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sabato 11 aprile 2020

Ombre - 508

Si è fatto scandalo di un articolo del quotidiano tedesco “Die Welt”, che intima fermezza negli interventi europei anti-crisi, perché in Italia potrebbero andare alle mafie. Ma questo era “la Repubblica” prima di “Die Welt”, con Saviano il 23 marzo. E lo è dopo: oggi lo scrivono i giudici Greco e Melillo.

Però, i giudici antimafia scrivono su “la Repubblica” una pagina, sei cartelle. Si vede che non hanno altro da fare – le mafie dormono?

L’Europa, dopo lunghi e controversi negoziati, prospetta un piano di interventi straordinari che, se attuato, mobiliterebbero per l’Italia 70 miliardi in credito da investimento. Banca Intesa, da sola, ne mette a disposizione 50, senza vincoli.

Il presidente del consiglio Conte avalla e vanta un intervento europeo anti-crisi da 1.500 miliardi. Che non è stato ancora deciso, bisogna aspettare fine mese. E che di fatto mobiliterà risorse per un terzo o poco più. Sembra che si parli da solo, compiaciuto.

A due mesi dall’inizio del salasso economico per via del coronavirus l’Ue non decide. L’unico soggetto economico al mondo che traccheggia. Ancora – per ora - di quindici giorni.

Gli specialisti che la Protezione Civile esibisce sono sempre e solo del Gemelli di Roma, fondazione e ospedale. Ce ne sono di ottimi, virologi, epidemiologi, eccetera, a Roma anche alla Sapienza, e a Tor Vergata, ma evidentemente non sono di parrocchia. Cambiano le repubbliche, ma l’Italia no. 

Il giudice Fresa, numero due della Cassazione, fustigatore della politica – della politica di destra, essendo lui di sinistra – è accusato a metà marzo di maltrattamenti dalla moglie, e sospeso dall’incarico di Procuratore Capo. Un notizione. Ma si sa solo tre settimane dopo, incidentalmente. Era un informatore dei cronisti giudiziari? I cronisti giudiziari sono una mafia?

Si sa di Fresa quando la Cassazione avalla, contro il suo parere, il ricorso dei figli di una donna, che il marito ha ucciso dopo minacce e maltrattamenti, contro i tribunali siciliani che hanno negato loro il risarcimento pubblico per le negligenze dell’apparato giudiziario, dopo le denunce presentate dalla donna. Si è saputo, cioè, per un caso di femminicidio: ormai gli uomini non fanno più notizia, anche se potenti in disgrazia.
Si sa di Fresa anche perché appaiono le foto della moglie giovane, brasiliana, e dell’amante, anch’essa brasiliana.

L’Olanda si oppone ai bond europei – “non vogliamo pagare i debiti italiani” -  nel mentre che altre grandi aziende, anche italiane, trasferiscono la sede legale in Olanda per non pagare le tasse. È concorrenza sleale, o mercantilismo. E anche, un po’, delinquenza – i paradisi fiscali sono proibiti. Ma è l’Europa.

Il fatto olandese è noto, sia il no all’impegno europeo contro il virus che le agevolazioni fiscali. È noto anche che il no olandese ha alimentato e alimenta una colossale operazione  al ribasso nelle Borse per depredare i risparmiatori - che sono principalmente italiani. Ma non si dice. E questo è un problema dell’Italia in Europa: nascondere la sporcizia sotto il tappeto.

Un lettore romano di via Cortina d’Ampezzo, indirizzo fra i più cari di Roma, lamenta che i vigili non gli hanno consentito l’accesso all’edicola, obiettando che il giornale non è di prima necessità. È plausibile. I vigili non sono tenuti a leggere, tanto meno un decreto del governo. E sono tenuti a essere più che altro sbirri. Ma il giornale, è di prima necessità?

Trump accusa l’Oms, organizzazione mondiale della sanità, di aver fatto il gioco della Cina nella pandemia da coronavirus: “Per qualche ragione, nonostante sia finanziata in gran parte dagli Stati Uniti, l’Oms è molto filocinese. Fortunatamente ho respinto il loro consiglio di tenere aperti i confini con la Cina, qualche tempo fa. Perché hanno dato una raccomandazione così sbagliata?”
Poi dice che Trump ha torto.

Si dimette il presidente del Consiglio europeo della ricerca, Mauro Ferrari, “pioniere della nanomedicimna”:” Deluso dalla risposta all’emergenza coronavirus”.
Sicura vittima del virus è l’Europa, come che vada a finire. Di questa strana Europa di Merkel.

Sagre cinesi in Rai, nei tg, negli intrattenimenti e nei gr. Ovunque celebrazioni di quanto la Cina è generosa, intelligente, organizzata, avanzata nelle ricerche, imbattibile ai virus. Rai News 24 ha dedicato alla generosità cinese almeno la metà del notiziario. Considerato che la Cina, piccolo particolare omesso, è un regime comunista, si sarà la vecchia Telekabul trasformata in Telepechino?
Ma allora c’è ancora un partito Comunista in Italia?

Insieme con la Cina le altre superpotenze, Usa e Russia, hanno mandato in aiuto all’Italia medici, medicine e attrezzature sanitarie. Ma la Rai li snobba. Anche le tv di Berlusconi per la verità. Si direbbe che non è un caso.

I paesi europei avrebbero potuto difendersi dalla pandemia, dopo l’Italia. A partire dalla Spagna, con Francia, Gran Bretagna, Germania. Non l’hanno fatto perché l’Europa funziona così: ognuno è più furbo dell’altro.

Banche e aziende abbottonate, niente dividendi, siamo nella peste, aspettiamo gli eventi. Eccetto che per le aziende pubbliche, Poste, Enel, Eni, Terna… Lo Stato i dividendi li vuole tutti subito, del doman non c’è certezza.

Nella sanità sono stati tagliati 45 mila posti, dal 2009 a oggi. Ma la spesa è cresciuta, anche più del pil – molto stento in questi anni: da 100 a 118 miliardi. Non evidentemente nelle strutture sanitarie, impreparate e insufficienti al contagio. La sanità è sempre distruttrice di risorse - la stella polare del sottogoverno e della corruzione.

Cronache virali

Lodi, epicentro del coronavirus, e Varese registrano una mobilità del 67-68 per cento: due abitanti su tre escono. In tutta la Lombardia il tasso di mobilità è del 40 per cento.
A Milano il sindaco Sala è esclusivamente preoccupato della mobilità: fa appelli alla cautela, chiede più controlli.
I nuovi contagi sono oggi per un terzo, circa 1.500 su 4.500 circa, sono in Lombardia. Dove i ricoveri ospedalieri sono raddoppiati nelle ultime ventiquattro ore. E i nuovi decessi sono poco meno della metà del totale nazionale.
In Lombardia un morto da coronavirus su dieci nel mondo: su centomila morti da coronavirus, diecimila sono stati in Lombardia.
Un quinto dei diecimila è morto in Lombardia nelle case di riposo.
Abnorme in Lombardia anche il tasso di letalità (contagiati morti): il 18,3 per cento, quasi uno su cinque. Nello stato di New York, dove pure i morti sono in numero elevatissimo, il tasso di letalità è del 4 per cento.

La Germania a tutto vapore

La preoccupazione tedesca è che i fornitori di Lombardia e Veneto non tengano il passo della produzione – della produzione tedesca. L’unica.
Il coronavirus è tenuto a bada con le statistiche, la produzione in Germania va avanti come se nulla fosse. Il numero dei positivi non può più nascondere, ma se ne può minimizzare la letalità. Con un semplice accorgimento statistico.
La Germania può così continuare a lavorare, come prima. Anzi con più lena perché molta concorrenza europea, e italiana, nell’automotive,  nelle macchine utensili e nel bio-medico, è bloccata.
L’unico problema che l’industria tedesca si pone, soprattutto la metalmeccanica, è per il blocco dell’attività in Italia, dei fornitori.

