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sabato 10 aprile 2010

Tutto si sapeva, e Milano scarica Napoli

Tutto il calcio si sapeva, minuto per minuto, al punto che la scelta di favore fatta dalla Procura napoletana nel 2006 mette ora in imbarazzo Milano, nella sua sapiente immagine di capitale civile e morale. È bastato dire che il re è nudo. E ora si va verso la rottura dell’asse di potere Milano-Napoli che da un ventennio regge la (seconda) Repubblica?
Tutto è possibile a Napoli, ma la giudice che giudica Moggi non potrà non tenere conto della “strana selezione”, così la dicono i napoletani stessi, che la pubblica accusa al suo tribunale ha fatto delle intercettazioni. Il candido Moratti naturalmente ha mangiato la foglia e chiede lui di presentarsi a testimoniare. Senza che il dottor Narducci, inflessibile accusatore, abbia sentito alcun bisogno di sentirlo, dopo una settimana, se non sono due, di “rivelazioni”. Un doppio scacco per la Procura napoletana, ma anche un segnale di sfaldamento dell’asse Milano-Napoli che da vent’anni saldamente regge l’Italia, con le intercettazioni e i processi selettivi.
Il segnale arriva lo stesso giorno che il napoletanissimo Borrelli viene sostituito al conservatorio di Milano con un milanese autentico, uno che si chiama Mosca Mondadori - l’ex Procuratore capo, e inventore dell’asse Milano-Napoli, a ottant’anni s’era preso il posto di presidente del conservatorio… al servizio naturalmente della città. E il giorno dopo che il professor Roberto Pardolesi, non napoletano, è vero, barese, prende le distanze dal suo mentore milanese, avvocato professor Guido Rossi sullo scudetto all’Inter, ipotizzando “la non assegnazione del titolo quando, ad esempio, ci si renda conto, ancorché senza prove certe, che le irregolarità sono state di numero e portata tali da falsare l’intero campionato, ovvero che anche squadre non sanzionate hanno tenuto atteggiamenti poco limpidi”. Prosa incerta ma senso chiarissimo, anche se il famoso scudetto 2006 scucito alla Juventus l’avv. prof. sen. (ex) Pci Rossi non si peritò di darlo alla sua Inter, di cui era consulente retribuito.
È presto per dire che la maleodorante intesa frana, ma è bastato leggere dei verbali malamente dissimulati per rivelarne la natura. Pardolesi rivela tra l’altro che questi verbali erano disponibili, ancorché non utilizzati dai carabinieri e dai Procuratori Narducci e Beatrice. Narducci lo ha confermato, evitando di iscrivere tra gli indagati Moratti, Galliani, Meani e Collina al suo processo dopo le “rivelazioni”, o di riaprire l'istruttoria.

Pavolini, fascisti e comunisti

Ragionando di questa e altre riletture di storie familiari fasciste, Goffredo Fofi si dice sul “Sole 24 Ore” di Pasqua che “è questo, in definitiva, il labirinto in cui il paese si aggira, la sua non-chiarezza di oggi e di sempre sul proprio passato e sulle proprie colpe o vergogne”. Lorenzo Pavolini, mite funzionario editoriale e sceneggiatore, ritorna alla figura del nonno Alessandro, famigerata “ultima raffica” della repubblica di Salò, che sancì "la pietà l'è morta!". Non al personaggio, che fu peraltro, oltre che ragazzo e gerarca dal mitra facile, l’ultimo grande fiorentino: figlio del direttore del Vieusseux, al quale fu chiamato poi Montale, letterato di ottima sensibilità, autore di non brutti racconti, ripubblicati da Montanelli nel 1994, editore e direttore del “Bargello”, la rivista attorno alla quale riunì una buona metà della migliore letteratura del Novecento, promotore dei Littoriali della cultura, che fecero fiorire l’altra metà del Novecento, promotore del Maggio musicale, patrono di Nervi per il Comunale e di Michelucci per la Stazione. Lorenzo vuole rappresentare il disagio di convivere con tale personaggio, che quando fu fucilato e appeso nella civile Milano era più giovane dei suoi attuali quarantacinque anni. Il suo proprio padre, quando Alessandro fu giustiziato, aveva sette anni, e questo è tutto dire.
In casa non se ne parla. Lorenzo scopre tale nonno alle medie, a metà degli anni 1970, a trent’anni dalla sua fine. E da allora scopre anche i tormenti del padre. Ma, dice a “Repubblica-Firenze”, nel cupo sovietismo cioè dell’ex capitale del Rinascimento: “Per fortuna c’era già stato Luca Pavolini, nipote di Alessandro, direttore di «Rinascita»”. Cioè un’altra parte della famiglia in carriera col Pci. E questo finisce per essere il suo libro, per mettere in chiaro l’allusione di Fofi: una sorta di parte in causa, o testimonianza vivente delle “non-chiarezza”. Abbiamo i Pavolini, fiorentini, toscani, italiani, che sanno solo essere comunisti, dopo essere stati fascisti. O viceversa. Per cui abbiamo, in Italia, a vent’anni dalla caduta del comunismo, chi processa il fascismo che è morto da settant’anni, senza un cenno di autocritica e anzi con la solita buona-malafede ancora cominformista.
Le cose, volendolo, potrebbero essere chiare. Di Luca, prozio o biscugino di Lorenzo, altra persona peraltro mitissima, figlio del drammaturgo a suo tempo famoso Corrado, e di madre ebrea, che fu direttore de "L'Unità" dopo "Rinascita", il suo amico d'infanzia e compagno di scuola don Milani non aveva buona opinione. Perché "si era fatto" comunista. Quando Luca, vicedirettore di "Rinascita", sostenne nel 1965 il priore nell'insidioso procedimento penale sull'obiezione di coscienza, don Milani rifiutò di fare causa comune col settimanale del Pci e con il Pci. E ai suoi ex alunni all'estero lo spiegò in una lettera: "Vi accludo una copia di "Rinascita" con l'articolo di Luca Pavolini. Per me è molto esatto ed onesto. Non l'uomo naturalmente, ma l'articolo. Quando dice di pentirsi dell'indegno articolo che scrisse nel '58 e si rotola in terra per dirmi che io sì che ero un vero comunista lui invece un settario non so perché non fa punta commozione (come naturalmente fanno i pentiti). Il motivo è che sappiamo benissimo che nel '58 lui era perfettamente cosciente di stare ingannando i poveri lettori dell'Unità, sapeva benissimo che Saverio Tutino (amico di liceo di don Milani, ndr) aveva scritto un serio articolo sul mio libro in cui diceva che anche loro comunisti devono pentirsi delle case del Popolo prima di criticare i ricreatori parrocchiali. Sapeva benissimo che Togliatti aveva chiamato Saverio e gli aveva detto che l'interesse del partito era di non dire quella verità e aveva preferito lo sporco articolo di Luca. Il suo pentimento di oggi pare dunque non so perché un pentimento ordinato dal partito". Volendo, si capisce. Altrimenti è sempre il passato che non passa.
Lorenzo Pavolini, Accanto alla tigre, Fandango, pp.244, € 16,50

