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sabato 12 gennaio 2013

Il mondo com'è (123)

astolfo

Conservazione - “La buona filosofia politica è generalmente opera di conservatori” (Bobbio). La buona letteratura pure. Anche la buona storia, a rifletterci. E dunque?

Economia – “Scienza triste” per Carlyle . “Scienza immaginaria” per Borges, “verosimilmente vera quanto l’alchimia” (“Reencuentro”, p.160).  Due letterati. Però è come dice Borges: “A giudicare dai risultati non esiste”.

Europa – È sempre agricola. È agricolo l’asse franco-tedesco: la Germania paga – un po’, di più paga l’Italia – per tenere buona la Francia, che dica sempre sì. Dell’ultima ripartizione disponibile dei fondi della Pac, la Politica agricola comune, pari a 45 miliardi, la Francia incassa la quota maggiore, il 17,38 per cento. Segue la Spagna, col 12,78. La Germania è quarta, col 12, 6. L’Italia, che ha popolazione analoga alla Francia e superiore alla Spagna, ma superficie minore, viene a sette punti, col 10,7 per cento – seguono la Gran Bretagna col 7,11 e la Polonia col 6,55 per cento.
I contributi della Pac sono sempre alti benché i corsi dei cereali – quella francese è soprattutto un cerealicoltura in eccesso – siano ultimamente quasi triplicati: fatto 100 il 1990, le quotazioni erano mediamente al 90 per cento nel 2005, e al 245 per cento a fine ottobre 2012.
Gli Usa e il Brasile, che seguono politiche analoghe di sostegno alla produzione agricola, utilizzano i sussidi in funzione anticiclica: li riducono o li annullano quando le quotazioni aumentano. La Pac è invece una politica della rendita, politica.

Giornalismo C’era una volta un  mondo senza Internet, e senza il computer personale. Non molti anni fa, attorno al 1985. Si scriveva a macchina o a mano, si affidavano le lettere alla Posta, e si aspettava. Si poteva telefonare ma a caro prezzo, il giornale non gradiva. Si partiva perciò molto liberi, di farsi un itinerario, occupare il tempo, avviare approcci, gestire la storia senza doverne discutere minuto per minuto. E relativamente non affardellati, semmai di vestiario, che usava (allora) curare di più. C’era l’Unione Sovietica in Europa, e in Italia si aspettava di sapere se e quando la rivoluzione sarebbe arrivata.

Internet – Ha intronizzato il linguaggio fantasy. Ha elaborato l’evasività a sistema di comunicazione e la sancisce nel sistema faq: non c’è una cosa (una procedura, una definizione), ma un seguito di ipotesi. Si prenda il finto consigliere Google. Che non ti dice cosa fare ma per ogni applicazione ti propone, con linguaggio piano, è vero, molto comprensibile e inequivoco, cosa potresti fare. Il che semplicemente t’inibisce la soluzione: tentenni prima di dare un comando, pena il brutto errore, procedi con la pancia contratta. Al termine della riposta piana e semplice al tuo quesito, infatti, Google inevitabilmente ti propone: per saperne di più su questo aspetto vai là, per quell’altro aspetto vai invece altrove, etc., ci sono molte soluzioni.
È una guida, Google, come un romanzo fantasy, che a un certo punto si biforca e il lettore si costruisce da sé. Per un riguardo democratico, certo. Come un calzolaio che dicesse all’apprendista: puoi piantarci i chiodi, oppure cucirlo, oppure tutt’e due, e magari trovare un’altra soluzione, come incollarlo, pressarlo, ma non è detto che funzioni.

Nuovo ma non vigile. In venti anni ormai dacché esiste, il correttore automatico non è riuscito a metabolizzare Pasolini (impone Pisolini), de Gaulle (de Grulle), Freud (Fredu), e nemmeno Berlusconi (impone Berlsuconi).

Esibisce il lato oscuro dell’America, l’avidità. Dalla filantropica Windows ai simpatici Google e Facebook, tanto gratuiti, e tanto importuni. Non c’è l’industriale, l’imprenditore, che tiene alla sua affezionata clientela, e quasi la protegge, fornendo un miglior prodotto per il cliente. C’è il bisogno di monetizzare ogni piega del processo, subito. E imporla.

Incomunicabili mostri, Windows, Norton, a loro modo anche Google e Facebook. Incombono, estorcono 50, 100, 200 euro, e poi possono funzionare, non funzionare, funzionare oggi ma non domani, o viceversa, e l’utente non può fare nulla. Giusto aggirarsi attorno al monumento e scambiare magari impressioni con gli altri curiosi e \o vittime, in chat, forum etc. Tra ignoranti della materia, che dicono le loro cazzate per sentieri vivi e magari utili al mondo.

Impersona col cellulare l’innovazione continua – la negazione dell’innovazione cioè. Che rende macchine e programmi presto obsoleti, in un anno, anche in sei mesi. Con il passaggio connesso dalla cultura della manutenzione, con i mestieri, e l’artigiano del mestiere, all’usa-e-getta. La prima stampante, Mannesmann, necessariamente buona perché tedesca, lavorava come una segheria, con una molla che, quando saltò, costava quanto la stampante stessa. La prima Epson, comprata per 200 mila lire, al primo ricambio della cartuccia secondo la procedura comportò l’allagamento del vano inchiostro, con un preventivo di costo per la riparazione superiore del 10 per cento al costo della macchina stessa - dopo un viaggio di otre un’ora al laboratorio Epson, fuori porta, due ore e mezza col ritorno, una mattinata. Uno strumento di liberazione che comporta l’asservimento totale del cliente.

Tutto è geniale ma resta provvisorio nell’informatica. Deperibile. Improvvisato. Le prese usb affiancate nei personal in modo da non consentire l’uso in contemporanea delle pennette.

Paternità – Nella maggior parte dei casi di feroci uxoricidi, con infanticidi, c’è la paternità negata. C’è l’abbandono o il rifiuto da parte della donna, e quindi una rivalsa maschilista. Ma più pesa la paternità negata.

“Mamma mia!”, il film più visto in Gran Bretagna, uno dei più visti negli Usa, la rappresenta amabilmente. Come inutile. La ragazza cacciata di casa a 16 anni dalla madre perché ribelle che non sa con chi ha avuto la sua propria figlia. E non se ne dà pensiero. È canzone degli Abba fin del 1974, in inglese e in italiano, e non senza ragione. Trattato drammaticamente da Eduardo in “Filumena Martirano”, il tema era stato ripreso da Joan Plowright e Laurence Olivier, l’establishment britannico, con adattamento dello stesso dramma, a Londra e negli Usa, sempre con grande successo di pubblico.

