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sabato 27 luglio 2013

Ombre - 184

Si aspetta la sentenza della sezione feriale della Cassazione contro Berlsuconi come se essa non fosse già nota. Che il procedimento è stato dirottato dal giudice naturale, la seconda o terza sezione della Cassazione, a quella feriale per un solo motivo: la condanna. La  seconda e la terza non sono per il “non poteva non sapere”.


Dirottare un procedimento dal giudice naturale è illegale, ed è anche un reato grave, configurando la giustizia politica. Ma non per il presidente della Repubblica – che per molto meno ha protestato con veemenza, anche in Cassazione.

Un pugno in faccia, la reazione indignata di Napolitano contro il ludibrio della sua persona e delle istituzioni alla Camera: “Spetta ai presidenti delle Camere di garantire il rispetto di regola di correttezza…”

Napolitano è rrabbiato con Laura Boldrini. Ma nessun giornale ce lo dice. La presidenta non è incapace, seppure una dritta, è solo bella.

I 5 Stelle, con Sel al rimorchio, si battono alla Camera per rinviare. Sembra di essere al tempo della vecchia Dc, il rinvio.

Di nuovo c’è il plauso dei grandi giornali al rinvio. E dei professori di seconda fila che si proclamano, col plauso dei grandi giornali, paladini della Costituzione. Non sembrano temibili, come partito della crisi. Ma non abbiamo altro: o questi o Berlusconi.

Dopo quattro anni di indagini non si sa ancora se Schifani ha preso o no un caffè al bar con un mafioso. Un caffè non avvelenato, evidentemente, e questo dovrebbe essere un indizio a favore, la mafia i caffè li offre avvelenati.
Anche la Procura di Palermo, che ha indagato per i quattro anni, dice di no. Ma Piergiorgio Morosini, giudice, vuole che si indaghi per altri quattro mesi.

Morosini è lo stesso giudice che vuole condannato il senatore Mancino in quanto affibbiato a Riina, pur non avendo la pubblica accusa a suo parere “neppure affrontato il tema delle fonti di prova”. Un giudice che sembra inventato – che questo sito definiva ubuesco.

Il giudice, sindacalista in aspettativa di Magistratura Democratica, è in cerca una candidatura sicura del Pd, e la cosa si può capire. Ma arrestare, mentre si continua a indagare, anche qualche mafioso sicuro no? A Palermo sicuramente non difettano, ma da una ventina d’anni non se ne arresta più uno. Pax mafiosa?

Gli acquedotti toscani perdono “oltre” il 50 per cento dell’acqua che trasportano. Non si sa di quanto oltre. Cioè si sa ma non si può comunicare. Solo si dice che le perdite erano diminuite negli ultimi anni fino al 2010, quando agivano gli “ambiti territoriali” – cioè l’acqua a gestione privatistica. Ma fino a un 40 per cento.
Un 40 per cento di acqua “perduta” in Toscana è normale.

Il mare è atrofizzato a Forte dei Marmi, la spiaggia più cara d’Italia, e in tutta la Versilia, colorato di alghe giallastre. Ma non se ne fa scandalo.

Moratti vende l’Inter a un signore sconosciuto, un piccolo Berlusconi dell’Indonesia, che avrebbe un fratello di nome Garibaldi. Deve vendere, per non fallire, e quindi la cosa non gli si può portare a colpa. Ma il motivo vero della vendita, i problema della Saras, la finanziaria-azienda di famiglia e suoi personali, che sono seri e andrebbero detti, poiché coinvolgono soci inavvertiti, si tacciono. Si magnifica invece il futuro ruolo nell’Inter di suo figlio, che, chissà, forse farà il vice-presidente.

Anna Laura Millucci, artista visiva, si trucca ferita a morte, si posta su facebook, manda l’immagine alle agenzie e ai giornali, e dice che l’ha conciata così il suo uomo, che l’ha anche “privata del figlio che portavo in grembo”. Proprio così, lo portava in grembo. Ma che c’entriamo noi?

Luca Mastrantonio ricorda sul “Corriere della sera” che scimmia prima che dall’onorevole Calderoli fu usato da Lidia Ravera, contro Condoleeza Rice, anch’essa nera. Ravera ha le ali, e quindi non si può dire. Ma c’è una scimmia di destra e una di sinistra?

