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sabato 16 giugno 2012

Lingua di Passera, l’amico di Di Pietro

Passera insiste: l’autostrada Salerno-Reggio Calabria sarà completata nel 2013. Riconosce che non è così: “Alcuni cantieri sono ancora da aprire” – non ci sono nemmeno gli appalti. Ma lui è per il mondo come volontà e rappresentazione: “Come in tante altre cose ci metto la faccia. Ho visitato i cantieri, già da questo esodo molti di essi saranno chiusi”. È così, ogni anno per l’esodo di agosto i cantieri restano chiusi, da quindici anni ormai. Ma non è tutto, Passera insiste: “Per la fine del 2013 saranno completati tutti”. Questo mentre promette 80 miliardi per la ripresa,70 in realtà, che non ci sono. Eccetto, forse, i dieci che si farà anticipare dalla Cassa Depositi e Prestiti. Come se la Cassa non fosse dello Stato.
Con le chiacchiere al posto dei miliardi. A ruota libera: sgravi per le assunzioni “qualificate” (di ex McKinsey, come lui?), project-bond, l’immancabile agenzia digitale, e il taglio di 43 aiuti alle imprese. Un linguaggio sorprendente se non venisse da un ministro che nel 1992, quando lavorava per De Benedetti, si telefonava con Di Pietro per tenere il suo principale fuori dagli scandali (non ci riuscì). Protestando: “Ma noi siamo della stessa parte” – la trascrizione naturalmente non contiene la parte di Di Pietro (la telefonata non c’è nella bio online di Marco Ferrante). Con De Benedetti, peraltro, Passera incorse in un falso in bilancio alla Olivetti, che chiuse col patteggiamento e una pena pecuniaria – sentenza poi revocata, quando Berlusconi depenalizzò il falso in bilancio.
Passera non è solo. Monti si scusa con gli opinionisti del “Corriere della sera”, il suo giornale cioè, che devono essere Giavazzi e Alesina: “Abbiamo varato, in ritardo rispetto a ciò che alcuni opinionisti ci chiedevano di fare…”. Roba da non credere. Annuncia una nuova “pianta organica” per i suoi ministeri, a Palazzo Chigi e all’Economia – con meno o con più dipendenti? E invita i ministri a vacanze sobrie e corte. Soave spiegando a Scalfari e Ezio Mauro che “il cratere del precipizio si sta allargando e siamo di nuovo in crisi”, dopo otto mesi di tasse – esito otto mesi fa previsto, prevedibilissimo per un economista. Bondi contribuisce annunciando il taglio di 1.117 auto blu – su 300 mila, 600 mila, 900 mila, nessuno sa quante siano.

Due ministre, due disastri

Sono ministre di Napolitano, e quindi non si può dire. Ma i disastri di Paola Severino e Elsa Fornero sarebbero inimmaginabili se non fossero avvenuti. Il ministro della Giustizia non semplifica ma moltiplica le fattispecie di reato. Anzi le universalizza, ribaltando di fatto l’onere della prova. In un processo penale che universalizza ora il principio della berlina invece del dibattimento.
Severino introduce il reato di “traffico di influenze”, che è come mettere fuori legge la politica. Contro ogni principio costituzionale di bilanciamento dei poteri, e contro ogni criterio di giustizia. Nella linea dei reati di associazione, e ora perfino di concorso esterno in associazione, da cui nessuno può salvarsi. Con la concussione per induzione dà via libera, per legge, a intimidazioni e vendette, tra imprenditori, e tra imprenditori e politici, legalizzando la calunnia – peraltro da tempo non più perseguita. Più in generale, invertendo l’onere della prova, questa donna legalizza il ricatto, istituzionalizzando il risentimento e la furbizia sui quali sono impostati da vent’anni tropi processi a base di pentiti e di falliti. Un’estensione dell’infamia invece di legge che ha il favore del giornale del “Sole 24 Ore”, il giornale degli uomini d’affari.
Si potrebbe dirla barbarie o incompetenza, ma è protervia: Severino è avvocato principessa del foro, e sa che cosa ha fatto. Mentre salva Penati mandandolo in prescrizione – il giornale fiancheggiatore “Corriere della sera” impegnava giovedì il volenteroso Ferrarella, a dire il contrario, ma finiva per dimostrare il misfatto (compresa la benevolenza del gip di Monza, che ai più era sfuggita). Grazie a un Parlamento debole, è vero, ma soprattutto grazie a Napolitano, di cui l’avvocatessa è la pupilla, forse per ragioni etniche – grazie cioè al primo presidente (ex) comunista della Repubblica, la barbarie non muore.
Di Elsa Fornero nessun misfatto è più negabile, dalle pensioni all’imbroglio del lavoro.
Si potrebbe aggiungere alla lista delle incompetenze il superministro Passera, ma lui almeno non fa danni. Semmai andrebbe aggiunta Mariastella Gelmini, anche se non fa parte del governo tecnico. Alla quale si deve la nomina a capo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di un insegnante di ginnastica che il suo successore Profumo, ex rettore del Politecnico, ex presidente del Cnr, interina – un solido quarantenne che pare non sia nemmeno suo amante (sarà il suo body-trainer?).

La democrazia spopola al Vittoriano

È il monumento più visitato e fotografato, più del Colosseo. Forse perché è gratis, ma non solo. La piazza antistante è la più curata di Roma: il prato è perfetto, le aiuole rinnovate, a Natale ospita l’albero di Natale della città. I caffè che guardano il monumento, benché la piazza resti lo snodo maggiore del traffico, con rumori, polveri e puzze costanti, e le consumazioni costino il triplo, non hanno mai un tavolino libero, i turisti si estasiano alla visita. A lungo sono stati vuoti, una collocazione infelice, tra passanti di fretta e traffico invadente, fino a trent’anni fa, anche venti: ora sono una miniera, che il Vittoriano alimenta.
Il Vittoriano è il nuovo cuore di Roma. Il “santuario della terza Italia”, che fece la fortuna dell’architetto Sacconi, non altrimenti illustre, e delle cave dell’accecante botticino a Brescia, patria dell’onorevole Zanardelli. Che Arbasino “dipingeva” disgustato ancora nel 1985 nella rivista “FMR” di maggio: “Un salotto-zuppiera”, dagli “effetti ributtanti”. Monumento allo spreco, di soldi, politica (si dovettero fare due concorsi, Boito si dimise infine dalla commissione che ne seguiva la realizzazione per le troppe ingerenze della massoneria), idee. Circa trecento furono i partecipanti al primo concorso di idee, nel 1882, di cui Carlo Dossi poté fare due anni dopo, ne “I mattoidi”, un libro che non si ristampa, un censimento esilarante – il secondo concorso nel 1884, quello vinto da Sacconi, non andò evidentemente meglio.
Nell’unica riedizione dei “Mattoidi”, nel 1986, a cura del Mediocredito del Lazio di Gianfranco Imperatori, Federico Zeri anticipava lo sviluppo che non ha visto - lo avrebbe indignato - riportando gli esiti dei concorsi di idee alla nozione di kitsch. Ora desueta, forse perché trionfante. Di cui proponeva “un riesame”, agghiacciante per l’acutezza, e per la decadenza che prospetta come veleno inoculato dalla democrazia, in un corpo ancora giovane quale era l’Italia degli anni 1880: “È l’inevitabile prodotto, soprattutto figurativo (ma anche letterario, di moda e persino culinario) che scaturisce quando chi è nato ed educato entro i confini di una cultura subalterna (nel caso italiano, contadina) tenta di esprimersi secondo le norme della cultura dominante, assumendone gli aspetti epidermici, assorbendone miti e retorica, adeguandosi cioè ai valori di una Weltanschauung di cui gli sfuggono le radici, gli intimi significati, gli equilibri espressivi. Il Kitsch non esiste nei periodi di rigida definizione sociale e culturale: mi si citi un esempio per il Due e Trecento. Esiste invece, e prolifica, quando nuovi rapporti economici distruggono le barriere sociali”.

venerdì 15 giugno 2012

Problemi di base - 104

spock

Dio non è uno speculativo, perché allora tanta teologia attorno a lui, e filosofia?