I media con l’alzheimer

La decisione dell’Eurogruppo – prestiti di favore condizionati alla destinazione a spese sanitarie, cioè sotto controllo europeo – ha ripetuto pari pari la sera quanto aveva chiesto la mattina imperativo il quotidiano merkeliano “Die Welt” nel vituperato articolo “Signora Merkel, tenga fermo!” – sottotitolo: “Di sicuro i paesi dell’Unione Europea dovrebbero aiutarsi reciprocamente nella corona-crisi. Ma senza limiti? E senza controlli?”
Questo il testo dell’articolo: “Dovrebbe essere chiaro che in Italia, dove la mafia è forte e aspetta ora i nuovi finanziamenti a pioggia da Bruxelles, i fondi dovrebbero essere spesi soltanto per il sistema sanitario e non per il sistema sociale e fiscale. E naturalmente gli italiani devono anche essere controllati da Bruxelles e dimostrare che stanno impiegando i fondi correttamente”. Questo è quello che il pomeriggio l’Eurogruppo ha deciso.
Una coincidenza gornalisticamente ghiotta, ma di questo non si è letto, né nelle cronache né nei commenti. Né nei giornali filogovernativi né in quelli anti-governativi. .
Il giorno precedente la non-decisione dell’Eurogruppo Conte aveva detto solenne alla “Bild Zeitung”: “Per non perdere competitività abbiamo bisogno di Eurobond… Il debito italiano ce lo paghiamo noi e ce lo siamo sempre pagati, l’Italia i compiti a casa li sa fare”. Ma nessuno ne ha chiesto ragione a Conte nella conferenza stampa di ieri sera – rinviata quattro volte, e Conte non aveva il raffreddore.
Nella verve polemica che sempre li agita, i media sembrano curiosamente soffrire di Alzheimer: dimenticano subito. Il corona-virus ha anche questo effetto?

La poesia come filologia

“Ci doveva pur essere un aition, un fondamento mitologico, che spiegasse quella fioritura di musica e di poesia che dai tempi già lontani illustrava l’isola di Lesbo”. La vecchia prefazione di Giovanni Tarditi – l’edizione è di venticinque anni fa – sembra anticipare l’attualità, oggi che l’isola è nelle cronache per i lager, nella guerra agli immigrati. Ma è lo stesso un miracolo che Lesbo sei-sette secoli prima di Cristo avesse poeti raffinati come Alceo e Saffo.
Il miracolo per la verità è doppio. Le riedizioni, di Alceo come di Saffo, tanto più se critiche come questa, oculata, studiosa, piena di varianti, sono soprattutto monumenti filologici, di ricerca letteraria. Che la poesia deve ricostruire in base agli echi che ne se sono avuti nei secoli, i frammenti residui dicendo poco o nulla – di Alceo meno di Saffo. Come dire: eccovi Alceo, o Saffo, senza Alceo, o Saffo.
Di Alceo soprattutto si sa che fu un combattente per la libertà, contro i tiranni che – nel nome della lottak alla tirannide – si succedettero nei suoi anni sull’isola. Compreso un compagno di eterìa, di circolo politico, Pittaco. Tra i frammenti molti ce ne sono di invettiva o insulto. “Pittaco il traditore” è la sezione più cospicua della raccolta, di frammenti più lunghi e significativi. Altri vengono proposti come omoerotici, ma sono solo inni al vino – compreso l’originale “il vino è verità”. Antonietta Porro, che ha curato la ricerca e fatto la traduzione, corredandola di note, trova “rare attestazioni di poesia pederotica” – uno dei due è questo: “Il vino è verità, caro ragazzo”. 
Circa 200 frammenti rimangono, dei dieci libri di cui Alceo sarebbe stato autore, variamente citati in antico. Qualcuno è diventato proverbiale - “il vino è verità”. Il più noto è ripreso da Orazio nella formula “nunc est bibendum” – Orazio ha ripreso vari componimenti di Alceo. Le lesbie “spiccano per bellezza”. Atena è “glaucopide”. E si fanno, dopo il simposio o sbevazzata con gli amici, serenate alla “porta chiusa”, παρακλαυσίθυρα. Poco altro se ne ricava. Ma sì un senso forte di eleganza, di un’arte poetica già nel VII secolo a.C. complessa e formale. Sobria, quindi parte di un’arte consolidata, regolata. E della vita civile naturalmente che la sottende. I più compiuti sono i frammenti in lode già degli elementi, della natura: le acque, il “purpureo mare”, i “venti miti, che non portan tempesta”, “di autunno tenero il fiore”.

Alceo, Frammenti, Giunti, remainders, pp. LIV + 325, ril. € 5,90


venerdì 10 aprile 2020

Problemi di base europei - 553

spock

L’Europa è Bellavista, come dice il nome?

Vista dall’alto, dal basso, di profilo?

Ma qualcuno l’ha vista – in che epoca, in che occasione?

È un ideale?

Distopico - un incubo?

O è come si vede, una coda dell’Asia?

L’ultimo accampamento delle orde, sopra le Alpi?

Umanizzata, ma non abbastanza?

spock@antiit.eu


E adesso, povero Conte?

La non decisione europea su una risposta aggressiva alla crisi sanitaria ed economica ha portato Conte – non insensibile lo stesso presidente della Repubblica Mattarella, che ha richiamato Conte al rispetto del Parlamento - alla crisi. Alla prospettiva di crisi: se ne è discusso tutta la giornata di oggi.
Il Pd ha tentato subito, con Gualtieri, di avallare la non decisione di Bruxelles come un successo. Difficile, avendo ottenuto solo qualche miliardo, non molti, e a costo di umilianti verifiche che vada a spese mediche. Conte però, essendosi esposto con l’intervista militante alla “Bild Zeitung” (“o eurobond o facciamo da noi”), i 5 Stelle, Renzi e molti nello stesso Pd vedono l’accettazione supina della (non) decisione dell’Eurogruppo come un’autostrada spalancata all’opposizione.

I Dc di Merkel mettono ko i Progressisti – e l’Italia

I Popolari, come si chiamano i Dc in Europa, mettono ko i Progressisti (Socialisti, Democratici). Cioè i governi italiano e spagnolo. Questo il senso della (non) decisione dell’Eurogruppo su una risposta economica aggressiva al coronavirus.
Vittima parziale dei Popolari anche Macron. Il presidente francese fa capo ai Liberali europei, a cui i Popolari-Dc preferiscono gli ex gollisti dell’ex Sarkozy, che sono stati a lungo loro ruota di scorta.
Il no a Italia, Francia e Spagna viene imputato a Mark Rutte, il primo ministro olandese, ma impropriamente. È opera del ministro olandese delle Finanze Wokpe Hoekstra, uno dei giovani leoni della Dc europea di Angela Merkel. Hoekstra rappresenta il partito Cristiano Democratico nella coalizione di Rutte, che invece è di destra, e punta a scavalcarlo in quell’area elettorale, usando l’Italia – e la Spagna - come falso scopo.
Macron ha fatto finta di nulla, perché è un presidente di immagine, e gli basta, secondo i suoi criteri, accreditarsi come co-leader della Ue alla pari di Merkel. L’Italia avrà problema a fare finta di nulla.

