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sabato 9 ottobre 2010

La Banana Repubblica

Dunque, i carabinieri fanno irruzione in massa al “Giornale”. Non è la solita perquisizione di uno-due militi, quali solitamente vengono mandati nei giornali a chiedere i documenti. Il “Giornale” è da tempo intercettato, dal giudice napoletano Woodcok e da altra Procura, senza alcuna notizia di reato. Le intercettazioni di Woodcock vengono fornite illegalmente ad alcuni giornali, “il Fatto”, “il Manifesto”. Woodcock allarga l’inchiesta “senza oggetto”, mettendoci dentro Confalonieri, in attesa di poter citare Berlusconi, e fornendone adeguata documentazioni ad alcuni giornali. Senza che nessuna istituzione abbia nulla da dire, ormai al terzo giorno. Solo il presidente della Camera: il gentiluomo Fini fa sapere di avere espresso la sua solidarietà alla Marcegaglia contro le immonde campagne del “Giornale”.
Feltri perfido ne approfitta. Mettendo a nudo in un colpo solo tutti gli scheletri nell’armadio dei Marcegaglia. Ma documentandoli non con gli articoli del suo giornale, che non ci sono, bensì con quelli dei giornali che oggi fanno scandalo insieme con la Procura napoletana: “Espresso”, “Repubblica”, “Corriere della sera”, “Stampa”, “Fatto”, “l’Unità”. Un fatto che mette a nudo anche, purtroppo, “l’impossibilità di essere a sinistra”, come recita una recente romanza, per chi, ancora, vorrebbe esserlo. Popolata com’è, e non da ora, dalla “rivoluzione del 1992”, da sinistri figuri: profittatori, maneggioni, reduci dell’ancien régime, avventurieri, e i salomoni della questione morale, che si tengono cinici per mano. È la tessitura sordida della Seconda Repubblica, che in questa vicenda emerge in due aspetti terrificanti.
L’impareggiabile Woodcok, chiome al vento (questa volta ci ha risparmiato la Harley Davidson), si diverte, felice di essere tornato alla sua Napoli dall’esilio a Potenza. A lui paghiamo per questo un lauto stipendio. Senza scandalo, a Napoli usa: un lavoro senza faticare. Ma senza che il suo compaesano e “superiore” presidente Napolitano abbia alcunché da dire, lui che da qualche tempo parla ogni giorno, e anche due volte al giorno. A un giudice che intercetta i giornali senza nessuna fattispecie di reato, fa perdere per questo un sacco di tempo a tanti pur solerti carabinieri, e le intercettazioni taglia e diffonde a suo piacimento. Roba da Banana Republic, un altro Dos Passos si troverebbe surclassato da tanta strafottenza.
Poi c’è la Marcegaglia, cioè la Repubblica retta sul ricatto. La quale è di destra. Ma non osando sfidare De Benedetti, Bazoli, Elkann, gli editori dei giornali che hanno montato vari dossier contro di lei, ha fatto il salto della quaglia. Un’idea anche semplice. Consigliata probabilmente dal solerte Arpisella, nome ed elocuzione partenopei, è andata dal giudice a dirsi “coartata”. Non da “Repubblica”, che la sospetta di avere 17 conti segreti all’estero, ma dal “Giornale”. Un’idea geniale anzi, da cui la navigata giovane può ora sperare di avere mercé dagli editori che l’hanno attaccata, e magari dai giudici che ne indagano la contabilità. Arpisella del resto non è l’ultimo venuto, anche se finge nelle telefonate di essere un po’ incapace: è lui che in quindici anni di attività ha “creato” la Marcegaglia presidente di Confindustria, giovane benché non lo sia più, e illibata, s’intende in affari, benché non possa esserlo.
La genialità si estende alla correzione del giorno dopo, con l’intervista al “Corriere della sera” a un Cazzullo prono, in cui l’ex giovane della Confindustria dice che, beh, tutto sommato, non le sembra una grande cosa. Cosa, l’assedio al “Giornale”? Che uno ora, da sinistra, è l’ultimo oltraggio, si trova a dover difendere.

Giustizia alla napoletana

Di Woodcock non si può dire: ha preso esempio da De Magistris. I due bei giovani in un colpo, e divertendosi un sacco alle spalle di personaggi illustri, Woodcock di modelle dall’ottimo profilo e di Vittorio Emanuele, De Magistris di Romano Prodi, hanno lasciato la provincia per tornare alla diletta Napoli. I giudici “figli di giudici, nipoti di giudici”, meritano questo e altro.
Il loro più illustre conterraneo, il presidente della Repubblica Napolitano, li guarda e paterno tace. Non solo nel Consiglio superiore della magistratura che presiede, nemmeno in privato, nemmeno con un buffetto, li riprende per le loro intemperanze. Avviare inchieste senza alcuna notitia criminis, neanche la solita lettera anonima che il giudice scrive a se stesso, intercettare telefoni a piacere, anche dei giornali, diffondere atti istruttori liberamente, a amici e parenti.
Solerti i carabinieri accorrono, al cenno di napoletanissimi comandanti, e fanno irruzione in massa nei giornali. Luoghi come si sa dove si annidano i peggiori malfattori. Non a Reggio Calabria, davanti alla Procura della Repubblica, per esempio.
Molto napoletana anche la precisazione, ufficiosa ma autorevole, agli inviati dei Grandi Gionali che abboccano, che non i telefoni del “Giornale” erano e sono intercettati bensì quello del signor Arpisella. Che invece non c’era nessun motivo d’intercettare, nemmeno di opportunità – sentendolo parlare con un dirigente di Confindustria si capisce che non è molto in stima. Gli inviati naturalmente non s’interrogano nemmeno perché Napoli si arroga il diritto d’indagare su fatti che avvengono a Milano. O al più, avendo la Confindustria sede a Roma, nella capitale. Questa competenza universale della nobilissima città è ormai “acquisita”, benché illegale. Su Calciopoli per esempio, che si svolgeva (ma la giustizia napoletana ha problemi a provarlo) tra Torino, Milano, Firenze e Roma. Nel tempo libero dall’ascolto diretto delle telefonate di Berlusconi – che però è inopportuno dichiarare: quando è stato fatto (quando parlava di donne con Saccà) nessun giudice giudicante se l’è sentita di ascoltarle, si sa che i delinquenti temono la prigione.
Il concetto di legalità esula con ogni evidenza dalla giustizia napoletana. Del resto, come censurare l’universalità delle competenze? La questione morale è una e indivisibile. È per questo probabilmente che a Napoli la giustizia non ha poi la forza d’indagare su chi brucia i cassonetti e i camion della spazzatura, a diecine ogni notte, e impedisce la raccolta dei rifiuti. È come quel giudice corrotto spagnolo, che perseguiva i crimini dell’umanità e non aveva tempo per le sue pulsioni.

venerdì 8 ottobre 2010

Ombre - 64

Grandi cronache sulle perquisizioni ordinate da Napoli al “Giornale”. Ma nessuno che dica che le perquisizioni seguono a intercettazioni disposte senza nessun procedimento pendente, nessuna denuncia specifica, nessun fumo di reato. E che con tutta evidenza sono anche intercettazioni sulla Marcegaglia e sul suo segretario. Da parte degli stessi cronisti che la regolamentazione degli strapoteri giudiziari hanno presentato e presentano come lesiva della libertà di opinione. Dunque, non si può dire nemmeno di intercettazioni palesemente illegali che sono illegali.

Si minaccia la chiusura del Carlo Felice, il teatro d’opera a Genova. Che naturalmente non chiuderà, è solo di moda, presso certi ambienti, la morte annunciata. Piero Ottone costernato ne dà la colpa su “Repubblica” al governo. Quando chiunque abbia seguito anche distrattamente le cronache di Genova negli ultimi quarant’anni sa che il teatro è vittima del disinteresse della città, e dello scarso orecchio delle amministrazioni. Pregiudizio politico? Ipocrisia?

