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sabato 25 agosto 2018

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (373)

Giuseppe Leuzzi


Questa notte i lupi sono scesi in montagna a mille metri di altezza e hanno sgozzato 23 pecore. Di un gregge tenuto al chiuso per il maltempo insistente e violento. Una perdita rilevante – molto per il pastore cui appartenevano: per resa di latte, riproduttività, macellazione. Senza nessun beneficio, nemmeno per i lupi, che non mangiano più di una pecora o due.
Il lupo non c’era – non c’era più – in montagna, è stato reintrodotto per “ricostituire la catena ecologica”. C’è molta improvvisazione, ma se non è furbizia mascherata da protervia, nell’ecologismo. La furbizia dei soldi ch

“Napoli è anarchica ma non rivoluzionaria. Non è una città ribelle, si adatta” – Francesco Patierno, alla presentazione del documentario “Camorra”, che andrà a Venezia a fine mese. È la condizione del Sud. Di buona parte del Sud, Campania, Calabria, la Sicilia dell’interno.
È una forma della democrazia, o una degenerazione? L’anarchia dissolutrice è irreprimibile.

Muoiono dieci persone alle gole del Raganello nel Pollino, in modo drammatico, torrentisti colpiti con violenza enorme dalla piena, e l’apertura del “Corriere della sera” è: “Autostrade paghi di più!”, una non notizia – forse nemmeno per i Benetton che dovrebbero pagare le vittime del crollo a Genova. Eppure al “Corriere della sera” ci sono i migliori giornalisti. Sarà il giornalismo come lo vitupera ogni giorno Trump?

“Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. È citazione di Pavese che s’infittisce in rete negli ultimi anni. Dopo il governo Monti che ha gravato le case d’origine al paese di Tari, Tasi, Imu  eccetera, avviandone l’abbandono, dopo secoli di fedeltà, se non di accadimento, specialmente al Sud, area di emigrazione – che era la specialità dell’Italia, la continuità storica. È già una forma di nostalgia?
È vero che al citazione di Pavese dovrebbe cominciare così: “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via”.

Cara antimafia
La raccolta differenziata dei rifiuti, avviata cinque anni fa, ha funzionato egregiamente. Tabelle precise della suddivisione dei rifiuti per il riciclo, contenitori adatti per ogni prodotto da riciclo, con colori diversificati, mai un ritiro saltato, il paese ha fatto in fretta a prendere confidenza, e la pulizia era specchiata, quasi un rimprovero alle tante case abbandonate fatiscenti. In primavera la ditta non ha avuto il rinnovo della certificazione antimafia, per carichi pendenti di qualcuno dei dipendenti, o per cuginanze mafiose, su certificazione di lettere anonime che sempre fioccano, e un’altra ditta è subentrata. Che però si è rivelata non avere la certificazione antimafia in partenza. E allora l’amministrazione si è affidata a una ong, per stare sul sicuro. Che operò ogni tanto non passa - e quando è il giorno dell’umido sono dolori. Oppure passa per un rifiuto ma non per l’altro da smaltire quel giorno. Cumuli di sacchi neri e cataste di cartoni asi sono presto moltiplicati lungo le strade a ogni esercizio commerciale, si cammina nell’abbandono, con un senso di sporcizia. E quando passa non lascia più le buste colorate per i diversi rifiuti,carta, plastiche, vetro. Segno che la raccolta non è differenziata - la carta non va avvolta nella plastica, neanche l’umido. Quanto ci costa l’antimafia.

Si moltiplicano la associazioni antipizzo. Ci sono dei soldi per questo. Ma si moltiplicano anche le denunce e gli scioglimenti di associazioni antipizzo. Specie in Sicilia.
Dopo l’antimafia confindustriale di Montante, ora va sotto processo quella di “Libero” – sottinteso Libero Grassi, il commerciante che si rifiutò di pagare il pizzo e per questo fu ucciso. La figlia di Grassi ha tolto il nome all’associazione Libero Futuro – “sulla lotta al racket serve limpidezza”. E i prefetti tolgono la certificazione di “affidabilità” a Libero Futuro in vari insediamenti, quattro o cinque sono stati già sciolti. Nel “tutto mafia” non c’è salvezza.

Prefetti perfetti
Il “tutto mafia” non sarà il sogno dei prefetti, oltre che di Milano? Sciogliere tutto, d’arbitrio.
Libero Futuro era stata organizzata da un imprenditore “con un passato un po’ contorto”, come diceva di se stesso, avendo pagato il pizzo, prima di decidersi a denunciarlo, Enrico Colajanni.
Aperta a gente come lui. Ma non c’è redenzione. Non più: nel politicamente corretto tute le iniziative per il reinserimento di condannati o inquisiti, da Buzzi a Colajanni – Colajanni non è inquisito né sospettato di alcunché, ma viene comunque “sciolto” – sono condannati per mafia. Il concorso esterno in associazione mafiosa consente tutto, e il delinquente è come nell’Ottocento, come diceva Lombroso, si vede da lontano – dal Nord ancora meglio.
Che un prefetto sappia di Lombroso, certo, è un passo avanti. Un gran passo avanti, una rivoluzione. In genere si limitano a dire no.

Dopo i morti di Civita, alle gole del Raganello, la Protezione Civile, cioè la Prefettura, si giustifica con i tanti allarmi gialli mandati. Gli allarmi sono di tre colori, giallo, arancione, rosso. Il giallo prevede anche frane e allagamenti, ma è l’allarme meno allarmistico, come dire “attenzione”. Viene lanciato a ogni temporale, che sia di poche gocce oppure una bomba d’acqua. Da un funzionario della Prefettura che gira il comunicato del Servizio metereologico. Intasando ogni giorno di allarmi i fax e le email dei Comuni. Dove il sabato e la domenica non vengono letti, essendo giorni di non lavoro, e nei feriali accatastati e accantonati.
Il ministro, che è un generale dell’Esercito, che pure non è, non dovrebbe, come fare senatore il  cavallo, non “tollera” e vuole subito il colpevole: il sindaco di Civita. Invece di far lavorare la Protezione Civile – il burocrate lo paghiamo comunque, sia che lavori sia che faccia il burocrate.
Il ministro generale non è solo. Di Civita, borgo ben tenuto di poche centinaia di abitanti, si sussurra, si cerca, si scava, si lascia intendere, che faccia guadagni esorbitanti sugli escursionisti allo sbando nelle gole scenografiche. Che invece sono aperte, libere, a tutti. Obiezioni del Parco, del ministro dell’Ambiente, sia pur esso un generale?

