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sabato 13 aprile 2013

Il giornale è meglio ”averlo” gratis

“Abbiamo un giornale”, avrebbe potuto ora dire Fassino, se fosse ancora segretario del suo partito - e non fosse intercettato. Ora che Unipol, avendo fallito la banca (Bnl), entra al “Corriere della sera”. Per la quota Ligresti, beninteso, che ha ereditato con le assicurazioni, la Fondiaria-Sai. Anche se non ce n’era bisogno - Unipol sottoscrive l’oneroso aumento di capitale per nobilitarsi, l’effetto oggi è rovesciato. Il giornale il partito ce l’aveva già.
È una curiosa anomalia dei giornali italiani, la seconda. La prima e più nota è il carattere non editoriale dell’impresa giornalistica. Gli editori hanno tutti altri interessi, la banca, la Borsa, un tempo il petrolio e la chimica, e lo stesso Berlusconi, l’unico editore “puro”, se ne serve per la sua politica e anzi la sua personale figura. La seconda anomalia è lo schieramento dei giornali, da parte di questi editori impuri, alla maniera di Berlusconi, per un partito o un gruppo politico. Nemmeno per uno schieramento ideale, ma per questo o quel “potentato”. Il che vuole dire, in presenza di Berlusconi, per il partito Democratico. Per cui, per dire, è democrat “La Stampa”, della Fiat, che viene portata regolarmente in tribunale dalla Cgil per condotta antisindacale…
L’anomalia ha però radici lontane, ben prima di Berlusconi. E risale al 1978, quando Scalfari schierò “Repubblica” col Pci. Adalberto Minucci, che allora dirigeva la Sezione Stampa del Pci di Berlinguer, assiduo frequentatore di Scalfari a “Repubblica”, lo spiegò senza mezzi termini alla redazione di “Paese Sera”, il giornale “indipendente” del Pci, che minacciava di chiudere (e poi chiuse): ”Il Partito non ha interesse a spendere per avere un giornale fiancheggiatore quando già ne ha uno gratis”. Il problema fu poi risolto trasferendo quelli di “Paese Sera” a  “Repubblica”, nuovi dirigenti del giornale, capi servizio, capi redattore e comitato d redazione, raddoppiandone la retribuzione col semplice trasferimento.
L’anomalia, anzi, era cominciata cinque anni prima, proprio al “Corriere della sera”. Bruno Tassan Din, general manager della Rizzoli nel 1973, poi cancellato dalla memoria per la frequentazione della Loggia P 2, era “in ottimi rapporti con numerosi esponenti di primo piano del Pci, Elio Quercioli e Adalberto Minucci, responsabili per la stampa, Gianni Cervetti, uomo di punta a Milano, ed Eugenio Peggio, economista” (G.Leuzzi, “Mediobanca Editore”, p. 14).

Fare a meno dell’euro non è la fine del mondo

“Se la Germania è contro gli eurobond è meglio che abbandoni l’Unione”, intima George Soros (“Corriere della sera”, 10 aprile). Ma non è detto. In Germania c’è chi è per gli eurobond ma contro l’Unione monetaria. Thilo Sarrazin, economista, dirigente pubblico e socialista, europeista, ci ha riflettuto in questo libro che dice proprio quello che il titolo dice: che l’Europa può fare a meno dell’euro. E non è un paradosso.
Il ragionamento è semplice, e anche ineccepibile. L’Europa si trova a un bivio: deve scegliere, o l’integrazione politica o “un passo indietro di qualche sorta, anche se rischioso”. O fa una politica fiscale unitaria, per la quale però non ha gli strumenti, oppure deve regolare l’euro, che non è una moneta unica, la stessa per tutti, in modo diverso, con flessibilità nazionali.
L’euro in questi ultimi anni (per intenderci, dall’avvento di Draghi alla Banca centrale europea, 1 novembre 2011) non è più quello dei trattati, di Maastricht. Centrale ai trattati è la clausola “no bailout”, niente cauzione di un paese sul debito di un altro. Draghi ha invece fatto della Bce una Federal Reserve, una Bank of Japan, o anche una Banca d’Italia prima della sua “separazione” dal Tesoro, vent’anni fa: libera d’intervenire a sostegno del debito dei paesi membri, come delle sue banche. Questo agli occhi di un buon tedesco, e di Sarrazin ex ministero delle Finanze, ex Bundesbank, è “pornografia”: “Il finanziamento degli Stati mediante la Banca centrale è impensabile, vera e propria pornografia finanziaria”.
Che la Germania sia vittima della Bce sembra impensabile. Ma Sarrazin relaziona per esteso – allora era nel comitato direttivo della Bundesbank – la teleconferenza notturna del “week-end del salvataggio”, il 10 maggio 2010, in cui la Germania restò isolata, e per di più inerte. Presidente della Bundesbank era Weber, che poi si dimise, presidente della Bce era ancora Trichet, ma Draghi era già il membro forte del consiglio, l’anima dietro l’interventismo.
Il vantaggio non conta
Dunque, la Germania è a disagio in questo euro. Sarrazin non dice che ne ha tratto vantaggio – un vantaggio enorme nei tre anni della crisi. E un vantaggio comparato, a spese degli altri membri dell’Unione, in primo luogo l’Italia. Una ragione per cui potrebbe avere interesse a questo euro anche senza il “no bailout”. E quindi, insomma, ci terremo l’euro. Ma ci spiega a che costo, e per questo dovremmo essergli grati.
Punto per punto. I benefici dell’euro sono il risparmio sui costi di cambio e le transazioni più facili. Cioè uno 0,1 di crescita, al più uno 0,2. Mentre gli svantaggi sono “sproporzionati: “L’euro è per il finanziamento di ogni Stato una moneta straniera”. Non assicura uguaglianza di opportunità agli Stati membri, questo è un equivoco molto rischioso. Sarrazin porta l’esempio dell’Argentina nel 2002 – all’epoca era assessore al bilancio di Berlino: “Quando dieci anni fa l’Argentina è fallita, ho detto al Parlamento di Berlino che, al confronto con quello della nostra città, il bilancio argentino era relativamente solido. La differenza era che l’Argentina era indebitata in dollari”. Infine, il firewall euro. Il Fondo europeo di salvataggio “è un imbroglio: “Mi ricorda i muri del reattore di Fukuskima. Per la marea normale resistono ma non sono necessari – questo è il caso della Grecia. Un muro destinato a tenere dovrebbe essere grosso a sufficienza per la Spagna”.
Aveva ragione Baffi
Sul piano economico, o tecnico, Sarrazin è sorprendente in quanto ripropone per l’euro la posizione di Paolo Baffi: un sistema monetario integrato con cambi flessibili. “Non possiamo costringere i francesi a sostenere il nostro modo d’intendere l’economia”, il ragionamento è semplice. Baffi fu dimenticato, dopo l’attacco distruttivo che subì da Andreotti, dal suo più duttile successore Ciampi, ma era un monetarista e sapeva di cosa parlava. È questo il motivo dello scetticismo dell’anarchico Sarrazin: “La ragione economica ci dice che sarebbe meglio tornare a un sistema integrato ma con tassi di cambio variabili”.
Senza trascurare la debolezza politica. La moneta unica si giustificava con l’unione politica. Kohl ne era persuaso, il cancelliere tedesco, ma niente ne è seguito. Anzi, l’Europa politica è ora più debole di prima: l’illusione del vincolo monetario irreversibile ha portato in pochi anni a giganteschi passi indietro. L’opzione normativa liberale è trascurata, e ciò che nel suo ambito si era realizzato è dimenticato. A favore di una burocrazia immemore, che non sa cosa fa e perché. E si è perduta l’identità culturale: ora l’Europa parla straniero, come quando l’Argentina s’indebitava in dollari. Con l’euro è venuto l’inglese, appannando le specificità culturali che erano l’anima dell’Europa, e che sono primariamente linguistiche: l’Europa ora parla una lingua straniera, l’inglese della Gran Bretagna che non ne fa parte.
Thilo Sarrazin, L’Europa non ha bisogno dell’euro, Castelvecchi, pp. 288 € 18,50