Le prugne e la bestia nel cuore

Incredibile racconto mortuario – nichilistico, si sarebbe detto al tempo di Dostoevskij. Tanto la morte vi è ubiqua, a ogni pagina, ogni riga, ogni parola, e turpe. A opera della scrittura femminile, si sarebbe detto al tempo delle sorelle Brontë. Sono morti anche i bambini, che mangiano le prugne verdi del titolo italiano, dal nocciolo ancora morbido. Il titolo originale, “Herztier”, è la bestia del cuore.
Storicizzato nella Romania di Ceauşescu al tempo dei visti, quindi nei tardi anni Settanta, ma non resistenziale. Per il razzismo: è il mondo tedesco del Banato, e ungherese, che guarda alla Germania, in una Romania rumena da brividi, sozza, famelica, bestiale. Di tedeschi rimpatriati delle SS, e pensionati della Repubblica federale tedesca. Anche i russi vi sono scimmieschi: golosi di orologi, ne rubano in quantità, se li mettono al braccio, uno sopra l’altro, anche dieci per ogni braccio, divertendosi ad ascoltarne il ticchettio, finché dura la carica, il soldato russo non sa leggere l’orologio e non sa che gli orologi si caricano. Né sono simpatici gli ebrei, vicini alla dittatura.
Una scrittura faticosa, paratattica e a specchio multiplo, ma avvincente. Per la ferocia dell’assunto. Seppure col limite politico. Pubblicato nel 1994, è stato tradotto nel 2008, quando la Romania rumena sembrò bestiale anche in Italia. A opera di un editore minimo di Rovereto, di nome Keller. Un limite che lo danneggia peraltro doppiamente: fino a ieri l’ultimo Nobel per la letteratura non ha potuto essere tradotto, non da editore primario, per l’anticomunismo, perché l’Italia è l’ultimo paese cominformista.
Herta Müller, Il paese delle prugne verdi, Keller, pp. 254, € 16

Il mondo com'è - 35

astolfo

Afghanistan - È la Bactriana, un posto dove tutti gli eserciti si sono perduti. Da qui la leggenda di Alessandro Magno, che ne sarebbe tornato pazzo.

Democrazia – Non si esaurisce nell’uguaglianza, non in quanto fenomeno politico – è il fondamento sbagliato del liberalismo (l’interesse di ognuno non è l’interesse di tutti) che il socialismo reciproca. È chiaro dalla storia, dai fatti, che l’interesse generale, cioè la legge, il codice morale, la tecnologia, il rapporto con altre società, richiede un disegno concettuale, un riesame di volta in volta e una proiezione, al di fuori dell’interesse e anche della portata dei singoli. Anche a immaginare una società di perfetti uguali, tutti ugualmente abili e tutti ugualmente ardimentosi, avvertiti del proprio interesse e dei propri mezzi e timorati di Dio, il bene comune, sia esso la difesa della vita e della libertà o l’adozione di una particolare tecnica infrastrutturale o sociale, richiede un di più: una capacità di comando, una congiunzione favorevole di condizioni, una meta, sia pure sotto la costrizione o l’emozione.
Ne è paradigma Amsterdam, nel decennio 1620-1630: mercanti avventurieri confluiscono non costretti nella compagnia delle Indie, in clima repubblicano, e si afferma la tolleranza confessionale e razziale.