Vice-presidente – È un titolo onorifico senza poteri, inventato dalle corporations americane per i procacciatori d’affari europei e latinoamericani. Persone di vaste relazioni: professori di economia, politici, veri e propri mediatori d’affari, lobbysti, pr. Prodi, Draghi, Monti sono stati apprezzati dirigenti non esecutivi delle maggiori banche e gruppi d’affari anglo americani. Negli Usa anche  il famoso cardiochirurgo a cuore aperto Cooley aveva a Houston due vice, uno italiano per l’Europa, il giovane dottore romano Sandiford (che la moglie poi uccise per gelosia), e uno sudamericano. 

astolfo@antiit.com


Céline si maledice, anarchico e comunista

Prontuario céliniano per non céliniani. Con un uso parco e sicuro della fonte, l’alluvionale – apparentemente - Céline. Che Lanuzza fa scoprire da sé in una “autobiografia”, ottima trovata. Accompagnata da un doppio abbecedario, uno dello scrittore en philosophe, sia pure per aforismi, e un temario, corredato dal bignamino di tutte le opere, e da una sottolineatura vigorosa del tema céliniano su cui non ci si ferma abbastanza, l’odio della guerra. Una nuvola lieve, respirabile, sul vulcano ancora attivo, fumigante di gas e lava viva, dell’autore del “Viaggio”– cede alla follia della guerra nazista come complotto capitalista (e usa il nostro “I sotto uomini” senza menzionarlo), ma è menda minore.
Céline è anche semplice, nella sua biodiversità, o igiene mentale: su mangiare, bere, fumare, bruciare benzina. Al punto da essere su questi temi icastico – di esserci diventato, per ruminazione. Le “punte” sono ricorrenti: “Il popolo non ha ideali, solo bisogni”, “Vivere, per le anime ardenti, è una carriera pericolosa”, “L’argot non si fa con un glossario… è l’odio che fa l’argot”, “Mi manca ancora qualche motivo di odio, sono sicuro che esiste”, “Nascondo un fondo d’orgoglio che mi fa paura”,  “La politica ha imputridito l’uomo negli ultimi tre secoli”. Non studiate, cioè, e risentite (personali): Céline non è in posa.
La scelta però ha questo merito: sottolinea la non aforisticità di Céline - la “troppa” serietà dietro lo humour ineliminabile dalle sue tragedie. Nella costanza dei temi, da predicatore ostinato, mai in disarmo. E per lo straordinario fiuto politico, nei secondi anni Trenta – quelli dei libelli maledetti: “Sono gli animi perversi a rendere la vita insopportabile. Scoprono intenzioni ovunque. Io mi sento diventare così perverso che sto approdando alla follia razzista”. Di uno che si voleva anarchico e comunista, e lo era.
Stefano Lanuzza, Maledetto Céline. Un manuale del caos, Stampa Alternativa (remainders), pp. 240 € 6,50

venerdì 11 gennaio 2013

Il mite egoista

Malinconia a piene mani, benché temperata dalla gioiosa Liberazione – è il 1945. Come all’osteria romana che Saba frequenta con piacere, indisturbato potendo non parlare con nessuno. Il mite egotista è qui senza remore. Che gli eventi rimpicciolisce, anche la guerra, anche la persecuzione, nelle piccole moralità, di osservatore sommesso. Zampillante, detto questo, di umori: Dante “bambino”, Prost “femmina”, Penna “materno”, Carducci “grossolano (“Sei nella terra fredda – Sei nella terra negra”), Ungaretti giusto killer di poeti. Volentieri aforistico – moralista cioè, anche se rifiuta Kant. Nel mondo popolato, “si sa”, da “innumerevoli angeli”. Sempre infantilmente attaccato anche a queste prose minime, che lima in continuazione – ne dà fino a tre e quattro versioni, di Verdi “genitale” invece che “geniale”, dell’amato Parini gentile pederasta, di “Guerra e pace” grandioso come l“Iliade” e già miorto.
Umberto Saba, Scorciatoie e raccontini, Einaudi, pp. 197 € 19

La riforma ci vuole dei costituzionalisti

Michele Ainis, per dire, o si prenda un altro dei tanti costituzionalisti, scrive fondi sul “Sole” o sul “Corriere della sera”, per rimproverarci. Perché non si fanno le “necessarie” riforme costituzionali. Salvo dare regolarmente addosso a chi le propone, Berlusconi perché populista, D’Alema perché decisionista, etc. Non c’è delitto peggiore: si può rubare e prendere i voti della mafia, ma non cambiare la Costituzione, sia pure “necessariamente”. Craxi, che più di tutti ne era convinto, lo mandarono in prigione – avrebbero voluto. D’Alema si sottrasse arrendendosi. A torme di “Bella ciao” e pugni alzati, guardiane della Costituzione feticcio. La Costituzione di Fanfani, La Pira e il giovane Moro, art. 7 incluso.
È un balletto dei furbi: l’Italia è vittima dei suoi “chierici”, gli intellettuali. Non da ora, sono vent’anni che tradiscono – da quando hanno avuto accesso al “mercato” (giornali, convegni, talk-show, consulenze, premi, festival, siti online locupletati, cattedre). Pagati, anche se con le briciole. Si ricordano ancora Romiti e la Confindustria di vent’anni fa, che istigavano Mariotto Segni sulla “necessaria” riforma, per poi passare tranquillamente con gli sbirri del non-governo. Perché la riforma questo è: ricostituire la funzione di governo, che la Costituzione ha svilito e frantumato. Non per errore. Con gli sbirri dell’antipolitica: i padroni. Che prima di essere prepotenti sono furbi. Senza governo non c’è politica.

giovedì 10 gennaio 2013

Ombre - 161

Da Santoro meglio che da Vespa, Berlusconi figura disteso, e a suo modo convincente, su cifre, cose, fatti. Torna perfino ad avere una fisionomia. Effetto dei suoi interlocutori. Delle interlocutrici anche, tirate ai quattro pizzi, “moglie di”, “figlia di”. Con la domandina attaccata alle labbra. L’occhio sprezzante. Figuranti. Tra turbe, s’indovinano, di Grandi Firme schierate per il Grande Evento, supponenti.
Informazione? Teatro. Solo che lui è più “reale”: recita meglio, tiene la scena, buca lo schermo.

Da Santoro all’inizio Travaglio legge dieci minuti contro Berlusconi. Alla fine Berlusconi lo imita: legge una scheda contro Travaglio, quindici anni di condanne per diffamazione. In regola col genere, accusa senza faglie. Meno monotono anche dell’originale. Meno determinato, però: presto cambia ritmo, come a dire “abbiamo scherzato”, mentre il genere vuole convinzione e costanza. Gli ascolti rischiano e solo allora Santoro s’indigna - Berlusconi è già arrivato al 2012. 

Berlusconi legge da Santoro una lista di condanne inflitte in quindici anni a Travaglio per diffamazione. Santoro s’indigna quando Berlusconi è già arrivato al 2012.

Annamaria Cancellieri, il prefetto in pensione che divenne ministro dell’Interno dell’emergenza, non ascende in politica: “Sono moglie, madre e nonna felice e piena di cose da fare”, ha detto. Anche Confucio fu ministro di Polizia: sarà la carica che li rende umani?.