venerdì 12 aprile 2013

Com’è attuale l’Italia di Pinocchio

“La cicoria è un mezzo mistero”, come faccia a essere caffè. Ma un mistero minaccioso quando il ministero vuole tassare “i prodotti assimilati alla cicoria”: cioè “la fuliggine? l’inchiostro? il caviale? l’ossa bruciate? il guano artificiale?” Anche perché “l’Europa ci guarda” – è dal 1859 che ci guarda (tutta invidia?). E le tasse sono sempre quelle, che sempre ci costano “un occhio” – e allora “ringraziamo Dio, che per ora ci fanno pagare un occhio solo”. C’è perfino la rottamazione, allora si diceva “svecchiare”. E la beffa del lotto, gioco “moralissimo”, con cui lo Stato tassa la dabbenaggine degli italiani. Mentre le crisi ministeriali riconciliano con la democrazia, spettacolo insuperabile: il ballo “Excelsior” è niente “di fronte ai passi di mezzo carattere e ai grotteschi avanti-indietro” nelle quadriglie dei costituendi gabinetti, “farse da teatro, le quali, se sono brevi, divertono e fanno ridere, ma se vanno per le lunghe, cominciano subito a seccarvi”. L’Italia ha sempre la coda di paglia, immutabile – anche allora, gli anni 1880, sapeva di sacrestia, i nomi della quadriglia, attorno a Depretis, sono De Canonicis, De Clericis…. E “Collodi” è un umorista, questa sottile compilazione ce lo ricorda. La “commissione d’inchiesta” è tutta in poche righe, inattaccabile, in basso alla p. 113. E a seguire “Italiani!, sempre “col punto ammirativo (esclamativo, n.d.r.) di dietro!”.
È una raccolta di elzeviri del Collodi giornalista, sull’Italia del secondo Ottocento. Tutta virata sulla politica. Estrosa, come l’autore di Pinocchio. Una raccolta di tipi, tic, topiche evidentemente immortali, poiché sembrano di oggi. La persona “bene informata”. Il deputato assente.  La riabilitazione, che dunque c’era prima del sovietismo. E, ben prima di Arbasino, la politica come trovarobato: per un pubblico che, anch’esso immutabile, vuole ogni giorno “mutar di fisionomie”, mascherare variamente i suoi impersonatori.
Carlo Collodi, Pinocchietto politico della terza Italia, Robin, pp. 121 € 5

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (167)

Giuseppe Leuzzi

Napoli
Darà avvio domani all’America’s Cup, evento memorabile della velistica, spettacolare anche, ma nessuno lo sa.
La città è intrappolata nella sue polemiche - De Magistris, Bagnoli, la camorra.

Non ci sono presidenti della Repubblica meridionali, eccetto due napoletani, De Nicola, provvisorio, e Napolitano – e Cossiga, sardo che però non si prendeva sul serio.

Manzoni conversando con gli amici dà per scontato che a Napoli una categoria d’impiegati pubbici sia addetta a giurare il falso. Il pettegolezzo è raccontato da Margherita Provana di Collegno, una nobildonna che frequentava Manzoni in vacanza sul lago Maggiore. Il pregiudizio antinapoletano è in lui, sempre lucidamente patriottico, più alla casa regnante che alla città. Ma questo gli veniva da una lettera di Vincenzo Monti: “Per disonore dell'umana ragione non v’è cosa in Napoli tanto notoria, quanto la libera e pubblica vendita che vi si fa dei falsi attestati. La tariffa loro ordinaria è di tre ducati, o di quattro, secondo la fame di chi vende, e il bisogno di chi compra. Se tu vuoi dunque soppiantare un processo, alterare una particola di testamento, falsificare qualunque carattere, tu non hai ch’a gittar via i rimorsi, e dar mano alla borsa. Le botteghe de’ falsari son sempre aperte. Tiriamo un velo sopra queste incredibili e non mai più udite abbominazioni. Il pensiero non può fissarle senza raccapriccio”. Ma la pratica non era più viva a Napoli che a Roma.

È ormai Milano, per la quale fa il lavoro sporco, dei giudici e degli sbirri. Toni Servillo, che è diventato grande a Roma, lo stabilisce: “L'unico luogo che forse potrei scambiare con Napoli è Milano, l’altra grande metropoli italiana.”

“Mi contava un sojatore che a Napoli, in certi alberghi, usava il servitore entrare nella camera del forastiero, la bella mattina del suo arrivo, con una guantiera sparsa di piccoli e grossi stronzi, ciascuno dei quali avea appeso un cartellino e scritto su un prezzo. I grossi costavano molto più dei piccini, ed alcuni tenevano in capo un cappellino di prete. Erano questi i prodotti degli abatini. E il forastiero sceglieva. E detto fatto si apriva la porta, e compariva ai comodi del forastiero la parte corrispondente – autrice dell'esemplare”. È una prosa di Carlo Dossi. A disdoro di Napoli o di Dossi?

Dunque “facite ammuìna” è un falso. Lo ha accertato Roberto Maria Selvaggi sul “Mattino” nel 1994, e Wikipedia ne accoglie la dettagliata verità. Un falso “Regolamento da impiegare a bordo dei legni e dei bastimenti della Real Marina del Regno delle Due Sicilie”, del 1841, in napoletano e in italiano, con le note regole (All'ordine ‘facite ammuina: tutti chilli che stanno a prora vanna poppa, e chilli che stann a poppa vanna prora…”) a firma dell’Ammiraglio Giuseppe di Brocchitto e del Maresciallo in capo dei legni e dei bastimenti della Real Marina Mario Giuseppe Bigiarelli, che si vende ancora all’uso dei turisti. Nel regolamento della Marina borbonica tale articolo non c’è. I due alti ufficiali firmatari non esistono. Brocchitto non risulta nemmeno tra i cognomi italiani. Né c’era il grado di Maresciallo dei legni, del tutto inventato. Il regolamento della Real Marina, come tutti gli atti ufficiali, era redatto in italiano. E la stessa versione napoletana non sarebbe autentica.
Anche in questo caso, la realtà borbonica vuole essere migliore di quella che la tradizione unitaria le ha imposto. La Marina napoletana vantava una tradizione antichissima, con un’Accademia di Marina già dal 1735, su cui poi Livorno sarà conformata. Comandata a lungo dall’ammiraglio inglese John Acton,  costantemente rifornita dai Cantieri di Castellammare di Stabia di nuove unità, tra cui numerose navi a vapore, la Marina era lo strumento principale di difesa del Regno delle Due Sicilie. Cavour volle per la Marina italiana le uniformi, i gradi e i regolamenti di quella borbonica.
L’appalto interminabile
G.A.Stella e il “Corriere della sera” scoprono domenica i falsi ribassi in appalto. E con caratteristico riflesso legano la pratica al Sud. Con il solito esempio della Salerno-Reggio Calabria, e con quello nuovo del Museo Archeoligico di Reggio. Mentre i fasi appalti sono lì da vent’anni, dominano la scena nazionale, sono all’origine della spesa incontenibile dello stato e quindi della recessione – col Sud che al solito ne è vittima impotente. Da vent’anni, cioè da dopo Mani Pulite. Che, bisogna ricordarlo, fu la vendetta degli imprenditori falliti contro gli altri. Ma anche della emprise di Milano sull’Italia tutta.
Con lo stesso meccanismo si fanno ribassi insostenibili alle gare d’appalto per sbaragliare ogni vera concorrenza. Subito dopo, spesso prima ancora di mettere in strada la prima macchina, si chiede una
revisione prezzi, e poi un’altra, e un’altra. Fino a moltiplicare il valore dell’appalto, con false revisioni dei capitolati, di tre e quattro volte. Moltiplicando di altrettanto i tempi di consegna.
Sempre più il Sud si deve liberare dell’Italia.

