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sabato 24 novembre 2012

La multa è femmina

Non ci sono più multe per divieto di sosta. La scomparsa, che risale ormai a un paio di decenni, si è scoperta, a una veloce indagine, legata alla loro trasformazione in multe ex art. 158 Cds, per sosta sul marciapiedi, in prossimità d’incrocio, su passo carrabile, su strisce pedonali, su corsie preferenziali. Anche per un secondo: la “sosta” è sosta… E genericamente per intralcio al traffico. Per un periodo furono anche multe per “prossimità ai monumenti”, il reato dell’allora pretore di Roma Gianfranco Amendola.
Il motivo è semplice, raddoppiare e triplicare la sanzione pecuniaria. La multa minima raddoppiata costa 80 euro. Che diventa oltre 90 col corrispettivo orario del vigile che scrive il verbale e la notifica – o li firma, sono prestampati.
Dieci euro per scrivere un multa sarebbe stata una bella provvigione al tempo dell’analfabetismo e degli scrivani di professione. Ma anche ora. Lo stipendio tabellare di un vigile urbano è a Roma di 1.420 euro,  mensili, 64 al giorno, per ogni giorno lavorativo (dividendo per il mensile 22). Come mai i vigili hanno in disdegno 90 e rotti euro, una volta e mezza la loro giornata di lavoro?
Raddoppiata
Non ci sono più multe nei luoghi trafficati: piazze, vie di grande comunicazione, incroci. Dove spesso macchine in seconda e terza fila creano ingorghi e code. Meglio nei luoghi appartati, strade secondarie, di quartieri marginali, senza traffico. Dove misurare con calma di quanti centimetri il parafango anteriore o posteriore sta sopra le strisce pedonali. Nelle piazze deserte di notte dove  qualche decennio prima sia stato dimenticato un  divieto di sosta.
Non ci sono più nemmeno controlli dei “documenda”. Cioè, ci sono, ma minuziosi e generalizzati. Interminabili, estenuanti anche. Con l’esclusione di quello corporeo, che potrebbe semmai provocare qualche frillo, si estendono alle luci, alle luci antinebbia, agli stop, al freno a mano, alla dotazione obbligatoria (triangolo, giacca luminescente), agli scarichi. Tutto pur di fare una multa. Se la pattuglia è femminile.
Perché c’è una terza stranezza, oltre quella del fuorimano e dei controlli. Non ci sono più multe praticamente di vigili, se la ricerca si estende per “generi”, ma di vigilesse. E di questo non si sa il perché. Se c’è una scuola speciale di vigilanza per le donne. O se è l’indole femminile specialmente indotta al genere sbirro. Della donna italiana, non c’è questa differenza oltralpe, in Svizzera, in Germania – in Germania la professione non è specialmente ambita dalle donne, se non per le attività da assistenza sociale.
P.S. – Un seguito piace dare a “Vero o falso” di codesto sito che qualche giorno fa indicava vari municipi di Roma Capitale impegnati a elevare multe per danneggiare politicamente il sindaco Alemanno. Al XIIImo Municipio il presidente Vizzani, che aveva ordinato la stretta, con sgomento del vasto territorio amministrato (Ostia, Acilia, Casal Palocco, Infernetto, Castel Fusano, Ostia Antica, Madonnetta), se l’è vista applicare contro le sue macchine. Sue, dei suoi collaboratori e di tutti i membri del consiglio, di destra e di sinistra. A preferenza delle altre macchine, anche se in triplice fila. Vizzani che è stato eletto con Alemanno, e quindi, è da supporre, amico del sindaco.

Un capolavoro di storia, di idee, di calcio

Si riedita rapidamente in economica questa storia che sarà un classico. Una lettura in cui non si salta una riga – è da supporre anche per non tifosi (col fastidio di imprecisioni che una minima cura editoriale avrebbe evitato: De Coubertain, una popolazione stratosferica per il Brasile, Chapman che nel 1918 fabbrica – non costruisce – munizioni per l’Inghilterra probabilmente, ma sicuramente non contro l’Italia, e altre minori). Quante cose che “sapevamo” e che ora finalmente sappiamo. Era un gioco violento, il calcio, di dieci solitari, con dribbling stretto o braccia comunque muscolose, da usare contro gli avversari non potendolo con la palla, più il guardaporta a cui ridare l’uso proprio delle mani. Ci volle tempo perché diventasse un passing game, a opera degli scozzesi (anche il calcio, dunque, come la filosofia “inglese”, è in realtà scozzese). E quindi di squadra. E quante sottigliezze nell’allungare o accorciare il campo, nel gioco tra le linee, nel terzo, quarto o quinto difensore – “libero” il difensore lo è sempre stato dagli inizi. E nella democraticità del professionismo, che ci evitò infine le squadre di imprenditori, medici, avvocati e ingegneri, uno povero non potendo altrimenti “scegliere” il pallone: le cose semplici a volte sono difficili, la retorica è fortissima – dei dilettanti alle Olimpiadi, per esempio, dopo quattro anni di esercizio quotidiano esclusivo. Modesto, un capolavoro: leggere di corsa quattrocento pagine sulle tecniche e le tattiche è perfino esilarante.
Breve su ogni aspetto, ed esemplare. Il calcio, per esempio, come ultima espressione dell’imperialismo britannico. Come il gillette, non male. Anche in India, ma pretendevano di giocare scalzi. O il decennio del calcio italiano. Perché sì, ce ne fu uno, gli anni 1930. L’Italia, sconfitta tra il 1930 e il 1940 solo in cinque partite, vinse l’Europeo (Coppa Internazionale) del 1930, il Mondiale del 1934, l’Europeo successivo, nel 1935, l’Olimpiade del 1936, il Mondiale del 1938. Del calcio italiano e non fascista, anche se gli anni sono quelli. La controprova è nella persecuzione di Erbstein, il mago del Grande Torino, per le leggi razziali: a p. 71, che merita leggere anche in piedi in libreria. Non c’è Fulvio Bernardini, il primo nazionale della Lega Sud, che vincerà due campionati “da solo”. Non c’è neanche Maestrelli. Ma c’è molto altro. Sul Mondiale di Spagna Soldati ha costruito con poco - un barbiere, un oste - un racconto godibile. Con meno pagine, Sconcerti lo racconta in modo ancora più godibile – e ancora non sappiamo se la maglia di Maradona strappata da Gentile non fosse tarlata. Accanto alle “cose serie”: la Rai, per esempio, caso insigne d’insipienza anche nel calcio, che nel 1995 pagava 191 miliardi per le sole sintesi dopo-partita, “per non svuotare gli stadi”, mentre l’anno dopo Tele+ potrà vendersi tutte le partite in diretta, al costo di soli 203 miliardi. 
Mario Sconcerti. Storia delle idee del calcio, Baldini Castoldi Dalai, pp. 389 € 9,90