Calabrese è bestiale
Boiardo, razza, bestiale, poltrone, il manager che resiste dalla prima Repubblica: non c’è turpitudine risparmiata all’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono. Sul giornale “la Repubblica”, pilastro dei “belli-e-buoni” della Repubblica italiana. Peggio: Bono è anche socialista – i socialisti, ormai tutti ex , da un pezzo, restano specialmente invisi agli (ex) fascisti che con la caduta del Muro sono diventati le colonne dell’informazione di sinistra.
“Classe 1944”, Bono ha dunque 74 anni. Possibile che abbia resistito tanto in quanto socialista – i socialisti sono stati licenziati da un quarto di secolo ormai?
La storia è in realtà diversa. Questo Bono ha salvato, letteralmente, Fincantieri, nella crisi grave e prolungata della cantieristica. Facendola sopravvivere, anche alle bordate di “Report”, portandola in Borsa, dunque in qualche modo appetibile, e anzi imponendola come uno dei playmaker mondiali della cantieristica - perfino nella Francia che compra (di tutto in Italia, specie le banche) ma non vende (mai all’Italia). Probabilmente il gruppo industriale più grosso in Italia, dopo la Fiat. Dopo aver fatto guadagnare allo Stato sei miliardi con la quotazione di Finmeccanica, invece di svenderla con le solite privatizzazioni di comodo per gli “amici”. 
Questo può non interessare – con i cantieri si fa presto a fallire, basta mancare un paio di commesse. No, il fatto – la colpa, il peccato originale – è che Bono è pure “calabrese”. Peggio, “calabrese di Pizzoni”, come dire dei Baluba. Nel ritratto firmato da Sergio Rizzo. Che non è settentrionale.

La Germania sottomessa alla Calabria
“C’è un’altra Germania, una Germania che parla il dialetto calabrese. Una Germania ricca. Saldamente nelle mani della ‘ndrangheta. È tutta nelle loro mani, mani di reggini, cirotani, vibonesi, lametini, coriglianesi e cassanesi. Storiche famiglie che si sono spartite territorio, regioni, città, quartieri, strade”. In Germania? “Comandano loro, gestiscono il potere, frequentano i salotti della politica e dell’alta finanza”. Frequentano i salotti? “E fanno soldi a palate. Sono quattrini prodotti nelle miniere d’oro della ristorazione”, miniere d’oro?, “e moltiplicati poi attraverso investimenti in grosse partite di cocaina sudamericana”. Giovanni Pastore da Cassano Jonio, “Gazzetta del Sud”  20 agosto 2018).
I corrispondenti locali sono ingovernabili. Ora, si vede, imitano Saviano, “Gomorra”, i milioni di copie che Mondadori è riuscito a venderci. La corrispondenza di Pastore è brillante, ma le “storiche famiglie” che “gestiscono il potere” e “frequentano i salotti”, con le “miniera d’oro” in pizzeria, sono poca cosa, come si vede, e poco guardabile. Wishful thiknking? Scarsa geografia – la Germania è un po’ grande? Fantasie di potenza? No, probabilmente sono i Carabinieri, e il giudice Gratteri. Ma magnificare la delinquenza noi aiuta a combatterla. I mafiosi calabresi dominano la Germania?

leuzzi@antiit.eu

Appalti, fisco,abusi (125)


Sky ha pubblicizzato per mesi l’offerta esclusiva di tutte le partite di seria A e di tutte le coppe europee, a un canone mensile anche congruo. Salvo destinare poi le partite di volta in volta di  maggiore richiamo alla piattaforma di video streaming Perform-Dazn, appositamente costituita con Mediaset Premium. A un canone mensile quasi doppio. In altro regime, non protetto dalle Autorità (pubbliche) di settore compiacenti, sarebbe frode in commercio.

La Tari, la tariffa per il ritiro e il trattamento rifiuti, è raddoppiata in dieci anni, per finanziare la raccolta e il riciclo il più possibile dei rifiuti stessi. Ma la raccolta differenziata si fa per finta in 4 casi su 5, carta esclusa.

Le prefetture decidono senza contraddittorio quali Comuni sono mafiosi. E li affidano per diciotto mesi a commissari prefettizi. Funzionari di prefettura senza nessuna competeza, non politica e neppure amministrativa (al netto delle protezioni tra colleghi), che così addoppiano lo stipendio. Un conflitto d’interessi molto mafioso. 

All’Aquila come a Amatrice e a Norcia non si può ricostruire perché le Prefetture non lo consentono. La pratica non è mai al punto, manca una carta, un parere, una formula, una virgola. Senza che nessuno, in tanti anni, abbia aggiornato le procedure, o comunque dato loro un ordine, sottraendole all’arbitrio di burocrati incompetenti.

L’Italia è il paese dove il gasolio e la benzina costano di più al mondo, per tasse e accise (sul gasolio la Svezia preleva qualche centesimo in più, in chiave di protezione dell’ambiente).


Il giallo da tavolo

Un classico di scrittura in collaborazione, tra una dozzina di membri del Detection Club, il club inglese degli scrittori di gialli, tra essi Chesterston (limitatamente alla presentazione), Agatha Christie, Dorothy Sayers. Il Club non ha e non aveva statuti né ricette, giusto un paio di pranzi informali l’anno, fra scrittori di “gialli all’inglese” – oggi sessanta. Nel 1931 decise, per darsi uno scopo, di provare il romanzo a più mani.
Un esperimento, dunque. In anni in cui il genere era in voga, specialmente in Francia, e il molto britannico Detection Club volle sperimentarlo. Una voga che non ha lasciato prodotti memorabili. Neanche questo ammiraglio flottante. Che però si fa leggere, per più motivi.
Il primo è negativo: un effetto di saturazione. L’insopportabilità del giallo all’inglese, come qui viene chiamato, del whodunit  o chi è stato. Di cui ormai tutti sappiamo tutto, dopo tanti anni di Poirot in tv, con le sue interminabili spieghe finali. Dorothy Sayers deve spendere venti pagine di whodunit per un racconto di trenta. Gli indovinelli si accalcano alla noia, oltre che impossibili da memorizzare.
Più curioso è che ogni capitolo sia in realtà un racconto conchiuso - in appendice se ne dà la soluzione, almeno di nove casi sui dodici. È cioè un plot conchiuso. È un pregio o un demerito per il plot, per il posto del plot nell’arte del racconto? Il “chi è stato” è naturalmente impossibile, cioè arbitrario, ma si procede lo stesso allegramente. Lo è sempre stato, solo che questa collettivo lo mette in evidenza – Anthony Berkely si deve incaricare, nell’ultimo lunghissimo contributo, settanta pagine, “Clearing the mess”, di mettere le cose a posto.
Come giallo è incongruo. Milward Kennedy lo dice nel suo capitolo, il VI: ”L’ispettore Rudge era subconsciamente conscio che le sue ricerche erano diventate innecessariamente dispersive, e che nessuna di esse si era meritata finora l’aggettivo di «completa»”. È un campionario di stili diversi, qui facilmente accostabili. Agatha Christie per esempio svetta per la complessità, al limite dell’incomprensibile, dei suoi whodunit. E una sorta di manuale del “giallo all’inglese”. Che è in realtà un gioco. Simon Brett, che introduce la riedizione, lo apparenta ai “parlour games” vittoriani, giochi da tavolo, in voga ancora tra le due guerre: giochi di parole, di logica, anche di resistenza fisica.
Il prologo di Chesterston è stato scritto all’ultimo, per tenere conto di tutte le derive dei vari contributi. Ogni autore prende il testimone dove lo ha lasciato il precedente, e lo lascia arbitrariamente dove vuole.
The Detection Club, The floating Admiral, HarperCollins, pp. 310 Lst. 8


venerdì 24 agosto 2018

Il mondo com'è (351)

astolfo


Asia Minore  La nozione e la terminologia sono sparite, desuete e anzi dimenticate. Svanite, soppiantate dalla Turchia, una realtà in ogni piega arcigna, nel solo ultimo secolo con gli Armeni, i Greci, i Curdi, e ora Erdogan. Erede del’impero ottomano ostile, e di occupazioni in serie, da Costantinopoli e Otranto all’Egeo, al Mediterraneo e all’Adriatico, ovunque distruttive – basta chiedere ai greci. Mentre è la regione della prima civiltà ellenica, e quindi dell’Occidente. I poemi omerici vi furono composti, tra l’VIII e il VII secolo. Erodoto vi nacque il secolo successivo, ad Alicarnasso (Bodrum).

