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sabato 3 novembre 2007

Se il governo è violento

C’è ora libertà di deportazione per gli immigrati violenti, o clandestini.
Ma non ci può essere immigrazione se non clandestina.
Il governo, che non è immigrato e non è clandestino, è violento. È deportabile?
Kelsen, "L'illecito dello Stato", direbbe di sì.

Bazoli e Gerozi vanno divisi alla stessa meta

Sono entrambi riservati e entrambi uomini di potere. E si fanno gioco di sponda per la conquista di Generali, sotto la presidenza Geronzi. Non si dice ma si sa. Anche se da posizioni oggi apparentemente concorrenti, la presidenza di Intesa e quella di Mediobanca.
Anche in passato è sembrato ci fosse qualche attrito. Sulla Commerciale, che Geronzi contese per qualche tempo a Bazoli – ma era solo per fare un piacere a Cuccia. O in politica, Bazoli a sinistra (corse per un’investitura alle elezioni del 2001, che poi andò a Rutelli), Geronzi moderato – ma si trattava di due maniere della stessa politica, domare Berlusconi. Li divideva anche Fazio, il governatore della Banca d’Italia, di cui Bazoli diffidava mentre Geronzi ne era stretto amico – poi s’è visto che non era amicizia.
Lo stesso schema si riproduce oggi, per Generali e in Telco-Telecom. Intesa e Mediobanca sono concorrenti nel controllo di Telco, e i management delle due banche non fanno mistero di propositi bellicosi. Ma Bazoli e Geronzi tacciono. Allo stesso modo in Generali, dove il sommovimento in corso si presenta come una rivolta contro Mediobanca. In realtà non c’è un attacco a Generali, Algebris è solo un espediente per movimentare il titolo in Borsa. Il disegno è di portare l’ultima grande soggetto finanziario laico dentro l’area confessionale, con una presidenza Geronzi – di garanzia, naturalmente, di equilibrio, di stabilità.

Geronzi in Generali ha l'ok dei francesi

Non ci sono stati approcci diretti ma segnali da lontano sì, molti, mediati da comuni conoscenze, e tutti disponibili, se non favorevoli: Geronzi può andare al vertice di Generali con l’assenso dei francesi. Non solo Tarek ben Ammar, amico personale di Geronzi, ma anche Bolloré avrebbe dato il suo consenso. Non subito, Bernheim è appena stato festeggiato dal presidente francese Sarkozy, e bisogna dargli il tempo per un onorevole ritiro. Lo stesso tempo che servirà a Geronzi per far maturare la sua candidatura - il presidente di Mediobanca non dismette la nota prudenza, con la quale ha potuto finora attraversare, benché praticamente solo, aree infestate da grossi pescecani. I francesi non vogliono proporlo, non potrebbero, ma gradirebbero questa successione a Bernheim più di ogni altra.

venerdì 2 novembre 2007

Bologna nella morsa dell'(ex) Pci

Fu per vent’anni la vetrina del comunismo italiano, specie con i giornalisti britannici e francesi, che apprezzano il vino, e in genere l’ospitalità generosa. Da quando il Pci non c’è più, da una quindicina d’anni, è diventata la scena delle peggiori infamie. Anche il cardinale lo dice oggi, al “Corriere”: Bologna “è sempre più sporca”. Evitando di dire che era troppo ripulita prima, ed è troppo sporcata dopo.
Non lo dice per amore della verità, per che altro? Magari Bologna è una città come le altre, il cardinale forse non viaggia. Se Cofferati vuole fare, da sinistra, il sindaco di destra, che c’entra Bologna? È solo un trucco elettorale: si rimpolpano i voti obbligati del vecchio Partito con quelli dei benpensanti.