Come spartirsi l’impero di Berlusconi

Spartirsi l’impero di Berlusconi: è tutto il senso della violenta offensiva di Milano. Le giudici (forse) non lo sanno, ma è in questo disegno che funzionano. A opera di una Procura che non fa mistero dei suoi legami con il capitale milanese raccolto attorno al “Corriere della sera”: Bazoli, Elkann e gli interessi locali che ancora si rappresentano in Mediobanca. Con contorno di piccoli e grandi pescecani in cerca di polpa, da Cairo a Della Valle e De Benedetti.
Il voto naturalmente fa gola a tutti. Anche al Pd, in questa attuale fase neo guelfa, renziana, oltre che ai dc tradizionali, Casini e Monti. Ma è alle televisioni, le case editrici e le assicurazioni, tutte ben gestite, redditizie e “valorizzabili” che Milano punta per via giudiziaria. E anzi già pregusta il momento in cui ne farà scempio, liste di riassetti circolano, “questo a me, questo a te”.
Farne scempio è la parola giusta. Perché le stesse tv e le stesse case editrici la Milano virtuosa aveva portato al fallimento. E nell’editoria, giornalistica e libraria, tuttora annaspa, con crisi, licenziamenti e svendite a ripetizione - e aumenti di capitale fittizi. Se Retequattro, Italia 1, Mondadori e Einaudi prosperano si deve a Berlusconi: erano fallite e Berlusconi le ha rilanciate. Dopo avere indennizzato abbondantemente le vecchie proprietà, incapaci o ladre dei beni aziendali, con 200 miliardi a Rusconi e 200 a Mondadori, che con l’investimento nella tv, sotto la gestione Formenton, aveva rischiato il fallimento.
La vecchia-nuova Dc in difesa
La colpa di Berlusconi, per la quale lo si vorrebbe ineleggibile, sono le frequenze tv. La storia delle tv private nasce con l’appropriazione di fatto delle frequenze. A partire dal 1975, quando per primo Angelo Rizzoli ci tentò, da Malta. Poi se le appropriarono tutti, Berlusconi (il futuro Canale 5), Rusconi (Italia 1), Mondadori-L’Espresso (Retequattro), e altri. Anche se solo a Berlusconi ne è stata fatta colpa - e a Craxi che lo avrebbe favorito.
In realtà, più che da Craxi, Berlusconi fu favorito dalla Dc, via Gianni Letta. Un precedente che spiega il suo entusiasmo oggi per le larghe intese e per la parte del Pd – Enrico letta – che le rappresentano. E che potrebbe ritardare ora, all’ultima stoccata, l’assalto si suoi beni, se non farlo fallire. Berlusconi fu favorito da De Mita inizialmente, prima che l’uomo politico irpino, il “magno greco” dell’avvocato Agnelli, diventasse la bandiera di Scalfari e De Benedetti. Poi da Andreotti: celebre la mossa di Andreotti che, quando De Mita fece dimettere i “suoi” cinque ministri in opposizione a Berlusconi sulla questione delle frequenze tv, li sostituì. Poi Berlusconi vinse due referendum abolizionisti.

Quando il popolo aveva la lingua

È l’unico legato di Firenze capitale d’Italia. A opera di un napoletano ramingo, per motivi politici e per curiosità. Non unico collettore peraltro all’epoca di racconti e tradizioni popolari, la compagnia è numerosa, Pitré, Nigra, Guastella e tutti quanti: è lo spirito del tempo, di un gusto che il romanticismo aveva robustamente modellato. Ma con un che di spiritoso in più, anche salace.
La lingua, più che le novelle, le morali o i topoi, è la novità di Imbriani, una miniera di golosità, e di documenti per la storia della lingua: modi di dire, idioletti, radici e apparentamenti. Una storia della lingua in corpore, come e dove s’innesta, gemma, si dissipa. Al netto, ancora, delle tante scuole, linguistiche, etimologiche, gestaltiche, che la disidrateranno. Ma con un sicuro fondo filologico - si deve a Imbriani l’attribuzione non contestata a Dante delle “Rime petrose”.
Per questa novellaja Imbriani fa uso di “informatori” (collettori) colti, avvocati, dottori, media borghesia intellettuale. Il ceto che caratterizza Firenze capitale d’Italia, il quinquennio di cui poco o niente si sa, e che in questa edizione (Edikronos, 1981, Palermo) Marcello Vannucci delinea in dettaglio in una estesa introduzione. Una sorta di posata età della medietas oraziana. Con un interesse non adulterato per i linguaggi.
Imbriani fu autore anche di opere narrative in proprio, il romanzo “Dio ne scampi dagli Orsenigo”, che Contini vuole anticipazione di Gadda, e i racconti “Mastr’Impicca” e “Per questo Cristo ebbi a farmi turco”. Croce lo avvicina invece al Dossi, che non apprezzava. Croce lo critica anzi pesantemente per le attitudini politiche reazionarie, inacidite, dicendolo “Ezechiele della forca”, “misantropico” e “acre”. Realistico sarebbe stato qualificativo più giusto, e burlesco – genere che Croce pure amava. Agli spiriti semplici che gli chiedono “l’ingenuo e l’idillico” obietta: “Non sono bravo a ispogliare il vecchio Adamo: l’ingenuità mi diventa ironia, l’idillio mi diventa satira”.
Un autore, una filologia e una raccolta dimenticati (l’unica edizione da molti ani disponibile è la ristampa anastatica Forni dell’edizione 1877). Ma l’Italia stranamente non è più avanti di centocinquant’anni fa, e forse è più indietro. Riscrivere “alla maniera dei fratelli Grimm”? No, “mi ripugna il trascinarmi sopra falsarighe tedesche”. Per un’ottima filologia: “Mi stava a cuore di ritrarre esattamente la maniera, in cui fraseggia e concatena il pensiero il volgo”. Anche se non immune alla filologia provvidenziale: “il più delle fiabe” Imbriani dice “retaggio comune degli Ariani tutti”, gli “ariani” dunque… D’Ancona gli rimprovera di aver rinunciato “alla vivezza, al brio e all’evidenza” del “parlar fiorentino”, e il napoletano a Firenze non ha complessi a obiettare che “parlare con vivezza, con brio, con evidenza” sono “qualità rare a Firenze,come dovunque”. Non si erano ancora costruiti i complessi d’inferiorità.
Vittorio Imbriani, La novellaja fiorentina