Crociate – È d’uso chiedere ammenda per le Crociate, in termini di eurocentrismo, di imperialismo, di intolleranza, e di semplice spoliazione, ladronesca. Ma furono atti e guerre di difesa. La quale è, se possibile, l’attacco, va combattuta in territorio nemico, e può essere giusta perfino se preventiva. Se c’è una guerra giusta, questa sono le Crociate. La Conquista islamica precede di molto le Crociate. Ed è molto più vasta, continuativa, organizzata.
La storia delle Crociate che regge il giudizio critico è di Steven Runciman, un bizantinista, antilatino (antioccidentale) per principio - più che antislamico. 

Occidente – È in continua penitenza, per le colpe storiche: la “conquista”, dopo la scoperta, dell’America, con lo schiavismo connesso, e il colonialismo dell’Otto-Novecento. Ma l’Occidente è una concezione difensiva: l’Occidente nasce e muove a difesa - e in questo e per questo come cristianità, anche se i costituenti europei grandi massoni, da Giscard a Amato, si sono industriati di sradicarlo. Dal V al XVII secolo, per milletrecento ani, contro i barbari, gli arabi, i turchi, per mare e per terra.
La critica e l’autocritica sono anch’esse un fatto occidentale, e quindi un titolo di nobiltà, d’animo e di storia. Ma nel giudizio critico è necessario includere la storia. 

Po e Reno - Due unificazioni profondamente diverse. Popolare, checché se ne dica, quella italiana, imposta ai Savoia – con la partecipazione, certo, di Cavour. Negli Stati del Centro Italia, compresi quelli del papa, come già tentativamente a Venezia, e al Sud. Come e perché i Borboni si sono trovati soli, anche a fronte del loro stesso esercito, è storia che non è stata scritta. Non nel senso giusto: senza l’insorgenza popolare, quela dei Mille sarebbe stata un’avventura di Garibaldi fra le tante che tentò. La Germania invece corona il disegno bisecolare della Prussia. Plurisecolare, ma definito e perseguito, con la diplomazia e con l’esercito, nel Sette-Ottocento. E si realizza contro i due nemici bisecolari del regno, l’Austria e la Francia.  Questo è agli atti, alle fonti della storia, e anche visibile a occhio nudo: dagli anni 1860 in poi sarà un’altra Germania, sarà la Prussia ingrandita. Non più bonacciona, contenta, beona, poetastra.
Si dice la Germania dall’ubriachezza cattiva. Che si imputa alla birra, ma non può essere, con la birra si fanno anche Dickens e Mark Twain. Arcigna e sospettosa, quale è oggi: non più militarizzata ma egualmente imperialista. Ben due guerre micidiali ha scatenato per affermare il chiodo di grande potenza della Prussia nel mondo, e non è sazia. La Germania si unifica non ilare, né libertaria: ha fatto presto, prestissimo, a dimenticarsi del ruolo di questuante politica che ha avuto fino al 1990, coi russi a Berlino.

Germania e Italia avevano evoluto all’unisono nel primo Ottocento, “liberate” dalla rivoluzione francese e da Napoleone. In questo alveo maturarono il nazionalismo, entrambe come risorgimento di un passato glorioso che avrebbe concimato un futuro altrettanto robusto.
In questo senso Marx e Engels si esprimevano ancora nel 1859, “Po e Reno”. Anche il nemico era lo stesso, l’impero asburgico. A cose fatte Engels plaudì all’unità d’Italia, in sintonia con l’Europa, che il Risorgimento aveva elettrizzata. Con Marx condivise nel saggio però l’apprezzamento per la Realpolitik di Cavour, che dal niente aveva ricavato uno Stato grande e nazionale, più che per i movimenti di popolo che il  Risorgimento avevano propiziato e alimentato. Uno strabismo in chiave germanocentrica, guardando a una Germania unita sotto la Prussia, anche se non ancora sotto Bismarck, e alla Grande Germania, di tutti i tedescofoni.
Engels teorizza nel saggio, col conforto di Marx, che un attacco di Napoleone III sul Reno porterà, con la guerra difensiva in Germania, a una rivolta centroeuropea contro la Russia, alleato della Francia. In “Po e Reno” Engels ipotizza che la Germania, attaccata sul Reno, si allea con l’Austria asburgica contro la Francia e il Piemonte. Marx e Engels sono al fianco dell’Austria nella Seconda guerra d’indipendenza italiana.
Il saggio fu ideato da Engels ai primi di febbraio del 1859, quando era già certa la guerra tra Francia e Austria, e un mese dopo era già scritto. “Eccezionalmente intelligente” lo giudica Marx in una lettera il 10 marzo, e consiglia di pubblicarlo anonimo in Germania per evitare la “congiura del silenzio”. Così avvenne: fu stampato un mese dopo in Germania in mille copie, ed ebbe eco diffusa. In prevalenza favorevole, specie tra i militari. Tutte le recensioni misero in rilievo la giustezza delle considerazioni militari, sul presupposto che l’autore fosse un esperto di cose militari. Con una riserva, da parte dei grandi giornali conservatori, sulla convenienza, che Engels argomentava, di abbandonare i territori italiani. Prima di questa conclusione, anzi in premessa, Engels raccoglie lo slogan diffuso in Germania “il Reno dev’essere difeso sul Po”,, cioè a fianco dell’Austria. E lo giustifica: “Si presentiva in Germania, con intuito corretto, che benché il pretesto di Luigi Napoleone fosse il Po, in ogni caso il suo ultimo obiettivo non poteva essere che il Reno”. Engels argomenterà poi estensivamente che non è necessario “mantenere” i territori italiani, ma sul presupposto che la Germania e l’impero austriaco fossero tutt’uno.

Populismo –Nasce e si alimenta con la sfiducia nei media, secondo uno studio del Pew Research Center, istituto americano di analisi statistiche. Che ha rielaborato indagini demoscopiche svolte in Italia e in altri paesi europei, Danimarca, Francia, Germania, Olanda, Spagna, Svezia e Uk, dove i movimenti populisti hanno fatto valanga. Il populismo si segnala per la “sfiducia nei media” più che per la sovranità o contro, o fra destra e sinistra. È vero però che, per lo stesso istituto, a monte del rifiuto dei media c’è già una concezione sociopolitica populista: “La volontà popolare è la fonte di legittimità del governo”, c’è una élite contro il popolo, il popolo è buono, l’élite corrotta.
La ricerca, insomma, è circolare. Ma è vero che i media hanno un ruolo centrale nello scollamento dell’opinione. Nel rifiuto del’opinione, giacché il populismo è, pur confuso, fondamentalmente questo. 

