Cerca nel blog

sabato 19 settembre 2020

Non c’è che dire al centenario del Pci – la sinistra scomparsa in Italia

Non si annuncia niente per i cent’anni del partito Comunista Italiano, il prossimo 21 gennaio. Un convegno, una ricerca, una testimonianza, una revisione. Un film, un documentario. Niente, di un partito che ha condizionato la storia della Repubblica. Con l’errore tragico di una partito che si è legato all’Urss di Stalin e Breznev, contro di fatto l’Italia. E con la guerra di Berlinguer a qualsiasi sinistra che non fosse lui – a favore di Andreotti e poi, dopo aver governato con Andreotti, resuscitando l’ambigua “questione morale” della Destra Storica.
Ma c’è anche il dissolvimento di una forza politica di sinistra in Italia, caso unico in Europa – il Pd è solo una (piccola) Dc. Di più, si è arrivati al voto popolare di sinistra che si riversa, al meglio, su Grillo (al meglio per modo dire, Grillo è sodale di Farage e altri parafascisti, da Maduro al Donbass), oppure sulla destra radicale dichiarata, la Lega e l’ex Msi – i flussi del voto popolare e operaio sono impressionanti.
Il fatto è che non è crollato solo il Pci, col Muro. È crollata ogni impalcatura politica, di appartenenza o di studio. Questo è curioso: niente Pci niente politica? Il fatto è che il Pci aveva  monopolizzato le coscienze, che ora sono sterili, non sanno più pensare – studiare, capire, immaginare, proporre, programmare. Se non il ridicolo liberalismo (di fatto liberismo, sudditanza agli interessi, i più sordidi) di Luigi Berlinguer o Bersani. O l’oltranzismo (nientismo, di fatto populismo) dei De Masi, Saviano et al., su immigrati, mafie, giovani, ambiente, di quelli che non sanno cosa vogliono ma lo vogliono tutto e subito.
Cessato il Pi non c’è più intellettualità. Che era presunzione e algore, ma anche fibrillazione di idee, e comunque un minimo di discussione. Il partito Socialista nacque in Italia nel 1892 dall’incontro fra il Partito Operaio Italiano di dieci anni prima e gli intellettuali milanesi che ruotavano attorno a Turati. Ora non solo non c’è un Partito Operaio Italiano ma non si pensa più: cosa dire, in effetti, al centenario?

Secondi pensieri - 429

zeulig

Das Geviert – Zaccaria propone la traduzione “uniquadrato”. Dei quattro elementi in gioco, terra, cielo, uomini, dei, in coappartenenza ma insieme in “chiara differenza”. Avvertendo che “usualmente significa «quadro» o «figura quadra», ma anche «appezzamento di forma quadrata». L’orto, giusto lo Heidegger campagnolo.
 
Filosofia tedesca
– La Francia aveva “la tradizione di una scrittura filosofica semplice e chiara”, la famosa clarté, “che nel Novecento si sarebbe perduta. Colpa dell’infatuazione di Sartre e compagnia per l’oscura filosofia tedesca. Husserl, Heidegger….”. Lo dice Onfray, polemista, ma è vero. È anche singolarmente avulsa, senza testa, senza radici – a parte i presocratici, che si tirano ovunque, frammentari e di lingua elastica. Una filosofia per programma aporetica – nel senso generico, non scettica.
 
Intelligenza artificiale
– Dopo un secolo di tentativi di una “teoria del tutto”, senza riscontri, la fisica, spiega a “La Lettura” un fisico teorico e divulgatore britannico, Jim Al-Khalili,, “conviene confidare in acceleratori di particelle più potenti, sì. O rassegnarci magari al fatto che il cervello sia arrivato all’estremo delle sue possibilità e serva un’intelligenza artificiale”. Una contraddizione, che il cervello umano possa crearsene uno artificiale in grado di superare i suoi limiti, i limiti del creatore, e renderlo obsoleto. È il racconto del golem. O più modestamente di “E.T.”, di “Odissea nello spazio”, del “Truman Show”. Un errore logico, grossolano. Mentre – ma questo si sa – gli acceleratori sono solo macchine per spendere (molti) soldi - come lo spaziale: una sorta di industria della ricerca, a nessun fine, né pratico (utile) né di ricerca,  giusto prendersi la fetta più grossa possibile dei finanziamenti pubblici, gli scienziati pensano anch’essi big business.
 
Italia – È orientale più che classica: la “porosità” dell’Italia, la sovrapposizione di più strati culturali, di più storie, è orientata verso Oriente, e dall’Oriente indirizzata, invece che, come si presume, dalla classicità greco-romana. È la tesi di Ernst Bloch nello scritto “Die italienische Deutschfreunflichkeit”, 1925, e in “Italien und die Porosität” dell’anno dopo. Due scritti trascurati in Italia (ma anche, pare, nell’edizione dell’opera omnia di Ernst Bloch), ora riletti da Chritina Ujma, “Zwierlei Porosität. Walter Benjamin und Ernst Bloch beschreiben italienische Städte”. Eccetto che per il breve capitolo sulla “porosità”, in relazione al concetto elaborato da Walter Benjamin e Asja nel soggiorno a Capri nel 1925, derivandolo dalla scenografia-architettura teatrali e applicandolo a Napoli, come forma storica e sociale della città, e del linguaggio, parzialmente tradotto da Valentina Di Rosa in Ramondino-Müller, “Dadapolis”.
In architettura, da cui il termine è derivato -  con estensione successiva al materiale calcareo, tufo, su cui Napoli è piantata – la porosità è mescolanza di forme, per accumuluo, nella storia, nei secoli (Tanja Michalsky, “Naples vertical. Deep holes in a porous city”. “Porosa come la pietra (tufacea, n.d.r.) è l’architettura. Edilizia e attività quotidiane interagiscono nei cortili, le gallerie, le scale”, spiega W.Benjamin elaborando la nozione che Asja Lacis, attrice, aveva tratto dalla pratica teatrale.
A Napoli e nella società italiana, argomenta E.Bloch,  vige “la confusione o commistione di età e di epoche, di classi e di miti”. Cercandone l’origine, vi trova un che di orientale. “Cercando l’origine di tale confluenza e mescolanza, molti pensano volentieri al sole, all’aria aperta; come se questo dovesse spiegare ciò che si oppone alla compostezza classica. Ma i Greci e i Romani avevano lo stesso sole; esso dovrebbe semmai delineare i contorni con maggiore precisione; allora si accorderebbero molto meglio alla porosità la luce e l’atmosfera del Nord Europa. Accade invece il contrario: le suddivisioni, la chiara facciata inglese e la ragione misurata sono proprie del Nord”. Se ne imputa all’Italia la mancanza, o la scarsezza, per un errore storico: il Rinascimento divenne presto Nord- Europeo, mentre in Italia fu soffocato  dalla Spagna e dalla chiesa, con la Controriforma: “Il Rinascimento, il cui compito borghese fu bruscamente interrotto dalla dominazione spagnola e dalla controrifoma, è piuttosto – a nostro avviso – il dirottamente del medioevo arabo-bizantino verso il barocco, e non la rinascita del mondo antico; arte moresca, mai del tutto superata,  barocche sono tuttora le direttive più forti della cultura italiana”.
Su questo abbrivo avventuroso Bloch indirizza la “porosità”, la sovrapposizione di culture e modi di vita, verso Oriente invece che verso la classicità:
“L’Oriente conosce ancora oggi l’intreccio, la concatenazione di tutte le espressioni vitali, caratteri della scrittura, linee della vita, l’arabesco, e come esso conduca dalla casa alla bottega artigiana, al mercato, alla moschea, dall’uno al tutto, dal tutto di nuovo a un punto qualsiasi del percorso.
“Ancora diverso e tuttavia con un’essenza ugualmente non statuaria, il barocco è orientato verso il transeunte, l’espressivo (in it.), verso la trasparenza di ogni fenomeno, verso la capacità di rispecchiamento di ogni monade, affinché essa possa a suo modo rappresentare e contenere l’intero universo.
“Questo barocco non è nemmeno necessariamente «assenza di forma», piuttosto una forma diversa, più profonda, o tale perlomeno da non escludere nessun elemento del caos, come accade invece nell’arte classica: un’aspirazione quindi alla tuttilità (italianismo coniato dall’autore, n.d.r..), arricchita di alelgorie incrociate e la cui radice è il bizzarro”.
 
