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sabato 18 aprile 2015

Problemi di base - 224

spock

Ferire la natura si può? In che punto?

Dice Socrate che il malfattore è uno incapace di stabilire rapporti, soprattutto con se stesso: ma quanti ne ha conosciuti?

Volere è potere, di andare dal barbiere?

Interrogarsi sulle cause è giusto, ma quali? le cause hanno sempre cause

La salvezza dell’anima combacia con la salvezza del mondo?

Bisogna fare l’elemosina? A chi?

Non è buona cosa a fin di bene fare il male, o è viceversa?

spock@antiit.eu

La mafia è non fare giustizia

Gian Carlo Caselli, presentando la riedizione 2002 del saggio, datato 1900, lo dice un documento del passato. E invece è sempre valido. È anzi la lettura più vera della mafia: dell’attività criminale di tipo mafioso e dello spirito di mafia.
Il politologo conservatore siciliano si occupa della mafia di passata, come una pausa negli studi  - la mafia come tutto che è siciliano considerando naturalmente non rilevante. Ma sa di che tratta. Ci sono le “cosche di mafia”, o semplicemente cosche, gruppi di malavitosi, e c’è lo spirito di mafia, o sentimento di mafia, “una maniera di sentire che, come l’orgoglio, come la prepotenza, rende necessaria una certa linea di condotta in un dato ordine di rapporti sociali”. Lo spirito di mafia “è un sentimento essenzialmente antisociale il quale impedisce che un vero ordine, che una vera giustizia, si possano stabilire ed abbiano efficacia tra le popolazioni che ne sono largamente e profondamente affette”. La mafia è “l’oppressione del debole da parte del forte e la tirannia che le piccole minoranze organizzate esercitano a danno degli individui della maggioranza disorganizzata”.
È impressionante anche come l’armamentario delle mafie sia rimasto inalterato dopo un secoloe tati cataclismi, comprese l’internazionalizzazione dei traffici e la finanziarizzazione: l’incendio o il taglio delle piante, l’abbattimento o il furto del bestiame, la grassazione, il ricatto, con sequestro di persona, la violenza armata alle cose e sulle persone, a scopo intimidatorio o dimostrativo, l’agguato. Uguale è la sordità morale dell’accumulazione mafiosa: di violenza illimitata, ma calcolata sui codici penali – la passione mafiosa è il calcolo.
Lo “spirito di mafia” Mosca trova anche nell’Italia del Centro – che disprezza lo sbirro – nonché fra i “barabba” e i “gargagnan” di Torino. Perfino fra i nobili e gli snob: “Anche nelle classi alte di buona parte d’Europa e di tutta l’Italia un leggerissimo spirito di mafia ancora sussiste”. Ancora: è un fatto storico, da cui le società progressivamente si emendano. L’ambiente conta molto: c’è chi è mafioso in paese e non lo è più in città, fuori del suo ambiente, chi è  mafioso a Palermo e non lo è più a Messina – “ciò che, se mancassero altri argomenti, basterebbe a provare che la mafia non è effetto dell’eredità o della razza, ma dell’ambiente in cui si vive”.
Mosca discute pure lo Stato-mafia e la corruzione etnica. Con lo scioglimento d’autorità dei consigli comunali, come misura di prevenzione mafiosa. Una misura d’emergenza ma non una buona strategia: “Dicono alcuni che è necessario togliere il parlamentarismo, levare ogni autorità agli elementi rappresentativi, perché in Sicilia sia sradicata la mafia; e scrivono e dicono altri che è il governo che in Sicilia coltiva e mantiene la mafia, perché senza di essa non potrebbe avere quella maggioranza di pretoriani reclutati fra  deputati del Mezzogiorno con la quale schiaccia la rappresentanza delle regioni più civili e colte del Nord. Credo esagerazione l’una, esagerazione l’atra. La Sicilia non è così corrotta che la mafia sia l’unica forza elettorale viva”. Basterebbe punire i delitti.
Gaetano Mosca, Che cos’è la mafia

venerdì 17 aprile 2015

Il mondo com'è (213)

astolfo

Europa – L’Europa “Bellavista” o “Belvedere” viene con gli “Inni omerici”, ed è la Grecia. Che ora l’Europa vorrebbe espellere.
Si vuole che l’Europa parta da Maratona, o Salamina, in una battaglia di libertà. Mentre viene da Troia, da una guerra civile - per una bella Elena peraltro che forse era asiatica, egiziana della parte asiatica, così confidarono i sacerdoti del faraone a Erodoto, e dal tradimento di Efialte alle Termopili.

Il Medio Evo ritorna, il fondo comune europeo. Il punto in cui più i barbari slavi, tedeschi, vichinghi sono stati alla pari coi civili. Hitler e Stalin si possono leggere in questa chiave, dell’egualitarismo medievale che sdogana la barbarie.  La Ue, non si saprebbe che dirne. Ma è vero che si ammanta di un ideale che ha rubato.
È sempre il Medio Evo del feudatario e del fabbro. Non di altri mestieri che, si prenda il muratore, avrebbero rinnovato l’antica divisione tra barbari e civili. Per non dire i mestieri riflessivi, tale il ciabattino, per il quale bisogna portare le scarpe. È così che la barbarie non esiste, come disse il barbaro.

Mitteleuropa – Era il progetto politico della Germania nella guerra del 1914, della Germania imperiale: gli “Stati Uniti d’Europa”, ma non aperti a tutti. Vagheggiata come area culturale dai germanisti idealizzando l’impero multietnico austro-ungarico, da Trieste, Vienna e Praga al polo Nord, e fino alla Galizia, comprendendo cioè l’area yiddish, fu invece per quattro anni un progetto consistente di impero tedesco. Non più oltremare, quale lo voleva il kaiser Gugliemo…, geloso dei suoi cugini Cobugo-Sassonia (“Windsor”) al potere a Londra, ma una potenza continentale. Comprendente, con la Germania, l’Austria-Ungheria e i Balcani tutti, la Francia, il Belgio, l’Olanda, la Polonia, la Scandinavia e la Turchia, fino all’Irak – “da Capo Nord a Reval (??) e Longwy, al Tirolo, a Istanbul e fino a Baghdad”, scrive Luciano Canfora….. Previe sostanziose rettifiche di frontiera a carico di Belgio, Polonia e Francia.
Il progetto non è stato approfondito, fra le cause della guerra. Ma da Fritz Fischer sì, che gli dedica il cap. ottavo dell’ Assalto al potere mondiale”, 1961, il primo degli “obiettivi delle mire belliche tedesche”: “La «Mitteleuropa» era assurta a obiettivo di guerra della Germania”.  . Documentando una notevole attività del governo e di personalità eminenti del Reich. “Nell’agosto del 1914”, scrive Fischer, “di fronte all’ondata montante dell’annessionismo, che mirava a impadronirsi di territori confinanti da ogni parte della Germania, (il cancelliere) Bethmann Hollweg presentò alla discussione l’idea della «Mitteleuropa», ossia l’obiettivo di una comunità ecoonoca eurpea sotto dominazione tedesca….”
A novembre il progetto trovò una formalizzazione in una serie di “Direttive per le trattative con l’Austria-Ungheria sull’unione doganale”. Trattative che ebbero inizio a Salisburgo e si svolsero lungamente.: “Le «direttive» menzionavano esplicitamente gli Stati balcanici, la Trchia, la Scandinavia, il Belgio, l’Olanda, la Polonia, e anche la Francia come apesi che dovevano ssere accolti nell’area doganale
L’impero oltremare fu anch’esso previsto, ma più come ipotesi intellettuale. Hans Delbrück, lo storico classico e uomo politico liberale vicino alla Wehrmacht, ne tratta diffusamente nel 1915, in “Bismarcks Erbe”, p. 201: “La prima e la più importante di tutte le esigenze nazionai, che dovremo sollevare alla conclusione della pace, sarà quella di un grandissimo impero coloniale, di un’ndia tedesca”.