Rodetta – Nome di un colle o monte svizzero, di cui in un corsivo del “Manifesto” nel 1985, con cui veniva chiamato il conto svizzero del Pci dove confluivano gli sfioramenti” (tangenti) sugli acquisti di gas russo da parte dell’Eni e sulle vendite di tubi per condotte di idrocarburi da parte di Italsider.

Rubare – Si fa – si faceva? – largamente per fini politici. Ma con due opposte motivazioni, o etiche politiche, che il giudice Carlo Nordio, forte della sua esperienza a Venezia e nel Veneto, classifica di due tipi – in un saggio apposto come appendice a Bigazzi-Stepankov, “Il viaggio di Falcone a Mosca”. Il Dc nega ogni appropriazione, “sul tradizionale connubio cattolico-machiavellico che caratterizza la nostra tradizione”. Mentre il Pci, o ex, cogliendo “la vera portata politica del problema”, ha fatto l’opposto coi “propri indagati colti in flagrante delitto”: negare tutto sempre, e se messi davanti alla prova “sostenere di avere rubato per tornaconto proprio”. Sul presupposto - fatto valere vantaggiosamente in Mani Pulite - che è più grave rubare per sé che per il partito. Nordio anticipa nel preambolo del saggio il giudizio: “La ruberia a favore del partito è un doppio misfatto, economico e politico”. Si ruba sulle tasse, sulla ricchezza nazionale. Senza contare il tradimento se si ruba a favore o con la connivenza di una potenza ostile.
  
astolfo@antiit.eu

Pene d'amore in villeggiatura


“La donna delle nostre latitudini è spietata con l’uomo ingannato”. O anche: “L’uomo troppo assorbito dalle donne riceve da loro, un giorno, la sua punizione”. Ma non un racconto misogino, non dalla parte dell’uomo – Colette, che è il femminismo fatto persona, è equanime.
Una villeggiatura estiva, come usava. In una stazione termale. Con conversazioni e conoscenze tra vicini di tavolo e\o di camera. Un apologo sulle vite di coppia: quella borghese assortita, lei monogama lui farfallone, la demi-mondaine col prestante gigolò, e Colette con la sua gatta senza nome, tanto è un’altra lei stessa, in simbiosi. Tra adolescenti accaldate che “assaltano” i gentiluomini, “un giovane padre di famiglia, uno scapolo elegante e maturo, un attore cinquantenne venuto a curare la voce”, scusandosi  “con aria da falsa ingenua”.
Un racconto molto ritmato, sul nulla si può dire. Di scrittura semplice, tutta cose – quella che sarà di Soldati: come di reportage. E curiosamente sentenziosa, seppure di saggezza lieve, boulevardière, come se Colette sentisse gli anni. “Una donna fa presto a mettere sul conto dell’imbecillità i segni dell’indifferenza”. “Cominciate a spiare il vostro vicino,  ciò  basterà a trasformarlo in criminale”. “Una totale assenza di umorismo rende impossibile la vita”.”L’abuso del dolore sentimentale rasenta l’indiscrezione”.
Un racconto del 1939, pubblicato nel 1940. I drammi non sono mai totalitari, la guerra perduta, con disonore,  l’occupazione.   
Colette, Camera d’albergo, Passigli, p. 101 € 8,50
I libri del Sole 24 Ore, pp. 70 € 0,50

giovedì 23 agosto 2018

Verità scomode dell'immigrazione

L’immigrazione forzosa sta rivelando almeno tre fronti di verità, e non sono sul lato del razzismo, come si dice – si vorrebbe? 
La nave “Diciotti” in quarantena non suscita simpatie. La Marna e i giornali dicono la situazione insostenibile, e i giudici Pd provano a incriminare Salvini. Ma non c’è “l’opinione pubblica che preme”, come si scrive.
La mobilitazione di una dozzina di associazioni, da Amnesty a Anpi, compreso Bianco, ex sindaco etneo, con gli arancini, è sparuta. Anche i funzionari Pd, Leu e FI sono pochi. Nemmeno gli immigrati in attesa si mobilitano, per lo sciopero della fame che viene loro consigliato.
È la verità di questa immigrazione. L’Italia è quella di sempre, specie per i bambini, figurarsi, ma la commozione è assente. Non è un segnale d’imbelvimento, è che non si può barare in eterno. Accogliere 26 bambini allo sbando anche non piace più. O quelli che arrivano senza carte d’identificazione. Non si può imbellire un movimento semicriminale. 
Sullo sfondo, terzo punto, si prospetta un’Europa sbiadita. Onnipresente per i media ma forse per abitudine: è una Europa senza faccia e senza senso, a cui non gliene frega nulla, dei migranti meno che dell’Italia. I media fanno a gara per immortalare Juncker o Merkel che ogni tanto si fanno vivi prendendosi una dozzina di immigrati forzosi, ma questo non eccita nessuno, è propaganda morta.