Vuole un pedigree. L’esercizio della libertà, l’uso dei diritti, richiede lungo apprendistato.

Concettualmente è semplice: è la felicità di vivere insieme con gli altri.

Disperazione – È uno stato morboso, ed è stato evento negativo per la filosofia, Schopenhauer, Kierkegaard, Heidegger. Oggi è ricetta televisiva e alimenta gli ascolti. È un fatto di marketing: il villaggio globale prospera nella disperazione. Tutto è disgrazia, finta e poi vera. Anche lo sport, anche la moda e lo show business. Con la partecipazione attiva dei maggiori soggetti sociali, medici, magistrati, poliziotti.
Ognuna di queste categorie ha come deontologia il contrario, la difesa della salute. Ma prosperano di più con la disperazione, diventano autorità morali e sacerdotali.
È un business da paesi ricchi: gli altri non hanno tv – ne hanno senza programmi, che non incidono nella comunicazione globale, non incidono. È una forma di controllo? È possibile: la disperazione non libera.

Giustizia – In Italia funziona così: c’è il colpevole, bisogna trovare il reato.

Guerra – Quella aerea è per procura. Contro la Serbia, per esempio. Per chi colpisce e per chi è colpito.
Ma, poi, sono secoli che non si vede il nemico: prima che con i missili si è ucciso a caso con i gas, le mine, i cannoni. Si fanno i film con i macelli e le mascelle, di cacciatori, piloti in duello, carristi, marines col coltello tra i denti, ma questi vengono dopo, fanno il lavoro degli avvoltoi.

Imperialismo – Quello contemporaneo è commerciale. Non più scomposto e insensato, come quando era un progetto politico.
È un progetto politico. Non è l’invincibilità militare, e nemmeno la superiorità: i romani e l’America hanno perduto delle guerre, ma hanno, hanno avuto, la supremazia o intelligenza politica. Con un deterrente militare, certo.

La pax americana è un imperialismo bizzarro, da cow-boy. Dalla Corea in poi, quando gli americani hanno cominciato a vagare per il mondo – prima era diverso: vennero in Europa come europei, mentre i Caraibi e il Sud America consideravano il cortile di casa. Il blocco di Berlino ne aveva fatto i tutori dell’Europa. Con Suez subentrarono all’Europa in tutto il Terzo mondo. Ma qui con semplice acume diplomatico.
Di Suez la storia è semplice. Nasser voleva la Grande Diga di Assuan. La Banca Mondiale, cioè l’America, si proponeva di finanziarla. Poi si ritirò dal progetto. Nasser allora nazionalizzò il Canale per reperire i fondi della diga. Francia e Gran Bretagna occuparono il Canale, con l’aiuto interessato di Israele, per difendere la Società nazionalizzata. L’Urss si schierò con Nasser, e una risoluzione dell’Onu costrinse Francia e Gran Bretagna al ritiro. La Grande Diga fu poi realizzata dai russi, e l’Egitto costretto a quasi trent’anni d’infeudamento a Mosca. Ma gli usa avevano soppiantato l’Europa nel suo ultimo feudo.

Novecento – È il secolo delle peggiori nefandezze della storia, della bomba nucleare e dei totalitarismi, bolscevico, fascista, nazista, dell’odio di massa, degli ebrei, armeni, palestinesi, dello spreco o annientamento di sé, nei consumi, il sesso, l’analisi. Delle tre incredibili guerre totali, Vietnam compreso. Però, chi è nato dopo il 1940 avrà vissuto l’intera sua vita in pace, per la prima volta nella storia. Questo deve avere un senso.

Occidente - È l’Euro-America, con l’Europa al traino degli Usa, ricca e lamentosa. Un modello pubblicitario più che una dottrina della libertà. All’esterno e all’interno: è il modello dei consumi. Del benessere attraverso i consumi. Che inducono una soddisfazione sempre più ridotta: da qui la “crisi”. E attraverso l’insoddisfazione la ricerca sempre più affannosa della crescita, del di più.

Perdono – Si pretende ora anche per colpe non commesse, tanto smodato ne fu l’uso da parte del papa Giovanni Paolo II. Chiese perdono anche ad Ali Agca, per due volte. Non il perdono per Agca, ma di Agca. Di un uomo freddo (è stato detenuto modello per avere ridotta la pena), che ha ucciso e voleva ancora uccidere non per passione ma per calcolo, e mai ha voluto dire la verità. Il Vangelo non si può leggere a questo modo, non nel senso della colpa. Non tra religioni (culture) differenti. La Turchia non ha portato e non porta per questo più rispetto al papa, lo ritiene anzi un debole e lo irride, o l’Iran.