Inquirenti consulenti, il '700 a Milano

Sarebbe affascinante, in una corte del Settecento. Già la figura dell'inquirente-giudice è inquietante, roba da “Montecristo”. In Italia, nella repubblichina, una Procura che si fa consulente di un uomo politico sul falso in bilancio potrebbe essere un capitolo della “Casta”. A titolo gratuito, certo. Magari di notte, fuori orario. Per il piacere, o per l’onore.
I giudici Greco, Ielo e Davigo sono esperti di bilanci? Sì, come un qualsiasi ragioniere. Forse. Il dottor Greco. Sono esperti nell’ambito della magistratura, questo sì, che se sa qualcosa sono solo le procedure. Ma soprattutto sono esperti politici. Che sanno chi bisogna perseguire e chi no. Non i Moratti per il collocamento Saras. Non Tronchetti Provera, che spiava mezza Italia – a condizione che molli Telecom, come richiesto da Prodi, il politico della consulenza. Non la Rcs malgrado la gravità dei fatti accertati, compresi i fondi neri per tangenti. Sì Berlusconi, ma per le cose di cui non ha colpa, la Sme, Mondadori, l’Imi-Sir.
Gli inquirenti di Milano consulenti di Prodi sono parte del problema legalità. Come ogni altro giudice, certo, soprattutto i capi, in quel mercato squallido delle influenze che è il Csm che li governa. Anche se Milano è speciale, essendo la capitale morale d’Italia - solo a Milano una Procura della Repubblica che si fa consulente di un uomo di potere può dirsi incorrotta e anzi maestra di onestà.

Secondi pensieri (2)

zeulig

Mito – La mitologia è moderna, se non contemporanea. Le raccolte di Greaves, Kerènyi, etc., sono repertori storici, ma “dicono” quanto il folklore anchilosato.
Per i greci, per restare alla nostra cultura, il mitos non stava fuori né veniva prima del logos, la filosofia, e della vita pratica, la metis.

Perfezione - È l’idea della vita. Non si è per essere perfetti.

Poesia - È l’unico linguaggio che non spreca parole, ogni sua parola è significante e si basta.

È evasione. Anche quando è impegnata, civile, politica: è evasione dall’impegno. Tanta poesia d’amore si fa, perché l’amore è il portale massimo all’evasione. Come la natura.

È un pensiero spuntato.

È finzione – effetti speciali, sottigliezze, insinuazioni, ipotesi. Dov’è la verità della poesia? Nella poesia.

Politica - È gioco ed economia, azzardo e calcolo. Come ogni altra attività umana, l’innamoramento, l’impresa, l’amicizia, la guarigione. Ma deve risponderne al gran numero (le masse, l’opinione pubblica), e quindi ne è sopraffatta.

Ragione - È la madre del dubbio – una madre ostile, presuntuosa.

Religione - È più vera, malgrado le chiese e i dogmi, di qualsiasi altra scienza umana o passione.
Santi – Un solo vero miracolo fanno, soggiogare le coscienze. Anche a fin di bene.

Scrittore – Il mestiere più oneroso e meno redditizio. Senza pensione. Oneroso in termini di spesa, di salute e di tempo. Lo scrittore è vero che non ha tempo, neanche per una sveltina.

Sogno – Reca immagini e situazioni non sperimentate, benché precise, tecnicamente perfette, che si rincorrono in quadri plastici e narrativi invece sperimentati, solo il tempo vi è accelerato. Non quello della rappresentazioni, quello del sogno, che un’epica può comprimere in secondi. In questo senso il sogno potrebbe essere il déclenchement di sinapsi segrete, contorte. Di esperienze che hanno però una loro realtà, non personali, vissute o ricostituite personalmente. Di una realtà altra in noi, seppure nelle forme grammaticali normali, note. È qualcosa che ha a che fare con l’innatismo del linguaggio?

Ma è storia neuronale, o della logica random, dell’uomo non storico cioè: ripete le prima ricezioni d’immagini, non regolate dalla mente. Nella costruzione non spaziata – non prospettica – e senza un vero prima-dopo. Senza neanche la memorizzazione: il sogno è sempre fresco.
Nello stato di veglia, nella nostra mente greco-cristiana, il cervello mette tutto in ordine fabbricando sintesi – narrazioni, rappresentazioni – secondo moduli che si è imprinted con l’accumulo, di esperienze sensoriali e dati naturali (il giorno e la notte, la pioggia, il fuoco, il cielo stellato …): tempo, spazio, causalità, affettività, eccetera.

Stupidità – È imbattibile.

Tolleranza – La tolleranza dei tolleranti è intollerante.

