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sabato 17 giugno 2017

Appalti, fisco, abusi (106)

Per avere una linea telefonica (in azienda) a Piacenza occorrono cinque mesi. Per avere un allaccio temporaneo alla corrente in cantiere a Roma ci vogliono due mesi – almeno.
Ma si può accelerare, pagando brevi manu.

Una modesta utenza elettrica, di persona singola, in miniappartamento, senza elettrodomestici, paga, tra anticipi e rimborsi, una cinquantina di euro l’anno di consumi elettrici. Più due volte quella cifra per il trasporto della corrente e la gestione del contatore, e per gli “oneri di sistema”. Come contributo cioè alle fonti rinnovabili o assimilate alle rinnovabili.
Due tasse a favore di soggetti privati. Un terzo abbondante della fattura per gonfiare il portafoglio dei gestori di fonti alternative, nucleare, eolico, fotovoltaico, biomasse, dighe… L’indennità di trasporto per gonfiare gli utili di Terna, Acea, Enel e altri gestori. Il tutto statuito dall’Aeegsi, l’Agenzia (pubblica) per l’elettricità e il gas.

È minijob in Germania il lavoro temporaneo, e\o a salario minimo, di 450 euro per 51 ore al mese. Il corrispondete in Italia è di 600 euro, per 24 ore al mese, per un periodo massimo di tre mesi, ripetibile per non più di quattro anni. Il sindacato non lo consente: o questi contratti o lavoro nero.

Il Comune di Roma rinnova il parco macchine dei vigili urbani. Per i dirigenti ordinati 40 suv di nota marca.


Zingaretti, il politico Pd presidente della Regione Lazio, inaugura l’opera “regionale”. Ha commissionato a Ernesto Migliacci, “figlio del grandissimo Franco Migliacci”, un’opera rock con musiche di ogni dove, soggetto “Nerone”, e ci ha investito un milione, soldi dell’addizionale Irpef. Più il comodato gratuito di Vigna Barberini sul Colle Palatino, cioè dei Fori Imperiali. Senza nemmeno un briciolo di interesse pubblico, solo sottogoverno.

La liberazione viene combattendo

Il primo viaggio in nave al primo comando contro la bonaccia in mare e la pestilenza – diciassette giorni tra Bangkok e Singapore. Col senso caratteristico – il sortilegio – del disfacimento, che è il tropico per gli europei. Con un curioso – non disturba – va e vieni nei tempi del racconto, tra il passato e il presente. Le cose si concludono bene poiché il protagonista ce le sta raccontando, ma la tensione è sempre elevata. E non per essere conradiani.
La storia è semplice: c’è da “governare una nave in corsa selvaggia piena di moribondi”. Dopo quindici giorni di calma letale. Una storia di resistenza, contro ogni elemento: mare, aria, uomini. E di tradimenti, fino al malocchio: il vecchio comandante, che tiene la nave bloccata in calma piatta nel punto in cui è stato seppellito, si è venduto di nascosto anche la provvista di chinino. Una storia della ragione della follia. O della follia della ragione. Un rito di passaggio anche, per il giovane capitano-narratore: dall’aria mefitica, infetta, uscirà il futuro, temprato.
Barillari ne sa di più, in linea con l’ultima critica inglese. Il racconto dice “un'allegoria perfetta della guerra mondiale che allora imperversava in Europa. Come in guerra, anche sull’imbarcazione l’unica speranza di salvezza sta nel fare con abnegazione e sacrificio ognuno la propria parte”. Scritto e pubblicato, si può aggiungere, negli ultimi tre mesi del 1916. Quando Conrad, prossimo ai sessant’anni, si era già lamentato con molti della propria inabilità da combatente, e il figlio Borys era invece riuscito ad arruolarsi benché minorenne, ed era al fronte.
Il racconto è dedicato ai giovani soldati: “A BORYS E A TUTTI GI ALTRI\ che come lui hanno attraversato\ nella prima gioventù la linea d’ombra\ della loro generazione\ CON AFFETTO”. Sotto il motto: “Meritevoli del mio perenne riguardo”. È “Una confessione”, come dice il sottotitolo, ma anche una celebrazione della gioventù che si avventura, si sacrifica. Una confessione peraltro che non è una confessione. Piuttosto un memoir, nel senso di un racconto di esperienza vissuta. 
Conrad non amava la guerra. Dieci anni prima l’aveva ridotta a illusione e congiura delle autocrazie (“Autocracy and War”, sul conflitto russo-giapponese, che è considerato il suo più importante saggio politico, oltre che lungo, cica 60 pp.). Ma la guerra europea è da combattere sul campo. A un corrispondente scriveva il 28 gennaio 1915: “Sembra leggerezza quasi criminale parlare in questi tempi di libri, storie, pubblicazione”.
Il racconto era stato concepito già quindici anni prima, in quella che pure viene definita la stagione più creativa di Conrad, col titolo “First Command”, ma non scritto. È con la guerra che è venuto fuori fluido, intangibile. Borys tornerà dalla guerra gasato all’iprite e a lungo sotto shock.
Tutti gli editori hanno una “Linea d’Ombra” – Conrad è probabilmente il classico più edito in Italia. L’edizione migliore è probabilmente quella Oscar, di Gianni Celati. Ma non per la traduzione, poco conradiana, come si può vedere leggendo in parallelo. L’ultima, quella di Simone Barillari, che ha curato l’edizione Feltrinelli (dotandola anche delle utili note dell’edizione classica Penguin), scorre più aderente.
La traduzione Einaudi, rinnovata da Flavia Marenco, reca “Una confessione”, il sottotitolo, in copertina. Con la vecchia nota di Cesare Pavese, significativa per Pavese, datata per Conrad, di cui apprezza l’ “onestà”.
Joseph Conrad, Linea d’ombra, Feltrinelli, pp. 180 € 8
Einaudi, pp. 89 € 9
Oscar Scuola, pp. XLI-295 € 6

venerdì 16 giugno 2017

Problemi di base pentastellati - 334

spock

Il progetto immobiliare della Roma sì, l’Olimpiade no, c’è una ragione?

Il presidente francese Macron, che corre all’Olimpiade per Parigi invece di Roma, è più o meno intelligente di Virginia Raggi, col mentore Grillo incorporato?

O dobbiamo dire Macron un corrotto, al soldo degli immobiliaristi parigini?

E lo stadio della Roma, allora?

Sarà l’aria, che a Parigi è buona per l’Olimpiade e a Roma invece è mefitica?

Ci sarà una bonifica a Roma, a partire dal Campidoglio, che fu scelto perché stava fuori delle paludi?

Quanto tempo ci vuole a Grillo per presentare una querela per diffamazione?

Nonché l’Olimpiade Grillo ha tolto ai romani anche le dirigenze: manda nella capitale ignoti di ogni provenienza, scelti online dall’ignoto Casaleggio – un cacciatore di teste?