Culminata nella grande guerra con i progetti di Ernst Jäckh, “Mitteleuropa als Organismus”, 1915, e Friedrich Naumann, “Mitteleuropa”, 1916. Jäckh era  considerato un “moderato” nell’interventismo prebellico – e tale s’illustra lui stesso nella tarda autobiografia “Der goldene Pflug”, 1954. Naumann un progressista quasi socialista.

OccidenteLa razza occidentale è il tipo creato dai pittori italiani del ‘400 - più che dai fiamminghi, bruttocchi. È il canone di Donatello e Masaccio, sancito dagli umanisti: proporzione e bei colori. Sul modello classico, Fidia, Prassitele, della statuaria che si dissotterrava. Com’è vero che la natura imita l’arte, anche se a livello mediterraneo, inferiore. Tutto l’Occidente è peraltro da rifare, con la storia greca.

La latinità nasce dalla rotta, stando all’imperatore Augusto che la inventò, nella guerra di Troia: l’Occidente nasce da una disfatta a opera dei greci. E si perfeziona a opera di un anti-Machiavelli, il Possevino, gesuita di origini ebraiche, viaggiatore non memorabile nella Moscovia, uno che, scoprì Puškin, “non aveva mai letto Machiavelli, lo criticava per sentito dire”, il quale selezionò le letture e redasse la ratio studiorum cui l’Occidente s’è conformato, un grafomane. Questo è importante saperlo, per la storia e per capirci.
E dove geograficamente l’Occidente inizia? Alla Vistola? E i polacchi? Alla Volga? E i caucasici, l’occidentale è caucasico. All’Amu Daria, dove Alessandro Magno da ultimo si esibì?  E i nestoriani della Cina? Cristo Dio vi è Venerabile, esserne cancellato gli dispiacerebbe. Ex post, nella storia greca da rifare, l’Occidente si fa  risalire a Salamina, 480 avanti Cristo, o a Maratona, 490. Ma perché non a Platea, 497? Alle Termopili gli spartani di Leonida furono sconfitti dal tradimento, è sul campo di Platea che i greci si sono rifatti.
La scoperta dell’Occidente è recente, posteriore a quella dell’Africa.

Panmongolismo – Il “pericolo giallo”, l’invasione dell’Europa dall’Asia, che agitò le capitali europee agli inizi del Novecento, dopo la vittoria del Giappone sulla Russia, era stato prospettato una dozzina d’anni prima dal poeta filosofo russo Vladimir Solov’ëv, sotto il titolo “Panmongolismo”. Una poesia scritta l’1 ottobre 1984, racconta Angelo Maria Ripellino nella riedizione di “Pietroburgo”, il romanzo-verità di Andrej Belyj,  “sotto l’influsso del conflitto cino-nipponico”. I mongoli, scriveva Solov’ëv, “innumerevoli come locuste e come locuste insaziabili”, avrebbero coperto l’Europa, sulla traccia dell’Orda d’Oro di Gengis Khan. Per punire l’abbandono del cristianesimo in Europa. A meno che la Russia, la “terza Roma”, non sapesse sconfiggere l’invasore.
L’allarme fu reiterato da Solov’ëv sei anni più tardi, per la rivolta nazionalista e antieuropea dei Boxer in Cina, con la poesia “Drakon”, il drago, 24 giugno 1990. Un inno al kaiser Gugliemo II, che aveva guidato la risposta europea ai rivoltosi.
Nel romanzo di Belyj, nella redazione finale trent’anni dopo (dopo quasi venti di rifacimenti), il “mongolismo” è già di casa in Europa: “tutti i russi hanno sangue mongolico”, e così gli altri europei, in rapida trasmutazione. Giapponesi, cinesi, turani, tartari, cavalieri di Gengis Khan sbucano da ogni dove. E del resto “anche Kant era di stirpe turanica”.

Della fobia “pericolo giallo”, tra le tante, soffriva Céline. Ma era piena di cinesi cattivi già la serie di gialli popolari di Nick Carter, creata da John Russell Coryell in anticipo sul “panmongolismo” di Solov’ëv, nel 1884. Sarà cinese, Fu Manchu, il criminale protagonista della serie nera di Sax Rohmer, che ha ispirato molti film, serie tv e fumetti per tutto il Novecento.

Stato Giardino – Era l’utopia italiana – prima della città verde di Le Corbusier. Ne 1617 Ludwig di Anhalt, detto Luigi, aveva fondato a Köthen, in una con un’accademia per la purificazione della lingua, la prima della lingua tedesca, la Società della Palma per la quale è famoso.
L’accademia per la purificazione della lingua “Luigi” denominò  Compagnia Fruttifera, di cui si elesse Nutritore, tesaurizzando i tre anni vissuti entusiasta da studente a Bologna e da cavaliere a Firenze, apprendista del bello e delle arti, che trasfuse nel suo castello e nel giardino ancora ammirati, nonché membro (“l’Acceso”) della Crusca - patrocinato da Bastiano de’ Rossi - e traduttore in tedesco dei “Trionfi” di Petrarca.
Della Società della Palma fu membro Johannes Valentinus Andreas, alchimista e cappellano di corte del Württemberg, al quale si fa risalire il simbolo dei Rosa Croce, la croce di sant’Andrea con la rosa a ogni angolo, derivato dal “Roman de la rose” e dal cielo della “Divina Commedia”. Del cappellano sarà progenie collaterale il marito astinente di Lou Salome, che ne ereditò i tratti.
Esattamente due secoli dopo, nel 1817, Leopold Friedrich Franz, del dominio contiguo Anhalt-Dessau, morirà celebrando la trasformazione del suo principato in Gartenschaft, stato giardino. Federico il Grande di Prussia l’aveva snobbato, che chiamava Franz “le princillon”, Napoleone l’aveva capito e protetto. Ancora un secolo, e Walter Gropius vi fonderà la scuola Bauhaus.

astolfo@antiit.eu

Il viaggio intorno al mondo con la droga

Ottimo giornalismo, uno è portato a pensare che tutto effettivamente è mafia. Anzi ‘ndrangheta, essendo gli autori calabresi. Non per nulla il tutto-mafia tira più di Berlusconi - al punto che poi uno è portato a chiedersi: ma Milano, dove si consuma la più alta quota pro capite di cocaina? chi ce la porta, la taglia, la immagazzina, la distribuisce, la smercia.
I due autori sono anche storici: la ‘ndrangheta “capovolge il pensiero economico classico, secondo cui la criminalità non «produce» perché distrugge, e non genera ricchezza”. La mafia creatrice, dunque. E sono infaticabili: “Hanno visitato le piantagioni di coca in Colombia e sono entrati nei laboratori dove dalla foglia della pianta viene ricavata la «pasta base»”, assicura l’editore, “sono stati in Bolivia, Perù, Argentina, Brasile, Canada, Messico, Stati Uniti, ma anche in Africa e in Australia”. Ora, l’Africa è grande. “E poi in Germania, Austria, Spagna, Portogallo, Irlanda, Belgio, Olanda”. E hanno intervistato “centinaia di persone”.
Ma quando trovano il tempo?
Nicaso, che insegna la mafia in Canada, si può capire. Ma Gratteri, che è Procuratore della Repubblica a Reggio Calabria, non dovrà fare qualche processo? È anche presidente a Roma da due anni, incaricato da Letta e confermato eccezionalmente da Renzi, di cui voleva fare il ministro di Grazia e Giustizia, un Comitato governativo per aggiornare le pene contro la mafia. Avrà pure una giornata di 48 ore, ma un processo a Reggio no, di tanto in tanto? Magari contro un trafficante di coca, uno solo.
L’ha fatto Saviano e lo fa anche Gratteri: il viaggio attorno al mondo seguendo la cocaina. Sarà lo spirito dei tempi, o dei Carabinieri. Nulla di male, contro la cocaina non si scrive abbastanza. Fare sarebbe meglio, ma non è colpa di Gratteri. O sì?
Nicola Gratteri-Antonio Nicaso, Oro bianco, Mondadori, pp.  € 18

