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sabato 8 gennaio 2022

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (479)

Giuseppe Leuzzi

Una legge due anni fa introduceva un forfait Irpef molto basso, il 7 per cento del reddito, comprensivo delle addizionali regionali e comunali, per i titolari di pensione estera che trasferivano la residenza fiscale al Sud, in paesi di non più di 20 mila abitanti. Con l’intento di ridurne in qualche modo lo spopolamento, gli abbandoni. La raccolta fiscale è stata di soli 150 mila euro, 75 mila l’anno. Il Sud non attrae nemmeno regalato.  
 
Romanzi padani
“Ammiro Umberto Bossi, il Davide padano. Un politico vero: geniale, folle, imprevedibile. Di lui non condivido le finalità e non apprezzo né linguaggio né stile, ma è un dono per chi fa lo scrittore. Negli ultimi cinquant’anni nessuno lo eguaglia. Neppure Tolstoj o Dostoevskij avrebbero saputo riscattare dalla (letteraria) mediocrità Togliatti, Fanfani o Andreotti. La battaglia contro Golia-Berlusconi è stata un capolavoro. Ora minaccia di dividere lo Stato. Ci riuscirà? Difficile, è un protagonista senza comprimari e un difetto lo ha: il magnetismo non irresistibile”. Ci è riuscito, a fare il Tolstoj, Vassalli con Bossi, a riscattarlo dalla (letteraria) mediocrità?
“7”, il settimanale del “Corriere della sera” evoca, per la serie “Le firme storiche”, questo articolo di Sebastiano Vassalli, pubblicato venticinque anni fa, il 13 agosto 1996. Vassalli, genovese di nascita, è scrittore piemontese e padano, avendo vissuto tra Novara e Casale Monferrato. Innamorato di Novara e del Piemonte, ma anche di Dino Campana a Marradi, uno scrittore che si radica nel territorio. Può per questo avere sentito il fascino perfino di Bossi. Nell’articolo non è così perentorio come nel sommario (come nel sommario, però, dimentica Moro tra i grandi mediocri prima di Bossi – sia lo scrittore che il quotidiano l’hanno trascurato). Ma l’inventore della Lega – che vivacchiò da outsider poco considerato, se non fuori di testa, per un quindicennio, va ricordato – tiene in grandissimo conto. Come “uno dei pochissimi uomini politici che abbiano movimentato la storia dell’Italia unita”, l’unico che regga il confronto nella storia repubblicana con Garibaldi, Crispi e Mussolini. L’intento agiografico è palese. Del perdurante disdegno lombardo in cui Bossi visse a lungo nota soltanto che Bossi lo apprezzava – un topos delle vite dei santi, che crescono incompresi ma tengono duro: “Soltanto un commentatore politico non digiuno di lettere, Giorgio Bocca, intravvide già allora la grandezza del personaggio”. Che lui personalmente dice “l’uomo politico più nuovo e geniale apparso sulla scena italiana nell’ultimo mezzo secolo”, cioè dalla fine della guerra. E a riprova porta il tradimento di Bossi contro Berlusconi nel 1995, in obbedienza alle trame di Scalfaro: “La battaglia del Davide padano Bossi contro Golia-Berlusconi è stata un capolavoro di politica di movimento” – “e la notte in villa ad Arcore, con il cuoco svegliato alle tre del mattino e la passeggiata in canottiera nel parco, è letteratura allo stato puro. Di più: è epos”. E non è finita: “Umberto Bossi giganteggia”.
Un caso di vanità letteraria, anche se Vassalli se ne professava – e sembrava lo fosse – immune. Come se Berlusconi non fosse più padano di Bossi. E tacendo – non sapendolo? – che Bossi quattro mesi prima senza Berlusconi aveva fatto vincere le elezioni al suo nemico Prodi (alle elezioni successive, 2001, arriverà al 4 per cento, la rappresentanza minima che la legge Mattarella imponeva per l’accesso al Parlamento, con i pochi voti deviati da Berlusconi).
Ma, a proposito, è più romanzesco Bossi oppure Berlusconi?
Romanzi padani, sempre, per l’Italia.
 
Si volge lo sguardo in basso
Ognuno agisce liberamente nel campo che si trova libero dinnanzi. Che è stato, in parte, predisposto, dal caso o con applicazione, sacrificio, intelligenza, furfanteria, o fortuna. Ma c’è un Nord che si fa aria respingendo il Sud. Inspiegabilmente, senza titoli. S’immagina Mr. Livingstone, e l’Henry Morton Stanley nobilitato, o Richard Francis Burton, che fu ottimo scrittore d’altri, in figura di un Alessandro Magno delle terre incognite. Invece è normalmente un magrolino di cui la barba non protegge il pallore, corroso dal sole della savana, dall’umido della foresta, dall’ulcera e dall’inutilità, in lite con la moglie a casa e coi portatori in viaggio, normalmente dispeptico, giornalista disadattato o missionario di poche risorse, di dignità non eccelsa rispetto agli indigeni che svilisce. Ma l’atto del gettare va dall’alto in basso, da Amburgo alla Baviera, da Calais a Marsiglia, e non si può il contrario: che a Reggio Calabria, dove per secoli hanno pagato la magra economia dello stocco norvegese, si dica la Norvegia impresentabile, o alla corte del Negus si rida dell’ultimo mercante di fucili ad avancarica, sia pure Rimbaud. Il regno meridionale è Misspellheim nella mitologia nordica, il luogo del mispelling, la cattiva compitazione. Un refuso.
L’etnologo che giudica Gengis Khan o il prete Gianni, o Egill il valoroso vichingo, più spesso senz’altra conoscenza diretta che un vecchio libro a sua volta inventato, è un frate, un mercante, una spia o un maestrino ardente, in cerca della particolare gloria che consiste nel poterla raccontare agli amici, ogni volta daccapo con più particolari. Gente di poco conto e poco credito fa la storia. A un certo punto si trova un giovane Coleridge, che sfrutta la fama del padre Samuel, e lancia il genere della Biographia Borealis, o Vite di Settentrionali Distinti. La storia è un racconto, e chi trova ascolto la fa: basta un pubblico a creare un eroe, o il cattivo, e la sua fama.
 