Rai sadica

La puntata più cruenta di questa serie Rai “ispirata a una storia vera” - con l’amputazione di un ragazzo e la riproposta, la terza o quarta in tre puntate, del primario occhio clinico che lascia morire il suo adorato bambino in piena crisi cardiaca scambiandola per mal di pancia - fa un record camilleriano, da trenta e più di share. Un popolo improvvisamente orrorifico? Effetto del contagio? O unica programmazione non rimasticata della serata?
Resta l’effetto Rai, sgradevole. Ciro Visco è regista della serie “Gomorra”, e quindi si poteva immaginare. Ma Michelini è regista di punta dei Bernabei, marchio di serie edificanti, “Don Mattero”, “Dio ce la mandi buona”, “I Medici”. La chiesa ha abbandonato Dio, o viceversa, dopo il giubileo della compassione? O sono semplicemente i Bernabei che cambiano gusto, Lux Vide?
La serie è monca perché il contagio ha impedito di concluderne la lavorazione. E quindi rimarremo col sadismo Rai.
Jan Maria Michelini-Ciro Visco, Nelle tue mani

giovedì 9 aprile 2020

Letture - 416

letterautore

Bergoglio – Non vende. I libri di e sul papa Francesco non vendono, scrive Filippo Di Giacomo sul “Venerdì di Repubblica”: “L’editoria cattolica italiana nel mercato confessionale globale è scesa al terz’ultimo posto”. Tutta colpa, per il vaticanista, dei “bergoglioni”, che dice indiscreti e vacui: “Ostentano il tu con cui si rivolgono al papa, mandano in onda telefonate private, registrazioni di colloqui informali, foto rubate” – “si autoreferenziano e si complimentano a vicenda, si ringraziano tra loro e si premiano a turno”.
La crisi dell’editoria religiosa Di Giacomo lega comunque all’avvento del bergoglismo: “Fino al 2012 aveva vissuto un momento d’oro, resistendo anche alla crisi economica del 2008, letale per l’editoria in genere, ma non per quella religiosa”. Era anche un’epoca in cui “il 38 per cento di chi leggeva almeno un libro religioso all’anno non era cattolico praticate, talvolta neppure credente”. E “la percentuale più alta era costituita da giovani professionisti tra i 18 e i 50 anni con titolo di studio elevato”. Era l’“effetto Ratzinger”.
 
Biglossia – Categoria che Furio Brugnolo propone (in “La lingua di cui si vanta Amore”, 23) a proposito di scrittori che o, “1, appartengono a pieno titolo a due lingue e a due letterature”, oppure “2, operano in contesti culturali e letterari istituzionalmente e anzi, per così dire, costituzionalmente poliglotti”. Senza però essere considerati scrittori della lingua acquisita, non nei repertori storici.  Per il primo caso Brugolo fa l’esempio di Bechett, inglese e francese, e di Yvan Goll, francese e tedesco. Oltre a quelli classici di Gilles Ménage-Egidio Menaggio, e di François Régnier Desmarais, il francese che tradusse in italiano Anacreonte e Omero (la traduzione parziale dell’“Iliade”è ancora leggibile, e anzi si segnala per il piglio, per gli endecasillabi cadenzati, in tono).
Della seconda specie Brugnolo cita gli italo-slavi. Ma il caso più nutrito è degli anglo-indiani.
Della prima si possono citare Jacqueline Risset, che si esprimeva liberamente in francese e in italiano o in Jhumpa Lahiri, a suo agio in inglese (americano) e italiano. Pur facendo parte entrambe delle “storie letterarie” della lingua di origine, francese e americana.

L’uso più esteso è però una forma di poliglottismo. Comune in  Russia e in Germania nell’Ottocento per quanto riguarda il francese una forma di distinzione sociale, nobile-altoborghese: Thomas Mann nei dialoghi che concludono la “Montagna incantata” (lo stesso Mann terribile antigallico delle “Considerazioni di un impolitico”), Tolstoj in Guerra e pace”. Lo stesso si può dire di D’Annunzio o Ungaretti. O nel Settecento di Galiani, Casanova, Goldoni. Degli italiani che usano l’inglese, con qualche padronanza, si possono citare Pavese, Fenoglio, Amelia Rosselli, e Foscolo.
Di Th. Mann si può considerare peraltro l’uso del francese diminutivo, se non derisorio, concludendo il romanzo della crisi della cultura europea. Solo cinque o sei anni prima, nelle “Considerazioni di un impolitico”, essendo stato ferocemente antifrancese. Il fratello Heinrich Thomas giunse a disprezzare perché non abbastanza nazionalista, non antifrancese.

Dante – Rinasce nel Novecento nei “Cantos” fascisti di Pound, il 72 e il 73 – specie il primo? L’ultimo dei “Quattro quartetti” di Eliot è ritenuto la più dantesca ripresa di Dante: l’incontro, in una Londra distrutta dai bombardamenti, con lo spirito di un trapassato – sul modello di Dante con Brunetto Latini, nel canto XV dell’“Inferno”. Ma Pound va forse più in là, nel primo dei due “Cantos” mussoliniani, il 72: per l’uso disinvolto dell’endecasillabo, l’incatenamento delle terzine, le rime a distanza, le modalità verbali – le varie tipologie di locutio  dantesca: il plurilinguismo e il pluristilismo, apocopi e aferesi, e costrutti arcaizzanti, colloquiali, familiari, alternati con quelli innovativi, non tralasciando il gergo rozzo, specie nell’invettiva.

Poesia – Un mese e mezzo, quasi, ai domiciliari da pandemia, non ha spento la vena poetica: “La bottega della poesia”, la pagina  settimanale che Gilda Policastro tiene sabato su “la Repubblica-Roma” è sempre piena di contributi. Anche aggiornati, l’ultimo è sul lockdown.

Italiano Fu un sorta di lingua franca per tre-quattro secoli, dei pellegrini a Roma, e anche la lingua dell’Europa colta, accanto al latino. A partire da Petrarca, dal petrarchismo. Fino a tutto il Settecento, quando italiano non è soltanto il linguaggio della commedia e la lingua della musica, Mozart compreso, nella corrispondenza e nelle opere, nonché il langage des dames, ma è anche il disegno architettonico e urbanistico, la critica dell'economia, e perfino la speculazione filosofica. Per Vico, Giannone, Pietro Verri – dopo Giordano Bruno e i calabresi Campanella e Telesio. L’“Antropologia pragmatica” di Kant, sintesi di trent'anni di corsi universitari, fa ampio ricorso alla filosofia italiana, specie in materia di piacere e dolore, di filosofia e teodicea.

Si è scritto molto in italiano in Francia: Rabelais, la regina Margherita, i poeti del Cinquecento, specialmente Louise Labé, Montaigne, perfino Diderot in una pagina irriguardosa (la prostituzione omosessuale) dei “Gioielli indiscreti”. Voltaire aveva eletto l'italiano a langage des dames per corrispondere con la nipote Marie Louise Mignot, “Madame Denis”, che leggeva e scriveva italiano, e altre amanti. Scrisse in veneziano a Goldoni, come documenta una vecchia pubblicazione di Emilio Bodrero, il nazionalista che fu deputato e senatore fascista fino al 1943, “Poesie e prose in italiano di scrittori stranieri”, uscito postumo sessant’anni fa. E a Cesarotti con lusinga: “In italiano si dice tutto ciò che si vuole, in francese solo quel che si può”. Padroneggiava l’italiano anche nelle derive burlesche o satiriche, alla Pulci, alla Folengo.

Rabelais, nel curriculum che apre il”Terzo Libro” di “Gargantua e Pantagruel”, vanta di avere scritto delle opere “in toscano”. Al capitolo IX del “Secondo Libro” Pantagruel, incontrando per la prima volta Panurge, lo sente esprimersi in quattordici lingue, avendo frequentato il mondo poliglotta degli studenti, compreso l’italiano - terza lingua dopo l’arabo e l’ebraico …. (il francese viene per ultimo). Un italiano affettato, curiale, nello stile della prosa codificato da Bembo, praticato da Castiglione e Sannazzaro. Ma col sottofondo del Pulci, nell’immagine della cornamusa che per suonare vuole il ventre pieno: “Signor mio, voi videte per exemplo che la Cornamusa non suona mai s’ela non à il ventre pieno”.  Alla stessa maniera si eserciterà ancora Diderot, alla pagina aretinesca dei “Gioielli indiscreti”, di “bacci alla fiorentina”, tra uomini, “i quali ci pagarono con generosità”.