E i romani, perché non creare campi profughi per loro, d’internamento?

spock@antiit.eu

Merkel l’Africana

Angela Merkel, “troppo poco troppo tardi”, è accreditata da “la Repubblica”, in abbinata con “La Stampa”, di voler “salvare l’Africa”. Dopo la Turchia. E le orde di migranti. Vasto programma, l’Africa è grande.
“Il «piano Marshall» di Angela Merkel” annuncia martedì il quotidiano, in panino con “La Stampa”. Che ci hanno montato su un dossier a sei mani, o otto, per incoronare la cancelliera regina dell’Africa. Sulle trombe di uno dei tanti convegni a Berlino cui sono stati convitati i capi di Stato africani, che amano molto viaggiare. Gli stessi che erano stati invitati per le foto al G 7 a Taormina, ma lì non avevano fatto colpo.
Non possiamo deludere il giornale di Scalfari, e quindi cosa dobbiamo pensarne? Che avremo un’Europa africana invece che mussulmana, fa più colore?
O Merkel santa subito? (1) Ma paga per questa pubblicità?

Non è il primo “piano Marshall” di Angela Merkel, in effetti. Né glielo si può rimproverare, lei ce la mette tutta, per superarsi, per superare la politica della lesina su cui prospera. Anche la Turchia voleva salvare, prima dell’Egitto e della Libia. E i milioni di immigrati disperati.
Un po’ è anche obbligata, la Germania non manca di una tradizione africana – poteva mancarne? Dal Congresso di Berlino storico, 1885, quando Bismarck aveva preso l’Africa alla pancia, dal Camerun al Tanganyika e Zanzibar. E poi la Grecia, di cui la Germania è l’erede: non veniva anch’essa dall’Africa, via Egitto – la Grecia filosofica, non questa qui che ruba nelle tasche dei tedeschi? 

(1) O la questione è seria? Il papa l’ha voluta a Roma per discutere con lei il futuro del mondo.
L’incontro, certo, era fissato da tempo. Ma Kohl è morto il giorno prima per farle dispetto?
La cancelliera ne ha approfittato per sminuire la morte di Kohl?
Può anche darsi che il santo padre le abbia voluto risparmiare l’ipocrisia del lutto, la santità ha cammini imperscrutabili. 

L’ideale del rottame

I dispositivi tecnici a Napoli sono essenzialmente rotti: solo eccezionalmente e in virtù di un caso straordinario ce ne sono anche di funzionanti. Col tempo si ha l’impressione che tutto viene prodotto già rotto in anticipo.” È l’attacco. Il seguito è una pirotecnia: “Per il napoletano il funzionamento comincia proprio e soltanto quando qualcosa si rompe… Le riparazioni definitive sono per lui un misfatto; in quel caso, volentieri rinuncerebbe  del tutto all’automobile… Per lui l’essenza della tecnica sta nella messa in funzione del rotto”.
Parallela alla filosofia del rottame, del Kaputt, lo studioso tedesco, filosofo, sociologo, economista, svolge quella del prodotto intangibile, arcano: per il Napoletano “ciò che invece è intatto, ciò che, per così dire, va da sé, è per lui inquietante e sospetto, proprio perché, in quanto va da sé, non si può davvero  mai sapere come e dove andrà”. Questa dice “filosofia del capostazione”: non si può sapere. Del capostazione che gliela enunciò, in risposta a una richiesta, “per il treno da Castellammare a Napoli, che nel corso del suo mezzo secolo è diventato sempre più logoro, e fino all’ultimo minuto non si riesce a sapere quando  arriverà”. Il senso della filosofia del capostazione, e del Napoletano, è questo: “Non si può far nulla, dal momento che ciò che è intatto funziona da sé”.
Illeggibile, come tutta l’eredità del marxismo-leninismo, di cui era un’autorità in fatto di lavoro (
“Lavoro intellettuale e lavoro manuale” è sempre in edizione), quando scrive di cose viste Sohn-Rethel è spontaneo e lieve. Era un tedescianche particolare, essendo nato a Neuilly-sur-Seine, cioè a Parigi. Nel 1921, a 22 anni, senza prospettive a Heidelberg dove aveva studiato, se ne torna al paese, a Gaiberg. Fa la conoscenza in questi anni di Walter Benjamin e di Ernst Bloch, ma la sopravvivenza è faticosa, anche perché si è sposato e ha un figlio.  Finché un editore non gli chiede un’opera di dvilgazione cultural filosofica, per la quale lo paga 250 marchi al mese. Poco per la Germania ma da due zii sa che al Sud Italia bastano. Parte quindi con moglie e figlio per Capri, dove lo zio Otto ha una villa ad Anacapri. E subito dopo per Positano, dove c’erano più case sfitte e meno care, patrocinato dallo zio amato Karli, pittore. Ci starà due anni e mezzo, divertendosi con la corte di “artisti” che lo zio anima, e lavorando moltissimo. Tornerà in Germania con tre lavori completati, preludio, dice Carl Freytag nella postfazione, alla “Critica dell’economia soggettivistica”.
Cinque brevi testi in questa plaquette, di aneddotica leggera. Di cui tre “napoletani”: “Un ingorgo nella via Chiaia”, “L’ascesa al Vesuvio”, “L’ideale del Kaputt”, del rottame, che sbozzano una sorta di postmodernismo della tecnica. Tre testi succulenti, che bizzarramente non si editano in italiano, mentre si pubblica sempre Sohn-Rethel per le opere di sociologia perente – dell’“Ideale del Kaputt” Alfredo Pellecchia regala online la traduzione. E due, “I ratti di Sigurd” e “Lo zoo di Dudley”, come parusie di un ordine differente, un po’ come a Napoli, anche se non superiore, come forse a Napoli.
Sigurd, vedendosi scomparire le due uova cui ha diritto a Londra con la tessera annonaria alla fine della guerra dopo che le ha riposte religiosamente nella dispensa, si apposta la notte del sabato, la notte delle uova, e vede due topi che si indirizzano ognuno su un uovo: sanno cioè il giorno e l’ora, e dove indirizzarsi, come parlandosi. A Dudley la famiglila che infine può passare un giorno allo zoo, anche per inaugurare la Mini nuova, se la trova all’uscita sfasciata. Lo zoo assicura che saranno risarciti: l’ha sfasciata un elefante da circo, che lo zoo aveva comprato, e che attraversando il piazzale nel trasferimento aveva trovato comodo sedersi sulla Mini rossa. La macchina è ancora utilizzabile ma al semaforo un vigile chiede: “Che è successo?” “Un elefante”. Ed è la fine: famiglia in commissariato, esami di alcolismo per il padre alla guida, rimproveri, raccomandazioni.
“Un ingorgo nella via Chiaia”, il primo presumibilmente  dei tre testi napoletani di Sohn-Rethel, è pubblicato qui come primizia. Un anticipo della “meraviglia tecnica” dei Napoletani, con gli aneddoti che saranno le prove dell’“Ideale del Kaputt”. Il principale è il forchettone che, infilato nel mozzo di una moto che va in folle, monta la panna in una latteria – “l’ho visto io”, dice qui. Con la prima e più spiegata filosofia del capostazione, a proposito del “treno forse più veloce in tutta Europa”, che non sa se funziona o no: “Che ne so io, se queste cose vanno da sole? Come si può sapere dove vanno, e quando vanno?”.
“Soprattutto i motori, di qualsiasi specie, riempiono l’arsenale di fortuna del Kaputt”, spiega qui Sohn-Rethel. Che molti aneddoti ha di stile napoletano, fantasioso. Ma forse non inventati. Quello della moto da panna. L’elettricità che va e viene e non impensierisce nessuno – “la corrente non c’è”, in italiano.  Mentre la cura è massima per illuminare la Madonn a. La caffettiera che bolle sul motore del motoscafo e fornisce il caffè fresco per tutta la gita nel Golfo. La manifattura all’aperto, su una strada di centinaio di metri – roba del Seicento descritto da Marx, gongola Sohn-Rethel: “Una manifattura senza un solo pezzo fatto a macchina, solo con martelli, tenaglie, lime e bruciatori, e i materiali liquidi che escono dal forno”. L’ingorgo di via Chiaia, in epoca di poche automobili, è provocato da una “carrozza”, in italiano, tirata da un asino, composta da una cassa su due biciclette, a cui gli “scugnizzi” danno la baia montando, smontando, strattonando. “L’ideale del Kaputt”, contemporaneo probabilmente degli appunti dell’“Ingorgo”, fu pubblicato sulla “Frankfurter Zeitung” nel 1926, il 21 marzo. 
Una chicca. Con una postfazione di Carl Freytag su Sohn-Rethel “a Napoli” nel 1924-27.  Freytag  ricorda che nulla è cambiato: in via Chiaia l’ingorgo è permanente. Ma evoca un Sud non ancora maledetto, malgrado tanto colore, e anzi meta di molti intellettuali, anche tedeschi, Adorno, Benjamin, Kracauer, Ernst Bloch. Sohn-Rethel, aggiunge, va oltre il colore, affascinato anche teoricamente dalla “prassi anarchica napoletana e la indomabile resistenza ai poteri sociali della Chiesa, la Camorra, la Tecnica”. Rideva, ma sul serio. L’ “Ideale” è un pezzo satirico e alla fine filosofico.
La tecnica comincia piuttosto soltanto dove l’uomo oppone il suo veto contro il chiuso ed ostile automatismo dei macchinari e lo fa rimbalzare nel suo mondo”, concludeva. Il Napoletano “dapprima distrugge la magia, ostile all’umano, dell’intatto funzionamento meccanico, e solo così si installa poi, una volta smascheratane la mostruosità, nella sua anima semplice,  e gode per averne effettivamente incorporato il possesso nell’illimitato dominio di un’esistenza utopicamente onnipotente”.
Alfred Sohn-Rethel, Das Ideal des Kaputten, Bettina Wassmann, pp. 61 € 9,72