Il magistrato scrittore De Cataldo pubblica un romanzo sui traditori del Risorgimento, e nell’occasione dice a “Repubblica”, a Curzio Maltese: “(Quello con le mafie) è il patto fondante di ogni potere. Il Sud e la Sicilia in particolare sono il laboratorio del compromesso, ieri come oggi e, temo, domani”. Prima aveva detto, a proposito del terrorismo: “Nell’attentato bombarolo di Orsini a Napoleone III, che non uccise il tiranno ma provocò otto morti e centoquaranta feriti, Mazzini non c’entra nulla. Si sospetta invece che c’entrasse molto il futuro presidente del consiglio Grancesco Crispi e si sa che Cavour diede soldi a Orsini e al suo gruppo”.

Difficile appassionarsi alla casa di Montecarlo, tanto è chiaro come stanno le cose. Ma di tutta la vicenda l’unico simpatico è questo cognato, uno che non ha mai lavorato e non lo nega, pur facendo molti soldi, sfrontato, prossimo eroe dei reality. Difficile invece digerire l’ipocrisia dei giornali, di Fini, dei giudici, dell’avvocatessa Bongiorno. Altrettanto sfrontata ma moralista.

L’ipocrisia dei giornali, palese nel caso dei Tulliani, è dei cronisti giudiziari dei giornali. I quali fanno finta di non sapere che materia penale nella vicenda non è la compravendita di favore della casa ma gli appalti fasulli della Rai allo stesso giovane Tulliani e alla sua mamma. E questa è un’aggravante, perfino paurosa: la giudiziaria è tenuta a scrivere, obbligata pena il corto circuito, quello che gli abituali informatori vogliono che si scriva, i giudici e gl inquirenti. Viene fuori la natura vera dei golpisti che da un ventennio ormai tengono in scacco la politica. Che l’ex Pci ha cauzionato, e cauziona, probabilmente per proteggersi, ma sono fascisti. Niente di meno.

Un autovelox nascosto, che in tre mesi ha fatto 45 mila multe, e Firenze “scopre” lunedì, così per caso, di essere tartassata per rimpinguare le casse del sindaco. Per spese peraltro che non si vedono, perché la città è abbandonata a se stessa. Quando tutti sanno che gli autovelox sono messi lì per fare cassa - Firenze ha il record delle entrate per multe, 60 milioni in bilancio l’anno prossimo, cinquanta effettivamente incassati negli ultimi anni. Seminascosti, a pochi metri da radicali riduzioni delle velocità massima, da 70 a 50 km l’ora, e da 50 a 30. Non si vuole sapere per conformismo, per orgoglio (Firenze pensa di essere una delle città meglio amministrate del mondo), per incapacità?
I tanti soldi che entrano e non si vedono in uscita non vanno d’altra parte a riempire le tasche degli amministratori. No, vanno a finanziare le carriere politiche, dei sindaci e degli aspiranti sindaci.

Non piace a Polaris, sul supplemento domenicale del “Sole 24 Ore”, che la Cassazione abbia dichiarato incensurabili i blog. Censura la sentenza dicendo “lecito far circolare qualunque sesquipedale asinità, esagerazione, calunnia, grottesca teoria del complotto”. S vede che questo Polaris non legge i giornali, i migliori giornali, “Corriere della sera”, “Repubblica”, eccetera.
Polaris, o “Il Sole”, non si chiedono cosa avrebbe implicato la censura della rete. E anche questo fa parte del non letto. Giornalismo? Pensiero politico, magari facsista?

Cecchi Paone non resiste, e a Uno Mattina confessa, non richiesto, due storie d’amore con calciatori. “Uno della A e uno della C1”, precisa. Invita cioè alla caccia. Per un dovere di libertà, assicura, perché il calcio non ostracizzi più i gay. In realtà per un esibizionismo povero, per quanto doppio: farsi un po’ di pubblicità, consumare sue piccole vendette di letto. Se non è alla terza potenza: buggerarseli di nuovo, magari nel’immaginazione, o farsene buggerare.

Barack e Michelle Obama non piacciono più agli americani. Sono una famiglia presidenziale infine politica: nel ruolo, nazionale e internazionale, governano, non fanno gossip, nemmeno le figlie. Ma i media li snobbano, ora vanno i tea parties. Sono i media l’opinione pubblica? Lo sono stati nell’elezione di Obama. Come dire che, casualmente, possono anche essere positivi.

Dunque il governo Lombardo ter o quater in Sicilia esiste. Che sembrerebbe impossibile e perfino inimmaginabile, eppure è stato votato. Un governo Milazzo in formato minimo, con un ex Dc poi berlusconiano screditato, incapace di una sola iniziativa di governo in due anni, indagato per mafia con qualche fondamento, che mette insieme gli scarti di quattro partitini e si fa un suo personale governicchio. I voti li porta il partito Democratico. La voglia di dissoluzione in Sicilia e al Sud degli ex comunisti non ha confini.

L'onorevole Briguglio, che segue il fondatore Fini fin dal vecchio neo fascismo, saluta incisivo il Lombardo Ter, o Quater: "La tera di Sicilia può essere il granaio di Futuro e Libertà". Lo stile, quello, non muta: è semrpe solido, incisivo. Bersani dovrà andare a scuola di (neo?) retorica.

Letture - 42

letterautore

Computer– Cancella facile e senza tracce. Apre le dighe alla “saggistica a briglia sciola” (Gadda)? Non è l’orgoglio del dattiloscritto pulito, per dire delle idee chiare: ripulisce tutto, anche l’immondizia. È un caso d’innovazione che ci peggiora?
Pensa anche rapido.

Critica – È la narrazione dell’emozione estetica. È la chiave dell’estetica. E, almeno in parte, dell’emozione stessa.

Vent’anni fa, nel 1992, Asor Rosa decretava la fine della letteratura italiana. Nel 1993 Walter Pedullà decretata la fine dell’ironia – di chi? Che malattia è? Deve avere un nome in psichiatria.

Dante – Resta vivo per l’impegno politico, e per l’esistenza travagliata. Ma era soprattutto un tecnico della poesia,della parola, uno scienziato che studiava e sperimentava senza requie.
È l’applicazione che tiene vivi, flânerie e dilettantismo, per quanto si nobilitino nel rifiuto della passione, aiutano solo a trasmigrare senza lasciare traccia.

Dialetto – È il modo d’essere, del singolo, o del singolo nel gruppo naturale. L’espressione immediata, come la famiglia è il gruppo sociale primario, naturale.
Struttura la personalità. Anche quando il linguaggio si adatta, la lingua rimane quella. Un milanese non potrà realmente parlare romano. Gadda ci riesce perché legge il dialetto per quello che è. È sensibile viaggiatore, che sente le differenze – la cerimoniosità dà la tara di quanto poco a suo agio si trovasse tra i pettegolezzi e il provincialismo dell’approdo letterario. Al contrario di Pasolini o Parise, che usano il dialetto e le costruzioni dialettali a scopi neo realistici - per “andare verso il popolo”, direbbe Moravia.

Fourier – È perso, come Sade, nel fascino della classificazione dei piaceri. Dopo l’estenuazione di una vita sensuale libera, cioè poco o punto complessata, rimane solo da godere la vertigine dei numeri, della moltiplicazione e ordinazione dei fatti? Può esserci alla radice l’origine meridionale, l’im-amoralità? O non è una passione che s’innesta alla rivoluzione? Attorno alla quale sia Fourier che Sade gravitano: la rivoluzione ordinatrice. E ordinatrice esaustiva (definitiva), totalizzante, poiché la sua natura è il dominio del reale.