venerdì 23 novembre 2012

Letture - 118

letterautore

Aragon – Era gay, ma non si può dire. Tra un mese, il 24 dicembre, ricorrono i trent’anni della morte del poeta staliniano e “pazzo di Elsa”, Elsa Triolet, la musa sovietica, e le pubblicazioni celebrative si moltiplicano. Tra esse “Aragon, la confusion des genres”, un testo critico-memorialistico del suo maggiore specialista, Daniel Bougnoux, che da quindici anni ne cura le opere complete nella Pléiade. Ma senza il capitolo 7, nel quale Bougnoux raccontava di un Aragon che gli apparve, un caldo pomeriggio di luglio 1973, nella camera n.15 del residence Cap Brun vicino Tolone, nudo, eccetto un cache-sex rosso. L’editore Gallimard lo ha censurato. Bougnoux ha accettato la censura (Gallimard è anche l’editore della Pléiade), ma poi ha messo il capitolo censurato online, su BibliObs.com, il sito del “Nouvel Observateur”. Drieu La Rochelle, amico d’infanzia di Aragon, un altro che, scrisse, “sessualmente l’avevo messo a nudo e non me lo ha perdonato”, finì male, ma Bougnoux non ha paura. Il capitolo è importante, afferma, perché, accompagnando l’uscita del quinto volume delle opere di Aragon nella Pléiade, ne rappresenta la complessità – appunto “la confusione dei generi”.
Aragon vi è descritto in vacanza a Tolone, dove si recava in estate dal 1971, dopo la morte di Elsa, “attorniato da una corte di giovanotti ai quali distribuiva chiacchiere, carezze e colpi di artiglio”. Bougnoux abitava a Tolone in quanto giovane professore di filosofia al liceo, a 29 anni, e si recò a incontrare Aragon dopo aver pubblicato un saggio su una delle sue opere, “Blanche ou l’oubli”, che sapeva essergli piaciuto. Aveva trovato Aragon sulla spiaggia, attorniato da giovanotti rumorosi e noiosi, e fu contento quando il poeta propose di leggergli qualcosa del romanzo che stava scrivendo. In camera Aragon gli si presenta ammirevole sotto ogni aspetto: alto, ben tenuto malgrado l’età dentro l’accappatoio, preciso nella dizione, melodioso, “era difficile sfuggire al suo charme ipnotico”. Fino a che non sparisce nel bagno, per ritornare dopo un bel pezzo, preceduto dal profumo “di un muschio pesante dominato dalla rosa”. E qui Bougnoux è ancora stupefatto: “il Vecchio” ricomparve truccato, con “ciglia false gocciolanti di rimmel”, vestito solo di un “cache-sex rosso vivo”, mugolando versi e inviti inequivocabili, anche perché “il profumo, piuttosto un gel, non era stato applicato per caso ed era facile, alla breve distanza dov’ero, indovinare da quale orificio copiosamente spalmato emanava  lo stordente invito”.
Uscendo, Bougnoux incontra “Raoul”, che aspetta geloso ai piedi della scala. “Raoul”, che chiama anche “il segretario”, è François-Marie Banier. Il fotografo diventato ultimamente famoso quale beneficiario dell’ottantenne Liliane Bettencourt de “L’Oréal”, lanciato nel 1971 come grande scrittore da Aragon su due pagine del suo periodico “Les Lettres Françaises”. Che però nega di esserne stato l’amante – Banier aveva all’epoca 23 anni, ma era già ben provveduto da un’altra “antica” conoscente, Madeleine Castaing, settantacinquenne.

Citazione – È riposo ricostituente, pensare per procura, per chi non ha compagnia reale, carnale. E un gioco. Attraverso le citazioni ribaltamenti agghiaccianti sono possibili per esempio nei Vangeli. Un Cristo blasfemo c’entra tutto, uno laico pure, perfino ateo, uno Casanova e uno antifemminista, o gay, uno anarchico, uno del foro interiore, e magari della maggioranza silenziosa. L’Antico Testamento si salva solo con le sortes vergilianae, le estrapolazioni casuali. Letto di seguito è più spesso orrendo, sempre lo è nei contesti, personali, storici, razziali – o si può leggerlo come un romanzone di detriti, la Bibbia ne ha l’aria, non irrispettosamente, essendo la Parola di Dio, Stendhal ne organizza ottimi recuperi. Ma questa è tecnica, l’uso delle citazioni, l’arte dell’odierna decostruzione. Decostruire, alla fine, è un gioco dell’oca: non porta a niente se non a giocare.

Dante – Autore cavalleresco? La novità è di René Girad, il teorico del “desiderio mimetico” e del “capro espiatorio” nella religiosità: “Il Romanticismo fa di “La Divina Commedia” un altro romanzo cavalleresco”. Girard lo dice per antifrasi, ma nessuno prima lo ha detto. Lo dice peraltro a conclusione del saggio “Un desiderio mimetico. Paolo e Francesca” (in”Geometrie del desiderio”). Dopo aver notato che colui che semina “i germi della passione nel cuore di Lancillotto e Ginevra”, il romanzo che Paolo e Francesca leggono, è Galehaut, Galeotto, “il cavaliere fellone, il nemico di re Artù”. E lo ribadisce: “Nell’imitazione di un modello cavalleresco Don Chisciotte” ricercherà “la stesa semidivinità di Paolo e Francesca”. Per concludere: Dante apre, “sull’essenza della letteratura, uno spazio di riflessione che comprende il «play within the play» scespiriano e la «mise en abîme» di Gide”.

Misantropia – Lo snobismo è una forma blanda (avvertita) di misantropia. Mentre la letteratura, anche la più disperata e disidratata, è voglia di esserci, di partecipare – la scrittura è fatica. È questo il busillis Proust, più malinconico che misantropo (snob), seppure in abito da sera.

Prefazione “Gli inizi sono il mio forte” dice il Seduttore di Kierkegaard. Kierkegaard preferiva le prefazioni, di cui scrisse un libro, ai libri: spiegazioni di libri. Per meglio dare corpo alla “realtà” - “Come si cancella la realtà? Dandole espressione”. Da qui le prefazioni di libri inesistenti, espressione certo di una realtà.
Una realtà dell’epoca: Nietzsche scriverà “Cinque prefazioni per cinque libri non scritti”. Un’orgia d’imposture per tenersi rigidi alla verità.

Scrivere - Scrittori a cui mai nulla è succeduto, nemmeno di dire una bugia, o esserne vittime, devono tutto immaginare. Come si può immaginare senza esperienza? La memoria atavica, si dice. Ma è solo libro di libri, di altre narrazioni, riscritture. C’è anzitutto bisogno di un’emozione: “L’infelicità è una benedizione per lo scrittore”, attesta Borges. Senza escludere altre fonti, quella di Woodsworth per esempio, per il quale “la poesia scaturisce da emozioni che si richiamano quando si è felici”.
Ma l’arte di scrivere può tutto. Compreso l’Orbis Tertius dello stesso Borges, che Popper aveva già divisato prima della guerra, o Frege, accanto al mondo fisico e a quello delle mente e dei sentimenti: il mondo della lettura, storie, miti, dottrine, teorie, anche false, contenuto nelle biblioteche, anche ridotte.

Sogni - Il mistero dei sogni si ricostituisce con l’interpretazione, modificato forse nei segni ma intangibile. Freud voleva essere un mago – un sacerdote di Plutarco, la sua scienza è l’oniromanzia - e questo lo fa simpatico, rifare la Smorfia.

Solitudine – Una citazione d’obbligo, nel ritratto che Citati fa di Flaubert (“Corriere della sera”, 20 novembre): “Hai riflettuto a quante lacrime ha fatto scorrere questa orribile parola «felicità»? Senza questa parola, si dormirebbe più tranquilli e si vivrebbe più a proprio agio”. E una dalle letture buddiste di Flaubert dopo le disgrazie familiari: “Dalla ricerca nasce l’attaccamento, dall’attaccamento nasce in questo mondo il dolore: colui che ha riconosciuto che il dolore proviene dall’attaccamento si ritiri, come il rinoceronte, nella solitudine”. Altrettanto feroce che il rinoceronte? Della solitudine non ci si libera, come non dalla felicità - non è solo del resto il trappista nella cella o l’eremita nella caverna sul monte. Budda è consolatorio e può essere terapeutico, ma non veritiero.

Sound – Si vedono film in cui, nei titoli di coda, è dettagliata ogni virgola, fino ai camerieri del catering. Ma non le musiche. Che sono invece l’esca di molti film, di astuti registi e, soprattutto, produttori.
Si è creata tra immagine e suono una strana dicotomia, si è voluto crearla, senza ragione apparente. Perfino in autori che sono nel complesso artisti, dell’immagine come della parola, scritta ma forzatamente anche sonora. Nelle stracche conferenze dell’Aci, associazione culturale, o analoga organizzazione che tenne in giro per l’Italia con Moravia nel 1961, o 1962, all’inevitabile domanda sulla funzione della musica nei suoi film Pasolini rispondeva: “Nessuna. Qua e là Bach, ma per un bisogno personale di decontrazione”. Bach nessuno?