giovedì 15 giugno 2017

Letture - 306

letterautore

Avventura – “Una merce molto sovrastimata” la dice Pound in un’annotazione di “A Walk in Southern France”: “Sicuramente l’avventura è di scarso uso se non per un autore, & un autore ha molto meglio da pretenderepretendere, intendo, che avventure siano capitate a John Donne”.

Croce – “La letteratura della nuova Italia”, argomenta Bruno Migliorini nella “Storia della lingua italiana”, “non è quella di cui Croce ha fatto la storia: la vera si apre con lui, se anche un po’ a suo dispetto”.  Letteratura di prosa, drammatica e narrativa.

Gringoire – La rivista filonazista che accettava le collaborazioni di Irène Némirovsky, benché impedita dalle leggi antisemite, ricava il nome da un Guillem Figiera, troubadour poco rispettabile. La sua razo (o vida, le note biografiche che venivano premesse alle opere) lo dice: “Figlio di un sarto. Lui stesso sarto. Quando i Francesi presero Tolosa se ne andò in Lombardia. Sapeva bene trobar e cantare, e si fece egli stesso joglar (esecutore) nelle città. Non era uomo che sapesse comportarsi bene tra i baroni o le classi agiate, mentre era benvenuto tra puttane e sudicione, e tra osti e tavernieri”.

Letteratura – Una lezione sulla letteratura è, bizzarramente, quella inviata da Bob Dylan alla Fond azione Nobel, in qualità di Laureato 2016 – che la Fondazione ha messo online. Bizzarramente in quanto si vuole musicista, e le parole in musica valuta in quanto musica. Però. Dylan non fa teoria, ma porta l’esempio di Shakespeare, ripetutamente. Anche di Melville, e di Omero. Ma soprattutto di Shakespeare. Che, dice, scommetto che non se lo chiedeva: “Il pensiero che stesse scrivendo letteratura non poteva essergli entrato in testa”, uno indaffaratissimo con gli attori, gli impresari, il pubblico, le autorità – “Le sue parole furono scritte per la scena. Per essere dette e non lette. Scommetterei che la cosa più lontana dalla mente di Shakespeare era la domanda «è questo letteratura»?”  Per finire: “Ma una volta mi sono chiesto: sono queste canzoni letteratura?”

Improvvisazione – Migliorini, “Storia della lingua italiana”, ha il “fenomeno mostruoso” dell’improvvisazione lirica, fino a tutto l’Ottocento:  “per l’astrattezza della lingua codificata… una segreta meccanicità”.

Latino – Il latino del tardo Quattrocento lo storico della lingua Migliorini dice “di gran lunga” più realistico e popolare della letteratura coeva in volgare. È nel primo Cinquece ìnto che il latino è sottoposto a severa disciplina ciceroniana e virgiliana – mentre Bembo codificava il volgare.