Gadda – Milano vuole far credere che Gadda amasse la sua città. Grande soggetto, questo: perché Gadda rifiutava con violenza la sua Milano?
Inspiegabile anche che, venendo da via Simpliciano, ignorasse Agostino. Agostino, tra l’altro, che doveva essergli simpatico come autore. Gadda è un blocco di rimozioni. O forse soltanto un Autore-vecchia-maniera, tipo il notaio o il farmacista che solo vive per la poesia.

È viaggiatore. L’unico viaggiatore autentico, curioso, disponibile, del Novecento (il suo “nipotino” Arbasino si colloca, con Alvaro, tra i cosmopoliti, europei che scrivono in italiano). Aperto, al contrario di D’Annunzio e Malaparte, i cui esterni sono in realtà degli interni, parigini per opportunismo di carriera – imitati da Calvino, eh sì. O di Moravia e Pasolini, che sono turisti, non interessati e nemmeno informati.

Gerghi – Perché si moltiplicano? Il gergo è il linguaggio della paura, una forma di difesa. E anche dell’odio - del risentimento: dei ladri, dei refoulés, dei martiri, degli snob. Della sterilità.

Giallo – Filosoficamente è scettico. O è dogmatico? È scettico perché è razionalista (ndizi, movente, castigo).

Deve avere la conclusione più varia, sorprendente. Ma come genere è il più deterministico. Quello alla Agatha Christie, deduttivo, lo è per definizione. Gli altri lo sono per convenienza: conviene dire tutto ai lettori, e con chiarezza, servirli e non costringerli a servirsi.

Illuminismo – È caduto sotto il sospetto del totalitarismo e dello scientismo. Perché? L’illuminismo, lo dice il nome e lo dice anche Kant, è solo il metodo della libertà, cioè della verità.

La chiacchiera più sciolta della storia del pensiero umano, la più gratificante. Contradittoria sintesi di velleità oscurantiste. Arguta però. Talvolta. Da parte di chi non ci credeva: Diderot, l’uomo che si spezzava ma non si (s)piegava.

È l’anti-Machiavelli. Machiavelli a uso del re di Prussia. Che era efficiente ma fino a un certo punto, essendo limitato. E con quel titolo nobilitava la sua povera geometria militare.
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Immagine - Dal bene all’immagine del bene, dalla prostituta alla pin-up. L’immagine erotizza la società (modelle e modelli, fotografi, stampatori, distributori, giornali, libri, video, mostre, sfilate, pubblicità, marketing e promozione, estetica, massaggi, fitness, dietetica, abbigliamento, cosmesi…) ma la raffredda. Un bel corpo era il riposo del guerriero, il riposo del funzionario è l’immagine di un corpo, imbellito.
È un pausa fredda della realtà, levigata, ritoccata, inventata? Sì, inventata più che fredda. È uno stimolo creativo: anche l’immagine più casuale o volgare un progetto. Beh, come ogni espressione.

Al cinema non ha dissolto la letteratura ma l’ha rilanciata (diffusa, rimontata). In tv invece sì: su tutto prevale l’accelerazione, la moltiplicazione, e ogni contatto dev’essere insignificante – la significanza si raggiunge solo attraverso l’iterazione: ogni gesto della partita di calcio, drammatico e banale, ripetitivo, dall’arbitro che fischia al fallo, la punizione, il cartellino giallo o rosso, e l’evento, il goal, dev’essere ripetuto molte volte.
La tv stravolge ritmi e trame al narratore, poiché tutto anticipa: è difficile lavorare sulla fantasia. Può però recuperare con l’indicibile delle passioni, un Ersatz, o forse no, che il bombardamento ottico non riesce ad annullare.
Il problema è la critica, che si muove anch’essa al ritmo della tv, mordi e fuggi. E non c’è letteratura senza la critica – che ne è il racconto.

Rivoluzione – Chi fa le rivoluzioni? Secondo Daint-Simon i “legisti” e i “metafisici”. I filosofi.
Ma “la più rivoluzionari”, dice Fanny Hill, “è la donna di piacere”.

Romanticismo – Individualsta, ribelle, fantasioso, esoterico? È l’ultima incarnazione del mito femminile, la più recente. Non delle donne ma di quel femminile che gli uomini fantasmizzano: idealista, cavalleresco, idilliaco, bizzarro. Che non è un fenomeno legato al sesso ma alla personalità – il sesso è un’azione, non una riflessione. Esprime uno stato di confusione, più che un voler essere. È anche uno stadio della vita, che solitamente si ferma all’adolescenza, quello dell’incertezza e del disagio, e quindi della rivolta. Una rivolta permalosa, istintiva, che può non portare ad altro se non a più romanticismo.

Silenzio – “Il silenzio è il linguaggio delle forti passioni”, Leopardi. Tacere è in realtà parlare: dice che non si vuole parlare. È anch’esso parola, anche in senso giuridico: il silenzio-assenso, il silenzio delle Decretali, eccetera.

Tedesco – È legato alla Riforma, che in Germania è più che un fatto storico: dai mistici (Mechtilde di Magdeburgo, Taulero) a Lutero, ai pietisti, allo Stift di Tubinga (Schelling, Hölderlin, Hegel), e a Nietzsche e Heidegger, pure loro. Più che evolvere, si moltiplica. Da qui anche il penchant per l’inafferrabile, l’indistinto, come di ogni fenomeno meccanico che gira su se stesso.
I Minnesänger, Grimmelshausen, Schiller, Goethe, fanno lingua a parte.

letterautore@antiit.eu

giovedì 7 ottobre 2010

Il romanzo del Bronzino

Per la prima retrospettiva del Bronzino in cinque secoli, a palazzo Strozzi a Firenze, torna in circolazione questo succulento studio dell’attività letteraria del pittore. Gli artisti fiorentini, notava Berenson, erano sempre anche qualcos’altro: letterati, scienziati, architetti. Il Bronzino era poeta. Di rime burlesche, perlopiù, e serie. Più costruito che spontaneo, come sono i suoi quadri, anche se di natura inventivo e non manierista. Uomo di molte letture e forte memoria. Studiato poco nei secoli, ma abbastanza per consentire al D’Ancona di scoprire, nel 1878, che ogni terzina del componimento “Serenata” (che non è parte di questa piccola raccolta) è un centone di capoversi di rispetti popolari.
Questi “Salterelli”, per la prima volta in edizione critica, “sono undici sonetti caudati, in gergo jonadattico, composti fra l’ottobre del 1560 e il gennaio del 161 in difesa di Annibal Caro contro Ludovico Castelvetro”, in difesa cioè di una canzone del Caro, “Venite all’ombra dei gran gigli d’oro”, “che nella seconda metà del Cinquecento infiammò gli animi dei maggiori letterati italiani”. I “Salterelli” “godettero di una particolare fortuna sin dalla loro composizione”, e furono adottati come testo di lingua dall’Accademia della Crusca. Sostennero col Caro l’opportunità dell’uso del toscano vivo a preferenza di quello petrarchesco.
Specialmente gustoso il capitolo sull’Accademia degli Humidi, poi Fiorentina, quando Cosimo I, per omologarla, ne annacquò la natura “popolana” con l’immissione di ecclesiastici e cortigiani: i burleschi, un po’ repubblicani, soci fondatori vennero espulsi - si rifaranno creando nel 1581, a quarant’anni dall’occupazione ducale degli Humidi, la serissima Crusca, o Accademia dei Crusconi. È, in breve, un romanzo. Pieno di figure: Giomo, pollaiolo, il merciaio Miglior Visino, vivandiere apprezzato del gruppo, Niccolò Martelli, detto il Gelato, un mercante, con tanti letterati di nome e di professione, quali Anton Franceso Grazzini, noto come il Lasca, o “il giovane e bel poetino” Gismondo Martelli, amante del Lasca. E Giovan Battista Gelli, filosofo (“I capricci del bottaio”, “La Circe”), calzolaio in piazza della Signoria. Il quale ebbe l’idea di far derivare il toscano dall’aramaico. E trovò un accademico, Pier Francesco Giambullari, storico peraltro insigne, autore della prima storia dell’Europa, che, da filologo esperto di ebraico e caldeo, gliene scoprì le radici, in un trattato doverosamente intitolato “Gello” - la filologia , in fondo, è divertimento.
Agnolo di Cosimo (il Bronzino), I salterelli dell’abbrucia, a cura di Carla Rossi Bellotto, Salerno, pp.140, € 14