TuttiAutori – Abbasso l’Autore, tutti autori – romanzieri e poeti. “TuttiAutori” è una sigla di libri autopubblicati, ma è anche lo stato della letteratura italiana del millennio: i primi posti in classifica e nell’editoria sono di giornalisti, cantanti, imprenditori, manager, costituzionalisti, burocrati, insegnanti. Non solo nella varia, anche nella narrativa e nella saggistica.
È una caratteristica italiana. Non è escluso che l’Italia funzioni anche in questo, come per la politica personalizzata o “il piccolo è bello”, da laboratorio di novità. Ma è una novità che gli editori tedeschi lamentavano già venti anni fa, e non hanno adottato. Anche negli Usa, dove pure l’editoria è aggressiva commercialmente e alcuni cantanti avrebbero titolo pieno alla poesia, Dylan, Morrison, le attività sono tenute distinte.
I giornalisti sono specialmente favoriti, poiché assicurano anche il lancio, con interviste e comparsate, specie in tv. Una nuova attività, nell’epoca di più bassa fortuna del giornalismo, col crollo circolazione, delle audiences, dell’attendibilità. Con più potere.

letterautore@antiit.eu

L’empatia semplice di Colette

È il primo libro col suo nome: Colette ha 35 anni ma soffre già la fuga del tempo e raccoglie fatti della vita, immagini, amori, di cani e gatti soprattutto, affettati (la sua gatta “ha fame, ma non si alza subito, in omaggio al miglior cant”), personaggi, donne soprattutto, e la vita del corpo, che Colette sperimenta nel music-hall, e nelle “tenera amicizia” con “Missy”, cui dedica alcuni racconti. Colette è stata divorziata dal marito, e socio di scrittura, Willy, che ha cinquant’anni e un nuovo amore, Meg Villars, di dodici anni più giovane della scrittrice. Ma la cosa non lascia traccia, Colette vive scrivendo: la proustiana “memoria involontaria”, qui visiva e olfattiva, che dominerà la sua vita e l’opera, è già robustamente presente.
La presenza di “Missy” rattrista retrospettivamente, con la lettura dei pezzi a lei dedicati, la raccolta. Marchesa Mathilde de Morny, figlia del duca di Morny, fratello uterino di Napoleone III, “Missy” vestiva da uomo e si era fatta praticare l’isterectomia e l’ablazione dei seni. Aiutò molto Colette nella separazione da Willy, anche economicamente. Non fu ricambiata, in bassa fortuna e in punto di morte (suicida) nel 1944. Ma l’empatia semplice coi fatti della vita si voleva e resta viva.   
Colette, Viticci

giovedì 22 novembre 2012

Secondi pensieri - 124

zeulig

Amore – È grazia. Si può morire d’amore, ma perché già è morto l’amore. Come nella poesia necrofila tedesca, dei poeti che l’amata la vogliono morta.

Si racchiuderebbe oggi nella formula svetoniana “invitus invitam”, a proposito dell’imperatore Tito che allontana Berenice - seppure nel rapporto  inverso, “invita invitum”: non volendo. Non volendo lui, non volendo lei. Per lo stress, per l’egotismo, perché a casa dalla mamma si sta meglio.

Corpo – È una delle poche cose (la sola?) maschio-femmina. As we go marching marching\we battle too for men,\for they are women’s children,\and we mother them again.\ Hearts starve as well as bodies,\Bread and roses! Bread and roses!”, “I cuori hanno fame come i corpi”,  cantava Mimi Fariña dei Bread ‘n Roses, con i quali faceva musica gratis nelle scuole, gli ospedali, le prigioni, gli ospizi, prima di diventare bandiera incongrua della guerra dei sessi, e loro, gli uomini, “sono figli delle donne,\che nuovamente li generiamo”.
Non divide la bellezza. La bellezza delle donne è contestata, non solo dai filosofi. C’è una consistente tradizione, sotterranea ma costante sotto gli inni e i madrigali, da Simonide allo Pseudo Luciano e Achille Tazio, ai padri della chiesa e ai grandi amatori Ovidio e Baudelaire, che ne fa ludibrio. Molte donne la curano, specie del genere proustiano, sensibili cioè e di spirito vago, con le virgole, tutte scrittura, come Chopin è musica pura, ma per farsi inabbordabili - Proust, si sa, è Bosch e non Breughel, benché s’ingentilisca con Vermeer e Manet.

Crisi - Il senso della crisi è antico e si rinnova vivace, spiega Huizinga, uno specialista. Viviamo nell’attesa della fine del mondo. Ciò a Kant riesce inspiegabile: “Perché gli uomini si aspettano la fine del mondo? E perché se l’aspettano con terrore?” La nozione risale a Ippocrate, quindi alla malattia. Ma si applica ai processi morbosi della finanza e della politica, che hanno la febbre, dice Kant, con “deliri, fantasie selvagge, discorsi insensati”, se non sono allucinazioni, “in seguito a lesioni dei centri del sistema nervoso, e alle forze sociali non più regolate e rattenute da un principio superante la finalità di ciascuna di esse, giacché lo «Stato» non è siffatto principio”. Forse è un rigurgito del bisogno di felicità, dopo che lo stesso filosofo ha demolito il vecchio desiderio. Il fatto è che “l’Occidente e l’Europa”, conclude Kant, “e solo essi, sono «filosofici». Il fatto è attestato dalle scienze”.
Se la scienza connota la storia dell’uomo, cioè la storia, è perché trae origine dall’Occidente, cioè dalla filosofia. E dunque l’Occidente è la filosofia. Se la filosofia è depressa, l’Occidente è depresso. Se la filosofia è niente, l’Occidente è niente. Se l’Occidente impera, impera il niente. Gli Usa ne sono prova, che come si sa non esistono.

È severo il professor Severino, che per questo è stato condannato dal Sant’Uffizio e cacciato dalla Cattolica: “Già alle origini dell’Occidente, con i greci, la storia diventava impossibile. I greci hanno scoperto il carattere radicale del nulla. L’uomo pre-greco sapeva di compiere con la morte un viaggio in un mondo da cui avrebbe potuto forse tornare. Vivere tra il nulla e il nulla è in realtà morire, e questo è l’atto supremo di conoscenza”.
Il nichilista è miglior cristiano lo diceva Oscar Wilde, in altro senso. Coleotteri siamo, ancorché giganti, che vivono di escrementi. La famosa catena ecologica. Coleotteri pensanti, che la vanno a raccontare.

Diritti – I diritti individuali sono doveri della storia. Ma solo in Occidente.

Etica - È locale. E stratificata: socialmente, etnicamente, perfino orograficamente – ce n’è una per la montagna e una per la pianura, e in montagna per le vette e per le valli, se cupe. Gli Usa, che molto legano ultimamente la morale al sesso, hanno bandito fino al 1933 l’ “Ulisse” di Joyce per oscenità, hanno avuto difficoltà a stampare “Lolita”, tre anni dopo l’edizione parigina, non hanno potuto tradurre il “Decameron” fino al 1930, e ancora con molti passi lasciati in volgare  trecentesco, e hanno misurato fino al 1967 il tempo dei baci al cinema, la scollatura e il costume da bagno, tutto codificato in un “Codice Hays”. Ma erano il popolo che più divorziava al mondo per una scopata migliore. L’etica è una norma.
Subito dopo, subito dopo il Sessantotto, la trasgressione negli Usa è la regola. Anche col postino, a opera di casalinghe, e nei racconti di Updike. Anche Marlon Brando starnazzava nel 1973 al festival al Lincoln Center, vedovo forse cornuto nel film di Bernardo Bertolucci “Ultimo tango a Parigi”, facendosi seppure col burro un’altra conoscenza occasionale, a quel che si vede non trascurabile - e con Bertolucci che al Lincol Center, al party della United Artists, produttrice del film, intona l’Internazionale.
Dopo il Sessantotto l’etica si fa hectic, febbrile, rara parola americana derivata dal greco. Dove invece significa l’opposto, abituale, e non si sa più come prendersi: la lussuria secondo Giovenale viene all’apogeo dell’impero, sarà per questo che l’America bacchettona di colpo lussureggia? Bere no, non si fa più. Si beveva nei romanzi beat, poi non più, e fumare è da sfigati, da padiglione incurabili. Mentre si scopa in ogni film, anche se le inquadrature sono disagevoli, con chiunque, ovunque, a ogni ora. Ciò impone l’accantonamento di alcuni generi, i film tutti uomini, biblici, fantastici, per ragazzi, ed è un problema.

Relativismo – È dogmatico. Il dubbio lo è, distruttivo. Come un personaggio di una storia della Bible Belt Usa può dire, in “Wiser Blod” di Flannery O’Connor, una sorta di minorato: “C’è ogni sorta di verità, la vostra verità e quella di qualcun altro, ma dietro a esse tutte c’è una sola verità: ed è che non c’è verità”. È il relativismo volgare, ma non ce n’è altro.