venerdì 26 luglio 2013

Parafrastica - 3

Salute, o Merkel,
o improsatrice,
o forza vindice
dell’euromark - Carducci

Salute, o Angela,
o corruttrice,
o forza vindice
del truce Attila – Carducci bis

Se il buio è pesto e l’aria fritta, la luce in fondo al tunnel chi mai vedrà - Dizionario dei luoghi comuni

Tiremm indrèe – Amatore Renzi

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (177)

Giuseppe Leuzzi

Non c’è il Sud, in nessuna forma, nella “Storia d’Italia” di Croce.

Si può dire del Sud che si divora. Le spiagge per buttarci i rifiuti. La Magna Grecia per esercitarsi in linguaggi vuoti. I campi fertilissimi per imbarbarirsi: truffe all’Europa, allo Stato, all’Inps. La vita per disperazione, o per insipienza?.

Sudismi-sadismi
“Anche l’Unione Europea ha la sua grotta di Alì Babà. È l’autostrada Salerno-Reggio Calabria: e lì dentro, ladroni non tanto ignoti – più di 40, probabilmente – sono riusciti a imboscare la fetta più grande di fondi strutturali europei mai rubati, o dirottati, da quando esiste la Ue”. L.Off., “Corriere della sera”, 14 luglio.
Nessuna somma, né europea né italiana, è stata imboscata, rubata o dirottata sulla Salerno-Reggio. Non l’avremmo saputo? È l’unica occupazione di molte Procure.

Lo stesso giornale e lo stesso giornalista esemplificano il 22 “la(stravagante) lista degli eventi che ottengono finanziamenti da Bruxelles”. Sei eventi, per 532 mila euro, in vari anni. Bolzano ha un milione di euro per un convegno sulle mele, uno solo, ma l’articolo non ne fa cenno.

Il modello “Corriere della sera” (Stella, Rizzo, Offeddu) è stato inventato da Montanelli, sessant’anni fa, col famoso decalogo dell’albergo di Crotone per l’uso della tazza del cesso. Montanelli era scoglionato per essere stato inviato a Sud. Ma davvero dire il Sud brutto, sporco e cattivo fa lettori? Magari tra gli emigrati (dovrebbero essere la maggioranza degli italiani anche a Nord, dopo due o tre generazioni).

Milano
C’è un accordo stato-Regioni (lo Stato, allora,di Berlusconi) per l’assegnazione del pediatra di libera scelta anche ai figli di genitori senza permesso di soggiorno. Ma la Lombardia non lo recepisce, quella di Formigoni prima, ora di Maroni. La Lombardia, la regione più popolosa d’Italia. Senza scandalo per nessuno.

È chiaro che nessuno muore per mancate cure in Lombardia, nessun bambino: ci pensa la Curia. La Curia è “tutto” a Milano. Anche se non si sente. I figli degli immigrati senza permesso di soggiorno li fa curare privatamente, da Caritas e onlus. Mentre avrebbero diritto al pediatra di libera scelta. La Curia distingue molto fra carità e diritti.

Bazoli conferma che è la Curia a reggere la città. Nel 2010, in previsione della fine legislatura, il banchiere rivela di essere stato a consulto col cardinale Martini, che l’aveva consigliato di candidarsi. Poi Bazoli non si candidò e il cardinale se la prese – Bazoli non è fesso, sapeva che alle elezioni il centro-sinistra partiva battuto.

C’è la Curia anche negli affari immobiliari della città. Per esempio nelle scelte, di aree e destinazioni, per l’Expo 2015. Ma non si dice.

“Padova in testa, bene il Nord”, titola il “Corriere della sera” la graduatoria Anvur di 133 enti scientifici. Non è una graduatoria internazionale, solo italiana: il Nord si difende dal Sud, intende il giornale. Poi dice che Milano non è razzista.

Si risolve in due pagine di pubblicità, un pizzo da 100 mila euro a giornale lombardo, la piccola guerra della capitale dell’evasione fiscale a Dolce & Gabbana, gli stilisti, che probabilmente evasori non sono e per questo vengono eletti capri espiatori. Ma la mafia non è milanese.

Sotto l’Acropoli, a sinistra guardando il Partenone, ai piedi del Filopappu, c’è una san Dimitrios Lumbardiaris. Si era annessa anche Atene?

Tutto è concussione a Milano. Anche il semplice accesso fisico in banca. Ma è innocentato. Dai suoi giudici, dai suoi giornali, dalla sua morale.

