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sabato 28 settembre 2019

Il mondo com'è (383)

astolfo


Dreyfus – Un caso di antisemitismo che fu probabilmente anche un copertura dei servizi segreti francesi. Un caso di depistaggio, come occorrerà in Italia per piazza Fontana e dopo. “Probabilmente” perché i servizi segreti non lasciano documentazione. 
La “spia tedesca” non era Dreyfus ma un falso conte Esterhazy, Charles Marie Ferdinand Walsin. Figlio di un generale dell’esercito francese, Walsin aveva fatto carriera nell’esercito, benché (perché) scioperato e senza studi né accademie militari, con grado di maggiore, nel controspionaggio. Parlava tedesco, e questo era il suo unico titolo. Per teutonizzarsi meglio, Ferdinand si era anche dato il cognome Esterhazy, perché suo nonno paterno vantava di essere figlio naturale di una contessa Esterhazy. E col nome si era dato anche il titolo di conte. 
Il capro espiatorio Dreyfus non lo coprì del tutto. Walsin dovette essere riconosciuto “spia tedesca” quando il capitano Dreyfus fu riconosciuto innocente. Ma non fu condannato e nemmeno licenziato. Si dimise, ebbe la pensione, e si trasferì in Inghilterra. Dove incrementò la pensione con scritti antisemiti.
La probabilità è che Walsin facesse il doppio gioco, passando ai tedeschi informazioni false.
Lo scandalo era nato per il ritrovamento, da parte della donna delle pulizie nell’ambasciata tedesca, una francese, spia, in un cestino della carta straccia, di un biglietto a firma D. in cui qualcuno comunicava ai tedeschi informazioni riservate dello Stato maggiore francese. Successivamente, caduta la condanna di Dreyfus, si disse che quelle informazioni erano false. Walsin dovrebbe essere stato dunque un agente triplo.

Enciclopedia- Il progetto di “Encyclopédie” fu inizialmente affidato, nel 1745, dai librai parigini editori del progetto, a un abate, Jean-Paul de Mua de Malves. Diderot e D’Alembet subentrarono presto, nel 1747, come scrisse Diderot, perché l’abate non aveva senso del’economia.
Il “vecchio abate” lo dice Diderot, anche se era più vecchio di lui d un solo anno. Secondo Condorcet, che ne ha scritto un dettagliato elogio, era stato lo stesso abate ad arruolare Diderot al progetto di “Encyclopédie”. Ma questo forse è più vero di Jean Le Rond D’Alembert, che insieme con l’abate figura nel ruolino di paga degli editori a fine 1746.
Nato a Carcassonne, da nobile famiglia (Jean de Mua barone di Malbes e Jeanne de Harrughe), Jean-Paul de Mua si fece abate presto, quale via d’uscita al fallimento del padre nelle sue tante attività – la psicologia paterna ne influenzerà però anche l’attività. Fu presto anche un matematico famoso. Accolto a trent’anni, nel 1741, Académie des Sciences, e Fellow della Royal Society a Londra dal 1743, per lo studio della teorie delle curve algebriche, intitolato “Usages de l’Analyse de Descartes”pubblicato nel 1740. E poi per una seconda memoria, sulla Teoria delle equazioni. Crescendo di ruolo per questo in seno all’Accademia. Era versato anche in campo filosofico, noto per avere tradotto Berkeley – seppure solo per soldi.
Scelta naturale dei librai parigini che avevano acquisito l’opzione per tradurre la “Cyclopedia” di Chalmers, “Or Universal Dictionary of Arts and Sciences”, quella di rivolgersi a lui per la supervisione. La cosa non fu semplice, dice Condorcet, che gli ha dedicato un lunghissimo “elogio”, perché l’abate aveva idee sue. Alla fine il progetto partì senza d lui. Ma secondo il modello da lui ideato. Non più una traduzione, ma un’opera nuova, e più vasta: “Invece di un dizionario elementare delle parti della scienza più conosciute, più usuali…. la riunione, in un deposito comune, di tutto ciò che formava allora l’insieme delle conoscenze”. Non è stato il solo suo merito, continua Condorcet: “Aveva saputo inoltre interessare al successo di quest’opera e impegnare a concorrervi parecchi uomini celebri nelle scienze e nelle lettere, Fouchy, Le Roi, Daubenton, Louis, Condillac, Mably, e soprattutto D’Alembert e Diderot, che doveva succedergli alla testa del progetto”.
Uscito dall’“Enciclopedia”, il giovane abate si perdette in progetti tecnici – e in processi costosi, uno in particolare contro il fratello. Il setacciamento dei fiumi della Linguadoca alla ricerca dell’oro. Un progetto di prestito (debito) pubblico. Un progetto di prestito attraverso le lotterie – “la mania di De Gua per le lotterie”, osserva Condorcet, “era tanto più strana in quanto gli avevano nociuto molto in gioventù”: avendo vinto una piccola somma una volta si era convinto di possederne il segreto. Ma sempre poi realista: “Incapace di mentire, cominciava tutti i suoi scritti sulle lotterie riconoscendo che sono un’imposta mascherata, alla quale si faceva giocare tutta la Francia”. .
A lungo a più riprese progettò una rivista scientifica internazionale interdisciplinare. E indirettamente, per questo progetto, l’Italia entra nella storia di de Gua de Malves in due occasioni. "Da giovane religioso di buona famiglia poteva aspirare alla cariche, ma preferì il cammino della scienza", e per questo motivo, scrive un biografo, “partì per l’Italia. Sapeva che in questo paese nessuna barriera impedisce al merito di aspirare ai primi posti; ma gli mancava quello di cui il merito ha bisogno per innalzarsi, che ci permette di mostrarci agi occhi degli altri, in ogni circostanza, quello che ci è utile fargli vedere. L’abate de Gua ebbe in Italia amici illustri, che però non fecero niente per lui, e ritornò a Parigi”. Forse, arguiscono alcuni biografi, ne riportò gli elementi per gli studi di idrologia che subito dopo pubblicò.
Ci tornò per un progetto di rivista scientifica periodica, che raccogliesse gli esiti delle ricerche in corso nella più diverse discipline, anche in quelle umanistiche. Un progetto che come al solito non seppe realizzare – “progetto eseguito dopo”, registra Condorcet, “benché su un piano meno esteso, in Francia e in Italia”.