Milano trova l’unico giorno lavorativo nella lunga festività per infliggere a Berlusconi una multa di 36 milioni, l’anno, a vita. Sotto forma di alimenti alla moglie che l’ha ripudiato. Ma quanto deve mangiare questa moglie?
No, Milano voleva solo rovinare il Capodanno a Berlusconi. E al solito gli ha fatto un favore: la condanna è meglio delle anfetamine per la sua campagna elettorale?


Centomila euro al giorno di alimenti, Hollywood non è stata capace d’inventarseli. È un giudizio o una gaglioffata? Ma di giudici che non s’immaginano simpatiche.

Ci sono volute tre giudici insieme a Milano per decidere gli alimenti a Veronica. Una cifra spropositata, 200 milioni al giorno in lire. Berlusconi allora ha detto le tre “femministe comuniste”. Le tre giudici, il Tribunale di Milano e la Corte d’Appello della stessa Milano hanno risposto con sdegno a Berlusconi. E dunque le tre giudici cosa sono? Tarde goliarde?
Nella impassibilità di Milano.

La fiction di Bova può debuttare in tv con accuse urlate infamanti di un ex capitano dei CC, ora colonnello, alla Pubblica Accusa e al Tribunale che lo giudicano come mafioso di complemento. E far vedere un generale dei CC che sacrifica il colonnello per tenersi buoni i giudici. Senza reazione, non dei giudici né dei Carabinieri – nemmeno una perquisizione a Berlusconi (la serie va su Canale 5). Troppe code di paglia?

Raoul Bova può dire del cap. “Ultimo” che impersona in tv: “Un simbolo che non sono riusciti a infangare”. Loro, i giudici di Palermo. Può dirlo un attore, che deve stare attento a non indisporre il pubblico, nemmeno parzialmente, e non un militante. Perché è vero, per lui e per tutti?
Torna a maturare la frattura tra sbirri e giudici degli anni di piombo, i giudici che favorivano i terroristi – che poi si rivelò vera?

Marchionne è il miglior manager per il “Financial Times”. Mentre Mucchetti, il giornalista filo-Volkswagen, anti-Marchionne e anti-Fiat, va a fare la colonna portante del Pd alle elezioni. Sarà un’altra partita Germania-Italia?

“L’area del centro-sinistra è oggi quella a maggior tasso di democrazia reale”, scrive Mucchetti a de Bortoli, per spiegare che “il centralismo dell’antico Pci”, in virtù del quale lui è sicuro di essere eletto, “non caratterizza più da anni il regime interno del Pd”.
In effetti già Togliatti cominciava a essere stufo, della langue de bois.

Lidia Ravera dà dell’“ignorante” a Franca Rame sul “Fatto Quotidiano” (reiterandolo l’ingiuria sul  “Corriere della sera”) per difetto di antiberlusconismo. Ma Ravera sa leggere? Il giornale per cui scrive, perlomeno.
Però, questo Berlusconi, è proprio un diavolo.

L’idea di Vercesi, sul n. 51 di “Sette”, di adottare “Bella ciao” come inno nazionale, provoca numerose lettere di protesta, articolate. Significa che il “Corriere della sera”, dopo quasi mezzo secolo di dirigenza (ex) comunista, resta il giornale della borghesia. La persistenza è più forte dell’innovazione, nella lettura – o la lettura è un’abitudine.

Scende lo spread, esplode la disoccupazione. Titoli così, senza ironia. Con accanto la foto lusinghiera di Angela Merkel, la victrix.