Gli gnostici si credevano più intelligenti di Dio, il Malfattore, non sarà Monti un neo gnostico?

Perché Monti mette alla Rai due che non se ne intendono, per favorire Mediaset?

Se Monti è Robin Hood, che ci resta dei Poteri Forti?

Se Brusca e Spatuzza sono i cavalieri dell’Apocalisse di Ingroia, la sua Apocalisse non sarà pentita?

Ingroia, ancora uno sforzo! Perché non far condannare a Brusca e Spatuzza anche Ciampi?

Si può essere Procuratori Giudici, Consulenti e Gabellieri, Killer e Testimoni di Giustizia,: chi ha detto che la morale è una sola?

Sono i pentiti retribuiti e protetti, i testimoni no: meglio pentirsi dunque, ma dopo aver ammazzato qualcuno?

spock@antiit.eu

La Germania non vuole una soluzione

Jens Weidmann, giovane presidente della Bundesbank, convoca i grandi giornali europei, annuncia su ogni punto aperto della crisi che i tempi non sono maturi e, non contestato, mette in guardia Draghi e la Banca centrale europea, che si stanno adoperando per far uscire le banche e l’Europa dalla crisi: “La Bce ha fatto molto per prevenire un peggioramento della situazione. Ha tagliato i tassi di interesse. Continua a dare liquidità quasi illimitata a condizioni molto generose, e ha deciso diverse misure straordinarie. Così facendo ha esteso il suo mandato in modo considerevole. Se agisse da prestatore di ultima istanza per i governi, ridistribuirebbe i rischi di solvibilità fra i contribuenti nazionali – senza avere una legittimazione democratica – cosa severamente proibita dai trattati della Ue”.
Collegando la convocazione dei giornali con questa messa in guardia si pensa male, ma non si sbaglia. Questo avveniva a Francoforte mentre a Berlino Angela Merkel stigmatizzava la “mancanza di fiducia” fra i governanti europei, cioè le “strettissime convergenze” tra Hollande e Monti. Le autorità tedesche non lo faranno apposta, ma fanno come se. La speculazione (sui cui i media tanto “speculano”) si configura in modo semplice. O c’è una Spectre, un’organizzazione internazionale che coordina gli assalti con una strategia segreta – non c’è. O c’è il mercato, con il suo armamentario di analisi e previsioni, sempre meno personalizzate e più motivate, e con il suo sistema di premi, anche eccessivi, e castighi, anch’essi eccessivi, un sistema di difese. Di cui la Germania è parte, la previsione cioè che la Germania farà fallire ogni tentativo di stabilizzazione dell’euro: ne ha troppe convenienze, in materia di tassi e di esportazioni, e nessuno, dentro e fuori l’euro, ha una leva o un’arma per indurla a recedere.
Il problema dell’Europa è sempre quello. Angela Merkel dice cose giuste – ridurre il debito pubblico – coi tempi sbagliati. Oggi lo ribadisce: “Non ci sono soluzioni rapide”. Cioè, alla fine, non ci sono soluzioni – nel medio termine, come diceva Keynes, potremmo essere tutti morti. Se la Grecia fosse stata salvata – poiché si è deciso di salvarla – un anno e mezzo fa, ora saremmo a buon punto nell’alleggerimento del debito italiano, e nella bonifica del credito senza fondamentali dei banchi spagnoli. Rei, peraltro, questi ultimi, di aver favorito l’appartamento al mare, nella Costa Brava ipercostruita, in Andalusia, nella Galizia e nel golfo di Biscaglia, alle masse tedesche.
Questo tutti lo sanno. Anche in Germania. Ci si chiede allora – i mercati devono chiedersi – perché la Germania fa fallire ogni soluzione, in attesa, certo di quella “giusta”. E si ricoprono svendendo, la Grecia, la Spagna, l’Italia, quello che capita.
L’Europa, dice ancora caratteristicamente Weidmann, beneficia “del rating di tripla A della Germania”. Che è la finanziatrice di ogni pacchetto di salvataggio. E questo è invece rovesciare la realtà. L’Italia, per esempio, non beneficia della tripla A della Germania ma ne è vittima, e finanzia il debito degli altri alla pari della Germania. Anche questa verità è semplice: ogni paese vorrebbe poter contare sulla propria A, e questo la Germania contribuisce a impedire. Non poco.

Comunisti incineratori

“Mio padre fu ucciso in un ospedale in Bulgaria, qualche giorno prima della caduta del muro di Berlino. Poiché facevano sperimentazioni sugli anziani, né avremmo potuto interrarlo come avrebbe voluto – le tombe essendo riservate ai comunisti, per impedire assembramenti a carattere religioso – fu incinerato contro la sua volontà. Mi dissero che potevo acquistare un tomba in dollari, ma allora bisognava anche che io morissi prima, per farmi interrare con lui”. Così Julia Kristeva racconta sul “Magazine Littéraire” di maggio come le venne l’idea del giallo metafisico.
Sembra un mondo fuori del mondo, era mezza Europa ieri. Lo è anche oggi. Kristeva è sempre stata tradotta marginalmente, prima di approdare da Donzelli da un paio d’anni – ma sempre senza “bucare”. Non da Einaudi o Feltrinelli come avrebbe dovuto per la sua linea di studi. Nemmeno Il Mulino ha osato.

Mani Pulite promosse la corruzione, via calunnia

Oreste Dominioni fu a Milano uno dei Grandi Avvocati che nel 1994 collaborarono con la cricca Borrelli per rendere più incisivo il codice contro la corruzione. Senza nessun effetto, ma i propositi erano roboanti. Gi altri avv. prof. dott. erano Federico Stella, studioso della corruzione dei “coletti bianchi”, e Domenico Pulitanò, milanese doc malgrado il nome, ex magistrato.
Dimenticato nelle celebrazioni del ventennale, Dominioni si rifà vivo col “Corriere della sera” per proporre “una riflessione sul fatto che Mani pulite non ha rimosso le situazioni di corruzione diffusa”. Lui un’idea ce l’ha: “C’è da chiedersi se Mani Pulite abbia vissuto sull’accertamento dei fatti, obiettivamente, oppure abbia vissuto sulla minaccia del carcere. E questa è tutta un’altra storia”. Di vendette tra concorrenti – la calunnia protetta, e anzi facilitata, dalla giustizia.

Fisco, appalti, abusi - 4

Per essere “rubati”, letteralmente, con azione di commando, ad Enel da Sorgenia è bastata una settimana: subito è arrivata la superfatturazione della società di De Benedetti. Tornare da Sorgenia a Enel, nel famoso mercato libero, è stato impossibile: silenzio totale dopo un anno di raccomandate e di raccomandazioni. Passare da Sorgenia a Eni, che pure si è proposto per telefono, per posta e di persona, è pratica da perfezionare, dopo sei mesi di lettere, avvisi, assicurazioni, telefonate.