giovedì 16 aprile 2015

Un’immigrazione non disperata, né casuale

Gli emigranti clandestini che buttano a mare altri emigranti, in numero di dodici o quindici, e tutti di una religione, quindi non per un atto inconsulto, conferma che il neo schiavismo è organizzato e finanziato. E forse ha anche un disegno, non è cioè un piccolo affare sulla pelle dei poveri.
Niente nell’emigrazione di questi anni attraverso il Mediterraneo è casuale. L’annegamento dei cristiani viene il giorno dopo che il papa della cristianità ha infine reagito, denunciando il genocidio, cioè lo sterminio deliberato. E fa coppia col terrore che l’Is diffonde - e ottiene che l’Occidente, l’Europa diffondano e ingigantiscano.
Non è casuale l’immigrazione di massa in Europa attraverso la Libia. Non si arriva in Libia dal golfo di Guinea o dall’Eritrea a piedi, o con mezzi di fortuna. Ci sono organizzazioni in Libia, malgrado il caos politico e amministrativo nel paese, per trasportare, alloggiare e nutrire queste diecine di migliaia di emigranti, scaglionandone le partenze sulla capacità di accoglienza della Marina italiana. Queste diecine di migliaia di emigranti trovano subito una destinazione, con poche eccezioni, poche diecine. I morti in mare, ora a diecine di migliaia, vengono fatti pesare sulle coscienze europee, non in quelle di origine o dei trafficanti.
Tutto in effetti concorre a definire questa immigrazione forzata attraverso il Mediterraneo un attacco all’Europa. Anche senza l’Is – o quello che dobbiamo credere che l’Is sia.  

Allineati e coperti con la Germania

“La mia chiamata a Bruxelles non fu opera italiana ma una proposta di Schröder, appoggiata da tutti coloro con i quali avevo lavorato in precedenza, Kohl, Chirac, Blair”. Così Prodi ristabilisce la verità nel suo libro-intervista con Marco Damilano. Per non darne il merito a D’Alema, che l’aveva sloggiato da palazzo Chigi. Ma evidentemente anche per rispetto alla verità.
Prodi non si chiede perché la Germania lo abbia scelto – abbia scelto per l’Italia a insaputa dell’Italia. Non lo fa per spirito europeistico, perché ritiene che l’Europa sia di tutti, come ci insegnavano da ragazzi a scuola? Darebbe pessimo esempio di sé, della sua capacità politica, di fiuto, di giudizio.
Si capisce però così l’operato di Prodi a Bruxelles, per l’inclusione a tappe forzate nell’Unione Europea dei paesi dell’Est - vassalli della Germania, che vi doveva delocalizzare (il “governo della delocalizzazione” è parte della riforma Schröder). Uno dei tanti volenterosi, i willing executioners.
Prodi non è un caso. Molti alti dirigenti “italiani” della Commissione Europa sono scelti da Berlino. Tra i protagonisti, dopo Prodi si ricorda Draghi, scelto da Angela Merkel. Per salvare le banche tedesche. Il primo atto di Draghi, all’indomani dell’insediamento alla Bce l’1 novembre 2011, è stato un intervento spettacolare salva banche: un gigantesco prestito a tre anni a bassissimo costo che ha salvato tutti, ma soprattutto le banche tedesche, olandesi, belghe e austriache - salutato come una “Grande Bertha” dai consulenti di Angela Merkel, “Stabile Architektur für Europa”, rapporto 2012/2013 del Consiglio degli esperti economici, pubblicato a novembre 2012 (una cannonata:  era “Bertha” il supercannone tedesco nella Grande Guerra).   
È la maniera d’essere dell’Europa dopo la riunificazione tedesca. E si può esserne soddisfatti, almeno alla maniera di Prodi e Draghi.  Il beneficio per l’Italia non c’è. Non che si sia visto con Prodi, o si veda con Draghi. Ma è un modo di stare comodi nell’Unione, come vice-Germania. Ruolo ancillare, i vice sono tanti - un po’ alla maniera dei grandi chirurghi americani, che nominano dei “vice” intercontinentali, come procuratori presso le comunità d’origine. Ma non disprezzabile. Se non c’è altro da fare, e se previene o allevia le jugulazioni.

Secondi pensieri - 214

zeulig

Antropologia - Ha bisogno di categorie, di fissare il mondo, sezionando (definendo) e quindi escludendo. U’esplorazione che chiude più che aprire. Come l’archeologia, che ricopre dopo avere scoperto, per sostituirsi al ritrovamento – memoria, visione, descrizione, ricostruzione, interpretazione.

Bellezza – “Una finalità che non contiene alcun fine” di Kant è la sua bellezza. Ma anche il suo criterio utilitaristico – la bellezza non è qui per nulla. Superiore, non appropriabile, inattaccabile, e tuttavia insieme meta e percorso, “spintarelle” comprese, anche se proibite e in teoria non necessarie. È bello in questo senso anche il brutto: il buio del firmamento, l’opacità della materia, lo scheletro arcigno, scomposto, che sottende l’immagine – la quale sempre in qualche modo si ricompone, anche se triste o sfigurata.

Si cerca da un secolo nella decomposizione e il rifiuto. E tuttavia sempre in forma di ricerca – attiva, aperta. La vera decadenza – il rifiuto della bellezza – sarebbe l’inerzia, dei sensi e della mente, l’ottundimento, l’atonia. La bellezza del mondo non è in esso, un attributo della materia: è un rapporto tra la materia  e la sensibilità umana, una forma della conoscenza. Necessariamente esilarata, sia pure nella décheance (depressione, rifiuto).

Decostruzione – Va, senza limiti, come in automatico, comoda scorciatoia. Rapida cioè ma rigida. Ancillarmente all’ermeneutica, l’invenzione della tradizione. Ma per quali contenuti di verità? Soprattutto quando pretende di uscire dal gioco linguistico, di farne una metafisica. Una vivisezione da pelo nell’uovo.
È anche un procedimento sonnambulistico. Da riflesso condizionato. Una meccanica. La riproduzione di una cultura cioè, di un certa forma di lettura del reale, specie se linguistico – e anche di una forma mentis. Innovativa e quindi interessante, anche gratificante. Ma riduttivo e quasi un gergo. Tribale, se non settaria.
Derrida ci arriva come adattamento alla sua formazione culturale – linguistica, ermeneutica - della Destruktion che Heidegger proponeva della metafisica.