Sinistra – Se c’è per assicurare l’uguaglianza, si deve misurare con: giustizia, scuola, sanità, trasporti e comunicazioni. La sinistra italiana quindi non è tale, poiché è incapace di assicurare l’uguaglianza. Anzi è doppiamente incapace: essendo questi settori a gestione prevalentemente pubblica, di sindacati e enti territoriali, essa è creatrice di disuguaglianza. Ne è esempio la difesa dei privilegi della magistratura, o degli ospedalieri. Chi ha naturalmente ha buoni avvocati, medici, assicurazioni, master, due o tre Mercedes con autista, le poste svizzere, o olandesi, e anche i guardaspalle privati. Chi non ha paga il mantenimento dei privilegi dei magistrati, delle forze dell’ordine, degli in segnanti, dei portantini, degli impiegati delle Poste.

astolfo@antiit.eu

Letture - 29

letterautore

Critica – Ha minato la poesia, come la filosofia, ma con effetti solo deleteri – la filosofia è comunque attività percettiva. Ora i poeti scrivono per i critici, paralizzati: scrivono al secondo grado, tra smontaggi, muretti, difese, e la follia della ritenzione.

Don Giovanni – È quello che non ama, se non se stesso, e per questo insaziato. È il Narciso dell’epoca dell’erotismo, che si specchia nelle donne.
È Narciso anche femminile, nell’epoca del femminismo. Unicamente pieno di sé – esigente e scontento. Ma moltiplica i contatti: non per condividere, per moltiplicare gli omaggi al suo sé.

Umberto Eco – È l’Occidente salvato dai filosofi. Si è scelto il ruolo di Candido, con lo spessore filosofico, dietro “questo è il migliore dei mondi possibili”, di Leibniz. Un Candido molto filosofico.

Fantasmi – Sono una maledizione. Il racconto gotico narra l’insurrezione dei corpi, non la loro resurrezione, storie di vendetta.
Sono dei paesi (culture) in cui l’anima è separata dal corpo.

Manzoni – “Stranezza del sangue spagnolo in alcuni grandi artisti europei”, nota Curzio Malaparte in uno dei suoi primi “Battibecchi”. E continua perfido: “Ad esempio (per parte di madre) in Alessandro Manzoni. Le pagine della Monaca di Monza, quelle della peste, rivelano il sangue spagnolo; a tacere di alcuni tra i più singolari personaggi manzoniani”.

Mozart – Il suo mistero è quello della storia a posteriori. La storia a posteriori di Vienna e dell’Austria Felix, piena di musicofili e mecenati. Che invece all’epoca di Mozart lo lasciarono alla porta e all’indigenza. Anche Parigi lo tenne, con durezza, alla porta. Nelle città musicali d’Italia invece, benché giovanissimo, Mozart fu apprezzato e pagato: Roma, Bologna, Milano. Ma questo non fa storia perché l’Italia non fa più storia.

Narrazione – Si appartiene. In corrispondenza biunivoca con la lettura, ma non con l’autore – meno con l’autore.
Vedi i punti di vista, innecessari e inesistenti in Omero, nel “Decameron”, nelle “Mille e una notte”. Vengono successivamente introdotti come elementi (variazioni) della narrazione.

Proust – L’omosessualità vi è sterile anche nella sua grande letteratura. Gestualità, ripetitiva, cifrata, meglio se eccessiva – una sorta di wrestling.

“Grandezza di Proust”, dice Barthes nel “Piacere del testo”: “da una lettura all’altra, non si saltano mai gli stessi passaggi”.

È l’epitome del genere urbano-borghese, il suo trionfo: la narrazione senza tempo, in realtà, e senza spazio, se non metafisici. Scandita, chiusa, artificiosa. Senza sentimenti. L’idealizzazione (metafisicizzazione) del vivere urbano-borghese.

Reality - È il genere più amato, universalmente, “Grande fratello”, “Isola dei famosi” eccetera. Sostituisce nel gusto popolare il romanzo d’appendice e il fumetto (“Grand Hotel” etc.). Ma ripetendo, sotto l’apparente improvvisazione (la diretta ch’è sempre editata, la candid camera ch’è sempre sceneggiata, eccetera), il modello seriale. Solo alleviandone la ripetitività. Che a sua volta è ricalcato pari pari, nei tópoi e soprattutto nei mitologemi (pauperismi, buonismi, sacrificialità), dal romanzo d’appendice o feuilleton, “I misteri di Parigi”, Dumas, “I beati Paoli”, etc.
A una fantasia eroica e sentimentale, “democratica” direbbero Gramsci e Umberto Eco, subentra una realtà non affascinante e anzi squallida, di turpiloquio, aggressività, vittimismo, invidie, furberie. Come se il pubblico fosse ora soddisfatto di sé, se si misura con “il meglio del peggio” (il peggio, tutto ciò di cui si può dire male, ma portato in tv, il nuovo dispensatore di grazie e titoli di nobiltà), e se ne fa giudice col telecomando e il televoto, non più cercando sogni o illusioni.

Sade – Anticipa la sessualità omosessuale, della letteratura omosessuale (Proust, White, Vidal, Eeckhoud, Gide..)? O la letteratura omosessuale vi conforma la sua sessualità, quantitativa, ripetitiva, senza volto.