Inuit – Si estingueranno per suicidio? Una delle due popolazioni in cui si dividono gli Esquimesi, quella che abita l’Alaska (16 mila), il territorio canadese del Nunavut (28 mila dei 50 mila circa Inuit distribuiti nel Commonwealth), e la Groenlandia (51 mila), ha i più alti tassi di suicidi, di gran lunga più alti, del mondo. Il Nunavut registra un tasso di suicidi di 100 per 100 mila abitanti, dieci volte il tasso di suicidi del resto del Canada. Ma un terzo degli Inuitidel Nunavut si stima abbia tentato il suicidi almeno una volta. In Groenlandia il tasso è di 85 per 100 mila. Il tasso di suicidi più alto, dopo quelli degli Inuiti, si registra in Lituania, col 32 per 100 mila.
La causa, secondo studi canadesi, potrebbe essere l’urbanizzazione forzata, circa sessant’anni fa della popolazione inuit. Prima i suicidi erano molto rari, nemmeno registrati. Nel decennio 1960 un solo suicidio è stato registrato nel Nunavut.Nel 1973 il tasso era salito all’11 per centomila – se ne erano registrati tre o quattro. Nel 1986 era quadruplicato, nel 1997 decuplicato, a 100 per 100 mila, quasi tutti di giovani, tra i quindici e i venticinque anni. Nei primi ani del Millennio il tasso si è moltiplicato a 450 per 100 mila Per poi scendere a 270 per 100 mila.
L’urbanizzazione fu perseguita con durezza: le abitazioni tradizionali venivano distrutte, gli animali domestici uccisi, compresi i cani da slitta, i figli rinchiusi in convitti-rifornatori. tagliati fuori dalle famiglie, rinominati con nomi cristiani e con carte d’identità, puniti se parlavano inuktitut, la loro lingua, impegnati a studiare la storia canadese, molti anche abusati liberamente. A migliaia sono morti di malattie e di fame, a un tasso che è stato rilevato apri a quello dei soldati canadesi morti nella seconda guerra.
Il programma di “rieducazione” ha impegnato negli anni circa 150 mila ragazzi, Inuit o di altre popolazioni aborigene, le cosiddette “First Nations”. Per gli abusi sessuali da loro subiti negli anni 1960-1970 il governo canadese ha riconosciuto tre miliardi di dollari in compensazioni.

Salon – L’istituzione che ha promosso molta letteratura a Parigi, specie di Diderot e Baudelaire, e ha eletto Parigi nell’Ottocento, con coda nel Novecento, capitale mondiale del mercato dell’arte, una lucrosa promozione, risale al 1746. Era una mostra di arte contemporanea, ideata e organizzata dall’Académie royale de peinture et de sculpture, ogni due anni, nel Salone quadrato del Louvre, da cui il nome. Venivano esposte circa trecento opere. Diderot vi si è esercitato a partire dal 1759 fino al 1781. Al Salon del 1767, rimasto notevole tra le sue opere, per spessore di riflessione, lavorò fino al 1768. Baudelaire vi si esercitò dal 1845 al 1859. Diderot “creò” Vernet, Baudelaire Delacroix.

Sioux – Si chiamavano Kota in realtà, divisi in tribù: Dakota, Lakota e Nakota. A loro volta suddivise in gruppi, i Lakota in Oglala e Mnicoujou. 
Toro Seduto era un Oglala Lakota – il capo indiano (“Sioux”) che sbaragliò il generale Custer e il Settimo Cavalleria a Little Bighorn. Sioux, il nome che circolava tra i coloni, potrebbe essere stato derivato da snake, l’inglese per serpente.


astolfo@antiit.eu

La festa è mesta a Hollywood

Tarantino ha sempre invidiato il western all’italiana, Leone e Sergio Corbucci – di Corbucci specialmente fa tessere qui l’elogio. Più che altro perché avevano potuto girarne tanti mentre in America è genere proibito - non è corretto. E se lo fa infine sotto forma di rivisitazione di Hollywood. Tutto corretto, tra bianchi cattivi. Tutti perdenti: al momento del passaggio dal cinema ai serial tv. La vedette Di Caprio, pistolero per finta dei finti western seriali, come il suo servo-controfigura Brad Pitt.
Un monumento a Di Caprio, in una caratterizzazione sfaccettata, cui sarà difficile negare l’Oscar, benché fresco di premio, appena tre anni fa. E al migliore non protagonista Brad Pitt, se non altro per il sacrificio, molto Hollywood post-Hollywood post-vedettariato, dell’ego nella posizione di spalla. 
Un film allegro di mestizia. Di solitudini e fallimenti, nel glamour. Mentre la minaccia incombe, di Charles Manson sui vicini congiunti di Polanski. Con pochissima violenza – quanto basta per innescare l’orgoglio di Manson.
Hollywood privilegia da qualche tempo il suo retroscena: violenze carnali, alcol, droghe, fallimenti milionari, e uno stato depressivo costante. Come una forma di glamour, acida. Tarantino mostra un di dietro del cinema di polvere e cartone. Non esilarante e anzi ridicolo, nella sua superba pocaggine, ma le tre ore di mestizia scorrono lievi. Un film pieno di immagini, che pensiamo di avere già visto – Tarantino si vuole cinefilo, più che drammaturgo – ma forse no.
Quentin Tarantino, C’era una volta a… Hollywood

venerdì 27 settembre 2019

Problemi di base illuminati ter - 510

spock

“Tutto ciò che imprime un sentimento di terrore conduce al sublime”, Diderot?

“La magnificenza non è bella che nel disordine”, id?

“La potenza che minaccia emoziona più di quella che protegge”, id.?

“I negri sono meno belli per i negri come per i bianchi”, id.?

“Il santuario dell’uomo civilizzato e dell’uomo selvaggio è colmo di tenebre”, id?

“La chiarezza è buona per convincere, non vale niente per commuovere, id.?

“Poeti, siate tenebrosi”, id.?

spock@antiit.eu

Cortellesi straordinaria 007

Una galleria dei vizi di questi anni 2010, a scuola, in auto, dal medico, in aereo, sui campetti di calcio dei bambini. La cronaca ne offre ampia scelta, Milani si limita a sceglierne alcuni. Senza esagerare nella caratterizzazione - ognuno ne fa il riscontro ogni giorno per le strade, negli uffici, sul treno o in aereo, e nelle scuole, se per avventura ci deve mandare un piccolo congiunto. Ma ne sa proporre il grottesco e anche il comico. Merito di Paola Cortellesi, per la quale ha costruito una galleria di personaggi straordinaria.
Il segreto è un piccolo trovata: le prepotenze quotidiane sono legate al giustiziere per eccellenza, 007, che Cortellesi declina al femminile. Il dio del rutto a scuola, la sora Cecioni invadente, il telefonista ossessivo, i minuti personaggi che ci ostruiscono la vita, si confrontano con missioni impossibili nel Sahara e all’hotel Metropol, tra inseguimenti spettacolari, sale comando fantascientifiche, salti, balzi, voli, e ubiquità. Un divertimento continuo.
Un monumento alla interprete: una galleria di facce e ruoli che ai critici non è piaciuta ma che rimarrà negli annali. Non c’era un’attrice comica dopo Monica Vitti? Come no - e Paola Cortellesi è una delle tante, che qui interagiscono: Signoris, Minaccioni,  Mascino.
Riccardo Milani, Ma cosa ci dice il cervello

giovedì 26 settembre 2019

Cronache dell’altro mondo (39)

Joseph Maguire, direttore della National Intelligence, “sfida il presidente: dimissioni se oggi non mi farà testimoniare  (alla Camera) sula vicenda”. La vicenda è la registrazione che lo stesso Maguire, o la Cia, o un’altra della dozzina di organizzazioni americane di spionaggio, ha effettuato di una telefonata di Trump – col presidente ucraino Zelenskij. Trump è comunque il presidente americano, eletto. Lo spionaggio del presidente e la diffusione delle sue telefonate sono considerati atti patriottici e morali negli Usa. Specialmente osannati dai media liberali e democratici.
Il wistleblower report, che denuncia la dipendenza ucraina dagli Usa, può anche essere opera russa – come quello dell’hotel Metropol, a carico della Lega. Lo scandalo rilancia il Russiagate, che si era dissolto. Ma a tutto vantaggio della Russia: il presidente ucraino Zelenskij lo ha capito, e si rimette in linea con Putin, sui prigionieri di guerra e sul gas.
Maguire è stato nominato da Trump, ed è membro del suo gabinetto di governo. La National Intelligence è stata creata nel 2004, per coordinare le tante agenzie spionistiche americane, dopo che nessuna di esse aveva avuto il minimo sentore dell’11 settembre. Preparato e perpetrato da cittadini arabi che andavano e venivano liberamente dagli Stati Uniti, e negli Stati Uniti si sono anche addestrati. Ma nessuno ha mai criticato la Cia, l’Fbi o le altre organizzazioni: non ci sono libri e nemmeno articoli di giornali su questo.
La figurina Panini di Zion Williamson, giocatore di basket diciannovenne che ancora deve debuttare nella Nba, si vende a 100 mila dollari.
La metà degli insegnanti di biologia negli Stati Uniti si dichiara "non schierato”, tra evoluzionismo (Darwin) e creazionismo. Il 13 per cento si dichiara creazionista. Sono darwinisti in America il 35-36 per cento degli insegnanti di scienze - uno su tre.