La mafia è (anche ) la giustizia
E se l’arresto di Nicastri fosse scattato subito in Sicilia, invece che dopo vent’anni? Prima che diventasse il “re dell’eolico”? Questo sito ha posto giustamente il quesito, perché di Nicastri si sapeva tutto, e non da ora, e non per caso, indagando episodicamente su un fatto correlato. Lo sapevano i suoi concittadini, e quindi anche i carabinieri, e i giudici.
Un certo discorso è inevitabile – irrimediabile. Per il condizionamento storico, sociale, tribale, caratteriale anche, e per la forza dell’abitudine e del pregiudizio. Per la frontiera mobile vero\falso anche. Ma la realtà è a volte rovesciata. Per un meridionale che viva nel Meridione la mafia è un delitto costante, continuato, e un sopruso anche quando non ne è vittima diretta. Una sofferenza quotidiana, sia pure d’insorgenza sporadica. Una malattia cronica. Da prevenire, curare, operare chirurgicamente se necessario, subito, il prima possibile. Per l’apparato repressivo invece, magistratura e forze dell’ordine, è una pratica. Un dossier, da accumulare come tutti i dossier, e da aprire di tanto in tanto, per una causa maggiore – un delitto più grave, una richieste autorevole. Ma così sempre ex post, quando il danno è stato fatto, e il virus è diventato pestilenza (fomite di paure, depressioni, rinunce).
Perché la giustizia ha necessità di provare il crimine, si dice.  No, il crimine è comprovabile nell’immediato, all’atto della denuncia. Nell’immediato è anche represso agevolmente, prima delle “carriere” criminali, forti dei crimini impuniti e delle disponibilità finanziarie che vi si accompagnano, compreso certo il traffico delle influenze.

leuzzi@antiit.eu

Fisco, appalti, abusi – 27

Le tasse dunque al 52 per cento del pil. Questo sito lo scriveva il 5 gennaio 2013. L’Istat ora lo spiega, ma non dice l’essenziale. Che la fiscalità effettiva, detta anche “legale”, è ben più alta, pari al 55 per cento del reddito, al 59 per cento per le imprese. Un record mondiale, sicuramente imbattibile: è di sei-sette punti superiore ai paesi secondi nella classifica, Danimarca, Francia e Svezia.
La fiscalità effettiva è quella sopportata da un euro legalmente e totalmente dichiarato. Quella statistica, o nominale, misura il rapporto tra gettito e pil nominale, che include la produzione invisibile o in nero.

Dal 1992 la fiscalità è stata sempre superiore al 40 per cento. Dall’anno del golpe giudiziario, che avviò il ciclo politico ed economico negativo dell’Italia.

Feltrinelli dà ai fedelissimi (Carta Multi Più) le novità in promozione fino a 30 giorni dall’uscita. Ma a partire da che giorno non si può sapere.
Feltrinelli.it ha proposto a marzo per una settimana il 30 per cento di sconto su 9 mila libri, oppure il 45 per cento “se ne acquisti tre”. Ma acquistarne nove non ha dato diritto al 45 per cento.

Il Cnr ha a Montelibretti una sede faraonica - “l’Area della Ricerca RM 1, la prima e la più estesa, occupa un’area demaniale di circa 70 ettari e ospita attualmente 17 Istituti”, recita il sito del C entro Nazionale Ricerche. Ma non ci va nessuno: i 70 ettari sono deserti. Il Centro è servito anche dal trenino suburbano, ogni pochi minuti. Ma nessuno scende.

Da costo della politica sono singolarmente escluse le Autorità indipendenti, create a protezione degli interessi pubblici (cioè dei cittadini) contro pratiche scorrette o monopolistiche nel libero mercato. Ce ne sono dieci, compresa la Consob, che non hanno mai protetto nessuno – specie nel campo della telefonia e dell’energia, ma non solo. E che costano.
Quanto costino non si sa. Ognuna di queste Autorità tiene la sua solenne Assemblea pubblica ogni anno, ma non dice quanto costa. Le maggiori, Consob, Concorrenza e Mercati, Telecomunicazioni, si sa che costano ognuna più di una Camera. Tutte insieme si valuta che costino sul miliardo e mezzo.

Le spese dei parlamentari sono regolati da un plafond, da quasi vent’anni, da quando Violante adottò questo sistema di rimborsi semplificato per la Camera. I rimborsi non sono da allora a piedi lista, con giudizio di merito, ma liberamente entro un ammontare – nelle Camere pari all’indennità retributiva – contro un qualsiasi giustificativo. Lo scandalismo finirà nel nulla. Ma occupa molti giudici e la Guardia di Finanza. 

giovedì 11 aprile 2013

Il compromesso ribaltato

È sempre più partito neo-guelfo, dentro e fuori il Pd. C’è chi lo dice, Renzi, e chi tace, Fioroni, Marini, ma il disagio prevale tra gli ex Popolari nel partito Democratico. Anche perché i rapporti di forza non sono più quelli di sei anni fa. E c’è da pescare nel partito di Berlusconi – quella di febbraio sarà stata la sua ultima campagna elettorale. La situazione è solo momentaneamente in stallo, in attesa del nuovo presidente della Repubblica e dell’esito della legislatura, ma la separazione è come se fosse stata già consumata, checché ne dica D’AlemaLa presidenza toccherà peraltro a un cattolico, e se questi sarà Prodi, come tutto lascia supporre, pe il Pd è la fine. Ci vorrà un miracolo a Bersani per tenere il partito unito – e d’altra parte Bersani stesso sembra marciare in direzione di un partito socialdemocratico.
Il risultato elettorale ha confermato un ribaltamento della forza relativa all’interno del Pd, tra ex Pci e ex Dc. Della forza elettorale, perché il partito è saldamente ex Pci, o è risentito come tale, il partito di Berlinguer, o dei duri-e-puri, molto settario. Sempre meno ex Pci votano Pd, oppure votano Vendola, Ingroia-Di Pietro, Grillo, l’astensione, la Lega. C’è comunque più spirito di corpo, pur tra le divisioni, tra gli ex Dc, tutti devoti confessionali seppure senza più confessori, e anzi spavaldi. E meno tra gli ex Pci, non avvezzi alla concordia discors.
È l’effetto del primo voto di Berlusconi catturato, grazie a Monti che, pur fallendo, ha intercettato la Lombardia. E si punta con buona certezza sul Sud, che sarebbe pronto a un cenno per rischierarsi. Dopo essersi tenuto lontano dall’urna a febbraio: non per Casini-Monti, balorde ruote di scorta del Pd, ma non più con Berlusconi.
Non è un segreto per nessuno, solo per i giornali, redazioni ligie al centralismo democratico, che per i Letta, i Franceschini e i Bonanni, Bersani e Camusso sono “i comunisti”. Nemmeno “quelli là”, proprio i vecchi “comunisti”. È tutta Dc la strategia d’imbossolare Bersani nel non-governo, con la pregiudiziale anti-Berlusconi. I più incondizionali sono Bindi & co., vecchio pedigree democristiano. Per prendersi (riprendersi) i voti di Berlusconi, naturalmente. Ma intanto, sul sicuro, per liquidare Bersani e indebolire la componente laica e socialista.