Sciascia – È una favola che sia illuminista. E' invece un uomo e uno scrittore che vive l’altra faccia della realtà, piena di limo e di pulsioni inconfessabili, che non l’astratta verità o il cammino reale del bene.
Molto siciliana, la favola di Sciascia illuminista. Della Sicilia che è, nella storia e nel suo voler essere, l’antitesi dell’illuminismo.

Scrivere – È l’antidoto più economico alla noia. L’assicurazione gratuita contro l’inutilità della vita. È un regalo.

letterautore@antiit.eu

giovedì 8 aprile 2010

Ombre - 46

Celebra “Repubblica” su molte pagine il ritorno di Eton e dell’establishment in Gran Bretagna. Che non ritornano. Ma che ci sarebbe da celebrare?

Berlusconi, invitato da Gheddafi al vertice della Lega Araba, si è prodotti in un "baciamo le mani" al leader libico, come a un padrino. Gheddafi ha capito lo scherso. Sergio Romano e il "Corriere della sera" no.

“Repubblica” dà grande spazio a Tito Boeri, che, da economista, denuncia una “ideologia” comune, o patto elettorale, tra le banche e la Lega. Bene, uno si dice, un po’ di anticonformismo – il fronte bancario era troppo compatto, tutto confessionale, se non più democristiano. Ma l’articolessa si fa forte di queste amenità: “È un intreccio talmente complesso che è difficile decifrarlo. Anche dagli addetti ai lavori”.
La mezza pagina è, a leggerla, uno sfogo contro Geronzi, che da Mediobanca passa alle Generali. Poi dice che “Repubblica” perde lettori. Boeri non sapeva che Mediobanca è controllata da Generali? I vecchietti alla presidenza di Generali, è su questo che il giornale vigila?

Sir Alex Ferguson fa pretattica. Dice Rooney invalido per un mese e poi lo manda in campo contro il Bayern. “Repubblica” e il “Corriere della sera” dicono eccezionale Rooney e sfortunato il baronetto, che ha vinto la partita ma ha perso la qualificazione. L’avesse fatto la Juventus o il Milan, il “Times” avrebbe scritto della solita Italia, furba e maldestra. E “Repubblica” e il “Corriere” avrebbero riprodotto il “Times”, con una buona fotografia e un grosso didascalione.

Il supplemento illustrato del “Corriere della sera” scopre infine che a Milano c’è un uso smodato di cocaina. Dopo qualche anno che il fatto è statistico negli annali internazionali.
Ne parla senza scandalo, quasi fosse un altro primato morale di Milano.Va a Milano metà della droga (cocaina, hashish, eroina) smerciata in Italia.

Su “Repubblica” scrive un economista furibondo contro Berlusconi perché ha vinto le elezioni, e contro coloro che lo hanno votato. In particolare contro i “piccoli”, gli artigiani e i piccoli imprenditori. L'economista è Boeri, sempre lui: a Berlusconi e ai suoi elettori imputa “trasferimenti occulti di cui non si ha traccia”. E non è un errore di stampa. Poi dice che Berlusconi vince le elezioni.

Il “Corriere della sera” si occupa dell’autostrada Livorno-Civitavecchia per lamentare la "Maremma violata", la fine delle “nuove strade del vino, i siti archeologici etruschi, le mete delle vacanze esclusive”, e di Dante e Carducci.
Ma i due poeti, ammesso che Carducci lo sia, non sarebbero andati volentieri in autostrada? Sì.

L’Italia tiene banco nei giornali internazionali per la vicenda Pasolini. La cui morte, come quella di Wilma Montesi, di Mattei, di Moro, delle venti vittime del mostro di Firenze, della Cesaroni , della contessa Filo della Torre, ogni cinque anni ritorna. Il ritorno di Pasolini è questa volta orchestrato da un politico disoccupato, e da un senatore spregiudicato.A maggior gloria di Pasolini?

Non fanno in tempo la Rai e i giornaloni a magnificare la Lega e il suo senso del governo, se non dello Stato, che i due presidenti di Regione pretesi da Bossi sbarellano sulla pillola abortiva. Ma per loro nessuna censura: per quan to dobbiamo restare ancora a bocca aperta?

Sul “Messaggero” Walter Pedullà scopre che il critico letterario non trova più un libro che abbia voglia di leggere. Che non può essere vero. Sarà vero che il romanzo o il poema che il critico vorrebbe leggere non gli arriva, o gli arriva con difficoltà. Ma questo perché la figura del critico si è dissolta (l’autorevolezza, l’insight, il coraggio) e il giornale non gli dà più spazio.

Lidia Ravera, candidata non eletta a Roma in sostegno di Emma Bonino, invita i lettori dell'“Unità”, i belli-e-buoni naturalmente di questa sventurata Italia, a limitare la politica “alla tristezza condivisa di tante cene intelligenti”. Poi dice che Berlusconi vince.
Ma sono i lettori dell'“Unità” sciocchi?

Su “Repubblica” Guido Crainz teorizza invece che l’Italia è ormai “incivile” e non ha più futuro, perché vota Berlusconi. Crainz, a differenza di Ravera, è uno storico. E dunque, sarebbe l’Italia incivile quella di sinistra. Perché Berlusconi vince perdendo voti. Vince perché la sinistra gli lascia il campo libero.