Ridere sotto il vulcano
Fiorettando su Massimino, il padrone ignorante del Catania calcio in serie A, Francesco Merlo, catanese, evoca casualmente, fra i tanti lampi con cui anima  la rubrica della posta di “Repubblica”,  una città siciliana col gusto della comicità verbale. Angelo Musco e Turi Ferro, che Merlo cita, e Martoglio, e Brancati naturalmente. Ma i grandi “veristi” Capuana e Verga non si sottraevano, nelle corrispondenze, nell’aneddotica, anche nella narrativa, e De Roberto. Per non dire di Domenico Tempio, “lu munnu va n’arreri”, una grandezza dimenticata forse perché è del Settecento.
Curioso, ci sono geni culturali locali – nel senso biologico, genetico. Attorno ad Agrigento, per restare in Sicilia, l’iperintelligenza del caso, da Empedocle a Pirandello e Sciascia (anche se Camilleri ha messo molta sabbia nell’ingranaggio). Attorno a Palermo, città di corte, storie e versi di corti e cortili – poche, a corte non si legge: Tomasi, Consolo (Sant’Agata di Militello è a metà strada tra Messina e Palermo), Agnello Hornby, Piazzese.
Catania, sotto il vulcano, ride e fa ridere.

leuzzi@antiit.eu

L’Europa si fa verde con la Russia

Ci sarà il nucleare nella nuova strategia verde europea? E il gas naturale? Il dibattito in Italia è pleonastico - serve a coprire il vuoto di offerta politica (l’Italia non ha e non avrà centrali nucleari). In Europa invece il dibattito ha un senso.
Il nuovo governo tedesco, color semaforo, rosso-verde-giallo, di socialdemocratici, verdi, e liberali, rimette all’orizzonte Ue il gas, e ne scaccia il nucleare. Effetto dell’entrata dei Verdi al governo, si supporrebbe, da sempre contrari al nucleare. Ma i verdi sono - erano - contrarissimi anche al gas.
La verità, semplice anche se volgare, è che col no al nucleare si colpisce la Francia, che fa il 70 per cento dell’elettricità con le centrali atomiche, mentre col gas la Germania fa business, ricco, con la Russia. Con la nuova gigantesca condotta Nord Stream 2, al largo dall’Ucraina, e anche dai Baltici, non si sa mai, dai possibili mestatori – inaffidabili sono Ucraina e Baltici, non la Russia.
In linea con Berlino la galassia germanica. Il Belgio, che produce il 50 per cento dell’elettricità con sette reattori nucleari, ne ha predisposto la chiusura per il 2025. Ma per passare al gas. La Svizzera pure, che produce un terzo dell’elettricità con le centrali nucleari: a fine ciclo le sostituirà con il gas. In controtendenza, nel Centro-Europa, l’Olanda: ha prosperato sulle riserve nazionali di gas, che ora si sono assottigliate, e punta a un programma di due-tre centrali nucleari.
Nucleare sì nucleare no, al partita si sta giocando attorno al gas. Della Russia.

La salvezza viene con l’arte

Un racconto semplice: lei, Barbora Kysilkova, pittrice iperrealista, al modo di Annigoni, anni 1950, poi Guarnieri, decide di incontrare uno dei due autori del furto di due sue tele in mostra al Centro Nobel a Oslo. Lei, ordinaria di Praga, in fuga da Berlino dove era sposata a un uomo violento, lui un giovane di molte qualità, che gravi carenze affettive nell’infanzia hanno ridotto alla droga e all’asocialità.
Un racconto “vero” che si segue come una favola. Di redenzione attraverso la pittura, dell’arte terapeutica. Col doppiaggio genialmente sovrammesso alla parlata originale, un effetto insieme di distanziamento e partecipazione.
Benjamin Ree,
The Painter and the Thief (La pittrice e il ladro), Sky Arte

venerdì 7 gennaio 2022

Letture - 477

letterautore

Colonna sonora - Viene per ultima nei titoli di coda dei film, dopo chiunque in qualche modo abbia ricevuto una paga, gli autisti, i trasportatori, i fornitori di ogni genere. E distrattamente. La colonna sonora di Einaudi per “The Father. Niente è come prima”, per esempio, che pure è parte rilevante della narrazione. O la romanza celebre “Je crois entendre encore” di Bizet, dei “Pescatori di perle”, che nel film torna almeno tre volte, cantata da una voce tenorile purissima, di cui non si fa neanche il nome (è Cyrille Dubois), gusto il titolo, nemmeno della romanza, solo dell’opera.
 