Lo stadio di Grillo, e del Pd romano

È un caso, Roma, di cattiva amministrazione lampante: per i rifiuti. le buche. l’Atac – autobus in fiamme, autisti aggrediti, percorsi e temi casuali. La sidnaca Raggi, cui si deve il crollo improvviso di efficienza, resiste. Rifà la giunta, per dite che la cattiva amministrazione è opera dei cattivi assessori rimossi. Ma, poi, l’unica cosa di cui si occupa è lo stadio della Roma: non c’è altra questione  aperta a Roma per lei.
È singolare. Tanto più che Raggi ha rinunciato all’Olimpiade. Che avrebbe rifatto Roma, senza costi. Ma è così. Solo si occupa di favorire il percorso autorizzativo di uno stadio che è un progetto immobiliare. Che implicherà l’urbanizzazione di un’area remota, con notevoli spese del Comune, a favore di pochi immobiliaristi: viabilità di accesso, e servizi, acqua, luce, gas, trasporti.
La sola spiegazione che se ne dà è che ha rinunciato a un’opera bellissima per la città, di cui però gli appalti erano già in fieri, per una costosa, e probabilmente inutile, se non a fini immobiliari, ma gestita dai 5 Stelle.
Ufficialmente, la sindaca insiste per avere i voti dei romanisti. Che, è vero, sono indefettibili: per “a magica” non c’è romanista che non rivoterebbe Raggi. Ma non si dice, nemmeno a palazzo di Giustizia, quello che tutti sanno: che lo stadio, per il quale molte persone non hanno potuto evitare il carcere, è stato trattato e voluto da Grillo.
Soprattutto non lo dice il Pd. Che anzi pensa, il Pd romano, di Zingaretti, di andare al voto a Roma 1 tra un mese, per il seggio di Gentiloni, con la sindaca incapace: un seggio si può perdere ma lo stadio no. 

La Repubblica è una

Siamo, si dice, nella Terza Repubblica, dopo una Seconda e una Prima, mentre siamo all’evidenza nella Repubblica inaugurata da Gronchi, col governo Tambroni. Una Repubblica semipresidenziale, si dice, con i governi del presidente, che il Parlamento ratifica. Ma allora di fatto e non costituzionale – anzi, per molti aspetti incostituzionale: i governi del presidente sono una forzatura.
Tentativi di cambiare la Costituzione, nel senso della governabilità, ce ne sono stati, ma a nessun effetto. Non con al riforma Renzi, bocciata. Non con la riforma in senso maggioritario dei regii elettorali: si è tentato di rafforzare le funzioni esecutive col voto maggioritario e i raggruppamenti personali, con un candidato a sindaco, a presidente della Regione, a presidente del consiglio, ma a nessun effetto.
La Repubblica è sempre quella. Solo che è di Gronchi, e non di Einaudi. È la Repubblica dell’Italia democristiana, post-degasperiana. Anche gli uomini sono gli stessi, della stessa caratterizzazioe politica, democratica cristiana – “popolare” nel gergo politico tedesco - seppure di diversa generazione. E compreso il prossimo presidente della Repubblica, sia esso Prodi, o l’inevitable giurista costituzionale emerito, o lo stesso Mattarella.
L’opinione vive in Italia nell’irrealtà. Dei media. Che nominano e celebrano repubbliche che non esistono. Mentre non rimarcano nemmeno le persistenze.
L’unica novità è l’inabissamento del partito Comunista. Che ha trascinato con sé tutti gli altri partiti progressisti, socialisti e laici, con la giustizia politica. Ma solo per rafforzare la continuità democristiana. Napolitano è esemplare a questo proposito, il presidente della Repubblica ex Pci che ha distrutto, letteralmente, le residue forze non democristiane a favore di governi “popolari”, cioè Dc.