Moby Dick – Una lettura eccezionale del capolavoro di Melville - più parlato che letto - è di Dylan nella Lezione alla Fondazione Nobel da premio Letteratura 2016. Eccitata come solo può esserne la lettura – a meno del rifiuto: “Il suo tema (la salvezza impossibile – inutile?) e ciò che esso implica si sarebbero fatto strada in più di una delle mie canzoni”.
Il capitano Ahab, “egomaniaco con una gamba di legno in cerca di vendetta”, e il capitano Boomer, che a Moby ha sacrificato un braccio, ma è contento di essere sopravvissuto: “Il libro dice come uomini diversi reagiscono in modo diverso alla stessa esperienza”. Molto Vecchio Testamento, “allegoria biblica”: Gabriele, Rachele, Geroboamo, Bildah, Elia. Molto paganesimo, di chi adora figurine di cera e chi di legno, chi il fuoco: Tashtego (parodia la resurrezione), Flask, Daggoo, Starbuck, Fleece, Stubb, Martha’s Vineyard. Pequod è il nome di una tribù indiana. L’equipaggio è di razze diverse. Con tanti simboli, zodiacali, religiosi, stereotipi. Il profeta pazzo. L’Ismaele di “Chiamatemi Ismaele” che non viene da nessun posto – “Non è su nessuna carta. I veri posti non ci sono” – tutta la vita imbarcato. Il prete pacifista quacchero, che è in vece un affarista sanguinario.
È il racconto di una “caccia grossa”. Che finisce tra brutti presagi.
“Tutto è mescolato. Tutti i miti: la Bibbia giudeo-cristiana, miti  hindù, leggende britanniche, San Giorgio, Perseo, Ercole – tutti sono balenieri. La mitologia greca, il business sanguinolento di affettare una balena. La scena finale è la lotta per la resurrezione. “Il terzo giorno, altra allegoria”, Ahab torna all’attacco della balena, ma Moby sperona il Pequod e l’affonda - “Ismaele sopravvive. Galleggia in mare su una bara”.
Prima, “molti fatti in questo libro, geografia, olio di balena – buono per incoronare i re – e famiglie nobili nel business baleniero. Storia, storia della balena, frenologia, filosofia classica, teorie pseudo-scientifiche, giustificazione per discriminazione – tutto buttato lì,  niente di esso lontanamente razionale. Highbrow, lowbrow, cacciando illusioni, cacciando la morte, la grande balena bianca, bianca come l’orso polare, bianca come l’uomo bianco, l’imperatore, la nemesi, la personificazione del male”. Sottinteso: cos’è letteratura?
“Vediamo solo la superficie delle cose. Possiamo interpretare cosa c’è sotto quando lo vediamo. I marinai si aggirano sul ponte all’ascolto delle sirene, e pescicani e avvoltoi seguono la nave… “. Pieno anche di “frasi poetiche da citare che non temono confronti”.

Pound – Voleva essere Dante. Appena in Europa (anche prima?), si mette sulla traccia di Dante. Yeats dura poco, Dante è il modello. Ne ripete la Bildung, il processo di formazione, nello studio della poesia cortese provenzale. Viaggia e vive con la “Commedia”. Lo rifarà nei “Cantos”. Probabilmente pure l’impegno politico con Mussolini intende dantesco, “ghibellino” – il tradimento della patria gli sfuggiva, la patria è nozione moderna. E un bisogno lo arrovella di ripeterne le disgrazie, col carcere e il manicomio invece dell’esilio - che comunque si impone infine, coi vent’anni di mutismo dopo la dismissione).

Praga –Non ci sono Cechi a Praga nella letteratura tedesca di Praga. Solo in Rilke, che se ne era andato via prestissimo, e del resto fu sempre transfrontaliero.

Pio Rajna _ Gabriele Pedullà nel racconto “Lame” lo confina tra i “nomi buffi” dei busti del Pincio. Il ricercatore delle “Fonti dell’Orlando Furioso” che sempre fanno testo, a livello dei suoi maestri  D’Ancona e Comparetti. Anche Dante, “De Vulgari Eloquentia” lo ha sistemato Rajna. È la filologia diventata oscura.
Anche wikipedia esclude Rajna dalla lista dei “busti principali”, tra i 227 disseminati lungo i viali di villa Borghese. Una lista che comprende invece Luigi Poletti, Angelo Secchi, Antonio Nibby, e Salvatore Greco dei Chiaramonte.

Storytelling – È nato nel marketing, come capacità di raccontare storie applicata alla vendita, per facilitare il contato, e strappare condizioni migliori. Con tecniche specifiche, per costruire e narrare le storie.

Toscano – Diventa lingua nazionale dopo l’Umanesimo, e da fuori Firenze, a opera del Bembo – Bruno Migliorini, “Storia della lingua italiana”. Se il toscano fosse stata la lingua nazionale con la “Commedia” e il “Decameron”, argomenta Migliorini, non ci sarebbe stato l’Umanesimo.

Viaggio – Quello d’autore è sempre “un altro”. Il fatto, notorio, è riscontrabile. Che Pound bene spiega nei “Saggi letterari”, a proposito di Henry James, e delle sue impressioni di Angoulême mediate da Balzac, “Illusioni perdute”: “Lo svantaggio di dare impressioni del reale invece che di posti immaginari è che esse confliggono con le impressioni di altri. Non vedo Angoulême via Balzac, né sento specialmente notevoli i contatti di Henry James con i posti quando i nostri itinerari s’incrociano. La sua direi una guida abbastanza buona per gente più magramente fornita di associazioni o percezioni”.
Con un’altra cattiveria finale: “Henry James non è proprio profondo in associazioni antiche”, con la storia.

letterautore@antiit.eu

La pubblicità va in rete

Giornali addio, il veicolo che gli inserzionisti e le agenzie di pubblicità privilegiano è l’online: in un mercato di settore in contrazione, cresce in Italia a doppia cifra ogni anno la pubblicità sulla rete.
Gli ultimi dati Nielsen danno il mercato in contrazione rispetto al 2008: nel 2016 la pubblicità ha fatturato 7,8 miliardi di euro – valeva 9 miliardi nel 2008. Metà del fatturato pubblicitario va stabilmente ancora alle tv, come ormai da quarant’anni, dalla “discesa in campo” di Berlusconi, grande venditore, col mobiliere Aiazzone (decuplicando il settore, dai 600 milioni stenti di lire ai seimila miliardi, tre miliardi circa di oggi). L’online è però arrivato in pochi anni a poco meno di un terzo, il 30 per cento del fatturato globale.
I giornali e i periodici diventano marginali come veicoli pubblicitari. Una tendenza in linea con la diffusione, anch’essa decrescente – da sei milioni di copie vendute ogni giorno vent’anni fa i quotidiani sono scesi a due milioni e mezzo – poco più. Ma in parte recuperano con i siti in rete

Non pagare le tasse, da sinistra

Non pagare le tasse se le leggi sono ingiuste? Rilanciato da destra, lo sciopero fiscale è qui teorizzato da Thoreau, naturalista e liberale vero - il liberal americano - icona della sinistra. Lui lo fece, non volendo pagare per lo schiavismo, e per le aggressioni al Messico. Finì in carcere, ma dovettero liberarlo subito. E allora ne fece materia di riflessione. Ci sono dei parametri su cui giudicare, uno non si alza una mattina e non paga le tasse, ma il rifiuto essere “giusto”.
Una riproposta tempestiva, dopo la “Disobbedienza civile” di Hanna Arendt, 1970, appena ripescata. Più radicale, e anche più netta – Arendt doveva mettere in conto la violenza latente nei movimenti di piazza degli anni 1969-1970.
Il tema è ancora attuale, e questo è forse ciò che rende sempre viva la lettura del piccolo classico. ra La stessa prosa ne beneficia, non sembra roba di un secolo e mezzo fa: come se le idee semplici e chiare si sirvessero da sé.
A proposito di violenza, il pamphlet sulla disobbedienza è assortito qui con la “Difesa del capitano John Brown”. Un caso di oltraggio alla giustizia, di cui i tribunali americani sono specialmente fecondi – la “convinzione” del giudice non ha limiti con l’arbitrio.
Henry David Thoreau, Disobbedienza civile, Feltrinelli, pp. 89 € 7

mercoledì 14 giugno 2017

Ombre - 370


Pisapia candida Prodi per il Gran Ritorno, e la foto subito è rimessa in circolo delle Vecchie Glorie: Luciana Sbarbati, Fassino, Arturo Parisi, Prodi, Rutelli, e perfino il povero Bordon. Forse non hanno capito: il partito dei pensionati, perdenti?

