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sabato 24 novembre 2018

Problemi di base bancari bis 458

spock


Dalla banca o del pizzo universale – trattenuta alla fonte?

Dice: la banca non spara – perché non ne ha bisogno?

La “protezione” del risparmio in che senso?

Il “tutto banca” come il “tutto mafia”?

Fondi e obbligazioni in banca mai alla pari, interessi mai attivi: l’usura venduta come incapacità?

Ma questa banca benedetta lavora per noi o noi dobbiamo lavorare per la banca?

Per quale Bibbia?


spock@antiit.eu

Le infedeltà dell'autentico Heidegger

Le lettere di Heidegger alla moglie Elfride, quelle da lei conservate, e poi affidate alla nipote Gertrud per la pubblicazione. Dalla primissima, “cara signorina Petri”, del 9 dicembre 1915, a quella del 10 aprile 1970, l’ultima, sempre affettuosa, da Augusta, subito prima del colpo apoplettico che il filosofo soffrirà mentre era a letto con un’amante. Una delle tante amanti che nel libro s’incontrano – ma di questa, che pure parteciperà cinque anni dopo al funerale di Heidegger, si tace il nome: la pubblicazione ha richiesto un complicato iter autorizzativo da parte dei parenti e eredi delle donne coinvolte..
Un libro di lettere d’amore, dunque – dopo l’ictus, finite le lettere, sarà comnque sempre lei, la moglie, ad accudire lui per cinque anni. Ma di fatto una storia di infedeltà, dalla parte di lui soprattutto, ma anche, e inizialmente, dalla parte di lei. Cui si potrebbe anzi attribuire la molla delle infedeltà continue di lui. Una breve nota del secondogenito della coppia, Hermann, il figlio da Heidegger prediletto, accompagna le lettere con la confidenza che la madre gli ha fatto a quattordici anni, quindi nel 1934, obbligandolo al segreto, che lui è in realtà figlio del padrino di battesimo, il dottor Friedel Caesar, suo amico di gioventù. Concepito dunque fuori del matrimonio otto mesi dopo la nascita del primogenito Jorg.
Non una cosa tragica. Lui non manca di rimproverarle l’adulterio. Lei non mancherà di rimproverargli le “menzogne”. Lui non nega, ma ha bisogno di “fuoco”, dice, per poetare-pensare. Lei glielo accorda.
La parte più godibile della compilazione sono le note della curatrice, Getrud Heidegger, che contestualizza le lettere, con note a ognuna sempre interessanti, e compila dela coppia due biocronologie familiari, e non, dettagliando le amanti di lui, tantissime, e probabilmente non tutte. Col corredo di numerose interessanti foto.
Un libro di lettere d’amore e di tradimenti, non una novità. Ma si legge con curiosità proponendosi lui, tanto inautentico, come il filosofo dell’autenticità.
È solo una parte delle lettere di Heidegger alla moglie. Senza le lettere di Elfride. Per scelte non spiegate della nipote Gertrud. Una pubblicazione che ha avuto vicende complesse, di cui Hermann Heidegger, cui il filosofo ha confidato la pubblicazione dell’opera omnia, si è lamentato all’epoca  lungamente in un’intervista con Angel Xolocotzi, pubblicata da “Micromega” nell’“Almanacco di filosofia” del 2007.  Parte di una cura editoriale delle opera di Heidegger disorganica e “parentale”, più che filologica, che Thomas Sheehan poteva lamentare in dettaglio già nel 1980, in un saggio sulla “New York Review of Books” del 4 dicembre, quando ancora solo una ventina di volumi dell’edizione diretta dallo stesso Hermann erano apparsi. Un’edizione non critica, più che altro mirata al mercato. Come ultimamente si vede con la pubblicazione a sorpresa dei “quaderni neri”, i quaderni di appunti di Heidegegr, più che altro mirati al success de scandale. Si direbbe il libro della infedeltà, familiare e editoriale.
Martin Heidegger, Anima mia diletta, il melangolo, pp. 381 € 28

venerdì 23 novembre 2018

Social e media, chi è il più brutto del reame

Intemerata contro la rete di Cazzullo nella rubrica dei lettori sul “Corriere della sera. Non salva niente, sotto il titolo La Rete distrugge cultura, lavoro, commercio: “Viviamo un tempo rivoluzionario. La rivoluzione digitale sta cambiando la vita, la politica, il lavoro più velocemente di quanto abbia fatto quella industriale. E non sempre in meglio. Secoli di lavoro intellettuale vengono distrutti…Tutto quanto l’uomo ha scritto, composto, dipinto, pensato viene ora fatto a pezzi dalla rete e disperso nel vento. In pochi leggono un libro o vedono un film per intero. A teatro o alle mostre d’arte… un cinquantenne si ritrova a essere lo spettatore o il visitatore più giovane.” Peggio per i giornali, “schiantati dalla rete, che ne ruba i contenuti e al contempo li addita come complici del sistema”.
Peggio anzi per tutti: “Senza la rete non avremmo avuto la Brexit, Trump, Grillo, Salvini, Bolsonaro. La rete fa a pezzi la democrazia rappresentativa. Rinfocola l’odio e la frustrazione. Rende noiose e sospette le competenze. Dà voce agli imbecilli, come ha fatto notare Umberto Eco. Toglie spazio alla concentrazione e alla riflessione. Alimenta il narcisismo, attitudine sterile per definizione. Distrugge il lavoro impiegatizio e il piccolo commercio. Crea enormi quantità di denaro e di potere e le concentra in pochissime mani. Certo, resta una scoperta straordinaria….”
Che uso fa Cazzullo della rete? E in libreria ci va, uno dei commerci più prosperi, se ne aprono in continuazione? O alle mostre, dove più spesso è anche difficile entrare. Il cinema non è mai stato così prospero, le produzioni si moltiplicano, a centinaia, a migliaia, la distribuzione ha infiniti sbocchi. Forse non è effetto della rete, è la tecnica on demand che moltiplica la diffusione, ma non è nemmeno colpa. E che cosa decide la rete, che gli elettori non decidano per sé? O dobbiamo credere ai Russiagate, che potenze occulte eleggono marionette? Che c’entra l’Italia con Bolsonaro? O allora non è la giustizia politica che unisce Italia e Brasile? Di quanto 5 Stelle e Lega non sono l’effetto della implosione del Pci – della lingua di legno, della bugia elevata a sistema, e anzi rivoluzionaria? Che una sinistra per mezzo secolo forte al 50 per cento ha ridotto a uno o due decimi. Non c’è una Unione Europea di vecchi politicanti, neanche tanto capaci – la commissione Juncker resta agli annali per non aver applicato e nemmeno proposto un solo piano, una idea, un progetto, in anni di crisi (mentre si compiace di polemizzare, con le battutine, come al vecchio bar Sport).  È davvero Trump è l’effetto dei social – l’eletto di Putin...? E chi è che ci fa leggere ogni giorno sei e anche otto pagine di cosa hanno detto Di Maio e Salvini, riciclandone le segreterie social, che non interessano a nessuno? Fare il giornalista sarà pure meglio che lavorare ma è ancora vero? Forse sì, limitandosi a leggere i social, una mezzoretta al giorno.

il mondo com'è - 360

astolfo


Deterrenza – Non c’è deterrenza possibile nell’era dell’informatica. Un equilibrio del potere di distruzione. È la conclusione di Kissinger, “Ordine mondiale”, dopo l’analisi della pervasività dell’informatica stessa. “La deterrenza, che, nel caso dell’armamento nucleare, prese la forma del bilanciamento del potere di distruzione, non si può applicare per analogia diretta, perché il pericolo più grave è un attacco senza preavviso, che si può cioè rivelare quando la minaccia si è realizzata”. E la risposta è indefinita: attaccare il computer, il suo utilizzatore, il paese in cui vive?

