Cerca nel blog

sabato 5 luglio 2014

La Germania salvata dall’Europa

Chi ha preso cosa, e chi ha preso di più? La Bundesbank non smette la polemica – preventiva – contro l’Italia, ma sono state le banche tedesche finora le sole salvate dall’Ue. Dalla Bce, ma a spese della Ue, cioè anche dell’Italia. È un aspetto non noto dei primi anni della crisi, 2007-2010, che “Gentile Germania” spiega, sulla base di dati tedeschi. Come in questo estratto:
“A ottobre 2011, per riaccendere la crisi che si affievoliva dopo la vendita dei Btp, il capo economista della Deutsche Bank, Thomas Mayer, pubblicamente aveva ammonito contro ogni aiuto all’Italia. In una col presidente del Ces-Ifo di Monaco, rinomato istituto di studi sulla congiuntura, Hans Werner Sinn, che aveva redatto e pubblicizzato una serie di note contro l’Italia, sul debito e le banche.  Con l’effetto non casuale di mettere nel mirino le banche italiane, meglio gestite e capitalizzate delle tedesche, elevando una cortina di fumo su quest’ultime, che erano tutte un colabrodo, Deutsche inclusa. “Offrire un’assicurazione di prima categoria sui titoli contro il fallimento dell’Italia ci colpisce come offrire un’assicurazione sulla cristalleria al padrone di una casa prossima a un impianto nucleare che sta per collassare”, scrisse Mayer online nel bollettino della banca. Neppure con la garanzia del Fondo europeo di stabilizzazione: “Né il padrone di casa né il detentore di titoli italiani si sentirebbero molto sollevati da questa assicurazione”. Con spreco di distinzioni fra germanici e latini.
“Questi personaggi non sono isolati. Sinn è pure più popolare dell’onorevole Dobrindt: quando sparla dell’Italia ride. Nel 2013 ha avuto il premio Erhard per l’economia “sociale di mercato”. Gliel’ha dato il dottor Mayer, per aver sfidato il Fondo europeo di stabilizzazione e la stessa Bce alla Corte costituzionale tedesca. Mentre periodicamente, per tutto il 2012, Jürgen Stark scandiva su Handelsblatt, il Sole 24 Ore tedesco, la fine della Bce. In odio a Draghi e all’Italia. Nel 2013 ha persistito: il 25 luglio annunciava “il culmine dell’eurocrisi nel tardo autunno”, dopo le elezioni tedesche e la pronuncia della Corte costituzionale. Stark, ex Bundesbank, membro del direttivo Bce, s’era dimesso nel settembre 2011, in polemica con Draghi, prima ancora che Draghi arrivasse. Nel 2013 sotto accusa di Sinn, Stark & co. fu la Francia: un allargamento del fronte latino che non significava un’assoluzione dell’Italia ma un aggiramento per un migliore sfondamento.
………………..
“A fine maggio del 2012 Thomas Mayer è stato licenziato. Una tavola da lui costruita per dimostrare che Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia erano stati i beneficiari dei finanziamenti europei tramite la Bce dimostrava l’opposto.
“I rifinanziamenti Bce sono andati per l’80-90 per cento ai paesi euro del Nord da metà 2007 a metà 2009, e per il 60 per cento e oltre agli stessi paesi da metà 2009 a metà 2010. Quindi per tre anni, quando la stessa Deutsche Bank se la vedeva brutta, e alcuni colossi olandesi, belgi, austriaci. Solo nei dodici mesi successivi i Gip, Grecia, Irlanda, Portogallo, sono arrivati al 50 per cento – Italia e Spagna ancora a ottobre 2011 non superavano il 5. Non era la sola bizzarria del computo: i Gip erano arrivati al 50 per cento degli impegni Bce quando questi erano stati ridotti, a 400-500 miliardi. Quando la Bce aiutava i nordici l’impegno era sopra i 700 miliardi, in alcuni mesi sopra gli 800.
...............................
“Il dottor Mayer dimostrava cioè che per tre anni la Bce ha finanziato la galassia bancaria tedesca. Forse per questo fu sostituito, dopo il supermanager Ackermann di cui era stato il consigliere. Ma non cessò  di insistere. Allo Handelsblatt a fine maggio 2012 spiegava: “Vedo l’Italia molto peggio della Spagna”. La cui banche erano al fallimento in senso proprio, tecnico, con miliardi di metri cubi già costruiti invendibili, un negozio chiuso su due, i disoccupati al 20 per cento, un’economia senza più credito.
…………………..
“Ufficialmente la Germania sosteneva, guardando ai saldi della bilancia interna della Banca centrale europea, che la Bundesbank sopporta i costi maggiori della crisi. Trovandosi per questo sovraesposta nei confronti del Sud Europa, dei paesi col debito più alto, e quindi essa stessa a rischio contraccolpi. Era la tesi del presidente della Bundesbank, Weidmann, e più ancora del beffardo Sinn. Mentre i conti dicevano il contrario: il Sud Europa paga l’austerità, la Germania accumula attivi. Sono questi attivi fragili, a rischio cancellazione? Ma è la Germania che ne blocca il bilanciamento, col no a una politica Bce espansiva e il no agli stimoli alla sua domanda interna, che consentirebbero più esportazioni – più lavoro, più reddito - ai partner euro.
“Non si tratta di analisi contrapposte: la Germania è stata la beneficiaria, unica, della crisi. È un fatto. Pure prima, va aggiunto, la Germania ha usato l’euro a suo vantaggio, trasgredendo i vincoli di bilancio quando le fece comodo. Nella crisi ne impose di severissimi nella stessa ottica, del vantaggio nazionale. Né va trascurato che il debito greco e l’immobiliare spagnolo sono opera in larga misura delle banche tedesche. Che in un tribunale fallimentare sarebbero imputate di bancarotta fraudolenta, di aver sottratto cespiti all’attivo. Nel mentre che il loro governo bloccava misure europee comuni di contrasto all’evasione fiscale”.

Una piccola vita quotidiana dell’anno Duemila

L’Ikea, l’esotismo, la business class, “il” Wing dell’aeroporto di Hong Kong, il Long Bar di centinaia di metri, il villaggio Valtur, il Potsdamer Platz, i resort esclusivi, le massaggiatrici algide, il fruttolo, la ricerca del “campo” per gli sms, nella giungla, gli animatori, lo straniamento a letto, la notte, con la ragazza, le “nigeriane”. Piccolo ci si perde e si diverte. Alla maniera di Roland Barthes, quando fece le “mitologie” del Tour e altre passioni universali fatali. Un antropologo del quotidiano dunque, col sorriso. E con uno sguardo non compendiativo, non propriamente alla Barthes, ma particolareggiato, come guidato da occhio onnivoro. O in successione d’immagini da occhio prensile, da cinepresa, da sceneggiatura. Da Nanni Moretti più che da Barthes: una semiologia alla portata di tutti.
Poco alla fine sappiamo di Hong Kong, o di Berlino riunificata, o del Queensland australiano, foresta pluviale e reef corallino compresi, poiché il letterato italiano viaggia intorno a se stesso. Ma, avendo condiviso l’esperienza di Bologna per comprare la libreria, quando l’Italia era divisa in due e l’Ikea stava sopra l’Appennino, avendo viaggiato in business, e avendo sperimentato ripetutamente l’esotico turistico, purtroppo non da turista, si può testimoniare che Piccolo è anche testimone fededegno. Un giorno, se qualcuno avrà la curiosità di sapere come si viveva a Roma, Italia, Europa, attorno all’anno Duemila del vecchio calendario gregoriano, Piccolo verrà anche utile - esca alla saggezza, che è sempre posteriore: che vita è questa?  
Francesco Piccolo, Allegro occidentale, Einaudi ET, pp. 221 € 12