Mafia
La relazione di Luciano Violante, “Mafia e politica”, è esemplare del “tutto è mafia”. Riletta, sembra un testo da governatore delle colonie, naturalmente illuminato – ma i governatori sono per natura illuminati, quelli di cui si conserva la memoria: tanto buoni e tanto bravi, ma negri – colore locale e esotismo, anche attraente ma remoto, proprio perché diverso, irregolare, fuori norma. Non di grande valore: è un’antologia da strapazzo, basata sugli informatori meno attendibili, i pentiti. Disinvolta anche, d’incredibile disinvoltura. Gli etnografi -i colonialisti - si basavano sugli informatori, tutti per un qualche motivo “venduti”.

Si nobilita tipo western, ma la violenza reale è sempre bruta - lo stesso “Gomorra” di Sorrentino riesce poco a camuffarla. È sempre brutale e vile, truffaldina, traditrice, da due contro uno. Non c’è una violenza “buona”, attraente.
A meno di non costituire un ordine. Quello in cui tutti sono violenti, solo che alcuni soccombono. Magari oggi per rifarsi domani, sempre con la violenza. Questo è il western. Che però l’America propone come un medio evo della sua storia – per la storia Usa quello che il Medio Evo fu per l’Europa. Allora si può crearne il mito, ma solo ex post, e disgiunto dalla realtà circostanziale.

Calabresata
Col titolo “Calabresata” Vittorio Imbriani, loo scrittore filologo napoletano collettore di fiabe e tradizioni popolari, innesta in nota, nella “Novellaja fiorentina” del 1871, a proposito di qualcuno che pretende di essere riconosciuto per quello che è, o meglio si vuole che sia senza nome né altra pezza d’appoggio - uno sciocco, nella “calabresata” due sciocchi –, questo aneddoto: “Così raccontano a Napoli d’uno studente calabrese che s’affacciò alla ferrata della posta, chiedendo se ci fosser lettere di suo padre. N’era giunta una con questo indirizzo: A mio figlio, vestito di nero, in Napoli. Gliela consegnarono senz’altro, stimando non senza ragione tal doppia prova d’insolità semplicità esser dimostrazione di parentela”.
Sempre i napoletani hanno opinione pessima dei calabresi. Che derubano inevitabilmente e impunemente.

leuzzi@antiit.eu

La vacanza senza l’acqua, omerica

Una rappresentazione omerica, cioè semplice. Dell’amica interprete a Ginevra pronuba di una vacanza. Della casa nuova nella campagna sullo Ionio, nuovissima, gli intonaci odorosi non ripuliti, i serramenti non provati. Con tanta buona volontà, senza l’acqua. E il panino, la farcitura del panino dal droghiere la mattina.
Una prova di bravura di questo scrittore greco-ginevrino, morto tre anni fa, la sua meglio riuscita: di cose e mondi diversi, che parlano da sole, di linguaggi diversi. Rimasta inedita in italiano, benché l’autore fosse emerito di riconoscimenti, due volte premio Schiller in patria e premio Taormina nel 1970.
Georges Haldas, La maison en Calabre

giovedì 25 luglio 2013

Problemi di base - 148

spock

Se non faccio una pazzia
Impazzisco
O se non impazzisco
Faccio una pazzia?

Senza Napolitano niente Pd?

Perché Napolitano tiene in piedi il Pd?

Matteo Renzi si è fermato a Gian Burrasca?

È più populista Berlusconi, oppure la Corte Costituzionale?

Perché il buio è pesto se il pesto è verde?

E l’aria fritta?

spock@antiit.eu

Il Pci finisce nel bluff

Più che di un dramma, la fine del partito Democratico dà l’impressione di un bluff. Tra rilanci a perdere, ammuine, traccheggiamenti. Non onorevole: è una mano che non ha bisogno di forti giocatori per vedere il bluff, bastano come sembra i Dc imberbi. Il tempo in cui gli interessi (costruttori, immbiliaristi, banche, finanziarie) hanno puntato sul Pci, ex, come quello che era in grado di garantire le decisioni, amministrative e giudiziarie, è stato breve, da tempo è trapassato, ora vige la sacrestia.
Con l’ottica del bluff si rivedono meglio anche i settant’anni della Repubblica, l’ineffettività del Pci.
Non si fa la storia sul dopo, certo. Ma non è illecito rivedere una vita dalla fine, e qui questa prospettiva è utile. Anche risolvere la storia in poche righe è sbagliato, ma qualche piolo si può mettere. Una storia del Pci allora - peraltro non proprio riassestata su questa fine malinconica, non del tutto - potrebbe essere questa.
Abbiamo avuto un Pci togliattiano, attento agli equilibri politici invece che alla società – alla libertà, alla creatività. Con un proiezione culturale, nel cinema e in letteratura, da lasciar perdere. Indeciso sempre a tutto – questa era la posizione migliore del togliattismo. Incapace di comprendere le novità, produttive, sociali, mondiali, se non con dieci anni di ritardo, e spesso su indicazione sovietica. Il poco che la Repubblica ha fatto, in materia di diritto di famiglia, diritti civili, diritti del lavoro, lo ha divisato e realizzato il Psi, con la “dura opposizione” di quel Pci. Togliattiano e post. Il partito aumentava i voti a ogni elezione, ma un po’ alla Grillo, per protesta, per essere fuori delle alchimie di governo.
Poi è venuto Berlinguer, che ha cominciato a perdere anche le elezioni, e ha inquadrato il partito in assetto da guerra civile: noi contro tutti. Facendosi forte, anche in morte, anche postumo, della questione morale. Lui che aveva tanti amministratori sotto processo quanti ne aveva il caf messo assieme, tutto il centro-sinistra.
Poi è venuto lo scioglimento, che è stato una serie di sconfitte – benché Berlusconi non fosse imbattibile, un paio di volte lo ha sconfitto Prodi, un uomo solo. La caduta del Muro, invece che essere il punto di rilancio, come è delle crisi, spesso “salutari”, ha avviato una serie di sconfitte che definire errori è un errore: sono il segno di un’incapacità mentale. Di un partito senza verità, solo compiacente con se stesso. Che più che una fede e un impegno impersona una burocrazia. Con i suoi piccoli – e meno piccoli, si veda il sacco urbanistico di Firenze – interessi.
Il Sud è stato alienato alla carriere di Caselli e Violante - non sembra possibile ma è quello che è accaduto. Il Nord al fascismo giustizialista. Al fascismo in senso proprio, non per modo di dire: c’è una sola corporazione in Italia, ed è quella dei giudici, impenetrabile a ogni buonsenso, nonché alla democrazia e alla costituzione, solo violenta. Mentre le regioni rosse si scoprono amministrate più male che bene, la Toscana e l’Umbria dopo Bologna – erano città e territori che dopotutto si amministravano bene perfino col papa, o con gli arciduchi assenti. Il grande patrimonio cooperativo, di produzione, trasformazione e consumo, è lasciato allo sbando.
Un partito, forse, ancora di massa – un 10 per cento è sempre un quattro-cinque milioni di voti. Ma di masse disperse, in età, infine scettiche.