Supergiallo mediterraneo (senza sesso) a Istanbul

Può una donna senza età, di almeno novant’anni, malata terminale di cancro, progettare ed eseguire assassinii? In patria e nella remota Istanbul, una delle tappe della sua infinita diaspora di greca in terra turca? Màrkaris si supera. Sempre nei suoi gialli evita il sesso, come tutti i giallisti in età, dal capostipite Vazquez Montalbàn a Camilleri, riducendolo a una nuisance, un vincolo necessario. È così che il cosiddetto giallo mediterraneo si caratterizza per evitare le dark ladies, o bionde, che sono normalmente il perno dei gialli: perché è opera di autori in età. Qui Màrkaris va oltre, impiantando il romanzo su figure tutte in vario modo, non solo la protagonista, repellenti. E commette sempre l'errore di far prendere al suo commissario Chàritos tre e quattro caffè di seguito, che lo farebbero scoppiare - a meno che non siano ciofeghe (è probabile: la fama del caffè è usurpata, in Grecia è nescafè, in Turchia per molti anni non si trovava). Qui fa anche di peggio: fa mangiare di buon gusto alle vittime delle pitte, torte, al parathion, che invece è disgustoso. Ma regge a ogni pagina. Grazie al ritmo, che fa trascurare i suoi vecchi: il dosaggio degli "a parte", familiari eccetera, è magistrale, l'attenzione sempre stimolata. E al setting: una Istanbul mirabolante, di monumenti, luci, odori, sapori, di estrema, sdilinquita gentilezza. Con un rovesciamento doppio, giacché nel subconscio del lettore turchi e greci sono pur sempre nemici da almeno sei secoli. Specie i romei, come ancora si chiamano i pochi greci residuati delle tante persecuzioni turche nell’ex impero bizantino (romei cioè romani, eredi dell’impero, malgrado lo scisma del Filioque, che non vuole ricomporsi). Ma, poi, non sono tanto diversi.
Petros Màrkaris, La balia, Bompiani, pp. 290, € 9.50

mercoledì 6 ottobre 2010

La destra e la sinistra dell’aria fritta

Ritorna la discussione su cosa è destra e cosa e sinistra. A sinistra, com’è d’uso. Risentita, perché ogni intellettuale è risentito. Inutile quindi. Ma fastidiosa, perché devia l’attenzione da cosa veramente importa. Ora il problema è l’onore, se è di destra, come lo è, e non anche di sinistra, come lo è, nelle lettere, perlomeno, dei condannati a morte della Resistenza. Il “Corriere della sera” opina, con Franco Cordelli, che l’onore è di Petrarca, del suo “vir bonus”…
Si teorizza insomma poco, e ancora ideologicamente. Mentre Destra e Sinistra hanno una componente storica, locale, nazionale fortissima. Tale da cambiarne i connotati ideali. La Destra storica cominciò a declinare nel 1866, fino a essere soppiantata dieci anni più tardi dalla Sinistra. Che aveva unicamente pulsioni conservatrici. Andata al potere con una parte dei voti della Destra, specie meridionali, la Sinistra si stabilizzò all’insegna del clientelismo, arrivando a raccogliere tutti i voti del Meridione. Col clientelismo e poi con la corruzione, senza alcun disegno innovatore o riformatore, se non a favore di gruppi d’interesse borghesi – d’interessi per le speculazioni finanziarie, i dazi, le ferrovie. Mentre le Destra guardava con molta attenzione e anzi con invidia ai Socialisti della cattedra tedeschi.
Nell’articolo “La cultura politica”, pubblicato dalla rivista “Diritto” il 3 giugno 1877, De Sanctis scriveva: “Oramai siamo giunti a questo, che non sappiamo più cosa è destra e cosa è sinistra, cosa vogliamo e dove andiamo”. Per l’antipolitica che allora si era insediata in Parlamento, grazie alla debolezza della Destra e all’avventurismo della Sinistra. La “Rassegna Settimanale”, il periodico politico liberale allora di maggior fortuna, faceva campagna per un ritorno alla politica, ai partiti politici. Ma ancora dieci anni dopo Giustino Fortunato riteneva questo ancora “il problema più urgente,… la ricomposizione dei partiti politici”
Nello stesso intervento (un discorso il 6 giugno 1886 in Basilicata, ora in “Scritti politici”, De Donato, pp. 174-76) Fortunato spiega: “Le antiche designazione di Destra e di Sinistra… perdettero ogni significato quel giorno in cui l’unità fu suggellata a Porta Pia e i pareggio dei bilanci proclamato in Parlamento… Gli umori e le tendenze, che già distinsero l’una e l’altra, furono varie e diverse da regione a regione; ed oggi, nella stessa regione, è difficile s’indovini quel che davvero s’intenda, o si vorrebbe sottintendere, per Destra e per Sinistra: né è raro, quaggiù specialmente, che i più puri conservatori si dicano e si proclamino tuttora di Sinistra, tanta è fra noi la confusione delle idee e delle parole”.

Rossi contro Renzi, l'Obama di Firenze

Il linguaggio è da guelfi e ghibellini, le manovre dietro le parole sono altrettanto pesanti che a quell’epoca, anche se non arrivano all’ostracismo delle persone, all’ostracismo fisico. Enrico Rossi, per dieci anni navigato assessore regionale alla Sanità, “l’uomo del rubinetto”, e dalla primavera presidente della Regione, capofila dei vecchi diessini, non passa giorno senza stringere un po’ di più l’assedio a Matteo Renzi, il sindaco di Firenze, che è dello stesso partito Democratico ma capofila degli ex Popolari. È scontro aperto Rossi contro Bianchi, anche se sul terreno infido dell’immobiliare.
Renzi lavora alla leadership del partito Democratico. Alla maniera di Obama. Ha costituito un’organizzazione di circoli per autofinanziarsi, preoara un'intensa attività online, e organizza un’assemblea di autoconvocati del Pd fra un mese. Il Rossi di nome lavora per ridare credibilità alla sua frazione del partito come “quella che fa”, che mantiene gli impegni, con la comunità degli affari. Incrinata dal blitz di Renzi sulla poltrona di sindaco a Palazzo Vecchio, e dallo stallo, con tintinnar di manette, del megaprogetto immobiliare nell’area di Castello, varato dalla giunte diessina che ha preceduto Renzi. Ieri, il giorno in cui il sindaco era a Roma a “Ballarò”, il presidente della Regione ha affossato il progetto Castello, che ora tocca a Renzi di gestire, e ha praticamente annesso quell’area all’ampliamento del contiguo aeroporto di Peretola. “Vogliamo riconquistare credito col mondo del lavoro e delle imprese”, ha detto.
È la novità del partito Democratico, e una che potrebbe essere non di contorno: le due anime del partito Democratico si affrontano scopertamente. Renzi al suo debutto nazionale con Floris ha voluto accreditarsi come buon amministratore. Ma punta molto sul rinnovamento totale, generazionale e politico. Rossi punta invece sulla gestione, il punto di forza dell’ex Pci (“con noi le cose si fanno”). Al punto da “mettersi in tasca”, caratteristicamente, la netta opposizione di Pisa e dei comuni della Piana fiorentina al grande Peretola, benché, o forse perché, amministrati dal suo stesso partito.
La partita potrebbe essere interrotta dalla Procura, ma il rischio è minimo. Il capo della Procura, che di nome fa Quattrocchi, sicuramente vigila. Ma ancora non è intervenuto. Cioè è intervenuto per accantonare le inchieste sull’area fabbricabile di Castello che avevano messo in crisi la vecchia giunta e il sindaco diessino Domenici (di quegli appalti indaga solo quelli in cui ricorre il nome di Dennis Verdini, l’ex spadoliniano oggi berlusconiano). Ma non ha mosso un dito contro Renzi. Anche perché il giovane sindaco evita di prendere qualsiasi decisione. Insomma Quattrocchi vuole vederci chiaro, è prudente.