Villaggio Globale – Il villaggio globale di McLuhan si realizza nella specie orwelliana di “1984”, o meno cattiva di “The Truman Show. Senza l’Autorità esterna impositiva, di controllo, ma nella dipendenza. Nella comunicazione non come compartecipazione ma come controllo – o la comunicazione è controllo più che (prima che) compartecipazione, compassione? Un controllo minuto nell’età della privacy, per ironia: quando cioè si vuole protetta per legge, la privacy si cancella o si sradica, semplicemente.
Si cancella autonomamente, senza padrone o controllore. Senza un controllore con personalità, istituzionale di fatto o giuridica, ma nella stessa funzione: anonima e generalizzata – completa, totalizzante. Senza più tempo, pausa, riservatezza, nemmeno riflessione se non minima, transitoria, superficiale.
Cancella l’area personale, il tempo, il pensiero stesso. Si vive sul modello di un Grande Fratello, poiché la convivenza forzata genera risentimenti. Un mondo – modello di vita - che sembrava pacchiano, commerciale, e lo è, ma dominante e popolare, e senza ombra di critica.

zeulig@antiit.eu

Le sorelle condannate a morte

Cinque sorelle divertite e divertenti sotto un allegro colombario vanno incontro alla morte in serie. Dell’anima, del fisico, delle cose, financo della luce, sempre più ingrigita.
Ogni scena è di morte, il bagno felice in mare, l’amore tra due ragazze (finisce al mattatoio), i sogni, l’amore, il non amore, la salute, la malattia. Pronubi di morte si sanno anche i colombi, che le ragazze affittano per feste gioiose e poi ritornano, simbolo di Venere psicopompa (specie a Erice, dove, forse, si ambienta la storia), che conduce le anime al Tartaro.
Un film che si vuole di autore. Una tragedia sebbene in abiti borghesi, la sventura senza colpa - non per caso nata a teatro? Impositiva, come lo era classicamente, in immagini aggressive.
Emma Dante,
Le sorelle Macaluso

venerdì 18 settembre 2020

Appalti, fisco, abusi (183)

Da giovedì 10, da otto giorni, Unicredit cede ogni giorno in Borsa l’1-2 per cento - oggi oltre il 3 - per un ribasso composto del 15 prr cento. Senza un motivo specifico. Da prima del down di lunedì e martedi su internet banking e le app.
Anche questo down, è solo tecnico? Non è stato spiegato – e di natura tale che ci sono voluti due giorni per rimediare.
 
Si fanno lunghe file all’esterno delle Poste, al caldo, senza ombra, mentre si potrebbe fare la fila all’internto, col distanziamento – le “posizioni” sono segnate, e osservate, nelle chiese, nei cinema, ma alle Poste non si può. Per la sicurezza di chi, se bisogna aspettare al sole per ore?
 
I tempi di ogni pratica si sono dilatati all’infinito alle Poste. Si vede dalla coda a ogni singolo ufficio, ora che bisogna aspettare in fila unica all’esterno: una pratica prende dai tre ai cinque minuti, un tempo eterno.
È anche possibile (probabile) che gli sportelli siano stati ridotto con la scusa del contagio: per la furbata del “lavoro da remoto”, o perché a Poste conviene usare l’orario ridotto?
 
Si passa alla fibra, più o meno obbligati dalla compagnia telefonica, con un peggioramento notevole, nella telefonia e nei collegamenti internet. Sono promessi velocissimi, istantanei, e invece sono lentissimi - in certi momenti (affollamento in rete?) notificano l’offline.
Si parla molto della rete in fibra come se fosse già fatta. Mentre non lo è. E dove risulta in attività è inefficiente. Il deperimento della rete telefonica, in corso ormai da un quarto di secolo, continua. A vantaggio di chi?.
 
Enel fattura per l’elettricità domestica ca 90-100 kW a maggio e giugno, secondo lettura. Poi a luglio e agosto, anche se la casa è chiusa, calcola 110-120. Che moltiplicato per quanti utenti, due milioni, venti milioni, fa una bell’acconto.
È difficile poi, è faticoso, noioso, con perdita di tempo e di energie, tenere il conto dei consumi fra le stime passate e le rilevazioni future, e degli anticipi e le detrazioni in bolletta. Bisogna fidarsi, i chi non dà affidamento? Si può cambiare operatore, ma in peggio? Il mercato libero in Italia è un disastro, per gli utenti.

La colpa è dell’Europa

L’Europa era smarrita già un secolo fa. Non solo in Musil, un po’ ovunque, a seguito della Grande Guerra, così stupida e così bestiale. Ma Musil va più in là: “Tre saggi sull’illusorietà della razza e della nazione” è il sottotitolo. Aveva capito già nei primi anni 1920 che che anche il razzismo andava a distruggere l’Europa.
Musil fu in guerra, a Bolzano, redattore della “Soldaten Zeitung”. Di famiglia nobilitata per il patriottismo - con titolo, Edler, nobile, ancora negli anni di questi saggi utilizzato da Robert. Un patriota, insomma. Funzionario per un paio d’anni dopo la guerra al ministero degli Esteri a Vienna, quindi consigliere governativo, per altri due anni, per gli affari militari. Ma aveva i suoi dubbi, e tra il 1919 e il 1923 li espresse negli scritti qui raccolti – insieme con l’incompiuto “L’uomo tedesco come sintomo”. Tre saggi. Oltre quello del titolo, “Spirito ed esperienza” e “La nazione come ideale e come realtà”.
Un dibattito Musil apre sul nazionalismo, allora all’ombra dell’annosa dialettica tedesca fra Kultur e Zivilisation, che oggi è ampiamente superato – approfondito, svelato (a partire dal diverso significato in tedesco della parola “civiltà”…). Per non dire dell’affannosa ricerca, in ambito austro-tedesco dopo la sconfitta, di colpe o debolezze esogene. Più interessante, coevo o prodromo di molta ricerca filosofica, da Heidegger in qua, è la sua nozione – “teorema” nel linguaggio dell’ingegner Musil – della “assenza di forma” della natura, della specie, della stessa specie umana: “L’esperienza della guerra ha verificato in un immane esperimento di massa che l’uomo può senza sforzo toccare un estremo e tornare indietro senza mutare nella sua essenza. Muta, ma non muta in  sé”. Un involucro da riempire. O della storia da fare.
Con qualche stonatura: “Storico è tutto ciò che non si farà mai da sé. Il suo contrario è ciò che vive”. Vive nel tempo minimo, incalcolabile, invisibile, della vita di ogni essere o in quello della storia? Ma è vero, la storia andando per pezze d’appoggio, che “della cosa nella sua interezza si dà solo il fenomenico: un certo tipo di edifici, di poesie, di sculture, di azioni, di eventi, di forme di vita e il loro evidente essere in stretti rapporti e in mutua appartenenza”. Il resto – la realtà – è indefinitezza.
Si prenda la “specie”, che sembra nozione definibile, circoscrivibile: “La botanica, per esempio, distingue in una porzione di terra così esigua come la Bassa Austria all’incirca tremila forme di rosa selvatica e non sa se queste debbano essere ricondotte in trenta o trecento specie”. E l’uomo? “L’uomo dal 1914 è risultato essere una massa sorprendentemente più malleabile di quanto comunemente ci si attendesse”, per usare un eufemismo. L’illuminismo ci ha illusi, l’idealismo è costruzione arbitraria.
Una riflessione molto datata, anche geograficamente: a Vienna, alla fine dell’impero. Che esso stesso ha provocato, un omicidio-suicidio. Ma un luogo e un tempo dove, curiosamente, i problemi che essi hanno provocato sono addossati al mondo, all’umanità, all’Europa.
La traduzione è a fronte del testo tedesco. Il tutto a cura di Alessandro Ottaviani, lo storico della scienza e della filosofia.
Robert Musil, L’Europa smarrita, Meltemi, pp. 318 € 20