Pound cantore cortese

Pound è illeggibile, i “Cantos”. Anche frammentandolo, anche solo per un verso memorabile. Una serie d’immagini al caleidoscopio, avulse, tra poesia, miti, storia, memoria, politica, paesaggio, in una lingua ibrida, un mistilinguismo accentuato, con innesti di latino, greco, occitano, francese, tedesco, italiano del Tre e Quattrocento, e gerghi privati. A partire dal titolo, plurale inglese della parola italiana. Col vezzo del kenning, gli aggettivi composti di due o più parole legate da un trattino. Con farciture di lunghi estratti di carte ordinarie, semplicemente tradotti: notule, annali, diari, codici, committenze, ricevute. Di un’adolescenzialità prolungata e anzi eretta a poetica, quando si gioca col linguaggio – i linguaggi si moltiplicano e si esoterizzano, operazione sportivamente creativa e misterica. A volte chiuso, chiusissimo, in mezzo alle sue letture, che si racconta a se stesso. In chiave quasi “celaniana”, poiché la poesia filologica è l’amore della lingua - di una lingua madre che abbia rifiutato il figlio (o il figlio abbia rifiutato).
Ogni “Canto” ha bisogno di una rete, che più spesso ha nodi variati. Sulla quale i segni si dispongono a capriccio, per lampi di memoria, guizzi della fantasia, come se in un arazzo dall’ordito mobile i fili si applicassero per estri improvvisi, di qualità, forma, colore. Da un poeta polemista ma anche appassionato antichista, cultore di Omero, dei poeti latini, dei trovatori, di Dante, dell’Italia dei Principati, e dei Condottieri, e talvolta perfino lirico, di fronte alla natura, la luce, i sassi, le foglie,  i colori, i sapori. “Da ciò”, spiega Bagigalupo, “il carattere frammentario di molti dei «Cantos», o quella che vien detta la poetica della citazione”. Si può anche leggerlo alla maniera di Mallarmé, “gourmet di sonorità” quale è stato anche detto (Bagigalupo evoca un ricordo di Montale in visita da Pound: “Una volta che trovò la parola «lattizzo», uscì seminudo per le vie di Rapallo urlando: «lattizzo!», «lattizzo»” – qui in uso al “Canto” XXII),  ma allora contro le sue intenzioni, e il senso dei “Cantos”.
Di fronte a tanta prodigalità Bacigalupo, curatore e traduttore, è breve e ricco. Con un tatto speciale per la spazialità di Pound, “poeta filologo” (p.11). Il suo riportare la passione filologica nella storia, in “scene oniriche e visionarie”, e contesti storici presupposti, e quindi oscuri. Come se i “Cantos” fossero un cantiere, scritti in forma informale, se si potesse dire. Nella quale il lettore è invitato a entrare a ogni rilettura, a farsene l’autore – porsi domande, darsi risposte, “spaziare” tra interpretazioni e riscritture, variare: “Entrare nel loro laboratorio testuale e immaginifico” (32).
Bacigalupo agevola la lettura con pochi, rapidi, e incredibilmente esaurienti sussidi, niente più che una guida volendosi, seppure competente e discreta - niente del traduttore-esegeta che si sovrappone all’autore: sommari e riferimenti di ognuno dei “Cantos”, contestualizzati anche nella vasta produzione poundiana, critica e poetica, una cronologia, una bibliografia comprensiva delle fonti e  delle traduzioni, oltre alla storia editoriale del poema e a una selezionata bibliografia critica, più una utile silloge di lettere e testimonianze che hanno accompagnato la gestazione e la prima pubblicazione della raccolta, e un indice dei nomi specialmente accurato, con i luoghi e i personaggi citati. L’inquadramento, in poche righe del risvolto, è più di un saggio: “Come Byron agli inizi dell’Ottocento, Ezra Pound inaugura il Modernismo novecentesco con un viaggio poetico lungo le coste del Mediterraneo: da Gibilterra alla Provenza, alla Grecia omerica, all’Italia del Rinascimento e di scabri paesaggi esotici - «Come lo scultore vede la forma nell’aria…». Con qualche puntata a Parigi e a Londra…”.
L’edizione italiana dei “Cantos” resta quella di Mary de Rachewiltz del 1985, con la collaborazione di Maria Luisa Ardizzone, ora nei Meridiani. Un lavoro formidabile di assestamento di un magma trabordante, tra riferimenti, varianti, riscontri. Con un’altra presentazione brevemente esaustiva: “Poema scritto in pubblico, ma anche poesia chiusa. Dai trovatori Pound ha imparato a coprire le proprie tracce. E più  giri volgono verso il centro di sé e della sua tribù. Più si imbozzola. Ma per chi riesce a rompere il guscio è un entrare nella «ghianda di luce», un reggere «la sfera di cristallo». Bagigalupo la arricchisce semplificando – in questo gruppo iniziale del poema, “A Draft of XXX Cantos”, che Pound è venuto componendo dal 1917 e ha raccolto nel 1930.  Ha reso piana la traduzione, in armonia con l’originale – Pound era agitato ricettore-recettore della contemporaneità, specie nella sua vulcanica officina editoriale, avanguardista senza manifesto, mallevadore delle lettere degli anni 1920-1930. Evitando in particolare gli arcaismi che impreziosivano e appesantiscono la traduzione canonica. Particolare non trascurabile: l’interesse di questa edizione è l’effacement del traduttore e curatore. Al punto da sembrare distratto o diminutivo. Mentre è il quasi muto, il cappello in mano, di fronte allo straripante titanismo del poeta, che ogni parola rispetta come una cosa.
Nel tempo, Pound appare un poeta europeo più che americano, e anzi italiano. Ma la memoria e la critica di Pound, poco consistenti in Europa, come  del resto negli Usa, sono lasciate in Italia ai nostalgici. Per le innegabili propensioni e le amicizie di cui il vecchio Poeta infine liberato ancora si compiaceva. Massimo Bacigalupo è un’eccezione: americanista, dopo essere stato autore in proprio, cineasta e studioso dell’immagine. Nonché piccolo amico del vecchio Pound, dismesso  dall’America. Al poeta ha dedicato trent’anni fa seicento pagine di studi, “L’ultimo Pound”, premio Viareggio 1981 - agli ultimi “Cantos”, dai “Cantos pisani” alla fine, quindici anni di fervore creativo malgrado la follia ufficiale..
Un viaggio di Ulisse
Volendosi iniziare al poema poundiano questa “prova” di trenta “Cantos” sono un quadro quasi completo delle modalità e le tematiche dell’insieme. Alcuni narrativi, seppure per giustapposizioni, di cose viste, di viaggio: il blocco della speculazione (XIV, XV), il XX sul mondo latino e provenzale, il XXII a Gibilterra. Altri sono evocativi. Altri di attualità o polemica, letteraria, economica, politica.
Come poi Joyce, anche Pound inizia e fa il viaggio con Ulisse. Ma in una “prospettiva democratica”: non si consola dell’eroe (martire) dell’assenza, o dell’impossibilità di essere, ma gli rimprovera l’egoismo. Un po’ ovunque e poi nel canto XX: Ulisse ha vissuto allegramente, con Circe, con le Sirene, con Calipso, a Itaca, sacrificando i suoi compagni - “cosa fu dato a loro? cera per gli orecchi”, e il “mare spumeggiante” per bara.
Quello di Ulisse è peraltro qui, propriamente, non il viaggio del ritorno comunemente inteso, o la nostalgia di casa, ma un girovagare a caso, ai venti e all’avventura. Senza nemmeno la casa come complesso di colpa, quale è nell’originale. Ulisse-Pound non è un eroe. Nemmeno un avventuriero. È uno che sempre si sorprende agli avvenimenti: che siano sorprendenti, e non canonici (etici, regolamentari, come li voleva l’invadente scientismo, scontati).
Su tutto Pound mette all’opera, con risultati alterni, la potenza evocativa del mito, del mistero della storia. Attraverso la letteratura, la storia di storie – un’anticipazione della categoria del postmoderno? Una fatica erculea, una fuga continua da sé e dal mondo, di un  poeta che pure vi è immerso senza scampo, e anzi con gusto. Da qui il sostrato “dantesco” dell’opera, per ogni altro aspetto lontana dalla “Commedia”. Il viaggio di Ulisse è il paradigma ritornante e la sola cornice possibile di questo vagare, dell’inquietudine. Che si sostanzia di immagini, irrelate, in attesa di un filo conduttore, che il lettore è abilitato a dipanare. Soldati sui gradini della Dogana a Venezia vedono il Cid che cavalca fino a Bruges. Mentre So-shu, sguazzando per il mare, incotra Elena, “flessuosa figlia di Oceano”, un  ex galeotto “ricercato in Toscana per omicidio”, Dioniso che viene rapito dai pirati, e turbe di linci, leopardi, pantere. Pound è incomprensibile, e tuttavia leggibile, se solo subentra lo scarto, il guizzo, e il “ponentino”.
Un giornale di bordo
I “Cantos” sono come il giornale di bordo della nave-Pound, nel mare della storia e della letteratura. Dove gli eventi insorgono e non si costruiscono. Fra le tante letterature di viaggio è la forma che meglio si attaglia all’opera. In uno spazio dalle coordinate non euclidee, il passato s’intreccia col presente, la lirica con la storia, il quietismo “orientale” con l’attivismo, la passione con la ricerca,. Senza mai fare il punto, perché non si va a una meta, solo si viaggia nella meraviglia. Ogni “Canto” altrimenti resta un guazzabuglio, dove il lettore viene mosso col passo della pernice, asimmetrico, asintotico. Staticamente è un magazzino di robivecchi, un carico alla rinfusa. Il poeta-comandante è distaccato ma non spersonalizzato. Nella freddezza del giornale di bordo trova anzi l’identificazione col passato che intende rivivere e altrimenti non può, sarebbe un artificio, e quel presente che vorrebbe plasmare, rivoluzionario radicale, se non totalitario. Sapendo – è il suo tema forse più complesso – che “la trasmissione del sapere di lingua in lingua, di età in età”, sintetizza Bacigalupo la fruizione dei classici, è “avventurosa” (342). Bacigalupo, “conterraneo” di Pound sul mare di Rapallo, ne è come il mozzo, non distratto, che da lontano vede meglio.
La poesia del “cieco” Omero è visuale. Quella di Shakespeare immaginifica, quella di Rimbaud  musicale, e di Verlaine naturalmente, quella di Dante realistica, e così via – di Celan filologica, la lingua della madre che ha rifiutato il figlio, di Eliot mentale, di Baudelaire sensuale. Quella di Pound è storica e letteraria, libresca. Pound è una di quelle esistenze sopravissute al Novecento calandosi nella letteratura – altri casi si possono dire Yeats, il secondo Joyce, quello già quasi cieco dell’“Ulisse” e dei “Finnegan’s Wake”, e Borges.
La “grande memoria” di Yeats, di cui Pound fu assiduo e quasi segretario, è la chiave dei “Cantos”: memoria familiare, tribale, etnica – storica. Del poeta letterato, la cui occupazione di vita era cioè la letteratura. Con l’uso perfino antiveggente del mito. Al modo elaborato dallo stesso Yeats in uno degli ultimi sonetti,  “Leda e il cigno”: anticipare nel mito la realtà. Pound usa molto la mescolanza dei miti che trova o si costruisce, in Provenza, in Italia e in Cina, in Dante e nei trovatori, laici e religiosi, cristiani e greci, con centauri, minotauri, santi, vergini. E una sorta di diacronia storica, o dei fatti. Che annulla il tempo e lo spazio nella visione, nel viaggio mentale, immaginifico. In particolare, è immerso nell’atemporalità del mito, cui assimila il fatto storico e quello di cronaca,. Secondo il meccanismo di Yeats, “Leda e il cigno”. O di Dante Gabriel Rossetti, che raccontando di Elena prevede che Paride s’innamorerà di lei, non solo, ma che Troia sarà per questo bruciata, anzi sta bruciando – il ritornello è “Oh, città di Troia”\“l’alta Troia è in fiamme”.. È una forma perspicua di realismo, molto idealista.
Il ciclone Whitman in Europa
Il precedente maggiore che non si considera è però di Whitman, vita libera e imprese, tono tempestoso incluso. Del poema che si arricchisce via via, come un bozzone, in costante rifacimento, Con lo stesso titolo. I “Cantos” hanno una unità costruttiva e una realtà – di riferimenti al di fuori di essi. Di tono costantemente epico, se epica è la carne della poesia – o lo è il sale?  L’autore è in entrambi personaggio, Whitman e Pound. Personaggio plurale. In dialogo costante col lettore – una sorta di pre-interattività elettronica. Impresi a rinnovare la lingua, l’inglese americano nel caso di Whitman, l’inglese inglese in quello di Pound, vortice sovversivo nella tradizionalissima Londra proto novecentesca – “la fortuna di MacMillan è «The Golden Treasury»”, l’antologia vittoriana della poesia – Macmillan l’editore più grande.
Pound è dunque anche “europeo”, un innesto dell’America nella spenta Europa negli anni delle “avanguardie” – una forma di emigrazione inversa, cosa rara. Un innesto fertile, specie sull’inglese, di cui rinnovò la lingua, gli stilemi, le finiture (T.S.Eliot e Joyce sopra a tutti). Fu avanguardista al modo europeo, organizzato, programmatico, che in America non usa, non è avvenuto neppure con la frattura beat. E forse – la cosa andrebbe scandagliata – bisogna imputare a questa anglicizzazione surrettizia la “follia” di erigere a eroe Mussolini nella guerra degli Usa: gli inglesi sempre si trovano sportivamente un avversario degno in guerra nel fronte avverso, e anche un eroe, Rommel nell’ultima guerra mondiale, il capitano di Emden nella prima, Napoleone, Giovanna d’Arco.
Ma non con spirito combattente, con animo anzi gentile. I trovatori sono ancestralità sempre viva per Pound, a partire da “A walking tour in Southern France”, il suo unico libro di viaggio e una delle sue prime elaborazione costruite, a fine di pubblicazione - “la «Provincia deserta», patria ideale di P.” (350). Nel saggio “On Love” Alfred Orage ipotizza il catalizzatore d’amore” nella figura del trovatore. È un saggio del 1932, tardo quindi per Pound, ma la figura ancora gli si attaglia: Pound non ha cessato di essere, da prima ancora che diventasse poeta in proprio, e poi nella tormentata esperienza di vita, un “catalizzatore d’amore”. Nella vita reale. Nei confronti di amici e conoscenti. Mentre nella propria viveva nella letteratura – ma anche amici e conoscenti privilegiava nella letteratura. Una vita cortese tra le tempeste del Novecento.
Ezra Pound, a cura di Massimo Bacigalupo, XXX Cantos, Guanda, pp. 380 € 28