Controinformazione
– Era di sinistra, estrema, ora è di destra. E più radicale, pretendendosi controcultura. Nacque nel Sessantotto, a opera dei gruppi extraparlamentari di sinistra, con le testate “Lotta Continua”, “Metropolis”, lo stesso “Manifesto”, con fogli ciclostilati, con libri come “Strage di Stato”, 1974 (repertoriata da Pio Baldelli in “Informazione e controinformazione” già nel 1972, dalla rivista “Tempi moderni”, curata da Giovanni Bechelloni, e da molta sociologia sparsa della comunicazione.
Era nata in America, nei tardi anni 1960. In fogli ciclostilati, anarchici, situazionisti, eccetera, sul tipo dei samizdat, i fogli sparsi della controinformazione politica in Europa orientale, contro i regimi comunisti filo-sovietici. Era l’informazione libera, cioè fuori dai condizionamenti economici, editoriali o politici – fuori dal coro, o dal “potere”. L’espressione forse più influente di quello che sarà il Sessantotto: la possibilità e la capacità di criticare. Con propri mezzi, benché limitati, e presto con le radio libere, come antidoto a quello che allora si denunciava come comunicazione di massa, via radio e tv, e oggi si dice strapotere dei media, dei social.
Nel 1969-1970 coagulò attorno al “New York Times” e alla “Washington Post”, parte dichiarata delle lotte di potere contro la presidenza Nixon, con i “Pentagon Papers” e con lo scandalo Watergate.
Riemerge ora in America come “controcultura”, di destra radicale - “The Daily Wire”, “Daily Beast”, la piattaforma Gettr. Contro “lo strapotere dei social media”, che vengono ascritti all’establishment di sinistra. Impegnati su una serie di temi vasta, anche di sinistra: cambiamento climatico, sindacato, minimo salariale, per la libertà di parola, oltre che contro l’aborto illimitato, le donne transgender nello sport, e la cancel culture.    
 
Neutro – Si potrebbe resuscitarlo, anche all’anagrafe, per le persone, per evitare di doverle dire maschio o femmina, nell’umanità che si vuole asessuata. Sull’esempio del tedesco das Mädchen,  che significa “la ragazza”. Bisogna certo restaurare il neutro nelle lingue neolatine. Per l’inglese non sarebbe difficile: basta sostituire “ragazzo”, “ragazza”, “donna”, “uomo”, “maschio” e “femmina” come sostantivi, con “persona”, p.es., come è già l’uso nell’America up-to-date.
 
Refusi – Sono gli errori di stampa, quando la stampa si faceva per fusione dei caratteri di piombo, che infiorettano giornali e libri. Gli errori al suo tempo dei copisti, poi dei proti, i capi tipografi che controllavano le bozze. Ma anche dei redattori-editori, quando la lettura dei manoscritti era impervia, o dopo, con i dattiloscritti, per inavvertenza. Notevoli in questo caso, specie nei libri di fantasia, per gli effetti talora bizzarri. Cambiando a volte il senso di una frase, una sorta di scrittura automatica, in uno che magari, benché non voluto, era più pregante.
Dispute filologiche si sono anche accese sugli errori di stampa. Il corpo che diventa porco, l’amore umore e l’adorata odorata, e non sappiamo se il dantista è dentista, o viceversa, la rivoluzione rivelazione, e l’immaginazione impaginazione. Se Yeats disse “soldier Aristotle” o “solider Aristotle”, e se l’ozio è indispensabile al mondo o l’odio, il correttore di bozze è corruttore, e i torchi gemono, oppure i turchi, o i tirchi. E i carabinieri s’imbattono in covi allarmanti, o in cori, o in voci, com’è più probabile. I refusi angosciavano, e divertivano, Sciascia e Savinio, Flaiano e Morselli, autori della leggerezza..
I correttori di bozze, che usavano un tempo in tipografia ed erano addetti proprio ai refusi, si sono trasformati qualche volta in correttori di bizze. Il “Corriere della serra”, di cui si è potuto leggere nel confratello parigino “Le Figaro”. Alcuni contesi come diritti d’autore: La moglie del sardo che in realtà è la moglie del sordo sarebbe invenzione di Valéry Larbaud – che poi trascorse afasico gli ultimi vent’anni – ma il “Corriere della sera” lo ha attribuito a Grazia Deledda
Ora l’ultimo word sottolinea due volte le concordanze che non lo soddisfano, e ci azzecca, anche in italiano - rederà impossibili i refusi?
 
Stupidità - Va con l’umorismo, nelle scritture di molti. Moltissimi nell’antichità sentenziosa. Bollarono risata e stupidità insieme Menandro, Isocrate, Catullo, il Libro dei consigli della Bibbia greca (poi chiamato anche “Ecclesiastico”), l’“Ecclesiaste” naturalmente, il “Canzoniere eddico”, i proverbi popolari. E Oscar Wilde, il cui “Marito ideale” professa “una grande ammirazione per la stupidità”, per ridere – Wilde diceva di suo: “Non c’è altro peccato che la stupidità”. Come il giovane Baudelaire, o il borghese Flaubert.
Ma c’è anche l’ironia inversa, altro esercizio letterario: l’eristica, l’argomentazione sottilmente inutile. Savinio ne era affascinato e perseguitato, dagli elogi “per mania eristica delle cose più inutili e anche delle dannose, il fumo, la polvere, la peste”. Per la peste citeremo il Berni, che vi si esercitò più volte. Molto usati, gli elogi ironici, nel Novecento. Dell’Ottocento si ricordano, di Cesare Beccaria e di Paul Lafargue, il genero di Marx, l’elogio dell’ozio. Dione di Prusa fece l’elogio del pappagallo e della zanzara. Sinesio scrisse un elogio della calvizie. Luciano scrisse un “Elogio della mosca”. Giuliano un elogio della barba a rovescio - essendo l’imperatore filosofo barbutissimo, scrisse un “Misopogone”, contro la barba. In Francia la letteratura è immensa, dalla scuola di Fontainebleau a Montaigne e al marchese de Sade, di elogi di organi e pratiche porno.