Al “Cesare Alfieri” di Firenze è invitato come maestro di pensiero Gustavo Zagrebelsky. Il “Cesare Alfieri” è stato la prima facoltà di Scienze politiche italiana, e un tentativo di Grande Scuola italiana, per la formazione del ceto amministrativo e politico, capace negli anni bui della cultura impegnata di tenere in vita il liberalsocialismo, un progetto poi abbandonato e derelitto come tutto nella Firenze degli affari degli ultimi quarant’anni, gestiti dal Pci e dai suoi eredi. Al venerando istituto fiorentino il giurista novello filosofo propone il partito degli onesti, formato da giudici e giornalisti: il partito degli impuniti. Non così diretto, tuttavia, come lo erano Giuseppe Maranini o Giovanni Sartori in quell’ateneo, e perfino Spadolini, no, il professore emerito essendo filosofo propone “la sovranità della legge e la libertà dell’opinione, le magistrature e l’informazione”. Con grande rispetto plurale, come si vede.

Secondi pensieri - (41)

zeulig

Bisogno – Va dimostrato. La presunzione di bisogno è disonestà intellettuale. Mettere metà Italia nell’area del bisogno, o anche solo un terzo o un quarto dell’Italia, è assurdo più che furbo.
La disonestà è doppia, in quanto è artificio politico, inteso al voto di scambio. La presunzione di bisogno è l’ostacolo più insidioso alla libertà e alla democrazia. Lo strumento più subdolo e resistente di controllo e asservimento.
In molte aree italiane la disonestà è tripla: la presunzione di bisogno (non pagare le tasse, non pagare i ticket, non pagare l’affitto, pretendere una pensione, o anche solo i regali per le feste) copre regolarmente la corruzione e la concussione in affari pubblici. Il pregiudizio e i sussidi funzionano da emolliente.

Elite – Si forma per esclusione, anche quando non opera la cooptazione, non per conquista. Per riduzione: è un movimento implosivo. Da qui la sua povertà, la povertà del ceto dirigente.

Erotismo – Fine a se stesso è una dforma di masturbazione. È autocompiacimento. Per questo è anche insoddisfacente.

Fede – È il desiderio di Dio.

Francescanesimo - È l’orgoglio rovesciato, l’esibizione dell’umiltà: il poverello d’Assisi, l’acqua, la nudità.

Libertà – Dio non ce l’ha, e dunque non esiste.
È materia teologica.

Sì, ma da dove a dove? Dalle costrizioni certo, dalle catene. Ma dall’amore di coppia, dall’amore filiale o parentela, insomma dalla famiglia, dalla funzione pedagogica, dagli usi, dal controllo sociale?
La libertà non è inoffensiva, deve pur distruggere. Ma la liberazione è azione teleologica e didattica, è funzione sociale e risponde a una leadership, sia essa dichiarata e riconosciuta oppure no.

Tra il forte e il debole è la legge che libera e la libertà che opprime. L’ultraliberalismo non ha molti punti di contatto con l’ideologia libertaria.
La volontà è sempre libera. Ma, ha ragione sant’Agostino contro i Pelagiani, ne beneficia solo chi ha la grazia. Solo alcuni lo sanno, quelli che ce l’hanno.
Una società è più o meno libera in quanto è illuminata. È per questo che è difficile costruire una democrazia, costruirla legiferando. Deve prima essere penetrata nel Dna, anche se è struttura semplice.

Luce - È il linguaggio di Dio. Il suo alfabeto Morse, che si realizza nelle gradazioni, nelle ombre.

Lutero – Il servo arbitrio è abominevole.
Può soddisfare l’istinto beghino (pietista), sacrificale. Ma come può fondare il capitalismo, se esso si vuole libertà e democrazia?

Mercato – È il luogo delle idee. Tutti gli ingredienti del mercato fin ora accertati – mano invisibile, trasparenza, equalizzazione – puntano a una sua dimensione razionale (filosofica), al di là deel volgare equilibrio commerciale domanda-offerta.
Le stesse curve della domanda e dell’offerta non sono quantitative ma qualitative. Nell’andamento e anche – qui necessariamente – nelle intersezioni, che sono giudici e non fatti. Non eventi cioè, né dati, ma “occasioni provocate”, tra infinite possibilità.
È il modo di essere della natura: esistono le cose che ci sono, non quelle che vorremmo o come le vorremmo. Lo schema di Darwin, ovviamente. Il quale però era un osservatore, uno che modificava gli eventi: i suoi fatti naturali sono molto umani, soggetto di analisi, critiche e interventi. Come modello di razionalità è semplice: è il segmento più basso della filosofia.
Ma è regolato dalla pubblicità, o comunicazione. In realtà il mercato è delle parole.
La pubblicità applicandosi alle merci, o cose, nella forma più radicale di cancellazione della religiosità – lo spostamento della mentalità e della religiosità -, il mercato è allora la negazione di Dio?
L’uso del denaro presso i revivalisti religiosi – ebraismo, sette cristiane, islamismo – non incide: denaro e mercato sono due domini separati. Il denaro è congruo con la religiosità (Max Weber, Sombart, etc.)