mercoledì 9 gennaio 2013

Caporalato di Stato

Pronta sta da settembre
Ogni mattina alle otto
L’attempata supplente
Alle assonnate chiamate
Di remote scuolette.
Caporalato di Stato? 

Esche vive per manzoniani stanchi

Con Goya in copertina, il “Ritratto di Antonia Zárate”,  due ritratti del Manzoni “nero” - non c’è solo la monaca Gertrude, c’è anche Lucia. Visto dall’università di Reading, si può – salvo obliterarla subito, la raccolta di saggi più effervescente del manzonismo. “I promessi sposi” tra “Storia, fiaba e romanzo nero” è un’altra traccia. O “La Chimera” di Vassalli nei “Promessi sposi” – “un esempio di intertestualità in direzione opposta”. Con la Controriforma nella “cultura popolare”. L’analfabetismo, la paleo-industria, l’introduzione di Carneade nell’ultima stesura del romanzo. Una riserva di esche vive, anche per lettori esausti.
Verina R.Jones, Le dark ladies manzoniane

La santa dell’eugenetica, criminale

“Volevo un mondo sicuro per i bambini” (p.194). Che una ricerca governativa faceva dipendere dal reddito domestico, dall’intervallo fra le gravidanze, dal numero dei parti – 32 secondogeniti su 100 morivano, 60 su 100 se dodicesimogeniti. Erano gli anni della prima guerra mondiale, negli Usa.
L’eugenetica fu semplice e bella anche per Margaret Sanger. Che Charles Davenport, genetista, aveva divisato a fine Ottocento, per una società in cui “innamorarsi con intelligenza”, niente di più. Ma gli amori intelligenti Davenport riuscì a  immaginare solo tra partner astemi, danarosi e nordici. Margaret Sanger, che gli subentrò nell’impegno, li praticò personalmente a partire da Havelock Ellis, il sessuologo. Al quale si legò una volta libera dal secondo matrimonio con tre figli - dopo il primo di prova contratto a diciott’anni. Si fece patrona degli immigrati, contro lo stesso Davenport  che non li voleva di razza latina o balcanica, meno che mai asiatica, e quelli che c’erano voleva sterilizzati. E distribuì personalmente profilattici gratis nei quartieri poveri di New York. Nel controllo delle nascite individuando anche il nodo della liberazione della donna.
Si espongono o uccidono le bambine, Margaret spiegò nel 1920 in “Woman and the New Race”, in India e Cina, a iniziativa delle stesse madri. Come già a Sparta, dove le donne, possedendo i due quinti della terra, controllavano la famiglia e l’infanticidio selettivo. In Germania la pratica fu tanto diffusa che “un solo principe ebbe a condannare ventimila donne a morte per infanticidio”, e un decreto del 1532 dovette comminare a scopo dissuasivo pene quali l’impalamento, la sepoltura da vivi, l’annegamento in un sacco con un serpente, un cane e un gatto. In Italia per ogni 100 uomini infanticidi Margaret registrava 477 donne – senza contare che l’uomo “di solito lo fa istigato dalla donna”.
L’aborto selettivo surroga oggi l’infanticidio, con effetti variati: nei paesi islamici si abortisce, Margaret Sarger rilevò, sempre in “Woman and the New Race”, dopo che è nato il figlio maschio. Negli Usa stimò fra uno e due milioni di aborti l’anno, “una disgrazia per la civiltà”. Abortivano di più i neri, che però insistevano a procreare, e questo era insieme una disgrazia e un problema, affermava Sanger, moltiplicandosi criminali e asociali. Su questa base l’aborto selettivo diverrà la soluzione anche per lei, appena due anni dopo la “disgrazia per la civiltà”: per duecento pagine in “The Pivot of Civilization” calcolò il costo “dell’imbecille sull’intera razza umana”, anche “finanziario e culturale” - con prefazione di H.G.Wells.
Con la “The Birth Control Review”, 1917-1921, già qualche mese prima Margaret aveva finito per parlare di “peso morto di rifiuti umani”. Allargando la “minaccia alla razza” a neri, latini e balcanici, a causa non della lingua ma dell’inferiorità mentale. Contro i poveri fare appello alla scienza è non si sa se filantropia o crudeltà.  
The Autobiography of Margaret Sanger, Dover, pp. 504,  $ 13