 
Attrae soprattutto i letterati. Non c’è una riflessione filosofica sulla stupidità. Si citano s. Agostino  e Cicerone, per frasi isolate, moti di stizza. Ripresi da Raymond Aron, lo studioso della politica, che la stupidità dice “il fattore dominante della storia”.
Il grosso del lavoro è la riproposta degli scrittori rinomati che si sono esercitati in argomento: il filone di Giufà, Jean Paul, Flaubert, Musil, Eco, Sciascia. Di Sciascia, che però non vi si intrattenne con qualche riflessione, si può dire un’ossessione - il terrorismo liquidò in tv dopo il rapimento di Moro, sbuffando per l’indignazione, con due sole parole: “Sono stupidi!”. Uno spasso per Eco, dal “Pendolo di Foucault” al “Cimitero di Praga”.
Non manca – Gianfranco Marrone – chi propende per la “Ricerca” di Proust come “un’interminabile galleria di stupidi”. La lettura può esserne in effetti ironica, degli amori, i vezzi, le manie, le devozioni filiali, le rivolte, i giochi delle ipocrisie – come tutto ciò che si definiva “borghese”. Ma per l’autore, scrivere tremila e più pagine di sottile ironia? E contro chi?

letterautore@antiit.eu

Maremma horror

Un horror - purtroppo presentato come giallo, anche se la sorpresa finale c’è - in Maremma. Una Maremma grigia, triste, quale fu per secoli, certo, con le acque stagnanti riaffioranti. Con prove d’autore di Massimo Popolizio e Edoardo Pesce, due attori capaci di grande teatro (e, ce ne duole molto, sono un capitano e un tenente – “Cane Pazzo” - dei Carabinieri: due personaggi che faranno inorridire la Benemerita?). Richiama curiosamente Dario Argento, ma urlato e non silenzioso.
Un ragazzo e una ragazza scompaiono a un rave party. Una serie di violenze seguono, improvvise, sanguinose. Gratuite: il contrappunto della vita ordinaria è troppo esile, per sostenere la macabra vicenda, di torture, pestaggi, autodistruzioni.
“Cane Pazzo” si propone per una serie, ma ha già eliminato troppi comprimari.  
Vincenzo Alfieri,
Ai confini del male, Sky Cinema

giovedì 6 gennaio 2022

Cronache dell'altro mondo - la Grande Dimissione (162)

È l’epoca della Grande Dimissione: sempre più lavoratori, da un anno circa, si dimettono dal posto di lavoro negli Stati Uniti. In vista di un’occupazione per qualche aspetto più soddisfacente. Almeno 4,5 milioni di persone hanno lasciato il posto di lavoro a novembre. In aggiunta ai 4,1 milioni di ottobre. E ai 4,36 milioni di settembre.
La disoccupazione è sempre alta, 6,88 milioni a novembre. Ma di transito, tra un’occupazione e l’altra, praticamene non c’è disoccupazione di lunga durata. La creazione di nuovi posti di lavoro è più del doppio delle dimissioni: 10,56 milioni di nuovi posti a novembre, 11,09 a ottobre, 10,44 a settembre.
Nei dodici mesi a novembre 2021, sono stati aperti negli Stati Uniti 75,4 milioni di nuovi posti di lavoro, con abbandoni e licenziamenti pari a 68,7 milioni – per un saldo netto di nuovi posti di lavoro di quasi sei milioni, 5,9. La pandemia e i lockdown hanno accresciuto e non ridotto (contrariamente all’Italia, p. es., n.d.r.) l’occupazione, il mercato del lavoro.
Il tema non è stato ancora analizzato. Sicuramente non si tratta di nuovi posti di lavoro a paghe ridotte – la compressione dei salari effettivi era in atto semmai prima, con le presidenze Obama e i primi anni della presidenza Trump: non si spiegherebbe altrimenti il gran numero di abbandoni volontari, di dimissioni.

Ombre - 595

“Il 40 per cento dei test rapidi negativi in realtà è falso”, l’assistente del genera le Figliuolo. Di che stiamo parlando, che i contagi sono il 40 per cento in più delle statistiche? Che i tamponi li facciamo per ingrassare le farmacie?

C’è anche la virtuosa Regione Emilia-Romagna che scopre 33 mila casi pregressi grazia e un ricalcolo. Di che stiamo parlando, allora? 

Anche, ospedalizzati con covid o ospedalizzati a causa del covid: fa differenza? Enorme? Perché confonderli? Perché l’informazione, dopo due anni, è così lacunosa. Oltre che la storia e la geografia, la scuola ha cancellato anche la matematica, le statistiche?

 

A Chicco Testa, ex presidente di Legambiente, che propone qualche termovalorizzatore per smaltire l’immondizia a Roma, un investimento privato che non aggraverebbe il bilancio del Comune - e farebbe costare lo smaltimento meno di quanto costi ora, esportando l’immondizia - la Cgil del Lazio contrappone una multi-utility pubblica, cioè un altro carrozzone.