Filosofia – Ruminazione, rimasticazione, e che altro? Un campo vuoto in cui non succede niente la voleva Althusser: “La filosofia è questo luogo teorico strano in cui non succede propriamente niente, nient’altro che questa stessa ripetizione del niente”.
Onanismo? La positività del vuoto viene dall’orrore di sé, che in qualche filosofio (Althusser, che la elabora in “Lenin et la philosophie”? osso duro) ha più di una ragione d’essere. Ma a parte ciò?

Giustizia – “Il carattere legale di un castigo non ha un vero significato se non gli conferisce qualcosa di religioso, se non lo rende simile a un sacramento; di conseguenza tutte le funzioni penali, da quella del giudice a quella del carnefice e del carceriere, dovrebbero, in qualche modo , assimilarsi alla funzione sacerdotale”. Così Simone Weil nelle seminali “Forme del’amore implicito di Dio”. Un giudizio che è riscontabile all’inverso – nel diniego della giustizia in realtà – nell’applicazione pratica delle leggi: la giustizia, intesa come sistema giudiziario non ha considerazione per “il carattere legale del castigo”, come mostrano i suoi ministranti, sacerdoti sempre di una chiesa (partito, pregiudizio). Tanto più se religiosamente entusiasti più che opportunisti.

Machiavelli - Machiavelli non era machiavellico. Altrimenti avrebbe scritto sermoni edificanti, vite di santi – l’Aretino lo faceva, per infinocchiare il papa. Un Antimachiavelli è invece ottima opera machiavellica.

Althusser, che lunghe riflessioni gli ha dedicato, ci trova(va) il pensatore attivo: l’uomo di pensiero che riempie il vuoto che è del pensiero con un programma e un progetto  – uno che riempie il vuoto. Il prototipo del pensatore rivoluzionario. Cui accredita però anche un forte consistenza filosofica: “Lascio da parte le implicazioni puramente filosofiche della sorprendente teoria del gioco della Fortuna e della virtù (= incontro, materia\forma, corrispondenza\non corrispondenza”).

Storia – “La storia è una scienza morale al di sopra di tutto, più o meno come la veduta di una casa di appuntamenti, e quella di un patibolo pieno d sangue”, Flaubert quattordicenne nei “Funerali del dottor Mathurin”. Una balconata e una scena.

Stupidità – Socrate la sanziona nel “Gorgia” - con l’ignoranza. Senza alcuna ironia, nemmeno socratica.

Vanità - È tema trascurato, benché a lungo centrale con la vecchia “Vulgata”, attorno e dentro l’“Ecclesiaste”. E sempre al minimo, la vanità di sentirsi importanti, di esibirsi. Mentre è un aspetto non trascurabile della “cosa” – del mondo, della vita.

Volontà – “La volontà è una facoltà della mente” ignota agli antichi, “scoperta da Paolo e studiata a fondo da Agostino”: Hannah Aredt insiste ripetutamente su questa genealogia, nella sua ricerca della morale introvabile (in “Alcune questioni di filosofia morale” e altrove). È per questo, per questa derivazione, che la funzione è poco filosofica – oggetto di riflessione? Non è progredita molto, approdando anzi alla “volizione” del confuso Pound. E che dire di Kant, della “Fondazione della metafisica dei costumi”?  “La ragione determina la volontà immancabilmente… La volontà è la facoltà di scegliere solo ciò che la ragione … riconosce… come buono”. Dopo il celebrato attacco: “È impossibile pensare nel mondo e, in genere, fuori di esso, una cosa che possa dirsi buona senza limitazioni, salvo, unicamente, la volontà buona”.

La ragione determina la volontà, dunque. Anche la volontà di potenza?  Meglio ne esprime la natura – i limiti – Simone Weil, nel seminale “Forme dell’amore implicito di Dio”: “Il concetto di morale laica è un’assurdità perché la volontà è impotente a produrre la salvezza. Ciò che si chiama morale, infatti, fa appello alla società, e proprio a ciò che essa ha, per così dire, di più muscolare. La relgione invece corrisponde al desiderio, ed è il desiderio che salva”.

Volontà di potenza - Tutto Nietzsche Hannah Arendt rilegge in questa ottica (“Alcune questioni di filosofia morale”, pp. 96 segg.), e san Francesco, e Gesù: “La filosofia d Nietzsche si basa tutta su un’identificazione della volontà come volontà di potenza”. Tutta protesa, tra i paradossi e le intempranze, all’affermazione della volontà. E in questo, “nell’equazione tra volontà e volontà di potenza, la potenza non è affatto ciò che la volontà desidera o vuole, non è la sua meta o il suo contenuto! Volontà e potenza, volontà e sentimento di potenza sono la stessa cosa”. Ma di segno particolare: “Questa potenza, la pura potenza dell’atto di volere in quanto tale, Nietzsche la interpreta come un fenomeno di sovrabbondanza, come il segnale di una forza che è maggiore di quella che ci vorrebbe per far fronte alle richieste della vita quotidiana”. È creatività, e bontà: “Sarebbe proprio questa sovrabbondanza di forza, questa stravagante generosità o «volontà munifica»  che spingerebbe gli uomini a desiderare o amare il bene. Il che coincide, del resto, con quanto sappiamo di quegli uomini che hanno speso la loro vita nel «fare il bene», come Gesù di Nazareth o san Francesco d’Assisi, che non brillavano certo per umiltà ma per una forza in eccesso”.

zeulig@antiit.eu

Meglio finanziare la Lombardia che la Calabria

“La tesi dello spreco meridionale si rivela utile per operazioni politiche controverse”. Gianfranco Viesti, economista a Bari, analizza vari casi (università, opere pubbliche, fondi strutturali) di ritiro dell’investimento pubblico da parte del governo Renzi, e ne denuncia la pretestuosità – evitare gli sprechi. Una critica con juicio, certo, alla sinistra da sinistra.  
La rivista della Fondazione di D’Alema scopre l’abbandono del Sud. Dei governi Berlusconi del 2008-2011, e più con Renzi. La critica della rivista al governo Renzi è morbida, ma è costante in tutto il dossier. Del resto è l’evidenza, bisognava solo dirlo. Riandando alle cose fatte, è anche la politica dichiarata del governo Renzi. Il Sud, benché abbia sofferto la crisi molto più delle altre regioni, ha visto tagliati di netto i fondi all’università a alla ricerca, e dimezzati i cofinanziamenti nazionali ai piani strutturali. “Col risultato”, può ironizzare Viesti, “che la Lombardia ha cofinanziati dal governo al 50 per cento i suoi piani strutturali, la Calabria al 25 per cento”.
Il problema forse è un altro. Che il voto in Lombardia cona quattro volte quello della Calabria. E che la Calabria vota comunque per Renzi, mentre in Lombardia Renzi deve conquistarsi il voto - che si può fare una politica antimeridionale e assicurarsi il Sud come serbatoio elettorale, con le mance.
Sud Sud, “Italianeuropei”, n.1\2015, pp. 112 € 10

mercoledì 15 aprile 2015

Costa caro il 730 precompilato

Fisco, appalti, abusi (69)
Il 730 precompilato per tutti raddoppia il tempo e il costo del caaf. Non sembra possibile, di fronte al vanto del presidente del consiglio e del ministro dell’economia, ma chi ha cominciato a pensare alla dichiarazione dei redditi lo constata: non è una semplificazione, è una complicazione.
Rari sono quelli che hanno accesso al modello, rarissimi quelli che possono utilizzarlo senza modifiche - l’agenzia delle Entrate vanta 100 mila accessi nel primo giorno, ma di questi sono riusciti a scaricare il modulo in diecimila? no, meno (i siti governativi sono giri delloca, criptici per di più), e poi quanti riusciranno a utilizzarlo? Gli altri devono ricorrere al consulente o al caaf. Che vuole prima una delega per scaricare il 730 precompilato per conto del contribuente. Quindi un’andata e ritorno, con attesa, solo per la delega. In aggiunta alla gita per la compilazione e la firma della dichiarazione.
Il costo è aumentato per questo dal 50 al 100 per cento. 