giovedì 17 settembre 2020

Ombre - 530

Stefano Tomassini tenta da giorni su “la Repubblica” di drammatizzare il 20 settembre, “la storica battaglia” per Roma capitale. Mentre il problema con Roma è che è diventata capitale perché lo era – per destino immemorabile. Non ha mosso un dito e non ha cambiato un’acca.
 
Zingaretti si accorda con Conte per far durare il governo anche dopo il referendum e le elezioni regionali, come che vadano. Un’intesa che lascia il tempo che trova – se al referendum il no ribaltasse i pronostici, contro i due partiti al governo, e qualche regione passasse dal Pd al centro-destra, Mattarella non potrebbe non tenerne conto (ci penserebbero comunque i 5 Stelle). M l’“accordo” è presentato da “Corriere della sera” e “la Repubblica” come un atto da statisti: il futuro è assicurato - non quello dei giornali, e si capisce.
 
Carlo Debenedetti più sfrontato che suonato va da Gruber e insiste sulla patrimoniale – che a uno in affari mobiliari come lui gli fa un baffo. Ma non solo: “Io sono cittadino svizzero”, vanta, “e in Svizzera si paga una patrimoniale, con aliquota modesta ma annuale”. Sulla villa di Sankt Moritz, e il palazzo a Lugano. Forse lui non ha casa in Italia, e nemmeno il conto corrente, poiché non sa delle patrimoniali in Italia, modeste ma costanti.
Ma come fa un uomo a essere così tanto virtuoso?
 
I quattro arrestati per l’assassinio a calci e pungi a Colleferro del ragazzo intervenuto in una rissa per difendere un amico godono del reddito di cittadinanza. Benché sui social si raffigurino nei siti più costosi, intenti a bere champagne. Ma questa notizia è stata a lungo confinata ai giornali moderati, i tg Rai e i grandi giornali la trascuravano – anche se i media, si dice, hanno bisogno di sensazioni forti. Il reddito di cittadinanza è di sinistra?
 
“Ma questo non è il Bronx”, “la Repubblica si fa dire dopo l’assassinio a pugni di Willy Monteiro. Il Bronx, a Colleferro?
E nel Bronx ammazzano i ragazzi a calci e pugni, arrivando a freddo, chiamati da un compare?
 
Il pil pro capite scende quest’anno da 29.349 euro del 2019 a 26.481 circa. Il debito pro capite sale da 39.562 euro a 42.079. Ancora uno sforzo, e il debito può raddoppiare il reddito.
 
Dombrovkis, l’ex primo ministro lettone che ha impoverito il suo paese, costringendo all’emigrazione in cinque anni di governo il 12 per cento della popolazione, 250 mila persone su 2,2, riducendo il suo partito, la Dc locale, dal 30 all’8 per cento dei consensi, è il general manager dell’economia europea a Bruxelles. Promosso ora da Von der Leyen anche al Commercio internazionale (leggi: Usa, Cina). La Germania può essere, ancora dopo Bonn e Berlino Ovest, pesante. Se non peggio – una Merkel nell’Ottocento è difficile da trovare.
 
“La svalutazione dei crediti deteriorati fino al 100 per cento in due anni”, disposta dalla Bce un anno e mezzo fa, “è bomba atomica per le banche dopo il Covid”, Alberto Nagel, ad di Mediobanca. Come un anno e mezzo fa nessuno ha sentito. Né in Parlamento, dove se ne parlava, né fuori. I media, si dice, hanno bisogno di sensazioni forti, ma questa evidentemente non lo è. È vero che capire è anche difficile.
 
Saviano, per criticare il partito Democratico (“vi occupate solo di cazzate”, invece degli immigrati), si esprime così su twitter: “Ma andate a cagare, voi e le vostre bugie”. È lo stile twitter o Saviano?

Genova per Cortellesi, grigia e spenta

Paola Cortellesi muta e spenta, in una Genova di vetro e acciaio, sotto una costante luce grigia, e anche inerti. Un debutto che pare sia piaciuto ala creatrice del personaggio, Petra Delicado, ex avvocato ispettrice di Polizia, addetta agli archivi, pluridivorziata e senza passioni. Non proprio brillante nei racconti originari, ma leggendola non si immaginavano, lei e la sua Barcellona, così grigie, o fredde. Lo stesso per Cortellesi, attrice brillante e brillantissima, che si è voluta cimentare nel drammatico: meritava occasione migliore.