Il ricordo è la speranza

Sull’onda del tempo, quella sollevata da Annie Ernaux e “Gli anni”, un memoir sul tessuto delle epoche e le latitudini attraversate, le memorie personali incastonando fra le novità o la diversa realtà degli anni. Che per alcuni mondi, quale quello dell’autrice, di paese, di montagna, al Sud, sono remote già a distanza di una generazione. Mondi in rollìo, se non in sviluppo, continuo, come testimoniano le tante foto che arricchiscono il racconto, di pose, luci, fogge di un tempo giù arcane, e più per mostrarsi subito seppiate, di patina ingiallita.
Un racconto inevitabilmente apologetico - non si suscitano i ricordi per aggredirli, la nostalgia è patina indelebile. Che però naviga convincente tra le miriadi di nomi, e gli eventi, i mutamenti, le trasformazioni del secondo Novecento: mezzo secolo di vita e di storia.
L’autrice è stata a lungo insegnante. L’insegnamento ha avviato ventenne nel bergamasco, in una valle fredda delle Prealpi lombarde, ma col calore della gente – il leghismo è un progetto politico e un pennacchio sovrapposto forse a una popolazione di suo paciosa, a un humus obbediente più che corrivo. Lo ha poi continuato al paese natio in Aspromonte. Anche qui con sorprese. Un mondo quanto mutato in pochi decenni – “come non ricordare le merendine passate di nascosto ai ragazzi bisognosi”, esperienza comune agli insegnanti di non molto tempo fa nell’ubertosa Calabria. Quindi una felice convivenza con un artista geniale dell’occhio e del colore, Tommaso Minniti (“Mintom”), dopo una persistente tentazione dei voti, di una vita conventuale al servizio degli altri. “Un uomo inquieto, tormentato, ma in fondo speciale”, che, quando Mimma si pensiona appena ne ha la posibilità per stargli più vicina nei frequenti spostamenti, muore in soli cinque mesi di morbo incurabile.
Una storia di solitudine anche, in mezzo alla famiglia, affettuosa, numerosa, e ai riconoscimenti, nel proprio ambito “naturale”. E di un mondo femminile formicolante – ennesimo sberleffo allo stereotipo sciocco della “donna del Sud” – di amicizie, idee, progetti, sogni anche.
Riflessioni in versi intervallano la narrazione, tra il lirico e il sapienziale, con punte alte di verità poetica. “L’oblio è la negatività,\ il ricordo è il riscatto\ dell’umana fragilità” è l’esergo. Il ricordo insorge “a diluire nello scorrere del finito\ le mie ansie di eterno”. Un racconto di personaggi e fatti  “nei ricordi tornati per dare un senso\ al mio presente”. Risarcitore, in età, nell’isolamento inevitabile, a volte ricercato – “il mio animo vuoto\ si sazia di nostalgia”. Avventuroso – “ti ho ritrovata mia giovinezza\ speranza di infinite\ certezze”. Infine contento: “Mi sono abbeverata di certezze\ mi sono saziata di passato”. La chiave della scrittura de “Gli anni”, semplice ma accattivante.
Con una presentazione della poetessa Pina De Felice – “la parola diviene libertà”. E una postfazione di Giancarlo Musicò. Musicò, giovane sacerdote, coglie il punto nodale di questo tipo di scrittura, agganciandolo alla speranza – che è virtù cristiana: “Proprio perché Mimma sa lavorare all’interno della sua storia, senza ritoccarla, fa del suo testo un «testo di speranza», in quanto la speranza cristiana non è utopica né sganciata dalla concretezza anche dolorosa della vita, al contrario è una virtù che entra nel labirinto della vita e trova sempre nuove vie d’uscita, strade inaspettate di paradisi anticipati”.
Mimma Licastro Minniti, Tra le pieghe del tempo, Nuove Edizioni Barbaro, pp. 128, ill. € 10

mercoledì 22 agosto 2018

Secondi pensieri - 357

zeulig

Anticristo – È figura pratica, più che retorica (emblematica).

Va bene la morte di Dio, che fonda il cristianesimo, ma il papa esagera – l’infallibilità gli ha fatto male, ha da allora la tendenza, coi preti, a perdere la fede: ovunque la religione si glorifica, nell’islam, in India, in Africa tra i pagani, perfino negli Usa e nell’Urss, meno che a Roma.
Campanella dà all’Anticristo l’agilità del leopardo, i tratti del leone, le zampe dell’orso: rapido, furbo, feroce. E questo non può dirsi di un papa, che ha i suoi anni e il decoro del ruolo. Ma non è detto che l’Anticristo debba avere i piedi nell’Artico e la testa nel tropico.

Dissociazione - In dottrina il gioco, non solo letterario, delle personalità multiple è sintomo di disturbi mentali e prodromo di morte. È il caso di grandi artisti, Hölderlin, Schumann, Jean Paul. Tutti tedeschi, è vero. È del resto vero che tutti si muore. Che Hölderlin ha avuto felice e lunga pazzia. E che non sono impazziti i molteplici Pessoa o Kierkegaard. Ma è certo che il gusto di nascondersi rientra nel fenomeno delle personalità multiple, attualmente collocato al capitolo dei disturbi associativi, che ricomprende la vecchia categoria dei fenomeni isterici.
È un capitolo vago, toccando la dissociazione, nozione tra le più indefinite della psicopatologia. Forse perché etichetta malattie diverse, per causa e natura se non per manifestazione.
Un secolo e mezzo, quasi, fa lo scienziato Guido Morselli già intuiva questa ambiguità di fondo. Né se ne sostiene più l’apparentamento alla schizofrenia del dottor Bleuler, la vecchia dementia praecox: non vi può essere sdoppiamento della personalità se non v’è più una personalità. Si sono così elaborate la nozione anglofona di splitting e quella francofona di dédoublement, in opposizione alla Spaltung di area mitteleuropea e germanica. Questa essendo propriamente la frammentazione dell’Io in direzione della schizofrenia, quelle la segregazione di spicchi o grumi della personalità, labile, mobile  A opera della stessa personalità, per una deformazione che può avere, oppure no, derive compulsive, psicotiche.
Può rientrare fra i disturbi della personalità, l’inverso dell’istrionismo, ed è più spesso l’effetto di una patologia sociale o storica. Il sospetto, strumento di verità, si trasforma in un’ontologia conchiusa, la psicosi del complotto. Per cui un Hitler, per fare un esempio, fenomeno dichiarato e manifesto, viene avvolto di segreto, e ogni evento della vita quotidiana diventa assimilabile a Hitler. La vita, che si manifesta essendo, diventa un non luogo e un non ente.

Fede – È il metro della certezza. Senza, è un pantano morto, la vita come routine, ananke.

Morte – È l’unica certezza. Che però le toglie significato (valore). Si può vederla come il personaggio di “Ubik”, la fantascienza di Philip K. Dick, che comunica con la giovane moglie ibernata negli ultimi istanti di vita: “Poteva parlarle e ascoltare le sue risposte, poteva comunicare con lei”, ma lei giace sempre immobile: “Ne vale la pena, si chiese? È meglio della morte vecchio stampo, la strada diretta dalla vita-vita alla morte? Lei è ancora in me, in un certo senso, decise. L’alternativa è il nulla”.

È infettiva. Chi se ne va si porta via un pezzo, una voglia, un impegno.
Nazioni – Si dicono in difficoltà, per il populismo, l’America First, le autorità sovrastuali. Ma che succede può averlo detto Wittgenstein nelle “Lezioni sulla libertà del volere”: “È molto più facile fare predizioni a partire da stati di cose economici che dallo stato mentale di una nazione”. Per cui “si dice: «Un’ondata d’entusiasmo religioso attraversò l’Europa», mentre questa è solo una metafora. E: «Le Crociate ebbero origine dallo spirito della Cavalleria». Oppure si può pensare a ciò che accade ai giorni nostri”, 1939.
Che significa il contrario di ciò che sembra: l’entusiasmo e lo spirito della Cavalleria ci sono, senza alcuna “spiegazione economica degli stati di cose storici”. O oggi il popolo bestia sovrano.

Populismo - Ci si può credere Dio, perché no, che sempre è consolatore, e vendicatore. Ma Dio soprattutto è regolatore, anche lui, si pone dei limiti. In quanto Dio della Legge, e uomo di mondo.

Pornografia – Esclude o disinnesca l’erotismo – è antierotica. Come funzione e negli effetti. Oggi che è libera se ne possono misurare gli effetti nella vita di ogni giorno, che tende a escludere la sfera affettivaantiit.eu. Nei rapporti tradizionali tra i generi e negli stessi rapporti intergeneri malgrado al novità – la pornografia induce subito stanchezza.
È un effetto già provato, nell’amore libero. E accompagna la digitalizzazione del contatto: non c’è più freddo, meno erotico, del sexting, lo scambio di testi e immagini sessuali espliciti via internet. O della “nuova frontiera dell’arte” che consiste di accoppiamenti vari: la loro funzione è riduttiva e repulsiva, a partire dalla banalizzazione del voyeurismo.  