Si moltiplicano al telefono le “offerte” del mercato, telefoniche, elettriche, etc. Secondo un modello quasi unico: una tariffa più conveniente, ma per un periodo limitato, da due a sei mesi. Cosa che non viene mai specificati. Ogni protesta però è inutile coi garanti della Concorrenza e del Mercato, e le Autorità di settore. Provare per credere. Autorità e Garanti che si fanno pagare dagli utenti lautamente.

Nell’elettricità quasi ovunque, nel gas in molti posti, la distribuzione è regolata da contatori elettronici, i consumi reali quindi leggibili a distanza. Ma quasi ovunque, e con tutte le aziende dell’energia, comunali, statali, private, la lettura non si fa, i consumi vengono addebitati a calcolo. Prendendo a riferimento il periodo di maggior consumo storico dell’utenza. Uno che sia stato fuori casa per due mesi, per lavoro, malattia, diporto, dall’amante, si troverà una fattura corrispondente al suo periodo di maggiore consumo. Senza errore.

La lettura viene addebitata all’utente. Che per farsi sentire deve passare per orari molto selettivi, attraverso lunghe procedure alfanumeriche – senza cioè mai sbagliare un solo tasto. Da ripetere. E da seguire eventualmente (a Roma) da una raccomandata. Dopodiché riceverà un accredito, o un fastidioso rimborso, con assegnino non trasferibile, da incassare obbligatoriamente di persona, recandosi cioè in banca, in fila, con appositi moduli.

mercoledì 13 giugno 2012

Dopo Monti tecnico, Monti politico

Elezioni non più. Un altro governo però non è possibile. A meno di. A meno di un rimpasto che colori il governo politicamente, e si presenti come un rafforzamento. Lo colori con qualificate partecipazioni politiche. Con lo scopo di prevenire i “deliri di onnipotenza” cui i tecnici si sono lasciati andare. Comprese le inutili chiacchiere sul fronte internazionale: Monti non ha smosso di una virgola l’Europa “tedesca”.
Non se ne discute in pubblico, ma sono le “convergenze parallele” del momento. Questo Monti non soddisfa più nessuno. Nemmeno più il Quirinale – non tutto il Quirinale - che è il suo pilastro. Il suo governo non ha ovviato alle debolezze alle quali era stato chiamato a ovviare, che si riassumono nella debolezza dell’economia. Non ha tagliato la spesa pubblica (spending review), non ha liberalizzato il lavoro, e potrebbe complicarlo ulteriormente, non ha liberato risorse per la produzione (crediti delle imprese, degli ospedali, dei trasporti). Ha anzi aggravato la debolezza fino a spingerla in recessione galoppante, con una tassazione oltremisura. E ha aperto una questione sociale spinosa, creando masse di esodati, e spingendo i redditi minimi sotto la soglia della povertà. Perdendosi per di più in beghe di potere da piccolo partito di sottogoverno, nelle Autorità, alla Rai, al Csm.
Un cahier de doléances che direbbe Monti insostituibile, se ancora è al suo posto - per molto meno altri hanno vista tronata la carriera politica. A meno di, appunto, sostituirlo mantenendolo a capo del governo, garante ma non più ideatore.

La grevità Chiara fa lieve

Tre zitelle beghine possedute da un impiegato del catasto. Non una storia gotica dunque (il Diavolo, i furori, etc) ma una “boccaccesca”, di sbattimenti incestuosi, tra persone non “votate ai sensi”. Non greve, boccaccesca nel senso solido del termine, caratterizzato, e lieve.
Piero Chiara, La spartizione

Nel fuoco della Calabria il futuro

Friedrich Leopold von Stolberg, che le enciclopedie dicono “capofila del romanticismo cattolico tedesco”, è molto di più, secondo Madame de Staël, alla seconda parte di “Della Germania”. Protestante di nascita e formazione, scrisse una storia del cristianesimo “fatta per meritare l’approvazione di tutte le comunità cristiane”. È cristiano, dice il conte, “chi riceve con la semplicità dei fanciulli le parole della santa scrittura”.
Il conte ha un nome nella storia delle religioni per aver mostrato che la tradizione della caduta è comune a tutti gli uomini, la nostalgia di un mondo ordinato. Si può dire anche, in chiave contemporanea, un precursore di Girard nella teorizzazione del capro espiatorio: il sacrificio, spiegava all’epoca (1780), è la base di ogni religione, la morte di Abele è il primo di questi sacrifici che fondano il cristianesimo, fino a quello del Cristo.
Nel Settecento, epoca in cui sui terremoti si faceva la filosofia della storia, quello del 1787 in Calabria fu il più devastante, dopo quello di Lisbona. Quattro anni dopo, a 42 anni, von Stolberg decide di lasciare Amburgo, con la giovane seconda sposa e il figlio di otto anni, per un lungo viaggio che lo porterà fino in Sicilia. Un viaggio di due anni che racconterà nel 1794 in quattro volumi - è al ritorno dal viaggio che il conte si converte, con la famiglia, al cattolicesimo, sollevando molte polemiche.
A Napoli von Stolberg ha, lieto, una figlia dalla seconda moglie, Syblle – “con facilità come per una napoletana, partorì la mia piccola Sybille”, così l’evento è registrato. La parte della Calabria, che attraversa in tredici giorni, è minima nel racconto, tre lettere in tutto, ma lusinghiera. Era una Calabria sconvolta ancora dal terremoto, in aggiunta all’ingiustizia e all’abbandono politico. Stolberg vi ritrova gli echi della classicità, come è sua abitudine in tutti gli angoli d’Italia che visita. Ma vi ha anche occhio per la natura, insolita - “Natura volse\ mostrar qua giù quanto la sù potea” è pur sempre il distico di Petrarca che apre i quattro volumi. E alla fine si lascia andare a un ditirambo, dai toni perfino profetici, facendo quasi della Calabria il centro del mondo per essere ribollente di fuoco sotterraneo, il fuoco che tutto purifica. Questi i paragfri conclusivi, nella traduzione che ne ha fatto venticinque anni fa Sara De Laura per Rubbettino:
“Lascio con commozione la più bella provincia della bella Italia. Questa regione è più vicina delle altre al meraviglioso sole; ed è rinfrescata di venti provenienti dai due mari, dall’altezza delle sue montagne, da boschi ombrosi, da innumerevoli sorgenti che irrigano campi sui quali il grano e gli alberi brillano del primo verde. Ciò che le altre parti del mondo hanno singolarmente di grande e bello, è riunito in Calabria: qui l’Indiano trovai suoi datteri, e il Lappone distende lo sguardo beato sulla neve dell’Etna.
“Penso alle viste sul mare; sulle cose della stessa Calabria e sulla costa siciliana; qui sullo stretto e laggiù sull’ampio mare; sulle isole Lipari, singole montagne che si ergono dal mare; sull’augusto Etna, che costringe l’occhio verso la Sicilia per la grandiosità della sua Feconda bellezza; tutto ciò, unito all’amichevole fascino della natura in fiore, che cullandomi nel suo grembo mi ha mostrato le sue magnificenze. L’insieme mi ha trasmesso una sensazione che non ha bisogno di essere espressa, anzi rifiuta di farlo, perché va oltre l’espressione stessa; una sensazione che, unendosi ai miei sentimenti più sacri e ai ricordi ed impressioni più dolci della mia vita, ha ampliato la mia esistenza. Ma la mia esistenza non è stata turbata, ha solo ricevuto una nuova direzione nel pensiero che questi paradisi coprono con i fiori l’ingresso dell’Onnipotente. La Calabria è il centro del fuoco sotterraneo, il cu alito spira attraverso il Vesuvio, lo Stromboli e l’Etna.
“Nel grembo di questa amabile terra c’è il grande frutto della trasformazione del mondo, forse anche ormai prossima.
“La Calabria è una donna fiorente del fertile cielo. Il marito, la madre-terra e il mare incoronano questa donna in fiore! Ma essa reca nel cuore un gigante, le cui convulsioni scuotono tanto spesso la terra! La sua nascita sarà annunciata con violenza dalle doglie della partoriente, e queste donne scuoteranno la terra in attesa da polo a polo! Fino a…”
Fino a che Stolberg non precisa. Ma per il meglio, prevede, nello spirito che sarà detto della Provvidenza.
F.L.von Stolberg, Lettere dalla Calabria