Maria Sole Tognazzi, Petra – Riti di morte, Sky Cinema

mercoledì 16 settembre 2020

L’immigrazione come invasione

Alla prima pubblicazione dei quattro interventi di Eco sull’immigrazione, sotto questo titolo  antiit.com dedicava questo commento il 18 maggio 2019:
 “L’intolleranza più tremenda è quella dei poveri, che sono le prime vittime della differenza. Non c’è razzismo tra i ricchi. I ricchi hanno prodotto, se mai, le dottrine del razzismo; ma i poveri ne producono la pratica, ben più pericolosa”. Tutto vero, e non: i ricchi alla Eco forse non sono razzisti, mentre i poveri-poveri hanno altro cui pensare – e la “differenza” non si penserebbe che faccia vittime, piace più che impaurire. Eco sa sollevare la questione, acuto come sempre e bonario, ma confuso. Apocalittico e integrato.
Quattro interventi sono qui raccolti. Due scritti apparsi nella raccolta del 1997, “Cinque scritti morali” (“Quando entra in scena l’altro” e “Migrazioni, tolleranza e intollerabile”, sulle “migrazioni nel terzo millennio”), e due conferenze pronunciate all’estero e non tradotte. Quella di Nimega, il 7 maggio 2012, alla premiazione con la medaglia commemorative della pace di Nimega, intesa come primo trattato di pace europeo, nel 1678-79, una serie di trattati in realtà, dove Eco fu presentato come “vero europeo” dal sindaco Dijkstra, fa una utile distinzione, importante, tra immigrazione e migrazione. Quella di individui, che accettano e fanno proprie le regole del paese che li accoglie, questa di orde o popoli, che fanno l’opposto, “radicalmente trasformano la cultura del territorio che hanno invaso”.
Sul che fare invece subentra la confusione. Nel caso dell’Europa al volgere del Millennio, Eco il fenomeno dice di migrazione: “Il Terzo Mondo bussa alle porte dell’Europa, e entrerà anche se l’Europa non è d’accordo”. L’Europa sarà presto “un continente multirazziale”. Una tesi contestabile, sul piano demografico e territoriale, ma possibile. Subito poi però confonde i piani, dell’analista (storico, demografo, demologo) col profeta o politico. Col paraocchi del politicamente corretto. “Nei prossimi anni ogni città europea sarà come New York o come alcuni paesi latino americani”. Cioè mista, di differenti popoli e culture, che “coabitano sulla base di alcune leggi in comune e di una comune lingua franca, che ogni gruppo parla insufficientemente bene”, ma ognuno separato dagli altri. Si direbbe un’analisi negativa. Tanto più che le orde porteranno fondamentalismi: “Nel corso di un tale processo di migrazione gli europei dovranno fronteggiare nuove forme di fondamentalismo, espresso da differenti culture e religione”. Ma non c’è rimedio. Il rimedio è di accettare tutto, divisioni, fondamentalismi e dispetti reciproci. Assurdo - New York funziona in un paese integrato, altro che se integrato: identitario.
Sempre in questa conferenza, Eco introduce – senza citare Popper – il problema dei limiti alla tolleranza che Popper ha posto in “La società aperta e i suoi nemici”: se l’intolleranza sia da tollerare. L’intolleranza dice naturale: “L’intolleranza ha radici biologiche”, negli animali si esprime come territorialità, nel bambino è spontanea, eccetera. La tolleranza va insegnata, se non come accettazione, almeno come conoscenza della differenza. Ma con un limite. Anzi due. La tolleranza non si estende all’intolleranza. E non deve finire in relativismo: tolleranza “non significa che dobbiamo accettare ogni visione del mondo e fare del relativismo etico la nuova religione europea”.  Senza limiti però all’immigrazione, o migrazione.  
A Eco piacevano i manifesti, l’intervento giorno per giorno, l’impegno intellettuale. E l’uso dei suoi scritti come manifesti -  questi sul razzismo dopo quelli sul fascismo “eterno” - non gli sarebbe dispiaciuto. Ma allora come giornalismo di retroguardia, da talk-show: parole semplici, temi semplificati. Col vezzo, benché fosse conciliante di natura, all’opportunismo che ne deriva – molcire il pubblico. Al secondo punto del breve scritto sulle “migrazioni del terzo millennio”, un intervento a un convegno francese, dice – diceva a marzo del 1997: “Trovo più pericolosa l’intolleranza della Lega italiana che quella del Front National di Le Pen. Le Pen ha ancora dietro di sé dei chierici che hanno tradito, mentre Bossi non ha nulla, salvo pulsioni selvagge”. Ma Bossi, ora Salvini, non aveva e ha dietro Milano e la Lombardia – mentre Le Pen padre era razzista professo?
Umberto Eco, Migrazioni e intolleranza, La Nave di Teseo, pp. 71 € 7

martedì 15 settembre 2020

Letture - 432

letterautore

Atassia locomotoria – Ne è morto Shakespeare? È la “malattia dei geni creativi” secondo Conan Doyle - “Through the Magic Door”, divagazioni sugli autori prediletti. In particolare, a conclusione del cap. II, la ipotizza per Shakespeare, che muore relativamente giovane, per spiegarne la scrittura da ultimo incerta, tremolante, ricordando che ne avevano sofferto recentemente Heine e Daudet. È lo scoordinamento della funzione ambulatoria, e quindi dei movimenti in generale – che oggi però può sconfina nel Parkinson, e in alcune forme di Alzheimer prima della perdita definitiva della memoria.
 
Lafayette
– Il generale marchese francese, che fu protagonista della Rivoluzione americana e poi di quella francese, fu anche involontario paraninfo della grande letteratura americana. Nel 1824 il presidente Monroe lo invitò a visitare gli Stati Uniti, come preliminare alle celebrazioni dei cinquant’anni dell’indipendenza. Il viaggio fu un trionfo popolare. A  New York, che fece festa per lui per quattro giorni di seguito, Lafayette sollevò tra le braccia un bambino di sei anni, e lo portò con sé per un tratto: Walt Whitman. In Virginia, a Richmond, ebbe come scorta i Junior Richmond Riflemen, tra i quali era il sedicenne Edgar Allan Poe, fresco di accademia militare, indirizzato dall’amato nonno, generale Poe.
 
Italia
– È in sintesi nel Goethe in “Viaggio” a proposito della Campania: “Ora che tutte queste spiagge e i promontori e i seni e i golfi, isole e penisole, rocce e coste sabbiose, colline verdeggianti, dolci pascoli, campagne feconde, giardini di delizie, alberi rari, viti rampicanti, montagne perdute fra le nubi e pianure sempre ridenti, e scogli e secche, e questo mare, che tutto circonda con tanta varietà e in  tanti modi diversi – ora, dico, che tutto questo è presente nel mio spirito, ora soltanto l’Odissea è per me una parola viva”. Una scoperta.
 
Pane al volo
– Si direbbe un “classico” francese. Léo Malet ha – nel romanzo “Il sole non è per noi” – il pane lanciato al volo dentro le celle dalle guardie carcerarie: i più svelti se ne appropriavano, scatenando pori risse con i codetenuti. Guy Bueno, lo scrittore spagnolo, ricordava che il pane veniva lanciato al volo, sempre in Francia, oltre i reticolati dietro i quali erano ammassati i rifugiati spagnoli durante la guerra civile.
 
Papa Francesco
–Richiama il saggio di Corrado Alvaro su Campanella, dove lo scrittore fa del frate un predecessore di don Chisciotte dal vero: “Nel Seicento il Cattolicismo, e la società, si staccarono definitivamente dai concetti classici miracolosamente sopravvissuti fino a quel tempo. Fu la mentalità spagnuola che operò nel mondo, con una mistica mussulmana, tale trasformazione”. Lo richiama all’apparenza senza ragione, se non per quella “mistica mussulmana”. Che però c’è, è operativa.
Il papa argentino è il primo papa ispanico – il primo dopo il papa Borgia, che però era di famiglia italianizzata, e tuttora è riferita in spagna col nome italianizzato.
 
Punto e virgola
- Musil (“Ribellione al maschio”, nella raccolta “Parafrasi”, p.145): “Punto e punto e virgola sono sintomi di regresso – sintomi di stasi. Dunque non si dovrebbe lasciare la sintassi nelle mani di professori fossilizzati”. Di più: “Punto e punto e virgola li scriviamo non soltanto perché abbiamo imparato a fare così, bensì perché pensiamo così. – Questo è il pericolo. Finché si pensa in periodi col punto finale - certe cose non si lasciano dire - al massimo vagamente sentire”. Musil usa invece il trattino? Ma le divagazioni le fa lunghe.
 