Le carissime Autorità di controllo

Costano un paio di miliardi, l’anno. Da cinque si sono moltiplicate: sono forse dodici, forse quindici – ogni tanto se ne scopre una nuova. Servono a dare superstipendi ai giudici, penali, civili, amministrativi, contabili. Non garantiscono e non controllano nulla. L’indovinello è facile per chi abbia familiarità con questo sito: sono le Autorità di controllo e garanzia del mercato, settoriali, morali, perfino filosofiche - semiologiche: quella delle Comunicazioni, o quella della Privacy.
L’idea non è male, che ora va per i vent’anni. Le prime Autorità furono varate da Prodi nel 2006, con la scelta delle Autorità di settore invece di un unico organismo di Tutela sul mercato. Vanno in parallelo con le privatizazioni e le liberalizzazioni e dovrebbero tutelare i consumatori e gli utenti dagli eccessi dei fornitori di besi e, soprattutto, di servizi. Ma sono state create e sono gestite come posizioni di potere: i giudici e i cosiddetti esperti rappresentano gruppi politici e d’interesse.
Nessuna Autorità si è segnalata mai per una decisione a favore degli utenti-consumatori. Le tariffe sono le più alte in Italia di tutta l’Europa, nell’energia, la telefonia, la banca, le assicurazioni. Almeno tre Autorità controllano gli appalti pubblici, che ciò malgrado si estendono all’infinito, moltiplicano i costi, e navigano nella corruzione. C’è un’Autorità che garantisce la Privacy, e in Italia non ce n’è una briciola: tutti sanno tutto di quanto guadagniamo, di cosa compriamo, dove, quando,  quanto paghiamo di bollette, quanto risparmiamo.

venerdì 4 luglio 2014

Guerra all’Italia, a settimane alterne

Per  tre anni l’Unione Europea si è svenata per salvare le banche tedesche, ma nessuna autorità monetaria italiana si è permesso di denunciarlo in pubblico - nonché di ostacolare il salvataggio (ma questo è un altro discorso, bisogna tornarci su). L’effetto annuncio è sempre stato particolarmente incisivo in materia monetaria e finanziaria. L’opinione italiana bizzarramente lo trascura, mentre è usato con virulenza, e anche con violenza, a Berlino. Soprattutto contro l’Italia.
In materia di moneta la discrezione è sempre stata d’obbligo, e più tra i diretti responsabili, i vertici delle banche centrali e i ministri del Tesoro e delle Finanze. Ogni loro dichiarazione influenza i mercati. La regola è nota a tutti, e tutti si comportano di conseguenza: se un ministro del Tesoro o un presidente di banca centrale dice che qualcosa non va, non si sta a discutere, si agisce di conseguenza. Tanto più con questa Bundesbank, il cui presidente Weidmann è solo un impiegato di Angela Merkel, uno della sua segreteria che aveva un diploma in Economia, nemmeno la laurea.
Da quattro anni ormai (il libro “Gentile Germania” documenta la prassi a cadenza alternata quindicinale), Weidmann e Schaǔble, il ministro delle Finanze, trovano sempre un motivo per allarmare i mercati sull’Italia. Il lavoro è poco flessibile. C’è troppa disoccupazione. C’è troppa evasione. Il debito cresce. La produttività ristagna. I beni pubblici non si vendono. Le riforme non decollano. Dove non il fatto in sé conta: nessuno va a vedere la flessibilità e le “riforme”. Ma conta l’autorevolezza della critica.

L’imperialismo tedesco è duro

Il Germania-Italia torna all’ora della lezione in classe. Con un tutore tedesco sempre più inflessibile, che niente soddisfa. Si penserebbe l’Unione Europa un patto tra uguali, ma la Germania non la pensa così: h un nucleo forte di satelliti, compresa, alla sua maniera sciovinista, la Francia, e con essi ha modellato l’Unione come una piramide: non c’è da discutere, c’è solo da obbedire.
L’argomento che la Germania è parte in causa e quindi ha diritto di critica non vale. La critica va esercitata in queste materie nei luoghi deputati. Fare ogni pochi giorni dichiarazioni in pubblico contro l’Italia è mettere l’Italia indifesa in condizione di ulteriore debolezza. La conseguenza non è da poco, ed è anzi all’ora attuale il punto debole più forte dell’Italia: non ci sono schermaglie politiche Berlino-Roma, c’è un attacco costante, amplificato dall’effetto annuncio, di Berlino contro Roma.
Questi sono i fatti dell’Unione Europea all’ora germanica. Che la Germania si arroghi, con cognizione chiara degli effetti, queste critiche distruttive è un segno da non sottovalutare: non è un eccesso inconsapevole e non è un errore, è un modo di essere. Passiamo da un imperialismo atlantico a uno tedesco e le differenze sono enormi: dalla crescita materiale e democratica perfino abnorme alla dissoluzione, senza remissione.      

Secondi pensieri - 180

zeulig

Amore - Ogni amore è amore di una cosa, la moto, la bici, la macchina, un vestito, o il paesaggio e il chiaro di luna, in riva al mare, una notte di mezza stagione, limpida, in Africa, dov’è rossa, o a Sorrento, dov’è d’argento. Le quali cose certo ci turbano, ma non per sempre, e non alterano. Si può disprezzare il cibo, gli americani lo fanno e ingrassano lo stesso, forse di più, riducendolo a per centi di calorie, vitamine, proteine, amminoacidi o che altro. Ma ognuno vuol bere un bicchiere di vino gustandolo invece che trangugiandolo.

Non si ama uno scheletro ricoperto di adipe e pelle, l’anima ha bisogno di palpitare. Ci riesce attraverso nuove esperienze: la novità di un corpo è più forte dell’amore e della bellezza. Ma poi la bellezza è aspirazione che nulla può sostituire, l’orgasmo l’attenua temporaneamente. E l’amore, dov’eravamo rimasti? Se la vecchia voluttà, oggi erotismo, è il narcisismo del corpo, l’amore è il narcisismo dell’anima - nei soliloqui si può trovare il profondismo dei baci Perugina profondissimo: senza commercio, eccone un altro, niente filosofia.

Anima – Corneille ce l’ha nel Poliuto: “Quest’anima così divina\ Non è più degna del giorno, non è più degna di Paolina”.

Con tutta la sessuofobia della chiesa, l’anima in realtà è nel corpo. Il cristiano lo sa, chi è cresciuto con le giaculatorie della Madonna e dei santi, e il corpo di Cristo. Ma, poi, per la stessa chiesa non è “l’anima la forma del corpo”?

Corpo – La bellezza secondo Wilde rivela tutto perché non esprime nulla. Quella dei corpi però esprime. Più e meno di tutto, col desiderio.

È un utile rivelatore, la materia, il mondo. Il suo rifiuto – della chiesa, del femminismo, della morale spicciola - è l’estraneità dell’essere quale è, materiale, che ha nutrito la borghesia, e la chiesa oggi borghese, e le fa ipocrite, quindi stupide.

In materia si può dire il nazismo marxista. Per essere biologico. Per la percezione del corpo in quanto eredità, sangue, passato che non passa, con tutto ciò che questo implica di fatale, quindi obbligato. Un Diamat ematologico. Chiunque enunci un affrancamento dalla fisicità senza coinvolgerla tradisce e abiura, è il nemico.
Lo stesso antiumanesimo che Heidegger dichiara è il Diamat.  

Dobbiamo al simulatore Cartesio , che Spinoza gentile avallò, la dvisone: “Lo spirito e il corpo sono distinti”. O è un errore? Wittgenstein ha trovato che il corpo è l’espressione migliore dell’anima. Ne è comunque l’unica, l’unico suo modo d’essere.

Dio – Morto è probabilmente il Dio di Hegel. Di cui Heine dice “come l’uomo, tramite la conoscenza, diventi Dio, ovvero, detto altrimenti, come Dio diventi cosciente di sé attraverso l’uomo”.

Esilio - C’è quest’idea, laica, del bene che è rinuncia. Wittgenstein come Tolstòj avviò una scuola rurale, per scoprire come il conte dopo un anno che non aveva nulla da insegnare, solo voglia di dare ceffoni. Ma asceta è in greco proprio “colui che si esercita”. A cosa non è detto, forse non a insegnare. Ma dà acuto il senso weiliano di essere in patria mentre si è in esilio – tutto l’opposto dell’Heimatexil che è un’altra anomalia tedesca, l’esilio in patria. Per l’assenza di luogo, una mancanza che l’uomo viaggiatore vive come una pienezza.
Lontana è sempre stata, negli stessi asceti, l’idea del sacrificio nella rinuncia, della cancellazione. Atleti della pietà, forse, non martiri, in connessione intima col bene, esclusiva. Nella concezione gregoriana che la vita autentica è spogliarsi dell’Io, per donarsi alla disposizione a donare.