Limitazione informatica – Un “accordo di non proliferazione” è necessario in materia informatica, poiché l’informatica detta l’“ordine mondiale” del prossimo futuro. Almeno quello che Kissinger ha delineato nel saggio con questo titolo: l’ordine mondiale nel prossimo futuro sarà digitale, retto dall’informatica. Dopo la religione, la ragione e il nazionalismo, “la scienza e la tecnologia sono i caratteri dominanti della nostra epoca”.
Un saggio del 2014, in cui, pur dichiarandosi cyberanalfabeta, l’ex segretario di Stato americano anticipa molto di quello che in questi quattro anni è già avvenuto. Non arriva all’intelligenza artificiale, ma ne conosce e pone i presupposti. Basandosi sulla “legge di Moore”, la profezia cinquant’anni fa di un ingegnere di Intel: “La novità dell’era attuale”, nelle parole di Kissinger, “è il tasso d’innovazione del potere informatico e l’espansione della tecnologia dell’informazione in ogni sfera dell’esistenza”. La vita è sempre più cyberizzata, quella quotidiana e degli affari, e fino alla politica e la difesa: “Un «Internet delle Cose» o un «Internet di Ogni Cosa» incombe”, nel 2014: “Gli innovatori prevedono ora un mondo di ubiqua informatica, con congegni miniaturizzati di trattamento dati inseriti negli oggetti quotidiani - «serrature intelligenti, spazzolini, orologi da polso, macchine da fitness, rivelatori di fumo,videosorveglianza, forni, giocattoli e robot» - o galleggiando nell’aria, sorvegliando e modellando l’ambiente nella forma di «polvere intelligente». Ogni oggetto va connesso a internet e programmato per comunicare con un server centrale e altri meccanismi di rete”.
Anticipa il Russiagate, quale che sia quello americano che non si sa definire: “La complessità è accresciuta dal fatto che è più facile montare attacchi cyber che difendersene, incoraggiando probabilmente un intento offensivo nella elaborazione di nuova capacità. Il rischio è accresciuto dalla plausibile negabilità dei sospettati di tali azioni”. Se anche Putin si è intromesso, può negarlo senza rischio.
L’argomento è semplice: “Un portatile può produrre conseguenze globali”. Kissinger ci arriva da scienziato politico, sulla base di casi già precisi. L’attacco virale americano Stuxnet, contro la capacità nucleare iraniana. L’attacco botnet (una rete di computer infettati da malware) della Russia in Estonia nel 2007, che ha paralizzato le comunicazione per giorni – un’esercitazione. L’uso strumentale dei social, a partire dalle presidenziali americane del 2012: “È stato detto che nel 2012 le campagne elettorali (le organizzazioni delle campagne elettorali, n.d.r.) avevano schede su decine di milioni di elettori potenzialmente indipendenti. Messe assieme attraverso le reti social, gli schedari pubblici, e la documentazione sanitaria, queste schede realizzavano di ognuno un profilo, probabilmente più preciso di quanto l’interessato sarebbe stato capace di realizzare con la sua propria memoria”.
Di suo Kissinger nota che le campagne elettorali si sono trasformate in “confronti mediatici tra operatori internet”. Nei quali i candidati si riducono a “portavoce di operazioni di marketing” – elettorale certo. Questa non è del tutto una novità: il candidato ha sempre cercato di anticipare i bisogni dei suoi elettori o comunque di allinearvisi. Ma nell’era informatica non ha più la capacità di influenzarli, di meglio indirizzarli. Ha un ruolo passivo e non attivo.
Da statista Kissinger va più in là. Il terrorismo digitale può avere conseguenze molto più letali di quello islamico o di ogni altro genere già sperimentato. Anzi, si avventura fino a dire che “la prossima guerra” si combatterà in rete. Sempre partendo dal fatto semplice del portatile che “può avere conseguenze globali”. Anche senza complotto: “Un attore solitario con sufficiente capacità di calcolo può accedere al cyberdominio per disabilitare e potenzialmente distruggere infrastrutture chiave, da una posizione di quasi completo anonimato”.
La rete ha innovato l’arte militare ma non solo: ha indebolito o sconfitto le dottrine tradizionali della Auctoritas, del potere delle istituzioni. Se “individui di oscura affiliazione” possono colpire obiettivi sensibili, “la stessa definizione di autorità statale può diventare sfuggente”. Per questo ritiene necessario un accordo sull’uso del cyberspazio analogo a quelli suoi sui missili e la potenza nucleare. “Una qualche definizione di limiti”, chiede, in “un accordo su regole di reciproco autocontrollo”.
Il realpolitiker si fa a questo proposito profetico: il cyberspazio è “strategicamente decisivo”. Il quadro è semplice: “Azioni intraprese nel mondo virtuale interconnesso possono spingere a contromisure nella realtà fisica, specie quando quelle azioni hanno la potenzialità di infliggere danni paragonabili a quelli di attacchi armati. Senza una qualche definizione dei limiti e senza un accordo su regole di reciproco autocontrollo, è probabile che una situazione di crisi si innalzi anche al di là delle intenzioni: il concetto stesso di ordine internazionale può subire tensioni crescenti”.

Non proliferazione -  Il trattato internazionale probabilmente più disatteso e anzi tradito, subdolamente, della storia, nei fati e nelle potenzialità. Nel 1968 Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna firmavano il trattato di non proliferazione nucleare. Che limitava l’armamento nucleare dei firmatari allo stato della firma, e restava aperto all’adesione di potenze già nucleari e non, con l’obiettivo di farlo diventare obbligatorio sotto l’ombrello Onu. Nel 1992 aderivano Francia e Cina. Molti paesi non nucleari, tra cui l’Italia, avevano aderito. Molti altri che avevano aderito, come l’India, il Pakistan e Israele, la Corea del Nord (è uscita dal Tnpo nel 2003), probabilmente anche la Corea del Sud, hanno sviluppato un arsenale nucleare. Altri sono potenzialmente in grado di realizzare armi nucleari – l’Iran è il caso eclatante. Anche perché la relativa tecnologia è sul mercato.