 

Succede nello stesso tempo di avere sottocasa un cantiere che blocca da settimane le strade, invertendo i sensi unici con segnali improvvisati, con grave rischio di collisione, per il rifacimento di uno snodo delle tubature del gas. Un cantiere dove si lavora un giorno sì e cinque no. Preceduto da altri due cantieri, allo stesso incrocio e tratto di strada, uno per la condotta dell’acqua, Acea, e uno, Ama, per la fognatura. Tre cantieri all’opera per sei mesi quando ne bastava uno. Forse non è cattiva gestione, è corruzione in appalti. Ma cambia?

 

La corruzione è evidente nella diversità degli appalti. Acea, società quotata, ha controllato ogni giorno i lavori, di un appaltatore che ha lavorato rapido e ha ricostituito manto stradale e marciapiedi come nuovi, con strisce bianche per l’attraversamento e il parcheggio. Le municipalizzate senza alcun controllo e senza collaudo – il cantiere Ama chiuso ha manto stradale e marciapiedi rabberciati, senza più segnaletica a terra.

 

“Scuola, un «buco» di 8.500 no wax”, di cui 7.000 insegnanti, solo nel Lazio. Impossibili da sostituire, naturalmente. Ma il nucleo no wax è di insegnanti?

 

Il principe Andrea probabile condannato. Per la regina Elisabetta una fine ingloriosa. Ma dei suoi quattro figli chi ha fatto bene: Carlo? Anna? Andrea? Non proprio bene, ma decentemente? 

 

Dopo l’assegno ai netturbini che non si sono messi in malattia per le Feste, il professor Gualtieri, sindaco di Roma, recidiva: assegna, con tanto di delibera fatta approvare in pompa dal consiglio comunale, un quarto degli introiti da multe stradali ai dirigenti dei vigili urbani. Uno pensa che non sia possibile, e invece è vero. E il professore è persona tranquilla, responsabile.

 

Papa Francesco governa il Vaticano con i motu proprio: “35 in 8 anni, Giovanni Paolo II in ventisette anni ne ha firmati 32”, Filippo Di Giacomo sul “Venerdì di Repubblica”. Il papa sinodale, collettivo, comunitario, democratico, governa a colpi di decreti, personali.

  

Celebrando l’anno record di Piazza Affari Andrea Greco assegna la palma a Unicredit, per il rimbalzo del 76 per cento. A 13,5 euro. Ma Unicredit “valeva” 18 euro tre anni fa. Com’è possibile che una grande banca subisca oscillazioni in Borsa così enormi?  

 

“Sono stato presidente della Commissione Europea con 15 e con 25 Paesi e non c’era alcuna differenza. Il mio problema era sempre trattare con la visione divergente della Gran Bretagna”, Romano Prodi, “7”.

Memorie tragiche e comiche dell’uomo-pianura

L’amico del protagonista, l’unico, “ha il panico delle iniezioni”. È stato vittima del terrorismo arabo di Atocha, la metropolitana di Madrid, con centinaia di morti, amputato, e si diffonde con disinvoltura su tutte le atrocità di cui legge nel mondo, ma ha “il terrore degli aghi”. C’è insomma anche un prospettivo no wax. Fra le altre occorrenze, piccole, minime e grandi della vita quotidiana. Che il protagonista, uomo senza qualità fra i tanti, ripercorre una volta che ha deciso di morire – si ucciderà tra un anno, il 31 luglio, un mercoledì, di sera.
Toni inganna il tempo rimemorando, mese dopo mese, nelle sue stracche giornate di insegnante di Filosofia al liceo, divorziato, “triste e solo, con addosso una sensazione di sconfitta”, con la cagnetta Pepa, e con Tina, amante rassegnata di plastica, di tanto in tanto con l’amico no wax, che ha deciso di seguirlo nella sua determinazione della morte certa. Il padre, la madre, la moglie, i suoceri, il fratello, il figlio, che ogni tanto rivede. E la sua prima fidanzata, brutta e simpatica, che gli tocca rivedere. Incorre anche in un torturatore del franchismo, “Billy the Kid”, che ha rotto la faccia al suo padre trinariciuto, che riceve un’assurda onorificenza dalla Spagna democratica – un personaggio vero, Antonio Antonio González Pacheco, morto ultimamente di covid, a 73 anni, che dunque negli anni di Franco ne aveva una ventina…  
Un “uomo pianura”, senza spessore, senza progetto, senza reali sentimenti. Ma buon narratore, non lagnoso. È uno che, come il Nobel Parisi dagli storni, è affascinato dai rondoni che “vanno, vengono, si incrociano nell’aria a tutta velocità e non c’è verso di racchiuderli in un numero”. 
Scherzoso spesso, anche triviale. Nelle scene di sesso d’obbligo ogni ventina di pagine. Nelle frasi famose di cui tiene il quadernetto (di Camus, “C’è soltanto un problema filosofico davvero serio: il suicidio”…). Nei personaggi che non ama: gli indipendentisti catalani, la lesbica (la “padrona” lesbica della ex moglie), le famiglie. Nei non-eventi a cui la decisione di morire riduce la vita giorno per giorno. Un po’ ripetitivo. Anche confuso – “ho vissuto come una vessazione incessante la relazione intima con una donna intelligente”, mentre per tutta la narrazione è lei che è ingrata e oppressiva, sfruttatrice (una delle scene esilaranti è quando si fa spalleggiare dal marito per liberarsi dalla “padrona” di letto), furba.
Forte del successo del fluviale “Patria”, Aramburu si ripete. Di lettura anche questo non ardua, uno spaccato, involontario?, della vita quotidiana oggi, in città, in Europa: dei giovani incerti,  sporchicci, inetti, dell’affetto per gli animali esclusivo, dell’incapacità di ascoltarsi-osservarsi e di comprendersi, col padre, la madre, il fratello, il coniuge, dell’amicizia ristretta, abitudinaria, della politica assente. Il cane ha la buona morte, l’uomo no, è la sua verità meno banale. Centinaia di aneddoti veri o inventati assembla che sono (funzionano) come un teatrino delle nostre azioni e riflessioni quotidiane, ordinarie, rimuginazioni, specie di quelle familiari.
Una lettura scorrevole, agevolata forse dalla traduzione di Bruno Arpaia (ma “L’inconclusa” di Schubert, per “L’incompiuta”?)
Fernando Aramburu,
I rondoni, Guanda, pp. 713 € 22