Materia - Il mondo soffre ancora della riduzione a calcolo che Newton ne ha fatto - di cui bauli di scritti restano impubblicati, troppo segreti. Un satanismo che Goethe non riuscì a contrastare, e che un giorno si domerà introducendo il calcolo nella materia.

Mercato . Non c’è mercato senza regole – il mercato non realizza le eque opportunità senza regole. E dunque senza  l’autorità a esso esterna, normalmente lo Stato, oggi più Stati concorrenti. È l’equivoco di fondo del liberalismo, che presume una continua legiferazione nel senso dell’uguaglianza, delle opportunità, degli accessi.

Narcisismo - Una forma d’avarizia più che di egoismo, o egoismo insoddisfatto perché impossibile.

Natura – È violenta, ma quanto è naturale la natura degli uomini? Accumulatrice di dati e idee, tra il culto del passato e il disegno del futuro. Ha memoria e fantasia, e l’istinto a migliorare. Ha un criterio morale e uno estetico, si penserebbe che è meglio approfittarne.

Non si può rifiutarla. Può essere cattiva e anche nociva, non sempre se ne può fare un’arte, per esempio defecando, anche se si può farlo in sontuosi bagni, o regolarsi come Rabelais, con torche-culs d’occasione. Ma la natura è bellezza. Già Omero spiega che la bellezza non è di per sé, è legata ai sensi: la vista, l’olfatto, l’udito.

Nudo - È difficile riconoscersi nudi. Le persone sono altre, e l’effetto è immediato sulla coppia, dimenticato il reciproco piccolo ignorarsi.

Sesso - L’equivoco si pone perché le donne più non arrapano. Per il privato politico, anzi da trivio in Procura, che è la politica della castrazione.
Il privato politico fu di moda a Berlino nel 1790, l’anno dopo la Rivoluzione. Un privato sterile, da intrattenitrici che promettono più di quanto sanno dare, Bettina, Caroline, Rahel, Henriette, o fantasticare. Il desiderio è dei poveri, insegna Bramieri, il ricco non ne ha bisogno, né il potente. Il privato politico è la rinuncia alla politica, e la rinuncia al privato. E questo è Brecht, Tamburi nella notte. È il totalitarismo, nel terribile 1984 e non solo. O è la politica che è privata, sessuata?
La politica in camera da letto sarebbe ottimo tema, le “posizioni” della politica. Ma terrificante - il peggio dell’insostenibile orwellismo, in “1984” e altrove.

Talk-show – Una famosa intervista collettiva della rivista di filosofia “Sic et non” a Jeanne Hesrsch nel 1996 (“Dialog mit Jeanne Hersch”) si chiude con la menzione del talk-show: “Allora, chiudiamo il colloquio. «Die Zeit» ha concluso l’intervista a Gadamer chiedendogli se vede i talk-show”. “Talk-shows? Cosa sono” “Beh, la stessa cosa ha chiesto lui.  Sono programmi televisivi in cui ci si intrattiene su alcuni argomenti”. “Sì” “Che vede lei di preferenza? “Derrick” “Lo stesso ha detto Gadamer” “Si? Ganzo (facciamola parlare come la Hack, n.d.r., aveva la stessa età e lo stesso piglio)! Ha detto anche lui Derrick?” “Sì. Grazie di cuore per questa conversazione”. “E finisce con Derrick? Peccato, pensavo di avere ancora una domanda. Ma niente, beh, ganzo!” “Però, non ha detto se vi siete mai intesi con Gadamer su Derrick” “No. Mai. Non ho mai parlato con lui di tv”.
Non si ricorda più nulla dell’intervista, l’effetto talk-show è assorbente, cancella tutto.

Vita - La morte è la cosa più naturale, si creda o no nella Redenzione. È la vita che invece è sorprendente, soprattutto l’inventiva straordinaria concessa agli esseri umani, uno spasso interminabile sotto forma d’invenzione e scoperta.