martedì 8 gennaio 2013

Il complotto c’è, e allora?

Il complotto di Berlusconi è ridicolo, la sua idea di un’inchiesta. Su chi? Monti? Angela Merkel? Sarkozy? Stanlio e Ollio messi assieme? E da parte di chi? Bruti Liberati? La Consob? La Camera dei deputati? È un’idea come un’altra per fare notizia per un giorno. Ma il complotto ci fu e c’è, eccome: è il modo d’essere dell’Europa.
Si prendano la Deutsche Bank, dove contano molto i consiglieri monetari di Angela Merkel, Axel Weber, Stark e Weidmann, e la banca Goldman Sachs, di cui Monti è stato dirigente fino all’ascesa a palazzo Chigi, e Draghi fino a qualche mese prima. A luglio del 2011 Deutsche Bank ha venduto tutti i Btp in cassa, oltre sette miliardi di euro, e lo ha fatto sapere in giro, avviando la speculazione al ribasso. Li ha venduti a premio, i Btp quotavano infatti a 110 sul nominale. E successivamente li ha comprati a termine a forte ribasso, sicura della caduta. Nel mentre che si assicurava contro il fallimento dell’Italia, cioè lo “scontava”, investendo in derivati: faceva incetta di credit default swap collegati alle obbligazioni italiane, per tutelarsi dal rischio insolvenza dell’Italia, sui quali intanto lucrava un maggior rendimento. Con una mano. Con l’altra aveva diffuso il 20 luglio, alla vigilia della liquidazione dei Btp, un rapporto favorevole ai medesimi. Un modello di speculazione, benché senza la perfidia di rigore anglosassone.
A giugno 2012 è stata Goldman Sachs a liquidare tutti i Btp che aveva in portafoglio, avviando il secondo più grave scossone all’euro-lira. Qualche giorno dopo essersi assicurata la lauta provvisione di consulente di Monti per la vendita di Fintecna alla Cassa Depositi e Prestiti - una partita di giro che qualsiasi ragioniere poteva effettuare. Aveva 2,51 miliardi di dollari in Btp a fine marzo 2012, e solo 191 milioni a fine giugno. Subito dopo anche Goldman Sachs ha investito in derivati, scontando il fallimento dell’euro-lira, dell’Italia.

È l’Europa
Nel 2011 e nel 2012 la Germania ha finanziato il suo debito pubblico, grazie alla bolla artificiosa dello spread, all’1 per cento. A spese dei paesi mediterranei liberamente jugulati. Anche per l’odio-di-sé degli stessi, bisogna dire. Anche da parte di giornalisti prezzolati, eh sì, la Germania investe molto in materia: conferenze, tavole rotonde, presentazioni, testimonial, confidenze. La Germania ha potuto finanziare a premio un debito che è superiore a quello a quello italiano  Mentre l’Italia, a causa della bolla artificiosa dello spread, deve finanziarsi a un costo quattro-cinque volte superiore. E ora non si finanzia più, le banche non danno più credito (credit crunch): il sistema Monti si è autoasfissiato.
Monti ha reagito intrappolando l’Italia in una falsa retorica europea, di sottomissione all’egenonia germanica come se fosse la vera essenza e l’unico futuro possibile per l’Europa. Che è criminale se non è stupida. Che l’Italia debba piegarsi alle manovre nemmeno subdole della Bundesbank e dell’onorevole Dobrindt, il leader bavarese futuro cancelliere, e al razzismo impenitente germanici-latini è un fatto criminale, non c’è bisogno di commissione d’inchiesta. Senza andare dietro a Berlsuconi e alle sue teorie, il fatto c’è: nel secondo trimestre del 2011 le banche tedesche hanno liquidato i titoli italiani. Non di altri paesi, magari per esigenze di liquidità, no: i Btp.
L’Europa solo in Italia viene presentata, da Monti & Associates, tutti peraltro consulenti e dirigenti delle grandi banche d’affari, come una società di mutuo soccorso, e quasi di volontariato. A chi serve questa immagine oleografica, a parte le banche che speculano e i fondi hedge, quelli che manipolano il mercato? L’Europa di cui si parla, l’unica peraltro in esistenza, è un posto dove ognuno continua a fare i suoi interessi. Col vincolo, ecco la novità, di farli in modo sfruttare gli altri fino a un momento prima della loro ribellione. È successo con la Gran Bretagna. Dovrebbe succedere con l’Italia, e non succede più da quando l’Europa è in mano ai calabraghe democristiani, che solo s’ingegnano a salvaguardare gli interessi di corrente, e peggio al partito del Vaticano, appeaser per definizione.



Letture - 123

letterautore

Best-seller – Già trent’anni fa, rivelava Borges nel 1984, l’università di Buenos Aires li consigliava agli studenti invece degli studi di letteratura, come “letteratura media”. Letteratura? Media?

Blixen – Dunque Karen Blixen evitò il premio Nobel perché morì quando avevano deciso di darglielo. Sembra uno dei suoi racconti,. Sembra, lei evitava invece il paradosso, la natura e la storia vi sono inquiete – mosse da presenze inquiete, passioni boomerang, e visioni quanto mai realistiche.

Fantascienza – È cataclismica, mai consolatrice. Per questo sempre più letta? In parallelo con l’estensione cataclismica della scienza. Che ancora non è in grado di creare, e nemmeno di salvare, ma di distruggere sì, chimicamente, nuclearmente, e anche meccanicamente, col solo motore a scoppio (combustione interna) – quando l’Asia si farà l’utilitaria.
È l’epoca del sogno di Woodsworth, nel secondo libro di “Prelude”. Woodsworth vi racconta la conversazione con un amico sulla possibilità che l’umanità, con tutta la sua scienza, resti annientata in un cataclisma. L’amico gli confessa che anche lui ha provato questo timore. E Woodsworth conclude: io l’ho sognato.