mercoledì 5 gennaio 2022

Cronache dell’altro mondo - capitali (161)

La Procuratrice dello stato di New York, Letitia James, democratica, ha accusato il governatore dello stato Andrew Cuomo, democratico, di abusi sessuali su undici donne. Costretto Cuomo alle dimissioni, si è candidata alla successione – senza successo. Ora Cuomo è stato assolto: delle undici donne che avrebbe molestato solo una lo ha denunciato, Brittany Commisso. Ma non è stata creduta: si è dimostrato che era un’innamorata rifiutata – una che corteggiava Cuomo.
Fbi e Procure Federali varie sono impegnate da un anno a dimostrare che l’assalto al Congresso un anno della folla trumpiana era organizzato da Trump. Hanno incriminato centinaia di persone – l’assalto è stato fotografato nei dettagli. Ma ancora continuano il lavoro, non hanno ancora trovato la mano di Trump dietro l’assalto.
I membri del Congresso e i loro familiari hanno investito in Borsa l’anno scorso 630 milioni abbondanti di dollari. I Repubblicani un po’ più dei Democratici. I Democratici investono soprattutto nell’infotech, i Repubblicani nell’energia. Il maggiore investitore singolo è il marito di Nancy Pelosi, la speaker Democratica della Camera dei Rappresentanti, attivo nei settori immobiliare e venture capital.

La morte sbagliata

L’angelo della morte Angela, Ilenia Pastorelli sempre periferica ma blackie, sbaglia la data della morte del quarantenne Arturo, Pietro Sermonti, e per ingannare l’attesa gli svela che tutte le sue felicità sono infelici. Sembra una trovata azzeccata e per la prima metà il film funziona, a ritmo verdoniano – Arturo che obbediente si suicida ma il cappio non si stringe è da cult. Poi s’intorcina, a tratti horror demenziale, e non si capisce più niente.
Herbert Simone Paragnani, Io e Angela, Sky Cinema

martedì 4 gennaio 2022

Calembour

Disadattato, incerto, a disagio
Come il violino mancino in concerto,
il missionario astemio alla messa,
l’impotente a letto con l’amata,
L’afasico tra i social sibilanti.
 
Per le donne liberare
Le falene e le farfalle
Anche per i neri,
per tutti che si intendono emancipare.

Simenon scopre il mondo

Cinque reportages di Simenon inviato speciale nel 1935. La Lapponia “in pieno inverno” – un paradiso. Una serie di morti misteriose (il padre di Maigret non riesce a fare luce) alla Galàpagos, il “paradiso terrestre” in Terra. La vita visibile, e invisibile, attorno al canale di Panama, che viene armato come per la guerra. A spasso per l’oceano Indiano e i mari del Sud – il reportage che dà il titolo. E Tahiti, l’isola degli amori facili – si presume: Simenon li prospetta ma poi si mantiene discreto.
Tutto ben raccontato, c’è sempre una promessa di sorpresa, ma poi niente di più il pittoresco dei viaggiatori che Simenon depreca, Loti e anche Gauguin. O del riccone americano, che gli dice: “Ho da spendere un giorno alle isole Marchesi, due alle Figi, uno alle Ebridi e sei in Giappone” – se Ebridi non è un refuso (dalle Figi alle Ebridi, e dalle Ebridi al Giappone si fa, si faceva, forse col Concorde) - gli yankee con lo yacht di grandezza record sono la sua ossessione.
Un’esperienza che avrebbe trasformato Simenon, opina Matteo Codignola nella nota editoriale, “Simenon nudo”: a Tahiti qualcosa è successo, non sappiamo cosa, ma “amici e conoscenti” concordi dicono “che la persona tornata da quel viaggio non era la stessa partita qualche settimana prima”. Comunque comincerà allora a scrivere i suoi “grandi libri” - i romanzi “duri”.
È vero che a un certo punto, navigando per i mari del Sud, al largo di Timor, Simenon scopre che il mondo è diverso. A partire dal tempo, dal diluvio universale. Un viaggio ha fatto non nello spazio ma nel tempo: “Ho visto degli uomini! Tutti gli uomini, da Adamo fino ai giorni nostri. E vi assicuro che è questa la cosa triste!” Noi, “con i nostri bei completi, i caschi, i coltellini, i giornali e la radio”, facciamo solo “finta di crederci i più forti, i più furbi”.
Con una copiosa dose di fotografie, fatte dallo stesso Simenon, purtroppo senza didascalia. Che Codignola così giustifica: “I materiali sono lacunosi e disomogenei”. Le foto, e anche gli scritti.
Georges Simenon, A margine dei meridiani, Adelphi, pp. 223, ill, € 16

lunedì 3 gennaio 2022

Calembour

I segni di sogni
O i sogni di segni
È refuso irresistibile
Ma in che senso?
 