Della Valle vuol lasciare i viola ma non può

Diego Della Valle si sa che cerca solo il momento buono per lasciare la Fiorentina, la squadra di calcio, e quindi abbandonare Firenze e lo stadio di proprietà progettato a Castello. Ma non senza farsi pagare il credito speso: per l’imprenditore è il primo fallimento, e non gli va di lasciarsi dietro un’immagine appannata. E questa è una partita anch’essa difficile – forse più di quelle che la squadra viole gioca in campo la domenica.
Nella guerra tra Rossi e Renzi per il rinnovamento-cum-leadershipdel Pd ci sono in ballo interessi grossi localmente, a Firenze: quelli di Diego Della Valle, interessato allo sviluppo sportivo e immobiliare dell’area di Castello, e quelli della Fondiaria Sai di Salvatore Ligresti, proprietaria dei terreni da edificare. Ma le due situazioni sono diverse: per Ligresti si tratta di un mancato guadagno, per Della Valle di costi crescenti. Né è solo una questione d’immagine. La situazione è infida, Rossi e Renzi si combattono con proprie batterie anche a palazzo di Giustizia, e l’imprenditore del bello vuole uscire dalla città senza carichi pendenti. Per questo avrebbe minacciato rivelazioni.
Ma queste sono chiacchiere. Di certo c’è che, originariamente, e di suo, vicino all’ex dc Renzi, Della Valle è ora alla corte di Rossi. Per un diverso peso dei due nella Procura?

martedì 5 ottobre 2010

Una università dei liberi docenti

A Napoli non c’era l’università C’erano liberi docenti, alcuni peraltro di grande capacità e onestà (Francesco De Sanctis era uno di loro), che impartivano privatamente, a pagamento, l’insegnamento superiore. Quando il governo italiano fondò l’università, non tutti i liberi docenti ne divennero professori, solo i migliori. Gli altri passarono a fare le preparazioni degli esami e, in nome della libertà d’insegnamento, chiesero e ottennero dal governo un riconoscimento e la protezione del loro ruolo agli esami stessi. “Di concessione in concessione”, così lo storico Pasquale Villari riassume la situazione in una delle sue “Lettere meridionali” l’1 dicembre 1883, “i cosiddetti professori pareggiati di Napoli ottennero prima un posto nelle Commissioni esaminatrici, poi due, poi tre, fino a quattro. Fu loro concesso, per legge, il diritto di riscuotere dall’Università una parte delle tasse scolastiche, secondo il numero delle lezioni, e queste poterono darsi anche in casa propria. Lo studente fu inoltre obbligato ad ascoltare, a sua scelta, un certo numero di lezioni, oltre quelle che sono scritte nel corso ufficiale, il che lasciò un nuovo margine ai pareggiati”.
Questo tipo di “riconoscimento” portò alla moltiplicazione dei liberi docenti. E a un arruolamento degli studenti di questo tipo. Un agente del libero docente aspettava le matricole alla stazione centrale a novembre, mese d’iscrizioni, si accertava delle loro propensioni agli studi, e chiedeva d’iscrivere, tra i corsi da frequentare, quello o quelli del suo libero docente: “Basta mettere qui una firma. Voi non perdete nulla e fate guadagnare al professore, che poi sarà fra gli esaminatori. Non avete alcun obbligo di andare alle sue lezioni”. Oppure lo studente veniva avvicinato alla casa dello studente o nell’atrio dell’università, da un altro studente o dallo stesso professore pareggiato: “Che vi costa far mettere sul vostro libretto la mia firma, invece di un altro’ Il professore ufficiale non perde un centesimo, io, che posso essere nella commissione che vi esaminerà, guadagno una trentina di lire, che non si levano a nessuno”.
È la riforma che la Gelmini vorrebbe. Senza saperlo, il che è anche più triste. Di università, per ora, che mendicano solo iscritti e promettono promozioni facili. Ma prima o poi dovranno pure chiedere una tassa di scopo – è il mercato.

Biblioteche per sfaticati

Si moltiplicano gli appelli per questa o quella biblioteca, da ultimo per la Nazionale di Firenze, che ha problemi a mantenere i suoi oltre duecento dipendenti – dopo l’appalto all’esterno dei servizi, compresa la distribuzione dei libri. E per le biblioteche di Roma. Dove è difficile trovare alcunché. Di testi pure messi a catalogo. Di cataloghi vecchi di dieci e quindici anni perché non si fanno più acquisizioni, i finanziamenti vanno tutti al personale. E se si fanno non si catalogano. Basta fare un giro anche solo turistico fra le biblioteche comunali e universitarie di Roma per trovare tanti addetti e pochi libri. Tanti addetti che non si sa cosa fanno e pochi libri disponibili. Si provi a donare dei libri a una qualsiasi biblioteca. Solo uno o due saranno, dopo un paio d’anni, in catalogo.
Non è una novità. Lo storico napoletano Villari, di favolosa cultura cosmopolita, trovava nel 1866, e ne scrisse sul “Politecnico” di Milano, la situazione insostenibile: “Per quale ragione, in tutte le biblioteche di Germania, un così piccolo numero d’impiegati può fare un lavoro così prodigiosamente maggiore e migliore di quello che fanno i nostri? A Gottinga vi sono 500.000 volumi che ogni giorno s’aumentano, e vanno continuamente in giro per tutta la Germania. Quindici soli impiegati bastano a questo lavoro, tenendo sempre al corrente tre cataloghi, per materie, per ordine alfabetico, per ordine di tempo, registrando cioè il giorno in cui arrivano i volumi. Vi sono compresi gli opuscoli e gli articoli di Riviste, anch’essi posti sempre a catalogo. La biblioteca di Berlino, ch’è meglio ordinata, con 700.000 tra volumi e manoscritti, ne manda ogni anno in giro circa 150.000, e venti soli impiegati bastano a tutto”.
È il vero tradimento dei chierici: i soldi non bastano mai, ma nessuno dà niente in cambio.

lunedì 4 ottobre 2010

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (70)

Giuseppe Leuzzi

Il razzismo è settentrionale. Del Nord contro il Sud. Del Canton Ticino contro i lombardi, trasfontalieri o ricchi depositanti che siano. Dei cantoni di Zug e Zurigo contro il Ticino.
In Germania, dove la ricchezza è al Sud, il Nord si rifà con la religione. Il Sud è inferiore perché è cattolico. Il razzismo è anche protestante.
Razzismo? Diciamo il disprezzo, l’albagia: il razzismo sta attento a non dichiararsi, è politicamente corretto. È cioè, anche, piccolo borghese: perbenista, cauto, ipocrita. Dunque, il razzismo è settentrionale, protestante, piccolo borghese.
La sua forza diabolica è che è a senso unico: Treviso può insultare la Panasonic-Reggio Calabria, Reggio non può insultare la Benetton-Treviso. Un africano non può fare la morale a un britannico.
Però gli ebrei, che si avviano a essere la sola razza pura, e anzi “una razza uno Stato”, potrebbero un giorno dire dei tedeschi che sono mezzisangue, come infatti lo sono.

