Berlusconi, Maresca a Napoli e Occhiuto in Calabria.
Berlusconi,
il federatore della destra, lascia macerie. O la destra è irredimibile - non
c’è progresso in politica, il peggio è sempre dietro l’angolo: il vecchio Msi
di Fini, la vecchia Lega di Bossi-Miglio.
“Betty
Wrong” presenta Elisabetta Sgarbi, e lo schema ludico è chiaro. Inevitabile, vedendo
poi subito di che si tratta: i maestri vecchi-nuovi del liscio, il ballo da
balera, walzer, polke e mazurke, in una Romagna desertica, con un telefono
ancora a gettone, incolbaccati e impellicciati. L’accostamento è inevitabile
con “Buena Vista Social Club”, forse per i venticinque anni del capolavoro per caso di
Wenders. Con un asso nella manica di Wrong-Sgarbi: narratore, e voce e faccia recitanti, Ermanno
Cavazzoni, altro che Ry Cooder - tra Betty-Elisabetta e Cavazzoni siamo a livello di Sorrentino-Servillo.
Si
prosegue con inquadrature da Fellini. Con scene e inquadrature di Fellini, il
romagnolo per eccellenza. Di una Romagna sempre un po’ artica – del Fellini di
“Amarcord”, con la neve, e il nonno perduto nella nebbia spessa - e senza mai un barbaglio
di urbano, solo gore e pioppeti. E le musiche naturalmente: il film è il racconto di
una musica, solare, malgrado il maltempo, carnale, benché di ritmi centro-europei - tra Vienna e la Polonia come Cavazzoni ben ci spiega. Solare per il “sorriso”,
spiega Jovanotti – che si diverte pure lui con la band, con gli Extraliscio. E perché cantate anche bene, da belle
voci di robuste cantanti - c’è pure in cameo
Orietta Berti.
Cosa
manca per il capolavoro? Un po’ di convinzione – un filino di narrazione più
spesso, un montaggio meno fisso? Ma anche Wenders, non è che curasse i ritmi.
Forse un po’ di attenzione: questo “Extraliscio” è ben andato a Venezia, ed è
stato un male, i critici a Venezia devono parlare del capolavoro annunciato, cioè promozionato. Certamente
nelle cineteche, se ancora se ne fanno in casa, verrà conservato. O è il gusto postmoderno,
della copiatura, che stanca: sorprende solo una vota, poi resta inerte, l’ermeneutica
ha questo grosso limite?
Elisabetta
Sgarbi, Extraliscio - Punk da balera, Sky Arte