Riti – Resistono quelli del glamour. Lenti, ripetitivi, “freddi”. Anzi hanno eclissato ogni altro. Ogni concerto di rockstar, anche solo di una promessa, ha un rituale invariabile, di urla (inni), gesti, decori, pause, riprese, e l’inevitabile applauso. L’applauso è, seppure autoinflitto, l’atto catartico, liberatorio. Un festival del cinema ha un lungo tappeto rosso, transenne, limousine, molti vigili in pennacchio, e gruppetti di attori-registi-sceneggiatori, due maschi in genere e due o tre femmine, in deshabillé con qualsiasi tempo, i maschi un tempo in smoking (Pasolini con la camicia plissetée), ora altrettanto rigorosamente casual. Che vanno e vengono, si fermano, si fanno molte foto, in pose lente, un gruppetto dopo l’altro, il cerimoniale è invisibile ma ferreo, la sfilata può prendere ore, mentre i pubblico aspetta sempre attento e partecipe.

Riso - Una ragione per eliminare i vecchi c’è, spiega Propp, l’analista delle fiabe: “Tra l’antichissima popolazione di Sardegna, i sardi o sardoni, vigeva l’uso di uccidere i vecchi. E mentre uccidevano i vecchi, ridevano sonori”. È una commistione: a Creta, alle origini dell’Occidente, una statua di bronzo fu donata, di nome Telo, che ogni giorno faceva il giro dell’isola, e se incontrava un nemico fenicio lo arroventava abbracciandolo ridendo. La risata passò in Sardegna quando Telo e i cretesi, fonditori di metallo, si trasferirono nell’isola ricca di miniere – via Sardi di Libia, lì vicino? Il riso nacque così irridente. È una liberazione, il riso certo, non la lapidazione, e non dai poveri vecchi: sempre i giovani hanno riso. Pure Isacco, “colui che ride”, sotto il coltello del padre Abramo, forse perché stava per vanificare d’anticipo tutto il freudismo. E Beatrice alla visione beatifica.

Tempo – Bacone lo dice “partus masculus”. È importante per stabilire i nessi di potere e i rapporti di forza, come si domina e come si è dominati.

Nel progetto di Cristo il tempo del mondo sarà una pausa, con un inizio e una fine, dentro l’eternità. Accoppiata eterogenea, avendo i due tempi natura diversa, ma preparatoria all’esame di riparazione: il tempo cristiano è storia breve e unica, che non si ripete, andando per linea retta da un inizio a una fine. Insomma, il tempo come riflesso dell’eternità. La storia è rivelazione di Dio anche per molti gentili, dopo sant’Agostino: Pascal, che dubita ma ci crede, Vico, Herder, Hegel, e Fichte perché no, con lo Spirito e l’Assoluto, o Heidegger. Magari di un Dio morto.

zeulig@antiit.eu

Contro Hamas il risentimento di Gaza

Ha vinto Hamas, ma forse ha perso. L’omaggio che Meshaal, il capo di Hamas, ha reso all’Iran per i missili, nel momento in cui la pace e un futuro venivano assicurati a Gaza dall’Egitto, è un segno di debolezza. Un affronto ai suoi finanziatori, i regnanti dell’Arabia Saudita e del Qatar.
Nella Striscia prevale il risentimento già sperimentato dalla Resistenza in Europa nel 1944: contro i miliziani che fanno una comoda guerra di missili a distanza, esponendo alla rappresaglia cittadini inermi. Le manifestazioni per la “vittoria” su Israele hanno visto ieri pochi partecipanti, qualche centinaio. Molti della Jihad, concorrente in estremismo di Hamas..
Hamas è sulla difensiva non da ora, stretta tra la Jihad e i regimi islamici filoamericani. Non ha offerto prospettive a Gaza, dopo aver vinto le elezioni del 2006. E da tre anni impedisce che nuove elezioni si tengano. Mentre la parte cisgiordana dell’Anp, governata da Fatah, prospera in pace. 

Gli umori di Baricco in 50 blurb

“Solo maestri o voci irripetibili”, vanta Baricco, ma in fiera non gli crederebbero: da Agassi a Darwin, al termine dei “migliori cinquanta libri” nulla resta, se non i suoi umori. Non eclatanti, per dirla alla Baricco.
Pezzi facili d’autore per illustrare “Repubblica”,  che sostituì Baricco a Citati. Ma illustrano Baricco, che blurbeggia – creativo, bisogna riconoscerlo. E il dubbio sorge: sono i migliori cinquanta “la scelta di Baricco”, oppure degli editori che ricopertinano i libri per esibirne i blurb?
Alessandro Baricco, Una certa idea di mondo, La Biblioteca di Repubblica, pp. 159 € 2

mercoledì 21 novembre 2012

La giustizia, una barbarie

La vendetta, per quanto normalizzata (generalizzata) dall’antropologia, è sempre la stessa che in Omero e nei tragici greci, giusta e ingiusta. La pena è uno scandalo per l’intelligenza.
Un’arringa in favore di pene “alternative a vocazione più preventiva o educativa che regressiva”. Sulla base della restorative justice dei paesi anglosassoni, e “delle esperienze più propriamente sostitutive sul modello della commissione «Verità e Riconciliazione» dell’Africa del Sud”, di Nelson Mandela e monsignor Tutu. Per incidere sul “cuore nero della giustizia violenta”. Che non ha più senso dopo l’esclusione della “vendetta” – di cui in Platone, anche in Aristotele – dal “risarcimento” giudiziario.
Ricoeur muove da un concetto semplice: “È la nozione d’interesse della legge che chiede di essere ripensata e riformulata, in collegamento col concetto politico di ordine pubblico”. Su un presupposto solo apparentemente eversivo: “La sicurezza come diritto non va senza la duplice soddisfazione da dare alla vittima e all’offensore. È come vittima potenziale, ma anche forse come offensore potenziale, che ognuno di noi ha diritto alla sicurezza”. Non trascurando “l’ineguaglianza delle condizioni di comparizione”, che fa delle prigioni il luogo soprattutto dei poveri.
Un saggio breve (concettoso), sintesi del lungo pensiero centrale del filosofo, “Il Giusto”, quindi vecchio di una ventina d’anni. Che si segnala come misura del ritardo, se non della barbarie, della giustizia per esempio in Italia, che si vuole la culla del diritto – il sistema penale è parte integrante de sistema giudiziario.
Paul Ricoeur, Il giusto, la giustizia e i suoi fallimenti, in E. Bonan-C.Vigna (a cura di), Etica del plurale. Giustizia, riconoscimento, responsabilità

La vera storia del ragioniere rapito

Il ragioniere rapito di Berlusconi è un canovaccio di scuola della provocazione: tutto vi è “incredibile” ma s’incastra come un puzzle preordinato. Il finto pentito, i rapitori liberati da condanne pesanti, alcuni di essi albanesi, condannati ma non espulsi, la minaccia-non-minaccia, la chiavetta usb, le scarpe rossonere, un’immagine scelta tra miliardi di altre, i telefoni dei “sequestratori” sotto controllo, il “settimo” uomo nascosto a Segrate (da Mondadori? da Mediaset?). Magari non lo è, ma non è nient’altro.
Agghiacciante la conferenza stampa dei tre inquirenti. Sono gli stessi che gestiscono Ruby, da quando stava in Sicilia? Almeno in parte sicuramente sì. È lo stesso investigatore che ha promesso a Bersani “delle altre” (“ne sentiremo delle altre”)?
Non un grande canovaccio, melenso. Il ragioniere pulito serve ad aggiungere oscenità al processo per prossenetismo a Berlusconi. Ma questa volta, sembra, ha paura la stessa Boccassini, la giudice che ha montato il processo Ruby.

Moderato islam, ma fino a un certo punto

Esordio con moderazione, dunque, dei nuovi governi islamici dopo le primavere arabe. L’Egitto otterrà il cessate il fuoco a Gaza. Mentre i missili di Hamas si confermano periodico richiamo per le nuove generazioni di palestinesi rifugiati nella Striscia, nulla di più. Questo nel cuore della questione araba, quella su cui si punta l’attenzione dell’Occidente. Alla periferia il radicalismo islamico invece dà battaglia.
Non cessa il terrorismo fondamentalista in Iraq. E una minaccia analoga insorge in Tunisia. Che si sta trasformando da paese arabo più pacifico a crocevia del terrorismo jihadista. Il governo denuncia “numerosi episodi” di traffico d’armi in direzione della Libia con destinazione Mali, e in direzione dell’Algeria. La situazione è del incerta nella stessa Tunisia. Poco meno di un migliaio di salafiti sono detenuti a vario titolo, per bombe, incendi e devastazioni violente.
In Tunisia, inoltre, l’elaborazione di una nuova Costituzione è in stallo, per le pressioni degli islamisti più accesi. Lo stesso in Egitto, dove pure un progetto di Costituzione è definito, con la separazione dei poteri: il presidente Morsi non ha abbandonato il disegno di assoggettarsi il giudiziario e cambiare i codici – con più chances che in Tunisia, dove il vecchio laicismo sembra più resistente.  