Di Voltaire si sono conservate 178 lettere scritte in italiano,  ad Algarotti e Goldoni tra i tanti. I più uomini di chiesa: sacerdoti, frati, gesuiti, teologi, cardinali, e i due papi Benedetto XIV (tre lettere) e Clemente XIII. Con Benedetto XIV, un intellettuale, gli scambi furono culturali. A Clemente XIII Voltaire inviò, congiuntamente con Mme Denis, la richiesta di un reliquia di san Francesco per una chiesa che “Francesco di Voltaire” intendeva edificare “nelle vicinanze dela Herezia”. Non uno scherzo blasfemo, come si potrebbe pensare: le reliquie furono spedite, al chiesa fu edificata, e Votaire vi prese anche al comunione, per dare “un esempio edificante” ai popolani.
Anche Voltaire scrive “baccio”, con due c, come Diderot - e “adio”, con una d. Nel 1746 aveva scritto un trattatello in italiano, “Saggio intorno ai cambiamenti avvenuti su’l globo della terra”, per essere accettato quale membro di cinque accademie, quella della Crusca, e quelle di Bologna, Firenze, Roma e Cortona.

Numerosi nel Settecento gli italiani che scrissero anche in francese: Galiani, Goldoni, Casanova. Mentre si scriveva in italiano, sempre nel Settecento,  anche in Germania, incluso l’antipatizzante Herder. In casa Goethe c’era un istitutore d’italiano. Il padre di Goethe, Johann Caspar, scrisse un prolisso “Viaggio in Italia” in italiano. Mozart scriveva indifferentemente in italiano e in tedesco.
Il Settecento era tempo di eteroglossie, a giudizio di Gianfranco Folena, “L’italiano in Europa”: una sorta di cosmopolitismo linguistico. Ma italiano era indubbiamente il linguaggio della cultura. Da Pietroburgo a Madrid. Fino a Ottocento inoltrato, alla “nostra Italia” di Elisabeth Barrett Browning. Compresi, a Londra, i Rossetti padre e figlia, Gabriele e Christina. Christina, di famiglia italiana anche per parte di madre, una Polidori, sorella del medico di Byron, fu in Italia una sola volta, non entusiasta, ma tradusse e imitò Metastasio.

Respect – Spectre: è l’ultimo anagramma di Gianni Mura, l5 marzo,  su “la Repubblica”. Anche nell’ultima malattia ci vedeva chiaro.

Roma – “Una città dove quasi nessuno ha davvero una meta”, Patrizia Cavalli, “Con passi giapponesi”, 66. A condizione di alzarsi tardi.
È vero però che rimane affollata anche dopo.

Sartori – Il “Corriere della sera” fa tesoro di Giovanni Sartori, che ne è stato commentatore politico negli ultimi anni, e ne celebra la memoria in ogni occasione – ora anche in due pagine per i tre anni dalla morte. Far entrare Sartori in azienda fu difficile nei tardi anni 1980, che pure erano di grandi progetti di riforma istituzionale. Il professore rispondeva volentieri da New York, dove insegnava. Ma non interessava a nessuno. A stento qualche intervista minima, tipo “naso” (riquadro), si poté pubblicare sul settimanale “Il Mondo”. Non che fosse uno sconosciuto – la sua fama anzi riverberava dall’America. Ma era liberal, e non andava bene al compromesso storico.

letterautore@antiit.eu

Il corpo di Napoli, a letto e in cronaca

Avendo deciso che Napoli è il luogo “dei corpi, della carne, del sesso”, lo scrittore “siculo-francese” che di Napoli è diventato cittadino onorario la mette in scena in vicende di sesso avventuroso infaticabile, e di ludibrio. Mentre lui stesso naviga personalmente in un mare di rotondità, tra coiti a ripetizione, di ogni genere – omaggio allo sdoganamento della pornografia che si praticò nell’editoria europea un lustro fa (in Carrère se ne trovano casi, perfino nel casto Enzensbger)? Questo nella seconda raccolta del volume, “Encore en tour autour de la vie”, del 2016 – ai sessant’anni, non detti, dello scrittore? Con le storie parastoriche della Santa Vulva (Suor Giulia di Corna), una Santa Baubo giovane, tra Cinque e Seicento – la Baubo originale è la vecchia che fece sorridere Demetra, in lutto per la scomparsa della figlia Persefone, denudandosi le parti basse. Della saponificatrice di Venafro, molto brutta e molto fascista, e molto abile in affari, roba della entrata in guerra, col processo, e le memorie in carcere. E dei”bambini-doccia” nei bagni di scuola dei-delle tredicenni a Napoli.
Un caso di cronaca, quest’ultimo. Come quelli che Schifano racconta nella prima raccolta del volume, “Everybody is a star”, del 2003. Un seguito delle fortunate “Cronache napoletane”, 1984: cronache semplici, prese dall’attualità, e raccontate il più semplicemente possibile, con linguaggio quasi piatto, da verbale giudiziario. Che atterriscono per gli eccessi, quasi sempre di violenza, quasi sovrumana, di Napoli in questi ultimi decenni. Di furori quasi astratti, tanto sono inimmaginabili: la mamma che castra il figlio omosessuale, il giovanissimo camorrista che uccide la madre perché ha un amante. Compresi già i bambini terribili che poi diventeranno “paranze”. Racconti, si direbbe, alla Malaparte di “La pelle”. Soprattutto quelli della seconda raccolta. Ma anche i primi, brevi aneddoti inverosimili, benché senza l’onirico - l’inverosimile, o fantastico, è nei fatti. Racconti “omerici”, o tragici, da intendere per ineluttabili. Senza tornaconto o calcolo. In effetti non sociologizzabili, se non per un pregiudizio post-unitario, oggi leghista.
Ma Schifano è anche conoscitore come pochi, oltre che estimatore, della “nobilissima Partenope”. Padroneggia perfino, da virtuoso, il napoletano stretto in traduzione, riuscendo a salvarne il senso sonoro oltre che semantico. E ne racconta il male da difensore preconcetto della città, contro tutto e tutti, soprattutto Garibaldi e i Savoia. Per ultimo usa il lapsus di papa Francesco a Napoli, “la corruzione spuzza”, per salvarne anche la corruzione: il papa voleva dire che quella di Roma, del Vaticano, puzza anche di più.
Polemiche soprattutto le presentazioni: “Chi non riconosce il valore dei Borboni non sa niente di Napoli. Carlo III è stato un grandissimo dirigente. Loro hanno costruito, i Savoia invece hanno distrutto”. La città è un corpo martoriato, dall’unità: “Napoli è come un ex voto, da 150 anni è smembrata, il cuore qui, una gamba là”. Malignamente profetico: “Fra 50 anni Salerno e Caserta saranno unite da un solo territorio urbano, sarà cosa favolosa. Volevano ridurre Napoli a una città bonsai, invece ne hanno fatto una pantagruelica”. Il prologo alla seconda raccolta, intitolato “Garibaldo”, si propone di “fare giustizia” di questo “Fregoli della storia”, intenzionalmente deformato in ribaldo. E di Cavour: gli occhiali di Cavour, “’e lent’ a Cavour”, sono a Napoli le manette.