Memoria – È ciò che fa l’uomo (il giudizio). Senza, Robinson avrebbe semplicemente fatto la scimmia, un quadrupede con le braccia alzate. La progettazione invece non è che la sopravvivenza, un fatto istintuale.

Mito – Si fabbrica al cinema in quantità. Dove si cambiano i nomi. Si prendono maschere (l’immagine). Anche all’opposto della persona: l’ubriacona d’ingenua (Marylin), la vergine di oscena (Pampanini), il farfallone di amoroso (Bogart). Si fingono vite intense: flirt, matrimoni, separazioni, e perfino maternità, tutto posticcio, per il ruolo - l’immagine (Rocky Martin. Robert Mitchum, gay incontrollato, che si doveva far vedere attorniato da belle donne, in entrata o in uscita in albergo, a Londra, a Parigi, è ancora da vomito). E le verità sono ultime. Anche contro l’evidenza: la guerra è la pace, l’amore la guerra…
La forza del mito, la sua razionalità, è nella creazione? Tanto più convincente quanto più radicale (eccessiva, irreale, non veritiera).
Era palesemente la chiave per scompaginare, e non costruire, la grecità come classicità – proporzione, equilibrio, razionalità, decoro. Proprio come l’aveva ricostruito e tramandato un sicuro greco, Omero, dei dementi e sciocchi, avidi e cattivi, pavidi e piagnoni, e Orfeo.
È semplificatore. Santi e divinità si applicano ripetitivamente e con continuità a una sola azione. È apocrifo, perché l’azione o passione dominante è posteriore e posticcia: si costruisce insieme con la santità (il processo di beatificazione).
Non apre la fantasia, la circoscrive.

Suicidio – Ma c’è proprio da rispondere alla vita, sfidarla? La vita non pone domande, e non chiede retribuzioni. Sì, chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, ma queste sono nevrosi, uno stimolo fiacco a passare il tempo in assenza di piacere.

zeulig@antiit.eu

mercoledì 7 aprile 2010

Il principe stupido

In questo principe all’istante delle classifiche Camilleri si diverte. Ma ha una chiusa imbarazzante: ho voluto rappresentare, dice, un “clima di autentica stupidità generale”. Molto stupidamente.
Fascistizza pure Salvatore Silvano Nigro che lo presenta. Che prosa!
Andrea Camilleri, Il nipote del Negus, Sellerio, pp. 273, €13

Gli Elkann non sono gli Agnelli

Mario Sconcerti, che sa bene chi comanda nel calcio, conoscendo Roma e Firenze, non si esime dal rilevare le bruttissime novità dello scandalo, con i processi farsa del 2006. Scrivendo sul “Corriere della sera”, non può parlare male di Milano. Fa però un’altra cosa strabiliante: parla male della Juventus e degli Elkann, di come la nuova proprietà Fiat è stata “parte attiva” nella demolizione della Juventus.
Mario non dice tutta la verità. Che i fratelli Elkann volevano liberarsi di Giraudo e Moggi, perché questi erano uomini dello zio Umberto e dei suoi figli Giovanni e Andrea, e perché erano gelosi dei successi della Juventus. Non è il solo guaio che i due fratelli hanno combinato. Che non hanno nulla in comune con l’Avvocato e suo fratello. Le disavventure della Juventus dopo lo scandalo ne dimostrano ampiamente la pochezza: acquisti a caso, ingaggi a caso, a Cannavaro, che s'è fatto due anni da re al Real Madrid quanto a Buffon e Del Piero, che si sono fati la serie B, allenatori a tempo, sudditanza a Milano. Allenatori a tempo in un mercato di calciatori ipercompetitivo, con sponsor, procuratori, diritti d’immagine... "Vogliamo fare della Juventus una squadra simpatica", dicevano, e pensavano: una squadra che perde sempre? Né si scusano di aver triturato un mito juventino e un gentiluomo come Ferrara. Con l’infinita serie di infortuni in allenamento, di che citare la società per danni. O una società quotata che non apre nemmeno la posta…
C’entra anche Torino, nel declino della Juventus: il ruolo ormai provinciale di Torino, come una Genova o una Palermo, città di media grandezza, che non sa farsi valere. Che ha perso il primato industriale che aveva con la Fiat. E con i telefoni e l'informatica ha perso anche il costante primato tecnologico durato oltre un secolo in Italia. A vantaggio di Milano ha perso anche la finanza, la sua banca, la più grande d'Italia, lasciando incorporare da una più piccola milanese. E ha poca passione per il calcio della città, non abbastanza per due squadre. Ma i fratelli Elkann hanno superato con la Juventus ogni ipotesi di ridimensionamento, per questo sbeffeggiati anche in città, per la Juventus più che per il disimpegno della Fiat. Servono da sofà alle varie carriere, politica, ferroviaria, ferraristica, di Montezemolo, l'uomo che non ha mai lavorato, e nulla più.
Le vergognose campagne contro Ranieri sono il segno della pochezza degli Elkann. Ridicola poi la sudditanza a Milano, che John Elkann chiama “le istituzioni”. A Mario Sconcerti, infatti, l’Erede ha voluto scrivere per negare di avere sabotato la Juventus: lui è, dice, per “l’osservanza delle regole e il rispetto delle istituzioni sportive”. Essendo impossibile che non sappia o non capisca cosa è successo, è evidente che ancora non ha completato la sua opera di distruzione.