Ombre - 134

L’elegante Aldo Grasso si scandalizza nel buonissimo “Corriere della sera” di fronte a Cassano che non parla come la Crusca. Non è solo, i giornali italiani sono perbene e non ammettono intolleranze. La tolleranza del riccio (Cecchi Paone che va in giro dicendo che s’è fatto un nazionale è più tollerante)?

Però Cassano dev’essere contagioso: Grasso, per dire uno scrittore misurato, finisce per parlare come lui. Come Cetto La Qualunque – calabrese inventato, non dimentichiamolo, da un lombardo.

L’amante del presidente della Repubblica si può scagliare contro l’ex moglie dello stesso, auspicandone la sconfitta in un’elezione parlamentare delicata per il governo dello stesso presidente. Succede a Parigi, non in una tribù sperduta. Il presidente tra due donne è quello che dovrebbe “salvare” l’euro e l’Europa. Sempre che l’amante lo voglia?

L’Inps si sveglia e scopre che gli esodati, senza lavoro e senza pensione, sono 400 mila invece che sessanta o settantamila. Fornero nega, forte della Cgil. Ma la verità la sanno tutti, perfino questo sito, e da sei mesi.

E che dire dell’opinione pubblica, che non sa nulla di un fenomeno di massa? Di tale gravità. La stampa non si muove se una Procura, o un pentito, non chiamano?

“Lezioni di storia organizzate a Napoli da Giuseppe Galasso, su “Milano e Napoli”. Per un grande pubblico, su un gran numero di temi, le lezioni sono dieci: Napoleone, il fascismo, l’unità, eccetera. Ma non sulla Spagna, la sola cosa che le due città hanno in comune. Un storia di rimozioni?

Il “Corriere del Mezzogiorno”, l’edizione napoletana del “Corriere della sera”, dice che “il traffico aiuta l’economia”. In base naturalmente a uno studio Usa: “Ogni aumento del 10 per cento del rallentamento corrisponde al 3,4 per cento in più di pil pro capite”. Sarà per questo che Napoli produce tanta immondizia? Non sa più dove mettersi il pil.

Mancano tre miliardi e mezzo alla raccolta fiscale. Nel solo primo trimestre. Effetto della lotta all’evasione?

La lotta all’evasione si faceva una volta incarcerando Sophia Loren, e fotografandola a Caserta, dietro le finte sbarre di un finto carcere. Oggi purtroppo Sophia non si può esibire, ma il resto è uguale. Da parte di uno – Monti – che sa che l’evasione è, al 90 se non al 95 per cento, effetto: delle leggi che la consentono, dell’economia in nero che si tollera, delle tasse troppo alte, per prima l’Iva.

Monti l’uomo dell’Agenzia - Moody’s - dunque. Tutto il tempo della legislatura che ci sta accompagnando alla rovina. Come già Prodi e Draghi con Goldman Sacshs. Portati da quel galantuomo di Claudio Costamagna: gli uomini della Provvidenza, vengono dalla speculazione, o ci vanno. Senza colpa naturalmente, come i soldati germanici, da semplici consulenti: assistono senza vedere. Da servi.

Della provvidenza in senso proprio. Monti, Draghi, Prodi si vogliono buoni credenti e anzi praticanti in chiesa. Si perdonano. Chi ha detto che la morale è unica?

La ricetta brutale di Monti, di assassinare l’economia con le tasse, boia di Stato, non sarà un derivato della sua consulenza con Moody’s? Ragionieristica, s’intende.
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Su una ricchezza delle famiglie che per il 2010 la Banca d’Italia calcolava in 8.638 miliardi, 4.962, il 57,4 per cento, era costituito dalle abitazioni. Titoli, azioni, fondi pensioni, depositi, risparmi postali? Poca cosa. Monti sapeva dove colpire, e le famiglie se ne accorgono, ricchi e poveri non fa differenza. Giustizia fiscale?
Ricchi e poveri uniti nella lotta. A che?

La madre acqua della corruzione

Investimenti fermi e sprechi di acqua a un anno dai referendum. Il più grande imbroglio della storia delle consultazioni popolari. Che potrebbe aprire una finestra sull’ancora più grande imbroglio che è tutta l’economia verde, la madre della corruzione legale: contributi a fondo perduto e senza limiti, tariffe di comodo, guadagni assicurati. L’unica”industria” che ha alti margini di guadagno assicurati.
Capofila dell’imbroglio non a caso Napoli. Dove l’acqua prima non costava niente, ma non c’era. Adesso c’è, ma costa. E allora il sindaco De Magistris la ridà a una società pubblica, cioè sua. Dotata appunto degli aumenti, e dei contributi a fondo perduto sempre disponibili.

Il Procuratore in carriera omette la denuncia

In procinto di approdare alla Procura di Roma, il Procuratore Capo di Reggio Calabria Pignatone omise di denunciare l’onorevole regionale Rappoccio. Che ha costituito una cooperativa con la quale si sarebbe assicurato 3.841 voti, oltre a una quota d’iscrizione di 35 euro cadauno, con la promessa di posti pubblici. Sarà vero? La città crede che sia vero.
La Procura di Reggio Calabria ha indagato, su denuncia di esponenti dello stesso movimento dell’onorevole Rappoccio, ma per ipotesi di erato minori. La Procura Generale ha ora avocato l’inchiesta, e stigmatizza in un duro rapporto di 26 pagine la Procura per l’omessa denuncia dei reati di truffa e associazione a delinquere. L’onorevole Rappoccio aveva costituito nel 2010 una Lista dei Repubblicani in appoggio al presidente poi eletto Scopelliti, del Pdl.

martedì 12 giugno 2012

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (131)

Giuseppe Leuzzi

Milano non sa fare l’Expo. Non può, gli interessi immobiliari sono inconciliabili. Ma la colpa è dell’Italia. Lo dice perfino l’onesto Pisapia.

Monti mediatore, tra Sarkozy e Merkel, tra Merkel e Obama, tra Hollande e Merkel, in favore della Bce, in favore della Spagna, mentre non si vede che abbia una qualche influenza, né un ruolo, può solo parlare, come ogni altro. Il presenzialismo e il mediazionismo, passioni che si intendevano meridionali, di Moro, Andreotti, De Mita, e come tali deprecate, sono invece lombarde. Come tali ora costituiscono titolo di merito: fanno parte della buona coscienza.
Si intendono il presenzialismo e il mediazionismo segni di non realismo. E invece sono un’accortezza molto politica (realistica), per mascherare la cose.