La veridica Italia degli anni Sessanta

Pennacchi sa raccontare (rivivere) il nulla – la vita di un ragazzo a Latina. Una delizia, per quattrocento pienissime pagine. Con chicche varie - la statica applicata alla poesia e all’amore è la più fine, ma non la sola – e mai impositivo. Rispetto al neo realismo cui è stato apparentato, un documento anche veridico della vita in provincia negli anni 1960. Con qualche faglia – l’autostop con Pasolini in Mini Minor da Roma ad Arezzo, per esempio: “Teorema”, i “fascisti rossi” e il “Corriere della sera” non collimano. Ma compresa la teoria, che sarà di grande utilità agli storici, che gli “anni di piombo” sono germogliati a metà marzo 1968, quando Almirante prese d’assalto la Sapienza occupata, rompendo il fronte generazionale unito di due settimane prima a Valle Giulia. E comprese le ultime scuole medie dei poveri in seminario – come già Collodi un secolo prima: bisognerà sottrarre la storia all’anticlericalismo. Pennacchi ci sta poco, ma abbastanza per padroneggiare Cicerone come Manzoni.
In questa “seconda edizione” Pennacchi ringrazia “gli amici e compagni dell’Anonima Scrittori”, elencandoli. Una nuova arcadia, Diggei Melonarpo, e Euriloca, con Euridice, etc., anglo-italianizzata. Bisognava pensarci, il millennio è questo - ma niente paura, lui ne è indenne (è solo interista, ma con juicio)..
Antonio Pennacchi, Il fasciocomunista, Oscar, pp. 335 € 9,50

mercoledì 24 luglio 2013

Una Consulta di piccoli politicanti

Dunque, per l’ennesima volta, lo stupro non è un delitto grave per questa Consulta. Quello di gruppo, anzi, è un quasi-delitto, una categoria bizantina del diritto. Non è chi non veda l’incongruità di tale pronuncia, per di più in una fase acuta di violenza sulle donne, ma non è una sentenza isolata, è la seconda in due anni.
Si è addebitata a questi giudici una insensibilità “generazionale”, generata dalla formazione su vecchie norme – il giudice Giorgio Lattanzi, il relatore, ha ottant’anni. Ma l’età media della Consulta è sui sessanta. Sempre a discolpa, si è argomentato il giuridicismo della magistratura giudicante, la ricerca della cosiddetta “lettera della legge”. Ma nel caso le decisioni di questa Corte vanno contro ogni principio del diritto (la premeditazione, l’organizzazione, la violenza certa), oltre che contro l’umana sensibilità. E contro una legge in essere, la 275, comma 3., terzo periodo, del Codice Penale, senza dire in difesa di che norma o principio costituzionale.
Non sarà una Corte di politicanti? Piccoli, opportunisti. È opportuno dire che un consiglio dei ministri non è un legittimo impedimento, se l’imputato è Berlusconi. E

Camilleri si ricorda con gusto

Una serie piacevole di aneddoti in forma di ricordo. Sono i testi dell’intervista in forma di narrazione realizzata nel 2006 da RaiSat Extra, trascritti dai curatori, Francesco Anzalone e Giorgio Santelli. Con almeno un fatto vero nell’antiamericanismo di Camilleri: “Su sessanta paesi della provincia di Palermo, vennero eletti sindaci, dagli americani, ben trenta mafiosi” – eletti è impreciso ma i mafiosi sono veri. 
Andrea Camilleri, I racconti di Nené, Melampo, pp. 153 € 11