Benemeriti, di chi?

Non finisce si stupire, i pochi che pensano che il calcio sia divertente, il processo napoletano a Moggi e alla Juventus. In cui non si sa se i carabinieri sono corrotti, o i giudici, e i giudici sportivi. Che si sono dimenticati tre quarti delle registrazioni che loro stessi avevano effettuato. O se non sia corrotta Napoli, poiché napoletano è l’investigatore, il colonnello Auricchio, napoletani i giudici ordinari, napoletani i giudici sportivi, i terribili Palazzi e Borrelli – anche se, certo, la gestione dell’affaire è stata ed è milanese. Non si finisce di stupirsi che possano agire in piena impunità avendo commesso una serie di reato molto gravi. Rispetto ai quali, per intendersi, quelli ci Moggi sono minori. L’abuso delle intercettazioni, non legate a nessuna ipotesi delittuosa se non quella di incastrare la Juventus. L’uso selettivo delle intercettazioni stesse. L’uso strumentale delle intercettazioni e delle ipotesi di reato, fuori dal processo. L’occultamento di prove di reato: dalle intercettazioni residuate si evince un contesto di relazioni continuative e consuete tra Facchetti, Moratti, Galliani, Collina, Bergamo, che invece non è agli atti. L’interrogatorio è per più aspetti reticente del colon nello Auricchio, l’investigatore del caso e informatore dell’Espresso.
Non sarebbe la prima volta che i carabinieri tradiscono. Il libro-memoria affidato da Edgardo Sogno a Aldo Cazzullo fa stato, incontestato, di una mezza dozzina di generali di carabinieri golpisti con lui negli anni 1970. Il Comando generale dell’arma organizzava nell’estate del 2006 lussuose presentazioni degli atti dell’inchiesta addomesticata, nella sede di rappresentanza a via in Selci a Roma, sotto il Mosè di Michelangelo. Il colonnello Auricchio magari è una perla d’uomo e lo dimostrerà nel processo. Ma nessuno gli chiede di dimostrarlo, a fronte delle gravi ipotesi di reato emerse.

Sudditanza a Milano, con gastrite

C’è un destra-sinistra anche sul calcio, sullo scandalo del calcio. Milano minimizza (“Corriere della sera”, “Gazzetta dello Sport”), dopo avere acceso gli animi di sano moralismo nel 2006. Con essa è “Repubblica”, che pure avrebbe ogni interesse a denunciare l’inchiesta napoletano-milanese che la spiazzò nel 2006. La stampa di destra invece attacca l’inchiesta monca.
Nel destra-sinistra calcistico c’è però un’asimmetria. La stampa di destra attacca la giustizia napoletano-milanese senza riguardo per il Milan e Galliani, e quindi per Berlusconi, e per Collina, l’uomo del Milan. Mentre gli altri si occupano di difendere Moratti e l’Inter, con Guido Rossi e Borrelli. C’è più libertà tra i berlusconiani?
Questo non si può dire. E allora la divisione è forse tra Milano e gli altri: non potendo attaccare Milano sulla questione morale, Roma, Firenze e Torino si ribellano sul calcio. Ma anche qui c’è poco da illudersi, più che altro fanno ammuìna. Perché nessuno osa dire di Milano quello che Milano è?
Forse la divisione è solo il mal di pancia dei giornalisti, se non è gastrite. Che non possono ribellarsi a Milano, dove si fanno l’opinione pubblica e le carriere, ma ogni tanto devono illudersi di farlo.

Problemi di base - 26

spock

Chi si vende i cd delle intercettazioni del calcio? Si vendono a 500 euro l’uno, pur essendo in copia: pagano l'Iva, pagano l'Irpef, la Guardia di finanza vigila? Il colonnello Auricchio sta inseguendo chi glieli ha rubati?

Collina non era pensionato della Opel? Quando la Opel era sponsor del Milan.

Perché Collina aveva come “capo” Galliani?

Perché la pedofilia tra i cattolici disturba così tanto i protestanti, e quella tra i protestanti non disturba i cattolici?

Perché non c’è un Kulturkampf cattolico, ormai da tre secoli?

Perché i meridionali cattolici bruni non disprezzano i protestanti settentrionali biondi?

Che fine ha fatto Lutero quando è andato a incontrare Dio? E Calvino?

Perché, se la crisi indebolisce i governi, in Italia lo rafforza?

Perché allo sfottente Berlusconi-cum-Bossi i democratici italiani oppongono facce giallastre di compromesso?

Perché in Italia c’è sempre un colpevole e bisogna trovargli un reato?

Perché si chiama globalizzazione se è la politica estera americana?

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