Jean-Noël Schifano, Le corps de Naples. Folio, pp. 305 € 8


mercoledì 8 aprile 2020

Cronache virali

A Brescia, focolaio dei contagi, hanno continuato a lavorare 5 mila aziende, 17 mila in Lombardia, ventimila in Emilia-Romagna, oltre 15 mila in Veneto, oltre settemila in Toscana: le aree più colpite da virus. C’è la chiusura coatta, per decreto, ma basta una comunicazione in prefettura, e vige il silenzio assenso: lavora chi vuole. 
Il sindaco di Milano, Sala, rileva un aumento del 40 per cento degli spostamenti nei primi giorni di questa settimana.
La metà di tutti i positivi al coronavirus, poco meno, si è avuta in Lombardia. La Lombardia registra il 55 per cento dei morti per corona virus, 9.722 su 17.669,
Nella sanità tagliati 45 mila posti, dal 2009 a oggi. Ma la spesa è cresciuta - anche più del pil, molto stento in questi anni: da 100 a 118 miliardi. Non a creare terapie intensive.
Sono quasi cento i medici morti (95) per contagio. I decessi di infermieri sono un quarto, 26 – ma su 6.549 contagiati.
I contagi tra gli infermieri sono un terzo del totale attuale.

Secondi pensieri - 415

zeulig

Filosofia – Una breve veridica  storia è quella di Holt, “Perché il mondo esiste?”, 312: “Accettata l’ipotesi (Cartesio, n.d.r.) che l’io crei se stesso, il rischio è di scivolare giù per una china trascendentale. E di trovare, giunti giù, una curiosa forma di idealismo convinta che l’io, creando se stesso, crei l’intera realtà. Può sembra e assurdo ma è un concetto che affiora speso nella filosofia europea, sin dai tempi di Kant. In versioni diverse, l’hanno fatto proprio Hegel, Fichte e Schelling nel XIX secolo, Husserl e Sartre nel Novecento” – non considerando, evidentemente, il “farraginoso Heidegger”.  
Che altro può indagare la filosofia se la materia resta ignota alla scienza?

Usa dire la “filosofia europea”. Come se ce ne fosse un’altra. La filosofia, intesa metafisica, è europea.

Hegel – “Mi serviva un giorno per leggere dieci, al massimo quindici, pagine di Hegel. E alla fine della giornata ero esausto”. È il ricordo di Giovanni Sartori in “Caso, fortuna e ostinazione” (ora in “Logica, metodo e linguaggio nelle scienze sociali”), dell’anno 1943-44 in cui, nella sua città, Firenze, occupata dai tedeschi, dovette nascondersi per sottrarsi alla leva della repubblica di Salò. Ma per questo - “si ricordi  che, almeno in teoria, riuscivo a capire Hegel” – alla ripresa degli studi fu “considerato enfant prodige”, e nominato professore di Filosofia.

Heidegger – Una lettera ora resa pubblica del 2011 a Emmanuel Faye di Gregory Fried delinea una incontrovertibile propensione nazista (razzista) di Heidegger, anche prima e dopo Hitler. Attraverso la corrispondenza, dai primi anni 1910, contro la “giudaizzazione” dell’università e della cultura tedesche. E con la ricostruzione, semplice, della riabilitazione da Heidegger tentata e riuscita nel 1946-47. Fried è ri-traduttore di Heidegger in America (insieme con Richard Polt e Tom Rockmore), e autore nel 2004 di un “Heidegger’s Polemos”, uno studio sul concetto di Auseinanderersetzung, di confronto frontale con tutta la tradizione, Nietzsche compreso –Nietzsche compreso non per altro, perché era cosmopolita.
Fried si rifà allo stesso Faye, e a Rockmore come prefatore di Faye nella traduzione americana, per chiarire l’ambiguità di Heidegger dopo la guerra. Puntò sulla Francia, di cui non conosceva né apprezzava la filosofia, nemmeno Cartesio, e in teoria avrebbe dovuto essere la grande nemica di ogni cosa tedesca, perché la Francia aveva avuto il regime di Vichy, quattro lunghi anni di collaborazionismo, da giugno 1940 a tutto agosto 1944, e perché la Francia era la potenza Alleata occupante della regione di Friburgo, e quindi quella che avrebbe deciso del suo destino accademico – “l’abilitazione a insegnare e perfino la sua biblioteca privata erano a rischio”. Si indirizzò prima a Sartre, invitandolo a Todtnauberg. Quando Sartre rifiutò, si rivolse a Beaufret, uno studioso allora sconosciuto, ma non a lui: lo invitò a Todtnauberg, e gli inviò nel 1947 la “Lettera sull’umanismo”, con la quale, “sbudellando Sartre”, si impose in Francia. Rockmore prova l’antisemitismo di Beaufret, che sarà uno dei revisionisti dell’Olocausto: Faurisson, il negatore per antonomasia dello sterminio degli ebrei, è stato allievo e poi collega di Beaufret, che lo sostenne sempre pubblicamente.
La ricostruzione dell’Operazione Riabilitazione di Heidegger si può consolidare con tre particolari che Fried omette. L’invito esteso a Celan, sempre a Todtnauberg. Quello propiziato, via Beaufret, da René Char in Provenza. E l’operazione simpatia felicemente avviata nel 1950, insieme con la moglie Elfride, nei confronti di Hannah Arendt, l’amante ripudiata di venti anni prima, quando lei nel 1950 ebbe l’occasione di tornare in Germania.    

Idiosincrasia – “L’idiosis dei sentimenti e delle vite”, che Platone biasimava, come “il più pericoloso male dello Stato”, Federico Condello propone di “renderlo con « individualizzazione» o « privatizzazione» (“ma potremmo renderlo anche con «idiozia», come l’etimo suggerisce”). Un aggiornamento del classicismo al mondo virtuale digitale: come un movimento retrattile, in se stessi, nel mentre che ci si immerge nel mondo, nella rete, nei social. La socialità, l’impegno pubblico che Platone avocava, non è stare nel mezzo, nella folla, ma riflettere.
Ma resta curiosa l’assunzione della “idiosis” nell’idiosincrasia, il cui significato corrente (“incompatibilità, avversione, ripugnanza verso oggetti, situazioni o anche persone”) è l’opposto di quello etimologico. Le etimologie sono complicate (controvertibili). Ma anche il classico.  

Miscredenza - I miscredenti e noi, in Knut Hamsun, “Per i sentieri dove cresce l’erba”, 109: “I miscredenti affermano che è impossibile per loro condividere la nostra fede. Dicono che solo la nostra superstizione, o più esplicitamente la nostra stupidità, ci permettono di credere, e citano una serie di punti della Bibbia che la loro ragione non può accettare. Eppure, amici miei, tra di noi ci sono individui che pur condividendo la nostra fede non possono davvero essere tacciati di stupidità”.

Morte - L’anima muore più volte. Non si può mai capire la morte. Conrad Lorenz, in una intervista nel 1989: “Mio padre diceva sempre che l’anima è molto più mortale del corpo. Non si potrà mai capire la morte”.

Timor mortis conturbat me” è lamento medievale.

Opinione pubblica – John Dewey, “The Public and its problems”, 1927, avviava quella riflessione cui concetti basilari (ovvi) della politica che poi intrigherà Sartori (“Democrazia e definizioni”), ponendo il problema di cosa intendiamo quando parliamo di “pubblico”, “Stato”, “governo”, “democrazia”. Dal punto di vista deweyano, del pragmatismo, dell’effettualità delle cosa. Andando al fondo dei “fatti”, al significato dei fatti.
La maggiore disfunzione rilevava nell’interazione fra l’individuo, il soggetto dell’azione, mentale e morale, e le influenze sociali di ogni genere entro cui l’individuo opera – ed è operato. Di cui l’informazione è solo una parte. 