Verità – Ha bisogno di realtà: quella non detta (non fatta valere) non è.

zeulig@gmail.com

giovedì 1 novembre 2007

I figli di Umberto restano in Fiat, ma da soli

Non aspettano l’esito della lite giudiziaria, prevedibilmente lunga, tra John Elkann e sua madre, gli eredi di Umberto Agnelli sono orientati ad accelerare la loro fuoriuscita dalla cassaforte di famiglia, la Giovanni Agnelli & Co.. Senza disimpegnarsi dalla Fiat. Dove però reinvestiranno in proprio. Il presidente di Ifil, Gabetti, cui i due giovani sono personalmente devoti, si sta adoperando per evitare traumi, ma egli stesso è in uscita da Ifil, che resterà a John Elkann, ora vice.
Non c’è polemica fra i due rami della famiglia, ma non c’è nemmeno dialogo. Se il progetto di Andrea e Anna Agnelli si realizzerà, la Fiat resterà sempre a controllo familiare, ma con una presenza distinta dei due rami. E con una diversa prospettiva di capitalizzazione in funzione della contendibilità accresciuta.

La pace bancaria si dissolve, Profumo è solo

C’è una convergenza tacita tra Geronzi e Bazoli nella questione Generali di cui il fondo Algebris è stato l’innesco. Il primo come maggiore azionista di Generali, il secondo come socio, nel capitale di Intesa e nella bancassurance. Con essi è dichiaratamente il presidente della Fondazione Cariverona Biasi, maggiore azionista di Unicredit. Il progetto è di portare Geronzi, gradualmente, al vertice di Generali. Non Biasi, che ci aveva tentato cinque anni fa e non può più rientrare in corsa. Geronzi è il presidente in pectore in quanto meno schierato politicamente di Bazoli – salvò Berlusconi dal crac nel 1994 e tuttora è in buoni rapporti col leader della destra. Non subito. Un primo passo è stato lo stesso diniego di Draghi a Geronzi di assumere cariche in una controllata di Mediobanca: il diniego è servito a mettere in pista la candidatura. Un secondo passo è stata la fibrillazione di Bernheim. Un terzo è la conferma degli ottimi rapporti di Geronzi con i francesi in Mediobanca.
È un progetto politico più che di affari, nel senso che completa la conquista del mercato da parte della finanza confessionale: Generali è l’ultimo baluardo laico. Singolarmente isolato rimane Profumo. Il superbanchiere resta incontestato in virtù dei suoi successi a Unicredit, ma, già diessino e ora veltroniano professo, è tenuto accuratamente fuori da Generali dalla triangolazione Geronzi-Bazoli-Biasi.

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (5)

Giuseppe Leuzzi

“Non ci si può veramente pentire davanti alla polizia”, direbbe Kierkegaard (all’inizio, è vero, di “In vino veritas”).

È un genere. Come il giallo, il sentimentale, lo storico, il femminista. Si dice Sud, e quello è. Per questo si sta bene al Sud, malgrado le assurde deficienze, al riparo di questa scorza giornalistica.
Non è una realtà. È una rappresentazione, modesta.

I delitti di associazione, dopo avere devastato il Sud, e le cupole, minacciano l’Italia. Ma un politico colluso o favoreggiatore è un politico colluso o favoreggiatore. Lo steso un commercialista, un avvocato, un medico. Mentre l’unica vera cupola, si sa, intangibile, perfino impudente, è il Csm, camera privilegiata e tribunale dei magistrati. Incombe già al portone tra gli uscieri, in piazza dell’Indipendenza a Roma.

Sudismi\sadismi. 27 gennaio 2007. Un servizio a due firme su “Repubblica-Roma” fa la storia di due “potenti manager di ospedali e Asl”, Antonio Palumbo e Giovanni Cosimo Speziale, la cui colpa sarebbe, leggendo e rileggendo l’articolo, di essere calabresi e massoni. I calabresi massoni sono “una lobby fortissima che è riuscita spesso a condizionare nomine e a pilotare appalti nella sanità”. Quanto spesso? C’è una massoneria nella sanità? Uno, Speziale, è colpevole anche di avere cercato rapporti in Vaticano. E magari gli autori, Marino Bisso e Carlo Piccozza, sono calabresi. Sono anche massoni?

La mafia, è meglio tenersene fuori.
Anche dall’antimafia.