C’è una corrente ascensionale del potere e discendente della cultura e l’arte di vivere? Sembre, ma anche questo ci rubano. I musei di Siracusa e Napoli non sono pieni, come si sa, di statue e fregi trafugati a Londra e Berlino.

Lo sanno tutti, a partire dai milioni di segretarie, che le fotocopie si falsificano. Non i giudici di Palermo e i grandi cronisti giudiziari dei grandi giornali, Bianconi, La Licata – “Repubblica” non degna di attenzione la cosa, la confina nella cronaca locale, in poche righe. E quando il generale Mori gliene fa la dimostrazione in aula, prendono un atteggiamento anodino: lui lo dice, sarà vero?
Poi dice che non c’è la giustizia a Sud: la fanno i Ciancimino. I giudici e i Grandi Cronisti in realtà non sono imparziali, sono complici. Di Ciancimino figlio. Che è un bugiardo e non lo nasconde. Magari per fare un dispetto a Berlusconi, la giustizia al Sud è inflessibile.

Un altro mondo
È domenica, avete bisogno di fare la spesa, telefonate al supermercato per sapere se è aperto. Risponde una bambina. Dalla quale a fatica, con applicazione, ottenete di parlare con qualcuno. Questi generalmente è la madre o la zia. Alla quale voi spiegate che volete solo sapere se il supermercato è aperto, e allora lei vi passa il padre. Il quale vi chiederà di aspettare un momento, così parlerete col principale. Al principale chiederete: - È aperto il supermercato? E lui:- Voi chi siete?
Il Sud può essere un altro mondo. Molto diverso, ancora diverso, sebbene si vesta e parli come voi. Separato. Chiuso. Il che non vuole dire che non vi voglia bene e vi rispetti.

Milano
A Stendhal i milanesi piacevano perché sentimentali di testa – la sua “passione italiana” era di testa, niente a che vedere con Napoli o giù di lì.

Si ritrova a Londra. Non perché baüscia, non solo: a Londra le case, le facciate delle case, sono brutte come a Milano (il problema di Gadda).

È sensibile. È nevrotica, In letteratura e in politica ha dato all’Italia casi esemplari d nevrosi, Da Rosmunda a Filippo Visconti e Mussolini, Craxi, Berlusconi, dai Verri a Monti, Parini, Manzoni, Dossi, Gadda, Arbasino. Così pure nella pittura, Caravaggio per tutti. Ha anche il potere di nevrotizzare rapidamente gli immigrati. Della febbrilità che, redditizia negli affari evidentemente e nelle arti, è deleteria in politica.
È l’effetto probabilmente del clima: Milano è la palude d’Italia.

Gli Strozzi, da cui lo strozzino, venivano da Fiesole, erano longobardi.

Ma avevano il design già in antico. Se la modista inglese si chiama milliner perché la moda veniva da Milano.

Il Milan perde sonoramente contro una neo promossa e Berlusconi dice che è colpa dell’arbitro comunista – un tempo diceva cornuto, ora non può. Anche Moratti si lamenta, non del proprio arbitro ma di quello della Roma, che non ha punito severamente la squadra di Totti. Non dicono però l’essenziale: ora che la Juventus è in disgrazia, chi paga gli arbitri contro le squadre milanesi? Il Chievo? Forse, il Catania, anzi sicuramente, lì c’è la mafia.
Ma, poi, perché i campionati li vince solo Milano?
Non fossero milanesi, quindi pigliatutto, si potrebbe arguire che Moratti e Berlusconi vogliono dare ragione a Moggi, il quale sostiene che i campionati li può vincere solo Milano.

La cacciata di Profumo dalla più grande banca “europea”, confusa, prepotente, e contraria ad alcune norme di legge oltre che alla buona amministrazione, è normale amministrazione. Se n’è fatto un po’ di gossip e nulla più. Se un’ipotetica, anche piccola, banca del Sud – ora non ne esistono più – avesse osato una cosa del genere, molte prime pagine avremmo letto di sarcasmi e stigmate.
È finita a Milano la riserva di sdegno? Non contro Fini, o contro Berlusconi. Le questioni di denaro non accendono più Milano? No, sono una privativa.

A Milano straripa il Severo, “come ogni anno”, e invade due linee della metrpolitana, una in costruzione e una in attività. Ci vorranno dieci giorni per ripulire le due gallerie. Ma non c’è sdegno, e anzi non c’è nemmeno la notizia.

Napoli
“I vermi”, la prima opera “naturalistica” o “veristica” di Francesco Mastraini, “studi storici su le classi pericolose di Napoli”, presero nel 1863-64 dieci volumi.

È la perdita della grazia naturale. Visibile nell’uso e l’arredamento della natura, nella disposizione delle case e di ogni manufatto, nello snaturamento di ogni agglomerato. Da cinquant’anni? Da cento (c’è già nella Serao?) Per quale mutazione genetica? Per quale invasione?

L’inchiesta dell’Antimafia di Napoli contro la Juventus consiste di 170 mila registrazioni, 228 cd, alcuni milioni di Kb di memoria. Sui telefoni di Giraudo, Moggi e Bettega. Senza trovare una prova. Ma, è vero, a carico dei tre l’Antimafia napoletana non ha schierato in questo caso i casalesi.
La tecnica è stantìa: anche il controllo dei documenti si fa di solito sui forestieri, polizia e carabinieri riducono così il rischio di sorprese (patenti scadute, false, rubate). Ma coi controlli non si faceva carriera: carabinieri e poliziotti l’hanno sempre considerati la parte più noiosa del mestiere. Con le intercettazioni invece le direzioni Anti mafia prosperano: Sono posti ambitissimi: quella di Napoli ha prodotto carriere fulminanti..

A Napoli gli appaltatori della raccolta rifiuti, una cooperativa di ex detenuti, sfascia i mezzi per la raccolta, una sessantina in due giorni. Ma la colpa dei rifiuti che di nuovo ingombrano la città è del governo. E non è la barzelletta.

leuzzi@antiit.eu

Il mondo com'è - 47

astolfo

Comunismo - Yakovlev, è accertato, il collaboratore di Gorbaciov , era una spia della Cia. Ma una serie di variazioni ha aperto: perché non era Andropov, capo del Kgb e dell’Urss, l’uomo della Cia? O già Dzerzinski, il fondatore dei servizi segreti sovietici, infiltrato polacco – all’epoca la Cia non esisteva. Se non è stato Gorbaciov il vero Reagan, il ruolo grande che il mediocre attore Usa non riusciva a impersonare. Essere comunisti, e pensare che il comunismo l’ha abbattuto la Cia…

Democrazia – Quella moderna è “Cenerentola” (“nacqui all’affanno…”) o, all’americana, delle equal opportunities, che non vuole dire niente, cioè della legge. O è quella della parcellizzazione, della pari dignità nella “funzione”. Entrambe si conciliano col totalitarismo, di destra e di sinistra. Il totalitarismo infatti, prima che un’organizzazione (forma) politica, è un’organizzazione sociale.
La democrazia antica d’altra parte, greca o dei belli-e-buoni, ha bisogno della schiavitù dei molti. Il problema è: come fare della democrazia un ideale non aristocratico – sì, di massa – e una forma politica democratica.

Presuppone l’abbondanza. Di che dividere cioè: i beni ammortizzano l’aggressività. La democrazia senza beni è belluina – stranamente, non ci sono angeli, stati angelici.