zeulig@antiit.eu

Oggettivatemi, ma non trascuratemi

“Trattare come un oggetto” è nozione vaga. Nussbaum la sistematizza, sulla base di sette criteri: strumentalità, negazione dell’autonomia, inerzia\passività, fungibilità, violabilità, proprietà, negazione della soggettività. Ma anche tutte insieme queste violenze, e includendovi il recenziore femminicidio (è del corpo femminile che si tratta, e già questo è un limite), se definiscono il tema non lo spiegano e non lo risolvono. Alla fine il nodo è sempre quello: che ce ne facciamo del corpo? Molti dei sette criteri peraltro escludono il corpo, lo mortificano semmai con l’assenza (disattenzione, rifiuto).
Di che si discute? Non dell’uso del corpo altrui, nella coppia, la pubblicità, l’informazione, l’arte, ma della pubblicità o mercificazione. Che intanto – ma già vent’anni fa lo era – è del corpo maschile come del femminile, la discussione è impropriamente femminista, giusto all’origine.
La questione è della pornografia – del corpo vilipeso in immagine - e del sesso a pagamento. Condita con una delle banalizzazioni marxiste post-1968, del nucleo centrale e più vivo di tutto Marx. All’improvviso tutto si volle oggettualizzato: il lavoratore, l’intellettuale compreso, il consumatore, l’elettore, la donna. Il femminismo nacque appropriandosi la Versachlichung  o Verdinglichung, cioè l’oggettualizzazone, più la  mercificazione, e l’entaǔsserung, che si traduce ottimamente alienazione – l’estraniazione, Entfremdung. In una versione positiva: la sessualità sta alla donna come il plusvalore al lavoratore, e allo steso modo ne viene defraudata. E in uno negativo: il sesso è, come il lavoro, sfruttamento. Con licenza per il sesso “promiscuo e anonimo”, rileva Nussbaum disorientata, che il mondo gay professava - prima dell’Aids - come “sinceramente democratico”. Benché la componente di classe, andrebbe aggiunto, fosse e sia la componente maggiore del piacere, del ricco e raffinato, Pasolini compreso, col lumpen sporco, e del lumpen col raffinato.
L’oggettualizzazione della persona nel corpo non ha molto senso fuori del senso politico del concetto. Alla maniera del “razzismo antirazzista” di Sartre (“Orfeo nero”), dell’appropriazione di un terreno più che della casa. Il rapporto fisico, perfino quello a pagamento, è difficilmente riducibile all’oggettualizzazione, tante sono le pulsioni che muove. Perfino il femminicidio dilagante, se indagato caso per caso, mostra altre complessità – forse più spaventose (moralmente reprensibili) ma non semplici: l’oggettualizzzione è, culturalmente, eticamente, giuridicamente, l’opposto del femminicidio. Una delle teoriche femministe che Nussbaum contesta in questo saggio, Andrea Dworkin, fu famosa nel 1974 per aver indagato l’odio delle donne, “Woman Hating”, da parte cioè delle donne, con  un’ottica che oggi probabilmente andrebbe rovesciata..
È questo un vecchio saggio, e tale rimane, come documento storico, anche se Martha Nussbaum l’ha voluto rivedere e l’ha integrato per questa riedizione. La filosofa l’aveva scritto nel 1995, incuriosita da un libro indifendibile di Nadine Strossen, “Defending Pornography”, a contestazione della teoria femminista, che tutto riduceva a pornografia, di Andrea Dworkin, “Intercourse”, e Catharine MacKinnon, “Feminism unmodified”. Ma l’abbrivo di Strossen era in gestazione già da un decennio, dalla sorpresa recensione a “Sexual Desire”, il libro seminale (non tradotto) dell’inglese Roger Scruton. E cioè su basi e con fini esattamente opposti alla ricerca femminista: come l’attrazione fisica si concilia col rispetto, di sé e dell’altro – “la parte meravigliosa” del rapporto.
“La libido spoglia il corpo della sua sacralità”, è ben detto dalla curatrice Brunella Schisa. Nel senso che vanno rivendicate “le sacrosante trasgressioni sessuali”. Con i limiti di sempre, etici e giuridici. Schisa cita Houellebecq, l’orrido Occidente che stupra un mondo miserabile col turismo sessuale - le cui origini però, purtroppo, furono negli anni 1960  Cuba, prima che il Brasile e la Thailandia, e sempre si esercita per il lato gay, vantandosene, in Nord Africa, dopo una parentesi sud italiana.
“In un contesto di parità, rispetto e consenso, “l’oggettualizzazione può non essere così problematica”, aveva scritto Nadine Strossen. E questa sarà la conclusione di Nussbaum. Che applica al corpo il suo anticonformismo lieve, non arrischiato. “Se sono stesa a letto con il mio amante, e uso la sua pancia come cuscino, non sembra esserci assolutamente nulla di male”, scrive cose così. E ancora: “Devo questo esempio a Lawrence Lessig”. Che il problema non sia altrove? Nella divaricazione dei linguaggi, per esempio, di quello della sociologia o della filosofia rispetto ai temi che trattano – sensi, sentimenti, passioni? O nel pensiero – nella filosofia – del corpo
Capita di avere notizia sulla “Domenica” del “Sole 24 Ore”, mentre si legge Nussbaum, di tre libri sugli amori di Simone de Beauvoir, corredata di robusto nudo posteriore della stessa in giovane età, e di restare solo confermati che, forse e senza, la demi-castor di Sartre non era omosessuale, né bisessuale o eterosessuale, ma algida e carrierista. Una donna di testa, come si suole anche dire, che curava le forme ma non era interessata. Per questo dimezzata, non oggettivabile. Non oggettivabile, neanche nel più casto dei desideri: questa è l’offesa maggiore – e ancora: non per tutte-i
Scorporati da Kant
La faglia è in Kant, azzarda Nussbaum senza approfondire. Sì, è la faglia più evidente della afisicità di Kant - di Kant come persona: buon bevitore, buon mangiatore, forse buon ascoltatore, ma poco esercitato negli altri sensi. Kant esclude il sesso in difesa del matrimonio, nota Nussbaum. Ma è del matrimonio, avrebbe potuto obiettare, il femminicidio, l’oggettualizzazione (possesso) più marcata del sesso. Non il solo aspetto:  la forma più comune (banale) di oggettualizzazione è la pedagogia spicciola familiare, il rapporto genitori-figli.
Kant era stato messo in campo da Scruton. Che le radici del femminismo trova nella kantiana i distinzione del genere: uomo e donna indifferenti per lui sono, essendo persone, esseri umani. In questo saggio rivisto, non nella recensione a Scruton, Nussbaum fa sua la critica di Scruton al kantismo femminista. I due, che allora litigarono con asprezza, oggi dunque concordano. Concordavano anche allora, ma allora non si poteva: la “New York Review of Books” e Martha Nussbaum, progressisti, pur volendo dar conto di Scruton, conservatore, non potevano dargli ragione e lo seppellirono di critiche.
“Roger Scruton è un romantico wagneriano e un conservatore thatcheriano”, questo l’attacco della recensione, il 18 dicembre 1986, a quasi un anno dall’uscita di “Sexual Desire”. Questa la seconda frase: “Un filosofo sperimentatore, problematico, che è innamorato delle conclusioni politiche dogmatiche”. E ancora: “Uno scrittore sottile della diversità culturale che è  anche portato a perentorie assiomi biologici sulla natura umana”. La recensione di Nussbaum provocò una lettera risentita di Scruton, sul thatcherismo e sul suo assunto principale, che la recensione avrebbe tradito. Cui Nussbaum replicò prolissa, con una messa a punto forse più lunga della stessa recensione. La rivista la chiuse lì (le querelles i giornali limitano chissà perché a una precisazione e a una replica), e i contendenti si separarono insoddisfatti avendo detto la stessa cosa.  Uno scambio che merita sintetizzare – per la cosa in sé, e perché i filosofi sempre più si riducono a cercatori d’oro tardivi, quando le pepite sono state sfruttate, a litigarsi le tracce e i barbagli.
I due litigavano sul corpo. Nussbaum aveva rimproverato Scruton di volerlo inerte: “Ripetutamente parla del corpo come se, senza il pensiero umano ad animarlo, sia qualcosa di inerte e repellente”. Nel paradiso terrestre prima della caduta. Nelle “Vite brevi” vittoriane di Aubrey – “guarda con disgusto l’elemento umano che gode dell’energia e l’esuberanza animale degli atti sessuali”. E ancora: “Il sesso, per lui, è una fatica eroica per il corpo, piuttosto che un’espressione di gioia in esso. Senza mai piacere né divertimento”. “L’argomento filosofico centrale del mio libro è che le persone sono essenzialmente incorporate”, era l’inizio della protesta di Scruton. Il corpo, come non pensarci?    
Martha C. Nussbaum, Persona oggetto, Erickson, pp. 118 € 9

giovedì 3 luglio 2014

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (211)

Giuseppe Leuzzi

Usa a Messina da quattro mesi il “pane pagato”: quattro forni, per iniziativa della Invisibili onlus, mettono a disposizione il pane gratuitamente per chi non può pagarlo. L’iniziativa è stata ripetuta a Lecce, Siracusa, Trapani, Sassari, Ozieri. Ma fa notizia sull’informazione nazionale solo ora che alcuni studenti di Padova l’hanno adottata.
Dei tredici studenti di Padova sappiamo tutto: seguono il corso di Psicologia comunitaria del professor Augusto Vieno, hanno il benestare del Centro universitario (che sarà?), il patrocinio del Comune, e un finanziamento di mille euro da parte di una cooperativa “Raggio verde”. Con cui pagano i fornai per il “pane pagato”. 

A Monaco la più ricca del principato è stata uccisa dal genero, un polacco. Subito si era detto che la cosa puzzava di ‘ndrangheta, e che non poteva essere altrimenti. Ma neanche i killer assoldati dal genero erano calabresi: tutti dell’Est. 
E se a indagare fossero stati gli italiani, invece che i francesi? Ha fatto bene Cavour a cedere Nizza.
Però, una volta accertati i fatti, la cosa è caduta d’interesse: la ‘ndrangheta dei brutti, sporchi e cattivi ha tanto glamour?

C’è in Montaigne la prosochì di Plutarco, l’attenzione, la Sorge di Heidegger, la cura. C’è tuttora nei dialetti grecanici. C’era un paio di generazioni fa in molti paesi calabresi latinizzati tardi, nel Cinque-Seicento.
C’è in Montaigne, non vilipeso, anche l’amor fati. Come sostrato di un’altra psicologia, latina o meglio classica, prima che “meridionale”- cioè “araba”. Una psicologia del meridionale un po’ meno da caserma, che riporta alla consapevolezza e alla tolleranza, all’accettazione del male, non all’arrendevolezza.

“Le famiglie meridionali hanno una strana e univoca meccanica quando accade qualcosa di male”, nota Francesco Piccolo in “Allegro occidentale” (p.94): “Si pensa al male in sé, certo; ma subito,quasi contemporaneamente, la preoccupazione che affianca il male e a volte lo sorpassa è: se dobbiamo dirlo e a chi dobbiamo dirlo”. Partecipare la cosa – anche perché non parteciparla, senza un motivo valido, è escludere la persone.
C’è un che di simbiotico nelle vite al Sud. È il (un) suo limite?

“Danno allo scritto” dell’esame di maturità Quasimodo e Deledda. Due che, per essere meridionali, i programmi del ministero avevano escluso nel 2010. Perché i ragazzi pensino e dicano che sono intrattabili?