Sotto l’antimafia in Sicilia (1999) tutto è fermo, eccetto la mafia, estorsioni, grassazioni, furti, violenze, assassini. Prospera solo la mafia. La vita delle persone normali, i commerci, la vita industre, gli svaghi, la lettura dei giornali, è ferma.
Anche se non sembra, non sembra ci sia più la mafia in Sicilia dopo l’arresto di Riina (quello di Provenzano ne è un prolungamento). Non se ne sente più parlare. Non ha cosche, mandamenti, capi, teste di serpente? Non si fanno più estorsioni in Sicilia, traffico di droga, traffico di uomini, traffico di donne, appalti truccati?

Il mafioso, cinico, violento, inarticolato, è uno stupido. È qui la sua pericolosità

La mafia ha il potere che le danno gli studiosi e i carabinieri. Il tipico caso della realtà formata dall’anti-realtà. Nessuna mafia ha mai retto a un’azione di contrasto costante e incorrotta. Senza violenza, senza perdite, basta un giudice che condanni.
È violenza fine a se stessa: nessuna mafia è mai diventata classe dirigente. Altre forme di delittuosità si, l’usura, la guerra (i condottieri), i robber barrons, la prostituzione, il peculato, la speculazione, la mafia no. Non si potrebbe pensare a un’Australia colonizzata dai mafiosi.

Un mafioso è essenzialmente un usuraio, senza capitale. È il tipico succiasangue, il mestiere da sempre più odiato. La favola dell’uomo d’onore e dell’onorata società è il tipico abbellimento che sempre l’usuraio ricco o potente, anche soltanto per la fama di cattivo, costruisce attorno alla sua infamante attività.

La confusione. La democrazia viene sotto accusa non perché ributta merda, ma perché la ricicla. La politica (vacua, presuntuosa, corrotta), i consumi (cheap e cari, inutili, gonfi, grassi), la stampa e la tv (vaghe, futili) producono un modo d’essere finto che al Sud è l’unico. L’interruzione della cresciuta sociale, il ribaltamento dei ceti, non ha portato una nuova classe dirigente ma corruzione e confusione. L’abusivismo di necessità ha impiccato il Sud a scheletri di tre-quattro piani che le famiglie non potranno mai completare e mai nemmeno abitare decentemente: è solo distruzione, dell’orto, del paesaggio, delle poche risorse disponibili. Nulla si salva del “moderno”, che è gel, telefonini, Suv (o macchine tedesche), e l’inesauribile bagaglio degli outlet. Tutto quello che si trova ancora al Sud, soprattutto le piantagioni di ulivi e agrumi, i palazzi e perfino le strade, rimontano almeno a settant’anni fa. L’unica novità è distruggerli – distruggere gli agrumeti di Reggio Calabria, per esempio, che producevano le preziose arance di San Giuseppe, per scheletri di tondino e cemento armato, polvere e terreni di risulta. Nessuno – nessuna autorità ma anche nessun coltivatore – riesce a pensare alla valorizzazione dell’olio della Piana di Gioia Tauro, che pure sarebbe agevole: la Piana è la maggiore produttrice di olio del mondo, ma è quella che ci guadagna meno, il lago di Garda, che avrà un diecimilionesimo delle piante di Gioia Tauro, ci guadagna di più (ci guadagna per ogni pianta di ulivo dieci volte di più, il fatto è stato accertato). O dell'Ovale Calabrese, l'arancia della stessa Piana che si può avere, fresca e succulenta, a maggio, e anche a giugno. È moderno a Gioia il porto, e in forte espansione, ma è quando di meno calabrese si possa immaginare. Perfino in montagna, in Calabria si abbattono castagni di quatro e cinquecento anni, o si cancellano gli alpeggi, per piantare pini canadesi – per far guadagnare i vivai?

Napoletano si diceva nell’Ottocento, e nel primo Novecento, per meridionale.
Ma nessun meridionale, per cattiva o buona sorte, pensa a Napoli. Né Napoli fu mai capitale del Sud, se non per pochi baroni calabresi.

Napoli ha distrutto il Sud.
È un fatto.
È stata un cancro del Sud, lo è dell’Italia: l’aggiustizia è tutta napoletana, i codici alati e impraticabili, e il pagliettismo.