Borges argomenta ripetutamente che la parola è sbagliata. Che l’originale, science fiction, andrebbe tradotto  “finzione scientifica”. Bizzarro accanimento sintattico, mentre fantascienza è proprio science fiction. Anche alla lettera, se non grammaticalmente.

Filologia - È retrograda. Cerca il morto come se fosse più vivo, solo seppellito da incrostazioni, da sviluppi, affinamenti, variazioni, arricchimenti. Va all’origine delle parole, e delle “cose” letterarie, come a un momento creativo, incomparabilmente superiore alla condizione attuale. Pure incomparabilmente più “progredito”, nel senso di puro e profondo. Complesso, spesso di anni se non anche di saggezza, intuito, inventiva, deancillarizzato.
Rientra nel creazionismo, che invece tende a negare sul piano critico (storia). È una forma del passatismo, anche, eterno – conservatorismo, reazione: la ricerca dentro l’accumulo di esiti e significati, che di per sé si vuole un passo in avanti, è un riavvolgimento a ritroso. Una cristallizzazione dell’antico in senso “positivo”: più significante: più complesso, più umano.
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Francese – Tutti se ne piccavano, e all’improvviso è diventato lingua morta. Alla tv, nella pubblicità, per la strada. Si trova scritto nel libri e nei giornali calambour, e anche calambur. Si dice steig per stag, désert per dessert, è depliant con l’accento sulla t in fondo. La biglietteria del Teatro di Roma non sa cos’è la matinée, che vende. Anche un primario attore: matinée intende la recita antimeridiana, dal lunedì al venerdì, per le scuole. 

Inglese  La filosofia inglese è scozzese , dei due Adam, Smith e Ferguson, di Hume, James Mill, James Clerk Maxwell, nonché di mezzo Kant, che era scozzese come Hume per parte di padre, il sellaio Cant – e come l’Andrew Cant, l’ecclesiatico scozze del Cant-style, che sta per lingua irta, gergale, e linguaggio ipocrita, nonché per gioco di parole. A partire da Scoto Eriugena, Riccardo di San Vittore e Duns Scoto. Anche se alcuni sono irlandesi.  La letteratura invece è stata irlandese – prima di diventare anglo-indiana: Swift, G.B.Shaw, Wilde, Yeats, Joyce, George Moore. Anche Conan Doyle, nato a Edimburgo di famiglia irlandese. Joyce e Yeats che, nota Borges, prediligevano “l’anima delle parole più che le passioni”, per un’identificazione cioè totale con la lingua. È grande merito dell’inglese avere attratto così tante menti geniali, è la vera lingua per tutti. Dopo che anglo-indiana potrebbe essere anglo-cinese, lere cinese, perché no?

Scoto Eriugena, IX secolo, conosceva il greco e lo insegnava, non agli inglesi che erano troppo ignoranti, ma sul continente sì, alla corte francese per esempio, di Carlo il Calvo, il nipote legittimo di Carlo Magno. Delle tante identità di Shakespeare manca solo quella irlandese, e magari sarebbe quella giusta.

Leggere – In Etiopia, al tempo del socialismo scientifico di Menghistù Hailé Mariam, chi non sapeva leggere e non andava a scuola andava in carcere.  In Iran, al tempo dello scià, gli insegnanti erano militarizzati: un po’ perché non rifiutassero le scuole rurali, un po’ per proteggerli dal malanimo dei paesani. Anche Menghistù come lo scià aveva militarizzato gli insegnanti. Ci dev’essere un lato oscuro nell’imparare a leggere, pure l’Italia mandava i carabinieri quando i bambini non andavano a scuola.

A Milano san Carlo Borromeo aveva insegnato a leggere a bocca chiusa, con risparmio di energie - e a governarsi come le gru, vigili e protettive.

È una forma di trasmissione del pensiero.

Si comprano libri finendo col “confondere il possesso del libro col possesso dei suoi contenuti”, ride di sé Borges, che continuò a comprarli anche nei trent’anni che visse da cieco. Si legge cioè senza leggere, per contatto.
 “Soprattutto se si tratta di romanzi”, aggiunge Borges, “non si è mai sicuri di averli letti oppure no”. Questo sembra diminutivo per i romanzi, da Borges non  amati (eccetto naturalmente “Don Chisciotte”, la “Divina Commedia”…), e invece no. È un omaggio al romanzo, all’inventiva.

“Frequento un gruppo di lettura per bere un po’ di vino”, confessa l’agitata casalinga giovane a ritmo di rap nello spot britannico per la Fiat 500 L – come quella che risparmia su tutto, quindi anche sulla benzina. Di non grande richiamo forse, ma dice bene: per che altro si frequenterebbero i gruppi di lettura? A Roma riuniscono i reduci del Pci.

Milano – Arbasino prende spunto da un mediocre libro di Vigevani, “Milano ancora ieri”, per un’operazione nostalgia, sulla Milano che non c’è più. Ne scrive più a lungo di Vigevani, anche se in forma di articolo, ma, benché sia Arbasino, non riesce a ricordare altro che latterie, droghieri, lavanderie. Si capisce che ne sia scappato, lui come tanti altri lombardi illustri. Ma rivela di avervi sempre mantenuto un’abitazione, affittuario dei Bompiani per trent’anni. Per “fare lo scrittore” non c’è che Milano.

Presepe - Disturba non solo le maestre lombarde di parrocchia interculturate, ma anche Michela Murgia tournée femminista (“Ave Mary”) – anch’essa femminista devota. La disturba la Madonna, e pure il presepe. Forse nella nuova veste di presentatrice delle "Lettere dal carcere" di Gramsci, che invece la commuove.
Anche il presepe è (diventato) di partito. Ora che il partito non esiste più - i vecchi regimi hanno queste persistenze. Allora, forse, è da dire così: sono forme di nostalgia, il presepe urta perché è presente, Gramsci commuove perché è assente.
Il Gramsci originario avrebbe apprezzato il rifiuto “cristiano” del presepe, e della Madonna? Non ebbe occasione di farlo e non lo sappiamo, ma è da dubitare.

Roma – È, è stata, il punto di attrazione della letteratura nel dopoguerra. Di grossi filoni: lombardo (Gadda, Arbasino), siciliano (Brancati, Sciascia), veneto (Berto, Parise). Di altre minori: Calabria (Alvaro), Abruzzo (Silone).
Del filone veneto soprattutto, in quanto Roma del boom, della dolce vita. È il caso di Berto e Parise. Uno a destra, uno a sinistra, come è l’obbligo, per la carriera, anche se con battute d’arresto e passi falsi. Anche di Pasolini, il cinema è attrazione fatale. Tutt’e tre coi loro fracchettini. Svevo, di prima della guerra, Magris, di dopo il boom, Roma hanno snobbato. Oppure: i triestini non sono veneti, mentre lo sono i friulani. Ci vorrebbe una geografia letteraria di queste migrazioni.