Erotismo del mare – o l’ecologia consapevole

“Imponente e temibile”: la prima impressione del mare, alle prime tre righe, “è la paura”. Con l’illimitato, per estensione e profondità, il buio, le rabbie imprevedibili e irresistibili. “Non lo si vede infinito, ma lo si sente, lo si capisce, lo s’indovina infinito, e l’impressione non è che più profonda”. Ostile: “Un’armata di flutti nemici che vengono compatti all’assalto”. C’era anche allora, metà Ottocento, l’alternanza fra “anni caldi” e “tempi freddi e piovosi”. Che incattivisce il mare: nell’ottobre 1859 devasta la costa occidentale della Francia, strade e ponti distrutti, pali e fili del telegrafo divelti, allagamenti, naufragi in serie.
La prima rappresentazione chiama al rispetto. Poi il mare sarà anche gravido, di pesci, latteo (“il mare al largo”), creatore, di mondi e di bellezza – i bagni di mare. Sempre animato: un inno Michelet erige alla fertilità, dopo la prima impressione di paura, della grande massa acquea come liquido amniotico di ogni forma di vita – il mare è fecondo, femminile, come lo vuole il francese. Raccontato: non un trattato sul mare, ma le impressioni che guardando il mare emergono, o sui libri scientifici che ne tratano. “Il romanzo del mare” lo dice Jean Borie, il novecentista che fu grande studioso dell’Ottocento, di Flaubert e Zola, per il quale tutto Michelet è piuttosto un narratore: uno storico senz’altro, lavora sulle fonti, ma di suo è narratore. Ha tentato col romanzo vero e proprio, “Sylvine”, e ha fallito, ha distrutto quello che aveva scritto, ma di fatto i suo romanzi sono le storie che prodigiosamente ha accumulato, anche in serie di dieci e venti tomi.
Questa era in filigrana l’opinione anche di Roland Barthes, che ha debuttato quasi quarantenne, nel 1954, con un “Michelet par lui-même” - accanto al “Grado zero della scrittura”. Mancando però – per inavvertenza, “Il mare” non era allora molto quotato, o per misoginia, ai quarant’anni ancora radicale? – l’aspetto che più lo avrebbe affascinato negli anni: la pulsione femminile e materna, del desiderio e della fecondità. Che il mare, femminile in francese, assume per Michelet al centro di questa trattazione, al § 1 del Libro Secondo, “La genesi del mare”: “Questo è il mare, la grande femmina del globo, il cui infaticabile desiderio, il concepimento permanente, la procreazione, non finisce mai”. L’opera avendo lui stesso concepito, scrisse nel “Diario” allora segreto, reso pubblico nel 1959,  “uscendo” dalla giovane moglie ventenne: “Il mare e il c. di mia moglie, i miei due infiniti”, amore forse ineguagliato, forza prodigiosa, come il mare.
“Il mare” è concepito dopo una vacanza erotica con la moglie giovane, Athénaïs, l’estate del 1857, a Fontainebleau. Sono estati che il “Diario” marca di segni e sogni erotici, vivificanti. Atenaide sempre: “È uscendo da essa che ho avuto le mie più grandi idee forse, «L’amore» il 16 marzo 1856, «Il mare» il 15 settembre 1857”, segna sognante il 3 giugno 1860. La spiaggia dove ha preso casa, popolando di “grosse dame”, “ragazzine” dagli “occhi bassi”, le tre donne della sua vita riunite in sogno, “ricordi, profumi”, una bagnante che vede “fare la sirena, ondulare le chiappe e trascinarsi sul ventre”.
Il mare ancora nel primo Ottocento era una novità, per i non marinai. Diderot ha visto il mare per la prima volta a sessant’anni - nel 1783, di passaggio in Olanda per andare a San Pietroburgo. Michelet a trenta passati, nel primo viaggio in Italia. “Il mare” osserverà e tratterà nel quadro di uno dei suoi tanti grandiosi progetti, quello di una enciclopedia popolare. Avviato nel 1856 con “L’uccello”, seguito da “L’insetto”, 1857, “Il mare”, 1861, e “La montagna”, 1865. Nel mezzo il progetto di romanzo, “Sylvine”, e “La strega” – oltre ai nuovi tomi della “Storia di Francia”, e la polemica ateista con “La Bibbia dell’umanità”.
Contro Malthus (e Darwin)
Un progetto anche di storia naturale. Sebbene, curiosamente, benché contemporaneo di Darwin, della “Origine della specie”, 1859, di cui si faceva gran parlare, non ne tenga conto – lo cita, ma per pubblicazioni secondarie. Non senza motivo, però: Michelet è ecologista più che selettivo. Anzi non lo è, da repubblicano e grande democratico, populista. Darwin è malthusiano, forse più malthusiano che Malthus, e Michelet aborriva Malthus, con cui altrove fa i conti.
Un progetto di volgarizzazione scientifica della storia naturale. Michelet molto ha letto, e si è documentato con i suoi “corrispondenti” scientifici, nonché con i colleghi al Collège de France. Ex archivista, si era legato a un gruppo di ricercatori di Rouen: Félix-Archimède Pouchet, il biologo, che nel 1859 pubblica “L’Hétérogénie, ou traité de la generation sponatanée”, il botanico E. Noël, il medico fisiologo Achille Flaubert, fratello maggiore di Gustave – del cui padre, Achille Cléophas Flaubert, primario di chirurgia, Pouchet era stato allievo. Nel “Diario” registra “estratti” di un po’ di tutto: “Estratto diel “, e di Ritter, “La forma dei continenti”, Bory, “Matière et mucosité de la mer”, Pouchet, Humboldt, il “Diario di Colombo”, quello di Coste per la storia dell’ovologia e quella delle alghe et al.
Sono prose anche amorevoli. Del mare come poi della montagna, o prima dell’insetto. Il mare in particolare. Per una concezione forse romantica. Baudelaire, altro Grande Romantico, ne dice ne “Il mio cuore messo a nudo”: “Perché lo spettacolo del mare è così eternamente e così infinitamente gradevole? Perché il mare offre insieme l’idea dell’immensità e del movimento”. Con un limite, però, per il progressista Michelet: “La malinconia del mare non è nella sua noncuranza a moltiplicare la morte. È nella sua impotenza a conciliare il progresso con l’eccesso di movimento”.
Del mare racconta le tempeste, le “fioriture” (creazioni), la balena e i crostacei, le meduse e i molluschi. E lo squalo, il racconto forse più sorprendente, rapace e monogamo, con un senso della famiglia accentuato, una specie di uomo d’acqua: “Un supremo divoratore, mangiatore ammirabile e produttore povero, di digestione immensa e di generazione avara”. 
La vita nuova viene dall’Italia
Con qualche curiosità. Le spiagge e i bagni di mare, la grande novità di cui apprezza lo spirito igienico, vuole non per tutti. Con questa raccomndazione chiude la trattazione. Non per i vagabondi e non per i mondani: i bagni di sole e di mare devono essere riservati ai malati, ai bambini, alle donne, e al filosofo.
In precedenza, a dicembre 1860, celebra indirettamente la “rivoluzione italiana” (che ebbe grande eco nel mondo, bisogna ricordarlo),interrompendo la trattazione del mare per un capitol che intitola “Vita nuova delle nazioni. Una lettera di un amico medico gli porta la storia di due piccoli pazienti persi solo perché “non si è potuto mandarli al mare”. Michelet si commuove, e si ferma per commentare: “Una cosa tutta italiana Ci si guarderebbe bene altrove dal mostrarsi deboli e teneri; si temerebbe il ridicolo. In Italia no”. Il dottore scrive del fallimento senza riserva, “con un’abbondanza, una sensibilità femminile, che fa sorridere e piangere”. Effetto anche della lingua: “La lingua c’entra molto, lingua affascinante di donne e di bambini, così tenera, e tuttavia brillante, graziosa nello stesso dolore. È una pioggia di lacrine e di fiori”. Ma la lettera si chiude con l’annuncio che una libera società è stata fondata subito per rimediare, i “Bagni di bambini”, a Viareggio.
Michelet dispensa di conseguenza elogi per tutti: la Versilia, la fondazione (“La nuova fondazione sarà per l’Europa un modello”), Firenze, e tutto ciò che è italiano. “La vita nuova” delle nazioni viene “dall’amata Italia”. L’Italia, “un paese da cui ci vengono spesso grandi notizie: nel 1300 quella di Dante, nel 1500 quella di Amerigo; nel 1600, Galileo”. Gli elogi sono senza limiti per Firenze, dove aveva scelto un tempo di abitare: “Firenze ha avuto l’iniziativa della carità su tutta l’Europa, degli ospizi prima dell’anno Mille. Nel 1287, quando la divina Beatrice ispirò Dante, suo padre fondò quello di S.ta Maria Novella. Lutero nel suo viaggio in Italia, benché poco bendisposto, non ammira meno i suoi ospedali, e le belle dame italiane che, velate, senza gloriola, andavano a servirvi gli ammalati”.

 Jules Michelet, Il mare, Elliot, pp. 256 € 20


mercoledì 25 settembre 2019

Letture - 397

letterautore


Amore – È tema romantico, nasce e muore col romanticismo – ma il romanticismo è ben vivo ancora nel secondo Novecento, per esempio nel neo realismo. Resta nei bordi che D e Roberto tracciava nel romanzo degli amori di George Sand, “Una pagina nella storia dell’amore”: “I romantici, dotati di immaginazione fervida e di sensibilità squisita, non possono esercitare meglio queste facoltà che nelle passioni. E tra le passioni danno la preferenza all’amore, che è naturalmente, dopo l’amor proprio, il sentimento più forte e potente, ma esagerando come è loro costume, anzi necessità del loro temperamento, essi intendono farne la passione sovrana, massima, unica. Per ottenere questi risultati sono costretti a svuotarlo, a falsarlo, a confonderlo con altri sentimenti che hanno caratteri molto diversi”.
Il recente Dio di amore dei papi è romantico?