Tedeschi - Anche Heidegger era per l’incertezza. “Nessuno pensa a come stiano le cose riguardo ai tedeschi”, lamenta in “Note I”, il primo dei “quaderni neri” del dopoguerra, all’inizio dell’occupazione,”se essi siano ancora o siano una buona volta in sé, se sappiano affatto chi mai essi stessi siano, se siano capaci di pensare per approdare a questo sapere, se essi possano entrare nel tempo lungo del ricordo, nel quale finalmente prospera la verità della loro essenza”. Con una conclusione che aggiunge all’incertezza, a proposito di questa verità: “La quale verità è: essere la comunità pastorale”, il greggiame, Hirtertum, “dell’Occidente, della ‘terra della sera’, perché la sera è il tempo e la terra il suo spazio”….

astolfo@antiit.eu

L’Africa è chic, ma non è stupida


Bartolo è un angiologo e informatico romano, di origine afroitaliano, che ha lavorato e lavora molto in Africa a sud del Sahara, in una dozzina di paesi, nella telemedicina, come formatore, e vuole dare del continente una immagine riposante, traendolo fuori dall’inferno nel quale i media superficiali lo avvoltolano – ne ha già scritto, sempre con la stessa vivace empatia, in “Sognando l’Africa in sol maggiore”. Ma, involontariamente, soprattutto in questi giorni, col rapimento della ragazza volontaria in Kenya, dà anche il senso di una cooperazione internazionale che, per quanto mossa da buona volontà, è pregiudizialmente esterna e quasi offensiva in Africa. Che è povera ma non stupida o incapace. Con l’eccezione appunto della medicina, o di altri casi di formazione.
Il titolo è molto gettonato in rete, tra canzoni, moda, belle modelle. E l’Africa purtroppo è chic per molti volontari perché ne hanno opinione al fondo razzista, del mangiabanane disceso dall’albero, buono ma ingenuo, etc., e povero, tanto povero, mentre l’africano è come tutti e forse, se non altro per il bisogno, meglio addestrato e quindi più acuto. Più rapido, più abile, più realista o intelligente, capace cioè di capire la realtà delle cose – succedeva anche con gli italiani emigrati poveri, alla seconda generazione tutti professionisti brillanti, facili.
Introducono Gervaso e Camilleri, pregiando la capacità di raccontare di Bartolo. E questo è vero, alcuni racconti non sono prevenuti, di maniera - altri invece, che l’autore e l’editore sembrano privilegiare, è ancora del genere Madison Avenue, coloristico, del “fate la carità”, l’immagine pubblicitaria dell’Africa.
Michelangelo Bartolo, L’Afrique c’est chic, Infinito, pp. 176 € 13

giovedì 22 novembre 2018

Problemi di base nazionali - 457

spock

L’Italia non  segna – non sogna?

E Alitalia, che non ha mai funzionato, almeno da mezzo secolo, dovrebbe funzionare con i treni?

Alitalia non usa più gli aerei?

O si vuole diffondere il morbo Alitalia anche ai treni?

Perché i media di opposizione, cioè  media, parlano sempre e solo di Di Maio e Salvini, come già di Berlusconi: per fargli un monumento?

Votare bisogna, ma chi fra Juncker e Conte? 

E fra Moscovici e Tria?

spock@antiit.eu

Letture - 365

letterautore


Boccaccio in Tirolo – L’ambasceria è messa in dubbio da Camilleri, nel falco boccaccesco che ora si riedita come “Antonello da Palernmo”, o “la novela che non fu mai scritta”: “Sembra che nel 1351 Boccaccio fosse stato inviato come ambasciatore nel Tirolo e in Baviera meridionale”. Ma il fatto è certo, almeno a quanto attesta Barbara Ricca, sul sito Fillide, 2013 – il sito di vuole del “sublime rovesciato: comico umorismo e affini”, ma la trattazione è seria:
“Dal 1350 Boccaccio svolge servizio come diplomatico per il comune di Firenze. Ha acquisito una certa notorietà con la diffusione delle sue prime opere, soprattutto L’elegia di Madonna Fiammetta, e ha cominciato la stesura del Decameron.
“Il 12 dicembre del 1351 a Firenze Boccaccio riceve in consegna due lettere, una diretta a Ludovico duca di Baviera, , marchese di Brandeburgo e l’altra al duca Konrad von Teck. Entrambe le lettere lo accreditano come «ambaxiator solemnis» della Repubblica fiorentina in Tirolo.
“Ludovico di Brandeburgo, figlio dell’imperatore Ludovico il Bavaro, è il secondo marito di Margarete ultima dei Tirolo, detta Maultasch. Sul loro matrimonio pesa la scomunica del papa, perché Margarete ha cacciato il primo marito Giovanni di Lussemburgo e ha contratto nuove nozze senza ottenere l’annullamento di quelle precedenti e senza la necessaria dispensa papale. Ludovico di Brandeburgo è spesso assente dal Tirolo perché impegnato a difendere i suoi possedimenti nel nord Europa e al suo posto governa il duca di Teck, coadiuvato da un gruppo di nobili bavaresi, invisi alla popolazione tirolese.
“L’incarico che Boccaccio riceve 1352 riceve dalla Repubblica è dunque quello di stipulare un accordo che sostenga Firenze in caso di guerra con i Visconti. Il 5 marzo del 1352 Ludovico di Brandeburgo risponde ufficialmente alle proposte di Firenze che presumibilmente gli sono state comunicate da Boccaccio. Ludovico decide di inviare a Firenze come ambasciatore Diepold von Katzenstein per trattare i termini concreti dell’aiuto e del sostegno che intende dare alla Repubblica contro i Visconti. Già a metà marzo von Katzenstein rientra in Tirolo senza probabilmen
te aver concluso accordi definitivi. Di altre ambascerie non si sa nulla.
“In conclusione sembra probabile che Boccaccio abbia soggiornato in Tirolo per il periodo che va dal dicembre del 1351 al 3 marzo del 1352, magari ospite delle attive comunità fiorentine presenti nella regione fin dai tempi di Mainardo” Ma non è finita:
“Nel 1932 esce il romanzo Boccaccio auf Schloss Tirol di Heinrich von Schullern. L’autore, nato a Innsbruck nel 1865, esercita dal 1918 la professione di medico nella sua città natale. È un autore dalla produzione molto vasta: numerose raccolte di poesie, ma anche parecchi romanzi.
“Sull’esile trama delle testimonianze che attestano un possibile passaggio di Boccaccio in Tirolo, von Schullern costruisce il suo romanzo. Immagina un incontro tra l’ambasciatore fiorentino e Margarete Maultasch, un incontro che non possiamo escludere sia avvenuto davvero, ma che rimane comunque nell’ambito delle congetture e delle ipotesi. Margarete è di per sé una figura controversa: le vicende che la vedono protagonista non sono sempre di facile lettura e hanno invitato storici e intellettuali ad una certa varietà di interpretazioni, fino a farne l’eroina di parecchi romanzi più o meno riusciti. L’elaborazione letteraria si esercita sostanzialmente su alcuni temi: la malformazione della bocca da cui deriverebbe il soprannome (“sboccata”, “puttanesca”, n.d.r.), la vita sessualmente sfrenata, la solitudine nell’esercizio del potere, il mistero della rinuncia finale. Margarete è infatti un personaggio decisivo nella storia del Tirolo: nel 1363, dopo la morte di Ludovico, cede tutti i territori, i possedimenti e i diritti ereditati dal padre agli Asburgo, creando un legame destinato a durare fino al 1918”. Una storia che Boccaccio avrebbe potuto inventare.

Dante – È di conforto. Tina Turner, la bellissima del rock ‘n blues, colpita da una serie di malanni che la costringono in ospedale in Svizzera, ictus, vertigini, cancro all’intestino, insufficienza renale,  quattro anni di ricoveri a catena in ospedale,  si consola leggendo libri, scrive, e Dante le serve “per lìintelletto”: “Stranamente ogni volta (a ogni ricovero, n.d.r.) tendo a portare gli stessi tre: ‘Il libro dei segreti’ di Deepak Chopra, ‘La Divina Commedia’ di Dante e un libro di fotografie della straordinaria Horst P. Horst, Qualcosa per lo spirito, qualcosa per la mente e qualcosa per i sensi”. Dante in uso praticoa è una novità, rispetto ai commentari dotti ai quali sembra destinato. Un Dante di ogni giorno.  