La faticata indennità parlamentare

L’indennità parlamentare è recente: è stata istituita nel 1912 con un codicillo nella legge che estese il diritto di voto, da circa 2 milioni a oltre 10 milioni di aventi diritto. Lo Statuto Albertino la vietava, art. 50. Fu introdotta a “titolo di rimborso delle spese di corrispondenza”.
Prima, i deputati ricchi e potenti lo facevano come le vergini – “non lo fo per amor mio ma per far piacere a Dio”. I socialisti invece dormivano, quando proprio dovevano andare a Roma, nel vagone ferroviario, usufruendo del cosiddetto “permanente” delle Ferrovie, a cui avevano invece diritto gratis.
L’ipocrisia della questione traspare tutta - fino al 1887, quando lo studio fu pubblicato - dalla prima delle “Questioni di diritto costituzionale e di politica”, di Domenico Zanichelli, che la biblioteca della Camera ha digitalizzato:
“Il giorno 8 Luglio 1848, mentre nella Camera dei deputati si discuteva l’unione delle Provincie lombardo-venete al Piemonte, fu proposto, come aggiunta alla legge che sanciva essa unione, dal deputato Palluel un provvedimento per il quale ai rappresentanti non stipendiati dallo Stato era concessa un'’indennità di L. 15 al giorno durante la sessione. Nonostante gli applausi delle tribune la proposta fu respinta. Pochi giorni dopo, il Senato respingeva una mozione del genere presentata dal senatore Stara.
“Nella tornata del 28 Gennaio e 1 Febbraio 1850 la Camera dei deputati discusse di nuovo la questione dell’indennità a proposito d’una petizione d’un certo Costa di Novara nella quale appunto si propugnava questo sistema. Con 87 voti contro 44 l’Assemblea passò all’ordine del giorno puro e semplice su di essa. Il 14 Gennaio 1852 il deputato Bastian tenta di dimostrare là convenienza di accordare un’indennità ai rappresentanti : a lui si oppone recisamente il Conte di Cavour, e l’incidente non ha seguito. Dopo questi vani tentativi nel. Parlamento Subalpino non se ne fecero altri.
“Nel Parlamento italiano i deputati Grispi e Petruccelli presentarono, il 9 Giugno 1862, alla Camera un progetto di legge pel quale venivano concesse L. 25 ai senatori e deputati per ogni seduta parlamentare. Sopravvenne la chiusura della sessione, e la proposta non potè essere discussa. I proponenti però tornarono alla carica il 15 Febbraio 1864 comprendendo l’indennità in un disegno di legge intitolato « Modificazioni alla legge elettorale e disposizioni relative alla Camera dei deputati », ma anche questa volta la chiusura della sessione impedì che si discutesse
innanzi alla Camera tale argomento.
“Il 12 Marzo 1874 il deputato Brescia-Morra propose di concedere ai deputati un’indennità mediante un gettone di L. 20 per ogni seduta della Camera alla quale intervenissero. La proposta non fu presa in considerazione.
“Durante la discussione della nuova legge elettorale politica i deputati Crispi e Morana presentarono emendamenti pei quali si concedevano ai deputati L. 25 al giorno durante il tempo in cui è aperta la sessione (Crispi) oppure per ogni giornata di presenza alla Camera (Morana). La questione fu lasciata in sospeso essendo stata ritenuta connessa coll’altra dello scrutinio di lista. Il deputato Luigi Ferrari sostenne allora un emendamento analogo che fu combattuto, molto debolmente, dal guardasigilli Zanardelli, ma respinto dalla Camera. Venuto in discussione
lo scrutinio di lista, gli onorevoli Riberi e Cavallotti sostennero di nuovo il principio dell’indennità, e 1’onorevole Crispi il 7 Marzo 1882 presentò un apposito progetto di legge che fu svolto e preso in considerazione alla Camera, ma non mai discusso.
“La XV legislatura uscita dal suffragio allargato non fu chiamata ad occuparsi di questa questione, ma sembra che nella XVI ora in corso si voglia risollevarla.
………………………………………
“Solo una volta nel Parlamento Subalpino si sostenne che collo stabilire un'indennità non si feriva l’art. 50 dello Statuto. Si disse che lo Statuto aveva inteso di proibire la fissazione d’un onorario, d’uno stipendio ai deputati e ai senatori, non già il rimborso delle spese che essi incontravano per l'esercizio del loro mandato”. Senza effetto.

Il Sud è un altro mondo, negli Usa

Carson McCullers riesce a distanza – nella riproposta (la traduzione è la stessa di vent’anni fa, per Guanda, di Franca Cancogni) si apprezza di più - un doppio miracolo. Dare vita con la scrittura a un mondo torpido, inanimato. E insieme, vittima di malattie feroci di cui morirà a 50  anni, dopo brutte sofferenze, a un’immagine di sé vivacissima, amatissima, volubilissima. Una straordinaria vitalità che l’aveva portata a scrivere le sue cose migliori già prima dei vent’anni.
Qui già pratica al meglio, in una delle sue prime opere, quella sorta di “grado zero della scrittura”, non impressionista né espressionista, impassionata, che sarà la sua cifra. Una scrittura realista-realista – non melodrammatica, non palingenetica. A dispetto di una vita personale turbolenta, di amori e altri protagonismi vari. Malgrado la malattia, o forse in reazione ad essa. E di una situazione sociale, appena fuori la porta di casa, di estrema miseria. Avvia qui anche, più o meno in contemporanea con Faulkner, la ripresa del monologo sterniano, sia pure nella terza indiretta – scrittrice molto colta, come è il caso del resto dei tanti “vitalisti” americani, ha pure il segreto di Finnegan’s Wake: Lucia Joyce era psicotica, con James parlavano in una lingua chiusa a loro due (all’interramento di James Lucia dice: “Ora è sepolto nella terra, e sente tutto quello che si dice, furbo, no?”).
Questo “caffè triste”, benché non in forma di ballata del vecchio Sud, è ugualmente triste, un mondo dei vinti. Ma più ebeti che vittime. Ma non “segnati”: desolazione, isolamento, deformità, sembra un mondo di zombies, e invece formicola d’umanità. Si apprezza ulteriormente in controluce sulla nostra letteratura del Sud. Negli Usa, “razzisti”, il Sud è un altro mondo. Senza più, senza tare né abominii. In Italia, tanto buona, il Sud è l’inferno. Benché vittima soprattutto di se stesso, i suoi scrittori sono émigrés, a volte anche fisicamente, ma più quando risiedono in loco. Che non sanno vedere il loro mondo che sotto la forma del romanzo sociale, da un paio di secoli ormai uniforme e gelido, dopo Mastriani, oltre che ripetitivo uggioso. A differenza di Faulkner, McCullers e O’Connor, perché semplificano le passioni – la riducono a una sola, il risentimento (non nobile: è l’invidia sociale, da vittime volontarie e anzi militanti del possesso che si odia). Anche il Sud mescola la collera alla risata, e canta, balla, tuba trepidante, fa l’amore furioso (le “fughe”, le sconvolgenti passioni bovarine), guarda il mare, cammina in montagna. Quanto cammina, troppo… Gli pace la fannullaggine.
Carson McCullers, La ballata del caffé triste, Einaudi, pp. 155, € 13

mercoledì 10 aprile 2013

Verdi da legare

L’accalappiamaroni
Tanto si agitò
Sventolando i gonfaloni
Che si prese al suo laccio
Col sindaco Tosi
E l’Umberto Bosi
Dimezzato

La recessione

Tutto quello che dovreste sapere ma non si dice:


Ogni giorno tremila posti di lavoro tagliati e 200 negozi chiusi. Ogni ora quattro imprese fallite o chiuse.
Ottantamila emigrati nel 2012, dopo i 60 mila del 2011. Emigrati qualificati. Anzi prevalentemente diplomati.  – con una perdita quindi di capitale umano (scolarizzazione, formazione, diploma). A partire dalla Lombardia, un sesto del totale.