Artefice dell’esclusione dei “scrittori meridionali” dai programmi era stata nel 2010 una Commissione molto lombarda della ministra lombarda Gelmini.La quale, per avere l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, era dovuta scendere da Brescia a Reggio Calabria. Chi è causa del suo male…

Il Nord che viene dal Nord
C’è un Nord che viene dal Sud, serio, preciso, perfino amabile, e un Nord che viene dal Nord, terrifico. Che tale s’immagina e si vuole: superiore, duro.
Anche la libertà vi è infetta, la libertà del Nord. Compresa la tolleranza. Che all’atto è la separazione, a Venezia detta ghetto, in Africa apartheid, al Sud che lì è Nord: ogni nazione, religione, tribù vive accanto e non con le altre.
La Finlandia proibì una volta il vino per levare ai celebranti cattolici, che in tutto erano due, il vino da messa. Il divieto non andò a effetto perché l’illiberale zar di Russia lo bloccò.
La rilevanza del vino negli scambi fu scoperta nel ‘33 da Pirenne, acuto storico nordico. Benché costituisse l’esempio cardine della teoria dello scambio di Ricardo dal 1815, e fosse un grande mercato già nell’impero romano. C’è sempre un nuovo inizio.

Rosy Mauro aveva l’amante
L’incriminazione, tardiva, sofferta, della famiglia Bossi getta una piccola luce, un’altra, sul modo milanese di fare giustizia e informazione. Lo scandalo si tentò di scaricarlo su Rosy Mauro. Che era l’unica che non c’entrava nulla con la colossale truffa, ma per via del colorito e del nome si poteva pensare meridionale. Fu così che a molti giornali fu rifilata dagli inquirenti, e molti giornalisti se ne fecero una carriera, la storia che l’allora vice-presidente della Camera aveva l’amante. Non un compagno, da persona singola, no: l’amante. Che è vezzo sbirresco, ma a certo giornalismo piace.
Un  amante aveva Rosy Mauro, naturalmente, che si pagava: un maantenuto – le zie non si sarebbero altrimenti scandalizzate. Anzi, se lo pagava con i soldi che rubava allo Stato.
Leggere le confidenze nei giornali dell’epoca è triste ma è divertente. È facile trovarle in rete. Ne segnaliamo due. Quello della “Stampa” perché Calabresi questa volta non dica che non c’era (o i Calabresi non chiedono mai scusa?):
E quello di “Libero”, dello stesso schieramento politico della Mauro, ma ben milanese:
Bisogna solo saperlo, non c’è da farsene un cruccio. Si può anche dire che a Rosy Mauro ben le sta. Una nata e cresciuta nel Salento, di cui eredita le bellezze, che è leghista dei più duri. Nemmeno pentita

Le capre di Oliena
Un grave scandalo denuncia Gian Antonio Stella su “Sette” venerdì, quella di cinque capre in Sardegna. Capre di ferro. Commissionate da un antico assessore al Turismo a un suo concittadino di Oliena. Salvatore Sanna. Un artigiano specialista, dice Stella bene informato, in “serramenti e infissi in legno”. Costo totale della commessa, dice e ripete il columnist con stupita esecrazione, 9.638 a capra, 48.190 in totale. Iva compresa (decimila). Non milioni di euro, come all’Expo di Stella, no, euro. Non solo, aggiunge il columnist inflessibile: chi le ha viste? Cosa, le capre, le banconote?.
Forse le capre non sono state realizzate e dunque non sono state pagate. Ma che scandalo. “Non è forse in piccoli rivoli come questi che sono stati sprecati negli anni fiumi di denaro”, Stella-“Sette” concludono pensosi. Fiumi? In quanti anni?
Non sarà il problema del Sud che li spreca “negli anni”, invece che in uno, per esempio il 2015?

La Madonna al Sud
Il culto della Madonna fu sostituito a quello dei santi meridionali dopo il Mille. Diffusamente, mentre prima era inesistente. Recuperando tradizioni e sensibilità, di una popolazione che fortemente sentiva i culti femminili, quello della Dea Madre Demetra, legato alla fertilità e alla rinascita, e quello di Afrodite-Venere.
Fu una penetrazione “strategica”, per la latinizzazione delle aree ancora grecaniche, in sostituzione dei santi bizantini (i santi meridionali erano soprattutto “ortodossi”), di cui solo un paio rimangono.
Veicolo del culto mariano – come della più generale latininizzazione, del Salento, della Calabria e della Sicilia - furono incongruamente i Normanni. Tribù essenzialmente di guerrieri.

leuzzi@antiit.eu

Il Sud diventa crudele

Questa “Tragedia in Sicilia”, che non si è mai rappresentata in oltre un secolo e mezzo (è del 1848), non in Italia, e nemmeno si traduce, è a proposito di una “fuitina”. Concordata tra gli innamorati per un matrimonio poi obbligato contro il parere delle famiglie, e finita male. La ragazza che scappa di casa arriva troppo presto all’appuntamento col promesso. Sul posto trova due  gendarmi, che la derubano dei gioielli e la uccidono. E quando arriva il promesso lo imbrattano del sangue della ragazza e lo portano dal podestà per farlo condannare. Forse il dramma non si rappresenta perché non sembra inventato.
Hebbel assicura che la vicenda gli fu raccontata a Napoli nel 1945 una sera al caffè da un commesso viaggiatore appena sbarcato da Palermo. Anche questo non sembra inverosimile. Viaggiatore curioso, Hebbel non si fa illusioni. Nella stessa giornata in cui registra l’aneddoto trucido, poco prima, seduto al caffè d’Europa prospiciente la piazza Reale, si dice perduto dietro “una magica visione di proletariato”, accanto ai nobili e borghesi a passeggio nella pizza. Affascinato, spiega, dai lazzaroni. Che “a dozzine guardano, i visi avidi, sbiancati dalla fame, attraverso i vetri lucidi delle finestre, per vedere come il fortunato dentro se la gode, e s’imbevono di una buona dose dell’implacabile odio di cui avranno bisogno per poter poi pugnalare e strozzare con collera fredda”. Senza pregiudizio? Non di Hebbel – ma era l’epoca in cui il viaggio al Sud si ribaltava, dalla meraviglia alla riprovazione, in un con la nascita del nazionalismo tedesco..
Friedrich Hebbel (a cura di Michael Holzinger, ried.), Trauerspiel in Sizilien, amazon.co.uk, pp. 44 € 3,66

L'eurotrappola

Partono in tono minore, anche rispetto alle timidissime proposte federaliste di van Rompuy, il semestre italiano e i propositi di cambiare la Ue dopo la bocciatura del 25 maggio. Con obiettivi minimi, che non servono a nulla – non serve sforare di uno zero virgola per un anno o due, non si rimette nulla in moto. Che il ministro dell’Economia tedesco Schaǔble può peraltro dire di non essersi posto. Mentre è chiaro alla migliore scienza economica e politica che l’euro così com’è, nei trattati o nell’interpretazione prevalente dei trattati, accentua gli squilibri e non li elimina, neppure li allevia.
È il parere prevalente tra gli studiosi, e outspoken, anche in Germania: l’ex socialista Fritz Scharpf, Henrik Henderlein, Wolfgang Streeck, Claus Offe, Juergen Habermas, Ulrich Beck – la lista sarebbe lunga. È solo in Italia, in un europeismo distorto, forse non ingenuamente, che l’euro viene presentato purtroppo quale garanzia di stabilità.
L’euro ha acuito le differenze di reddito e competitività invece di ridurle, queste in sintesi le critiche. E
svuota ogni sforzo teso al riequilibrio – ora, da alcuni anni, alla recessione. Ha sottratto agli stati la politica monetaria, gli aggiustamenti del credito e del cambio, e con esso ogni altra flessibilità. Nessuna ricetta alternativa è possibile: “più tasse, più tasse”, senza la valvola monetaria le tasse richiamano altre tasse. Paradossalmente, si può sfuggire a questa camicia di nesso mettendosi fuori dall’economia – in nero, nell’evasione fiscale, nei paesi terzi.
“Più Europa” ci vuole ma in senso opposto all’austerità che la Germania e i suoi gregari a Bruxelles impongono – o allentano, a seconda delle convenienze. La Bce dev’essere una banca centrale. E quindi una banca centrale autonoma, anche dalla Bundesbank. Le politiche di severità fiscale devono essere compensate da politiche sociali (anche fiscali) di riequilibrio interereuropeo.
Tutto ciò è noto, ma politicamente inerte. Politicamente, grazie a una non ingenua diplomazia tedesca, e a un’opinione pubblica (media) incapace, o crisaiola, la ricetta contraria s’impone. Quella per cui non c’è Europa e non c’è politica europea, ma solo il vantaggio comparato del blocco germanico. 