Hōlderlin – “Il poeta del poeta” lo vuole Heidegger, suo instancabile esegeta – qui in “Note I-IV”, l’ultimo dei “Quaderni neri”, p. 16. Mentre è – era – il poeta di tutti.
La stessa riduzione si vorrebbe con Leopardi. Che però resiste, benché abbia più titolo di Hōlderlin a poeta filosofico. Difeso dall’italiano – che vuol dire “poeta del poeta”?

Lettura - Cosa si perde in rete? Si sa, ma Kissinger lo spiega meglio, “Ordine mondiale”, 350: “La lettura è relativamente uno spreco di tempo; per facilitarla, lo stile è importante. Poiché non è possibile leggere tutti i libri su un dato argomento, tanto meno leggere tutti i libri, o di organizzare facilmente tutto quello che uno ha letto, imparare dai libri si fa attraverso la riflessione concettuale –la capacità di riconoscere dati ed eventi comparabili e di proiettarne gli schemi nel futuro”.
Leggere il giornale però non è la stessa cosa. Titoli, sommari, catenacci, sommarietti, “nasi”, l’impaginazione stessa dicono più del testi. E l’effetto è lo stesso che su internet, la lettura è uguale per giornali e rete, affrettata e superficiale, cumulativa – la prima difficoltà del giornalismo scritto nasce da qui: non allontanare il lettore, pur essendo veritieri e comunque precisi.

Nudo – “La donna nuda era eversiva”, ricorda Milo Manara con Alessandra Sarchi su “La lettura”, “oggi è soltanto banale”.

Stroncature – Fabio Tamburini le ha ripristinate, sua prima decisione da direttore del “Sole 24 Ore”. Sotto una testatina geniale, “Vivissime condoglianze”. Ma il suo “Modesto Michelangelo Scrofeo” la prende alla lontana, di libri o dischi che nessuno ha letto o ascoltato - e poi, uno stroncatore che si chiama Modesto Scrofeo non invita stroncature?
Non va meglio D’Orrico su “La Lettura”. Cui competerebbero ma mai vi si azzarda. Da ultimo,  per dire finalmente male di un romanzo, “Buonanotte a te”, di Roberto Emanuelli, si affida alla retorica:  “Dov’è finito lo scrittore che scriveva con tanto sprezzo del ridicolo come nessuno in Italia?” E fa l’esempio di una Francesca che in “Buonanotte a te” va a letto con uN meccanico e gli dice: “Rimetti la tuta blu, mi fa impazzire il mio meccanico quando mi prende”. “E poi”, continua D’Orrico, aggiungeva, «tra il professionale e pornografico»”: «Signor meccanico, può controllare se tutto è a posto?»”. Il ridicolo, o lo sprezzo (ma che vuol dire “lo sprezzo del ridicolo”?)?
In un certo senso è incoraggiante, che ci siano donne così. Che un autore, uno maschio, pensi che ci siano donne così. Oggi. Vuol dire che non legge i giornali. Ma esce in strada?

Trascrizioni – Usavano in musica prima dell’elettronica, a volte di un autore su se stesso, più spesso di un autore su un altro, Lizst su Beethoven, etc. Per uno strumento o una voce diversa, o ripresa in altro contesto, adattata, ridota, amplificata. Ora la musica non vuole daici, la “musica seria”. Le trascrizioni rimangono in uso nel jazz. Duke Ellingotn trascriveva Ciajkovskij, e una volta anche “Peer Gynt”. Gli Swingle Singers J.S. Bach, Rava Bizet, Uri Caine Mahler, e ora Mark Westbrook, a ottantadue anni, Rossini. Come già 35 anni fa, al festival di Losanna. Pur essendo cresciuto, fa notare, “con Puccini”. Solo il jazz ci può salvare?


letterautore@antiit.eu

Antonello da Palermo e Boccaccio da Bolzano

Fa piacere, che di Camilleri siano contesi anche gli stracci, a gara fra gli editori. Questo non è granché. Se non per l’idea, che è stata una dozzina d’anni fa di Giovanni Casertano per lo stesso editore, che la ripubblica con diverso titolo: una collana di falsi d’autore. E per le circostanze che Camilleri ci costruisce attorno: un Antonello da Palermo invece che da Messina, Boccaccio ambasciatore in Tirolo, eccetera. Per il vero-falso.  “La novella di Antonello da Palermo” era il vecchio titolo. Boccaccio in Tirolo pare ci sia stato - e si sia anche fatto la principessa, una Margarete “Boccaccia” (boccaccio-boccaccia?).
Ma il pastiche  non è nelle corde di Camilleri. Che è un narratore più che un letterato. Lui stesso lo riconosce, in una curiosa nota al testo: lo pseudo Boccaccio “non ha la straordinaria fluidità narrativa delle altre novelle”. Per doverosa modestia, e per il falso-vero.
Andrea Camilleri, Giovanni Boccaccio. Il Decamerone. La novella che non fu mai scritta, Guida, pp. 49 € 5


mercoledì 21 novembre 2018

Il colpo di coda della vecchia Europa

È braccio di ferro, allo sfinimento, con grossi danni, tra Bruxelles e Roma attorno al bilancio italiano.  Di cui l’Italia è ormai sicura vittima, ma con colpe veniali, e forse legittime. Il braccio di ferro è stato ingaggiato dalla “vecchia politica”, i popolari e i liberalsocialisti, contro la “nuova politica”, che in Italia ha fatto per prima breccia – il governo Kurz a Vienna non conta, l’imberbe cancelliere è un vecchio democristiano, il suo governo è la copia dell’Andreotti 1972, con i neofascisti (due anni prima di convertirsi al compromesso storico con Berlinguer). Non c’è voluto  molto a Merkel e Macron per compattare la Commissione europea: all’unanimità e molto tempestiva, anzi  precedendo le scadenze, la Commissione è impegnata a stroncare il governo gialloverde italiano. Una manovra di pura politica di potere – o di sedia. Di cui non s fa abbastanza caso: un “colpo di coda” della vecchia politica. In rotta e quindi disperata: deve salvarsi, mandando l’Italia all’inferno, dal ripudio già previsto alle europee di marzo. Anche se l’Italia dovesse andare in malora – e con essa l’euro e la Ue.
E possibile argomentare pro o contro la manovra Conte-Tria. Pro o contro Lega e 5 Stelle, se sono oppure no la novità attesa in politica, la novità intelligente e buona. Ma non si può non vedere l’assurda compattezza di Bruxelles. 
L’Italia non è il primo paese che ha disatteso gli impegni di bilancio. Ce ne sono stati anzi altri che addirittura hanno disatteso i parametri di Maastricht – Francia e Germania tra i tanti. E nulla è successo, calma piatta a Bruxelles.
Anche la risposta all’Italia è vecchia maniera. Nessuno, nei tanti centri di analisi e di calcolo a Bruxelles, si chiede perhé l’Europa arranca, unica potenza economica in difficoltà, da un dodicennio. Con un abbandono che, in prospettiva storica, sembra incredibile, quello della Gran Brtagna, ma non a Bruxelles. L’unica occupazione è preservare la poltrona.