Il “Corriere della sera” prende dieci minuti sulla mail per una ricerca di mercato sulla sua cronaca locale. Dopodiché non ti ringrazia. E anzi ti dice che hai fatto un errore, non hai messo la data giusta – che data, non c’erano date? Forse per questo ogni mese si vendono meno giornali del precedente, ad aprile meno che a marzo.

Francesco Ninfole su “Milano Finanza” fa l’anamnesi che i corrispondenti da Bruxelles e Francoforte non fanno delle “dissimmetrie” della Vigilanza Bce e dell’Eba, cioè delle furbate che avvelenano l’Europa. Lo spagnolo Banco Popular, salvato per un euro (cioè fallito) dal Santander, aveva superato tutti gli stress test della Vigilanza Bce. La stessa che faceva invece la difficile con le banche italiane, Unicredit compresa, e ha portato il Monte dei Paschi al salvataggio pubblico – previo bail-in a carico dei risparmiatori.
Incapacità non è.

L’Eba di Bruxelles, l’altro organismo di vigilanza bancaria, Consiglio unico di Risoluzione, ha “messo in risoluzione” il Banco Popular il 31 maggio. Con annuncio pubblico, senza più la discrezione che vincola il settore. Corsa alle vendite, di titoli e obbligazioni, chiusura dei conti, spostamento in massa dei depositi: il “panico”. Ma la “risoluzione” del 31 maggio non è in previsione di un salvataggio pubblico, no, è per dare il Popular al Santander per un euro.
Il Consiglio unico di Risoluzione ha questo scopo, minimizzare l’impatto delle crisi bancarie sulle economie. Ma a favore di un privato?

I due organismi, Cur e Vigilanza Bce, sono diretti da due donne. C’è un femminismo anche nelle crisi bancarie? Improbabile. Tanto più che le due donne, Danièle Nouy e Else König sono lì per imbellire la facciata, i conti li fanno gli steward della Bundesbank - i “distaccati”: a Francoforte, pochi passi a piedi, e a Bruxelles, con diaria. O non saranno pseudonimi di Angela Merkel?

Succedono cose turche fra i carabinieri, ma i giornali non ne parlano: paura?

I giornali fanno scandalo di tutto, pure del mendicante abusivo, ma delle intercettazioni a strascico e manipolate, sia pure in America, no. Le considerano buone e salutari.

Si esalta il mafioso Graviano nel mentre che lo si vuole ingenuo confessore dei propri peccati col compagno di passeggio nell’ora d’aria - il compagno-confessore dello sciocco Graviano oggi, come già quello dell’altro mafioso sciocco, Riina, tra le nebbie e le piogge nel dicembre 2013, o era gennaio 2014. Ricordano, Graviano e Riina, Concetto Lo Bello, l’arbitro milanista professo, poi  deputato Dc, che  si vantava in Transatlantico nel 1979, o era il 1980, di aver “fottuto” più volte non solo la Juventus, ma anche “la moglie dell’avvocato” Agnelli.

Oggi Lo Bello transatlantico democristiano avrebbe avuto le prime pagine dei due grandi giornali i cui cronisti allora ne raccoglievano le confidenze: “la Repubblica” e “Corriere della sera”. Ma senza effetto, si vede, sulle vendite – se non negativo.

Venerdì Crozza imita De Luca che strapazza Di Maio – “nu ciuccio, ha la quinta, l’ha presa a trent’anni....”. Sabato il “Corriere della sera” mette in cattedra Di Maio con una lezione su tutto per una lunga pagina. È la rivoluzione? Un rovesciamento hegeliano?

La squadra saudita non vuole fare un minuto di silenzio per gli australiani vittime della strage al London Bridge, e si sbizzarrisce davanti agli australiani sull’attenti come se li prendesse in giro. Giustificandosi col dire: “Non è nella nostra cultura”. Non è un errore, è un modo di essere. Non è scontro di civiltà perché l’Europa non vuole che sia. Da parte araba lo è.

Non una denuncia mai di un terrorista dai cinquanta o cento milioni di mussulmani che vivono in Europa. Nemmeno anonima. Anche se il terrorismo potrebbe danneggiarli. Loro più che gli europei.
Per non dire di un pentito, che pure potrebbe avvalersi delle leggi europee, e quindi non subirne le conseguenze, anzi con beneficio. Le polizie devono prenderla da lontano, su indizi vaghi, su internet.
Però, non è diverso in un paese arabo o mussulmano.

Di riffe o di raffe Grillo e i suoi hanno quattro cinque cose da dire in ogni Tg Rai. Cinque o sei minuti, che in tv sono tanto: uno spazio fisso. Impaginato variamente, per un’impressione di esclusività - che invece non c’è: è sempre la stessa zolfa, propaganda. Alla pari col Pd, probabilmente, ma l’impressione è che ci sia solo Lui.


Angela Merkel, “troppo poco troppo tardi”, è accreditata da “la Repubblica” di voler “salvare l’Africa”. Dopo la Turchia. E i milioni di migranti. Vasto programma, l’Africa è grande. Merkel santa subito? O paga per questa pubblicità?