Stato - “Lo Stato moderno ha un padre e una madre. La madre è la rivoluzione, il padre è il cesarismo» - Jakob Burkhardt.

Suicidio – Kant, che non se lo spiega, lo vuole un omicidio. Con aggravanti. Sul presupposto che Per Kant “la forza umana che non teme la morte è una ragione di più per non abbattere un essere dotato d’una potenza così grande”.
Una sorta di condanna a morte resterebbe allora da ipotizzare, della cui esecuzione il giudice incaricasse il condannato.  

zeulig@antiit.cu

Problemi di base dell'altro mondo - 442

spock



“Stormy” Daniels e Avenatti, una prostituta e un avvocato a percentuale, incantano l’America: gli Stati Uniti sono un popolo di ricattatori?

Onesti – ricattatori onesti?

E ricattatrici?

Di avvocati ricattatori?

Di giudici, giornalisti, moralisti - ricattatori?

Ma gli americani se le bevono tutte?

Sono assetati?

Dice: sono puritani: ma il puritano è uno stupido?

O è il profumo del ricatto?

spock@antiit.eu

Non c'è più religione, nell'economia

Il cambiamento religioso di cui al titolo è il secolarismo, cioè l’abbandono della religione. Non il vecchio laicismo positivista e anticlericale dell’Ottocento, no, l’agnosticisimo, un abbandono senza residui – un oblio, la trascuratezza. E dunque: il grande sviluppo, o crescita dell’economia, nel secolo scorso è stato l’effetto della secolarizzazione? I tre studiosi di Bristol vorrebbero dimostrarlo. Saltando nell’introduzione alla conclusione che “i paesi che sono più religiosi tendono a essere i più poveri”. Con qualche dato riassunto in tabella. Ma sporadico, tale che in conclusione non si sentono di sponsorizzarlo. Esponendo i criteri della ricerca, aggiungono subito che non si sa – non si è ancora deciso – “quale cambiamento precede quale nel tempo”. Ossia, “se lo sviluppo causa la secolarizzazione, o non viceversa”, con corredo di tabelle. Oppure “se entrambi i cambiamenti sono provocati, in differenti periodi, da fattori come l’istruzione o l’innovazione tecnologica”. Insomma, tutto e niente.Ma nel mezzo risollevano con i loro dati una vecchia e non peregrina questione sul carattere del capitalismo, se antireligioso all’origine, come vorrebbe la tipologia accaparratrice del capitalismo stesso, o non invece religioso.
Quando la questione fu dibattuta, a fine Ottocento, si trovò che il capitalismo è venuto con un certo senso religioso. Di una religione dell’individuo e della salvezza, della salvezza individuale. Col cristianesimo. Contro questa posizione Émile Durkheim, peraltro storico delle religioni, e teorico di un rapporto stretto tra religione e formazioni sociali, argomentò che non era più così, che lo spirito religioso era stato soppiantato nello spirito economico dalla tecnologie e dalle innovazioni costanti socio-economiche. Gli storici delle origini del capitalismo, Werner Sombart, “Il capitalismo moderno”, 1902, e Max Weber, “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, ribadivano invece che il principio dell’accumulazione – risparmio, investimento - risiede nello spirito religioso. Nello spirito cristiano.
Meglio si sarebbe detto dopo la guerra. Come fece Walter Benjamin col progetto de “Il capitalismo come religione”, 1921, anche se ha finito per lasciarlo allo stato di frammento. Lo spirito dell’accumulazione può autonomizzarsi, farsi religione per sé. Un approccio non ironico, da marxista convinto, seppure avventizio, quale Benjamin si era fatto con la  guerra. Un argomento ben sopravvissuto alla morte del marxismo: chi ne dubiterebbe poggi? Sembra perfino ovvio: la religione del calcolo, aritmetico e etico, dell’egoismo. Ma è così ovvio come sembra?
Religione o dispersione
Già Weber e Sombart presentavano il capitalismo, il principio della crescita economica, come l’esito di un orientamento razionale nell’agire. Di un più geneale processo di razionalizzazione. Ma di razionalizzazione “tecnica”, strumentale: organizzazione, calcolo, lavoro qualificato, mercato orgnanizzato, normato. Mosso però al fondo, e anzi originato, da un senso religioso della vita, finalistico. Weber ci aggiungeva uno spirito “protestante” del capitalismo, volendo spiegare “il carattere particolare del capitalismo occidentale e, in seno a questo, di quello moderno, e le sue origini”. Il rapporto indagando tra lo “spirito capitalistico” e le sette protestanti “ascetiche”, del thrift: cavinisti, anabattisti, puritan. E anche dei pietisti, i luterani più vicini per riti e liturgie al cattolicesimo. Una indagine quasi nazionalistica – altrettanto pro-capitalista fu la r. Ma caricando di spirito religioso l’operosità, l’abnegazione, lo zelo, la metodicità o organizzazione.
Resta ancora da dimostrare che il principio dell’accumulazione è laico. O non piuttosto  il secolarismo è per la dispersione? Gli autori della ricerca ne hanno alla fine il dubbio, anche se nel vago. Danno conto di studi che trovano una relazione biunivoca tra ricchezza e religione. Ma soprattuttoi confessano che il rapporto di casualità rimane però “sconosciuto”, anche perché varia nel tempo e nei luoghi. Sconosciuto cioè a loro: studiosi che si pongono il problema immerse in una cultura secolare chiusa.
Il dubbio si può risolvere agevolemnte: non c’è finalità nel secolarismo, a parte quella a corto, cortissimo raggio, del lavoro ben fatto, quando c’è. Il secolarismo è il consumismo :la dispersione. O giusto la ricostituzione del redditpo-per-la-spesa. Gli autori del saggio si chiedono se “la carità religiosa organizzata non possa inizialmente incoraggiare certi valori che facilitano lo sviluppo economico mengtre delimitano l’individualismo”. Ma basterebbe guardare la carta geografica. La regione probabilmente più prospera al mondo è il quadrilatero Lombardia-Veneto-Baviera-Svevia, diviso dalla lingua, dalla storia e dalle Alpi ma unificato dalla religione – dalla Controriforma. O leggere un po’ di storia. Di come la Lombardia divenne prospera, dedita al “lavorerio”, sotto il controllo minuzioso e affaccendato di Carlo Borromeo, il suo vescovo, un santo, un altro della Controriforma.
Damian Ruck-R.Alexander Bentley-Daniel J.Lawson, Religious change preceded economic change in the 20th century, “Science Advances”, free online

martedì 21 agosto 2018

Problemi di base canini - 441

spock


Il cane del vicino puo’ abbaiare tutto il giorno?

E la notte?

Anche d’estate, con le finestre aperte?

E fare pipì sulle scale?

Perché abbaiano i cani, tanto, stizziti?

Non c’è più la protezione animali?

Il cane è docile e buono, ma il padrone?