Il Tar del Lazio continua a cassare – siamo alla quinta volta - l’aumento della tariffa comunale per i parcheggi pubblici a Roma, da 1,20 1 1,50 euro l’ora. Un aumento non esoso e nella piena autonomia dei Comuni. Il Tar del Lazio lavora per l’industria delle paline e dei parcometri, che andranno di nuovo cambiati?.

Si attenda l’autobus a Roma sul percorso Stazione Termini-San Pietro. Il 64 e il 40 – più altri che fanno una parte del percorso. Arriveranno sempre tardi, e sempre pieni, a volte non aprono le porte. In tutti i giorni dell’anno, a tutte le ore. Un’azienda dei trasporti con un minimo di capacità moltiplicherebbe le corse, l’Atac no.

L’Atac dà per scontato che nessuno paga il biglietto? Con folle meno incontrolalbili, lo pagherebbero tutti.
No, è incapacità. Elementare, anche delle cose semplici. È da quindici anni, dall’entrata in funzione dell’8, il tram del Centro, che l’Atac non rivede la circolazione. Troppa fatica.

Sulle tasse automobilistiche, sempre esose, l’Aci impone un dazio dello 0,5 per cento se pagate col bancomat. Un interesse su niente non è usura? Non dovevam generalizzare i pagamenti con la carta?
Si può pagare il bollo anche dal tabaccaio, ma solo uno su dieci ancora offre questo servizio, e vuole contanti.

Il salamandering morale di Pisapia

“Milano è oggi la vera capitale d’Italia. E sta tornando a essere la capitale morale”. Quando? Quanto deve durare questo percorso, ormai quasi venticinquennale, da Borrelli e Di Pietro a Bossi, Berlusconi, Monti, che ancora stiamo pagando con lacrime e sangue?
Un curioso salamandering morale dell’Italia Pisapia delinea al “Corriere della sera”. Il salamandering è la tecnica elettorale di circoscrivere sinuosamente le circoscrizioni uninominali in modo da far vincere il candidato governativo. Ne fu campione il generale De Gaulle alle elezioni di fine novembre 1958: ridisegnò le circoscrizioni in maniera da annegare le periferie operaie nei quartieri borghesi – l’esito fu un partito Comunista ridotto a quattro deputati. Pisapia fa lo stesso: l’Italia ridisegna in modo da far convergere tutte le virtù su Milano. Anche come prendere il tassì.
Il sindaco di Milano Pisapia è di Sel, ma di suo è avvocato. In questa veste si può capire. Si è anche illustrato, a Milano naturalmente, per far avere al suo cliente De Benedetti 750 milioni di euro per non aver comprato Mondadori – poi ridotti a 560, ma pur sempre una bella cifra per non avere investito una lira. E qui dov’è la morale? “Sono stato bravo”, dice Pisapia al “Corriere”, e lo è: è l’Italia che vota Berlusconi, è l’Italia che vuole bruciare i rom con Salvini, è l’Italia che alimenta il mercato della droga, ed è sempre l’Italia che si è rubati i soldi dell’Expo – sì, la ‘ndrangheta, quella roba lì.

Letture - 211

letterautore

Duemila – È un calco di Huizinga, “La crisi della civiltà”, 1935? O Huizinga aveva poteri profetici? Paure vecchie e nuove, timori di catastrofe, natura problematica del progresso, la scienza e i limiti del potere di pensare, l’indebolimento del giudizio, il declino dello spirito critico, il cattivo uso della scienza, la sconfessione del’onestà intellettuale, il culto della vita, il deterioramento degli standard morali, l’eroismo, il puerilismo, la superstizione, arte e letteratura estraniate dalla ragione e la natura: è questo l’indice degli argomenti che lo storico olandese trattava criticamente nel 1935. O: il pessimista ha sempre ragione?

Dio – “Sommamente stupida e crudelmente comica la cosiddetta parola di Dio!”. Parole divine quali che siano le parole di Dio.
Al § VII delle riflessioni titolate “Agonie” e confidate all’amico Le Poittevin, datato 20 aprile 1838, quindi già di 17 anni, Flaubert ha questa “cosiddetta” parola di Dio. Al § VIII “l’ultima parola del sublime in arte”.

Eutanasia – “Sentendosi vecchio, Mathurin decise di morire, stimando che la grappa molto stagionata non ha più sapore! Ma perché, e come metterlo in pratica?”. Il dottore è il primo personaggio di Flaubert narratore, quando lo scrittore aveva 14 anni – il perché non se lo chiede, il come è un banchetto. La letteratura ne è sempre stata piena, della buona morte. La novità è che la si vuole per legge. Insidiosa, e non senza colpa: somministrata da altri a comando, agenti della buona morte che è sempre insidioso delegare, o dando a qualcuno la facoltà di decidere per un altro, il figlio stanco, il genitore, lo Stato provvido. È parte della legificazione come realtà.

Grass – Lo “specchio straordinario del nostro Paese” (il presidente della Repubblica Federale Joachim Gauck) era anche molto italianista. Per il calcio. E perché apprezzato in Italia per il giusto verso, riteneva, grazie a interpreti creativi, Enrico Filippini, Inge Feltrinelli. Uno dei pochi tedeschi non indifferenti al papato di Ratzinger. In Italia si era anche “liberato” nel dopoguerra.
L’ambizione di Grass diciottenne smobilitato era di fare lo scultore. Ma non riuscì a farsi ammettere alla scuola d’arte di Düsseldorf. Fece altri tentativi in Germania, poi – deluso anche da un’innamorata - provò a Roma. Dove invece fu accettato, per un breve periodo fino a fine corso. Il corso successivo poté  invece frequentarlo alla scuola di scultura dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, dove era arrivato per svago con mezzi di fortuna. Senza le fisime burocratiche che avevano reso difficile la sua accettazione all’Accademia di Düsseldorf .
In attesa della corrispondenza, di questa formazione in Italia si sa il poco che Grass lasciato nelle narrazioni autobiografiche. Che sono in pratica una, “Sbucciando la cipolla”. La quale è più rappresentazione che memorialistica. In più punti Grass fa caso di Ratzinger, che ritiene di avere incontrato coscritto, in caserme e in campi di prigionia. E menziona la sua fiamma di Palermo, Aurora Varvaro, in tono molto elegiaco, come il primo e vero amore.
Nel pacchettino per il viaggio di ritorno che Aurora gli ha preparato – era il 1947, o 1948, tempo non di scialo – Günter Grass è sorpreso di trovare, “accanto a biscotti e fichi secchi”, anche “una mezza dozzina di uova sode”. Il solido tedesco è sorpreso dal realismo dell’innamorata giovanissima – 17 anni contro i venti-ventuno del futuro scrittore.
Ad Aurora lo scrittore premio Nobel si dirà legato ancora per cinquant’anni - ora sessanta e più: “il mio amore non vissuto ma sopravvissuto”. Senza più – senza rimpianto né emozioni. Aurora non è neanche scomparsa nel nulla. È pittrice e ceramista, vive alle Eolie e ha fatto molte mostre.