Le trimestrali della politica

Si va verso la politica dell’immediato. In Italia vige già: la politica, che è un disegno strategico, ora vuole e deve avere risultati immediati. Soggetta ai sondaggi giorno per giorno. All’informazione social, molto volatile: umorale, e più violenta dai meno ponderati. Nonché al voto anche minimo, suppletivo, locale, circoscrizionale. È un cambiamento strutturale della politica. Analogo a quello dell’economia, cui l’ideologia dominante del mercato ha imposto il breve e brevissimo termine. La gestione economica viene giudicata trimestralmente, e anche mensilmente, e ogni strategia è impossibile se non produce risultati subito: non si può fare un programma a lungo termine, ma uno che dia risultati positivi anche nell’immediato. Sul brevissimo termine la politica diventa inutile e non realizzativa. Anzi, è dispersiva, fatalmente.

Secondi pensieri - 367

zeulig


Fatto – È un’opinione? Perché no. Un fatto raramente si spiega, significa una cosa, una sola. Il suo senso, i suoi sensi, vengono dall’analisi – dall’ermeneutica. Che si lega a molteplici contesti, individuali, sociali, storici, eccetera. Anche dalla sua rilevanza: più il fatto ha conseguenze, più ha pregnanza di significati. Un fatto senza conseguenze è come un intervallo temporale, un buco da riempire, uguale a un altro e senza significato.
I fatti slegati dalle opinioni, il principio cosiddetto del giornalismo anglosassone (che è invece opinionated, prevenuto, troppo), ne spiega l’estremizzazione, per un’insoddisfazione che si avvita su se stessa.

Filosofia tedesca – Era l’idealismo, di cui Heidegger è stato il demolitore, un secolo fa o poco meno. Nell’antinomia tra il soggetto frammento e il soggetto assoluto. Al seguito di Kant aveva elaborato sulla sua idea che solo il soggetto è in condizione di conoscersi in modo adeguato, ma derivandone l’incongruenza che, se il soggetto è limitato  da un altro essere, allora la sua conoscenza di sé è frammentaria. Si direbbe un esercizio sul vuoto, ma quanto po(n)deroso. Non è infatti finita: il soggetto che solo si può pensare diventa nell’idealismo l’assoluto. Anche qui con una controindicazione: la verità assoluta del soggetto si verifica (realizza) nella conoscenza particolare e pratica – Hegel, il grandi rilevatore dell’empiria, delle cose come sono avvenute e sono, ne è l’epitome, che le sistematizza nella razionalità del reale.
Con in più il romanticismo dell’idealismo, di cui invece Heidegger è l’Architetto, benché tardo e già smentito dai fatti – guerre e sconfitte, morti e fame, lutti e esecrazioni. Tra angosce, pulsioni di morte, essere-non-essere - mancano solo i revenant - e il vōlkisch, il volgare popolo popolaresco. Con sbattimenti, a letto, con le allieve.

Diventa incerta in ogni altra lingua. In italiano non solo, in francese di più, e in inglese, dove però si traduce poco, e in spagnolo. Imprecisa e indefinita, il contrario si direbbe di una filosofia. E insieme totalizzante - sistematica, radicale. Terrorizza i lettori e traduttori. E le frontiere che apre sono più che altro in una ubiqua incertezza – “che cosa ha veramente detto…”.
In Germania come è letta? Si penserebbe poco. Heidegger si legge più in Francia, perlomeno si discute, e perfino negli Usa, che in Germania. Anche se la Germania ci capitalizza su, molto.  A volte, curiosamente, è semplice potendo leggerla in originale. Kant per esempio, e lo stesso Heidegger. Un po’ più semplice.

Heidegger – Si dibatte moto se fu nazista, sembra impossibile che qualcuno sia stato nazista, ma lui lo fu, o in che misura, entusiasta, timido, moderato – entusiasta, Hitler lo tradì per non essere abbastanza radicale. O se fu antisemita, lo era, anche dopo. E niente invece della foja, con le allieve attraenti, meglio se ebree o nobildonne, benché madri di famiglia, questa conclamata e testimoniata, in lettere, cartoline, poesiole e bigliettini, autografi. Che è un essere-per-filosofare. La vita sessuale di Heidegger dovrebbe essere lo studio principale, il Frauenphilosoph del dispregiatore Thomas Bernhard.
La filosofia è stata prodiga di orgasmi negli anni che la guerra approntarono. Anche Jaspers ebbe nel ‘28 a Heidelberg una ninfa diciottenne, Jeanne Hersch, come già Heidegger con Hannah Arendt, ma non un cuore avventuroso. Heidegger invece vi si applicò. Ancora nel ‘45, a 56 anni, è nel letto di Margot di Sassonia-Meiningen, depresso ma non troppo per la sconfitta, e i manoscritti dispersi a Messkirch sotto le macerie della banca di Fritz. Tre anni aveva festeggiato, sotto le bombe, con i figli al fronte russo, la giovane principessa, sua fresca allieva benché madre di due figli, Natali e Capodanni inclusi, la moglie Elfride confinando alla filosofica Hütte nella neve alta senza riscaldamento. Alla fine della storia aveva letto a Elfride, autorizzato dalla principessa, le lettere che questa gli aveva scritto, e che lui aveva conservato, mentre non conservava nulla di Hannah, né della moglie. Nell’aprile del 1970 ad Augusta rischia la morte per infarto nel letto di un’amante di cui si tace il nome, a ottant’anni suonati – la moglie lo accudirà fino alla morte,  sei anni dopo.
Di molte allieve era stato l’amante, a partire da Hannah Arendt. Alla quale “Lisi” era succeduta, Elisabeth Blochman, anch’essa ebrea – con cinquanta anni anche in questo caso di carteggio. E probabilmente la non più fresca Helene Weiss. E dopo la guerra di Dorothea Vietta, “Dory”, nata Feldhaus, la madre del critico letterario Silvio Vietta, che trascrisse molti suoi lavori a macchina sapendone decifrare la scrittura, nonché della sorella di Dorothea. Non sono le sole. In un teatro poco filosofico dei sentimenti. Un vaudeville se non fosse triste - la questione è recente se pure questo gioco non sia partito da Elfride, che nel ‘34 confidò al primogenito Hermann, concepito nel ‘19, a due anni dal matrimonio, il nome del suo vero padre, legandolo al segreto finché fosse vissuta, il dubbio seminando se i tradimenti di Martin non furono risarcitori, di testa.
Contro la sessuomania, Heidegger ricorse allo psichiatra barone Viktor Emil von Gebsattel, col solo risultato di rincorrere amanti dottoresse, Marielene Putscher, Andrea von Harbou, Margret Magirus. In aggiunta alle nobildonne, la contessa Sophie Dorothee von Podewils più a lungo della principessa Margot, tutte trenta-quarantenni: si faceva ogni donna che l’avvicinava – le donne l’avvicinavano sperando che se le facesse. In Andrea, progenie di piccola nobiltà danese-prussiana, ritrovava chissà il frizzo della zia Thea von Harbou, la bella temibile hitleriana che per Lang ha inventato “Metropolis” e “Il testamento del dottor Mabuse”, paradigma della paranoia tedesca.
Si può capire. Heidegger è basso nella foto con Char di spalle in campagna. Ma viene bello di fronte, più di Clark Gable, tanto più per non essere un attore, ritoccato, in posa e all’incesso, in grisaglia o alpenstock, eretto, la filosofia non fa gli uomini bolsi, e aveva voce alla radio sonora e armoniosa, che il ragionamento rendeva ineluttabile, tanto suonava chiaro, lo sguardo di sottecchi, di vecchio infante.