Carlyle, antidemocratico, si arrendeva alla stampa: “Inventa la stampa e la democrazia è inevitabile”. In senso deteriore, a suo avviso.

Manzoni, della peste, notava: “Il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”.

Scienza – Julian Huxley, “Essays of a Humanist”, 1960, p. 107-8: “Quante vote ci hanno raccontato che la luce abbagliante della scienza abolisce il mistero in favore della logica e della ragione.. Non è affatto vero. La scienza ha rimosso il velo di mistero da tanti fenomeni, a beneficio della razza umana: ma ci pone di fronte a un mistero fondamentale e universale, quello dell’esistenza… Perché esiste il mondo? Perché la materia del mondo è tale? Perché possiede caratteristiche mentali o soggettive oltre a quelle materiali e oggettive?”

zeulig@antiit.eu

Su Roussel un giallo Sciascia

Uno dei primi libri Sellerio – allora Edizioni Esse – dopo una prima pubblicazione sul settimanale “Il Mondo”, il 14 marzo 1971 – con una nuova presentazione di Pasquale Squillacioti. La ripresa di un “cold case”, i casi giudiziari non risolti, sollevato nel 1964, il 10 dicembre, da Mauro De Mauro su “l’Ora”, il giornale di Palermo: la morte a Palermo, al Grand Hotel et Des Palmes, il giorno della Bastiglia del 1933, dello scrittore francese Raymond Roussel. Trovato chiuso nella sua stanza, per avere “esagerato”, disse l’inchiesta sommaria di Polizia, “nella dose dei farmaci”, che prendeva perché “era ammalato  al cervello e pigliava dei medicinali per stordirsi”. Grazie anche alle testimonianza del cameriere Tommaso Orlando, figlio di Gaetano (poi curiosamente chiamato da Sciascia Gaetano Orlando), che per primo era intervenuto due settimane prima a salvare Roussel che si era tagliato le vene dei polsi. Di un facchino svizzero, Kreuz. E del medico dell’albergo, il professor Michele Lombardo. Il dottore era diventato nelle passate settimane confidente e amico del morto, del quale ricorda che giorni prima, affacciandosi dal balcone, gettava denaro ai passanti. Con l’ausilio del preciso diario terapeutico che per il morto teneva la signora sua convivente, “da circa 23 anni, maritalmente pur non avendolo mai sposato”, Charlotte Fredez, 53 anni, tre meno di Raymond. Nonché delle chiacchiere del giovane autista della “sontuosa e funebre roulotte” con la quale i due viaggiavano. 
È il primo di una sere di racconti-indagini che prenderanno poi la scrittura di Sciascia, “I pugnalatori”, Majorana, Moro, lo “smemorato di Collegno”. L’inquisitore Sciascia non risolve il caso, lo moltiplica. La morte di Roussel lascia agli “atti” giudiziari che riproduce, ma vi introduce il mistero dello scrittore che nella vita si perde, e vi rinuncia. Anzi, ne aggiunge due, anche uno suo. In “Nero su nero”, la raccolta di scritti vari di pochi anni dopo, 1979, Sciascia dirà che Roussel non gli interessava in quanto scrittore, semmai per “il suo non essere scrittore”. Per essere incapace di esserlo. “Scriveva, scriveva”, dice del morto senza pietà, irritato: “Ma tutto quello che ha scritto si accumula come una dolorosa gratuità, una enorme e tragica insignificanza. Non era scrittore, e voleva esserlo. Non aveva talento, e voleva darselo. Il suo ideale di scrittore era Pierre Loti (che è quanto dire)”. Mentre Roussel non voleva essere Loti, scrittore di esotismi, anche se scrisse un “Impressions d’Afrique”, ma tutto il contrario.
A Roussel Sciascia dedica in “Nero su nero” queste poche righe. Liquidandolo subito poi come scrittore della domenica, o il concorrente delle vecchie sagre locali, ora nazionali, alla “io scrittore”: “Anticipava una tragedia che molti oggi vivono. O che non vivono: se è facile, com’è facile,  trovare sempre qualcuno che è disposto a riconoscere talento a chi non ne ha, a proclamare scrittore o pittore o filosofo chi scrittore o pittore o filosofo non è”.
Come genere, la freccia tossica di Sciascia è bene indirizzata. Ma Roussel è incolpevole – gli studi rousseliani riempiono una vasta e qualificata bibliografia, rilanciata da Foucault. Ed è qui il terzo mistero, quello che la stroncatura apre: dei criteri o della capacità di giudizio di Sciascia. “Nero su nero” è uno zibaldone non ordinato, non per tema né per date. Ma esce a metà 1979. Quando almeno da due anni era disponibile la riedizione degli “Atti” a marchio Sellerio, con un risvolto che faceva stato di una setta agguerrita di “rousselâtres” in Francia. Del resto la Edizioni Esse degli “Atti”, 1971, nella Collana Bianca, recava in copertina uno schizzo di Clerici ben “rousseliano”. E un saggio ampio, quasi più del racconto di Sciascia, e argomentato di Giovanni Macchia, “L’ultima macchina di Roussel, ovvero la luce, l’estasi e il sangue”, su cui è difficile confondersi. L’illustre francesista vi riconciliava i due aspetti contraddittori di Roussel, di homo faber e di innovatore (precursore del surrealismo), “macchinista” e esteta-estatico. Uno scrittore non dai grandi risultati, forse, ma personalità complessa: “Tutta la produzione di Roussel, dopo i romanzi in versi, s’indirizza verso una sorta di modello puro, uno di quei modelli che nessun viaggio esotico può riuscire a farci incontrare: frutti di una gioiosa e gelida malattia e di una formidabile dose di «humour noir»: farse automatiche che un acuto razionalismo applica al caso”. C’era di che indagare. 
Leonardo Sciascia, Atti relativi alla morte di Raymond Roussel, Adelphi, pp. 69 € 7


martedì 7 aprile 2020

Salvarsi dal mercato

Non si dice, ma il decreto con cui il governo blocca qualsiasi tentativo straniero di acquisire ostilmente un’azienda italiana, anche piccolissima, è senza precedenti. E non è isolato, altri decreti analoghi sono in vigore o in preparazione nell’Est Europa e in Spagna - in Francia bisogna sempre fare i conti col governo e in Germania da sempre non sono possibili “scalate ostili”, acquisizioni senza il consenso degli azionisti storici. Tutto questo mentre lo stesso commercio mondiale, non soltanto i mercati finanziari, sono in crisi.
In Italia il provvedimento è tanto più eccezionale in quanto la Consob, l’organismo pubblico che garantisce il mercato di Borsa, ha difeso fino all’ultimo la speculazione al ribasso che ha decimato il listino – non vale la metà di un mese fa. Giustificandosi col dire che non c’era un’“azione concordata”. 
Il contrasto altrove avrebbe portato alle dimissioni o allo scioglimento della Consob. La quale, forse, concepisce la speculazione come nei romanzi dell’Ottocento, o con un Soros fiammeggiante, angelo vendicatore. Mentre è organizzata, insidiosa, forte dei meccanismi del cosiddetto mercato. Che non è quello di Adam Smith, che fa gli interessi di tutti, ma un mare infestato di pescicani.