Il prelievo fiscale al 52 per cento (di cui su questo sito il 5 gennaio 2103), record mondiale, è ora certificato dall’Istat. La tassazione legale o effettiva è peraltro più alta di quella statistica o nominale. Il dato ufficiale è della fiscalità “apparente”, misurata dal rapporto tra gettito e pil nominale, una stima che in parte recupera la produzione invisibile o in nero. La fiscalità effettiva è quella sopportata da un euro legalmente e totalmente dichiarato. È pari al 55 per del reddito - record mondiale imbattibile, di sei-sette punti superiori ai paesi secondi nella classifica, Danimarca, Francia, Svezia. E al 59 per cento per le imprese, poste per questo di fatto “fuori mercato”, nella terminologia d’uso.

La disoccupazione è infine ufficiale: il ministro del Lavoro rendiconta un milione di posti di lavoro persi nel 2012. Con un miliardo di ore di cassa integrazione, anticamera al licenziamento, nello stesso anno. Cresciute a 265 milioni nel primo trimestre 2013, e a 97 milioni nell’ultimo mese, marzo.

I suicidi per motivi economici sono calcolati in 89 nel 2012. Ma sono oltre 300 dal 2009 – oltre 60 nel solo Veneto..

A giugno 2010, con lo spread a 110 e l’indice di Borsa Ftse-Mib a 22 mila (oggi è a quota 14.500), il risparmio finanziario degli italiani era di 1.821 miliardi. A settembre 2012, secondo l’ultimo bollettino statistico della Consob, si era ridotto a 1.151 miliardi. Meno 300 miliardi in obbligazioni bancarie, meno 170 in azioni, meno130 di Bot e Btp, meno 10 di obbligazioni societarie. In parte per la perdita di valore nei mercati, in parte per smobilizzi – capitali all’estero.

Il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito in un anno di quasi il 5 per cento – 4,8 per l’esattezza. Meno reddito disponibile, che vale meno.

Nero integrale in Bretagna

Si legge d’un fiato, al solito. Ma col cuore oppresso, al solito: Simenon è cattivissimo – è bonario solo con Maigret. Qui non si sa neppure avere pietà delle vittime – i suoi protagonisti Simenon li vuole vittime, magari di se stessi. Lui è un pirata della strada, benché involontario. Le sue sorelle legate agli affari e al decoro familiare, benché devote. Nero integrale - uno dei suoi romanzi duri. Concarneau, Bretagna di fiaba, è anch’esso spettrale.
Georges Simenon, Le signorine di Concarneau, Adelphi, pp. 136 € 16

Toscana rossa e povera - 2

Alcuni utili addenda all’istruttoria sulla Toscana rossa e povera. L’autostrada per Rosignano che chiede, il 7 aprile, le catene a bordo. L’autostrada da Firenze a Livorno ancora  mussoliniana, stretta e piena di buche, che si propone per alleggerire la Firenze-Mare (no, la Fi-Pi-Li è del Mondiale 1990, mussoliniana è la Firenze-Mare, n.d.r.). L’incomparabile Aurelia a quattro corsie, con infinte variazioni di velocità, giusto per le multe - mentre resta al palo l’autostrada Livorno-Civitavecchia: sempre il vezzo di taglieggiare il viandante, come ai tempi della via Francigena, i forzati del pellegrinaggio a Roma.
Parlando di cose serie, del già famoso vino toscano, l’ultima industria residua, non è detto tutto. Il vino italiano all’estero è ora prima veneto e poi piemontese. Il Chianti viene in terza posizione, insidiato da presso dalla Lombardia e dalla Sicilia. 
Va col vino, nell’abbandono e anzi nella truffa, l’olio d’oliva. L’abuso vastissimo dell’origine toscana e dell’adulterazione, per quanto legale, regolamentare, “europea”, è evidente a tutti, benché mai sancita. È toscano un olio che la Toscana quasi non produce più. Si fanno passare per olio di Toscana, a volte con la dop, olii d’oliva delle più diverse provenienze, frammisti a olii di altra natura, e extra-vergini derivati da sanse esauste e altri olii combusti.
E che dire dell’arte? Gli Uffizi accatastano 1,8 milioni di visitatori in giri rapidi e angusti. Tenendo sempre nei sotterranei, indisponibile, la metà del patrimonio. A Amsterdam il Rijk Museum, che ha la metà dei visitatori, fattura il doppio. E si è interamente rinnovato, con un investimento di 350 milioni, per esporre tutto l’esponibile, e anche raddoppiare o triplicare le visite con eventi speciali, e consentire visite più lunghe. Anche i Musei Vaticani si sono dotati in pochi mesi per il Giubileo di una biglietteria-mercato grande come un’aerostazione, dentro le Mura, con accesso aperto sulle stesse Mura, in pochi mesi. Firenze discute da 15 anni se dotarsi di una porta d’uscita che metta gli Uffizi in regola con la sicurezza – quindici anni fa il concorso fu vinto dall’architetto Isozaki e nient’altro è stato fatto, i visitatori si accalcano in lunghe code.

martedì 9 aprile 2013

Ombre - 172


C’erano rom in fila alle primarie Pd per il sindaco di Roma, loro che non sanno in che città sono, non gliene frega, e non hanno la residenza. Pagati da Berlusconi per screditare il partito? No, dalle onlus che li patrocinano, per sostenere il proprio candidato – le onlus vivono di denaro pubblico, quindi curano i referenti.
Le onlus che insegnano, a spese pubbliche, la corruzione politica ai rom, questa è una vera modernizzazione.

Se non fosse successo, sarebbe stato difficile immaginarlo. Un partito che ha la maggioranza alla Camera. Il presidente della Repubblica. I giudici, i giornali e le tv. E una crisi che impone un programma obbligato. Ma s’impantana in un non-governo di saggi. Che non sono saggi.

Claudio Sardo propone a modello di governo a Fabrizio Roncone il monocolore Dc del 1976. Che il “Corriere della sera” sintetizza così: “Il governo Moro si formò anche grazie a una serie di stratagemmi: astensioni e strategiche uscite dall’Aula al momento del voto”.
Il monocolore era di Andreotti ma pazienza, certa memoria sa essere ben più delittuosa. Ma ridurre Moro, l’innominato Berlinguer, il compromesso, e (quasi) quarant’anni di storia a dei trucchetti è più tracotanza o stupidità?