Letture - 144

letterautore

Dante – L’ “Inferno” Pennacchi (“Il fasciocomunista”) prospetta come un capolavoro di statica: “Ogni cosa è strettamente dimensionata a quello che deve raccontare. Non c’è un parola in più, una sillaba. Pare che tutto si regga per miracolo: lo stretto necessario, neanche un elemento a sezione larga, neanche una trave a T”. La statica s’intende della scienza delle costruzione: “Solo travetti che vanno da una parte all’altra, s inclinano, si incrociano; tutti calcolati a pelo, ma messi insieme fanno una struttura reticolare, indistruttibile. Una struttura biologica. La vita”. Nel “Paradiso” invece “ogni cosa è sovradimensionata”: un palazzo, con molti addobbi.

Islam – La donna vi fu lungo idealizzata – viene dall’islam l’idealizzazione della donna e l’amore cortese. È araba, nella filosofia, la dominazione-denominazione, la metrica, la poesia cortese. La poesia siciliana, la prima italiana, del Sud e del Nord, e quella occitanica, che si diramò fino a Firenze. Del regno di Granata, e della sua proiezione siciliana. È nella poesia e l’ermeneutica araba che i cristiani trovarono nei secoli XII e XIII l’amore cortese e l’ideliazzazione della condizione femminile. (Couliano vi fa un accenno, “Eros e magia”, p.33).

“L’Islam non è solo una religione, è soprattutto il referente storico e sociale di realtà etniche, culturali, politiche, statuali, esistenti da quasi millecinquecento anni ed estese su un territorio che va dal Marocco all’lndonesia, coinvolgendo oggi oltre un miliardo di individui”, come amava ricordare il compianto Giorgio Vercellin nelle sue “Istituzioni del mondo musulmano”.

A Baghdad si è ucciso il poeta, come nel film di Benigni, a Kabul il suonatore di ghol. Talebani andavano a caccia di tamburi, “musica impura”, anche se il ghol, il tamburino profondo, è nella tradizione musicale afgana. Tutto questo non è propaganda ostile, sono fatti. Si sa che sotto il mullah Omar gli aquiloni erano proibiti in tutto l’Afghanistan. Si uccidevono i barbieri che tagliavano la barba “come gli occidentali”. E le maestre: non ci dovevano essere scuole femminili. Anche i maestri sono stati uccisi, nel 2007, a diecine nelle zone dell’Afghanistan “liberate” dai talebani. Dove si situa la crudeltà?

Anche le decapitazioni: sembravano storie inventate dalla Cia per screditare gli arabi, ma “Al Jazira” le ha documentate. Nel video più celebre il boia è un ragazzo di dodici anni, ma potrebbe averne meno, che con un coltello più lungo del suo braccio sgozza il condannato. Anche della lotta secolare fra cristiani e mussulmani non ci sono precedenti, non che si celebrino, di cristiani che abbiano martirizzato gli islamici mentre pregavano nelle moschee, o abbiano rapito, sgozzato e buttato ai porci mullah e ayatollah. Su You Tube un cantante noto in Turchia ha inneggiato per molti mesi all’assassinio di don Santoro nella sua chiesa a Trebisonda.

Italiano – “I primitivi italiani posseggono grazia e allegria perché sono italiani” – Anatole France, “La rivolta degli angeli”, 51.

Scrivere - Tutto sarà stato già pubblicato. Ma non tutto è stato scritto.

La scrittura assume l’aspetto della ridondanza, di nuovo. Per supplire all’insignificanza - perdita di senso? “Corrispondenza epistolare”, “racconto narrato”, “vittoria cercata”, il tedesco vi eccelle. Pretendendosi precisione, ma è insicurezza, come una deresponsabilizzazione.
Di Tabucchi sono “le coste atlantiche del Portogallo”, come se il Portogallo ne avesse altre, e dei rafforzativi (invece degli ossimori?): “asciutto e lapidario”, “insolente e beffardo”, “intenso e struggente”, meglio allitterati, “infame insolenza”.

Sicilia - Si legge, non si commenta, “I vecchi e i giovani” di Pirandello, l’opera devastante sul Risorgimento e l’unità. Si legge come un’opera buffa “La concessione del telefono”, l’apologo di Camilleri che spiega la deriva dei pubblici poteri in Sicilia. Si celebra “Il gattopardo”, facendo un classico di un testo raffazzonato è un po’ stantio (risentito, da declassato). Lo si celebra non per quel tanto di verità “politica” che esso contiene (la verità vi è succedanea), quanto perché i siciliani fa sciocchi e beghini, le siciliane perdute dietro i gelati sciolti e le figliolanze..