Keynes – La “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”, 1936,  l’economista Joseph Schumpeter perfido celebrò all’istante come “il più grande successo letterario della nostra epoca”, nella monumentale incompiuta “Storia dell’analisi economica”, che sarà pubblicata postuma nel 1954. L’intento di Keynes era, invece, politico. E, curiosamente, liberale e anti-marxista: “Saranno distrutti i fondamenti ricardiani del marxismo”, così preannunciava nella corrispondenza la “Teoria generale che andava elaborando.

Machiavelli – Un catalogo di libri inglesi d’occasione elenca i “Discourses on the First Decade of Titus Livius” nella narrativa. Magari gli sarebbe piaciuto.

Bodin inizia la sua grande opera, “De la République”, con un’invettiva contro Machiavelli – “un’invettiva che era di rito per un autore cristiano”, osserva Bobbio. Ma poi, a proposito di ciò che differenzia il buon principe dal tiranno, sostiene: “Non si può considerare tirannico quel governo che debba valersi di mezzi violenti, come uccisioni, bandi o confische, o altri atti di forza e d’armi”.

“Questo grande conoscitore della natura umana” lo vuole Puškin, che ne possedeva l’edizione francese in dodici volumi, in una nota dei postumi “Table-talks”. La cattiva fama Puškin attribuisce al gesuita Possevino, molto attivo in Russia nel Seicento. Che, annota, “non aveva mai letto Machiavelli ma lo interpretava per sentito dire”.

Mansfield – La scrittrice che ebbe sempre vent’anni – anche perché è morta giovane, a 34 anni - per una notte d’amore con Francis Carco nella grande guerra si sobbarcò un viaggio da Londra a Parigi e poi al fronte.
La sua opera si può dire continuata da Irène Némirovsky, per la quale fu lettura costante. Lo stesso brillio caleidoscopico e l’apparente futilità della scrittura. Nonché una psicologia applicata (ai personaggi) capricciosa più che coerente. Solo la materia è più dura in Némirovsky rispetto a Mansfield: l’avidità, la violenza, l’indigenza. E i sentimenti, che sono bassi più spesso che lievi o elevati.

Le Monde – Come già per Tabucchi, che su “Le Monde” insolentì Ciampi, Parigi val bene una messa? Martone è teatrante d’ingegno - anche se non per l’opera. A Parigi non lo sapevano, e gli hanno commissionato il “Macbeth” di Verdi. Che non è piaciuto, ma ha valso a Martone di essere toccato dalla grazia di “Le Monde”. Che, sebbene sempre meno letto, resta un gran nome. E il regista se ne è ubriacato. Non solo si attribuisce la scoperta del vero Leopardi nel suo film – non che il suo Leopardi abbia incontrato il Leopardi degli italiani, ma al contrario, che agli italiani lui ha rivelato Leopardi. Ha voluto anche affermare l’ignoranza degli italiani prima di lui: “Contrariamente ai francesi, che conoscono bene le contraddizioni della Rivoluzione francese, gli italiani hanno invece una visione unilaterale della loro storia. Il che testimonia la nostra profonda incapacità di diventare maturi”. Immaturità, certo. Le “Operette morali”, dice Martone, sono “un libro comico”.
Già Scalfari si era rifatto a “Le Monde” per lanciare “la Repubblica” - che invece ne è l’antitesi, giornale di parte e di partito. Ma presto Dante Matelli fece trovare  una mattina sulla lavagnetta della redazione a gesso bianco: “Le Monde non abita più qui”.

Proust – Il primo autore multigender. In Albertine, che delinea come “eterno femminino”, incostante, inafferrabile, impersonando l’amato chauffeur fedifrago.

letterautore@antiit.eu 

L’anacoluto ribelle

Henri Thomas, traduttore dal tedesco (specie di Jünger), e insegnante di francese a Londra e negli Usa, ha elaborato il romanzo-verità che ora fa la fortuna di Emmanuel Carrère, con “John Perkins”, premio Médicis 1960, e “Spergiuro” quattro anni dopo. Quest’ultimo romanzo fa – o è come se – il ritratto di Paul de Man negli Usa, e per questo incuriosisce Derrida, che dello scrittore belga fu collega nelle università americane e amico. Rintraccia Thomas, cerca i suoi precedenti scritti, e per la celebrazione di un altro amico in comune con de Man, il semiologo e critico letterario americano Joseph Hillis Miller, sceglie di decostruire lo spergiuro. Nel lessico – la stessa parola è la cosa e il soggetto in francese (come in italiano), ma non in inglese, etc. E per l’aneddoto su cui il romanzo s’intesse: un europeo emigrato negli Usa che si risposa giurando di non essere sposato, e quindi viene incolpato di spergiuro. De Man aveva vissuto questa situazione.
Il doppio matrimonio aveva travolto de Man, professionalmente e psicologicamente. Lo stesso avviene al protagonista di Henri Thomas. Sono comuni anche gli eventi collaterali, nel romanzo di  Thomas e nella vicenda de Man. Derrida si diverte a rimetterli in parallelo. Ma non è tanto la somiglianza che lo diverte – Thomas potrebbe aver saputo di de Man prima dell’incriminazione per spergiuro. Lo diverte alleggerire la posizione di de Man, che come il protagonista di Thomas può dire a chi gli obietta lo spergiuro: “Si figuri che non ci pensavo”. E più per rendere omaggio a Hillis Miller sulle proprietà dell’anacoluto nel linguaggio. Di cui lo studioso americano fa tesoro nelle sue letture di Proust – ma già de Man aveva aperto la breccia, su Proust e l’anacoluto.
Derrida non ne viene a capo. L’anacoluto si ribella alla decostruzione – non c’è un io immutabile. E allora mette sotto accusa il “noi”. Nella forma del matrimonio – essendo il matrimonio impossibile, de Man non è colpevole di spergiuro. Per l’autorità di Kierkegaard, Kafka (“Lettera al padre”) e lo stesso Abramo. Follia del giuramento, follia del matrimonio. O almeno: “Non ci si dovrebbe sposare più di una volta” – eh sì, soprattutto per la parte economica.
Derrida dà l’idea di divertirsi. È un’idea, la filosofia come divertimento. Perché de Man è altro che anacoluto: non solo spergiuro, e padre inaccudente, ma collaborazionista in gioventù con loccupante tedesco al suo paese, il Belgio, un po antisemita, e un po troppo spregiudicato, pare, in affari. 
Jacques Derrida, Lo spergiuro, Castelvecchi, pp. 95 € 9

martedì 14 aprile 2015

La voce ruvida di Grass

Aspiro a farvi scettici, disse la voce ruvida di Grass,
aspiro a strappare le radici di questo idealismo
tedesco che continua a germogliare, come l’erba
cattiva. A liberarvi del tanto quanto, e non solo
ma anche, della coscienza che sempre si assolve.
Poi venne pure lui, con la cipolla, per dire a
ottant’anni che fu volontario a sedici nelle SS,
degli U-boot sognatore “taciti e invisibili”,
nei film Luce e alla fonda a Danzica nel porto,
oltraggioso sugli atti impuri del chierichetto,
sull’arruolamento in guerra circospetto,
i due peccati pesando diversamente
- sul primo avendo costruito Mazerath,
personaggio che ritiene immortale,
e forse lo è, sul secondo niente.
Bisogna assuefarsi alla democrazia,
anche se prosaica”, svanita è la poesia.
Non senza motivo.