È esercizio eminentemente di sado-masochismo? Paradossale ma non del tutto la conclusione del romanziere – scapolo – De Roberto, “La morte dell’amore”: “Se amare qualcuno importa quasi sempre più che odiarlo, giacché chi odia può anche astenersi dal far male, mentre chi ama infligge sempre dolori e tormenti, la migliore, la vera prova d’amore sarà appunto questa: rinunziare all’amore”.

Emigrazione – C’erano gli anglo-indiani (anche pachistani), e i francesi d’oltremare: una schiera già folta d scrittori che aveva abbandonato il paese di origine e si era integrata a Londra e a Parigi. Senza transizione – la prima Arundhati Ry, quella del “Dio delle piccole cose”, e la successiva è forse il solo esempio di transizione, da un Kerala molto indiano raccontato in lingua inglese a uno molto inglese. Negli ultimi trent’anni ‘emigrazione intellettuale si è moltiplicata negli Stati Uniti, di asiatici e africani. E di africani e Est-europei perfino in Italia, paese che pure non (im)pone una robusta identità, a differenza della Francia, o dell’Inghilterra o dell’America, di scrittori e scrittrici che si esprimono in italiano.

Epoche creative – Sono soprattutto gli inizi secolo, è la nota teoria di Sgarbi – di chi è nato ai primi del secolo. Quindi si esprimerebbe al meglio negli anni mediani del secolo, i -40-60 sarebbero i più creativi?
“Mephisto”, del “Sole 24 Ore”, richiama Sgarbi a proposito dei primi dell’Ottocento: 1809 Mendelssohn, 1810 Chopin e Schumann, 1811, Liszt, 1813 Verdi e Wagner. Limitandosi alla musica. E conclude con l’“Ecclesiaste”: “Tempus stultitia” – come dire la stoltezza dei tempi (ma è uno dei passi più controversi, secondo monsignor De Luca). E soprattutto, rincara, del 1685, anno che vede la nascita, solo per la musica, di J. S. Bach, di Haendel e di Domenico Scarlatti.

Fine Secolo – Quella del Novecento (“Fine Secolo” si applica solitamente al passaggio trionfale fra Otto e Novecento, all’insegna del glorioso balletto “Excelsior”) Cyril Connolly, lo scrittore inglese editore e redattore di “Horizon”, la rivista di lettere e cultura che caratterizzò il dopoguerra, ha anticipato nel n.78 della rivista, giugno 1946. Una sintesi in dieci punti: abolizione della pena di morte, della censura, delle leggi antigay, antidivorzio, antiaborto, cure, pensioni, casa, gas ed elettricità per tutti, controllo dei prezzi alimentari e dell’abbigliamento, controllo dei diritti di proprietà, niente carceri, solo riabilitazione, niente discriminazioni razziali o religiose, recupero dei beni artistici e dell’ambiente.
Questo testo non è stato mai tradotto. Eccetto una sintesi, pubblicata dall’“Avvenire”, il giornale dei vescovi, cinquant’anni fa, nel 1969.

Genio - Nasce nel Cinquecento come parola, nel Settecento come concetto, di personalità eccezionale. A opera soprattutto di Diderot. Dal latino ingenium, o anche da genius, la divinità tutelare. Dalla crasi tra i due concetti originari, inizialmente adattati come “carattere di una persona, “modo di essere”, Diderot ha estratto quello di mente superiore, artista o filosofo di qualità eccezionale, per creatività e entusiasmo, produttività. Qualcosa non di indotto o studiato, ma di ispirato, e prossimo alla follia.

Icone – Personaggi letterari iconici, ne ha pochi l’Italia, forse solo Pinocchio, col Gattopardo – Montalbano resisterà? L’Inghilterra invece abbonda: Alice, Gulliver, Robinson, Jekyll e Hyde, Scrooge, (altro Dickens), i tanti Shakespeare (Amleto, Otello, Jago, Romeo e Giulietta…), Sherlock Holmes. La Francia solo Bovary. La Germania Werther, Münchhausen, Simplicissimus. La Russia ne ha molti fuori misura ma confusi, in Dostoevskij (Raskol’nikov, Dmitrij, Myskin, i Karamazov, gli Stavroghin), Gogol (Chlestakov, Čičikov, Pljushkin - più conosciuti per il titolo o funzione, revisore generale, anime morte, etc.), Tolstòj (Bezuchov, Bolkonskij, Vronsky: o Anna Karénina, Chadži-Murat, Ivan Il’ič), più Oblomov e Živago.

Rousseau – Partigiano indizionale dell’uguaglianza per un desiderio inconscio di superiorità, secondo Diderot. Che nella “Promenade Vernet” racconta: “Jean-Jacques Rousseau, che mi vinceva sempre agli scacchi, mi rifiutava un vantaggio che avrebbe reso la partita più equilibrata… «Imparate a perdere», mi diceva. No, gli rispondevo. Ma io mi difenderei meglio e voi ne avreste più piacere. «Può darsi», replicava, «ma lasciamo stare»”. Un aneddoto preceduto dal commento: “L’uomo ambisce alla superiorità anche nelle piccole cose”.
Rousseau e Diderot erano stati molto amici. Poi avevano litigato. Nel 1749, poco dopo avere assunto la direzione dell’“Encyclopédie”, Diderot invitò Rousseau a collaborare per la musica. Rousseau scriverà molto su questo tema. Scriverà anche la voce “Economia politica”, che nel 1755 pubblicherà a nome proprio, come “Discorso sull’economia politica”, anticipando alcuni concetti del “Contratto sociale”, in particolare quello di “volontà generale”.
Fu mentre faceva visita a Diderot in carcere, nel 1749, per la “Lettera sui ciechi”, per empietà, che Rousseau ricorderà di avere letto sul settimanale “Mercure de France” il bando del concorso dell’Accademia di Digione, che gli provocò una sorta di tempesta emotiva, e l’illuminazione che avrebbe messo a punto nel “Discorso sulla scienza e le arti” che l’anno dopo vincerà il concorso. Ma presto ebbero cominciarono a litigare. Nel 1752, dopo la rappresentazione a corte, a Fontainebleau, alla presenza di Luigi XV, di “Le devin du village”, con successo, Rousseau evitò il giorno successivo di presentarsi all’udienza dal re, che lo aveva espressamente invitato. Forse per evitare l’offerta di una pensione regale, che non avrebbe potuto rifiutare dato che viveva nella quasi indigenza, ma che temeva. Diderot criticò pubblicamente con una certa asprezza questa scelta.
Nel 1757, proprio mentre Diderot si apprestava ad abbandonare l’“Encyclopédie”, i rapporti si guastarono definitivamente. Fra attriti di ogni tipo, con Melchiorre Grimm e con lo stesso Diderot per la “Correspondance littéraire”. E , più radicali, con D ‘Alembert. Rousseaa, tornato cittadino a pieno titolo di Ginevra, che lo aveva molto onorato, al punto da dichiararsi calvinista, si eresse non richiesto a difensore della città dalle critiche. In particolare contro D’Alembert, che nel settimo volume della “Encyclopédie” pubblico quell’anno un articolo su Ginevra. Rimarcando ovviamente che il teatro e la musica vi erano proibite. Rousseau reagì un anno dopo con una “Lettera a D’Alembert sugli spettacoli”, pubblica, in cui diceva il teatro immorale, in quanto manipola l’opinione invece di indirizzarla alla virtù. La rottura fu definitiva, non solo con D’Alembert, e con  Diderot, ma con tutto l’ambiente illuminista.
Voltaire disse Rousseau pubblicamente “il Giuda della confraternita”. Rousseau gli rispose con una lettera che poi includerà nelle “Confessioni” - “Avete rovinato Ginevra come prezzo dell’asilo che vi avete ricevuto” e “Vi odio… ma da uomo che avrebbe voluto amarvi se voi l’aveste voluto”, e comunque “compenetrato” di “ammirazione, che non si può rifiutare, per il vostro bel genio e amore per i vostri scritti”. Voltaire dirà allora a un amico: “Rousseau è divenuto pazzo”. E poco dopo, nel 1764, pubblicherà contro di lui un libello anonimo, in cui rivelò che aveva affidato i cinque figli ai brefotrofi. .