Verum factum
Verum fictum
Il fatto è finto
 
È beard o bread
Che al capitolo “Eumeo” dell’“Ulisse”
Joyce avvolge nella carta?

Il ritorno del mattatore, di parola

Un padrone-padre, tutto azienda, anche capace, al tempo dei diritti, che pure andrebbero rispettati - “El buen patrón” è il titolo originale. Una sfida riuscita per Xavier Bardem, che regge le due ore del film dalla prima all’ultima scena – probabile Oscar come attore protagonista (benché un solo attore non di lingua inglese ci sia riuscito in quasi cento anni, Benigni). Una “commedia all’italiana”, in cui si sorride soffrendo. Con un retrogusto reazionario, a fronte dell’operaio licenziato contestatore, dell’immigrato arabo stimato ma sfottente.
Torna il mattatore – è il terzo o quarto film in programmazione che si regge sulle arti del protagonista, assorbente, in famiglia, al lavoro, in scena. Torna al cinema, in forma di pièce teatrale, molto parlata, filmata. Economica anche, reggendosi inquadratura per inquadratura su un solo attore, con pochi e sbiaditi comprimari – che forse per questo piace a Nanni Moretti, che lo programma nel suo cinema. Un cinema di parola anche, chi l’avrebbe detto. l’immagine vi è sussidiaria.
Fernando León de Aranoa, Il capo perfetto

domenica 2 gennaio 2022

Calembour

Bello Bolle balla
Lieve all’onda
Di questo mondo
Che si vuole tremendo
 
Stormi di storni
O storni di stormi
La verità s’inverte
 
C’è un senso
nella perdita di senno?

Secondi pensieri - 468

zeulig
 
Complotto - L’idea del complotto può dirsi una forma di gelosia, e la gelosia una forma di delusione, verso sé stessi e quindi verso gli altri. Ingenera il sospetto una certa dose d’ipocondria, in due forme. L’idea costante che gli altri tradiscono e vogliono il nostro male. E l’incapacità altrettanto co-stante degli altri e di noi stessi di essere all’altezza delle ambizioni. Freud non ne ha parlato, il genio maligno. Proust sicuramente sì, nell’interminabile labirinto della gelosia, la propensione, come la dice da qualche parte, a “formulare sospetti atroci su fatti inconsistenti”. Ma i fatti non hanno bisogno di interpretazioni, non se si vuole uscire dalla paranoia.
O c’è bisogno di un complotto? Sia pure di quello hegeliano della ragione: la maggior parte degli eventi non ha un fine. L’influenza per esempio, che a tutti occorre. Il cancro no, vuole uccidere. L’influenza non ha neanche una causa, a differenza del raffreddore. Che per questo a volte acquista anche un fine, più rapido del cancro: la maggior parte dei decessi in ospedale avviene per complicazioni broncopolmonari. I degenti vi sono accuditi con generosità di personale e di risorse, finché un giorno la finestra aperta per cambiare l’aria si porta via il più indifeso. Non ci si protegge dal caso, e allora un po’ di causalità, per quanto perversa, ci vuole. O si può tornare con Darwin all’“argomento del progetto” del teologo Paley: se c’è un orologio, c’è un orologiaio. Anche Borges immagina una “storia di alcuni cospiratori i quali decidono che qualcuno non esiste o non è mai esistito”. Oppure che esiste, anche se non è mai esistito.


Si parla troppo non a caso. O è vero o è falso, si dice. E se il falso è vero? Il terzo escluso è solo necessario, non foss’altro perché l’uno o l’altro dei termini del caso spesso è occulto.

È effetto della latitanza culturale, intellettuale? Di due generazioni ormai, disperse tra le chiacchiere social e il consumismo più sciocco, la coda di notte per le scarpe gialle Lidl a due euro, che bastano per una camminata, o per appenderle, i tatuaggi, brutti e sporchi, le barbe. Si è latitanti non senza effetto, lo dice la stessa parola. L’isolamento nutre l’orrore. Lutero lo spiega nel commento alla Bibbia, dove a Dio fa creare la donna perché non è bene che l’uomo stia solo: “Un uomo solo deduce una cosa dall’altra, e pensa tutto per il peggio”. Il complotto è esercizio logico prima che paranoico, e unisce tutti, quelli che convergono dall’isolamento. Tutto vi è ineluttabile, una volta recisi i ponti: come la gelosia, l’orrore si nutre di sé. Altra cosa dalla solitudine, il dialogo con se stessi che prepara all’incontro con gli altri e la vita. Chi sopporta sé stesso accetta gli altri: nella solitudine, spiega Arendt, “siamo sempre due-in-uno”, rieccolo. Nietzsche si fa in due a Sils-Maria uscendo dall’isolamento, la malattia professionale dei filosofi. Bertram de Born, l’originale di Dante, è quello che si porta la testa in mano, decapitato per aver diffuso l’odio nella famiglia del re d’Inghilterra, di cui era consigliere.


Il vizio del complotto è come la superstizione, pronuba la paura: si temono mali ignoti, e se mancano motivi certi di paura s’inventano.