Storie personali
– Inventate, esagerate, la biografa di Poe, Shelley Costa Bloomfield, dice genere americano, delle origini – ma poi anche di tutto l’Ottocento, come Mark Twain che lei cita fa dire a Huck del suo libro precedente all’inizio delle “Avventure di Huckleberry Finn”: “Ci sono cose che ha esagerato, ma in genere ha detto la verità”. Un paese giovane, che si era “liberato dal colonialismo e dall’ortodossia”, aveva bisogno di eroismo, scrive Costa Bloomfield: “Frottole e burle erano popolari e geniali… Gli spiriti erano accesi e le esagerazioni abbonda vano. Storie personali si inventavano”.
Al genere sarebbero invece negati gli inglesi, secondo Conan Doyle (“Through the Magic Door”) perché non sono sinceri: “Nessuna autobiografia britannica è mai stata franca, e di conseguenza nessuna autobiografia britannica è buona”. Si può scherzare ed esagerare ma non nascondersi – ci si può nascondere dietro lo scherzo?
 
Toyboy
– “Prestatori del pene” per Gadda. La prostituzione maschile Pasolini eleva - “Supplica a mia madre” (“Poesia in forma di rosa”) - ad amore, seppure senz’anima: “Ho un’infinita fame\ d’amore, dell’amore di corpi senza anima”. Gadda liquidava i toyboy come “prestatori del pene” – i “ragazzotti prestatori del pene», come direbbe Gadda” scrive Bassani a Calvino a proposito della copertina de “Gli occhiali d’oro”, per la quale voleva un De Pisis, una delle gouaches “raffiguranti nudi o seminudi di splendidi ragazzotti ‘prestatori del pene’, come direbbe Gadda”.
 
Trump
– Risuona nella forma della pronuncia, “Tramp! Tramp! Tramp!”, in una delle canzoni più popolari della guerra civile americana – “la guerra più sanguinosa che la razza anglo-celtica abbia combattuto” (A.Conan Doyle). Ma è una canzone di speranza, dei prigionieri di guerra nordisti che si incoraggiano – “tramp” è la sonorizzazione del passo militare, dl passo di marcia.
 
Viaggio - Ha cancellato le differenze. Conan Doyle ricorda con vivido gusto (“Through the Magic Door”) la “Storia d’Inghilterra” di Macaulay, di quando nel Seicento un Londinese in campagna era una stranezza: “Un cockney in un villaggio rurale era guardato come se avesse sconfinato in un kraal di Ottentotti. Lo stesso quando il Lord di un castello del Lincolnshire o dello Shropshire appariva a Fleet Street”, a Londra, “si distingueva alla stessa maniera dai residenti come un Turco o un Lascar” – lascar era un marinaio indiano.

letterautore@antiit.eu

Ma il fascismo è fascista, non è eterno

Alla prima pubblicazione in solitario della conferenza americana  di Eco, antiit.com dedicava questa lettura il 15 gennaio 2018:

Una conferenza-saggio molto echiana, sfarfallegiante, s’inventa anche l’Ur-fascismo, ma curiosamente superficiale, un assemblaggio di luoghi comuni. Gli studenti della Columbia cui Eco si indirizzava in origine, nel 1995, ne saranno rimasti abbagliati, capendoci poco. Si ripubblica come fosse una premonizione, specie in terra americana. Sulla base dell’elemento “sei” della trattazione, del fascismo come movimento piccolo borghese, di disadattati: “Nel nostro tempo in cui i vecchi ‘proletari’ stanno diventando piccola borghesia (e i Lumpen si autoescludono dalla scena politica), il Fascismo troverà in questa nuova maggioranza il suo uditorio”.
Non è il solo ingrediente: sono quattordici. Un guazzabuglio. Senza, curiosamente, l’ingrediente principale e caratterizzante: la negazione della libertà d’opinione e politica. Il fascismo di Eco è nazionalista, con l’indotta xenofobia. Però anche “aristocratico”, “elitista”: “L’elitismo è un aspetto tipico di ogni ideologia reazionaria, in quanto fondamentalmente aristocratico”. E maschilista, machista. Proprio oggi che i capi dei movimento neo fascisti, in Italia, Francia, Germania (e la Birmania? e la Liberia? per dire dei Nobel per la pace) sono donne. Il quattordicesimo requisito del fascismo è la Neolingua, la lingua di legno – quella per la verità che Orwell prese di mira nel sovietismo. Ma oggi la Novella Lingua non è il politicamente corretto, l’insostenibile conformismo di una certa sinistra – da ultimo obamiana - per il resto guerrafondaia, imperialista, monopolista, speculatrice?
Tutto vero, ma anche tutto falso – dire, alla Eco, quasi la stessa cosa. La storia non si semplifica, l’Ur-Freud s’incazzerebbe. “L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti” è la conclusione. Vero anche questo. Ma bisogna vigilare con occhi liberi, senza paraocchi.
Di “eterno” il fascismo non ha nulla, è un movimento politico europeo, del Novecento, tra le due guerre, teorizzato e diffuso dal fascismo italiano. Il franchismo postbellico, o Salazar in Portogallo, che nella guerra fascista fu un pilastro alleato, sono già un’altra cosa. Il fascismo per antonomasia, mussoliniano, italiano, quello che è durato di più, anche se solo un ventennio, e che è stato il più vociferante e presenzialista, era il meno definito e anzi contraddittorio: anticlericale e clericale, innovatore e tradizionalista, rivoluzionario e reazionario, dei ricchi e dei poveri, e fu bellicista dopo essere stato pacifista.
La tradizione è l’elemento fondante e costituente del fascismo, spiega Eco agli studenti newyorchesi. Ma la tradizione di che cosa? Mussolini s’ingegnò di magnificare tutto dell’Italia, da Romolo e Remo a Mazzini, l’impero e le repubbliche, l’imperialismo e la resistenza, le città e le campagne, e i preti con Savonarola e Giordano Bruno. Hitler cancellò duemila anni di storia tedesca per rifarsi ai Nibelunghi. E le avanguardie, nella arti, nelle arti applicate (la pubblicità, per esempio: radio, slogan, manifesti, manifestazioni), l’architettura, l’industria, il mito della tecnica: i fascismi sono più tradizionalisti o più modernisti (sono l’una e l’altra cosa)? E poi: Chateaubriand non è certo fascista, neppure Joseph De Maistre a ben vedere, o Donoso Cortès: perché la tradizione sarebbe fascista – c’è più tradizionalista (colto medievista, professore, collezionista) di Eco? Il culto della guerra e della morte, il culto dell’azione, la rimozione dello Spirito sono più fascisti o più giovanili – per esempio nel terrorismo post-Sessantotto?  Il fascista è razzista per definizione – ma anche quando, come i fascisti italiani, ha il mal d’Africa?  Non tollera il disaccordo: il disaccordo è tradimento. Ma questo è avvenuto più a lungo, e più sanguinoso, nel Pci. “L’Ur-Fascismo scaturisce dalla frustrazione individuale o sociale”. A naso? E quanti fascisti ha conosciuto Eco personalmente?
Partendo da una domanda molto echiana, semplice – “tutto è fascismo”, ma che vorrà dire? - Eco si risponde subito alzando i paletti: è storia. E fa le differenze. “Il nazismo era decisamente anticristiano e neopagano”, con un testo sacro che era “un manifesto politico”, “Mein Kampf”. Allo stesso modo, “il Diamat (la versione ufficiale del marxismo sovietico) di Stalin era chiaramente materialista e ateo”. Due sistemi dottrinari, due dittature totalitarie. “Il fascismo fu certamente una dittatura, ma non era compiutamente totalitario, non tanto per la sua mitezza, quanto per la debolezza filosofica della sua ideologia”. Poi, invece di dire che il fascismo in senso proprio è un fatto storico preciso, alcuni fatti storici, si perde nei suoi 14 attributi, direbbe Spinoza. Che di fatto sarebbero uno, e ben preciso: un sistema di potere non democratico. Eco diventato anche lui il tuttologo che disprezzava, professore di scienza politica, non sfugge nemmeno al tutto fascismo – fascista dice la New Age, che invece si voleva mite. E Ur- come radice, invece che preistoria? Se è eterno non è fascismo, non è politica. Rigirare le carte, invece, è nel suo piccolo fascismo.
La conferenza-saggio tenuta alla Columbia University di New York il 25 aprile 1995, per commemorare i cinquant’anni della Liberazione dell’Italia, fu pubblicata subito variamente: sulla “New York Review of Books” il 22 giugno, come “Ur-Fascism”, tradotta su “La Rivista dei Libri”, a luglio, col titolo “Totalitarismo fuzzy e ur-fascismo”, ripresa su “la Repubblica” (la seconda metà), il 2 luglio, infine nella raccolta “Cinque scritti morali”, 1999. Riesumata dalla “Nyrb” il 10 agosto 2016, contro Trump, per lo stesso motivo si riedita ora in italiano. Ma letta a distanza, isolatamente, è un centone di luoghi comuni, anche raffazzonato – con uno strano effetto di straniamento: come di un professore burlone, obbligato a tenere egli eterni studenti l’eterna lezione sull’eterno fascismo, nel 2018 come un secolo prima (e che secolo, dopo il 1918).
Umberto Eco, Il fascismo eterno, La Repubblica, gratuitamemnte col giornale