Tribù – Vargas Llosa intitola alla tribù, all’appartenenza nel caso alla famiglia liberale, il suo ultimo libro. Dopo aver ripudiato la cittadinanza peruviana per quella spagnola. Ed essere passato dal castrismo a Margaret Thatcher.

Toni Morrison si legge distesi, perché non (si) ghettizza. Come già James Baldwin, benché vivesse in anni in cui Martin Luther King e Malcom X venivano semplicemente uccisi. Al contrario del primo Spike Lee al cinema, settario, cupo: nero buono\bianco brutto. Non al modo dell’“Orfeo Nero” di Sartre, del contrasto dialettico, o del razzismo antirazzista, ma del ghetto trionfante, con inevitabile sensazione di claustrofobia. La stessa che dà Helena Janeczek, “La ragazza con la Leica”, che racconta molti soggetti di varia personalità in molte città, dispersi a causa di Hitler, della guerra e di altre circostanze, ma tutti etnici (ebrei), come in una bolla – solo un goi, in mezza pagina su trecento, Paul Nizan, che era bello e intelligente, argomentativo, ridotto a piccolo burocrate scimunito del partito Comunista (anche, in una riga, certe suore che hanno salvato una mamma con la sua neonata, e sono cattive).
C’è sottotraccia - è quello che infastidisce? - perfino nei romanzi di Henry James, il cosmopolita per eccellenza, nei suoi personaggi da tribù americana in una temperie europea – o nel viaggio di Mark Twain alla scoperta del Mediterraneo e dell’Europa, “Gli innocenti all’estero”.
L’opposto, e uno dei motivi maggiori della sua attrattiva, persistente malgrado i tanti detrattori, è nei romanzi di Hemingway, che sempre si immerge nelle realtà allogene che lo attraggono, l’Italia, la Spagna, Parigi, Cuba, l’Africa, l’America rurale.

Vecchiaia – “Una nazione è vecchia, quando ha gusto”, Diderot, “Promenade Vernet”. Il gusto – il senso del sublime - è delle “nazioni vecchie”.

lettarutore@antiit.eu

La guerra delle donne

La guerra di Troia raccontata da Briseide, la donna-schiava di Achille. Prolissa storia al rovescio dell’“Iliade” e dell’“Odissea”, nei personaggi femminili. Non sottomessi e muti, ma attivi e anzi decisivi, e verbali.
Sembra un’idea travolgente, ma non è nuova - Eschilo ne faceva molto uso. Ed è svolta come sappiamo - niente inventiva: è il lamento delle ragazze. 
Il filone certo è interminabile, la riscrittura della storia. Doppiamente, se si vuole riscriverla al femminile. Triplamente interminabile con le poesie, epiche, liriche, tragiche, civili. Se fosse interessante.
Pat Barker, Il silenzio delle ragazze, Einaudi, pp. 352 € 18.50

martedì 24 settembre 2019

Ombre - 489

È fico il furto al Forte
Del foresto fregnone
E frutta più dei marmi

S’avvoltola svelto
L’avvoltoio e vigile
Vapina i vaganti
In sosta, breve

Il verbale scaltro infilando
Là dove luce non illumina
E la multa inclemente si vuole

Eravamo a: “La Francia non ha ancora scavato un solo centimetro di tunnel”, Di Maio. E:“Non esiste alcun cantiere della Tav, in Italia come in Francia, dove ormai ci hanno rinunciato”, Di Battista. Invece la Francia ha finito un tunnel di 9 km.. Si può dire di tutto in Italia, e fare il governo.
Un giornalista al cantiere Tav, uno solo, costa tanto?

Conte di sinistra: carcere e tasse. Mah. L’hanno applaudito.
Conte ovunque, da Leu a FdI, dagli ex comunisti agli ex fascisti. Mah.

La Cgil indirizzata da Conte è gag inimmaginabile. La Cgil del rivoluzionario Landini.
È tutto “Truman Show”, una bolla televisiva? Landini un po’ somiglia a Jim Carrey, se ne sarà ispirato. E come ragionavano tranquilli di più carcere e nuove tasse.

Da Scalfari a Tsipras il papa pubblicizza non credenti famosi. Da influencer, seppure non irresistibile? O si vuole una “spalla”? Umilmente, certo. Comica?

Nel Lazio mancano 3.700 insegnanti e 90 presidi. Al Nord ne mancano talmente tanti che non lo sanno. Sembra assurdo e lo è. Ma è la normalità della scuola. Dove i ministri si susseguono pieni di idee: quella dell’ultimo è regalare alla “sua” scuola media due lavagne digitali. Mai un’idea giusta.

Il papa è contro Salvini e la Lega. Violentemente. E a favore di Conte, che santifica per ogni aspetto. Mobilitando i vescovi. Col plauso dei media laici.

Il giorno dopo che ha costituito il suo nuovo partito, sono ripartiti i processi a carico di Renzi. Non contro di lui, contro i suoi sodali-collaboratori – in attesa del padre. Per i finanziamenti alla Leopolda, il suo forum fiorentino. Attivo da dieci anni. I giudici non sono distratti, come sembrano.

“Allarme degli 007 sui barchini. «Nuova strategia dei trafficanti»”. Alla buon’ora, si direbbe a Firenze – o anche: perbacco! Ci impiegano un po’ a scoprire quello che tutti vedono.

Resta nel Pd, osannato, Lotti. Non era l’anima nera di Renzi – quanti articoli contro di lui, nei giornali fiancheggiatori?

Beatrice Lorenzin entra nel Pd. Un autobus? Ha pagato il biglietto, o punta a una nuova corsa?
Grande potere di attrazione, un partito al governo. Ma per gli elettori?

È già superato, a metà settembre, il numero degli arrivi di immigrati sulle coste meridionali del mese precedente. Questi migranti non sono un problema politico, di persone in cerca di asilo dalle persecuzioni in patria. Sono un mercato che si muove con antenne sensibili.

“Profughi dall’Africa, è record di arrivi”. Profughi? Un po’ di diritto, e un po’ di Africa no?. Invece che a Parigi o a New York bisognerebbe mandare qualche giornalista in Africa, non è lontana.

“La linea della ministra Lamorgese è di tenere alta la vigilanza in mare”. Quando alta? I barchini sono piccoli, non c’è bisogno di sprecare gonfiabili.

I 5 Stelle subito, prima ancora che il Conte 2 fosse varato, si sono astenuti a Firenze sulla Tav sotterranea e sulla seconda pista dell’aeroporto di Peretola, opere già “inutili”. Poi si sono giustificati: “Ci era sfuggito”, che si votasse in consiglio comunale la delibera sulla Tav e su Peretola. Hanno votato al buio, avevano fretta.

La delibera fiorentina sula Tav (l’attraversamento della città in sotterranea, invece che andando e venendo dalla stazione centrale, Santa Maria Novella) e su Peretola è l’ennesima: se ne discute da almeno vent’anni.