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (242)

Giuseppe Leuzzi

13 punti e mezzo di pil nel 2013 in meno al Sud rispetto al 2007 – la contrazione è stata del 7,1 per cento al Centro-Nord. Lo ha calcolato la Banca d’Italia nella “L’economia delle regioni italiane”.

Galileo snobbò Campanella, che pure gli era devoto e si espose per lui. Il sospetto ha radici lunghe.

L’ellissi
Al salutare “Come state?” rispondiamo: “Insomma!, “Non c’è male”, “Non mi posso lamentare”. Meglio ancora il neutro: “Non ci possiamo lamentare” – il neutro non è l’impersonale “si”, siamo tutti noi. Del resto, anche la domanda non è diretta, lo scrupolo è pure di chi chiede. Che più spesso prudente si limita a un “Che si dice?”, “Come andiamo?”
Oppure parliamo indiretto per naturale ritegno. Una madre non dice al figlio: “Ti voglio bene”, ma gli fa un complimento: “Come siamo eleganti”, “Come siamo belli”. Né l’amata dice all’amato: “Ti amo”, ma lo ammira, e se ne fa ammirare. “Non lo vedo bene” diciamo invece di qualcuno che si suppone malato grave. C’è rispetto per chi soffre, più che l’aggressivo impossessarsi delle sofferenze altrui che viene fuori ora nell’Italia televisiva, da prefiche sul podio.
Si parla al Sud (a Napoli, in Sicilia, in Calabria) indiretto, per ellissi. Con frequenti anacoluti, e metatassi (enumerazioni, ripetizioni, in senso accrescitivo ma anche dubitativo). Nella lingua colloquiale (dialettale) sempre, nell’espressione diretta. Ma anche nei linguaggi specifici: settoriali, tecnici, scientifici. Si parla cioè impreciso. Si tende a scrivere anche così.
La comunicazione-conversazione non è mai definitiva, “geometrica”. Ma al Sud è quasi di programma imprecisa. Con una molteplicità di significati Ma anche con approssimazione, fonte di incertezza nella comunicazione e nei rapporti. Di confusione: lo stesso soggetto è irretito nell’anacoluto. Ciò fa parte della molteplicità, ma in senso limitativo.
La conversazione – lo “scambio umano” – è al Sud non la guardia della scherma ma un coinvolgimento, dello stesso parlante incluso. Anche quando racconta fatti di altri, per quanto remoti. E appartenenza: avvicinamento invece di distanziamento. Il significato specifico non si spiega (definisce, chiarisce) ma si vive. L’io è sempre noi. Non per familismo o omertà, è esistenziale, il modo di essere.
Ma l’appartenenza è pure separatezza. All’esterno del nucleo, come è evidente. Ma anche all’interno: rimanendo nell’indefinito non ci si impegna.
A questo punto, in quest’epoca, è un gioco in difesa. Come all’origine, la tradizione apotropaica – o dello scongiuro. Per non sfidare il destino – non scuoterlo dal torpore. C’è un ritorno del dialetto, un ritorno generale e nelle forme più strette, dopo decenni di italianismo, e non può avere che questa funzione. Parlare ma non esporsi.

L’Antistato
“La famosa questione meridionale è oggi, in gran parte, una questione dei meridionali”, lamentava indignato (la “famosa questione”) sulla “Stampa” Norberto Bobbio: “Non venitemi a dire che in Calabria o in Sicilia non c’è lo Stato “. Ci fu una trentina d’anni fa un’ondata di indignazione per i delitti efferati di mafia a Palermo, e i rapimenti di persona in Calabria. “La gente del Sud non si accorge neppure di essere corrotta”, notava Gianni Amelio tornando al suo paese di nascita in Calabria. Bobbio si spinse a chiedere cavalli di frisia e filo spinato per isolare il Sud. E Galli della Loggia ipotizzava un nuovo decalogo, sempre sulla “Stampa”, “contro la mafia”, attorno al principio che “lo Stato deve rendere la vita impossibile come e più della mafia”. Tagliando l’acqua, la luce e il telefono, e togliendo la patente.
Resta però difficile concepire l’Antistato in Greco, il capomafia di allora, Riina, Messina Denaro.

L’India
C’è una tendenza ad apparentare l’Italia all’India. Vi accenna pure E.M.Forster, che si trovò bene in entrambi i paesi. Più di tutti erano per l’’apparentamento Marx e Carlo Cattaneo, che dell’India sapevano poco o nulla:
Ma c’è anche un apparentamento della Calabria all’India, niente di meno. Lo operarono i gesuiti. Arrivati in Calabria nel 1564 subito la paragonarono l’India, “per la spaventosa ignoranza tanto nello spirito quanto nel morale”. E in un rapporto del 1575 citato da Tacchi Venturi, “Storia della Compagnia di Gesù in Italia”, spiegavano: “Le montagne della Sicilia e della Calabria sarebbero indicate come luogo di noviziato per i missionari delle Indie. Chiunque sarà riuscito nelle Indie di casa nostra sarà eccellente per le Indie lontane”.

Le “Indias de por acà” sono del gesuita spagnolo Michele Navarro,. 1575 - ne parla anche Ernesto De Martino nell’introduzione alla “La terra del rimorso”. Michele Navarro è nelle cronache “Ministro della Provincia del Santo Vangelo”.

La mafia della Cassazione
Dichiarando che Roma Capitale è una mafia, la Corte di Cassazione ha posto infine la parola fine alla questione mafia, che cos’è mafia.  Una definizione della mafia sempre abbondante e sempre sfuggente. Per cui i mafiosi usavano dire: “Non sono mafioso, non so cosa sia mafia, mai sentito”, e avevano in qualche modo ragione. Non si andava oltre il “quadro mafioso”, la “matrice mafiosa”, “lo stampo mafioso”. La stessa corte Europea, che oggi condanna l’Italia per ingiusto processo a carico di Contrada, dice il reato di associazione mafiosa “non sufficientemente chiaro” – in un processo invece mafiosissimo per tutti e con ogni evidenza, e non per colpa di Contrada. La Cassazione ora promette di più, con le motivazioni della sentenza a carico di Buzzi & Co.. .
La mafia tutti sanno cos’è, ma il diritto annaspa. Alla “matrice mafiosa” si rifà anche il dispositivo della sentenza della sesta sezione penale della Cassazione. Che peraltro può non dare le motivazioni della sentenza stessa, non è tenuta. Se lo farà, sarà una pietra solida.
La mafia per i definitori (sociologi, giuristi) è inafferrabile: molti tratti se ne danno, ognuno prevalente, che alla fine si elidono. Organizzazione economica – si diceva quando il capitalismo era mafia. Organizzazione politica? È la ricetta del’Antistato, anch’essa politica. Familismo? Raramente. È violenza organizzata? Più spesso è flessibile. È ribellismo, anarchia? È la forza “pura”, la forza che, dice Simone Weil, “esclude ogni considerazione di fine”? Ma a volte se lo dà. È violenza totale? Ma fa compromessi. La definizione più esatta è quella che Sciascia ha premesso a Henner Hess, “Mafia”, 1970: “Un’associazione per delinquere, con fini d’illecito arricchimento per i propri associati, che si pone come intermediazione parassitaria, e imposta con mezzi di violenza, tra la proprietà e il lavoro, tra la produzione e il consumo, tra il cittadino e lo Stato”. Ma l’“associazione” è equivoca: quanto larga, quanto stretta? È il reato preferito e coltivato dall’apparato repressivo, carabinieri e giudici, ma è anche la rete che tiene nell’angoscia le aree a presenza mafiosa. Tenere le reti a mollo per anni e decenni, di pescicani che intanto gozzovigliano, e sarebbe meglio uncinare subito.