lunedì 14 settembre 2020

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (436)

Giuseppe Leuzzi

Campania, Sicilia, Calabria, la stessa Puglia, le regioni meridionali registrano tra agosto e questo primo settembre molti più contagi ogni giorno di quanti risultavano nella fase acuta del coronavirus. Il numero dei contagi è effetto del maggior numero di tamponi, probabilmente. Ma anche dei contagi d’importazione: per gli arrivi moltiplicati di migranti all’avventura, per il turismo balneare, e per il nostos, il ritorno dell’emigrato, sia pure per poche ore.  

Il Sud non decolla causa unità
Agosto di polemiche sulla destinazione dei fondi “Recovery” stanziati dalla Unione Europea, per la ripresa economica dopo la chiusura. Che Il Sud non ha nei progetti del governo la parte di cui ha bisogno, di cui l’economia nazionale trarrebbe maggiore beneficio – cresce il Nord se cresce il Sud. Che il riterio della “spesa storica” è sbagliato e ingiusto - ripartire cioè i fondi pubblici in proprozione a quanto già stanziato in passato. Che si tarda a, o non si vuole, adottare i Lep, livelli essenziali di prestazione, per tutti gli interventi pubblici, sanità, igiene, istruzione, servizi basici (acqua, elettricità, telefonia, internet, etc.).
Non una nuova “questione meridionale” ma quasi – Svimez, Eurispes, Agenzia per la Coesione si sono molto impegnati, risvegliandosi da un lungo sonno. E tutto giusto, forse. Il criterio della spesa storica è certamente sbagliato dal punto di vista economico prima che sociale: è dare a chi ha, riducendo la capacità di spesa di chi ne ha maggiore propensione, oltre che bisogno. Chi ha è più virtuoso, certo, risparmiatore, ingegnoso, applicato. Ma la spesa pubblica non ha il fine di premiare i “buoni”: ha il fine di uguagliare le condizioni basiche o di partenza, nelle infrastrutture e nei diritti, all’istruzione, alla salute, alla cultura, in una prospettiva di produttività complessiva per tutti, certo, ma nell’eguaglianza. Il criterio adottato nell’Italia leghista, anche se a opera (in particolare nell’istruzione e nell’industria) soprattutto di politici ora Pd, in tutti i settori, dalla sanità all’università, sotto l’apparente neutralità (di fatto non neutrale, né nella sanità né nell’università, questo è chiaro a tutti e non si contesta), ha creato e crea buchi colossali. I dati dei Conti Pubblici Territoriali, pubblicati dall’Agenzia per la Coesione, lo testimoniano.
Ma è questo il problema numero uno del Sud, l’unica regione al mondo che accresce il divario di produzione e reddito con le regioni del paese più ricche invece di colmarlo o comunque ridurlo? Uno sguardo non del tutto distratto nelle realtà meridionali fa nascere l’ipotesi che il Sud non cresce, non abbastanza, a causa dell’unità: il Sud è prigioniero di un assetto di produzione e di consumo che lo marginalizza.
Dappertutto s’incontrano iniziative economiche, produttive, buone, ma che stentano, sempre e comunque. Non producono abbastanza reddito, non subito. Hanno difficoltà a decollare: commerciali (chi ti compra il prodotto?), distributive, finanziarie (le banche vogliono vedere fatturati), promozionali (effetto immagine negativo), legali (le pratiche con la Pubblica Amministrazione, sempre abusive, la concorrenza – una denuncia, se sei un’azienda del Sud, anche più di una, anche anonima, è inevitabile). Con l’handicap aggiuntivo, quindi, di consulenze onerose da spesare.  
La distribuzione non è indifferente. Il supermercato in paese, i tre-quattro supermercati in paese, non vendono gli ortaggi locali, pure più freschi e saporiti, perché si riforniscono-vengono riforniti dai mercati generali, con condizioni di prezzo, pagamento, consegna più favorevoli. Anche, è straordinario, per i prodotti poveri o a basso valore aggiunto, i carciofi, i peperoni, gli asparagi, l’origano, perfino le patate.Non vendono i prodotti agroindustriali locali, formaggi, salumi, conserve,  benché più freschi, di sapore tradizionale, e meno cari rispetto a quelli della grande industria, perché hanno con la distribuzione dei prodotti di marca accordi di lungo periodo e condizioni più favorevoli, di credito, di pagamento, e di immagine del prodotto - che è pubblicizzato, e questo è garanzia di qualità.
Il giovane, la giovane, che avvia una produzione anche la più aggiornata, verde, bio, proprietà organolettiche eccetera, va avanti per qualche tempo, ottiene qualche buona eco, qualche riconoscimento anche, perché no, ma non vende. Non abbastanza per decollare. Non ha tempo, non ha margini. Il processo di accumulazione dentro un’economia matura è breve, rapido, e quindi esige un forte balzo iniziale.
Non è che al Sud manchi l’iniziativa. L’iniziativa c’è, ma muore. Dopo i primi passi. Come un bambino nato prematuro, o anche nato sano, ma subito poi in deperimento, per cause organiche, compreso il latte della mamma – la banca.
Nell’attesa del decollo, è innumerevole il conto delle aziende nate morte, morte poco dopo la nascita, speranzosa, solida, brillante. E a ondate il Sud si depriva delle sue energie migliori: ci mette poco chi ha titolo, capacità, ambizione, a trovarsi un’opportunità senza tanti handicap.
Il Sud stenta, unica area al mondo, perché frenato dagli handicap. Quelli che gli impone, effetto perverso, un’economia nazionale brillante, che di un paese povero ha fatto uno ricco. Un Sud separato avrebbe fatto meglio? Non avrebbe potuto non farlo.
Il Sud non può decollare, ha difficoltà a ingranare, unica area al mondo che perdura da un secolo e mezzo in una situazione di sofferenza, perché è parte senza protezione di un’area ricca, produttiva, integrata nei mercati (commerciale, finanziario). Gli aiuti speciali alleviano la dipendenza ma non ne intaccano il motore: che è appunto questa integrazione.
L’integrazione fa sì che il Sud non abbia tempo. Il tempo necessario per l’accumulazione primaria.
 