mercoledì 2 luglio 2014

Un’Europa a trazione posteriore

Il Parlamento che s’insedia tra abbracci e rituali, mentre nel Canale di Sicilia è la guerra quotidiana, poco meno,  è un profilo brutto dell’Europa ma il profilo giusto. Questa Europa, a cinque settimane dalla protesta, non si scuote. È il solito Schulz manovratore, con  dodici o tredici vice-presidenti – una carica inutile, se non per l’appannaggio. E gli oppositori che si chiamano euroscettici e voltano il culo.
Un’Europa a trazione posteriore? Non ce n’è altra. C’è la recessione, ma l’Europa non lo sa. C’è la corruzione, capi di Stato vanno in carcere, l’Europa fa finta di nulla. Arrivano a migliaia gli immigranti, con decine di morti sotto i piedi, ogni giorno, e l’Europa risponde coi risolini di Angela Merkel, “noi siamo più bravi dell’Italia”, e una signora svedese che ha un nome, Cecilia Maelstrom, ma non si sa se esista davvero. Un mercato di carne umana alle porte dell’Europa e in Europa, nel terzo millennio.
Un mercato senza precedenti nella storia, perché gli schiavi in qualche modo erano protetti, e non dovevano pagare il “pizzo”, pagare per sopravvivere. Africani e asiatici pagano per traversare il deserto, pagano per un pugno di riso in Libia, pagano per sfidare la morte in acqua, pagano per fuggire dai centri di prima accoglienza. Devono pagare ad altri africani e asiatici, che però non sono pesci fuori dell’acqua a Roma, Milano e oltralpe.
C’è una mafia di questo traffico. Ma soprattutto c‘è, a Bruxelles e ovunque oltralpe, tanta superficialità. Tanta ignoranza anche. Sa la Merkel, la figlia del pastore, o la mamma Maelstrom, dov’è la Libia, dov’è l’Africa, cosa sono la Libia e l’Africa? Certamente no, altrimenti si atteggerebbero meno. O è insensibilità. E questa è l’Europa migliore: ricca, sapiente, riformata, dell’io-e-il-mio-Dio, che si elogia e si assolve.    

La rabbia canina del sovietismo

Si è dimenticato troppo in fretta cos’era l’Urss. Tramontata col sorriso di Raissa e la facondia di Michail Gorbaciov. Ma ancora nel 1991-1992, in Estonia e nel Baltico, era al suo peggio: non si proibiva nessuna violenza, nessun raggiro. Mankell vi trasferisce il suo Wallander, in una catena di  ignominie.
Henning Mankell, I cani di Riga, Marsilio, pp. 312 € 5,90

Stupidario mondiale

“Pogba, Özli, l’Europa c’è” – “Gazzetta dello  sport”

“Leopardi scrisse l’Infinito a 18 anni, Kant fondò il Criticismo intorno ai 60” – grande Sconcerti! (Mario, che ci fai lì?)

“Sono stati due minuti buoni di possesso palla della Germania” – Stefano Bizzotto, Rai 1.

“Siamo stati bravi a non prendere un secondo goal”, Lorenzo Insigne.

“Italia-Inghilterra, “una partita epica” – Prandelli
,
“Il calcio incrocia anche la politica e la società” – Aldo Cazzullo, “Sette”.

“È ora che il calcio diventi materia di scuola” – Antonio D’Orrico, “Sette”

Dice che il Brasile era contro gli stadi, ma se sono sempre pieni.

Dice che il Brasile era pronto alla rivoluzione. Del divertimento?

Marino, un barbaro a Roma

Roma, che aveva inventato il divieto al traffico a piazza Navona nel 1965, o 1966, ma ha resistito cinquant’anni alla chiusura del centro storico, deve ora soccombere alla fantasia bizzarra di un sindaco venuto dal nulla. Forse siciliano, forse piemontese, forse americano, forse medico, forse solo politicante. Bizzarro e fantasioso giusto per l’apparenza, un barbaro in realtà con la maschera dell’esteta. Quella consolidata della lobby ricchissima e cieca dei padroni dei fondaci, la miniera della rendita urbana.
La pedonalizzazione, ormai è acclarato, non è la fruizione delle città da parte delle periferie. Non è la protezione dell’aria e dell’ambiente. Non è la protezione dei centri storici. È l’abbrutimento dei mercatini: s’intende per isola pedonale il mondo cupo delle jeanserie, pizze al taglio, gelati al fluoro, bancarelle. Roma, città unica al mondo in quanto a otto dimensioni, religiosa, politica, burocratica, commerciale, artigianale, industriale, di studi & ricerche, urbanistica, ha resistito per mezzo secolo. Per vedersi ora cancellata da un sindaco ignoto. Non ci sono partiti a Roma, solo affiliati della lobby degli affitti?
Non ci sono, il sindaco Marino non ha che plausi. Dei molti nemici della città camuffati da ecologisti, cui la lobby della rendita urbana dà fiato. Ha già chiuso e degradato l’Esquilino, ora si allarga a Monti, e presto si prenderà il Tridente, il Corso e tutto il centro storico. Via ogni punto di riferimento storico: artigiani, negozi, caffè, trattorie. Dentro il nulla. Magari insolvente, ma bisogna “far girare il grano”.  

martedì 1 luglio 2014

Problemi d base - 188

spock

Tutti inviati speciali nei giornali, ma sanno leggere?

E parlare, in lingua?

Il Brasile non era contro i Mondiali?

O era contro Dilma?

Oppure avviene al Mondiale come con l’Olimpiade, che la rivoluzione si prende una vacanza?

E se Julio Cesar non avesse parato i rigori?

È il calcio un fatto mistico, mitico? L’Inter licenziò Julio Cesar dopo che aveva parato dodici rigori


Qualche criminale si pente, gli arbitri mai, perché?