   

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (152)

Giuseppe Leuzzi

“Il dominio naturale ha Comunità naturale, il violento violenta” – è uno degli “Aforismi politici” di Campanella, 1601. Da quando il Sud è diventato violento? Da dopo l’unità – la Calabria dopo la Repubblica.

“La polizia moderna non teme le parole, teme i fatti”, riflette C. Alvaro in “Quasi una vita”, p. 53: “Ma anche le parole possono servire. Sono poche quelle che sfuggono a questo sospetto. Ed è una fama divulgata ad arte, per dissociare il corpo sociale”. Dissociare il corpo sociale, bisogna pensarci.

Piove al Nord, è l’effetto serra (cambiamento climatico). Piove al Sud, è la speculazione (mafia, abusivismo, sfascio idrogeologico).

“Abbasso Roma!” era già un libro della Rizzoli del 1964. L’aveva scritto Massimo Simili, un umorista.

Norberto Bobbio fu molto severo col Sud quando cominciò a scrivere sui giornali. “Settentrionalista” lo trovava Franco Fortini a 40 anni, nel 1955, nell’affettuoso, estremamente elogiativo, ritratto che ne fa in “Asia Maggiore”, al ritorno da un viaggio organizzato in Cina.

Milano è sorda?
Milano limita la musica alla prima della Scala. Pur avendo speso molto per diventare città musicale. Nutrì Mozart e Sammartini, e Giovannino Bach. Ma la biblioteca della sola casa Palfy a Vienna, annotò Stendhal, contava più di mille composizioni di Sammartini. Una città meno distratta dagli affari avrebbe accumulato di più, Milano butta via troppe cose.
Il direttore del Conservatorio Basily non ammise Verdi perché di “scarse attitudini musicali”. Rossini ventenne vi inaugurò senza seguito il crescendo, ne “La pietra del paragone”, che non c’è ancora nel “Tancredi” e nell’“Italiana”. Lo rubò, secondo Stendhal, a Giuseppe Mosca, musicista di cui nient’altro si sa – tornerà conte nel romanzo dello scrittore, è un conte l’amato della “Pietra del paragone”.
Anche la Prussia tentò di diventare musicale. Nel 1788 il re di Prussia Federico Guglielmo II, violoncellista, cercò di portare Mozart a Berlino, sottraendolo a Vienna. Nel 1796 provò con Beethoven, che ne fu tentato. Ma l’anno dopo il re morì: che ne sarebbe stato della Prussia e la Germania se Mozart e Beethoven avessero lavorato per gli Hohenzollern invece che per gli Asburgo? Si sarebbero dedicate al canto invece che alle caserme. Anche Marx e il comunismo sarebbero nati musicali, avrebbero cantato il socialismo della cattedra, e  Kautsky, perché no, Rosa Luxemburg, Lenin. Milano dunque non sarà sorda?
Vero è che è dispersiva, pure Manzoni se ne stava a Parigi, in Toscana e a Brusuglio. O che pure Milano non sarebbe milanese: è sporca e inefficiente. Sembra che la mattina, invece di riordinarsi, si spettini, e esca cisposa.

Perché non ci sono barzellette su Milano? Non si scherza con l’unica città riformata, o controriformata che è la stessa cosa. Che ha giornali e i libri, e impone le mode e i linguaggi.

L’Inter pareggia a San Siro contro il Cagliari grazie a tre prodezze del suo portiere su gol “già fatti”, e a un’autorete sospetta. Ma Moratti se la prende con l’arbitro. E con non si sa chi: “Sono situazioni che ho già vissuto in passato e non vorrei tornare a vivere”. Intende dire che gli arbitri sono pagati dalla Juventus. È un “avvertimento”, ma a Milano non c’è la mafia.

A Moratti fa eco Galliani del Milan: “È colpa dell’arbitro se abbiamo perso il derby”, con l’Inter. “Chi se ne frega”, la risposta di Moratti.

Il padrone dell’Esselunga Caprotti  ha un suo progetto di aeroporto intercontinentale dell’Italia del Nord, 28 milioni di utenti, a Ghedi-Montichiari, a Sud di Milano. Che oppone a Malpensa, aeroporto fuori mano “sorto lassù per caso, sulla vecchia pista dei Caproni, costruttori di aerei anni Trenta”, e costruito male, con le piste parallele al terminal, eccetera. Uno spreco. Di cui la colpa dà perentorio all’Alitalia, “la linea aerea all’amatriciana che ci è costata oltre diecimila miliardi di vecchie lire in perdite e sovvenzioni”.  Mentre è vero il contrario: tutta la perdita è di Malpensa, un progetto ambrosiano e lombardo, cui Alitalia ha tentato di resistere per trent’anni, e quando infine c’è andata coi governi leghisti è fallita.
Milano butta sempre la sua merda sugli altri, notava Malaparte.

Giovanni Pons espone su “Affari & Finanza”, senza malizia, a proposito del riassetto Pirelli, una normalità degli affari a Milano da brivido:
Si diceva la Galassia Mediobanca, ma il Sistema Milano non è da meno, opaco e filibustiere. Padroni che si appropriano centinaia di milioni dell’azienda a titolo di bonus manageriali. Mediobanca, Intesa e Unicredit che perdono dieci miliardi in Telecom, non dichiarati. Avendo affondato Telecom con la cattiva gestione. Aumenti di capitale a debito, nelle finanziarie personali di Tronchetti Provera.
Tutto “in regola”.

Classista ma realista Piero Bassetti una ventina d’anni fa, quando Berlusconi cominciava a scalpitare in politica: “A Milano le grandi famiglie sono sparite e il potere economico è passato ai Brambilla. Non c’è da stupirsi se poi questi si riuniscono ad Arcore, che tra l’altro non è Milano ma che tutti gli italiani identificano con Milano”. Profetico: “Dobbiamo smetterla di cercare il profeta e il capro espiatorio (Craxi, n.d.r.). Milano a lungo ha alimentato la cultura del «salvatore» e adesso rischia di farlo con quella del capro espiatorio. Non dimentichiamoci che Milano prima mandò Mussolini a Roma e poi lo appese in piazzale Loreto”.

Fra i tanti titoli tedeschi di Milano si può mettere il pietismo. Gli Stillen im Land sono la maggioranza silenziosa. 

leuzzi@antiit.eu



martedì 20 novembre 2012

Problemi di base - 124

spock

Cosa esiste se il mondo non esiste?

E perché il mondo esiste, se non esiste?

Quanto basta?

Perché c’è la privacy se tutti i call center hanno il nostro numero di telefono e il profilo in banca?

Perché è così difficile comprare una macchina Fiat da un concessionario Fiat?

Perché le televisioni imitano Funari?

È Monti che parla come Zeman, o Zeman è andato a scuola da Monti?

È Dio felice, giusto, libero? Insomma, è filosofico o no?