Napoli
A Caivano, 37 mila abitanti a un quarto d’ora da Napoli, dove un fratello in moto sperona lo scooter della sorella, perché convive con un trans, e la uccide, la piazza principale, aperta nel 1980 per accogliere i terremotati, battezzata speranzosamen te Prato Verde, è reputata la più grande piazza di spaccio d’Italia. “Qui”, dice al “Corriere della sera” don Maurizio Patriciello, il parroco della ragazza morta, da trent’anni a Caivano, “lo Stato non c’è. No, non cè, e lo può sottolineare… Si soffre, si muore. Per ignoranza, abbandono. Tutti sanno che il Parco Verde è una piazza di spaccio. E cosa succede?” 
 
È la città probabilmente più ricca di storia e arte, palazzi, chiese, dipinti, statue, architetture, archeologie, musei, ma si compiace di “Gomorra” – come già la Sicilia al tempo della “Piovra”, anni 1980, “grande successo mondiale”, grazie al quale si poteva girare l’isola a piacimento senza bisogno di prenotare, e godersi Segesta, Piazza Armerina, Solunto, perfino Selinunte, in solitario. “Gomorra” rende di più, a chi? È il gioco perverso di chi vuole male al Sud? Ha ragione Freud, c’è sempre una merda attaccate a alle scarpe? È il Sud, l’odio-di-sé – l’ipotesi non si può scartare (s’introietta la colpa per il senso di colpa).
 
È la metropoli che si si è comportata meglio nelle fasi acute del coronavirus, rispettosa cioè delle prescrizioni sanitarie, a giudicare dagli effetti. E anche dopo, in questa fase di decantazione, benché aperta al turismo. Hanno retto anche le strutture sanitarie. Quanto pesa su Napoli l’“immagine” Napoli, che per lo più è opera dei napoletani? Si dicevano “maledetti” alcuni poeti, anche grandi, la qualifica incontra.
 
Era greca ancora al tempo di Virgilio, parlava greco. Orazio vi studiò Epicuro alla scuole di Sirone.
Ancora in epoca moderna, Goethe a Napoli scrive: “Ora soltanto l’Odissea è per me una parola viva”.
 
Braudel vagheggiava per Napoli nel 1983 sul “Corriere della sera” il ruolo di capitale d’Italia. Non senza argomenti: “L’unica città dell’Occidente, dopo il riflusso dell’Islam, a dare il proprio nome ad un regno, qualcosa di più di una capitale, e l’asserzione di un diritto di proprietà eminente”.
 
“Nota caratteristica di Napoli è che quasi tutte le sue glorie sono musicali: Scarlatti (Domenico, n.d.r.), il suo discepolo Porpora, Leonardo, Leo (Leonardo Leo, n.d.r.), Francesco Durante, Pergolese, Paisiello, Cimarosa, e tutti quei maestri che fino a Bellini, a Mercadante uscirono dal Conservatorio di Napoli”, Ferdinand Gregorovius, “Passeggiate per l’Italia”, 1850 ca.
 
“Lavorerio” si dice e si pensa a Milano, dei lombardi. Mentre non c’è di più indaffarato dei napoletani. “Tanto all’interno che all’esterno del palazzo dove vivo”, testimomava trent’anni fa Fabrizia Ramomndoino in apertura al suo “Dadapolis”, l’omaggio a Napoli, “si  fabbrica di tutto: borse di cuoio, dolci, putrelle di ferro, una rivista per studenti universitari, bare di zinco, vestiti, caffè tostato e macinato”.
 
Si cita nelle bibliografie un “Voyage à Naples” di Sainte-Beuve, del 1839, che di Napoli parla poco – parla poco anche di Roma: in tutto, nel suo unico viaggio in Italia, non ci passò un mese – giusto un mese, da metà maggio al 18 giugno. In una successiva “Ecloga napoletana”, tuttavia, uno degli ultimi tentativi di “fare il poeta”, pubblicata a parte e attaccata al “Voyage”, ridicolizza San Genanro, e in genere i riti cattolici.
La Napoli di Sainte-Beuve è studiata in Francia, Napoli non se ne cura – Napoli è anche snob.
 
Fu sempre “violata”, stabiliscono Fabrizia Ramondino e Andreas Friedrich Müller in “Dadapolis”: “Partenope, la vergine, fu violata da Romani, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli, Austriaci, Francesi, Piemontesi, Tedeschi, Americani”. Con un dubbio: “Ma era una vergine o una maîtresse?” Ricordando peraltro che “spesso i peggiori conquistatori di Napoli furono i Napoletani stessi”.
 
Bakunin ci passò quindici mesi, eccezionali. Un’eternità per uno nomade. Da giugno 1865 ad agosto 1857. “Napoli piacque tanto a Bakunin”, racconta il biografo, Pier Carlo Masini, che nella primavera del 1876, poco prima di morire, aveva già deciso di tornarvi definitivamente a finire i suoi giorni”. La sua morte fu celebrata col lutto da molto giovani napoletani che lo avevano frequentato.
A Napoli Bakunin fondò un Circolo dei socialisti rivoluzionari, “che genererà ai primi del ’69 la Sezione napoletana – prima in Italia – dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori”.

leuzzi@antiit.eu

L’uomo è sparito – è un sintomo, un’ombra

L’uomo “tedesco”, Musil specifica al primo paragrafo, è per modo di dire: è l’uomo, l’essere umano. Sintomo allora di che cosa? Della civiltà. Dell’Europa. Del progresso. Che sono spariti, vittime dell’organizzazione dell’egoismo. Del capitalismo che tutto subordina all’interesse. A una forma di egoismo limitato e di fatto improduttivo.
L’uomo “tedesco” come sintomo di un’impossibilità, di ogni idea dominante. Ora non più possibile, al lume dell’ideologia, del partito preso, del pregiudizio. Essendo crollata o svanita ogni fede, ogni regola di vita. Non c’è più l’uomo, ce ne resta il sintomo.
Un saggio incompiuto, cioè non portato a termine, del 1923. Ma tutta la saggistica di Musil è di fatto incompiuta – ambiziosa ma inconcludente: sull’Europa, su Ernst Mach. Problematica invece che risolutiva. Problematica dello stesso concetto di crisi. Inafferrabile, si direbbe , come il suo “uomo senza qualità”, senza spessore, quasi senza storia. Le considerazioni vagano dalla situazione della generazione musiliana al teorema della umana mancanza di forma, al ruolo della ideologia nella vita, e ai fatti - al tempo, al ruolo, agli amici e ai nemici dei fatti.  Concetti complessi, i fatti, le forme, le ideologie, affrontati con curiosità analitica (filosofica) ma da dilettante. Sullo stesso tema, la trasformazione che il capitalismo – l’interesse, il guadagno – ha imposto alla vita, al lavoro, Ernst Jünger negli stessi anni ci vedeva  meglio, al di là del rifiuto o della critica.

Con una postfazione, postanalitica, di Antonello Sciacchitano.
Robert Musil, L’uomo tedesco come sintomo, Pendragon, pp. 116 € 14

domenica 13 settembre 2020

La peste

Nessuno muore più di fame,

a nessuno è negata una cura,

una scuola, un bagno di mare,

donde la paura -

l’abbondanza è molesta.