Garcia Marquez è stato a Pantelleria. C’era sicuramente, con la moglie e i figli, quando Armstrong scese sulla Luna. Ma solo Plinio Mendoza, il suo più intimo amico, lo ricorda, poiché fu suo ospite nell’isola, stimolato da Riccardo Jannello sulla “Nazione” del 20 luglio, in occasione della traduzione del suo libro di ricordi “Quegli anni con Gabo”. Garcia Marquez ne scrive anche in almeno uno dei “Dodici racconti raminghi”, quello intitolato “L’estate felice della signora Forbes”.Con un taglio hemingwayano, alla “Vecchio e il mare”, e anche, un po’, alla “Via col vento”.
Nell’isola non lo sanno e non interessa – le glorie dell’isola sono Armani, e Alessandra Ferri, le loro ville vengono mostrate da lontano. Neppure ai suoi esegeti, benché entusiasti, interessa. Gabo era ospite a Pantelleria del traduttore italiano, Enrico Cicogna, a Punta tre Pietre – da dove può capitare la notte di vedere le luci della Tunisia. Era il luglio 1969, 45 anni fa. L’unico ricordo di Garcia Marquez a Pantelleria è un articolo di Mario Di Caro su “Repubblica-Palermo” il 31 marzo 2009.

letterautore@antiit.eu

martedì 23 luglio 2013

Mantra - 3

Due mandragole
Della mandria
Mandate
Dai mandriani
Al mandarino
Si rimembrano
Nel mantra.

L’Ottantanove di Furet era di Manzoni

Manzoni l’ha lasciata incompiuta e postuma, dopo aver fatto tante ricerche: ne sentiva il bisogno, per onestà, ma non ne aveva voglia – per conformismo? Avrebbe preceduto la lettura oggi più accreditata dell’Ottantanove, quella di Furet: della rivoluzione come un evento “non inevitabile”, e anche infausto, per aver stroncato il potenziale “riformatore” che s’era andato accumulando con Luigi XVI.
La rivoluzione si fece contro la spesa dello Stato, contro le troppe tasse.
Alessandro Manzoni, Storia della rivoluzione francese

Vero o falso - 6

Gianni Zonin, Banca Popolare di Vicenza, acquirente della cassa di risparmio di Prato, vuole nella città veneta i tesori d’arte accumulati dall’istituto toscano. Vero, s’è già preso i quadri di Caravaggio, Bellini e Filippo Lippi.

Carrara compra a Udine i marmi per il suo nuovo ospedale. Vero.

Le Coop distribuzione vivacchiano coi contratti di solidarietà. Vero.

Le Procure indagano e puniscono le indiscrezioni illegali ai giornali di destra, non puniscono, e anzi non indagano le indiscrezioni a sinistra. Vero.

Le Procure si collocano a sinistra per evitare la riforma della giustizia. È possibile, molti giudici sono fascisti.

I giudici si oppongono alla riforma della giustizia perché comporterà la distinzione delle carriere, tra inquirenti e giudicanti. Vero: molti giudici possono oggi diventare Procuratori Capo o vicari, nelle procure d4lla repubblica, e nelle Procure provinciali e distrettuali antimafia, che poi non lo potrebbero.

La Toscana perde “oltre” il 50 per cento dell’acqua trasportata nei suoi acquedotti. Vero.

Google deve pagare le tasse in Italia. Falso.

C’è libertà di domiciliazione d’impresa nell’Unione Europea. Vero.

L’Agenzia delle Entrate accusa la libertà d’impresa di favorire l’evasione fiscale per non fare la vera lotta all’evasione fiscale. È possibile, pure questo.

lunedì 22 luglio 2013

Mantra - 2

Due mandriani
mandano
due mandragole
della mandria
al mandarino
nel mantra.

Carlo Collodi esce dall’anonimato

Nuova vita per Carlo “Collodi”, che si riscopre altro che il pur immortale autore di Pinocchio. Così come lui la cominciò verso i cinquant’anni. Quando tradusse le fiabe di Perrault, “La bella addormentata”, “Cappuccetto Rosso”, “Il gatto con gli stival”, “Cenerentola”, “Pollicino”, “Pelle d’asino”, “Barba-blu”. Che qui si ripubblicano, in una lingua ancora oggi gradevole – guarnita di illustrazioni fantasiose ma intonate (che ne fanno un’edizione da ricordare – ma una nota non avrebbe fatto male). Una raccolta che triplicò con fiabe di Madame d’Aulnoy e Madame le Prince de Beaumont.
Carlo Collodi, ill. Giuliano Ferri, I racconti delle fate, Gallucci, pp. 375 18

domenica 21 luglio 2013

Mantra

Due mandarini
mandano
due mandragole
alla mandria
nel mantra.