Si torni da un viaggio all’estero e a Fiumicino si chieda di ascoltare la radio. Il Gr 3 apre con le primarie del Pd nei Comuni. A seguire dichiarazioni sparse di politici sul governo che vorrebbero. Quindi papa Francesco, che ha menzionato sette volte (o ventisette?) la pazienza. Quindi la manifestazione a Taranto di quattromila anti-acciaieria. Infine il dato del ministero del Lavoro: un milione di nuovi disoccupati nel solo 2012. Il Gr 1 poco dopo ci mette prima anche la Corea. Il Gr 2 non menziona i disoccupati. I Gr della Rai. E uno si chiede: in che paese sono atterrato.

Ma è più bravo Pelizzoli o Buffon? Salva più gol il portiere dell’ultima o della prima in classifica?

Casini imputa a Monti il suo fallimento. E viceversa. Pura farsa Dc. Non vecchia, però, perché prende sempre tanti voti. Benché tra guitti mediocri. Ne risulta più evidente – più che nel fenomeno Berlusconi - che è l’opposizione che non consente di fare altrimenti, di liberare il voto, di liberare l’Italia.

La Curia di Milano fa spiegare la crisi ai suoi preti dagli specialisti della Bocconi. Dagli stessi cioè che l’hanno provocata. San Carlo Borromeo l’avrebbe spiegata lui, alla Bocconi.

Panel di sinistra, renziana, bersaniana, dipietrista, attorno a Salvatore Settis a “Zeta” di Gad Lerner. I problemi più urgenti sono la cittadinanza agli immigrati e il conflitto d’interessi. Irridendo nelle pause a Grillo. Non una sacrestia, un incubo.

Milano senza pudore. Dove si può manifestare contro i giudici nelle stesse aule del tribunale. O in piazza insolentire i Procuratori della Repubblica, anche loro giudici. E le giudici di Berlusconi si fanno dare delle vendute. Ma dov’è la mancanza di pudore?

Uno studio di George  Soros, di una società lontanamente collegata a Soros, in una sua mezza paginetta, dice che la recessione in  Italia è la peggiore dal 1943. È così che la recessione si merita finalmente la prima pagina.

Cosmopolita, moderna e tutto, la presidente della Camera Boldrini le prime cose ha fatto, oltre all’ammuina moralistica, è stato di assumere personale del suo partito: portavoce Roberto Natale, di Sel, e consigliere politico l’ex deputato Leoni, di Sel. Solo per l’ufficio stampa ha concesso qualcosa, nominandone a capo Valentina Loiero, del Pd.

Il peggio dello scherzo a Onida, che si dà del rincoglionito e dice una furbata il suo incarico di saggio per conto di Napolitano, è quando il conduttore rivela perché ha scelto l’imitazione della Hack per trarre in inganno il giudice: “Sì, perché alla Hack nessuno si rifiuta di rispondere”. Detto da un superdemocrat, quale il conduttore ai atteggia, a una icona del partito.

Il Real Madrid fu finanziato nel 1998 dal governo spagnolo, e per esso dalla municipalità di Madrid, col regalo di uno sterminato ettaraggio, che poi il club “valorizzò” (rivendette) a caro prezzo. Tutto noto. Ma l’Antistrust europeo ci arriva ora, dopo quindici anni e alquante coppe falsate.

“Perché la Benedizione di Pasqua l’ha fatta in italiano?” si chiede Harald Schmidt nella trasmissione del 2 aprile su Sky Deutschland, e si risponde: “Ah sì, giusto, parla la lingua dei poveri”. È la battuta di un comico, fa ridere, è lieve nei sottintesi, ma fa infuriare l’Italia, la rete e anche i grandi giornali. L’aria è proprio brutta.
Ma sempre con cautela: la Bundesbank e la Deutsche Bank non scandalizzano, il comico bravo sì.

La “Frankfurter” non è da meno. Il giornalone moderato si accorge infine dei sentimenti antitedeschi in Italia, e opina che Angela Merkel potrebbe rinunciare alla lunga frequentazione di Ischia – la invita cioè al bel gesto.

Grillo irride all’ipotesi Prodi al Quirinale: “Cancellerebbe Berlusconi dalle carte geografiche”. I grandi giornali rigorosamente democrat prendono la battura per un complimento, e già calcolano che Prodi sarà presidente con i voti di Grillo...
Perfino Grillo è più garantista? Politico di razza e non di trivio.

Maria De Filippi si rilancia con Renzi e la grande coalizione. Ha bisogno di rilanciarsi, benché primatista di ascolti, perché Bersani l’aveva esclusa dalle consultazioni per il governo, una delle poche.

Fa impressione vedere il capo dell’(ex) partito della sinistra umiliarsi di fronte a una Lombardi, che ride. Il cui unico precedente è che era – è – fascista, il genere fasciocomunista che tanto piace agli (ex) Pci. E, peggio, che Bersani non se ne sia accorto. O, peggio ancora, che non se ne siano accorti
i suoi giovani turchi – giovani forse, ma turchi? i turchi veri non sono scemi. 

Fa senso quanto è timido Squinzi, in una situazione di cristi estrema per le aziende che lui in teoria rappresenta. E più di lui il sui giornale, “Il Sole 24 Ore”, il giornale della Confindustria.
Non ci sono più i padroni. Ma neanche gli imprenditori?
Squinzi non ha parlato, e anche ora parla poco, per non disturbare il manovratore, che lo taglieggiava, il governo Monti. Per omertà? Per complicità democristiana: quanti lutti!

L’ateismo non è filosofico

In ordine alfabetico e non cronologico, com’è giusto, da un’acuta idea del teologo Michael Spinetti: Dio è il nocciolo della filosofia - la Verità di sant’Agostino. Filosofico prima che sentimentale o materia di fede. “Inconcepibile e inesprimibile” (Böhme) per i credenti, implica una professione di fede anche per l’ateista.
Si fa professione di ateismo  nel mondo cristiano. Per una questione politica, l’anticlericalismo. Sul piano razionale resta il ragionamento di Anselmo d’Aosta: “Esiste senza dubbio qualcosa di cui non si può pensare il maggiore”. Bergson direbbe: “Egli è vita incessante”. O già Aristotele: “Dio è vivente, eterno e ottimo”. La questione è oziosa – “Dio esiste necessariamente” (Spinoza), e “solo un Dio ci può salvare”, lo ha capito anche Heidegger. Il nome è “piccola cosa”, direbbe Cusano: “Egli fa che il non-essere passi in essere e che l’essere passi nel non-essere”. Il “Dio è morto” di Nietzsche è perché “noi lo abbiamo ucciso”.
Dio esiste? Le rispose dei filosofi, Il melangolo, pp. 119 € 8



lunedì 8 aprile 2013

La corruzione è per legge

La corruzione è un fatto di leggi, colpire la corruzione Non di leggi speciali contro la corruzione, che sempre hanno alimentato la corruzione stessa, ma di leggi ben fatte – lineari, semplici. Ed applicate.
Il caso Cahuzac, del ministro socialista francese anti-corruzione che era un evasore fiscale coi milioni in Svizzera, non è una stranezza. Anche nell’eventualità che sia la Svizzera stessa ad alimentare lo scandalo. Denunciando conti più o meno anonimi dell’ex ministro nelle sue banche per dirsi essa stesa contraria all’evasione fiscale. E per indebolire la stretta contro i paradisi fiscali, la lotta anti-corruzione. La Svizzera è ininfluente – se non che, la gestione del risparmio essendo un’attività lucrosa, gli ottimi banchieri svizzeri non vogliono privarsene (la Svizzera spesso denuncia conti anonimi di cittadini esteri, di lestofanti di cui poi le banche si terranno i fondi in disponibilità per dieci-vent’anni, finché durerà il procedimento penale in patria, e alla fine talvolta se li incamerano – Gelli lo fecero perfino arrestare, e poi evadere).
Non conta molto neppure la mentalità: essere francesi, o italiani, o sudamericani. Fra i maggiori evasori con i conti in “Svizzera” ci sono i tedeschi. Mentre non ci sono gli spagnoli, non in grande misura. Insieme con gli inglesi e gli americani. La ragione è che inglesi, americani e spagnoli pagano tasse, sul reddito e sul valore aggiunto, congrue. Lo stesso accadeva agli scandinavi al tempo dei regimi socialdemocratici con tasse “all’italiana”, del 50 e più per cento del reddito: in cambio avevano servizi reali, le loro tasse erano un investimento.
Chi vuole la questione fiscale (l’evasione fiscale e la corruzione sono legate) un fatto di leggi severe e apparati repressivi è un bugiardo e un mentitore. Un corrotto. Una buona legge sugli appalti – non è difficile, la Svizzera ne ha una, la Gran Bretagna pure – eliminerebbe tre quarti della corruzione, forse i quattro quinti, meglio comunque (più stabilmente, più produttivamente) di una “manovra”.