I Borboni vittime di Napoli e non Napoli dei Borboni? È un’ipotesi. Ma è l’unica storia possibile, la spazzatura di Napoli viene da lontano: Napoli è il Sud, ed è l’Italia. Poche aree sono sfuggite a Napoli, così geniale e superficiale, le regioni “rosse”, le Venezie, limitandone la presenza a qualche magistrato sperso e a qualche paglietta sparso. E Roma naturalmente – ma già con qualche danno. Si è napoletanizzato subito il Piemonte, coi suoi prefetti, generali e capi della polizia, brillanti e ignavi, che hanno letteralmente distrutto il Sud. Si è napoletanizzata nel dopoguerra Milano, apprendendone l’uso dell’insalata ma anche, con Borrelli e dopo Borrelli, come distruggere l’Italia, in Borsa, in politica, negli affari, e perfino nel calcio. Sorniona e sempre furba, pensando di dominare i suoi napoletani, di giocarli, e invece già inevitabilmente infetta, anzi in via di meridionalizzazione. Da Mani Pulite, con magistrati napoletani che riempivano le tasche di avvocati napoletani, a Calciopoli, le cui cronache napoletane hanno colmato la milanesissima “Gazzetta” ma svuotandola - la leggono sempre meno.

mercoledì 31 ottobre 2007

Il telefono tra Prodi e Bazoli

Telco non è un soluzione per Telecom, non nell’attuale diarchia Mediobanca-Intesa. Si spiega così l’inerzia con cui la nuova proprietà affronta la gestione del gruppo telefonico, che pure ha un bilancio a rischio e necessiterebbe cure rapide: i due soci concorrenti si applicano soprattutto a impedire che l’altro si avvantaggi. Telco è una soluzione improvvisata, giusto per impedire a Tronchetti Provera di vendere Telecom a Telefonica, e per estrometterlo. È una soluzione politica. L’iter avviato da Prodi col siluramento di Tronchetti Provera prevede che i telefoni ritornino, come l’energia, sotto il controllo degli apparati ex Dc. Mediobanca s’è intrufolata, e la sua presenza è accettata in quanto transitoria. Nessun problema politico invece col terzo socio italiano. Sintonia-Benetton.
Bazoli applica a Telecom il metodo dell’acquisizione progressiva, senza strappi, basato sulla desistenza dell’avversario per stanchezza, collaudato con tanto successo in banca, in Banca d’Italia, in Rcs. Lo scontro è tra Mediobanca e Intesa. Telefònica, declassata a partner tecnico, senza titolo alla gestione del gruppo finanziario di cui ha pagato il 42 per cento, circa due miliardi, e senza diritto a crescere fino al controllo, è la prima vittima della riconquista.

Se "L'Accademia Pessoa" è accademia

Titolo accattivante, scrittura perfetta, da scuola, promessa golosa di pastiche, quattro o cinque piste che si rincorrono. Ma c’è un seguito? O l’ “Accademia” è accademia? La scrittura della non-scrittura, un tempo detta d’avanguardia, troppa sapienza. A volte i lettori stanno peggio dei redattori, perché non sono pagati per leggere, ma pagano.
Errico Buonanno, L’accademia Pessoa, Einaudi, pp.185, euro 10

martedì 30 ottobre 2007

Gli Agnelli si mettono in proprio

Andrea Agnelli ci ha preso gusto, e si crea la propria Ifil, una finanziaria di famiglia ristretta, con la sorella Anna e la madre Allegra Caracciolo. Cacciato in malo modo dalla Juventus con Moggi e Giraudo un anno e mezzo fa, il figlio di Umberto e unico erede del nome se n’era andato a Londra, con una propria finanziaria d’investimento. Non ha fatto molto, ma ci ha preso gusto, e propone alla sorella, che non sarebbe contraria, di separare le proprie fortune da quella del resto della famiglia, per ora congelate nella Giovanni Agnelli & C Sapaz, di cui i due figli di Umberto hanno il 10 per cento ma nella quale non contano per nulla.
Dopo aver puntato in un primo tempo su Giovannino Agnelli, fratellastro di Andrea, poi morto prematuramente, quale comandante della famiglia, l’Avvocato Agnelli in seconda battuta ha destinato a quel ruolo il proprio nipote John Elkann. Il cui primo impegno è stato di non riaprire col cugino Andrea la diarchia tra i fratelli Gianni e Umberto di cui il gruppo Fiat aveva sofferto a lungo. I due cugini ripetono a larghi tratti le psicologie degli avi diretti: più dinastico, chiuso in famiglia, John Elkann, più aperto ad alleanze, nuovi soci, e agli stessi manager Andrea. Alla morte di Umberto sono succeduti due anni di difficile convivenza. Le sfortune giudiziarie della Juventus un anno e mezzo fa furono l’occasione per John di sbarazzarsi delle ultime tracce della diversa mentalità dello zio. Un assolutismo che Andrea non sembra più contestare, ma dividendo le proprie fortune da quelle del cugino.