Pound in Provenza alla scoperta di se stesso

Il “miglior fabbro” della dedica di “The Waste Land” a Pound riprende l’omaggio di Dante a Arnaut Daniel principe dei troubadour. È in questo circuito l’esperienza maggiore – migliore? – di Pound poeta. Che vuole anche rileggere la poesia cortese nei luoghi d’origine, per ricostituirne la storia e i sensi – “Pound among the Troubadours”  è il sottotitolo.
Il tour in questione è quello di fine maggio 1912 - Pound ci tornerà nel 1919, con Dorothy Shakespear, cinque anni dopo il matrimonio. Che si svolse in due riprese. Il 7 giugno, da Limoges, Pound torna a Parigi per il suicidio di Margaret Cravens, la giovane americana benefattrice delle arti, e dello stesso Pound, nella primavera appena conclusa. Passerà un mese a Parigi, con la zia della suicida, accorsa dall’America, e nel caratteristico attivismo: corregge le bozze di “Ripostes”, la sua sesta raccolta di poesie, studia il gai savoir alla Bibliothèque Nationale, ospita Hilda Dolittle e Richard Aldington (nella casa di Walter Morse Rummel a Passy, il musicista, di cui lui stesso è ospite…), assesta le prime note del tour in due blocchi. Che manda a Dorothy a Londra come primi capitoli di un “opus n. 411”. Il 27 giugno è di nuovo in viaggio per il Sud. Lo girerà per tre settimane, fino al 19 luglio. Un vagabondaggio di circa 1.500 km., la metà a piedi 
Sieburth, traduttore dal francese e dal tedesco, specialista della poesia del Novecento e di Pound, di cui è il curatore di riferimento, riproduce qui i taccuini del primo vaggio di Pound, di cui ha ripercorso l’itinerario, per poterne meglio leggere i contenuti. Con un’introduzione particolareggiata. Due appendici, con i componmenti di Pound che più direttamemte si correlano a questo tour, “Provincia deserta” , “The Gypsy”, “Near Perigord”. Un saggio disincantato sui troubadour, le loro condizioni, più spesso di signorotti in concorrenza con altri signorotti, le tematiche rituali. Con molte fotografie dei luoghi da Pound visitati e citati, e un notevolissimo apparato di annotazioni testuali: storiche, biografiche, di nomi, eventi, luoghi, citazioni. Nonché di rimandi all’opera di Pound, specie a “Provincia Deserta” e ai “Cantos”.
Una lettura di rara intensità. E un’edizione esemplare, un contributo importante a Pound. Di un viaggio che è una nekuia, dice il curatore con riferimento al greco classico: un’evocazione degli spiriti, dei luoghi. Da europeo: il romanticismo americano, nota Sieburth, guarda alla superficie visiva del panorama, mentre quello europeo ama le profondità uditive e le risonanze. Da Woodsworth a Pound, suggerisce Sieburth - passando per Thoreau e Whitman, naturalmente.
Il “gaio sapere” dei trovatori e la poesia cortese, Cavalcanti compreso, sono la passione più intensa e costante di Pound. In tutte le precedenti raccolte, “A lume spento”, 1908, Personae”, 1909, “Exhultations”, 1909, “Provenza”, 1910, “Canzoni”, 1911, e poi nei “Cantos”.  Specialista impegnato e attivo di filologia romanza. Tra insorgenze in questi taccuini di Dante a ogni passo, per ogni aspetto. Citato a memoria, correttamente. A Tolosa ritrova anche Cavalcanti, che di passaggio, pellegrino a Santiago di Compostela, vi incontrò la musa Mandetta, nella chiesa della Daurade.
I taccuini furono ritrovati nel 1958 a Brunnenburg, dove Pound viveva con la figlia Mary, e per molto tempo restarono indecifrati. Sieburth ha deciso di venirne a capo, e ce l’ha fatta. Gli stessi taccuini Pound pensava di mettere in luce a conclusione del secondo tour, in un libro che aveva anche un titolo, “Gironde”, che però non riuscì a pubblicare, e il cui dattiloscritto si è perduto – un breve estatto è qui riprodotto. Ma molto è nei tre componimenti in appendice al “Walking Tour”.
Sieburth c’è riuscito con un metodo semplice. Provando a leggere i taccuini nei luoghi in cui furono scritti: “Quello che questa avventura redazionale peripatetica alla fine (e abbastanza inaspettatamente) rivelò fu il resoconto di un viaggio molto leggibile in cerca delle voci svanite della Provenza che nello stesso tempo rendicontava di Pound la graduale scoperta di se stesso come poeta modernista tra i paesaggi della Francia meridionale”.
Ezra Pound (ed. Richard Sieburth), A walking Tour in Southern France, New Directions, pp. 123, ril., ill. € 18,71 

martedì 13 giugno 2017

Secondi pensieri - 309

zeulig

Canzoni – In “Nessun dorma”, la trasmissione di Massimo Bernardini su Rai 5 giovedì, all’evidenza registrata qualche mese prima, Ivano Fossati argomentava che la canzone è musica, scritta e cantata, e non letteratura – arte ma non letteratura. È l’argomento che Bob Dylan aveva sviluppato nella lezione da Nobel per la Letteratura 2016, inviata all’Accademia di Svezia e pubblicata martedì sul sito della stessa.
Dylan si difende dai sarcasmi sul Nobel alle canzonette. Si diceva che non avesse gradito il premio, invece si difendeva dalle ferite che sapeva gli sarebbero arrivate – gli sono arrivate: il Nobel lo ha soltanto gratificato. Nella lezione ritorna sul tema del discorsetto d’accettazione, sei mesi fa a Stoccolma - che è poi il sottinteso dello “scandalo”: sono le canzoni letteratura?
“Mai una volta”, Dylan concludeva l’accettazione, nella lunga vita di cantautore, “mi sono chiesto: sono queste canzoni letteratura?”  Ma - aveva precisato ampiamente prima - alla maniera di Shakespeare. Che era un uomo di teatro, aveva mille cose da fare, tra attori, impresari, scene e scenografi, spettatori, per chiedersi se stava facendo letteratura: “Le sue parole erano scritte per il palcoscenico. Da dire e non da leggere. Scommetterei che l’ultima cosa nella testa di Shakespeare era la domanda «è letteratura?»”.
A dicembre Dylan si difendeva con uno sberleffo: “Il pensiero che stava scrivendo letteratura non può essergli mai entrato in testa”, non a uno Shakespeare, era l’esordio. Nella lezione cita meno Shakespeare e irride meno i letterati.  Traccia il suo approccio, giovanisismo, alla musica folk. Discute la musica folk. Presenta le letture formative. Di tre delle quali, “Moby Dick”, “l’“Odissea” e “All’Ovest niente di nuovo”, espone lunghe riletture, per significare che la creatività, anche letteraria, viene fuori del canone.  
Le canzoni sono letteratura improbabile, concede. Ma, sottintende, come tutta la buona letteratura. Melville cosa voleva dire, chiede, mettendo assieme quel guazzabuglio di persone, storie, nomi, luoghi, citazioni, mondi diversi, alieni, ostili, che è “Moby Dick”? “Che significa tutto questo? Io e tanti altri cantautori siamo stati influenzati dagli stessissimi temi. Che possono significare tante cose diverse. Se una canzone ti emoziona, questo è importante… Quando Melville mise il suo vecchio testamento, i riferimenti biblici, le teorie scientifiche, le dottrine protestanti, e tutte quelle conoscenze di mari e velieri e balene in una storia, non credo che neanche lui si sia preoccupato – che cosa significa”.
E ritorna, sempre alla fine del discorso di accettazione di dicembre, tenuto dall’ambasciatrice americana a Stoccolma: “Le canzoni sono letteratura improbabile”. Ma al modo dei drammi di Shakespeare: “Le parole nei drammi di Shakespeare sono da recitare sulla scena. Come le liriche delle canzoni sono da cantare, non da leggere sulla pagina”.