Inconscio – Perché sarebbe freudiano, o lacaniano,o anche cognitivo? E come si fa a farlo emergere, non è un oggetto o comunque una cosa delimitata, solo nascosta o rimossa. Il rimosso, sarà pure un atto, involontario, ma di che: l’inconscio non può che essere “multiverso”. La psicoanalisi che lo destruttura-ristruttura è solo una terapia, che a volte funziona, ma per caso, non è l’emersione  dell’inconscio. C’è un residuo di positivismo in molta scienza, specie in quella dell’anima – una scienza dell’anima?

Informazione – È libera, assicura la rete, ma a pagamento. E condizionata. Si paga fornendo dati, personali e non, che verranno trattati (utilizzati, sfruttati) da utenti sconosciuti per fini loro. Ma in modi che condizionano di ritorno il soggetto, creandogli una “informazione” che lo cristallizza, gli creando una personalità, se non una individualità.

Politico – Una nuova forma di politico si può dire nata con il computer. Non nel senso delle istituzioni, di scelta o elezione della rappresentanza, quale ha realizzato e propone Grillo. Ma dei processi di formazione e diffusione dei concetti e i temi politici. L’accesso facilitato dalla tecnologia ai big data facilita anche il processo decisionale, ma restringe la prospettiva. Il giudizio è fatalmente condizionato dalla mole di dati accessibili. Anche se il giudizio critico si mantenesse vivo, finisce per esercitarsi in un quadro di opzioni o condizioni ristretto.
Si spiega l’enfasi americana sulla manipolazione dell’opinione e degli esiti politici attraverso i social. Chi gestisce i social, direttamente o per intrusione, ha per il suo stesso potere di manipolazione dell’informazione un ruolo sostitutivo rispetto alla riflessione – che è comparazione di dati, più che aggregazione.

Presente . Sciascia ha il presente come inquisizione. Senza più. Ma non è improprio vederlo invaso dal passato. Nel quale c’è, sì, una parte di noi stessi, la storia, anche la parte fondamentale - nello stesso Sciascia – di noi stessi, ma irrimediabile,come una colpa imperdonabile. Se non per abiure nette: decise e radicali – gli aggiustamenti sono sospetti. 

Verità – Può essere “customized”, su misura. Sicuramente nel mondo digitale, ma era lo stesso anche prima. Due persone che pongano lo steso quesito al motore di ricerca otterranno due risposte differenti. E probabilmente analoghe, cambiando motore di ricerca. Perché i motori di ricerca hanno memorizzato e classificato tutte le sue abitudini e i suoi interessi predominanti – da qui i consueti messaggi, nel caso di acquisti o di ricerche d’informazione: “Potrebbe interessati anche…”, “Chi ha comprato questo ha comprato anche quello”, etc. Lo stesso fuori dal commercio: la verità viene allo stesso modo individualizzata e relativizzata: si è classificati di destra o di sinistra, conservatori o innovatori, perfino prolissi o sintetici – in aggiunta alla classificazione commerciale individuale, di redditi, bisogni eccetera.

zeulig@antiit.eu

Diario d'autore, a ritroso

Diario a ritroso dell’autore a sessantacinque anni che decide – come già trent’anni prima, in “L’invenzione della solitudine” – di ritrarsi in tutti gli istanti di cui ha memoria, “un catalogo di dati sensoriali”. Per sfuggire all’inverno piuttosto che per addentrarvisi, all’inverno della vita. Una ricognizione a partire dai sei anni, quando si vede a piedi nudi scendere dal letto e andare alla finestra, mentre fuori nevica. Proprio come ora - gli inverni sono gelidi a Brooklyn, tra ghiacci e venti.
Aneddoti, battute, scherzi, incidenti, avvenuti o mancati per caso. Secondo un programma che l’autore decide subito, di “piaceri fisici e dolori fisici”: “I piaceri del sesso innanzitutto, ma anche quelli del mangiare e del bere, di stare nudo in un bagno caldo, di grattarti un prurito, di starnutire e di scorreggiare, di stare a letto un’ora in più, di voltare la faccia verso il sole in un mite pomeriggio di tarda primavera o d’inizio estate e sentire il tepore posarsi sulla pelle”. Essere attraverso il corpo, le sensazioni - la memoria delle sensazioni - fisiche. Ma di eventi minimi, viaggi, pranzi, cibi, bevande, rapporti sessuali, il cui acme è la prostituta del Quartiere Latino a Parigi, dall’improbabile nome Sandra, che dice una poesia di Baudelaire – di passata un aborto, indotto a una compagna occasionale, a diciannove anni. E molte morti, naturalmente.
È l’occasione anche, a proposito di contaminazioni fisiche, di dare fisionomia alla madre. Dopo averla ridata al padre nel precedente “L’invenzione della solitudine“. Non c’è solo l’inizio della terza età, c’è la fine della madre, del principio vitale di cui è difficile elaborare il lutto. Una sorta di fine della vita attiva. Il padre ricorda morto trentadue anni prima - mentre faceva l’amore con la sua nuova compagna - quando lui, Paul, a trentatré anni, era “ancora in lotta su tutti i fronti, ancora mangiando la terra del fallimento”. Ma dello storione familiare si ferma per fortuna ai nonni. 
Niente di che. Ben raccontato. Ci sono periodi anche di una pagina, della cui costruzione non ci si accorge, filanti. E pezzi di bravura, sulla scia di David Foster Wallace – o è il viceversa? Una decina di pagine le prende, scena per scena, un film del 1950, “D.O.A.”, di un Rudolph Maté, per dirsi straniero a se stesso.: “Siamo tutti alieni a noi stessi” (D.O.A, dead on arrival) - lesperimento di Trilogia di New York, con Le catene della colpa, Robert Mitchum nel film di Tourneur del 1947, ampliato. Altre lunghe pagine sulle cose che può fare una mano, centinaia.  Fino alla sorpresa: di che stiamo parlando? Dopo il selfie, o sotto? La sola novità è che Auster si è laureato (M.A.) con Edward Said, con una tesi “L’arte della fame”, su Hamsun, Kafka, Céline e Beckett. E ha scritto un giallo che non ha pubblicato.
Una “automedicazione”, come la moglie dice il rimemorare? Che concilia, forse, con la vita banale di ognuno – dove sono gli eroi? Una celebrazione anche dell’amore coniugale, con la scrittrice Siri Hustvedt.

Paul Auster, Diario d’inverno, Einaudi, pp. 184, ril. € 18,50

martedì 20 novembre 2018

A Sud del Sud (il Sud visto da sotto) - 381

Giuseppe Leuzzi


Un decreto antiriciclaggio, il D.Lgs. 231\2007, impone un “modulo per  l’identificazione e l’adeguata verifica della clientela” che la banca cui si destina un accredito deve fornire del proprio cliente. Un attestato curioso, in cui si dice che il signor X è proprio lui e ha un conto in banca. Che viene utilizzato da banche e assicurazioni in caso di successione ereditaria per non trasferire i fondi – basta aspettare quindici giorni, parentesi burocratica minima, e il “modulo” scade. I fondi non trasferiti si possono capitalizzare alla stregua dei conti dormenti, e comunque all’attivo patrimoniale. Si costituisce una mafia anche sull’antiriciclaggio, che è parte dell’antimafia.