Nella lite continua, caratteristicamente napoletana, tra i due ex ministri dell’Interno Scotti e Mancino, la Procura antimafia di Palermo parteggia per il primo. Anche tra Brusca e Mancino la Procura antimafia di Palermo parteggia per il primo. Contro Mancino che è stato, oltre che ministro dell’Interno, anche presidente del Senato, rispettato. Antimafia? E dove bisogna cercarla?
È la stessa Procura che contro i carabinieri e il governo Ciampi produceva Ciancimino jr.

Sudismi\sadismi. “Speriamo che Angelo Marcello Cardani, indicato dal suo amico Mario Monti come presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ci metta una pezza, onori il nuovo incarico con indipendenza e cognizione. Fosse per i partiti, saremmo ancora fermi all’abbietta pratica della spartizione. E dire che, in proposito, la legge parla chiaro: i componenti di ciascuna Autorità sono scelti fra persone dotate di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore. Prendiamo il caso di Francesco Posteraro, eletto all' Agcom, su indicazione dell’Udc di Pier Ferdinando Casini, lo smaliziato barcamenista del Terzo polo. Posteraro è un funzionario parlamentare di lungo corso, vicesegretario della Camera. Dal suo curriculum, consegnato all’ultimo istante, un minuto prima della nomina, si evince che le comunicazioni non sono sua materia (unico indizio: un figlio giornalista membro del Corecom della Calabria….”. Aldo Grasso, “Corriere della sera” di domenica 10, nella rubrica in prima pagina.
Grave colpa di Posteraro, essere calabrese. È infinitamente più qualificato del segretario di Monti eletto a professore, ma questo non conta.

La mafia come forma d’eccellenza del capitale
La mafia come proto capitalismo è tema vecchio. Politico, e anche filosofico – paradossale: mediato dalla “Favola delle api” di Mandeville, vizi privati pubbliche virtù, che Marx apprezzava, da Sombart e da von Mises. Ma non è del tutto sbagliato.
Napoli per esempio è ben più di san Gennaro. La mafia come forma d’eccellenza del capitale, a Napoli l’identità non è ideologica né paradossistica ma innegabile. Il maggiore distretto industriale e mercantile d’Italia e d’Europa, col record mondiale di società di capitali e individuali in rapporto agli abitanti, esemplare del morbo di Sisifo del capitale, necrofilo e anzi suicida, spregiatore dell’inutile virtù dell’accumulo. In forza della licenza totale.
Sono senza confronto le energie che si profondono nell’industria del crimine, nervose e materiali, l’inventiva, la logistica, l’innovazione, i finanziamenti, le continue sottili decisive perimetrazioni dei mercati. La capacità di valutare la redditività e il rischio, oltre che di individuare le tendenze. Partendo da condizioni sfavorite, immigrati isolati negli Usa o a Milano, villani a Palermo, cafoni a Napoli. E sono un capitale che a ogni vita si disperde. Se il capitale è un accumulatore, la mafia è la pila reversibile di Edison che si carica e si scarica, un lavoro che, senza perdersi, senza fine si disperde. Produce quei superprofitti che sono l’attrattiva del crimine: nella corruzione, l’usura, la droga, lo schiavismo, anche nelle feste di nozze e battesimo, si guadagna in modo superlativo. Incomparabile è l’organizzazione del mercato parallelo, di beni copiati o rubati, altrettanto dettagliato, se non di più, del mercato legale. Con filosofie manageriali flessibili, integrazione a stella, verticale, orizzontale, e monopoliste. E una rete d’incroci, marciapiedi, ponti, spiagge, uffici, stazioni, sottopassaggi, per un esercito di ambulanti clandestini, senza identità o senza licenza, tanto più difficili da occultare in quanto il magazzino si portano a spalla. Un mercato senza deposito e senza rese è il sogno di ogni mercante.
Se non che l’illegalità è minacciosa e ricattabile. È una fatica cui si sottostà non per il guadagno, sempre poco benché esentasse, ma per il bisogno di creare e distruggere in umbra, anche la propria vita – Schumpeter vi troverebbe di che rendere incontestabile la sua teoria dell’imprenditore come uomo del fare invece che sfruttatore. È un gioco d’azzardo, che si caratterizza all’uscita più che all’entrata. All’entrata il crimine economico va nel senso comune; è l’impresa dei nullatenenti, nel senso che la posta che si scommette è un po’ di carcere. Ma è all’uscita che si caratterizza, per il raddoppio continuo della posta che non può non finire in catastrofe. Che non è l’atto gratuito famoso degli animi sensibili di fine secolo, è l’accumulo gratuito: una filosofia e non un gesto di libertà. Con la dissipazione di altre energie: lo studio che la mimetizzazione richiede, l’abilità sempre rinnovata di essere un passo avanti al fisco, all’Inps, ai carabinieri.
Lo studio di Napoli più della Sicilia porta a questo. In Sicilia è urgente il bisogno di apparire, cui pure il mafioso soggiace: di dimostrare che si è – Vittorini se lo fa dire da Calvino: “Ha l’istinto delle scelte vitali, dei tanti siciliani diventati mila-nesi con entusiasmo”. Mentre Napoli va nel senso opposto, di cancellarsi. Il camorrista in sé non è niente, è spagnolo e significa litigioso. È diverso volerlo essere, non per carattere ma per scelta, industriarsi di esserlo.

Sicilia
Anche la Sicilia “è un’isola, addirittura ricca di antiche miniere di zolfo”, nota C. Schmitt, “Dialogo sul potere”, ma non ha prodotto alcuna rivoluzione industriale. Schmitt cita la Sicilia per sottolineare il mutamento dell’Inghilterra, l’isola della rivoluzione industriale, da terragna a marittima: “Fino al XVI secolo gli inglesi furono un popolo di pastori, che vendevano la loro lana nelle Fiandre, dove veniva trasformata in stoffa”. Poi, nel Cinque-Seicento, i pastori diventarono lupi di mare: “L’isola distolse lo sguardo dal continente e lo puntò sugli oceani: levò le ancore e diventò la dominatrice di un impero oceanico”.
La Sicilia è un’isola ch non è masi stata marinara – anche la Sardegna. Ribolle per una forma di compressione? Troppe energie (intelligenze, esperienze, immigrazioni) per uno spazio circoscritto.

“La regione più bella d’Italia e la più mortificata da uno Stato che si occupa solo di criminalizzarla”. Dice bene Sgarbi. Ma di uno Stato molto siciliano.

Lo Stretto di Messina è di bellezza consumante. D’estate e d’inverno. Di notte e di giorno. Ma ha avuto un solo poeta locale, tardivo, Stefano D’Arrigo. Mentre ha infiammato la fantasia del resto del mondo, a partire da Omero. È che Messina è città perduta? E la Calabria non sa urbanizzarsi.

Catania è città lavica, di pietra più di ogni altra sterile. E di scogli ciclopici. Che fermentano speculatori, anch’essi ciclopici, dall’antichità a oggi: Santo Mazzarino, Sgalambro, Giarrizzo, Salvatore S. Nigro. Tutti puntati sulla decadenza.