Perché tenere un cane recluso in casa è un privilegio e una buona azione?


spock@antiit.eu

La Magna Grecia non era una colonia


È la traduzione di “Stato e commercio nella Grecia antica”, 1928, due volume pubblicatia Tubinga, qui collazionati da Marta Sordi, che li ha tradotti e li inquadra nella introduzione. Preceduta da una conferenza di due anni prima sul tema che dà il titolo, che dice il contrario: non c’era pensiero né strategia imperialistica nell’antichità greca.
L’imperialismo nasce con la civiltà. In ambito ellenico, quello dei secoli VII e VI, ai quali Hasebroek fa ascendere i poemi omerici, e di più nella grande fioritura lirica, dominano ancora i vecchi ideali aristocratici, della forza e della guerra. Non c’è un’economia mercantile e industriale. Non c’è un’economia. Il lavoro, affidato agli stranieri, i meteci, è disprezzato. I casi di ricchi che esercitano il commerio vanno considerati occasionali e eccezionali. Non c’è la democrazia, che in fondo si accompagna alla mercatura. La democrazia greca, anche a Sparta, è di tipo oligarchico: I “nuovi”operano per assumere ruoli e mentalità della vecchia aristocrazia. Non fanno eccezione Creta e Sparta: l’uguaglianza non vi è politica né economca, ma solo militare, la disciplina di società guerriere.
Hasebroek argomenta molto questo stato di cose. Con aspetti oggi ritornanti, nell’epoca della Grande Immigrazione. La libertà personale i greci, omerici e post, non identificano come noi moderni con la cittadinanza. Non c’era cognizione dei diritti umani, ed era comune la cittadinanza di seconda classe, dei meteci, apolidi, “simili agli ebrei nel Medioevo”, liberi di esercitare mestieri redditizi ma confinati ai margini della polis e a essa estranei.
Hasebroek, recuperato da Gianfranco Miglio, è stato emarginato dal pensiero antichista per essersi opposto ai belli-e-buoni dell’epoca d’oro della filologia classica, negli anni 1920, Beloch, Meyer, Pöhlmann, che l’economia protoellenica leggevano in chiave marxista, di conquista dei mercati, e insieme anche al primitivismo cui la prima Grecia acculava Bücher. Ma sulla traccia di Max Weber, e col conforto successivo di Polanyi. Ha abbandonato l’università nel 1931, disgustato dall’ascesa del movimento nazista, ed è rimasto trascurato anche nel dopoguerra - è morto nel 1957.
La sola forma di capitale era il prestito marittimo. La moneta era a circolazione locale. Non c’era credito agli scambi con l’esterno. Le città non erano industriali - artigianali. Erodoto che attesta a Corinto apprezzamento del lavoro manuale, e Tucidide che attribuisce a Pericle l’affermazione che non è vergognoso essere poveri, ma lo è l’inoperosità del povero, sono eccezioni che confermano la regola – i due fatti si segnalano per essere anomali. Solone, Andocide e il fratello di Saffo sono mercanti, pur non essendo proletari né meteci, solo per necessità temporanee. Il commercio non era di peso né importante, l’emporìa è recente – Tucidide vi accenna solo tre volte. Mentre il commercio su larga scala era dei Fenici - che si sa che esistono, l’archeologia lo spiega a profusione, ma di essi non c’è traccia nella grecità. I rapporti con l’oltremare, con la Magna Grecia, erano rapporti “interni”, di fratrie e tribà.
Parlare di imperialismo nell’epoca greca classica è peraltro improprio, avverte Hasebroek subito, in apertura della conferenza del titolo: “L’idea della società degli Stati”, “il concetto di una comunità giuridica che unisce fra loro popoli e Stati”, “il progetto di porre  un freno all’elemento autoritario attraverso l’idea del diritto cha trovato espressione nel principio del cosiddetto equilibrio”, “questo concetto dell’equilibrio, che il giovane diritto internazionale fu il primo a enunciare, prendendo il posto del vecchio ideale religioso della comunità cristiana dei popoli del Medioevo”, “idee di questo genere sono completamente estranee al pensiero antico”. Il che è ovvio – ma non, allora, per altre correnti filologiche. Ma anche l’opposto è ovvio, il che non è altrettanto palese: non c’erano disegni imperiali, se non l’uso della forza qui e ora, non progettuale, fine a se stessa. Si passa all’imperialismo col concetto di Stato: “L’esclusivismo della società dominante”, di nobili guerrieri, “diventa l’esclusivismo dello Stato in generale”. A partire dalla città-Stato, dalla polis, ma con accorgimenti. “In un momndo siffatto”, così conclude la conferenza, “che poggia su uno strato di violenza senza eguali, l’idea di una solidarietà fra Stati non ha propro alcun posto”. E nememno quella di un disegno espansivo: “Questo complesso di condizioni avrebbe dovuto mettere  in guardia …. dalle esagerate rappresentazioni di un’economia antica che dovrebbe poggiare su uno scambio di beni interregionale e internazionale  altamente sviluppato”. Non c’è un progetto espansivo, solo “esclusivismo” e “rigido  isolamento”.
Il commercio è minimo, manca in Omero perfino la parola per dirlo. Manca la moneta. Lo scambio prevalente è in forma di baratto, cosa contro cosa, bene contro bene. O in alternativa nella forma del dono. Oppure con la guerra, come bottino per diritto di conquista: “l’economia omerica è un’economia che non ha bisogno del commercio”. È una cultura materiale primitiva: non si può sopravvalutare la capacità economica di una società guerriera, conclude Hasebroek. Che può avere altri pregi ma non il calcolo: vive di rendite agricole, con servi o schiavi, ha sole occupazioni la guerra e l’ozio, allora in forma di agoni, banchetti, canti di poeti, “che fanno parte del proletariato itinerante”, danze di etere, con buona capacità estetica, un senso eroico della vita, e una brutalità cieca alla compassione.
Bisogna arivare a Roma per avere un progetto di “supremazia” e “sfruttamento”. Ma in forma di liberazione delle energie. Il mondo greco rimarrà invece semrpe vincolato all’idea di Stato proprietario – patrimoniale, nella terminologia di Max Weber. Questo anche in epoca ellenistica: “La monarchia ellenistica pone sotto il il suo controllo tutte le forze libere dela vita economica”, “Essa diventa la creatrice di una iniziativa imprenditoriale di Stato che si manifesta in prmo luogo nei monopoli di Stato”. C’è, velata, la polemica contro il sovietismo, erede del bizantinismo, nel nome della libertà, ma anche una filologia certa.
Hasebroek rivede di passaggio anche la nozione di democrazia greca, molto resttrittiva. Una lettura  oggi corrente, ma un secolo fa quasi eretica.
Cosa ne rimane è sintetizzato da Finley in “L’economia antica”, 1973: l’economia greca è primitiva, Hasebroek è qui d’accondo con Bücher, ed è impossibile “applicare al mondo antico un’analisi incentrata sul mercato”, Hasebroek ha ragione, in linea col suo maestro Max Weber. Anche se, nel “pensiero unico” del secondo Novecento, era un’eresia, sostenuta solo da Karl Polanyi.
Johannes Hasebroek, Il pensiero imperialistico nell’antichità


lunedì 20 agosto 2018

Letture - 355

letterautore


Hans Urs von Balthasar – Il dimenticato autore della  “Apocalisse dell’anima tedesca” – che Jakob Taubes rifarà in chiave nichilistica in “Escatologia occidentale” -  è ricordato da Gnoli nell’intervista con l’ex cardinale Scola quale suo maestro a Friburgo: “Cosa le ha insegnato la sua teologia?” “La decisività della bellezza e della santità, anche per la teologia”, è la risposta. Con un’aggiunta: “Fu uno spirito libero che ha sempre scelto di star fuori dall’ufficialità degli onori e del potere”. Un seguito che è un’avversativa – con rimpianto, dell’ex cardinale (si può essere ex cardinali? Di fatto sì, la chiesa è spietata, anche nella compassione.