Si bruciano i rifiuti in Campania, è la camorra, con la diossina. Si bruciano, si sono bruciati i rifiuti in Lombardia, non era nessuno. Lombardia omerica.

“Noi mediterranei amiamo i balconi, i terrazzi, le finestre, ci piace affacciarci” – Manuel Vázquez Montalbán, “La bella di Buenos Aires”.

“«Qual è l’argomento oggi?», chiese Furster.
“«La menzogna del Sud»” - id.
A valere nei due sensi - Vázquez Montalbán non spiega in quale: la menzogna sul Sud e quella del Sud su se stesso. Un viluppo inestricabile?

A Gregorio, gommista, che commercia auto usate che revisiona, auto da amatore, vengono chiesti  da un signore di Modena che a tutti i costi vuole una Mini cabrio color panna, i dati segnaletici, per poter fare una ricerca sulla sua attendibilità attraverso i Carabinieri. Da quando ha saputo, dopo i primi contatti su internet, che la Mini cabrio è disponibile in Calabria.

Sui 54 candidati scremati, dopo selezione, fra i quali scegliere i manager delle Asp e degli ospedali della Regione Sicilia in apposito concorso pubblico, un dozzina sono “arrestati, indagati o sotto processo”, scopre “la Repubblica-Palermo”. L’assessore alla Salute della Regione che ha bandito la gara ha chiesto i carichi pendenti, e ha fatto la scoperta. Sette sono siciliani. Uno è calabrese. Uno è toscano – uno che è stato promosso dalla Regione Toscana dopo il rinvio a giudizio. Quattro sono milanesi.

“Si parte domenica mattina”, annuncia il padre di Carmine Abate che ha deciso di emigrare nel primo racconto di “Il muro dei muri”, “siamo in quattordici idonei, gli altri li hanno scartati”. L’emigrazione – allora, anni 1950-1960, in Francia, Belgio, Germania, Inghilterra - era regolata, contrattualizzata. Per un certo tipo di lavoro, con una certa paga.
Allora, anni 1950-1960, in Francia, Belgio, Germania, Inghilterra, ma anche verso il Canada o l’Australia, o prima verso gli Stati Uniti.

“Però mio padre non mi ha mai picchiato” – scopre Abate nello stesso racconto. Il padre manovale, nelle miniere, nell’edilizia.

Ma quanto parlano i mafiosi al telefono, pur sapendo di essere intercettati. Contro la regola dell’omertà, e del silenzio.
Non sembrano mafiosi. Oppure sono stupidi, più che temibili.

Ogni mattina si fa una retata di mafiosi, venti, cinquanta, ottanta mafiosi. Ma quanti saranno, questi mafiosi? La popolazione del Sud, maschia, adulta, per quanto prolifica, non sarà inesauribile.

Gli incendi velenosi dei rifiuti sono equamente suddivisi, secondo “Il Sole 24 Ore”, tra Piemonte, Lombardia, Veneto, Lazio e Campania. Niente mafie quindi. Si parla solo della Terra dei Fuochi perché solo lì vengono denunciati?

Il sacro monte
È Polsi il “sacro monte” di Pavese, quello originario? Libero di leggere e anche di pensare, “in diversi saggi” pubblicati poi in “La letteratura americana e altri saggi”,  soprattutto nel periodo di isolamento a Serralunga di Crea nelle Langhe, dalla sorella Maria, dal settembre 1943 a fine guerra, a maggio del 45, due lunghi inverni e un’estate, Cesare Pavese approfondì le “riflessioni sul mito” (Franco Vaccaneo, “Cesare Pavese”, 105). Riflessioni portate ala luce dal “taccuino segreto” dello scrittore riscoperto da Lorenzo Mondo nel 1990. Tra le indecisioni sul nazifascismo  sulla guerra civile emerge dal taccuino una crisi mistico-religiosa, e la scoperta del mito. Che però lo aveva sfiorato, non senza lasciare tracce, nel confino a Brancaleone in Calabria. Dove era arrivato il 3 agosto, un mese prima della festa della Madonna della Montagna, per la quale si preparavano le “carovane” di pellegrini. È in quell’ambito che prese a meditare cosa rappresenta per il fedele il “sacro monte”, il santuario. Un luogo che si segnala perché ab origine presentito come luogo mitico toccato dalla divinità, un luogo dove un giorno avvenne la rivelazione, una manifestazione cioè del divino. Impregiudicato lasciando il ruolo del mediatore, sia esso scopritore o santo che santifica, eremita, profeta. Un fondo sentimentale comune.

I due mari
Strati faceva in “Gente in viaggio”, la raccolta del 1966, nei primi tre o quattro racconti della raccolta, una sorta di antropologia precisa e severa dei suoi luoghi, che oggi si chiamano Locride, della Calabria jonica. Da servitù della gleba. Un mondo arido e povero, poverissimo. Di ragazzi e donne a piedi scalzi. Dove si mangia pane, quando va bene – il “pane di grano” è un miraggio. Con rapporti sociali “feudali”: si lavora gratis in certi giorni dell’anno per il “signorino”, che non è il padrone, solo il ricco che dà ogni tanto qualche giornata di lavoro retribuita, e qualche alimento che non si può comprare – la pasta, le acciughe. Ancora negli anni 1940. Che invece si ricordano sull’altro versante, tirrenico, come feraci per tutti. Dell’abbondanza, dei diritti sindacali e comunque legali, del lavoro rifiutato, anche solo per andare a caccia.
Una realtà dura da tempo immemorabile, se la Locride di oggi veniva chiamata fino a ieri “arretu marina”, la marina di dietro. E ancora nei primi anni 1960. Pasquale C., che fu insegnante a Gerace per alcuni mesi nel 1962, o 1963, ricordava classi cenciose. Benché lavate e rilavate. E smagrite, di ragazzi che spesso si addormentavano, come sfiniti. Al punto che un giorno comprò un pane in paese e lo portò in classe, un pane da due chili. “Fu divorato”, ricordava, “senza vergogna”. Lo rifece con altre classi – insegnava materie tecniche nella scuola media dell’obbligo di recente istituzione - e diventò un’abitudine, di cui nessuno si vergognava.
Oggi la scena sarebbe rovesciata fra le due coste. Non di povertà sulla costa tirrenica, la “Piana”, ma di disordine, incuria, sporcizia, squallore, pubblico e anche privato, specie nei servizi, dal commercio alla ristorazione. Dove si impegna a vendere le clementine e le arance, di cui è grande produttrice, della Spagna, e anche gli extravergini, cosiddetti - nonché i fichi, e i fihidindia... .Mentre la costa jonica è ordinata e pulita. Un po’, ma si sente la cura, attenta, sveglia, l’idea di stare ai tempi, della manutenzione, del decoro. Specie nel recupero del territorio, per colture e per turismo. Si recupera perfino il patrimonio artistico.. L’idea di costruire il valore aggiunto, malgrado la natura sfavorevole, cioè un futuro, invece di sdraiarsi sui “pochi, maledetti e subito”.
Su entrambe le aree, la Locride e la Piana, pesa la malavita, come dicono i Carabinieri e i giudici.  Ma se così è, la Locride con la malavita ha creato ricchezza. Con i rapimenti di persona prima poi con la droga. La Piana, col pizzo, sia esso causa o solo concomitanza, fa povera una ricchezza naturale senza paragoni, di agrumi, ortaggi, ulivi, e spiagge omeriche.
Si direbbe il principio razionale di causa ed effetto sovvertito. Ma a volte è la ricchezza e non il bisogno a portare al delitto. Mentre il bisogno può essere, seppure a suo modo, istruttivo, costruttivo.   