Cronache dell’altro mondo - 72

Per concorrere ai premi Oscar a partire dal 2024 ogni film dovrà avere almeno un attore-attrice “etnico”, etnicamente così definito: “Asiatico, ispanico, nero non americano, afroamericano, nativo americano, abitante dell’Alaska, mediorientale, nordafricano, hawaiano o altro nativo delle isole del Pacifico”.  E, a scelta, un Lgbtq dichiarato, almeno uno, oppure una persona affetta da disabilità. Inoltre, il 30 per cento degli staff della produzione del film che si candida agli Oscar dovrà appartenere a questa categorie.
Si chiamano inclusion standards , regole per l’inclusione. Ma l’alternativa lgbtq o disabile? Può essere mancanza di senso dell’umorismo. E il razzismo, per etnia, sesso, disabilità? Escluso dalla costituzione e dal passaporto rientra con queste regole che si vogliono della “inclusione”, della protezione cioè delle minoranze, e dell’uguaglianza pratica dei diritti: nessuno potrà più pretendere di essere quello che non è, solo il bianco caucasico non ha bisogno di certificazione.
Ad ogni elezione da cinque anni in qua, presidenziale, di mid-term, ora di nuovo presidenziale, si lamentano hacker russi che influenzano il voto. Come e per chi non si sa. Né si rimedia – che non sarebbe impossibile, nemmeno difficile.
Kate Winslet 2017: “Woody Allen è un regista incredibile. Come Roman Polanski. Lavorare con loro è stata un’esperienza straordinaria”. La stessa 2020: “Come cavolo ho fatto a lavorare con loro? Per me è incredibile constatare come quegli uomini siano stati venerati per così tanto tempo. È vergognoso”. Kate Winslet è impegnata nella promozione di “Ammonite”, una storia d’amore lesbico nell’Inghilterra del 1840.
Non sarà Trump che ha avvelenato Navalny, per mettere in crisi il gasdotto Russia-Germania? È l’unica infamia che non viene addossata, non ancora, dagli antitrumpiani americani, il 90 per cento dei media, al loro presidente – è bugiardo (la cugina), era un bambino cattivo (la zia), è uno stupratore (alcune prostitute), dice i reduci “sfigati” e “fessi” (un generale molto destrorso), è un untore (Bob Wodward), vuole truccare il voto.

Ecobusiness - 5

Solo plastiche negli esercizi pubblici da febbraio, niente vetri, niente ceramiche o porcellane. Niente di lavabile, solo usa-e-getta. Per proteggere meglio la salute e l’ambiente?
Il mare, calmo, è trasparente alla nove di mattina. Alle undici è ancora trasparente. Finché non arriva la massa dei bagnanti, giovani, famiglie, che anzitutto si cospargono di creme, poi affrontano il mare, che subito spumeggia: sono i grassi delle creme. Ecosolubili, ecoprotettive, e per questo non inquinanti?
La Tari è raddoppiata – come minimo - dal 2007. Ma le città, Roma per esempio, Milano, sono sporche, più di prima, incomparabilmente.
La Tari è raddoppiata per il business, principalmente, della raccolta differenziata. Che invece avrebbe dovuto ridurla, dovendo ogni sua parte - carta, vetro, umido, plastiche – essere produttiva, se non del tutto riproduttiva o quasi (carta e vetro).
La California, all’avanguardia dell’ecobusiness, quella dello sciacquone a doppio tiraggio, per la pipì e per la cacca, è anche quella dell’anti-zucchero – “I am not a sugar person” è una professione di fede - lo zucchero considerando, spiega Michele Masneri, “Steve Jobs non abita più qui”, “una sostanza moralmente degradante”, “peggio dell’eroina”, responsabile di diabete, obesità, alzheimner, ipertensione, disfunzioni coronariche, cancro. Tutto giusto? Forse, non si sa. Ma proprio l’industria degli zuccheri anni fa pagò, dice Masneri, eminenti specialisti  “per occultare gli effetti del glucosio su cuore e arterie (e pance) , spostando l’attenzione sugli incolpevoli grassi, espulsi da ogni dieta per cinquant’anni”. C’è una morale?
La California che peraltro ogni anno brucia, per incuria e per piromania.
Le politiche ambientali servono a generare  tasse, e non a ridurre l’inquinamento: è stato l’effetto di tutte le tasse “ambientali”, giustificate cioè con la protezione dell’ambiente, finora introdotte. Lo spiega Alessandro Marangoni con lo studio “Plastic Tax, novità o arma spuntata”, pubblicato sula “Staffetta Quotidiana, l’ex “Staffetta Petrolifera. L’ambiente si migliora con investimenti nella gestione dei rifiuti : impianti di trattamento, incentivi all’uso di materiali di riciclo, miglioramento del riciclo, e magari quote obbligatorie di riutilizzo di materiali riciclati in alcuni prodotti. L’ecotassa europea, 80 centesimi al kg per la plastica non riciclabile significherà una bolletta da 400 milioni l’anno a carico degli italiani, si stima, senza effetti dissuasivi sull’uso di plastica non riciclabile – la tassa viene semplicemente passata ai consumatori.
L’associazione francese Opération Mer Propre stima che “in mare ci sono ora più mascherine  che meduse”. Con la riapertura delle scuole, scrive “Il Sole 24 Ore”, “si stimano altri 11 milioni al giorno (di mascherine) da buttare”. L’Ispra, istituto superiore per la protezione e la ricerca mbientale, stima che per tutto il 2020 “tra 160mila e 440mila tonnellate di dispositivi anti-Covid saranno da trattare come spazztura indifferenziata”.
L’impegno del solo governo italiano, di distrbuire ogni giorno nelle scuolle 11 milioni di amscherine, significherà a fine anno scolastico, contando solo 200 giorni di lezione, 2,2 miliardi di mascherine usa e getta, non riciclabili.

Camilleri e il ritorno del racconto italiano

Amore e morte, un classico, il primo dei due racconti, veloce, irresistibile. Con ampio sfogo, a sorpresa e rieptuto, della propensione di Camilleri per le “posizioni nell’amore” - qui per il catalogo delle perversioni sessuali naturali, delle perversioni senza perversione. Un amore balordo, di sbattimenti casuali, semrpe senza parole, “ingenui”, il secondo, coronato da una mite vendetta – i cattivi sono puniti.
Ancora un racconto da “La regina di Pomerania” il primo, e da “Gran Circo Taddei” il secondo, le due raccolte di racconti brevi non montalbaniani di Camilleri una decina d’anni fa.
La piccola fortunata serie del quotidiano consente un quadro preciso, dietro il successo enorme, della favolistica di Camilleri: un po’ licenzioso, un po’ paesano, un po’ vecchi tempi – podestà, maresciallo, circolo operaio, circolo dei notabili – che la canzonatura (beffa, tranello, vendetta) unifica inorgogliendo. È l’Italia – la Sicilia di fatto, ma molto italiana – della risata contenuta, beffa bonaria. La ripresa di una tradizione, detta “italiana”, che è stata fiorentissima, nel Tre-Quattro-Cinquecento, e ancora si legge – in mancanza di aggiornamenti, come questi di Camilleri per gli anni tra le due guerre.
Andrea Camilleri, L’uovo sbattuto
Regalo di Natale
, la Repubblica, gratuitamente col quotidiano