Renzi, Casini, Mattarella: hanno aperto e chiuso la crisi tre democristiani, di tre generazioni successive. La Repubblica è sempre la stessa, non Terza, nemmeno Seconda.
È singolare lo scollamento tra media e realtà politica: i media si dilettano d’innovare, e perché non farglielo credere? Il potere è sornione.

Platone sovranista

Bastano le citazioni in esergo a dire tutto, una pagina di “Repubblica”: “La stessa malattia che, insorta nell’oligarchia, l’aveva distrutta, anche in questa costituzione (nella repubblica,.n.d.r.) sta diventando più grande e più forte per via della licenza, che riduce la democrazia in schiavitù. E in realtà ogni tipo di eccesso suole produrre, come effetto di reazione, un mutamento in senso opposto, tanto nelle stagioni quanto nelle piante e nei corpi, e certo non meno nelle costituzioni…  Sembra infatti che un’eccessiva libertà non si trasformi in nient’altro se non in un’eccessiva schiavitù, tanto nella vita privata come in quella pubblica… Probabilmente, dunque, la tirannia non s’insedia a partire da nessun’altra costituzione se non dalla democrazia – dall’estrema libertà, a mio avviso la schiavitù maggiore e più selvaggia”. 
Ha ben di che Popper a dire, sempre in esergo, confutatore semplice e radicale di Platone: “La mia opinione che Platone sia stato il più grande di tutti i filosofi non è per nulla mutata. Anche la sua filosofia morale e politica, come realizzazione intellettuale non può essere paragonata ad alcun’altra, anche se la trovo moralmente e addirittura spaventosa”.    
Il giudizio di Popper Platone conferma nella silloge – una compilazione di Franco Ferrari. “La Repubblica”, il progetto di governo dei “belli-e-buoni” della nazione, degli intellettuali, non è il solo luogo del biasimo della democrazia. Altri se ne possono leggere nel “Teeteto”, nel “Politico, nelle “Leggi” e nel “Gorgia”. Argomenti non grossolani, anzi sottili, e per questo attraenti, tanto quanto pericolosi.
Dalla caduta del Muro, è il ragionamento di Ferrari, ormai sono trent’anni, tutti si sentono democratici, “e of course un po’ liberali, è il pensiero unico”, con “la fine della politica e quella della storia”. Ovviamente non è così, e anzi abbiamo forse un’era democratica con poca democrazia. Ferrari intravedeva anche segni di involuzione pratici, nello schieramento internazionale a piramide sotto gli Stati Uniti, e in certe derive nazionaliste americane he oggi appaiono più evidenti.
La compilazione è un po’ vecchia, di prima della risi, e oggi sarebbe quasi ovvia. Ma sentirsi dire da Platone le trappole della democrazia è istruttivo. Pur sapendo che Platone non era un democratico per vocazione o d’istinto: il pregiudizio non ne offusca la lucidità.
Popper sapeva della grande forza di attrazione di Platone. Il titolo originario del volume del suo trattato “La società aperta” dedicato a Platone era “The Spell of Plato”, la magia, l’incanto di Platone. Per questo lo elegge a Autorità massima e pessima dei totalitarismi che hanno afflitto e affliggono la storia. Traditore di Socrate, di cui subdolo si erige interprete, dell’individualismo e dell’egualitarismo di Socrate. Sostenitore teorico e pratico di una società organicista, anti-liberale – “tendenzialmente tribale decisamente autoritaria” nelle parole di Ferrari, in abbondante anticipo sui sovranismi di questi anni 2010.  
Platone, Contro la democrazia, Bur, pp. 145 € 5,90

lunedì 23 settembre 2019

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (403)

Giuseppe Leuzzi


La Costituzione campana
De Luca in cattedra, il presidente della Regione Campania, al forum Ambrosetti a Cernobbio, gli stati generali degli affari in Italia. Con la fine del precariato nel pubblico impiego – i “socialmemte utili” di Prodi, pagati ai Comuni dallo Stato: “Lo sapete quanti ce ne sono nella Regione Campania? Circa 20 mila”. Grazie al ritorno alla Costituzione, con i concorsi e l’assunzione a tempo indeterminato.
Diecimila dei ventimila precari, assicura, saranno costituzionalizzati in tre anni. “I primi tremila giovani entreranno a novembre”, esaminati dal Formez, cioè dallo Stato. La Regione paga l’anno di formazione dei neo assunti, i Comuni subentreranno con lo stipendio.Sembra l’uovo di Colombo.
A novembre – ancora il ciclone De Luca - partirà un concorso specialistico, per rafforzare i 46 centri per l’impiego della Regione Campania. In polemica non sommessa con i nuovi alleati 5 Stelle – alleati del suo partito, il Pd: “Il reddito di cittadinanza è il più grande atto di masochismo del Sud prodotto da un ministro del Sud. La misura, in questo momento, ha prodotto la quasi scomparsa del lavoro stagionale”. Uno. Due: “L’esercito dei precari storici adesso si vuole implementare con altri 471 navigatori”. Parte del piccolo esercito, continua, di tremila operatori assunti in deroga delle norme che regolano la Pubblica Amministrazione. Da una Anpal Servizi che è una società di diritto privato. Per due anni. Di non specialisti del mercato del lavoro e dell’avviamento al lavoro. Senza concorso, per titoli e una sola prova scritta, giusto per giustificare le assunzioni.
Non si può dire, ma è un fatto: Napoli trabocca di idee, buone. .

La tenuta del Sud
Robert Walser, che usava molto camminare, e vestire in fogge eccentriche, dice di sé nel racconto “Wurzburg”: “La mia tenuta di marciatore evocava un po’ l’Italia del Sud”. Non dice in che modo evocava l’Italia del Sud, dove non è mai stato. Ma è tale da suscitare meraviglia, e agli occhi di molti la riprovazione: vuole dire che vestiva esagerato o sbagliato?
L’abbigliamento contestato così si fa spiegare dal poeta bavarese Max Dauthendey che lo ospita generoso: “Assomigliate, amico mio, a un abitante di paesi che non esistono che nella vostra testa, mentre dovreste avere l’aria, che sarebbe raccomandabile, di un  semplice peccatore tra gli uomini, o di un contemporaneo tra i contemporanei”. E: “Siete intelligente, tutti lo sanno, ed è evidente che è la vostra ostinazione, giovanile e collerica, che fa di vioi un personaggio bizzarro. Ma non c’è alcun senso a voler apparire strano e bizzarro. Questo modo di distinguersi deve essere considerato totalmente erroneo. Per distinguersi”, basterebbe “non esibire che competenze”. Questo sì, è roba del Sud, da dirsi meglio al Sud.
In altro racconto della stessa raccolta (“Vita di poeta”), “La zia”, lo scrittore si dice abbigliato”di un pantalone verde cacciatore e di una blusa blu e bianca”. Di fantasia, colorato. Un tempo, prima dell’adozione del grigio-nero Armani d’ordinanza, il Sud vestiva anche molto colorato, anche gli uomini.