Canfora si spreca

“Gesù morì come Meleagro”, il “Sole 24 Ore” apre così il suo supplemento letterario (giovandosi di uno studio iconografico a quattro mani di Settis, Ginzburg, Maria Luisa Catoni e Luca Giuliani), il giornale del cardinale Ravasi, e dunque non c’è da meravigliarsi. Ma la funzione di Giovanni Paolo II ridotta a “liberare” le prostituzione polacca e ucraina per i mercati dell’Ovest (sic!, p. 143) non fa nemmeno ridere. Non è la sola scemenza di Luciano Canfora in questo intervistone. Carioti sempre accorre a metterci una pezza, ma l’incontinenza sembra aver colpito lo studioso – è anche lui, come Camilleri, a un libro al mese. Innumerevoli e fantastiche le elucubrazioni su Stalin – anche noiose per la verità, dopo la prima sorpresa (Canfora ha pur sempre il merito di parlarne, l’Urss è in Italia come se non fosse esistita). Lui che non era comunista. Sciocco (scipito) lo snobismo antidemocratico – la scoperta dell’Africa, la quale era stata scoperta prima di Gesù Cristo. Intemperante come un (vecchio) lettore del “Manifesto”, con sussiego critico.
Forse è la formula: trecento pagine di so tutto non le reggerebbe Domineddio, il deprecato. Il monumento inevitabilmente è indigesto. Ma qui di più perché Canfora vi si presta, malgrado la saggezza che professa, di tutto sa di più, da Tucidide a Stalin: l’Occidente, l’Oriente, la schiavitù, i monoteismi, l’arricchimento, le élites, le plebi. Asintotico e apodittico, il che aggiunge alla fatica della lunga lettura. Una sorta di esercizio masochista, in autoantipatia.
Il problema è che Canfora è diventato “comunista” dopo – ma qui dice che lo era già a quattordici anni, al punto che, prima di compiere i quindici, aveva già abiurato? O è il modello talkshow che sembra esaurire ogni ambizione? Fare il personaggio, con inquadrature lusinghiere, e parlare il più a lungo possibile, non importa ciò che si dice. Con qualche merito, Canfora ne ha le attitudini, bisogna riconoscergliele.
Come studioso dei processi politici si professa ricercatore, se non teorico, delle élites. Incantato dalla “generale vittoria della storia, intesa in senso continuistico, sull’ideologia” (non possiamo non dirci crociani?), in Russia, in Cina, in India. Di Gramsci ricorda che vedeva il fascismo “destinato a durare”, non un’opera dei pupi: “Mussolini aveva pacificato l’Italia”, dopo una quasi guerra vivile. Gli dei greci sono gli stessi degli egiziani, seppure con nomi diversi. La chiave del crimine organizzato (mafie, terrorismi) è in Tucidide – nella parafrasi di Canfora: “Spesso i congiurati commettono tutti insieme un reato per confermare il legame reciproco e vincolarsi a non tradire”. La sofistica, “che è forse la matrice di tutta la filosofia successiva (inclusi i suoi strenui avversari Socrate e Platone), esprime un pensiero radicalmente laico, che mete in luce il carattere convenzionale della legge di contro alla «natura umana» unica vera. Dov’è la divinità in questa concezione del mondo? Non c’è, non vi trova alcuno spazio”. Il ceto medio “assomiglia un po’ al Medio Evo, che è definito dal fatto di collocarsi tra l’antichità e l’età moderna”, e in realtà non ha nome. E Mussolini “espressione dei ceti medi emergenti”? “Mussolini può contare anche su vaste adesioni tra le classi popolari”. Non è tutto, ma è vero che non è molto.
Violenta ma magistrale, in ogni punto, la diagnosi dell’Europa germanizzata, o dell’euro. Canfora sa anche che la magistratura politicizzata è di destra.  E fa capire, anche se su questo non si espone, che la “guerra civile” imposta ai grandi giornali, tipo le 10 domande a Berlusconi su “Repubblica”, risponde a una mentalità violenta. Fungendo da sparring partner al suo talkshow qualcosa però gli va obiettato. Lo Stato sociale non è stato creato dopo la grande guerra, fu creato da Bismarck, e rinvigorito negli anni 1930 dal laburismo britannico. È sempre dubbio che Berlinguer intendesse quello che diceva quando parlava di autonomia dall’Urss, poiché ne ha ricevuto dollari e materiali pregiati (con gli sfioramenti svizzeri sull’ex-import con l’Italia) fino all’ultimo. E soprattutto perché il Pci è arrivato al 1989 del tutto impreparato, senza sapere che fare – e lo dimostra ormai da venticinque anni. È il fascismo che “traccia il solco” al nazionalismo nei paesi ex colonizzati, per quasi un secolo e ancora dura. Non Breznev, e sicuramente non il nazismo (il nazionalsocialismo), che sciocchezza. Quanto all’Europa Anno Zero, Canfora si dice folgorato da Niall Ferguson, “Occidente. Ascesa e crisi di una civiltà”: “Stiamo vivendo la conclusione di 500 anni di predominio occidentale”. Questo è vecchio messianesimo da “Enciclopedia Sovietica”: gli Usa non sono Occidente, la Cina non è un colosso coi piedi d’argilla, e perché non chiamare l’Europa Europa? L’impero Usa è “piuttosto ammaccato”. Dove? In America Latina, il cortile di casa? Nel Medio Oriente, che gli Usa controllano in ogni granello di sabbia, mantenendovi mezzo mondo? In Cina, nel Pacifico? In Europa? Per uno storico, seppure dell’antichità, parlare del cristianesimo come ne parla Canfora è un’offesa a se stesso prima che al suo soggetto. Del papa abbiamo detto. Del cristianesimo l’approssimazione meno ostile è: “Una scuola d’intolleranza che sfocia nelle guerre di religione”.
Antonio Carioti, a cura di, Luciano Canfora, intervista sul potere, Laterza, pp. 283 €12