Verso la fine della Wto, e dell’atlantismo

L’organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organisation) è bloccata. E potrebbe perdersi. Gli Stati Uniti ne contestano le attività giurisdizionali, da arbitro dei contenziosi. Non da ora, dai tempi di Obama. Che invece la Ue ha sviluppato e impone.
Se la contesa si irrigidirà, sarebbe uno scontro in più tra Europa e Stati Uniti. Un ultimo strappo all’economia della solidarietà atlantica – che resta solida unicamente sul piano militare.
La Wto è l’organismo che ha presieduto, su interesse e indicazione degli Stati Uniti, alla liberalizzazione del commercio mondiale, senza più dazi né contingenti-quote. La funzione giurisdizionale la Wto ha acquisito nel 1995, con la presidenza Clinton, motore della globalizzazione, e le ha consentito di giudicare circa 600 casi. Ma ha innovato sulle regole – i suoi statuti - come forse è inevitabile nella giurisdizione, e questo gli Stati Uniti lo contestato.
La Ue ha provato a superare la contestazione d’accordo con la Cina. Proponendo un sistema analogo a quello (Instex) messo su due anni fa dalla stessa Ue per “proteggere” gli scambi europei con l’Iran dalle sanzioni americane – per evitare di incorrere nelle sanzioni. Una proposta su cui ha ottenuto alcuni consensi – risulta firmata da quindici paesi. Ma ha soprattutto ottenuto di schierarsi contro gli Stati Uniti, con la Cina.
Con gli Stati Uniti sono economie importanti nel mercato globale: Giappone, India, Turchia.

La fatica della (auto)satira

Perché c’è qualcosa intorno a me, invece di niente? E perché quella? Prose in solitario, in solitudine. Eccetto qualche sgarbo, di un’amante, di una mendicane che sputa l’elemosina. La madre, malata di misantropia. La nonna liberata dalla memoria, allegra.  A Todi, attorno a Todi, e a Campo dei Fiori, che in effetti è un mondo – allungato a Largo Argentina, per le gattare di un tempo. E viaggi , con molti bagagli. Ma senza una meta, non sappiamo dove. Immaginando male: “Perché il lieve viaggiatore intelligente non ha bisogno che di un piccolo bagaglio? Perché non immagina proprio niente” – ma non è al contrario? Col corredo di una raccolta, “Varietà”, di riflessioni brevi e brevissime. In un universo femminile. Al maschile è solo declinato un viaggiatore che si porta vie tutte le lenzuola degli alberghi dove dorme, per non separarsi dai sogni – ma perché viaggiatrice suona male (o l’aneddoto è storico?)? Con molto interrogarsi, riflettere se stessa, sul nulla. Il mal di testa. Il piacere della cucina, ghiotta, robusta, abbondante.
 “Con passi giapponesi” va una “piccola sarda” – la sarda è piccola, si sa, questa e anche “culo basso”, da qui i passettini, giapponesi. Unica amata, a prova di abbandoni. E alla fine “unica vedova” – in un mondo senza più morti? Una fiamma, forse svanita, ma confusa - a parte l’astio. Consapevolmente: è “luogo comune l’inquietudine spesso dolorosa con la quale molte donne scrutano gli altrui corpi femminili”. O è l’amore non amato? Col cruccio di non averlo mai fatto con un uomo? “Io che non ho mai conosciuto l’amore con un uomo, ma sempre ho sentito parlare di disastri e di potere, ora con te, donna assoluta”, il grido erompe a un certo punto, “ora io conosco ogni oppressione”.
Ma le giapponeserie non si vorrebbero delicate, di cose, di parole-cose? Prose oneste, probabilmente, non atteggiate - facendo a meno del blurb promozionale di Berardinelli, che evoca Longhi e Parise. Ma di suono rondista: prose d’arte. Forse Cavalli si vede  ragazza, e anche il lettore, come nelle foto di copertina, e non si capacita, non vuole. E abbandona la concisione arguta, allegra, che la caratterizza. Per una satira, ancorché contrita. Del guardarsi o specchiarsi, che alla fine non è più euforizzante: “A quarantadue la bocca si fa grave”, dopo i cinquanta “le gambe si insecchiscono”, e “quei segni crudi agli angoli degli occhi, chiamati appunto zampe di gallina”. Un procedere swiftiano, “ma quanta fatica”.
Patrizia Cavalli, Con passi giapponesi, Einaudi, pp. 168, ril. € 17,50                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      

lunedì 6 aprile 2020

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (421)

Giuseppe Leuzzi

A Nord del Nord
Si sono visti, si vedono tuttora, foto di mercati pieni di gente a Genova, a Torino, perfino a Bergamo. A Milano il sindaco Sala ha chiesto ai Carabinieri di bloccare i flussi, dopo vari appelli
andati a vuoto alla disciplina. Le cronache invece si tenta di farle con le bizzarrie e le indiscipline del Sud, ma sono sterili, niente al confronto. La superiorità può fare danni.
 “Se l’intero Sud collassa, il Nord cessa di esistere” è il commento del governatore uscente della banca centrale d’Olanda, Nout Wellink, a proposito del che fare contro la pandemia. “Se il Nord non aiutasse il Sud, perderebbe non solo l’Europa ma anche se stesso”, gli fa eco un gruppo di intellettuali tedeschi, Habermas, Schneider, l’ex ministro degli Esteri Fischer, l’ex vice-cancelliere Gabriel, la regista von Trotta tra gli altri. Lapalissiano. Ma non per il Nord d’Italia.
La Germania non vuole aiutare la Lombardia? È colpa della Magna Grecia, scrive Cazzullo sul giornale lombardo, il “Corriere della sera”: “Il pensiero di pagare gli stipendi ai Forestali della Magna Grecia e le pensioni ai falsi invalidi non entusiasma i contribuenti tedeschi”. A prescindere dal fatto che i fasi invalidi sono in Germania proporzionalmente più che in Italia, e che i forestali non esistono più dal 2017, che cosa non si fa per un “Corriere della sera” – per la gloria di Milano? della Lega?
Questo mentre almeno la metà della Germania, la “Süddeutsche Zeitung”, “Die Welt”, “Tageszeitung”, il giornale della Confindustria “Handelsblatt”, e perfino la “Bild”, il tabloide superpopolare, non trovano tante giustificazioni. Solo il giornale omologo del “Corriere della sera”, la “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, si contorce: stessa obbedienza? Se il Sud collassa, crolla il Nord, chiunque lo vede.
C’è sempre un Nord più a Nord del Nord, si è sempre detto: Nord è soprattutto avvantaggiarsi degli altri – il che si fa passare per concorrenza, ma è jugulazione (voglia di). Anche in questa crisi: basta truccare i dati dei morti e si possono fare lauti affari, nonché conquistare posizioni di mercato, a danno di chi è in lockdown, costretto all’inattività – e lunga vita al coronavirus. Non sono pregiudizi o paranoie, è quello che è avvenuto, e tutt’oggi avviene, in Svezia, Olanda, Germania, Svizzera, perfino in Austria.
La Svezia, che poteva evitarsi il contagio essendone stata toccata per ultima, lo ha superbamente ignorato. Salvo ricredersi di fronte ai morti. Non l’ha fatto per incoscienza, sapeva naturalmente di cosa si tratta: l’ha fatto per ribadire la patente di superiorità – tutto ciò che è “svedese” è meglio, non solo Greta. Non hanno il sole, ma ancora per poco.