spock@antiit.eu

Quando gli arabi si volevano europei

A parte il titolo, un altro mondo. Piovene fa il resoconto di un convegno cui ha partecipato alla Fondazione Cini a Venezia, organizzato dall’avvocato Carnelutti, in chiave autocritica: sulle colpe del colonialismo e dell’Occidente. Era il 1955 e le critiche non mancarono, ma da parte di intellettuali islamici tutti integrati. Islamici, poiché molti citano il “Corano” a memoria, ma occidentali. Che non si smarcavano dagli illustri orientalisti italiani presenti, Levi Della Vida, Gabrieli, Nallino, e dal teologo padre Giuseppe Bozzetti, generale dei Rosminiani, e anzi li elogiavano. L’islamista Alessandro Bausani, allora giovane traduttore del “Corano”, invano spiegò l’irriducibilità delle due fedi, la cristiana e l’islamica, anche in campo sociale e politico, in virtù della diversa natura delle rispettive religioni – l’una aperta, legata a “una persona, il Cristo, da imitare”, l’altra chiusa sui dettami del “Corano” a protezione dell’umma, la comunità dei credenti. Tra il Sud e il Nord del mediterraneo si vedevano solo punti di contatto.  
Il convegno non era isolato. Erano quelli anni in cui anche da parte araba si organizzavano convegni per una migliore integrazione. Di Jean Amrouche e la rivista “Comprendre”, tra i tanti, con altri illustri intellettuali algerini. Mentre dell’Europa nascente faceva parte un politica mediterranea, di integrazione economica della sponda Sud del Mediterraneo. Ma, seppure in chiave storica, il più anziano rappresentante arabo al convegno, lo storico tunisino Hassan Husni Abdul-Watab, ne spiegava l’impossibilità. Il Mediterraneo è unitario, ed uguale per tradizioni, comprese le sue due religioni. “Ma l’unità mediterranea è stata spezzata dall’invasione di elementi nordici. Provenienti da una natura non dolce ma ostile, erano meno disposti alla vita pacifica… Essi fecero del Mediterraneo il mare della guerra, dei navigli nemici, delle lotte per i mercati. Questi conflitti di carattere utilitario furono travestiti da conflitti ideologici. I signori feudali presentarono l’islam sotto la veste di Anticristo”. Una polemica analoga a quella dell’ortodossia bizantina contro i signori della guerra chiamati dal papa, da Carlo Magno ai “figli del sole” normanni. Per Piovene “una curiosa tesi, geografica e deterministica”. Ma non avventata.
Il referto di Piovene è stato ripreso all’indomani dell’11 settembre 2001, con un saggio di Bruno Monteforte, che ripropone il vecchio assetto, e ne spiega anche la necessità – che tolleranza è, questa di cui l’Occidente si fa vanto, se non tollera quando deve tollerare? Notevolissima, a sessant’anni di distanza addirittura profetica, l’osservazione con cui Piovene, anch’egli partecipante al convegno, lo chiude: “La rivoluzione moderna ha un fondo conservatore, consiste in un moto universale di rifiuto a essere altri che se stessi”. Si può “antivedere una civiltà nella quale nessuno avrà l’egemonia”. L’Occidente è in migliore posizione per questo nuovo avvento, per il suo senso critico e autocritico. “In un mondo nel quale tutti rifiutano le tutele che li snaturano, se l’Occidente rinunciasse alla propria anima, sarebbe una triste eccezione”. Ma è un passato ormai, che non ritorna.
Guido Piovene, Processo dell’islam alla civiltà occidentale

lunedì 19 novembre 2012

L’obiettivo è islamizzare i palestinesi

Ora che la primavera araba sbatte, inevitabilmente, contro Israele, è bene rivedere cosa è stata ed è. È una primavera “islamica”. Poiché coinvolge Turchia e Pakistan, l’Iran, in quanto repressione della primavera laica, e l’Africa sub sahariana. È islamica anche perché, in tutti i paesi arabi coinvolti, ha visto i fratelli mussulmani e i salafiti, le due confessioni sunnite, e in Iraq gli sciiti, sostituirsi a governi laici. Non antireligiosi ma con un diritto di famiglia paritario, l’istruzione pubblica anch’essa paritaria, per maschi e femmine, e la modernizzazione dell’apparato produttivo, con una prima protezione del lavoro. Il nasserismo in Egitto e il coevo burghibismo in Tunisia, degli anni 1950. Il baathismo di Saddam Hussein in Iraq, e degli Assad in Siria. E il “socialismo” gheddafiano della Rivoluzione Verde. Con un sensibile passaggio da regimi monolitici non totalitari a regimi non monolitici ma totalitari. Della legge islamica. Applicata per ora con moderazione, in Egitto, Tunisia, Iraq, Turchia, ma senza salvaguardie costituzionali, né per le minoranze né per il pluralismo politico.
Il concetto di “primavera” è presto comunque evaporato, più che altro è stato ed è un fenomeno mediatico. In Egitto dietro piazza Tahrir non c’era nulla: ha votato meno di metà della popolazione, e quasi la metà di chi ha votato si è pronunciata per il vecchio ordine nasseriano. In Tunisia lo scontro per gli assetti costituzionali si prolunga ormai da due anni, nel vuoto dell’opinione. In Libia è l’anarchia. Come nell’opposizione siriana. Mentre l’Iraq, liberato dagli Usa con i “volenterosi” occidentali, si lega all’Iran, per la comune confessione sciita. All’Iran che, in teoria, è uno “Stato canaglia”.
La guerra di nuova aperta tra Hamas e Israele conferma e rafforza il contorno della sovversione islamica. La priorità per Hamas è islamizzare le nuove generazioni di palestinesi, non creare uno Stato palestinese, né muovere guerra a Israele, se non per la propaganda. Lo stesso per i governi neo-islamici: utilizzano il fronte aperto da Hamas, tutti e ostensibilmente, per rafforzare il legame con gli Usa e l’Europa che li hanno portati al potere. Capitalizzando sulla mediazione. Ma senza rinunciare all’islamizzazione, del diritto e del vivere civile. Soprattutto in Egitto: il presidente Morsi non  deflette dal suo progetto di assoggettarsi il potere giudiziario e cambiare i codici, malgrado la Costituzione, e benchè un terzo, almeno un terzo, della popolazione sia laica e cristiana. 

Vero o falso?

Quante vere falsità, in 24 ore, tra i belli-e-buoni della Repubblica, o società civile, o indignati:
Vigili urbani “mobbilitati” a Roma da un paio di mesi a fare multe contro Alemanno, in vista delle elezioni. Contro gli automobilisti naturalmente, multe pretestuose. Vero o falso? Vero. Almeno così dicono i vigili stessi.

La “mobbilitazione” multe anti-Alemanno è specialmente attiva nei Municipi I, XIII, XVI, XVII, XIX e XX. Qualcuno gestito dalla destra. Vero anche questo.

Murdoch fa una televisione di destra, anzi di estrema destra, Fox, negli Usa. Dove nelle ultime 24 ore ha attaccato Obama (tre volte) ed ebrei. E una di sinistra in Italia, Sky. Vero o falso? Vero.

In Italia dove Murdoch è stato introdotto e gratificato di tutte le concessioni necessarie da Letizia Moratti, alias Berlusconi. Vero.

Varriale ha tenuto ieri sulla Rai le primarie tra Bersani e Renzi sullo sport. Vero o falso? Vero. Chi è Varriale? Non importa.

Gli altri tre concorrenti alle primarie del Pd hanno protestato per la par condicio e la Rai fa una trasmissione oggi sulle primarie del Pd nello sport. Non sembra ma è vero.

Corrado Passera toglie le frequenze tv a Rai e Mediaset e le dà a Sky e Carlo De Benedetti. A prezzi di comodo. Vero o falso? Vero.

Passera va alla Rai e allegro dice: “Marchionne non è credibile” e “Non siamo in nessun modo soddisfatti di come la Fiat si sta comportando in termini di scelte, di investimenti”. Dopo aver detto: “La Fiat è un’azienda privata e il governo rispetta le regole del gioco”. Vero o falso? Vero.

Lo stesso Passera può dire alla Rai che è stato voluto al governo da Napolitano e non da Bazoli: “Se persone come Monti e Napolitano ti dicono: c’è bisogno di te, tu vai e lasci il resto”. Vero – vero che l’ha detto, di Napolitano non si sa.

L’Inter riesce a pareggiare col Cagliari grazie a un’autorete e a tre prodezze del suo portiere sul “gol fatti”. Ma il suo presidente Moratti dice che è colpa dell’arbitro, pagato dalla Juventus. Vero o falso? Vero - cioè: Moratti l’ha detto. 

Renzi affonda col toscano

Renzi ci riporta il toscano. Non il sigaro, i modi di dire. Il novissimo del Pd è molto tradizionale. Essendo fiorentino, non può che parlare fiorentino. Ma lui lo fa in modo accentuato, saltando solo le aspirate – la chocha chola chalda. Falso? Non si può dire. Un po’ atteggiato, ormai tutti abbiamo un personal trainer per tutto, compresa la dizione, ma non falso. Né, si penserebbe, sbagliato in quest’epoca di particolarismi e chilometri zero. E invece è forse il suo handicap maggiore: il legame con la città, sia essa pure quella che molti italiani vagheggiano e non la città perduta di Marchionne e di questo sito. Il novissimo non si voleva paesano, strapaesano.
Si parla di handicap come se le primarie del partito Democratico fossero tali e non una rappresentazione teatrale, a ruoli definiti.  