Dolorismo – L’ipocondria, lo spleen di tanta prosa dolorante, e poesia, è causa, prima che segno o effetto, della civiltà della crisi. Il dolorismo si osserva come malessere ricorrente (tipico?) di chi ha la pancia piena, Europa (Scandinavia)-Usa, che spiega all’indigente (Asia, Africa, America Latina) quanto è duro abboffarsi, e ne pretende gratis la compassione – usava dirla solidarietà, ora empatia.
 
FedeÈ l’altro estremo del filo (ragionamento) che porta al suicidio. Meno tragico, anzi consolatorio. Ma non meno dialettico, critico: la fede, come il suicidio, libera dal seno tragico dell’esistenza.
Si faccia l’ipotesi che l’uomo conosca l’ora della morte. L’uomo di fede si consola con l’anima immortale, lo scettico con l’inevitabile – anche, se del caso (stanchezza, sofferenza, rivalsa), con la rinuncia a vivere. È il solo quadro in cui il Camus celebrato – “C’è soltanto un problema filosofico davvero serio: il suicidio” – prende senso.
L’immortalità è una condanna, un cappio, per il senza fede: una trappola logica. La fede, che in teoria vi si basa e vi fa affidamento, ne prescinde. Si basta: è fonte di energia e arma per superare l’incertezza – o la atonia, la cialtronaggine. Per quanto vaga, “infondata”, essa possa riuscire a esame critico. Una droga, una simpamina. Lascia liberi di accettare la vita vissuta, anche anonima e perfino sordida, senza perdersi – senza cadere nella passività.
 
Self-deception – “Non la giusta percezione di sé, è alimentare dentro di noi un inganno, assegnarci la parvenza di una bella figura, cercando di dimenticare quel che di negativo, di vergognoso, c’è in noi” – Edgar Morin. È il rimosso, il procedimento di rimozione, con un che di voluto, programmato.
 
Stupidità – Jean Paul, che ne fece l’elogio, la vuole indefinibile, legata alle sue proprie manifestazioni, e una sorta di specchio: “Ognuno apprezza la stupidità che più somiglia alla sua”.
O un metro universale: la stupidità di Jean Paul si elogia da sola, scendendo cioè dove più basso non si può, ma se alza il capo e guarda in alto non trova che stupidità.
Quella biblica, dell’“Ecclesiaste”, è cosmica, di pessimismo radicale: “Infinito è il numero degli stolti”. Se non che, come pare, questo è un senso ciceroniano, che il traduttore san Gerolamo avrebbe soprammesso, ma estraneo all’originale ebraico e alla versione dei Settanta, che invece recita tutt’altro: “Ciò che manca non si può contare”. È di Cicerone la moralità “stultorum plena sunt omnia” – ripresa da sant’Agostino (“Contra Academicos”): “Immensa è la folla degli imbecilli”.
 
Fra i tanti che ne hanno trattato, i più la legano alla risata – come se ridessero solo gli stolti. O alla saggezza, come una forma di furberia. A partire da Cassiodoro: “La stupidità al momento opportuno è la più grande saggezza”. Fino a von Hofmannstahl: “La stupidità più pericolosa è un’acuta intelligenza”. Un’ambivalenza che ha inquietato soprattutto i letterati – Flaubert fra i tanti, Baudelaire giovane, Musil, U. Eco, Gadda, Fruttero e Lucentini. E un paio di storici, tra essi lo storico dell’economia Carlo Maria Cipolla. 
In una forma lievemente diversa Pascal ne fa carico a Montaigne, perché si crede pieno di saggezza – l’intelligenza non si vuole apodittica, specie in materia morale, controvertibile.
 
Deleuze osserverà che la bête, bestia in francese, non è soggetta alla bêtise, la stupidità.
 
L’intelligenza artificiale la metterà fuori corso? Saremo tutti se non sapienti, nella condizione di sapere, senza ostacoli all’ingresso.
Ma è la stupidità l’opposto dell’intelligenza? O: quanto è intelligente l’intelligenza artificiale?


zeulig@antiit.eu

Lasciarsi a Roma, borbottando

Un amore romantico, tra compagni di dieci anni che più non si sopportano, anonimo su Whatsapp. Lui, romanziere in crisi, redattore a tempo perso della posta del cuore di un sito, innamora lei, manager multinazionale (spagnola a Roma, presto trasferita a Londra) di una società di videogiochi, con la quale nella realtà convive stancamente. Come a dire: sarebbe facile passare sopra alle incomprensioni  -ma non è così.
Il racconto di una separazione, sempre fonte di angustia - il piatto rotto non torna mai come prima, ma questa semplice verità in amore pare non sia accettabile. Intrecciata con una separazione che avrebbe ogni ragione di farsi, giocata non sulle disillusioni e i malintesi quanto sui ruoli di genere, lei non essendo più la ragazza di un tempo, si è fatta sindaco di Roma, figurarsi, e lui annichilito.
Un racconto garbato, bene intrecciato, dell’amore possibile e impossibile. Troppo adagiato sulla naturalezza intesa come difetto di dizione. È un omaggio a Roma, di cui offre lusinghiere immagini, ma è un racconto parlato, e quindi sperso nei borbottii confusi che sostituiscono il dialogo, e nello spagnolesco della protagonista (Marta Nieto) - per il resto perfetta nel ruolo. Meglio si salva la storia della sindaca (Claudia Gerini) e consorte (Stefano Fresi), che sanno recitare distinto, risultando perfino più realistici.
Edoardo Leo, Lasciarsi un giorno a Roma, Sky Cinema