Convivialità – “La Dogana”, il grande tempio cinese della cucina fusion a Roma, ha un tavolone per singoli, il vecchia table d’hôte o tavolo comune. Ma i commensali fa sedere sugli scomodi tabouret-seggiolini alti, dalla seduta stretta, cui bisogna avviticchiarsi con i piedi, di moda per gli aperitivi - a mezz’aria. L’era della comunicazione è dell’isolamento: che qualcuno accanto possa attaccare  bottone a pranzo o a cena è un fastidio. Schopenhauer , che viaggiava molto, da solo, parlava invece volentieri con gli altri avventori, benché gente normalmente di poco interesse, venditori, lupi solitari, avventurieri, presuntuosi il più delle volte a misura dell’ignoranza. Si pranzava volentieri al tavolo comune, e comunque senza problemi di contaminazione, ancora qualche anno fa al tavolo comune del “Latini” a Firenze o di Luciano (“Cesaretto”) a Roma.

Eternità – Non c’èternità perché non si può sorpassare il tempo. Il tempo è eternità (lo spazio è infinito)?

Giudizio – È mutevole. Per gli stessi canoni e gli stessi riferimenti. Per circostanze toriche o reali – eventi, fatti, cose – oppure personali (insorgenze, mood). Senza necessariamente “cause di forza maggiore”, accadimenti eccezionali, forzosi, invasivi. Muta come la realtà, se questa muta per un battito d’ali di una farfalla a Singapore – o era a Hong Kong.
Viaggiando per il Sud della Francia nel 1912, in treno e a piedi, Ezra Pound riflette come “i nostri valori di giudizio cambiano per il minimo cambiamento di condizione”. Che ci sia il gelo o la pioggia, o il sole. Che si vada a piedi, da soli, in compagnia, o su un mezzo di trasporto.
Cambiano anche per la semplice letura degli eventi o della storia, sempre variabile.

Riflessione – È fenomeno urbano, palatino, domestico. Tra amici, tra classi sociali – quali si definiscono e delimitano per il comune uso linguistico. Nella forma che Ezra Pound trova girovagando per la Francia della poesia cortese: “L’uomo di città ha la testa piena di astrazioni. L’uomo all’aperto ha la testa piena di oggetti”.
È fenomeno sociale: cambia, molto, sulla pubblica piazza (Socrate, Hitler) o in una cella, sia pure da reclusi volontari.
La riflessione è toponorme, o topopatica. Lo è per esempio, dichiaratamente, per scelta e convinzione, per Heidegger – nel rifugio (la Hütte), in montagna, in Svevia.

Tempo – È la prova di Dio, della creazione. Nell’infinità e nell’istante, ìl tempo di una vita.

Virtuale – È violento, nella trattazione che Baudrillard ne ha fatto prima di Internet. Per la forza della parola – della propaganda, la prospettazione, l’argomentazione. Ne troverà poi un esempio nella guerra del Golfo. Oggi la troverebbe col Russiagate. Che è come se fosse una guerra agli Usa, ma dall’interno degli stessi Usa. Forze opposte all’interno degli Usa (il complesso militare-industriale contro la spesa sociale, gli interessi costituti contro le forse democratiche, l’opinione artefatta contro l’opinione corretta) si combattono agitando le interferenze russe nella vita politica americana. La Russia è un po’ come il vecchio orso alla capanna del cacciatore di pelli. O il leone, in Africa, sul tetto della casupola di periferia.

zeulig@antiit.eu 

il romanzo dell'irrilevante

Salinger aveva fatto mezzo “Franny and Zooey” in bagno, nella vasca. Gabriele Pedullà lo fa tutto sui pattini, a rotelle malgrado il titolo. Sugli anni Ottanta - del narratore adolescente? Sul Pincio e su villa Borghese, la domenica, di giorno, di notte, nelle foto. Su musiche di Michael Jackson, “Thriller”, e Gary Numan, “Cars”.

Un esercizio di bravura. Sulla rilevanza dell’irrilevante. 
Irrilevante è  l’inconveniente dello storytelling, che pure si ascolta volentieri – come ai talk-show, dei belli e gradevoli.
Gabriele Pedullà, Lame, Einaudi, pp. 153 € 18

lunedì 12 giugno 2017

Grillo vince i sondaggi e perde le elezioni

Grillo vince tutti i sondaggi, li stravince, ma poi perde le elezioni. Regolarmente – questo sito lo documentava dieci mesi fa:
Saranno i campioni dei sondaggi dei grillini tipici? Saranno i sondaggi artefatti – magari contro Grillo (“La rana e il bue”)? Si fa il gran battage politico che i media ci infliggono per scherzo?
Grillo ha vinto a Roma e a Torino perché Raggi e Appendino hanno avuto la stampella di Berlusconi. Nelle sue perfide strategie Berlusconi ha mandato le 5 Stelle al ballottaggio con candidature inette o multiple, e al ballottaggio ha fatto riversare su loro i suoi voti (Raggi ha avuto al primo turno 461 mila voti, al secondo, malgrado il fisiologico assenteismo, 771 mila; Appendino è passata da 118 mila a 203 mila). 
Grillo ha fatto il botto alle Politiche del 2013, con il 25,5 per cento del voto, 8,8 milioni. Alle Europee l’anno dopo era sceso a 5,8 milioni di voti. Il voto alle Europee fu minimizzato: era l’effetto, si disse, dell’affluenza limitata al 57 per cento degli aventi diritto contro il 75 per cento delle Politiche – ma il grillino non è uno arrabbiato, che va comunque a votare? In tutte le elezioni successive, le Regionali del 2004, 2005 e 2006, e le amministrative con le eccezioni di Roma e Torino, ha dimezzato i voti (nel Veneto li ha ridotti a un terzo). Anche se non in percentuale, per effetto della contrazione dei votanti, rispetto alle Politiche e alle stesse Europee.

Recessione - 62

Gli investimenti pubblicitari calano in aprile (-2.8%) e nel quadrimestre (-0.3%) (Nielsen). 

Il pil aumenta dello 0,4 per cento solo per effetto della ricostituzione delle scorte. Senza, la crescita sarebbe stata zero (Istat).

La produzione industriale nel primo trimestre ha segnato una contrazione, dello 0,3 per  cento (Istat).

Le aspettative sono in calo: a maggio l’indice della fiducia dei consumatori segna un arretramento, di due punti, da 107,4 a 105.4
L’indice della fiducia delle imprese arretra da 106,8 a 106,2 (Istat).

Gli ordinativi sono stati in calo a marzo, del 4,2 per cento – un tasso alto.

Il tasso di disoccupazione diminuisce dello 0,4 per cento nel primo trimestre, ma il tasso degli “inattivi” o scoraggiati aumenta dello 0,2 (Istat).