La Lega nascosta
Salvini critica “i Poteri Forti” e questo non piace. Anzi, i “Poteri Forti” non esistono, sono finiti con “l’imperatore Teodosio”, l’imperatore romano, “morto a Milano nel 395 dopo Cristo: “Salvini sa bene che gli unici Poteri Forti in grado di farlo saltare sono  gli elettori del Nord che lo hanno mandato trionfalmente a Roma per combattere la vera emergenza: non i migranti e i condonati di Ischia, ma le tasse troppo alte e la burocrazia troppo astrusa”.
Il rimprovero viene dal torinese Gramellini sul milanese “Corriere della sera”, e quindi si capisce, il Nord vuole essere virtuoso. Ma la Lega non si nasconde, che a Nord plebiscitano. La lega è molte cose – da ultimo un partito meridionale… Ma Bossi la voleva una “democrazia cristiana” per le elezioni del 1992, un Grande Centro. La Lega ideale è invenzione mediatica – il leghismo è mediatico.

Rimproveri al sindaco di Milano Sala che dice, come pensa: “La chiusura domenicale la facessero ad Avellino, qui a Milano non rompano le scatole”. Che rimprovera cioè il governo come se fosse fatto di napoletani, senza Salvini, Giorgetti e la Lega (ex) Lombarda. “Non sta bene” è il rimprovero. Non non sta bene “pensare” la cosa, non sta bene “dirla”.

leuzzi@antiit.eu

L'inferno è romanesco - o il problema della lingua

Un monumento,  in piena crisi dei monumenti. Ora che anche anche un libro semplice, in brossura, non si sa dove tenerlo in casa. Che ambisce anche a una consacrazione, di Belli come poeta universale. Una sorta di salto in assenza di gravità, liberandolo dal greve romanesco. La disponibilità non è un problema, altre edizioni dei “Sonetti” sono sempre accessibili e maneggevoli, nei Meridiani e in collane economiche. Questo monumento nei Millenni è un’occasione per parlare di Belli.
L’ex segretario del principe Poniatowski, e impiegato del papa, all’ufficio del Registro, poi coniuge spensierato di Maria Conti, ricca vedova umbra, con magione a palazzo dietro la Fontana di Trevi, libero di viaggiare, e di accudire ai numerosi interessi letterari, da svelte poligrafo: filosofo (sensista), storico, filologo, poeta epico e lirico, commediografo e drammaturgo. Anche in lingua giocoso e drammatico insieme. A Milano, dove soggiornò a lungo per tre anni consecutivi, dal 1827 al 1829, scoprendo Porta e la forza del dialetto. Un notabile a Roma, membro dapprima, nel 1805, dell’Accademia degli Elleni filofrancese e antipapalina, animatore quindi di un’accademia scissionista, la Tiberina, antinapoleonica, di cui furono membri d’onore il principe Metternich e il futuro papa Gregorio XVI. Quindi presidente dell’Accademia dell’Arcadia. Carica che da censore del (mal)costume lo fece anche censore letterario, segnalandosi per vietare Shakespeare.
I cinque volumi, di mille pagine luno, si spiegano: i sonetti sono tanti, si sa, 2.279. Scritti in due periodi, 1830-37 e 1843-47, alla vigilia del ’48, la rivoluzione europea, che  Roma porterà l’esilio del papa e la repubblica. “Rivelati” tardi, nel 1883, da Domenico Gnoli, e ripresi nel dopoguerra – anche per il sostanzioso intervento di Moravia (ora in “L’uomo come fine e altri s aggi”). I sonetti Belli lasciò inediti, con l’ordine di distruggerli. Ma già nel 1831 ne abbozzava un’introduzione, e l’1 dicembre dello stesso anno la datava, una decina di pagine molto puntuali sui suoi intenti – anche se non cita Porta, nemmeno allusivamente. Un trattatello glottologico, di lessemi e glossemi puntuali, di scrittura e lettura, e di stilistica.
Pietro Gibellini, che di Belli è cultore da mezzo secolo ormai, e fra i curatori si segnala come il più impegnato, accosta Belli ai tre grandi del romanticismo, tutti comunque a lui cari, Porta, Leopardi e Manzoni.  Di Porta scrisse molto e bene – ma nelle lettere. Come Leopardi tenne uno zibaldone. Su Manzoni Sapegno, che non amava Belli, non avrebbe concordato (“Ritratto di Manzoni e altri saggi”) – ma anche senza Sapegno il nesso non si vede.
L’accostamento ci può stare, Belli è pur sempre un poeta del popolo, della “plebe”, e molto connesso, si direbbe oggi, attivo negli anni del romanticismo. Ma non c’è solo il romanticismo: I “Sonetti” Gibellini equipara alla “Divina Commedia”, per la varietà dei tempi, le situazioni, i personaggi, tutti distinti nel polverone romanesco. E per la mistura di realismo e visionarietà.  Se non che in questo poeta romano e papalino non c’è redenzione. Una Roma cupa lo soverchia.
Una commedia infernale. Si ride ma amaro. Non c’è redenzione, non c’è luce nel mondo romano papalino del ricco Borghese Belli. Si ride di gusto del Porta, c’è una freschezza nella poesia del milanese come di molti altri dialettali – a cominciare dal toscano del Berni, che Belli in gioventù pasticciava. Il dialetto serve a immettere vivacità. Non nel Belli, il suo romanesco è incatenato e incatena, come una prigione. Con le sbarre: si può guardare fuori, ma stando chiusi.
E lui questo voleva, scrivere un gran libro della “plebe”, non redimerla – la parola preferisce a popolo: “Io ho deliberato di lasciare un monumento di quello che oggi è la plebe di Roma”. Messa a contrasto con la sacralità che la città impersona quale capitale del cristianesimo, ma molto “romanesca”: resa “col concorso di un iditotismo continuo, di una favella tutta guasta e corrotta, di una lingua infine non italiana e neppure romana, ma romanesca”. Con i connotati che si sanno, da Fellini e altri cultori contemporanei della romanità: “Non casta, non pia talvolta, sebbene devota e superstiziosa”. Una plebe anche “ignorante, comunque in gran parte concettosa ed arguta” - “i nostri popolani non hanno arte alcuna: non di oratoria, non di poetica: come niuna plebe n’èbbe mai”. Che però non è un difetto: “Tutto esce spontaneo dalla natura loro, viva sempre ed energica”.
La questione della lingua Belli non aveva peraltro risolto, a differenza di Manzoni, e di Dante. Il toscano gli riusciva difficile da maneggiare, nelle tante opere filologiche e teatrali – che non si rileggono proprio perché “scritte male”, artificiose, rigide. Limite di cui aveva piena coscienza nelle lettere, e nel “Journal du voyage 1827, 1828, 1829”. Il primo anno tenne il diario di viaggio in francese, gli altri due anni in toscano. Il primo, benché in francese sgrammaticato (Jacqueline Risset lo ipotizzava prodromo al romanesco), è più leggibile degli altri due, in un toscano incartapecorito.  
Giuseppe Gioachino Belli, I sonetti, Einaudi, 4voll., pp. CLXXVVIII + 5.040, ill.  € 240