Letture - 132

letterautore

Dio  - Rebecca West ha (nel racconto “Matrimonio i dissolubile”) “un Dio da bambini, un braccio immenso che calasse dalle colline e lo sollevasse per stringerlo a un petto amorevole” – lo fa desiderare al protagonista che non ama.

Ironia – Umberto Eco sa esercitarla senza opprimere, come cifra che il “discorso” riporta all’indefinito (indicibile). Entro il quadro di un amabile scetticismo – che non esclude cioè ma include. Fin dagli inizi, dalla semiotica di “Lascia o raddoppia”, e anche in filigrana nei romanzi. Che, pur prolissi, si tengono insieme pagina dopo pagina, capoverso dopo capoverso, frase dopo frase, per il continuo calembour di scoperte (accostamenti, similitudini, conclusioni, paragoni).

Joyce – Il suo fan Umberto Eco lo dice dannunziano. Per scherzo, ma come non averci pensato (lo steso Eco non ce l’aveva detto, cinquant’anni fa, nella pur estesa joyceana di “Opera aperta”).
Joyce aveva letto a amava D’Annunzio, i romanzi, “Il fuoco” in particolare, il più dannunziano.
Per scherzo ma non tanto: Eco compara in “Costruire il nemico” un passaggio di “Dedalus. Ritratto” col uno del “Fuoco”, della prima parte del “Fuoco”, che sembra un calco.

Némirovsky – Sei editori in gara, Adelphi, Newton Compton, Elliot, Editori Riuniti, Castelvecchi, Giunti, con sovrapposizioni, e un numero di opere disponibili, in traduzione, quasi doppio di quello in francese, la lingua originale. La fortuna della scrittrice, morta a Auschwitz nel 1942, che negli Usa è rimasta bloccata dalla “questione Némirovsky”, in Italia è invece libera, non legata evidentemente al pregiudizio.
La “questione”, di cui in Italia non si sono avuti praticamente echi, è nata dal sospetto di un semitismo antisemita. Nei racconti a sfondo autobiografico, “David Golder” e “Il Ballo”, i più riusciti e famosi prima del postumo “Suite francese”, Irène Némirovsky tratteggia con irrisione la borghesia del denaro, il padre banchiere e la madre che solo ha cura di gioielli e pellicce. Tanto è bastato, nell’ipersensibilità dell’ebraismo americano, per farla accusare di antisemitismo. In realtà, è impossibile trovarne traccia nella sua opera – adesso che i sei editori l’hanno spulciata fin nelle pieghe (ma restano molti racconti…): i risentimenti sono personali, soprattutto contro la madre, e non razziali. Lei non potrebbe, che si vede felice ebrea giovane, e poi nel matrimonio con Jacob Epstein, che morirà per non essere riuscito a salvarla – denunciata, è da aggiungere, e perseguita dai francesi, nello scetticismo del comando tedesco.
È un’ebrea di prima dello sterminio, che oggi sembra impossibile. Che può esserlo cioè senza complessi. Come un napoletano a Milano. Il revival è quindi anche dell’integrazione possibile, che a lungo in anni recenti è stata abominata, soprattutto dal semitismo più militante o consapevole.
Ma è anche una scrittrice “di destra”. Cercò anche la collaborazione a giornali e riviste di destra. Un fatto che sarà anch’esso portato a prova della “questione Némirovsky”, dato che la destra francese sarà solerte braccio dello sterminio. E invece non vuol dire, non tutte le coscienze sono sporche.
Némirosvsky è critica del denaro e della borghesia del denaro da destra: all’inseguimento della felicità. Per far salvi i sentimenti e la forza dell’animo nei tristissimi anni Trenta, di una crisi economica che oscurò le coscienze di molti. Così già prima, nei lieti anni Venti, per l’integrità e l’animo lieto della gioventù.
Si può dirne il revival legato alla crisi? Si deve pensare la destra meglio equipaggiata per far fronte alla crisi? 

Tesori – “La vetrina del maggior gioielliere di Parigi non vale una bancarella del mercato delle pulci”: U.Eco, “Costruire il nemico”, p. 99, non ne dubita, e in un certo senso ha ragione, ma lascia perplessi. Il collezionismo è ragionevole e anche prezioso, tramanda, e quindi mantiene in vita, tradizioni, memorie, oggetti, modi di essere, civiltà – le cose dicono. Ma, per quanto preziosi, gli oggetti antichi respingono, hanno sempre un che di rivoltante, come un vomito di roba mal digerita, tropo a lungo ruminata. O di polveroso – si vede nelle mostre di costumi teatrali, che ora usa (da ultimo quello, per la verità ricchissimo di idee e colori, di Anna Anni in corso a Pisa). Mortuari – i tesori si accompagnano spesso ai reliquiari. Perfino le pietre preziose, che pure non si opacizzano, non prendono patina. La patina che sulle grandi superficie abbellisce, le architetture, anche le stature, sulle piccole, quadri compresi, è “sporca”, di incrostazioni nauseanti, di polvere, fumo, umidità.

Virago – È termine andato desueto col femminismo – ma la sua ultima incarnazione è in un’editrice inglese di scrittrici, senza maschi. È genere decaduto, anche, si suppone. Caratterizzato dalla voracità, quasi un gioco di parole, virago-vorace. Una incarnazione da manuale fu, nelle lettere, “Sibilla Aleramo”, che colpì parecchi autori à la page, a partire da Giovanni Cena, direttore di giornale, fino a Gor'kij e da ultimo Quasimodo, quando (lei) aveva sui sessant’anni, e perfino il povero Campana – con D’Annunzio non le riuscì, e allora andò a letto, dice, con Eleonora Duse. Ma non è estinto: Maria Luisa Spaziani ne rinnova il genere con l’intervista a Gnoli il 3 febbraio su “Repubblica”, dicendosi embedded con tutte le celebrità – “uomini importanti hanno attraversato la mia vita”: Kissinger, il marchese Galvano della Volpe, filosofo marxista, Luico Piccolo, Zolla, Evola (Evola?), Montale, a cui ha dedicato un libro, “Montale e la volpe”, e tutti quanti. Ma tutto sempre, naturalmente, da signora. La voracità è inestinguibile. 

letterautore@antiit.eu 

Epopea criminale

Lungo ma non nuovo e non denso saggio sul traffico di coca. Che vale per quello che Saviano stesso ne dice: “Scrivere di cocaina è come farne uso”. Secondo pilastro, dopo “Gomorra”, dell’epica del crimine, per cui questa età dell’editoria s’illustra. Contro le intenzioni, certo, quelle sono buone.
“Ma perché questo rumore lo sento solo io?”, ci chiede Saviano nella sua facile retorica. Lui, forse, è solo nato ieri.
Roberto Saviano, ZeroZeroZero, Feltrinelli, pp. 448 € 18

domenica 7 aprile 2013

Secondi pensieri - 138

zeulig

Ateo – È chi si crede Dio.