Che infanzia felice, che mamma - e che padre

Un racconto che nell’era postfreudiana – per non dire dei reality - non sembra possibile, di un’infanzia felice, e di una figlia che ama sua madre, Sidonie detta Sido. Di un matrimonio felice: “Per trent’anni un marito e una moglie vissero senza alzare la voce l’uno contro l’altra”. Della scoperta infine del padre, il Capitano, grande invalido dell’indipendenza d’Italia, avendo perduto una gamba a Melegnano, meridionale con “le false collere del Midì”, seppure di pelle bianchissima, che si lasciava apostrofare dall’amatissima Sido “Italiano! Accoltellatore!” e si trasfonderà, in piccolo, nella figlia scrittrice, nell’orrore del lutto, e del lirismo – ma con un più di riservatezza: la sua scoperta è tardiva, a molti anni dalla morte, dalle lettere ai commilitoni. Due ritratti che sono poi un autoritratto: Sido, di cui portava il nome, Sidonie-Gabrielle, è anche la scrittrice, quale si fantasticava nelle buie stanze del Palais-Royal doveva viveva a Parigi.
Colette bambina usciva l’estate di casa all’alba, “un paniere vuoto a ogni braccio”, verso gli orti “dentro l’ansa del torrente”, a raccogliere fragole, ribes e uva spina, e ritornava al tocco della prima messa, dopo aver bevuto a due sorgenti, una al sapore di quercia e una di ferro e di gambo di giacinto. Di che sa la quercia non importa. Lo stesso di Sido, che nella vita fu ingenerosa, verso il Capitano , e verso gli altri figli, Colette compresa, perché tutto doveva andare al figlio maschio del primo letto, Achille. Né altrettanto inventiva come la figlia la vuole, stando alla raccolta recente delle sue lettere. Ma non importa, un genitore è per il figlio ciò che il figlio sente e riconosce, e Sido è fortunata, è un monumento di calore e immaginazione che niente può più scalfire.  
Colette, Sido

domenica 18 novembre 2012

Il mondo com'è (118)

astolfo

Destra-Sinistra - In tedesco si dice nazibolscevico, o anarcoreazionario, figure della “rivoluzione conservatrice”. Che è di Dostoevskij prima che di Thomas Mann e Jünger. C’è ambivalenza. C’è un testo calzante di Simone Weil che si rimuove, “Dall’emiciclo alla rotonda”, sulla passione politica quando è totalitaria: “Quante volte, in Germania, nel 1932, un comunista e un nazista, parlando per la strada, devono essere stati colti da vertigini mentali constatando che erano d’accordo su ogni punto!” Se non si considera che comunisti e nazisti hanno evitato di fare strada insieme – o non sarà per questo che si sono evitati, per non dover concordare? Ma il movimento tra destra e sinistra fu in Germania diverso che in Francia e in Italia. Doriot, Déat, i fascisti francesi venivano dall’ultrasinistra. O Paul Louis, che fu comunista, si salvò a Vichy, e poi fu socialista. Bombacci, nomen omen, passò da Mosca a Salò. Ma non isolato, la Toscana, l’Emilia ne sono piene. Il caso preclaro è ovviamente Mussolini. Che nella Settimana Rossa del giugno 1914 mobilitò, più o meno da solo, tre milioni di lavoratori, in piazza, contro la guerra. Di cui poi fu sostenitore, anche prezzolato.
Arthur Moeller van den Bruck, autore di “La bellezza italiana”, editore di Dostoevskij in Germania, alla rivoluzione conservatrice dedicò l’opera maggiore, “Il terzo Reich”, che Cantimori devoto tradurrà, ma presto si uccise, nel ‘25, la repubblica di Weimar col dollaro a miliardi di marchi non essendo né rivoluzionaria né conservatrice, mentre Hitler gli si rivelava di “proletario primitivismo”. Diffusamente Weimar sentì a destra l’attrattiva del “bonapartismo di sinistra”, il leninismo quale apparve al celebrato antichista Eduard Meyer. Arnolt Bronnen, nato Bronner, nome d’arte A.H.Schelle-Noetzel, scrittore, drammaturgo, amico austriaco di Brecht, diventò l’amico di Goebbels, per finire a guerra perduta sindaco comunista al paesello. I fratelli Gregor e Otto Strasser, che Hitler espulse dal partito Nazista perché volevano nazionalizzare l’industria, fondarono un Fronte Nero, l’Unione dei Socialisti Nazionali Rivoluzionari, prima di finire l’uno con tutte le SA e l’altro in esilio. Altri passarono con Stalin, a rischio tradimento.

Nipote del grand’ammiraglio Alfred von Tirpitz, Harro Schulze-Boysen fu membro a sedici anni del Jungdeutschen Orden, la lega giovanile nazionalista, antisemita, e due anni dopo ne fondò una sua, la Volksnationale Reichsvereinigung, di borghesi e agrari. Altri due anni e lanciava col periodico francese “Plans” un progetto d’unione economica europea a base collettivista, editava la rivista “Der Gegner”, l’oppositore, e organizzava incontri della gioventù rivoluzionaria europea. Hitler non ne apprezzò gli obiettivi, tra essi l’abolizione del sistema capitalista, e nel ‘33 fece chiudere “Der Gegner” e arrestare i redattori. Harro riemerse nel ‘35, a ventisei anni, con un circolo di artisti e funzionari che pubblicava scritti antinazisti. E quando in guerra, tenente della Luftwaffe, ebbe accesso a documenti militari riservati, li passò all’ufficio informazioni dell’Urss, che fino al ‘41 restò aperto a Berlino. Finché non incontrò Anatolij Gurevitch, alias “Vicente Sierra”, alias “Kent”, agente sovietico a Bruxelles: il controspionaggio decifrò i sette dispacci radio nei quali i loro colloqui furono riassunti a Mosca, e i complimenti di Stalin. Il 31 agosto ‘42 Harro fu arrestato, il 22 dicembre impiccato, con la moglie Libertas.
Per Montanelli storico Harro è “un intellettuale surrealista”. Per la Gestapo Harro e Libertas dirigevano la Rote Kapelle, l’orchestra rossa, di spie dell’Urss. Libertas Haas-Heye, che aveva sposato nel ‘36 il coetaneo e altrettanto bello Harro, era nipote del principe Philipp von Eulenburg, il consigliere fidato di Guglielmo II. Eulenburg era antimperialista, ma era stato compagno di giochi in gioventù a Capri e Taormina del kaiser e ne copriva le debolezze, anche sessuali – “Il cannone è quella cosa\ che in Germania s’è ingrossato,\or lo trova esagerato\anche il principe Eulenburg”, canterà Petrolini. Agevolmente i bismarckiani lo costrinsero a vita privata nel castello di Liebenberg, il monte degli amanti, in compagnia della moglie, la contessa svedese Auguste von Sandeln, alla quale aveva pur fatto sei figli. Maximilian Harden prima lo ricattò e poi l’accusò in vari processi di sodomia, Karl Kraus inutilmente lo difese da Vienna.
Terzogenita dell’ultima figlia del principe, Libertas nacque a Parigi. Crebbe tra Parigi, Garmisch e Londra, la famiglia transumava col padre, il creatore di moda Otto Haas-Heye,  bello anch’egli e ricco, per ultimo a Berlino, dove Otto diresse il Museo di Arti Applicate, nell’edificio in Prinz-Albrecht che poi sarà sede della Gestapo. Libertas si educò nei pensionati svizzeri, e al ritorno in patria nel 1933 si entusiasmò per Hitler, aderendo alla sezione nazista aperta a Liebenberg dal barone Rudolf von Engelhardt, un cugino acquisito. Ma per poco. Andò a Berlino, fu addetto stampa della Mgm, e sposò Harro. Nei sette giorni di libertà goduti in più rispetto al marito Libertas bruciò carte e foto, ma 126 amici di Harro furono ugualmente arrestati, per un terzo donne. “Courte et bonne” era stata sua divisa e filosofia di vita da ragazza, il titolo del romanzo di Marie Colombier, l’attrice amica e poi acerrima nemica di Sarah Bernhardt, motto del Reggente libertino di Francia dopo Luigi XIV.

Islam - La verità dell’islam è insuperabile, per il noto sillogismo - attribuito a Omar, il califfo che di fronte alla biblioteca di Alessandria non avrebbe trovato di meglio che bruciarla : quale nuova verità? se è la stessa cosa, allora è inutile, se è superiore a quella che abbiamo, allora è falsa.