leuzzi@antiit.eu 

Giallo horror

Una macelleria, più horror che thriller. Sulla violenza di rito ai bambini - qui vengono segati. Un best-seller, senza dubbio. Non solo perché venduto a milioni. Ma “assurdo”, “incomprensibile” e “inutilmente crudele” l’intreccio di eccessi viene detto da qualcuno a metà strada, e la narrazione si fa tortuosa per non risparmiarci nulla. Volendosi paradigmatica più che effettuale, uno schema più che una vicenda. Tortuosa, un manuale di criminologia. Tra personaggi inconsistenti. Dai nomi falsi e irriconoscibili. In non-luoghi. Forse per alleviare il ribrezzo, ma in realtà aggravandolo. E infrangendo almeno un paio di regole basiche del thriller: troppi colpevoli, troppi colpi di scena – e se il colpevole fosse il detective che diremmo?
È anche un romanzo redazionale. Come tutti i best-seller, ma Carrisi ha l’onestà di dichiararlo: “Il suggeritore” è stato messo assieme con la redazione dello studio Bernabò. E quindi che dirne? È un buon prodotto evidentemente, di cui tutti sono contenti. Ma il lettore? Sono troppo affollate e lunghe - due generazioni ormai, dal giovane Holden Baricco in poi - le schiere di chi si fa un pregio di scrivere con l’inchiostro simpatico.
Donato Carrisi, Il suggeritore, Tea, pp. 462 € 5

lunedì 13 aprile 2015

E se Renzi perdesse il Sud

Vince il candidato che prende più voti, senza ballottaggio, e questo salverà Renzi in Campania e Puglia, dove il fronte avverso è più diviso – e più severamente – del suo. Altrimenti nelle due regioni, da vincente alle Europee di un anno fa, Renzi si sarebbe ritrovato fra un mese e mezzo probabile perdente. Pur scontando la distribuzione a pioggia del “tesoretto” da un miliardo e mezzo: non tira buon vento per il presidente del consiglio al Sud. Anche per buoni motivi.
Non piacciono ai più, anche ai suoi elettori, i candidati che propone alla presidenza, Emiliano e De Luca. Ma soprattutto non piace il presidente del consiglio che ha tagliato o bloccato le opere pubbliche. E che ha messo in crisi la Campania, oltre alla Sicilia e alla Calabria, dimezzando il conferimento nazionale ai piani strutturali – dal 50 al 25 per cento del valore dei progetti. Un taglio aggravato dalla giustificazione, che si ritiene sprezzante e pretestuosa: i ritardi di queste regioni nell’esecuzione dei progetti. Ritardi che - quasi tutti - sono dovuti alla farraginosa legislazione nazionale.
Renzi non può che vincere, anche in Campania e Puglia, stante l’autoazzeramento delle opposizioni. Ma vincerà “in discesa”, come meno voti, molti di meno, delle elezioni precedenti. L’aria non è buona.

Il “Principe” in Russia, tra Puškin e Tolstòj

Una carrellata affascinante e dettagliata sull’impatto di Machiavelli nella politica e la letteratura russa. Specie del Settecento, quando risulta in dotazione a molte biblioteche di ricchi politici o letterati. Ma già, forse, da Pietro il Grande, anche se leggeva poco, e fino a Puškin (che ne aveva una edizione completa in francese) e Tolstòj.
Machiavelli non c’è invece in Dostoevski, che molto sembra mimarlo. Né in Lenin e in Stalin, due che pure leggevano molto. Il machiavellismo fa a meno di Machiavelli.
Marco Caratozzolo, Lo sguardo russo sul Principe di Machiavelli, “Quaderni di storia” n. 81, gennaio-giugno 2015, Dedalo, pp 9-72 € 16

domenica 12 aprile 2015

Ombre - 263

“Pressing dei pm sul ruolo di D’Alema, Casari elusivo”, titola “Il Sole 24 Ore”. Cosa non dice questo Casari? “Avrei scommesso che Renzi avrebbe recuperato come commissario europeo, e non tanto rottamato, D’Alema”.  In effetti, questo Casari è elusivo: come si regola ora il ragioniere lettore del “Sole”?
Ma di che si stava parlando? Di pressing dei pm?

“Tsipras minaccia l’Europa”, “Tsipras tradisce l’Europa con Putin”, “La Grecia cavallo di Troia della Russia”.  Nessuno ci crede, nemmeno chi lo scrive. Ma chi lo scrive, e lo stampa, perché lo scrive e lo stampa, in grossi titoli? Siamo in guerra, bisogna dare false notizie? Contro la Grecia?

Il 9 aprile infine, il giorno della strage al Tribunale di Milano, in un titolo del sommarietto, Sky Tg 24 timidamente accenna che a Ischia “emergono rapporti  Coop-Pd”. A quando i contatti Murdoch-Pd?

“No al casuismo”, che fu dialettica gesuita, decreta il papa gesuita. Qui lo dico e qui lo nego?

Bersani e la sua segreteria, Veltroni e il gabinetto da sindaco, Marino e la sua giunta (se ne salva qualcuno?), Zingaretti e la sua giunta, e ora Ischia, non c’è scandalo da qualche tempo che non coinvolga il Pd. Ma dalle cronache non si direbbe, uno pensa sempre che la mafia sia di destra.

Nunzia Di Girolamo difende Lupi. Forse per il bene proprio, essendo stata anch’essa costretta alle dimissioni da ministro per un’accusa poi infondata, ma non importa. Poi invece Lupi le prende il posto di presidente del gruppo parlamentare, senza nemmeno scusarsi. In effetti, non c’è molto senso in molta politica.

Il generale Adinolfi, comandante della Finanza a Firenze, è intercettato perché fa gli auguri al sindaco neo eletto Renzi. Colpa grave, dicono  - dopo sei anni – i giudici di Napoli. Ma la cosa non è da ridere: perché un generale era intercettato dai napoletani a Firenze?

Angela Merkel va a Ischia per una diecina di giorni, o sulle Dolomiti: una foto di cortesia sui giornali e niente più. Nessuno le fa il conto di quanto spende lei, di quanto spende suo marito, e di quanti cicchetti si fanno. Se se li fanno – pare di sì. Renzi va in montagna tre giorni, è uno scandalo. Di lui, deal moglie, dei figli. Forse non è la politica che è malata. La politica sarà malata perché l’opinione è malata – i giornalisti, cioè.

L’Italia si commuove infine per una foto – quella dei ragazzi kenyani assassinati abbandonati per  terra. Se non c’è immagine non c’è realtà. Ma, poi, un’immagine che sia “fatta bene”, evocativa. Un millennio senza voce, senza intelligenza. E anche l’emozione, vuole epidermica.

A Londra il sindaco è scontento dei tribunali islamici. Che sono di soli uomini, e le mogli dicono legittimamente picchiate in casa, la ripudiate lasciando sul lastrico. Dunque, in Gran Bretagna ci possono essere tribunali con leggi non britanniche? Questa sì che è una rivoluzione, la legge islamica entro o Stato libero

Ma perché il sindaco protesta, ora e non prima? Quando questi tribunali furono istituiti per esempio. Perché tocca a lui assistere le ripudiate, con pensioni, alloggi, cure mediche. Non il diritto dunque, né l’uguaglianza, né la civile convivenza, solo i soldi sono il segno della civiltà europea.