Cesare De Michelis – Muore l’ultimo editore “puro”, l’editore editore, che si leggeva personalmente i romanzi da pubblicare e discuteva con i suoi saggisti. Celebrato. Ma si era ridotto a scrivere recensioni, brevi e poche, per “Formiche”, la rivista mensile di formiche.net, il sito online.

Economia omerica – Il commercio è minimo, manca in Omero perfino la parola per dirlo. Manca la moneta. Lo scambio prevalente è in forma di baratto, cosa contro cosa, bene contro bene. O in alternativa nella forma del dono. Oppure con la guerra, come bottino per diritto di conquista: “l’economia omerica è un’economia che non ha bisogno del commercio”, è la conclusione di Johannes Hasebroek, lo storico tedesco controcorrente di cui si sono celebrati l’anno scorso i sessant’anni della morte – controcorrente rispetto al filone di studi prevalente in Germania negli anni 1920, di Beloch, Meyer, Pöhlmann, che l’economia omerica leggeva in chiave marxista, di conquista dei mercati, e contro il primitivismo cui l’acculava Bücher, ma sulla traccia di Max Weber, e col conforto successivo di Pohlanyi. Il commercio tra popoli, isole, terre, il nostro commercio “internazionale”, è cosa dei Fenici, che si sa che esistono, l’archeologia lo spiega a profusione, ma di cui non si parla, non sono materia di narrazione.
Dei poemi omerici Hasebroek data la collazione tra il VII e il VI secolo, e di questa epoca ritiene riflettano la società e l’economia. Con echi di età più antiche ma senza attenzione agli sviluppi in corso in quei secoli, bisogna aggiungere, se effettivamente risalgono al VII-VI secolo.
È una cultura materiale primitiva: non si può sopravvalutare la capacità economica di una società guerriera, conclude Hasebroek. Che può avere altri pregi ma non il calcolo: vive di rendite agricole, con servi o schiavi, ha sole occupazioni la guerra e l’ozio, allora in forma di agoni, banchetti, canti di poeti, “che fanno parte del proletariato itinerante”, danze di etere, con buona capacità estetica, un senso eroico della vita, e una brutalità cieca alla compassione.
Ma il cambiamento era in atto. Lo stesso Hasebroek, nella sua opera maestra, i due volumi di “Stato e commercio nella Grecia antica”, rileva nel secolo VI, nei poemi esiodei, tutt’altro humus. La base dell’economia è sempre la rendita agraria. Ma tiranni e legislatori, in cerca del consenso del demos, del popolo urbano, avviano quella che sarà una borghesia di proprietari terrieri, legiferando per la redistribuzione delle terre, e la liberazione dei contadini dalla servitù per debiti e dall’indebitamento.
  
Incipit – In attesa della ripresa lettorale dopo le ferie, il “Robinson” propone l’altra domenica quindici anteprime, sotto il quesito: “Quanto sono importanti gli incipit in letteratura”. Tutto regolare, tutti i generi rappresentati, anche sessuali, due pagine per ogni novità, 15-16 cartelle ognuno, ma quale si sceglierebbe tre le quindici proposte? Probabilmente nessuna. Veniamo dal’incipit manzoniano, del celebra romanzo di scuola, ma poi?Quello proustiano è già melenso.

Morte – “L’uggiosa preoccupazione della morte” ha il cardinale Scola con Antonio Gnoli sul “Robinson” ieri. Ben detto. Da un cardinale non più in cattedra: già patriarca di Venezia e arcivescovo di Milano, oggi in ritiro, a soli 77 anni, in un paesino delle sue Prealpi lombarde, neppure il suo, quello dell’infanzia, il papa compassionevole Francesco può essere cattivo. Ma sereno. È la serenità l’antidoto alla morte? La preoccupazione non la allontana, né la cura ipocondriaca di sé, valetudinaria – afflizione dei circostanti.
V.S.Naipaul – Nobel poco amato perché non era cantore delle origini – un indiano delle West Indies che si professa angloindiano molto inglese. Era polemico, benché consacrato dal premio, nobel, ed era deluso. La “New York Review of Books” pubblica in morte il suo ultimo saggio, “Essere scrittore” (On being a writer), malinconico. “Uno scrittore serio deve essere originale; non può accontentarsi di fare od offrire una versione di ciò che è stato fatto prima”. Ogni scrittore che vuole scrivere. Oggi prevale il criterio opposto: rifare il già fatto, quando è di successo, lo scrittore vuole essere conformista. E si scrive veloce – la cifra della lettura, dicono le redazioni editoriali: si scrivono romanzi come si dialoga ai talk-show, una sola battuta e un senso, una soluzione e non una problematica, oppure all’“Isola dei famosi” – molte le fanciulle che eccedono in “che cazzo!”.

Pasolini – Viveva il sesso compulsivamente, come una condanna. Ma era anche algido affettivamente. Era pure, come maestro di scuola, anti-sesso, benché lo praticasse come una droga, ogni notte, pena l’astinenza, e subito poi col rimorso e la vergogna. Forse in sostituzione degli affetti, non ci sono ricordi affettuosi di Pasolini – la fioritura recente di memorie e ricordi è singolarmente assente in materia. Il sesso era per lui disperazione, lo considerava una colpa. Una condanna, di ogni giorno, ogni notte 

Ratzinger – “Abbiamo avuto un papa che è stato membro della gioventù hitleriana e ha combattuto per i nazisti” – Robert Harris, “Conclave”

Sexting – Fa il “Robinson” di “la Repubblica” uno speciale sul “Sexting”, lo scambio di moda di messaggi e immagini “sessualmente espliciti” via internet, come se fosse una celebrazione della sessualità. Condendolo con citazioni da Platone, Laclos, Kraus, Bataille e Buňuel. E di una bibliografia che comprende Duras, Pasolini, Lawrence Durrell, Moravia, l’Aretino, Philip Roth. Ma non è l’opposto? La pornografia elide l’erotismo.
Nella bibliografia del “Robinson” figura anche Carrère. Questo è in linea col sexting: le scene di sesso che l’autore di “Limonov” (o il suo editore) ritiene di dover includere da qualche tempo sono di un frigore sconcertante.

letterautore@antiit.eu