spock@antiit.eu

La filosofia non è sterile, ma è impotente

È la filosofia una scienza, si chiede Abbagnano alla presentazione dell’opera, pubblicata nel 1936, come “Illusion philosophique”, e tradotta nel 1942 – da Fernanda Pivano e Silvia Trulli (in tedesco sarà tradotta solo nel 1956)? Per vivere a costo di illuderci? Questa sarebbe la filosofia come illusione – una consolazione. L’illusione della filosofia è il suo contrario, l’atteggiarsi a scienza.
Jeanne Hersch attacca ancora più dura: “La filosofia, lungi dall’avvicinarsi a un ideale scientifico che sarebbe come una storia dei problemi in progresso, mette capo, al contrario, a una distruzione progressiva dei suoi propri problemi, e perfino della possibilità di porne. Questo non per errore, ma necessariamente, realizzando il suo destino, la sua verità”. A metà libro è perfino impietosa, la filosofia salvifica appaiando all’“opera di Dio”: “Vuole spiegare ex nihilo l’universo e rifare teoricamente l’opera di Dio”.
La questione è sempre quella dell’origine, o natura, del mondo. La filosofia a volte opina per la soluzione scientifica, a volte per quella teologica, ma in sé non può farci nulla: “Se l’uomo è incessantemente nel suo divenire… la sua filosofia non può essere altro che la forma stessa del suo divenire”. Un filosofo che sappia non è possibile: “Quando il mondo cessasse di essere oggetto per lui, egli stesso cesserebbe di essere soggetto vale a dire semplicemente di essere”.
Il capitolo centrale, “Il problema del tempo e dell’eternità in Hegel” è una sapida confutazione del più sistematico dei filosofi: “La tentazione che c’è al fondo della filosofia di Hegel è una tentazione estetica. La sua «riconciliazione» (Versöhnung) dei termini antitetici e un riconciliazione estetica mediante la contemplazione di circoli perfetti”, e delle triadi. Con alcuni codicilli: Nella storia universale di Hegel “non c’è avvenire”, “Il sistema di Hegel comprende tutto il divenire. Ma il sistema stesso si sottrae al divenire. Si dà per compiuto, come un’opera d’arte”. “Il sistema di Hegel non è nondimeno una costruzione vuota; tutt’altro. Alla tendenza così forte del filosofo alla forma estetica c’era un contrappeso: la sua propria personalità. Ecco perché nessun altro può vivere nella sua opera”. Di Hegel, verrebbe da dire, come di ogni altro filosofo, risolutivo e non.
La  seconda parte, a seguire, lo dice, che Hegel non  è solo. Chi dichiaratamente: Protagora, gli scettici. Chi con velature, mitiche, logiche: il dubbio di Descartes. Molto speso col circolo vizioso: il dubbio di sant’Anselmo, il noumeno di Kant – ma Kant, soggetto di altra estesa disamina, appassionata e appassionante, è anche il filosofo del mondo “fenomenico”, e come tale il primo assertore dell’ “illusione” della filosofia.
Un terzo ampio saggio è dedicato a Jaspers, di Hersch maestro, che è quello che ha impostato la questione della “illusione”. E, dice l’allieva, l’ha “distrutta”, l’illusione e la filosofia, approdando all’asistematismo.
Jeanne Hersch, narratrice oltre che filosofa, sa “tagliare” il discorso. Con una vista specialmente lucida in questo che è il suo debutto – poi farà molta compilazione, sui diritti civili e dell’uomo, e anche sullo “stupore”, tema dell’opera per cui è famosa, la “Storia della filosofia come stupore”. Talmente persuasiva da sembrare incontestabile: la filosofia “non si distingue dagli altri domini dello spirito umano che negativamente, per la sua impotenza. Della scienza invidia il carattere apodittico. Della religione invidia la fede. Dell’arte invidia la perfezione”. E non sa apprezzarsi come imperfezione, si può aggiungere, che sarebbe buon titolo di merito.
Jeanne Hersch, L’illusione della filosofia

lunedì 30 giugno 2014

La nuova spartizione di Siria e Irak, col Libano

Ritorna il ridisegno del Medio Oriente, su altre frontiere che quelle degli accordi Sykes.Picot del 1917,
degli accordi neo-coloniali anglo-francesi in vista dello smembramento dell’impero ottomano, e delle frontiere tirate con la squadra. La cosa dovrebbe riguardare ora solo Siria e Irak.
Gli accordi sono all’origine anche della nascita delle entità tribali della penisola arabica, Kuwait, Emirati, Oman e Arabia Saudita, ma di questi ora non è opportuno parlare. Anzi, si frantumano Siria e Irak perché danno ombra ai regimi tribali della penisola, che sono indietro a tutto nell’organizzazione sociale e politica, anche al livello minimo dei diritti umani dell’Onu, ma possono pagare tutto, dalle guerre civili ai nuovi stati. L’invasione del Kuwait da parte dell’Irak di Saddam Hussein nel 1990 ha innescato paure e ritorsioni radicali.
Si resta peraltro sempre nell’ambito delle ridefinizioni tribali. Etniche o religiose. Non di risorgimenti nazionali si parla, che non sono possibili. Né di diritti civili e politici, malgrado le apparenze – i pochi blogger occidentalizzati. Ma di nuove suddivisioni di potenza: (ri)dividere per meglio governare, secondo il vecchio detto imperialista.
Della “Siria”, inoltre, si ritiene debba fare parte anche il Libano, della spartizione della Siria. Il Libano va assoggettato anch’esso a una nuova divisione. Dopo la prima guerra mondiale fu riconosciuta questa enclave cristiana. Che però non piace più.
Della spartizione del Libano si parlò molto, con carte aggiornate al millesimo, dopo la guerra dei Sei Giorni nel1967, e prima di quella del Kippur a fine 1973. La parte meridionale doveva essere annessa a Israele come fascia demilitarizzata. La parte settentrionale con l’Anti-Libano alla Siria. E quella centrale lasciata alle famiglie cristiane: in pratica Beirut e dintorni, come casinò e banche off-shore. Il disegno ebbe un prolungamento con l’occupazione del Libano da parte dell’Olp di Arafat, dopo il Settembre Nero e la cacciata dalla Giordania, e la prima avventura politica di Allon.    

Letture - 176

letterautore

Anima - Novalis la vuole “un corpo pervaso dal suono”. Un carillon?

Dante – Ritorna islamico per le cure di Luciano Gargan, dantista, che ha trovato il “Libro della Scala di Maometto” in possesso nel 1313 della biblioteca di San Domenico di Bologna, la città dove Dante con Cavalcanti aveva studiato, alla facoltà di arti e medicina – la scoperta è in uno dei saggi di “Dante, la sua biblioteca e lo studio di Bologna” che Gargan ora pubblica in volume. Dopo Maria Corti e Ossola, dunque, un altro appassionato di Dante lo converte all’islam. Cioè no, Maria Corti, pur non privandosi di riproporre in più tempi e più sedi il Dante islamico, si celava dietro la prudenza della prima “scoperta”, “Dante a un nuovo crocevia”, 1981, l’influenza del “Libro della Scala” sulla “Divina Commedia” dicendo alla fine “più strutturale che puntuale”, sulla narrativa, la filosofia, la filologia, la teologia del poema. Mentre Ossola, facendo tradurre meritoriamente “Dante e l’islam” di Asìn Palacios, ne prendeva vent’ani fa le distanze.
La cosa curiosa è Asίn Palacios, il primo dantista islamista, era prudente. Svolgeva un tema, scrive, su un terreno fino ad allora vergine: le fonti islamiche di Dante. E conclude come ci si aspetta,  che la differenza è incolmabile tra Dante e Maometto, un poeta e un profeta: si può anche dire il loro inferno uguale, insomma simile, ma quella di Maometto è “riservato esclusivamente agli infedeli”  Il buon dantista islamista non si meraviglia che Dante, che tutto sa e di tutto è curioso, sapesse anche di Maometto e dell’islam. Ma senza commistioni con l’escatologia musulmana: troppa la distanza e la diversità, anche in quel mare mediterraneo allora unitario. Né il mondo islamico cominciava o finiva con Maometto, questo lo sanno anche i ginnasiali: tutta la poesia dell’amore cortese è contenuta in quella araba dei secoli dall’VIII all’XImo, la quale era contenuta nell’ellenismo, con variazioni certo. La filologia delle fonti è inesauribile, ma con limiti.
Anche Gargan è prudente: si lmita a dire che Dante “poté” aver letto il “Libro della scala” a Bologna, non che “lo lesse certamente”. E del resto sarebbe un’ulteriore aggiunta alla complessità di Dante, alla sua enorme cultura, oltre che forza di poesia. Ma è come se una voglia sotterranea di ancillarità percorresse, prima che gli editori per ragioni di mercato, e certamente non i lettori che “non ci credono”, i filologi e i recensori. Molto al di là della legittima curiosità. Ogni particolare dei monumenti nazionali sempre interessa, specie se controcorrente irridenti, ma qui c’è di più: un coacervo di anticattolicesimo (meglio l’islam), magari si spiriti laici, anzi anticristianesimo, antieuropeismo, antioccidentalismo. Un concentrato, benché confuso, di odio-di-sé.