Algebris apripista, attacco a Generali a marzo

Algebris è un fondo molto milanese, i suoi appelli a una conflagrazione planetaria su e contro Generali hanno in realtà un obiettivo non così ridicolo e anzi concreto. Nella grande questione della contendibilità di Generali che Algebris avrebbe aperto, quello che interessa è il riequilibrio dei poteri al vertice del gruppo triestino. I soggetti cui Algebris fa da battistrada sono Bazoli e Biasi, gli stessi che subito hanno fatto da eco alle critiche di Massimilla e Serra. L’obiettivo non è immediato: Algebris è la prima mossa di una tattica di sfiancamento che dovrebbe dare i suoi frutti in primavera, con l’entrata della finanza confessionale al vertice, se non al controllo, di Generali.

lunedì 29 ottobre 2007

Veltroni vittima del suo (ex) Partito

Il non detto del Partito democratico comincia a emergere. Ma le cose stanno peggio di quanto il trionfalismo perdurante lascia intravedere: la persistenza dei vecchi apparati è soffocante. In provincia le lotte non sono finite con le primarie, gli (ex) Dc sempre più diffidano del rullo compressore Ds, che ha mantenuto la compattezza e la vecchia militanza. Veltroni avrà bisogno di molta energia per smantellare gli apparati, anche se si dice certo di arrivare al 30-35 per cento del voto. Altrimenti si troverà su un fronte di retroguardia, la metà di questa quota, che è quella dei Ds, difficile peraltro da mantenere dopo gli smottamenti di Sinistra democratica e dell’astensionismo da perplessità.
Le indicazioni non sono buone. Il Candidato rischia di restare intrappolato nel trionfalismo su cui ha costruito il partito. Mentre il voto resta prevalentemente radicato, in Italia come in ogni altra democrazia. La rivoluzione giudiziaria, la cosidetta Seconda Repubblica, le gogne mediatiche e i talk show non hanno scosso le vecchie subculture dominanti, la confessionale e la comunista. Il voto di opinione, secondo tutti gli studi sui flussi, quello che cambia le maggioranze, ha un’estensione massima di cinque punti percentuali, fra i due e due milioni e mezzo di suffragi. Per arrivare al 30 per cento Veltroni avrà bisogno di catturarli tutti, e questo obiettivo è ancora lontano, soprattutto al Nord. Il sostegno entusiasta dei media, dalla Rai a Ferrara, è ingannevole, il Nord è perplesso su Veltroni. Al Sud il Candidato avrà da superare le riserve già attive di molti (ex) Dc.

Juve da copione, ma Napoli è debole

Il copione è stato rispettato, come da anticipazioni: metà difesa della Juventuts è squalificata per l’Empoli. Resta solo che l’arbitro di Juventus-Empoli ammonisca i tre marcatori residui dei torinesi, per renderli indisponibili nella partita con l’l’Inter. L’arbitro Banti con le ammonizioni e le espulsioni e l’arbitro Bergonzi con i rigori hanno fatto la parte loro assegnata. Strada quindi aperta all’Inter – e allo stesso Empoli – per lasciare la Juventus dietro a 7-8 punti per quando, tra un mese, comincerà il processo napoletano. Quando la partita sarà poi regolata dal Partito degli Onesti napolo-milanese, “Gazzetta” in testa col giudice Borrelli, e il superarbitro Collina.
A Napoli, mlgrado la storica vittoria, l’impianto accusatorio è però giudicato debole. Non c’è la corruzione, ed è difficile provare l’intimidazione, perfino nel caso di Paparesta. In un anno e mezzo dallo scandalo nessun accusatore si è fatto più vivo, a parte i non commendevoli procuratori. La condanna di Moggi, e quindi della Juventus, è ritenuta scontata, ma il Tribunale avrebbe voluto accuse più solide.