Dai tempi dei romani nessun Sud ha occupato il Nord. Non in Europa né in Asia o in America. Eccetto l’islam. Che però, a differenza degli altri imperialismi, non si è acconciato all’inevitabile tracollo, e questo è tutto il problema, dell’islam che non si dà pace, e del mondo cui non dà pace.

Italiano – Contro l’uso che voleva dediche a patroni augusti o all’editore, Mozart volle pubblicare nel 1785 sei Quartetti con una dedica a Haydn. Una lettera di omaggio, che scrisse in italiano.

Luftwaffe - La colpa delle stragi in Italia nell’estate del 1944 è della divisione Göring. Della Luftwaffe, di cui la Göring era la divisione corazzata. L’aviazione tedesca aveva una divisione corazzata, che ricostituì nel ’44 come “paracadutista-corazzata”, anche se senza parà. Era in origine il gruppo del maggiore Walther Wecke, che Göring, ministro dell’Interno e Capo della Polizia nel ‘33, aveva costituito con l’incarico di stanare i rossi nelle forze armate di Weimar. I “paracadutisti” erano sbirri. Come tali si distinsero in Sicilia già prima dell’8 settembre, in Campania, nel Lazio, nell’Appennino tosco-emiliano e in Toscana, dopo essersi specializzati nel Caucaso. I tedeschi mandavano gli sbirri al fronte: la Waffen SS Totenkopf, divisione scelta, portava l’uniforme delle guardie dei lager, costituita nel ’39 dal corpo di guardia di Dachau. Al comando di ufficiali noti per la crudeltà, il generale Max Simon in testa, uno formato sul fronte russo (poi mandato a morire sul fronte renano), che aveva voluto con sé il maggiore Galler (Sant’Anna di Stazzema), il maggiore  Reder “il monco” (Marzabotto), e gli altri figuri le cui imprese i supremi giudici tedeschi hanno appena archiviato.
Dove passava la Göring si commettevano eccidi: Mascalucia e Castiglione di Sicilia, Acerra, Nola, Scafati, Bellona, Capua, Caserta, Afragola, Maddaloni, Teano, Presenzano, Napoli, e poi Monchio, Susano e Costrignano nei pressi di Montefiorino, Cervarolo e Civago nel reggiano, Vetta le Croci, Vaglia e Vicchio attorno a Monte Morello, Vallucciole, 108 donne e bambini, il passo dei Mandrioli e altre località del Falterona, Mommio in Lunigiana, Pievecchia di Pontassieve l’8 giugno, più di duecento il 4 luglio a Castelnuovo dei Sabbioni, Meleto, Massa di Sabbioni, San Martino in Pianfranzese, tra Firenze e Arezzo,12 a Matole, sempre nell’aretino, 44 a Crespino sul Lamone, minuscola frazione di Marradi nel Mugello che non contava tanti residenti, 12 a Pratale, alle porte di Firenze alla vigilia della liberazione, Sant’Anna di Stazzema, il Padule di Fucecchio, 180 esecuzioni di anziani, donne e bambini sfollati in quel posto selvaggio dai paesi vicini per sfuggire ai bombardamenti, Civitella della Chiana, con 203 morti, e Chiusi, Sinalunga, Monte San Savino, Badia a Ruoti, il Palazzaccio e Pancole di Arceno, con eccidio di donne e bambini, Bucine.

Tolleranza - Siamo occidentali perché siamo tolleranti. Ma non deve la tolleranza proteggersi dalla tolleranza stessa, poiché è un diritto, siamo occidentali.

astolfo@antiit.eu

Il desiderio della frustrazione

“Il Romanticismo è una letteratura dell’Io e per l’Io”. Fino all’ultimo dopoguerra, poi il sesso ha rimpiazzato i sentimenti. Passando per il dandy del XIX secolo, “il primo professionista dell’indifferenza” – “ormai l’erotismo è un combattimento fra egoismi uguali e contrari che cercano di sopraffarsi a vicenda in una spirale di disinvoltura e insensibilità”.
È difficile smarcarsi, Girard è acuto lettore e sempre regala al suo lettore lampi e “tagli” sorprendenti. Qui ha Shakespeare parodista. Dante romanziere, come già Chrétien de Troyes, e sant’Agostino nelle “Confessioni”. Racine sartriano. Marivaux critico sociale. Oltre a note di ordine generale: “Nel nostro universo culturale … la competizione è l’anima del sesso, non la libido freudiana”. Vede anche molto più di quello che c’è, e questo è un bene per il lettore e un male. La “letteratura dell’Io per l’Io”, il dandy “professionista dell’indifferenza” e il sesso come insensibilità estrae da un’analisi dei romanzi di Roger Vailland. E chi è Vailland? Un autore già spento nel 1959, l’anno dell’esegesi, quando bisognava pagare un tributo al Pcf, il partito Comunista francese di cui Vailland era una colonna. Una performance di rispetto dunque.  Ma reduce dall’ossessione dell’ossimoro. Di cui è vero che “Romeo e Gulietta” abbonda, ma con questo esito ultimo, nel 2007: “Vedo nell’ossimoro il segno precursore del diluvio di violenza e di pornografia che oggi si abbatte sui resti della nostra cultura”. E: “Occorre considerare i grandi romanzi coe un’unica totalità dialettica” – un incubo, una punizione?
Apodittico, dunque. Dopo essersi esercitato, mirabilmente è vero, al gioco del rovescio, di questo che è invece quello. In questa età dei quattro cantoni, il gioco per cui la spia fa il giudice, il prete lo sbirro, l’arbitro segna i gol, e il calciatore fischia. Per cui “il desiderio più forte poggia sulla frustrazione e non sull’appagamento dei sensi”. Qualche volta, o sempre? “Le legge del desiderio mimetico è la frustrazione universale”. Tutto quindi è frustrazione, anche la letteratura, che richiede molta applicazione, e l’antropologia mimetica.  
Mimetismo 
Questa raccolta di saggi, dal 1953 al 2007, codifica il pensiero, trino e uno, di Girard: l’invidia regge il mondo, e anche l’amore. Qui si tratta del desiderio – il primo dei filoni di ricerca di Girard, il secondo, più propriamente antropologico, della violenza del sacro, lo vede celebrato esegeta del capro espiatorio. Del desiderio o dell’amore. Dove il capro espiatorio è lo stesso desiderante, l’innamorato. Attraverso la costante autoimmolazione che è il desidero mimetico. La self-deception, l’autoinganno.
Detto così, non è un pensiero attraente, mentre Girard lo è, ma è il suo pensiero. Girard è attraente perché la sua esemplificazione lo è, essenzialmente letteraria, di personaggi e autori - e nel terzo dei suoi tre filoni di ricerca, quello che fa capo a “Delle cose nascoste dalla fondazione del mondo” (1978), biblica. Il desiderio è imitazione del desiderio di un altro, uno cui il desiderante attribuisce un prestigio speciale, e che ritiene egli stesso desiderante-innamorato. Con questo schema Girard spiega attraente la storia di Paolo e Francesca in Dante. Ma non più quella di Romeo e Giulietta in Shakespeare. Qui ha ricorso all’ossimoro - che in effetti infesta la tragedia, ma non è il solo barocchismo di Shakespeare, e non infetta la tragedia dell’amore.
Girard usa mimesi nel significato originario (aristotelico) di imitazione. E in quello posteriore (hegeliano) di dialettica, dell’identità come contrario. L’imitazione trasferita con Proust nello snobismo, nel primo saggio seminale di Girard, “Menzogna romantica e verità romanzesca”, 1961. L’affettazione che maschera una competitività compulsiva al limite della misantropia. Quella interiore, magari mascherata di sociabilità.
La sua “antropologia” rivoluzionaria del mimetismo, sulla questione del sacrificio nel sacro, meglio si applica alla religiosità – tema del secondo testo seminale, “La violenza e il sacro”, 1972. In letteratura consente “altre” letture, ma lascia fuori l’amore amante. E poi è difficile dire Proust in qualche modo religioso – poiché il mimetismo in amore-letteratura è Proust. Senza contare, nello specifico, che gli dei sono buoni e giusti, noi siamo colpevoli e dobbiamo espiare, “a questo scopo il prezzo più potente è il sacrificio”, questo l’aveva teorizzato già Joseph De Maistre in Russia, il principe dei reazionari, a margine delle “Serate di Pietroburgo”, o “Conversazioni sul governo temporale della Provvidenza”.
René Girard, Geometrie del desiderio, Cortina, pp. 137 € 13