Bene – È facilmente retorico – vuoto cioè. È sempre stato autogratificante. E sentimentale, quindi irrazionale. È così che la sua conquista del mondo, apparentemente facile e anzi obbligata (come non volere il bene?), è contrastata o deviata – il bene che alimenta cattivi sentimenti.

Dio Secondo la nota proposizione di Kafka, si può parlare con Dio ma non di Dio. Anche per la tradizione cristiana Dio è ineffabile. Ma si parla con Dio parlandone.

Etica – Non fa progressi, come trend storico e come sommatoria di casi particolari, e spesso anzi regredisce. Se non è una branca della regione. Sono le coppie bene\male, amore\odio, male assortite, a  tenerla in scacco. Nella vita politica, sociale, familiare, individuale, e perfino nell’esame d coscienza.

Filosofie – Hanno tutte un pizzico di verità. Che perdono quando sono portate agli estremi – sviluppate conseguentemente (logicamente). Peggio se erette a sistema: diventano programmi e parole d’ordine. Si può dire che si sovrappongono alla verità, sfruttando il bisogno di verità.

Consacrano l’orgoglio: il filosofo forse più del condottiero presume di se stesso. Non c’è un “Guerra e pace” della filosofia, un filosofo che come il generale di Tolstòj intristisca sulle sue rovine.

Infinito – Non finito cioè, non delimitabile. Ma cominciato e non finito?

Matrimonio – Capita di leggere per caso in successione più testi sul matrimonio, romanzi, racconti, pamphlet, saggi: tutti giocati sul destino individuale che il matrimonio inevitabilmente  conculca, anche contro le migliori intenzioni cioè. Ma il matrimonio, se c’è, come atto libero, sia in costanza di rapporto esclusivo che dentro affetti plurimi, è parte del destino, il bisogno in qualche forma di una compagnia “propria”, esclusiva.  Anche come stimolo (giustificazione) della misantropia, del “destino” avverso.

Odio - È il più gigantesco Ersatz universale, diffuso, prepotente: supplisce a tutto. Ma produce solo tristezza – altro odio.
Non accomuna, come hanno ritenuto erroneamente alcune dottrine moderne, la Riforma, il marxismo: annichilisce anche chi lo pratica. Un esercito di odiatori si abbatte subito – l’odio dissolve chi lo pratica, lo riduce a uno scheletro che una brezza lieve dissolve. Dopo magari infiniti lutti, è vero: l’odio va contrastato.

“Chi insegna che non la ragione, ma l’amore sentimentale, deve governarci, apre la strada a coloro che governano con l’odio”. Lo dice Popper, che non è citabile (a venticinque anni dalla caduta del Muro Popper non è citabile, un caso di odio). Ma nei fatti è verificabile da ognuno: non c’è ma stato tanto odio quanto in questi anni di buoni sentimenti. E presso i buoni – ognuno può vederlo in Italia.
Gli altri si vergognano di odiare, i buoni no.

Scienza – È fatalista, propendendo per l’eternità del mondo – anche se non riesce a trovare la natura della materia.
È creazionista, che ancora cerca il Big Bang.
È incerta.

Segnali – Sono parte cospicua del linguaggio, e dunque della personalità. Da quelli “primitivi” (complessi) di carattere divino, che lo sciamanesimo perpetua,  a quelli “moderni” (semplici, pratici), gli indicatori dell’automobile, i segnali stradali.  È così che quando ne siamo privi, perché si è perduto il libretto dell’automobile, o la segnaletica stradale è trascurata, ci sentiamo indeboliti e incerti.
Alcune macchine e procedure – le centrali elettriche, una pratica con lo Stato – hanno segali talmente complessi che richiedono lo specialista (interprete). Allo stesso modo operano i segali quando sono in eccesso, scadendo nell’insignificanza, eccetto che per lo specialista. Succede nell’automobile, per esempio, che il cruscotto sia ora pieno, a fini commerciali, di spie o segnali di cui è quasi d’obbligo trascurare il significato – ma che potranno essere utili al meccanico. O l’informatica, la cui velocità di ricambio, di strumenti e procedure, talvolta anche dei codici di base,  tende a indurre all’afasia Come agitazione che cancella il tempo. O come una moderna burocrazia, nel nome cioè del mercato e dell’innovazione.

zeulig@antiit.eu

Lo scetticismo amabile di Eco, debole in filosofia

Il migliore Eco, che fa dell’ironia un’arte gentile, oltre che icastica, sempre avvolgente. Puro Settecento, argutissimo, con un pizzico di Seicento.
Verbalista goloso e repertoriatore onnivoro, dagli accostamenti sorprendenti e semplici. Brillante sempre, un Maradona dalle giocate imprevedibili sempre riuscite. Eccetto che quando ci infligge Peirce e la semiotica - anche qui non mancano. Incomparabile nella mimesi filosofica (estetica) e psicoanalitica. Con epifanie irresistibili -  Joyce, “massimo teorico dell’epifania”, ispirato dal “Fuoco” dannunziano, “che aveva letto e amato”, dal cap. 1, “L’epifania del fuoco”… Joyce è anche recensito da anonimo fascista, in un’appassionante summa della critica del ventennio - di “questo Giacomo Yoice, o Ioice, come scrive il Piovene”. La celebrazione del “sublime per eccesso” (la propria cifra romanzesca di Eco, derivata da Victor Hugo) è qui in ottima sintesi, dieci righe, pp. 174-175. E poi Eco è l’unico che ha accesso, nella sradicata riflessione contemporanea, alla medievistica, a Tommaso d’Aquino e Ildegarda di Bingen, Roberto Grossatesta, Bonaventura da Bagnoregio (non a Bacone: perché?), con i tanti Pseudo classici di cui si compiacevano.
Con molte fisse. Le cartografie, di cui è appassionato – rifà puntiglioso le bucce a Corto Maltese, “Ballata del mare salato”.. Il “punto fisso” – il “punto fijo” di Cervantes. La “polvere di simpatia”. . L’isola. L’isola che non c’è, prima di Johnny Depp e Edoardo Bennato – ah, la longitudine. Ma anche una godibilissima Repubblica Felice montata con i proverbi, la saggezza popolare - che subito la abbatte, abbatte la Repubblica e la Felicità.
Con l’esumazione di nomi e circostanze che sembrano d’invenzione: il deputato Riancey – un cattolico intransigente – che nel 1850 fece punire con una tassa i giornali che pubblicavano i romanzi a puntate,  feuilleton. Dopo gli studi di un Alfred Nettement, che avevano dimostrato la spinta diabolica, comunista, sovversiva, del feuilleton. E una compilation vertiginosa di agnizioni, da Dumas, Garibaldi, Hugo, Carolina Invernizio, Ponson du Terrail.
L’ironia si sublima in Eco. Da supponente a umile e quasi ovvia. Con effetto giocoso, senza iattanza. Il discorso riportando all’indicibile (indefinito). È debole in filosofia, l’ironia non lo consente - ma di buona stoffa, lo scetticismo amabile.
Umberto Eco, Costruire il nemico, Bompiani, pp. 339 € 12,90