Sono immigrati in tanti in Sicilia, e vi sono restati con piacere, fenici, greci, romani, arabi, normanni, francesi, spagnoli. Non solo per il grano e il vino: vi si divertivano, filosofavano, poetavano, costruivano, s’imbellivano, abbellivano. Solo l’Italia vi si trova a disagio. I piemontesi non vi erano ancora sbarcati che già avevano inventato l’omertà e la questione meridionale.

leuzzi@antiit.eu

Scalfari-Monti 3-1

Un giornale è – dovrebbe – una squadra? Forse sì. È in questa ottica, nel rivoluzionamento che fece del giornalismo con “Repubblica”, di trasformare il giornale da manipolo o compagnia militare, gerarchizzata, in squadra, che Scalfari diede a suoi giornalisti l’ultima parola nelle controversie coi lettori o con chi protesta. Ma il giornalista che si riserva l’ultima stoccata, ad avversario fermo, è sgradevole - è volgare spesso, e sempre sleale.
Scalfari non è l’ultimo giornalista, e l’ultima parola probabilmente gli tocca, anche se l’interlocutore è il presidente del consiglio Monti. Ma sui poteri forti ha esagerato: metraggio smisurato, tre volte a uno, e toni ultimativi. Per dire, poi, una scemenza: che i poteri forti sono in Italia gli unici tre grand commis della Pubblica Amministrazione nel governo, un sottosegretario, un capo di gabinetto e il ragioniere generale dello Stato. Gli unici tre, cioè, che sono lo Stato e non rappresentano poteri sotterranei.
Scalfari che vuole licenziato il Ragioniere generale dello Stato perché blocca una spesa senza copertura restava da vedere. Uno ha l’impressione di avere sbagliato vita.
Un minuetto finito male? Tra due tipici poteri forti, cioè “irresponsabili”. Scalfari certo molto più di Monti, che in qualche modo deve riferire a Napolitano e alle Camere. È nella natura dei poteri forti: non si sopportano.

lunedì 11 giugno 2012

I belli-e-buoni della Repubblica

Duettano forti
Al potere incorrotti
Gli Eugeni e i Mari
Contro i funzionari

Senza diritto di replica

Secondi pensieri - 103

zeulig

Anima - Arguiva Aristotele che “se l’anima è dotata”, come si dice, “del genus del movimento, allora dev’esserle propria una determinata specie di movimento, volare, camminare, crescere, diminuire”. Altrimenti, senza la specie, “l’anima non è dotata di movimento”, o il movimento non ha anima.

Il problema è sempre quale Esiodo lo pone, il Caos. Il mondo che da sempre esiste senz’anima, l’anima individuale che a un certo punto nasce, e poi per sempre vive mentre il mondo si decompone. “Strana cosa una cosa che ha un’anima”, deve stupirsi Simone Weil. Tardo recupero platonico – la teologia scopre l’anima immortale dopo la resurrezione dei corpi.

L’anima Torquato Tasso vide inafferrabile: “Sì come l’occhio non può in sé medesimo ritorcere la sua potenza visiva, in modo che veda se stessa, così l’anima difficilmente intende sé medesima”. Ma la beata Angela da Foligno, secoli prima, sapeva circoncidere l’anima.

Joë Bousquet, poeta infelice, fu corrispondente fra i tanti di Simone Weil immateriale, alla quale scriveva: “Credo che esista un oggetto da offrire al pensiero, in modo che l’anima abbia in questo mondo un centro di gravità”.

Nel gilgul, la sua metempsicosi, Isacco Luria immagina che se un’anima soffre un’altra gli fa da chioccia, la coccola, la rianima. È l’angelo custode. O un morto che lasci non finita qualcosa cui tiene: la completa collegandosi all’anima d’un vivente. Isidoro basildiano, figlio di Basilide lo gnostico, ha gli “innesti di anime”. Ireneo di Lione, “il padre della teologia cattolica”, confutatore di Basilide, Isidoro e tutti gli gnostici, la dispersione infinitesimale del cuore.

Anti – Molti fenomeni di negazione radicale, anche obbrobriosa o illecita, sono un’affermazione del sé: l’antipolitica come l’anticomunismo o l’antiborghesia, l’anticlericalismo, l’antisemitismo. È un modo facile - se non l’unico: si veda in tante storie personali, in tanti percorsi (evoluzioni) - per un autore di fare breccia nel muro\nemico che teoricamente assale o demolisce. Non per la logica dialettica ma per un rapporto di forza: una resistenza, anche immotivata o assurda, a una forma di dominio, sia essa solo supposta, un (ri)sentimento. Il razzismo è per molti una condizione di vita, altrimenti non vivrebbero – senza la contestazione della parte offesa, cioè. È stato vero dell’antisemitismo, si vede oggi negli stadi di calcio.

Capitalismo - Il punto in comune che con qualche curva avventata Weber trova fra Riforma e capitale è la razionalità. Che invece è l’inizio della fine, del capitale e della democrazia, per questo instabili. Si ammassa meglio, con più sostanza e continuità, nella diocesi borromeiana, per non dire con san Gennaro. Per il centenario della peste del 1576, fu nel 1976 la Cariplo a celebrare san Carlo Borromeo. È giusto che una banca celebri il santo, cardinale e vescovo di Milano a ventidue anni, questi sono destini.
Si vuole che sant’Agostino abbia inventato col tempo il progresso, ma questa è inferenza borghese, la ragione piatta – la soluzione dei problemi pratici era ciò che i pagani s’a-spettavano dalla religione. La provvidenza è altalenante e non c’è razionalità nella ragione, non necessariamente: l’astratta ragione è aritmetica povera, l’intellettuale non è il ragno della logica. Il capitale è rabelaisiano, non si può squadrarlo, mima il mondo nella sua intima prodigalità.

Corpo – L’ego di Freud è sempre corporeo. Ma non si tratta di materialismo. È nella stessa dottrina dell’Incarnazione, o dell’Incorporazione, e in quella fantascientifica della Resurrezione.

Dio – C’è la divinità greca (platonica, aristotelica, stoica, epicurea) e c’è quella della Bibbia. Molti le vogliono antitetiche, e in effetti lo sono. Yahvé è del tutto irragionevole, secondo i “nostri” canoni. Al meglio, anzi, è un folle. Anche Gesù, un Dio che muore.
Dio può morire, però, per insegnarci la sopravvivenza. Nella Bibbia, al più, si assenta.

Occidente - La vita dello spirito è alla fine l’unica sua vera realtà: la storia, la logica. In tal senso sant’Agostino ordinò e definì l’anima - lui, il grande ordinatore dell’Occidente, ben più di san Paolo e dell’impero romano. Per questo l’Occidente si sente a disagio nel suo materialismo. Arrivando al punto di reagire come i colonizzati: col rifiuto di tutto se stesso, comprese la filosofia, per illusoria che sia, e la scienza politica. Compresa la tolleranza, se i diritti dell’uomo non sono ideologia borghese. Ma questo negarsi, per quanto manipolabile, in vista della Fine della Storia, non è la fine di una civiltà sbagliata, come Marx in un momento di ebbrezza ha pensato, è il suo lato peggiore. Compassionarsi è il lato peggiore di ogni civiltà, la stupidità esiste. Ma questo gli immigrati dicono, con le loro storie vere, di dolore: svegliatevi, ribellatevi. Ai buoni sentimenti.
L’Occidente potrebbe essere l’adolescenza, un po’perversa ma sopratutto incerta. Uno stato nascente in un destino discendente. L’irenismo volenteroso dei monaci, una professione che sempre ha attratto gli europei, la singolarità del destino al riparo dalla vita.