E-mail – L’i-phone l’ha affossata: o si corrisponde per messaggini, oppure ci si fraintende, una lettura esaustiva e appropriata non è possibile, il mezzo vuole “lettere” rapide. Quindi di ogni e-mail letta per i-phone si prendono, al meglio, poche parole chiave, senza contesto – e senza significato, non quello del mittente.
La posta elettronica aveva rinvigorito il genere corrispondenza, messo in crisi dalle telefonia mobile, e dal fisso a cottimo – perché scriversi quando si può parlare a tempo indefinito e per ogni evenienza? La e-mail, consentendo un dialogo scritto e disteso, ragionato, era venuta in aiuto, e quindi apprezzata, non solo ai meno eloquenti verbali, ma anche agli stessi diarroici, imponendo una sorta di revisione obbligata del verbopensiero. Se non che la mail per i-phone è troppo ghiotta per essere accantonata, ed essere poi assaporata sul personal, ma il mezzo non consente letture complete e ragionamenti, solo informazioni, brevi.
Il veleno è letale: lo stesso messaggio, se aperto sull’i-phone, risulterà comunque inappropriabile anche al più serio proposito di lettura distesa e approfondita sul computer. Il senso ricavato all’ “apertura” del messaggio resterà prevalente.

Estasi - I mistici, da santa Caterina da Siena a John Donne, fanno coincidere l’estasi con fremiti nuziali, cioè con l’orgasmo. Ma i fremiti nuziali non sono il meglio del matrimonio, Erasmo spiega a un amico: “Fides coniugii non proprie sita est in mutuo usu corporum”, la fedeltà non sta propriamente nell’uso reciproco dei corpi.

Leggere – È attività che si svolge non come a una partita di pallone, dice Montainge, ma in collaborazione tacita e in simbiosi. È il segreto della sua costante attrattiva?

Thomas Mann Perché non si scrive una vita di Thomas Mann? Il personaggio è troppo complesso? Una vita troppo densa? Di amori, figli, passioni, letterarie, storiche, politiche, poetiche, filosofiche, musicali? Uno scrittore troppo “vasto”, anche solo di lettere, a miriadi di corrispondenti? Una vita grigia, metodica?
A leggerlo è un temperamento sanguigno, s’indovina. Collerico, livoroso anche: un nevrotico costantemente bisognoso di autocontrollo. Antisemita irrefrenabile, benché, o forse perché, aveva sposato un’ebrea – ne ha lasciato tracce innumerevoli, dell’antisemitismo, non dell’amore della moglie, con la quale pure fece tanti figli. In vario modo nemico per tutti i figli – per ragioni che non sappiamo, malgrado i tanti  libri di memorie degli stessi, e che una biografia potrebbe chiarire. Molto poseur, malgrado la maschera del Buon Tedesco borghese. Da ultimo come gay, col racconto veneziano: uno che non vuole privarsi di nulla, ma giusto dell’opinione e non del fatto - di cui non gli si conosce il minimo aggancio reale, cosa impossibile: se mai una tentazione ci fosse stata si sarebbe più che saputa, ogni propensione sessuale, per quanto non pronunciata o rimossa senza danno, da un secolo si moltiplica.
Nazionalista sciovinista. Al contrario di D’Annunzio, che egli tanto mostra di disprezzare. Che il nazionalismo fece libero, creativo, attivo, e non sciovinista e odioso. Contro gli slavi. Contro i latini.

Pessoa – È in Whitman, nel “Song of myself”, 1855: “I’m large. I contain multitudes”
- Do I contradict myself?
Very well then I contradict myself;
(I am large, I contain multitudes)

letterautore@antiit.eu

Gulliver Renzi, preso ai suoi stessi lacci

“Mezzanotte. Firenze alle Cascine. Quando nacque il mito degli ottanta euro”. Il “laurorenzismo”. “Noi siamo pronti a una gestione condivisa, basta che fate tutti quello che voglio io”. Tutto Renzi in duecento vignette, poco meno. Un gigante in mezzo ai nani. Come subito si vede in questa fase in cui il “fare” arranca: Vincino ne fa una sorta di Gulliver atterrato ai suoi stessi lacci (il faccio tutto io, il prendo tutto io, le quote rosa).
C’è anche un giudice che dice a un altro giudice. “Renzi mi vuole levare 70 mila euro? Ho arrestato politici per molto meno”. Molto insomma c’è da fare, non sarebbe difficile. Ma il momento magico è svanito con la galoppata alle Europee? Vincenzo Gallo, in arte Vincino, architetto, conosce bene Renzi: era con lui agli inizi, prima di Pif, altro palermitano, quando presiedeva la provincia di Firenze.  
Vincino, La cavalcata di Renzi, pp. 191 € 4,90

domenica 29 giugno 2014

Ombre - 226

Disputeranno la semifinale in Brasile tre sudamericane e una sola europea – Germania o Francia.
Non è la prima volta e gli arbitraggi “messicani” non sono casuali.

Riva l’aveva detto in  anticipo: “In Sudamerica si gioca sempre un Mondiale diverso. Gli arbitraggi sono diversi, ci vogliono mandare a casa. Gli europei non sono graditi” – nemmeno gli africani o chiunque altro. Riva lo ha spiegato con chiarezza a Alberto Costa sul “Corriere della sera” dopo la sconfitta dell’Italia. Solo gli inviati non hanno visto e non vedono quello che sa Rombo di Tuono.

Putin che difende il governo eletto a Bagdad contro gli eserciti integralisti è l’ultimo paradosso. Per chi combatte l’Occidente?

Gli economisti protestano contro l’ennesima nomina casalinga di Renzi, quella della presidenza dell’Istat, affidata a un anonimo collaboratore della giovanissima ministra Madia. Gli economisti di destra e quelli di sinistra. Ma “Il Sole 24 Or”, il giornale dell’economia, non ne dà notizia. La nomina all’Istat era di Centro – come tutte?

Nel parco storico delle Cascine, profanato da sottopassaggi autostradali e dimezzato il estensione,  il sindaco emerito Renzi non ha fatto nemmeno potare gli alberi, e un ramo secco ha provocato venerdì una mezza strage. Ma senza scandalo, siamo tutti renziani.

Non c’è un’Italia Nostra a Firenze per protestare contro il degrado delle Cascine, unico parco della città? Una Lega Ambiente? Un ecologo sperso?

Lanciare bottiglie incendiarie in un cantiere al lavoro per l’Alta Velocità con la Francia non è terrorismo, ha sentenziato la Suprema Corte. E se le molotov fossero state lanciate contro i giudici della Suprema Corte, invece che contro gli operai?
Bisogna reinventare il suprematismo.

Francesco Merlo ha potuto visitare l’archeologico Montemartini all’Ostiense a Roma da solo, con quattro o cinque turisti. E invece di godersi la bella occasione, ci scrive sopra una pagina di improperi su “Repubblica”, contro Roma, gli italiani etc., che non vanno ai musei.
Forza, sindaco, mandi i romani d’imperio e i turisti a visitare i  musei? Ma quelli che dice Merlo, che ci stanno a fare ai Musei Capitolini, per esempio? Si accalcano, perché?

Il”Corriere della sera-Roma” il giorno dopo, per non essere da meno della “Repubblica” di Merlo, spiega a grandi caratteri che, “vuoti i musei, la capitale (è) superata da Londra, Parigi e New York”. Che hanno quattro volte la popolazione di Roma no?

Ma i giornalisti vanno speso ai musei? Perché non sembrano vuoti, quasi sempre sono troppo pieni. Fastidiosissimi.

Sarà lo stalking il delitto italiano più comune? La raccolta di dati a nostra insaputa, dallo stato di famiglia e le abitudini di spesa, il continuo assillo di presunti operatori dei telefoni, del gas, della luce, anche delle assicurazione e dell’immobiliare, le fatturazioni abusive dei vari operatori che si moltiplicano senza alcun limite o censura da parte delle Autorità, gli abusi regolamentari delle stesse Autorità.

L’imputazione di stalking andrebbe fatta per prima contro le Autorità. Primissima quella della Privacy, che autorizza ogni intrusione.

Il surrealismo prima di "Alice"

Il surrealismo anticipato di un secolo, molto prima di “Alice”, alla prima metà dell’Ottocento, e il transumanismo di due. Grandville già popola il mondo di piante e pianeti, animali umanizzati e tutte le esecrazioni immaginabili possibili dell’arte.
Un capolavoro per tutti - fra i tanti di Marcello Baraghini - curato da Duccio Dogheria. L’altrove, in realtà, è sempre stato con noi.
Jean-Jacques Grandville, Un altro mondo, stampa alternativa, pp. 47 ill. € 1