L’amicizia sarda
Nei “Racconti del maresciallo” il padano professo Soldati fa di passata l’elogio dell’“amicizia sarda”, come un qualcosa di unico. Un’osservazione antropologica, senza attinenza con la narrazione: dell’amicizia di un personaggio che ama dice che è come quella sarda.
Il maresciallo dei racconti di Soldati si è rivelato essere Salvatore Careddu, di Olbia. Sue le storie, racconterà Careddu, che Soldati trascriveva:  “Ci vedevamo una volta la settimana, io raccontavo le mie storie, lui prendeva appunti”. Lo racconterà nel 1996, in pensione e scrittore debuttante, quando Soldati era infermo a casa. A “la Repubblica” confidando: “Soldati crede nell’amicizia in maniera spaventosa, un sentimento che ha sempre vissuto intensamente”. Ma precisa: “Ci presentarono nel 1972”. Mentre i “Racconti del maresciallo” sono pubblicati nel 1967 – la prima serie, quella dei “racconti” dell’amico, la seconda, “Nuovi racconti del maresciallo”, del 1984, è una (piccola) serie per la tv, tecnologica, avventurosa, cosmopolita, e poco amichevole.
Il suo maresciallo Soldati vuole già negli anni 1960 non più giovane, anzi prossimo alla pensione. E una “figura semplice, esemplate. Protettiva”, spiega Soldati ai lettori con la seconda raccolta, 1984: un “bisogno” e un “istinto”, “che in termini psico-analitici si chiama la ricerca del padre”.

Soldati ha, nei “Racconti del maresciallo”, una cameriera ladra della diva in casa della quale lavora, che, perdonata, sarà la sua fedele “dama di compagnia, la sua segretaria, la sua factotum”. Per “crudeltà? capacità di calcolo?” della diva? “No”, la diva “è soltanto una creatura dell’Italia centro-meridionale, una povera creatura che, con tutti i suoi miliardi, non può credere a niente, se non alla morte e al denaro”.

Quattro euro a sacchetto di spazzatura
Imposte locali record al Sud, per servizi invece al di sotto della media, e dell’accettabilità. Nella sanità malgrado i superticket. Peggio ancora nel trattamento dei rifiuti. Le città con la Tari, l’imposta sui rifiuti urbani, più alta sono nell’ordine: Trapani € 550 (per utenza domestica, 80 mq., nucleo familiare di 4 componenti, reddito Isee di 25 mila euro), Benevento 492, Agrigento 470, Reggio Calabria e Salerno 461.
Una tassa che, unitamente alla Tasi, in aree a forte emigrazione, porta i paesi inevitabilmente allo spossesso e all’abbandono. Le case di origine, di famiglia, essendo ipertassate per niente. Un calcolo molto semplice: per 30-40 giorni di presenza nella casa di famiglia in un borgo reggino in Calabria porta a € 4 per sacchetto di spazzatura.
Ma c’è un Sud migliore anche del resto d’Italia. Potenza, città ordinata e pulitissima, ha il record  per il costo minore della Tari: appena 133 euro per famiglia tipo.    

Milano
Si apre a mesi l’Expo a Dubai: 192 paesi espositori, attesi 25 milioni di visitatori. A Dubai, che trent’anni fa era un deserto di nomadi. Milano, che non cessa di farsene vanto, ha avuto 137 paesi espositori, con 22 milioni di visitatori. Comprese le scolaresche, che Dubai per ovvii motivi non ha – fa in tutto tre milioni di abitanti.

È stata la città della Lega. Anzi protoleghista: quando la Lega, tra Lombardia e Veneto, non assommava al 4 per cento del voto, aveva eletto un sindaco leghista, Formentini. Milano Uno, la circoscrizione dei ricchi e degli intellettuali milanesi, non i borgatari di ringhiera.

Ha prodotto il peggio della politica nazionale, dal generale che fucilava i dimostranti a Mussolini e Bossi. Non escluso Berlusconi. Li crea, li impone, e poi li abbatte. È città frou-frou, come la dice Camilla Cederna. Ma non senza danni.

Contro Berlusconi è arrivata alla persecuzione poliziesca, per anni e decenni, con migliaia di guardie mobilitate. Per invidia. Dell’unica azienda forse onesta in città.

Milano non ha istituzioni scientifiche. Ne ha creata una, Human Technopole, per utilizzare le costruzioni dell’Expo, ma ancora non ha niente – l’ha varata due anni fa, e la avvierà forse nel 2024. Tre giovani ricercatori all’estero hanno intanto dato la disponibilità a lavorarci e tanto basta a Dario Di Vico, purtroppo, per dichiararla sul “Corriere della sera” Città della Scienza, “un ruolo che tra le grandi città europee può forse vantare soltanto Londra”.

La propaganda è l’anima del commercio anche per la scienza. Per ora del business statale: “HT è una fondazione di diritto privato”, spiega il finto ingenuo Dario, “finanziata con 140 milioni l’anno dal ministero dell’Economia”. Centoquaranta.

Gli interisti (milanesi) dicono che le offese al loro beniamino Lukaku, compresi i “buuh!”, sottinteso “bovero negro”, non sono offensive, ma un modo per celebrarlo. Scandalo dei benpensanti, “Corriere della sera” eccetera, ma poco – nessuna inchiesta, nemmeno per sapere se la Curva Nord rappresenta ventimila o solo venti tifosi. 
La cosa diventa una notizia quando s’indigna il principe William, il futuro monarca inglese: Milano è snob.

La cosa naturalmente risulta strana – difficile concepire Milano fuori di Milano? Perfino il “New York Times” si scandalizza: “In Italia (non a Milano, n.d.r.) l’abuso razzista a Lukaku è fatto passare come parte del gioco. I suoi stessi tifosi gli hanno fatto notare che il verso della scimmia è una situazione usuale”.

Vuole tutto, quello che le serve, quando le serve. Torino a lungo. Tentò con la Fiat e gli Agnelli, poi si prese le banche, poi ci ha provato con i libri. Ora ci prova con l’Olimpiade invernale.
Si è presa la Lega che era Veneta - e come Liga Veneta debuttò alle politiche del 1983. Ora si prende l’Olimpiade invernale, ci prova.

Milano non avrebbe mai un’Olimpiade: nessuna attrattiva, e poi non vuole spendere. Ma non demorde, anzi punta sull’Olimpiade che assolutamente non potrebbe avere, quella invernale, non avendo montagne. Per farlo fagocita Cortina. Da cui il progetto di Olimpiade Milano-Corina – non Cortina-Milano come sarebbe giusto, per l’alfabeto e per la fama di Cortina stazione invernale.

Cortina vittima di Milano, si direbbe una brutta fine. E invece sono contenti.
Da sola Cortina avrebbe avuto l’Olimpiade invernale, con Milano forse. Ma Cortina e il Veneto sono contenti lo stesso.
Bossi ha scippato la Liga Veneta, ma i veneti votano il Bossi in forma di Salvini contenti. È lo schema della “servitù volontaria” di La Boétie, l’amico di Montaigne.

Altrove uno può, potrebbe, votare liberamente Salvini. Ma il leghismo ha introdotto l’appartenenza: si vota in base a quello che si è. Ed è l’ultimo degli inconvenienti del Sud, che non ha capito la “rivoluzione” del leghismo, che tutto cambia: le prospettive, la convivenza, il linguaggio.

Si vede anche dalla oneupmanship tra leghisti – la rincorsa a chi ce l’ha più duro.  Così ecco i lombardi fregare i veneti. E poi fregarsi tra di loro, il Nord della Lombardia, Varese, Bergamo, Milano contro il resto, Piacenza, Cremona, Mantova, la stessa Pavia. Il leghismo è una chiusura senza fine – è chiusura.   


leuzzi@antiit.eu