Religione – Si suole dire oppio dei popoli, facile formula di Marx – formidabile copywriter. È piuttosto la poesia, dei singoli e dei popoli. In tutte le sue forme, anche le panteiste – Leopardi, Whitman.

Storia – Più a lungo è stata ed è storia di cose, aria, acqua, fuoco, terra. Anche perché Cristo l’ha trasformata: la storia è natura, la natura storia. La natura dell’uomo è nelle cose. La biologia si scopre simile alla storia più che alla fisica. Ma la storia - il gesto efficace, toccare, torcere, carezzare, tagliare, colpire, scagliare – esemplifica la fisica. La fisica dà forma alla storia - quello che la fisica si spiega meno sono i fenomeni naturali. Se non c’è la storia non c’è la fisica, cioè la natura. Che la mineralogia facesse parte della storia lo sapeva già Novalis, e la morale, la religione applicata, anche l’antropologia. È il cammino di Dio attraverso la natura di Herder. Passati attraverso il rifiuto della metafisica, se ne esce rifiuti.

La storia è lenta. Il tempo fluisce a ritroso, la storia nuota controcorrente, e il momento in cui il futuro si scioglie nel passato questo è il presente, spiega Borges citando Bradley. Borges per il quale “senza dubbio l’esistenza dell’uomo è un fatto curioso”.
La storia, che Napoleone voleva “favola concordata”, è profonda, per questo lenta a scorrere, direbbe Braudel. E concreta, aggiungerebbe Marc Bloch, nonché probabile. Distruggendo i miti e le menzogne, sia pure benevole, di cui essa stessa si compiace: il senso della storia è nemico delle illusioni.

La storia è retorica, è stato anche detto, opus oratorium maxime, giudice dei secoli, ancella della morale, nonché della teologia. “La libertà della scrittura è la vera madre della storia”, insiste ovvio Gregorio Leti. E insomma, ecco Valéry, è cattiva maestra. Un enigma sanguinoso e beffardo per il reazionario. O è la Provvidenza. La storia vera, si sa, è segreta. Va con l’intelligenza della vita. Che dev’essere poca.

zeulig@antiit.eu

La Rai, laboratorio della corruttela

Altro giro, questa volta alla Rai che è il vero Parlamento dell’Italia (determina il linguaggio, e quindi le coscienze), altri banchieri, altri tecnici di fiducia del tecnico Monti. Che non si è ricordato in nessun momento che si sono spese legislature per recidere i legami tra la Rai e l’esecutivo, riportando i poteri d’indirizzo, e di nomina, in Parlamento. E, benché grande privatizzatore, che la Rai va privatizzata. Ai sensi di un ben preciso referendum di diciassette anni fa. Il cui esito si poteva così commentare, l’11 giugno 1995:
“Sì dunque alla privatizzazione della Rai, col 55 per cento, no ai tre referendum contro le televisioni di Berlusconi, col 58 per cento. I referendum che così spesso danno esiti a sorpresa la dicono lunga sullo stato dell’opinione pubblica, dei giornali cioè e dei politici promotori. Che la Rai, la televisione più amata dagli italiani, sia impopolare, è certamente una sorpresa. Ma tra le cose che l’opinione pubblica non registra, e che fanno la sua forza, benché prevaricatrice, è che i referendum non incidono sui poteri reali.
“Del tutto ineseguito, è facile scommessa, sarà quello sul Raiume, la dittatura del paese. Di linguaggio e di corruttela. Laboratorio e cassaforte del sottogoverno. Tutto è raccomandazione alla Rai, e viene diviso percentualmente tra gli spicchi del potere, assunzioni, promozioni, chiacchiere, gli appalti – di sceneggiati, film, soap, procurement degli ospiti, canzoni mandate in onda: tutto è spartito, chi non entra nella combinazione, cantante, musicista, attore, regista, produttore, presentatore non ha titolo al business. Analogamente per l’informazione: tutta a spicchi. Ma con preferenza per l’intramontabile Centro, cioè la ex Dc, ora raccolta nel’emittente tutta attorno a Casini, il leader politico con più raccomandati nella dirigenza Rai e negli uffici politici dei tg”.

domenica 10 giugno 2012

Letture - 98

letterautore

Classici - Devono molto ai barbari, che hanno distrutto le biblioteche. In questa selezione, del tutto accidentale, è bastato sopravvivere almeno in una copia per farsi classico.

Confessione – Quanto a conoscersi, è bizzarro interrogare se stessi, accusati e insieme accusatori. Non lo fece Socrate, che era un teatrante e un ciarlatano e inventò il genere, o il personaggio di comodo di Platone che a Carmide spiega: “La conoscenza di sé non sempre è saggia, non sempre è utile” - la saggezza di Socrate era d’infinocchiarsi Carmide, “una meraviglia tanto era grande e bello”, per ciò che si vedeva e per “ciò che la sua tunica copriva”, lui come ogni altro giovane e bello di Atene filosofante in palestra.

Il difetto è che la confessione si fa in prima persona. Uno vorrebbe sbarazzarsi dell’io, ma non si può, tutto si vede e si dice in soggettiva, la terza persona è artificio. Onesto sarebbe che l’autore dichiarasse all’inizio: “Vi racconto una storia che ho inventato, ho dedotto, ho ascoltato in quel posto, in quel tempo, tra quelle persone”. Come i reduci che impuni s’inventano in dettaglio le guerre, i cacciatori, che sono essi pure soprattutto narratori, gli emigranti, i viaggiatori. Tutti quelli che non hanno testimoni.

La scuola dello sguardo è solo una soggettiva più lenta e minuziosa. Omero dà forma ai miti, che è un altro genere, ma si pretende realista come il romanzo, essendo veritiero. Bisognerebbe poter essere Omero, ecco, capaci di mito e verità, uscendo dall’io e dal lui. Talvolta basta essere nato in un altro secolo. Il problema in italiano è che si coltivano io deboli, cattolici – ecco, qui la chiesa c’entra: si racconta bene in America Latina, dove pure sono cattolici, ma in segreto succhiano sangue.

Sant’Agostino riprende la tradizione, nel suo romanzo di formazione e vocazione, che vede sempre santi nelle confessioni. Comprese quelle del blasfemo Sade, che non cessa d’interrogarsi su Dio. Le carmelitane si racconta che si puniscono tuttora con le canne, a luci spente, le tende nere tirate, le vesti alla vita, o con fruste di corde intrecciate, dopo avere confessato in pubblico le cattive azioni e i pensieri impuri. Delirio da confessione, gli strizzacervelli ci convivono agiati. Solo Casanova fa eccezione, che scriveva per sé, non per farsi l’esame di coscienza ma per esibirsi. Pascal, che riprova Montaigne, “lo sciocco progetto che Montaigne ha di dipingersi”, e Casanova, che si confessa per “godere una seconda volta”, lasciano intravedere la verità: confessarsi è compiaciuto onanismo, si vedano le dilettazioni dei peccatori pentiti. I preti l’hanno sempre saputo, che tengono lontane le zitelle beghine e le puttane in età. Piuttosto che essere veritieri ci si calunnia, talmente la realtà è odiosa, a volte.