Destra e sinistra – Se vale la distinzione di Jean Paulhan (che Paulhan attribuisce a Julien Benda), di una destra attenta al reale, agli uomini, e di una sinistra dei progetti, allora in senso marxiano è più di sinistra la destra.
Resta la distinzione che Céline – il Céline del 1933 – faceva: con la destra si può parlare. Uno di destra vedrà il film, leggerà il libro, comprerà il giornale di sinistra, uno di sinistra non è interessato alla destra. A meno che non sia stata operata, cioè promossa, una “conversione” dell’epifenomeno di destra. Es.: Togliatti che “converte” Malaparte, cui Calvino, Moravia eccetera avevano impedito di pubblicare sui giornali del Pci.

Ecologia – È possibile solo nella ricchezza. È infatti molto costosa, sia la protezione dell’ambiente che la produzione “naturale”. In regime di ristrettezze non si può fare a meno delle produzioni di massa: più grandi le ristrettezze, più massiccio il ricorso al prodotto standard, e anzi un prodotto unico sarebbe preferibile. Niente più pane di farro, integrale, bianco, al lievito di birra, ferrarese, napoletano, di Terni, di Vinca, di grano, ma un’unica pagnotta per tutti.
L’ecologia è come la democrazia: sono possibili nell’abbondanza. Il prodotto unico e standardizzato dell’austerità va di pari passo con la concentrazione del potere. O altrimenti sono soluzioni snobistiche, le brioches di Maria Antonietta. Impossibili dopo la civiltà di massa: non è più possibile tornare indietro, costringere i più alla sussistenza. A meno di un totalitarismo feroce. La purezza ecologica (e il controllo delle nascite, e l’eugenetica) è questa, c’è un’insidia nelle anime belle.

Elezioni – Sono il momento chiave della democrazia. Anzi l’unico suo momento. Ma anche il peggiore: concentrano manovre, riconversioni, formule incomprensibili, e anche pratiche disoneste. Bisogna dire che la democrazia sopravvive alle elezioni? Sono il termometro della sua robustezza: credere malgrado tutto.

Europa– Ha ancora l’assetto delle guerre napoleoniche. Con la Gran Bretagma alla finestra, dietro il “blocco continentale”, l'ex impero, la relazione speciale con gli Usa. E con dentro la Germania, che ha tentato di fare la Gran Bretagna ma è tornata provinciale, goffa, terra di nessuno.

Famiglia – Diventa sempre più importante per l’uomo, il maschio, che fino a qualche anno fa se ne teneva fuori: la casa, i figli, il fine settimana, gli hobbies. È il suo primo rifugio, contro lo stress e la depressione. È invece sempre più in odio alle donne.

È all’origine del maggior numero di ferimenti, assassinii, violenze in genere sulla persona. Più della mafia, meno forse solo dell’automobile, e più turpi. S può dire il luogo dell’odio. L’amore genera odio? O il vezzo di una cultura che fa troppo affidamento sulla tradizione, per lo più presunta?

Fascismo - È – è stato – più radicale e cattivo venendo dalla delusione di un certo socialismo. Il conservatore passa al fascismo con condiscendenza – per interesse o quieto vivere – e sempre esercitando la critica, se non altro nella forma del disprezzo di classe. L’anarcoide o l’utopista ne diventano invece i cani rabbiosi – il caso Céline.

Giudici – Due fatti sono incontestati. È dubbio che Andreotti abbia ucciso o fatto uccidere qualcuno, anzi certamente non lo ha fatto. È dubbio che i socialisti fossero i corrotti della Repubblica, anzi non lo erano: reagivano a uno stato di corruzione, di cui erano parte i giudici. Mentre è certo che Borrelli & Co. hanno “ucciso” centinaia di persone, anzi migliaia, con premeditazione, con ostinazione, attraverso le indiscrezioni pilotate, gli arresti preventivi, la circuizione maccarthysta (“dammi un nome, per continuare il gioco al massacro, e ti libero”).
Tutti questi giudici talvolta sono fascisti, per esempio Cordova, ma sempre si richiamano a sinistra, con varie etichette. A eredi di Berlinguer, che ha dato ai giudici, i qual per tradizione e status si ritengono e sono intoccabili,la patente di democratici a priori, e il pilastro indistruttibile del moralismo farisaico, la self-righteousness.

Imperialismo – Locke, “Considerazioni sulle conseguenze della riduzione dell'interesse …”: “In un paese sfornito di miniere vi sono soltanto due modi d’arricchirsi, o la conquista o il commercio”. Ma una sola è conveniente, nel senso che arricchisce tutti, e non questo o quello. La ricchezza è un saldo attivo fra benefici e costi, e il saldo della conquista non è mai positivo. Può esserlo se si riduce a fatto istantaneo: la razzia, il bottino. Oppure per qualche soggetto. E ancora: quanto è costata all’economia la guerra? Ma subito il consolidamento, l’oppressione, la repressone richiede apparati numerosi a costi elevati.
L’impero romano fa l’unica eccezione. Ma la differenza non la fa – la paga – anche qui la schiavitù?

Libertà - È giù di tono. Non si propaga, quando tutto è ammesso. La tolleranza è come lo scetticismo: non avendo pietra d’inciampo, gira in tondo. Senza sfida tutto è inerte – e questo potrebbe essere Hegel. Ma le città sono inerti, con le isole pedonali e le zone chiuse, con tendenza al depresso. Come Praga o Cracovia sotto la stella rossa, con meno ordine e più affanno.

Massoneria - È il modo di essere occidentale, per conventicole. Superato il vincolo tribale e di clan, l’Occidente si protegge con il gruppo. Che è sempre di potere, per quanto si camuffi di spiritualità – e ultimamente della novità concettuale della resistenza (a Berlusconi?). Ciò si evidenzia per tre tipi di circostanze:
1)Il potere si organizza sempre per camarille, cordate, gruppi, più o meno chiusi e segreti, iniziatici.
2)Anche la libertà (l’innovazione) si protegge attraverso la simulazione e il segreto.
3)Perfino il sacro è, nell’Occidente, iniziatico.

Occidente – Cos’è? Quello che sta a Ovest di Salamina, o è Maratona?, dove i greci sconfissero i persiani, e quindi ha evitato di diventare orientale, contento. Ma poi – breve storia – vennero i macedoni, il padre Filippo e il figlio Alessandro Magno, e lo lasciarono ellenistico. Greculo, piccolo Occidente. Ha inventato gli attributi cinico, stoico, scettico ed epicureo, e con essi sopravvive, scontento.

Prete – È Ponzio Pilato, non Cristo. Ne ha la funzione e la mentalità.