Vita dura al cinema

Il romanzo di Maupassant virato all’unidimensionale, la disgrazia. Seriale: le disgrazie si succedono ineluttabili. Femminista anche – non è vero, la vittima è sì donna, ed è tradita dal marito e dal figlio, ma non dal padre, mentre è tradita pure dalla madre (la zia in Maupassant) e dalla sorella di latte, ma così vuole la promozione e questo aumenta il peso. Violento, all’interno della storia e sullo spettatore: due ore di piani stretti, mezze figure e primi e primissimi piani, senza respiro – se c’è la campagna o il mare è in campo medio e in grigio, secca la terra, schiumante l’acqua. Da film d’autore, certo, a basso budget, ma soffocante.
Maupassant realista e visionario è scrittore da cinema, una cinquantina almeno di film sono stati tratti dai suoi racconti e romanzi. “Una vita”, il primo dei suoi sei romanzi, ha un solo precedente, Astruc nel 1958, con Maria Schell, Antonella Lualdi e Christian Marquand, e andava svelto, limitando i lutti al rapporto vittima-marito, poi lei guardava l’avvenire col figlio. Alla maniera di Maupassant.
Maupassant ha solo donne vittime, dacché aveva adottato gli schemi Zola a Meudon, in tutti i romanzi e i racconti – eccetto quelli salaci: borghesi o prostitute, giovani o in età, avvedute o sventate. Di suo era però l’esatto opposto del femminista: era cacciatore, presto sifilitico, che la donna considerava cacciagione come la volpe, su cui non intristiva. Non avrebbe retto a questa sua “Una vita”. Ma il problema non è di Maupassant, è dello spettatore.
Stéphane Brizé, Una vita

domenica 11 giugno 2017

Quando l'Italia fu jugulata col bail-in

Formidabile atto d’accusa di Visco nei confronti della Germania e di Bruxelles. E del governo Letta, di cui Fabrizio Saccomanni, ex della Banca d’Italia, era ministro del Tesoro.
Nell’intervista oggi con Federico Fubini sul “Corriere della sera” – che non sembra aver afferrato la gravità dell’accusa – Visco conferma e insiste che fu la Germania a volere l’anticipo del bail-in, della responsabilità della gestione bancaria estesa agli obbligazionisti e ai correntisti; e che il governo italiano accettò l’anticipo, all’Ecofin di dicembre 2013, malgrado la contrarietà ribadita della Banca d’Italia, in cambio di qualcosa che non sappiamo.
Nell’agosto dello stesso anno, 2013, la Commissione di Bruxelles aveva emanato una Banking Communication, in cui prospettava il burden sharing. Che Visco così spiega: “Prima degli aiuti pubblici bisogna che paghino non solo gli azionisti (e nei nostri interventi avevano sempre pagato), o gli amministratori (e noi li abbiamo mandati via), ma anche i creditori subordinati”, gli obbligazionisti. La Banca d’Italia obietta subito che non va: “Manifestammo le nostre perplessità chiaramente in quella sede ma non fummo ascoltati. Rendemmo poi pubblica la sostanza delle nostre riserve in un riquadro del rapporto sulla stabilità finanziaria del novembre di quell’anno”.

A dicembre la Germania chiede, e il governo italiano accetta, l’anticipo del bail-in, la cui entrata in funzione era stata fissata per il 2018, al 2016. “A marzo”, continua Visco, “abbiamo mandato alla Commissione Ue, che lo ha diffuso a tutti i Paesi, un testo nel quale comunicavamo il nostro punto di vista”. Ma senza esito. La Banca d’Italia chiedeva di “evitare l’applicazione retroattiva delle nuove norme ai titoli subordinati venduti in passato”, e prospettava necessaria “gradualità nell’introdurre le norme, che poi sarebbero state estese per giungere al bail-in”. Conclude Visco: “Abbiamo sempre sostenuto il bail-in per via contrattuale e sempre respinto il bail-in per via legale e applicato in modo retroattivo”. Ma, specifica, la Banca d’Italia non partecipa alle decisioni dei governi.

Si cadeva dalla finestra già con l’Fbi

Si somatizza il bisogno di giustizia, come l’antipatia di Trump, in soggetti anche improbabili. Uno è l’Fbi, che si erige nel subconscio a custode intemerato della legge, mentre ha una storia loffia. Che è inutile ripercorrere se non per una curiosità: fu l’Fbi a inventare l’interrogato caduto dalla finestra.
Da un quattordicesimo piano, è vero, ma anche allora c’era l’America. L’interrogato caduto era anche allora un anarchico, Andrea Salsedo. E anche allora furono condannati quelli che denunciarono la caduta, Sacco e Vanzetti. Il crimine istituzionale va per precedenti.
Un’altra attualità l’Fbi, che pure ora si schiera contro Trump, anticipava nell’occasione: la squalifica trumpiana dello straniero. Sacco e Vanzetti furono accusati di un omicidio per il quale avevano alibi solidi. Ma basati su testimonianze che l’Fbi disse improponibili perché erano di italiani.

La vera storia di Praga

Una serie di quadri, più che due racconti, del “paese della febbre e dell’infanzia”. Pieni di voglie e di energia, a 24 anni, quasi una primizia, nelle pause dell’assorbente relazione con Lou Andreas Salomé che lo apriva a se stesso. Di maniera però, più che acerbi. Contro il nazionalismo.
Rilke, praghese di nascita, conserva della città l’immagine di “enigma e disordine”. Vi aveva passato un’infanzia triste per le liti tra i genitori.  In un contesto culturale che rievoca come “un contatto maledetto tra due corpi linguistici indigesti l’uno per l’altro”.  Ma scrive i racconti per superare la divisione, in qualche modo, con l’ottimismo. Molto si dice sui Tedeschi che escludono i Cechi, li disprezzano.
Cosmopolita per eccellenza, Rilke non ama il nazionalismo, i “nobili e bei discrosi del’entusiasmo anzionale”. Ma lo rappresenta, seppure con ironia e compassione. I cechi sono contro i tedeschi, ma senza odio. “L’odio rende tristi”, ragiona il gobbetto Bohusch dietro cui Rilke si nasconde: “I Tedeschi possono fare tutto ciò che vogliono. Non capiranno mai il nostro paese, dunque non potranno mai prendercelo”. E i Cechi rappresenta nel secondo racconto nazionalisti, ma con juicio. “Secoli separano i Cechi colti dal popolo”, riflettono i giovani nazionalisti: “È questa la nostra tragedia, non i Tedeschi”.

Un apologo anomalo nella tanta letteratura su Praga: da tedesco, dell’occupazione tedesca, più che dell’innesto delle due culture. Unico tedesco di Praga, probabilmente, che scrive dei Cechi, dall’interno.
Rainer Maria Rilke, Due storie praghesi, e\o, pp. 160 € 4,90