Dante islamico 3 - Altri dantisti, la maggior parte, non concordano con Maria Corti. Per tutti Nino Borsellino, “Ritratto di Dante” che non ne dà nemmeno conto – pur citando la filologa tra i dantisti del secondo Novecento: “Dante leggeva l’«Etica» aristotelica nella versione latina di Guglielmo di Morbeke e teneva conto dei commenti di Alberto Magno e Tommaso d’Aquino”. Con “l’aristotelismo mediato dagli arabi Avicenna e Averroé” semmai si confrontava – Avicenna non è arabo, ma il fatto è netto.
Come si può dire del resto aristotelica la mistica islamica? Forse quando dell’islam si erano perse le tracce, non molto tempo fa, il primo shock petrolifero è del 1973 e la ripresa degli studi è stata necessariamente lenta: nonché l’islam anche l’arabo era stato dimenticato. Non c’è nulla di Aristotele nell’islam, remoto e recente, in nessuna manifestazione, letteraria, giuridica, politica. In nessun temo, in nessun luogo, non in Asia né in Africa, meno che meno nel Vicino Oriente, Aristotele ha avuto un sia pur minimo rilievo, giuridico, politico,o anche solo letterario o storico. Non c’è nulla di filosofico nell’islam moderno e contemporaneo, che fino a metà Ottocento proibiva la stampa – il regno di Granada è remoto come l’Atlantide, e come quella influente.

Ironia - Viene da Gesù, secondo Harold Bloom, “Gesù e Yahvé”, p. 19: “Amleto, Kierkegaard e Kafka sono ironisti che si muovono sulle orme di Gesù”. Per fortuna non lo sapevano, non gli avrebbe fatto piacere.

Piacere – È tema di Manzoni – e di nessun altro scrittore. Con evidente scrupolo morale (dell’appena licenziata “Morale cattolica”) ma capace di allargarne la sfera alla fantasia, sotto le specie del sentimento. Compresa la forma adottata per il saggio, una lettera del 1851 all’abate Rosmini, al quale aveva chiesto aiuto per l’elaborazione di un trattatello sull’unità delle idee, o sulla relazione del reale con l’ideale, dopo quello “Dell’Invenzione”, e al quale invece rifila un dialogo filosofico di tutt’altro genere. Spinto dal bisogno, spiega Rodolfo Quadrelli, che ne ha curato gli “Scritti filosofici” per la Bur, di confutare il sensista Verri.
Pietro Verri faceva del piacere una sensazione, la cessazione rapida di un dolore. Manzoni sostituisce a sensazione “la parola sentimento….un principio attivo a un principio passivo”. Un concetto molto più estensivo del piacere – e un sovvertimento, l’ennesimo, del concetto di laico (Verri) rispetto a quello di credente (Manzoni), nel piacere come in affari, e più in generale nell’etica, o nella libertà.

Plot – Le tramine dei film sono sempre deludenti: banali, sballate, inverosimili, sempre ininteressanti. Il film è sempre un’altra cosa. Il plot delle storie scritte, invece, sempre più richiama le tramine dei film. Dalle quali poi non riesce a districarsi.

Proust - È - potrebbe esserlo, in molte sfaccettature - il Marcel di Colette, “Claudine a Parigi” e “La retraite sentimentale”. Personaggio molto targato, fin-de-siècle.

letterautore@antiit.eu

Il semipresidenzialismo farebbe comodo

Essendo una proposta di Berlusconi è tabù. È un’ipotesi anche remota, per i tempi del Parlamento, che in un anno non riesce a fare una leggina, figurarsi la modifica della Costituzione – senza contare cioè il boicottaggio scontato del presidente della Camera Fini (che un tempo ne era il primo proponente). Ma il semipresidenzialismo alla francese piace a molti nel Pd. Praticamente a tutta la parte ex Pci. Non solo agli intellettuali, Violante incluso, piace ai politici, D’Alema e Veltroni per una volta uniti nella lotta, e soprattutto a Bersani.
Il presidente del Pd è stato schiacciato dalla logica delle primarie sul vecchio schieramento prodiano di “tutte le sinistre”, ma non ci crede e non se ne fida. È personalmente un convinto assertore dell’autonomia del governo. E ai suo va dicendo, per scherzo ma non troppo, che sarebbe una manna poter correre le politiche di maggio da solo, senza gli ingombranti Di Pietro e Vendola.

La filosofia martire di De Monticelli

Roberta de Monticelli scrive al “Corriere della sera” una lettera non si sa se ingenua o raccapricciante (opportunista). Dopo un ambiguo messaggio a don Verzé, il fondatore dell’università che finalmente ha riconosciuto le capacità della filosofa: “Ho letto un impietoso racconto del suo testamento” - impietoso il racconto, il testamento? e impietoso cattivo oppure onesto, realista?
A don Verzé, al cui funerale non ha partecipato, De Monticelli riconosce un “despotismo illuminato”. E già qui non si capisce: come pensa la filosofa che si facciano gli investimenti? S’inventi un ospedale, una università? E perché diffida del vecchio padrone dell’ospedale-università e non del nuovo? Non per opportunismo, si spera. È infatti preoccupata: “L’università era uscita a testa alta di ogni inchiesta giudiziaria. Ma oggi accuse infamanti pendono sul suo capo”. Volte cioè a liquidarla, il nuovo padrone non è il vecchio, e non vuole filosofi, nemmeno donne. Questo la filosofa non lo capisce o non vuole dirlo?
Per un’allieva di Jeanne Hersch le cose del mondo dovrebbero essere bene in vista, come per tutti. La giustizia e gli affari prima di tutto, e il mondo degli affari senza scrupoli che è Milano, attorno alla Curia, a cui don Verzé portava ombra. De Monticelli invece si chiude in una prosa alata, tra angeli e concerti, e dice per non dire. Quasi che volesse dare ragione a cui la Filosofia di don Verzé la vuole meglio chiusa. Una filosofia sacrificale?

La Spectre senza luce in Vaticano

Prima i cardinali corvi, poi il vescovo americano pedofilo e assassin0, Bertone in minoranza, Gotti Tedeschi votato al martirio, le ultime volontà di Gotti Tedeschi ancora in vita, i conti cifrati, i denari di Messina Denaro. Sono troppe ormai le bufale, e tutte di seguito, un giorno scaccia l’altro, delle cronache giudiziarie sullo spionaggio in Vaticano. La serie delle notizie certe, quasi probabili, cioè inventate, dei cronisti giudiziari, in genere in pool, dei grandi giornali. Li regge solo la Procura di cpreso le misure. Ma stancamente – oggi solo “Il Messaggero”, il giornale romano, segue la sua Procura nella “notizia” che il Vaticano riciclava attraverso la Jp Morgan, su un solo conto, a Milano.
Sembra inaridita la famosa Spectre della giudiziaria italiana, la fonte, costante negli anni, della (dis)informazione giudiziaria, o degli scandali. Sembra che i servizi di (dis)informazione non abbiano antenne in Vaticano. O che il Vaticano ne abbia oscurato le linee. Non manca a Roma chi razionalizza anche questa disavventura: portare i cronisti a spasso su un questione che al (dis)informatore interessa poco per far sentire il morso. I denari, Giuda, Messina Denaro sembrano in effetti notizie sfottenti. L’altra ipotesi è che Monti, prendendo a mano a mano possesso, da tecnico?, dei centri di potere, stia per ribaltare anche i servizi.