astolfo@antiit.eu

domenica 3 ottobre 2010

Renzi lancia la sfida bianca nel Pd

I Della Valle tacciono, ma fanno sapere a tutti, a partire da Prandelli, che non vedono l’ora di lasciare la Fiorentina e Firenze. Ligresti invece ci riprova: ha ereditato con la Fondiaria i terreni dell’area di Castello, e non può metterla a frutto se non costruendo. Prima insieme con i Della Valle, con un grande complesso immobiliare-sportivo. Ora in proprio, riducendo magari l’area fabbricabile e aumentando le volumetrie in altezza. Ma la partita è politica, tra i democratici ex Pci, prima rappresentati dal sindaco Domenici e ora dal presidente della Regione Rossi, e i democratici ex Dc, rappresentati dal sindaco in carica, Matteo Renzi.
Di questo gli immobiliaristi sono per primi al corrente, e per questo stanno in attesa, anche se – i Della Valle – con poca fiducia. Su tutto peraltro aleggia, coma da molti anni a Firenze, un’aria di corruzione. Che solo gli occhiuti procuratori della Repubblica non vedono. Anche se l’ex sindaco Domenici ne è stato obbligatoriamente sfiorato. Dopo Domenici, Renzi ha avocato a sé il piano di fabbricazione di Castello, e questo ha introdotto una novità negli equilibri affaristici della città. Renzi ha significato ai costruttori che le decisioni non venivano assicurate più, com’è stato per un trentennio, dagli ex Ds. Fino a che, in primavera, il “vecchio combattente” Rossi è subentrato alla presidenza della Regione. Rossi ha preso in mano l’ampliamento dell’aeroporto di Peretola, confinante con Castello, e lo ha definito prioritario. Sempre rispetto a Castello, il cui piano di fabbricazione, ha detto, “non vedo dove si possa realizzare”. Che la Firenze che conta ha interpretato così: decidiamo sempre noi.
La partita è aperta e molto polemica a Firenze: le due parti non si risparmiano le ironie, con accuse per ora velate. L’anima bianca e l’anima rossa del Pd si scontrano peraltro in una prospettiva nazionale. Renzi, che è diventato sindaco vincendo a sorpresa le primarie del Pd contro i titolati candidati ex Ds, intende riproporre il modulo in sede nazionale, proponendo gli ex Dc come i veri innovatori del centrosinistra. Ha creato un comitato di sostegno già molto attivo, con una serie di pranzi di sostegno a mille euro a coperto, per platee sempre selezionate, che finora hanno sempre registrato il pieno. La raccolta dei fondi è ritenuta essenziale per la candidatura: Renzi dà per scontato che, come sta ora avvenendo, la sua candidatura non avrà altrmenti alcuna visibilità, i media essendo tutti allineati sugli ex Ds e le loro dialettiche.

Secondi pensieri - 53

zeulig

Dio – “Dio è nei fiori”, dice Sherlock Holmes a un certo punto. E in Sherlock Holmes? Dio è nella domanda di Dio – nel “discorso” di Dio.

Libertà – È conquista e maturazione: responsabilità, senso civico.
Se concessa alla persona è inquinata dalla riconoscenza (mafia).
Se concessa in massa è merda (sottogoverno, vittimismo), quando non è violenza.

Materialismo – Si è presunto razionale, Marx, Freud, un po’ anche Darwin, e la scienza moderna applicata (non la fisica teorica, naturalmente). Mentre è l’opposto: una utile, ma oiccola, semplificazione.

Moderno – Il rifiuto o la revisione del moderno porta indietro, a prima della razionalizzazione (M.Weber), dell’economicismo (A.Smith), della secolarizzazione dell’Occidente (Riforma). Ma l’unità preesistente non è più possibile – era già fittizia, e ora sarebbe imitata, l’Europa è piccola cosa, seppure con la coda americana. Ci vorrebbe una nuova “unità”. Come mobilitazione delle “masse”, concetto della meccanica, consumi di massa, comunicazioni di massa, trasporti di massa, non regge più – non regge economicamente, fisicamente.

Morte – Andarci bisognerebbe come un buon mussulmano, ringraziando Allah di ogni evento o cosa la preceda. Non a fronte avanti, come ogni buon occidentale, ma a ritroso. La morte colpirà sempre alle spalle, ma si avrà davanti a sé tutto quello che si è avuto e si è stati, non il nulla. Volendo adottare una postura positiva, che è solo giusta.
La postura occidentale (cristiana) nasce da una scssone dell’originale postura ebraica. Questa è frontale perché, l’ebreo annullandosi in Dio, la vita è anche la morte, non c’è scarto ma semplice trapasso. Per il cristiano invece, la vta essendo una preparazione all’aldilà, cioè all’ignoto, che ha preso le forme d’inferno, purgatorio, paradiso, perfino limbo, la morte è terrificante perché è la porta all’incertezza del giudizio. Da qui anche le antinomie corpo-anima, carne-spirito, vita-aldilà.

Fa paura a molti in quanto è un irrompere dell’imprevedibile. Una sorpresa comunque: forse l’imputridimento (ma senza pena), forse un bell’orizzonte. È u a sorpresa perché per i molti la vita è già morta, abitudinaria, ripetitiva, senza slancio (desiderio, speranza), senza intelligenza.

Nostalgia – È insensata: se uno va via tante ragioni di restare non ne aveva. Con l’eccezione del coscritto e dell’emigrato per necessità. Ne soffriva Ulisse, nomade guerriero bien malgré lui, er di più atteso a casa da una moglie fantastica – fantastica cosmologia quel fare e disfare la tela.
È consolatoria. La memoria opuò anche incattivire: va per accumulo, sia in senso positivo che negativo. La nostalgia seleziona al bello, il senso di mancanza riempiendo di consolazioni.

Luce – L’ozono ci protegge da morte sicura che verrebbe dalla luce. La morte arriva attraverso la luce? Simbolo della purezza e dell’ascesi, la luce ha in realtà bisogno di filtri: di ombre, chiaroscuri, intermittenze. La luce diretta è letale.

Piero della Francesca Berenson dice “impersonale”, “impassibile”, come è nella tradizione della migliore pittura, per “l’effetto luce”. È impersonale l’ultima arte, il cinema, dove le presenze sono un fatto di luce.

Passioni – Quelle grandi, senza limiti legali o morali, sono realistiche, contadine, popolari, Sono animali, e desuete. Nell’urbanità evaporano: gli amori sono proustiani, stimoli immaginari e inconclusi (autoerotismo), l’incesto è patologico, l’odio materia di avvocati e procedure. La società è formale e non materiale, il singolo e la coppia sono isolati, stretti fra il condominio e il pendolarismo.
Le passioni urbane girano attorno al potere e al prepotere (dal traffico al condominio), le ruberie, la corruzione, l’intrigo, le figlie in carriera.

Purezza – Atto di purezza è la pulizia etnica. Per esempio l’Olocausto. “Inutile” economicamente, politicamente, militarmente, e anzi dannoso. Una “pura” espressione di volontà. Che è razionalmente imbecille: uno spreco immenso di organizzazione e di odio. Ogni atto puro è spreco, cioè imbecille?
Misura della purezza non è, ancora, l’utilità (razionalità pratica)?

Spinoza – È Galileo, l’ordine geometrico, filosofico.
Il suo Dio è piuttosto Socrate, che morì in pace.

Tempo – È il tempo dei tempi, i millenni, i milioni, i miliardi, di millenni: quanto ne richiede la più piccola e ordinaria trasformazione nell’universo. Una misura senza metro.
La sua scomparsa è il segno del tempo (dei tempi).

Mille miliardi di anni luce sono un tempo infinito. Che è un ossimoro: il tempo cioè non esiste. L’infinito è indistinto, come le galassie e i “vuoti” intergalattici, e non ha tempo. Il tempo è lì ma inerte, non trascorre.

Tradizione – Dà l’imprinting. Che è tanto più marcato quanto più forte è la tradizione. La Germania si celebra da mille anni ma è ancora un paese di passaggio: cerca sempre una tradizione solida, dopo essere stata latina, gotica, sassone, franca, liberale, prussiana e imperialista, permissiva, hitleriana. Gli Usa, crogiolo di razze e paese di frontiera, conservano il solido imprinting britannico e puritano.

Era scomparsa cinquant’anni fa. Ora non c’è altro, altro che la tradizione, qualsiasi cosa essa sia, dalla ricerca delle radici alla conservazione delle pietre. È consolatoria: la tradizione è “una bella cosa2, anche se più spesso è trucida.

Uniformità– Ci dev’essere in essa qualche recondito segreto, una resistenza. Un particolare impalpabile, un suono, un’energia, un’onda d’urto, un odore. Ogni cinese riconosce la sua bicicletta nella miriade di biciclette nere parcheggiate attorno allo stadio.

zeulig@antiit.eu