Mafie virali
La preoccupazione maggiore nella crisi del virus è di “mettere in salvo” le grandi imprese italiane, Eni, Enel, Leonardo, Intesa, Unicredit – l’elenco s’ingrossa ogni giorno. In salvo dai raider. Si dà per scontato che interessi mafiosi siano in agguato: banche d’affari, fondi d’investimento, anonime, broker, in cerca di prede, da squartare e rivendere al meglio, in pezzi pregiati. Ma senza scandalo, nessuna polizia è invocata, legge, giurisdizione.
Nel semplice business della strumentazione antivirale, guanti, tute, gel, mascherine, con e senza valvola, usa-e-getta e riutilizzabili, ventilatori, aspiratori, bombole, ossigeno, certificazioni, almeno una dozzina di schemi mafiosi si sono imposti in pochi giorni, con centinaia di operatori. Che altrove si direbbero capimafia: mediatori (broker), trasportatori, incettatori (grossisti), certificatori, falsari, e ladri, in Italia e all’estero. Mafiosi padani, cinesi, turchi, e di altre nazionalità. Le merci sanitarie girano per molti “controlli”: dal Brasile, per esempio, o dalla Cina, passano per Mumbai, Dubai, Canada, itinerari geograficamente bizzarri, evidentemente delle cosche in affari.
Tutto per far crescere, col bisogno, i prezzi, di dieci e perfino cento volte. Senza mettere un centesimo: spendendo le lettere di credito disperate, generose, dello Stato italiano – delle Regioni, della Protezione Civile, della Croce Rossa italiana. Schemi interamente mafiosi – anche le vittime ci sono, e numerose, benché non sparate.
Tutto questo si sa e si dice, ma non si chiamano mafie. Sono il mercato. Che, basta la parola, è salvifico. Ma per proteggersi dal quale centinaia e migliaia di miliardi sono necessari. Un dispendio pazzesco, cento volte, in un solo mese, le azioni secolari di contrasto alla mafia, i dossier pluridecennali, gli arresti tardivi, i processi a babbo morto. 

Sì, ma prima?
Un giovane che si firma Cutri scrive un bel racconto al “Corriere della sera” degli ultimi minuti di vita della nonna, del suo vano girare in motorino in cerca di medicinali inesistenti che la terrebbero in vita, e di tre medici, tre dottoresse, che in vario modo si è trovati accanto in quei minuti come tre apparizioni angeliche. Non mute, verbali. Ma il giusto.
Il giovane si chiama Cutrì in realtà, ma come molti ha abbandonato l’accento. Come Macri, il presidente argentino. Cutrì, Macrì, Cordì, Laganà, Bagalà, Vadalà, Spanò, Sofré, i cognomi con l’accento finale sono di derivazione greca – spesso semplici traduzioni – oppure francese e quindi hanno una storia e un pedigree. Ma identificano l’origine, meridionale, calabrese o salentina, e quindi sono vissuti come una tara.
Complici gli ufficiali settentrionali dello stato civile - quelli del Nord-Ovest, per i quali già le parole piane sono sospette, e i nomi ossitoni sono tronchi, e quindi, a loro sentire, manchevoli - il cognome facilmente si aggiusta, si italianizza. Ma succede come agli ebrei che tra Otto e Novecento, per assimilarsi meglio, e per sfuggire al razzismo, infine feroce, si cambiavano nome. Salvo poi sentirsi apostrofare, dai notai asburgici, o dagli ufficiali dello Stato civile in Germania e in Francia: “Sì, ma prima?” 
Le identità dimezzate o negate sono faticose da gestire, ma perché il Nord le vuole negate?

L’emigrazione naturale, prima del leghismo
Tra le simpatiche storie dei centenari che hanno vinto il coronavirus il “Corriere della sera” ha oggi quella di due fratelli, Michelangelo, 97 anni, e Nino Scutellà, 100. Michelangelo specialmente è vispo: si lamenta, poco, della segregazione, e si occupa leggendo, libri, giornali, eccetera. I due fratelli, che non hanno rinunciato al cognome accentato, sono detti “originari di Santa Giorgia, un piccolo paese alle pendici dell’Aspromonte, nel Reggino”.
Santa Giorgìa, col “gìa” largo, è nome recente per Vorijìa, o Borijìa, toponimo frequente in Grecia - è brezza, venticello. Poche case su un costone che dà su un ruscello. In una valle stretta, ma luogo di grande amenità benché chiuso. Oggi abbandonato – eccetto che per la terza domenica di agosto, festa della Madonna della Catena. Si fatica a vedervi i due Scutellà bambini. Come cambia il mondo in poco tempo.
Anche: dei benefici dell’emigrazione. Arricchisce più che impoverisce? Spesso è necessaria, o naturale, nel corso delle cose – Michelangelo è stato ufficiale di Marina, poi ha messo su casa e famiglia a Cremona. Senza beneficio per il luogo di origine, e anzi in perdita, più spesso che no, di iniziativa e capacità di fare. Ma senza colpa, prima del leghismo.  

Milano
Sarà un caso, ma dall’andamento delle curve del contagio regione per regione giorno per giorno, si vede che il picco dei contagi in sei regioni del Sud, in Abruzzo, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna, e in Liguria, è tra il 26 e il 29 marzo, due settimane dopo la grande fuga da Milano. Fra il 7 e il 9 marzo 100 mila persone, calcola Milano, di sono spostate verso il Sud.

Burioni non basta, il virologo del San Raffaele, scendono in campo anche Gismondo (ospedale Sacco), e lo stesso presidente della regione Lombardia, Fontana, a ingarbugliare le carte. Non a contagiare, non direttamente, ma ci provano. Milano ha proprio la sindrome dell’untore? Efficienza, efficienza, ma niente sotto le chiacchiere?

Nella Lombardia leghista della “sanità modello” la Federazione dei medici di medicina generale prepara azioni legali. La legale della Federazione, Paola Ferrari, nome milanese, preannuncia: “Ciò che si può dire sin d’ora è che in Lombardia c’è stata una sottovalutazione della pandemia e una mancata predisposizione di misure di sicurezza minime, sia per il personale sanitario negli ospedali che per i medici di base”. 
Ma detto in breve, poche righe annegate in un “pastone”.

Merita invece una pagina, lo stesso giorno, nello stesso “ Corriere della sera”, l’ex banchiere Giovanni Bazoli, artefice della privatizzazione sanitaria della Regione, anche tramite il suo protetto Rotelli che a lungo ha fatto per suo conto il padrone del quotidiano: “Nel complesso il sistema lombardo ha retto. La Lombardia ha costruito ospedali di ottimo livello, pubblici e privati”. Anche se concede: “A scapito di una strutturazione sanitaria di base, in grado di assistere anche a casa”.  

Il giorno dopo comunque il “Corriere della sera” trova i colpevoli del mancato cordone sanitario attorno ai focolai d’infezione lombardi. Tre inviati, Imarisio, Ravizza e Sarzanini, riescono a (non) dire che il mancato ordine di chiusura è della burocrazia. Sottintendendo: romana – la burocrazia a Milano è “romana”.  

Un ospedale nuovo a Londra, da 4 mila letti, in una settimana. Uno nuovissimo, mura comprese, a Wuhan in dieci giorni. Uno a Milano, nei locali della (ex) Fiera, in quindici, e non ancora funzionante – inaugurato cinque  sei giorni fa, comincerà a funzionare oggi. Ma basta per annunciare il primato di Milano. Non è sbruffoneria, cioè lo è, ma senza danno per nessuno: è resilienza. E darsi ragione, e andare avanti. I complessi di colpa uccidono.

La maggiore struttura sanitaria lombarda è privata: venti ospedali, di cui tre Ircss (Istituto di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico) - tra essi il San Raffaele, dove officia Burioni. Di proprietà della famiglia Rotelli, il cui capostipite, Giuseppe, esponente di primo piano della Dc di Base (sinistra) lombarda, portato da Giovanni Bazoli, dominus di Intesa, fu a lungo il socio di riferimento del “Corriere della sera”.
Oggi il gruppo è presieduto da Angelino Alfano, l’ex delfino di Berlusconi, uomo di primo piano nei governi di destra e sinistra degli anni 2010. La politica è business.


“Nel 1906”, spiega Cosmacini a Ferruccio De Bortoli su “L’Economa”, “12 dei 24 consiglieri di opposizione al Comune di Milano erano medici. La medicina sociale era una versione del socialismo politico. Un esempio preclaro è quello di Anna Kuliscioff, la dottora”. Certo, è passato un secolo, un abisso.

leuzzi@antiit.eu