Parola – Le parole sono le cose. E per questo sono equivoche. Non solo per calchi, derivazioni, parentele, vere e false, derive, ma per natura: la parola è suono. 

Pound - È europeo. Un innesto americano in Europa, fertile per l’Europa, perduto per gli Usa, malgrado i tanti polloni individuali – fino alla stessa stagione beat, A.Ginsberg lo sapeva e lo dise, nella “conversazione” con Pound organizzata da Michael Reck su “Evergreen” del giugno 1968.

Scrivere - “Pubblicare non è parte essenziale del destino di uno scrittore” disse Emily Dickinson. Ma della sua vita sì. Si fantastica per se stessi. Ma l’operazione di scrivere è uno dei sistemi di equazioni a più alto numero di variabili, laborioso, sedimentato (incrostato): ha bisogno di una serie di attrezzi e supporti, mentali culturali, e partici, di una progettazione costante, di studio, di ricerca, di revisione, e anche di comunicazione. Non può essere esercizio solitario.

letterautore@antiit.eu

Quasimodo orgoglioso d’infelici epigrammi

Smilza raccolta di un ventina di epigrammi non memorabili, i più contro i feroci stroncatori del suo premio Nobel, benché vivacizzati qui da ottimi disegni di Mario Cei. Quasimodo ci teneva, aveva lavorato molto per la loro riedizione in volume (la più parte l’aveva scritta per “Le Ore”, il settimanale di cui era commentatore – prima che evolvesse in sexy-magazine). I quasimodiani apprezzeranno l’ottima cura di Giovanna Musolino. Che recupera anche un paio di epigrammi espunti da Quasimodo, contro Muscetta e contro Oriana Fallaci, specialmente infelici. Una lettura si può segnalare anche per essere sgradevole.
Salvatore Quasimodo, ill.Mario Cei, Epigrammi, Nicolodi remainders’, pp. 65 € 6,50

Chi ricorda Manganelli, se non Alda Merini?

L’uomo che andò in prigione perché non sapeva andare in vacanza. Il genio che tutta la vita cerca un genio. L’editore, che “fatica fin dall’infanzia a cerarsi un alibi di vita”. Come Saba, altro poeta dalla vena “naturale”, anche Alda Merini si compiaceva di “scorciatoie” e “raccontini”, col tocco felice dell’invenzione e la parola giusta. Anche ora che è morta, grazie a un lascito sembra inesauribile di inediti.
Una serie di favole: “Un uomo…”, intervallate da poesiole e aforismi - “i Poeti sono gli unici angeli che hanno il coraggio d farsi vedere”, “l’uomo è il più intelligente degli animali solo perché è il più capace mentitore”. Con almeno un paio di “scorciatoie” su Giorgio Manganelli, l’eterna Presenza-Assenza di Alda – sarà sorpreso di essere ricordato per lei?
Alda Merini, Il Re delle Vacanze, Acquaviva, pp. 75 € 8 

Come è nato il “Sud”

Un’enciclopedia fondamentale dell’“antropologia storica” del Sud, di come il “Sud” è nato, sempre nuova benché risalga, nell’ultimo rifacimento, al 1997. Galasso ricostruisce la creazione del Sud in ampi e dettagliati filoni di ricerca:
- la santità, in una con l’irritualità e l’empietà – si bestemmia liberamente – e il ruolo eminente della femminilità. Con la produzione di gran numero di santi, soprattutto tra il Cinquecento e il Settecento – il Sud pilastro della Controriforma?
- la festa, liberatoria (carnevale, Piedigrotta) e coartante (riti del sangue)
- gli stereotipi, all’origine opera dei toscani, e soprattutto dei fiorentini
- l’imprenditoria, che al Sud è d’obbligo dire che non c’è – e l’industria del crimine? delle mafie ma anche del contrabbando, della contraffazione, del mercato parallelo
- la modernizzazione
- la religione superstiziosa, tra fatture e jettature – e scongiuri e apotropaismi costanti: che dovrebbero essere magia, una disposizione onirica nel robusto Ventesimo Secolo, anzi nel Terzo Millennio, e invece è realismo faticoso, al limite del sordido.
Il repertorio “antropologico” lo storico arricchisce con alcuni saggi di microstoria. I baroni Loffredo di Amendolara nel Cinquecento. La casa dei abroni ci città, cioè a corte (i tantissimi “palazzi” di Napoli). Un matrimonio borghese a Taranto nel 1960. Le permanenze pre-greche in Campania. E alcune discussioni di metodologia: sulla storiografia religioso, sulla storicizzazione del mondo contadino, della famiglia, dell’emigrazione, dell’amicizia (nei rapporti familiari e nella storia sociale).  
Giuseppe Galasso, L’altra Europa, Guida, pp. 576 € 44 

lunedì 7 gennaio 2013

La Colpa è dubitativa per la giovane Germania

“Ma perché non le avevo concesso un posto nella mia vita?” Il protagonista se lo chiede quando lei è morta. L’amore-amante dei suoi quindici anni, che poi, tirocinante legale, aveva incontrato a un processo, ex carceriera di un lager, per questo condannata. Avrebbe potuto salvarla già al processo, in quanto la sapeva analfabeta, e quindi impossibilitata a scrivere, a confessare scrivendo il delitto di cui è accusata, ma non l’aveva fatto. Né la salverà alla fine, quando avrebbe ancora potuto.
Schlink è il giurista-scrittore tedesco che con più costanza si è interrogato sulla Colpa, l’infamia tedesca negli anni di Hitler. In questo romanzo con più vigore grazie alle forti immagini del film di Daldry, che fatalmente emozionano la rilettura – la fisicità di Kate Winslet negli atti dell’amore, e poi da ergastolana. E tuttavia, pur non moraleggiando, senza potersi liberare del fastidio  per la reticente riposta della Germania,che non è andata oltre un’ammissione pilatesca – non c’è una giornata delle Vittime, o della Memoria, o anche solo della Resistenza, in Germania. Anche quando avrebbe potuto senza pericoli, dopo la caduta del Muro – il libro è del 1995.
Un romanzo di struggente identificazione, seppure nel filone morboso del “Portiere di notte” (fare l’amore col carnefice). In una Germania che aveva il più alto tasso di alfabetizzazione al mondo l’ignoranza di Hanna è quella della Germania. O, ancora meglio, l’analfabetismo di Hanna è l’analfabetismo “morale” della Germania. Hanna è dell’adolescente-giurista amante e madre, una grande Germania. La questione della Colpa è dunque generazionale, familiare, e sa di incesto - il solito nodo germanico di Gordio. Un suo compagno di studi lo dice al giurista-narratore al processo di Hanna: “Giudicano quattro sceme per non fare il processo vero alla Germania”. Ma il vero peccato è l’omissione dello stesso narratore.
Bernhard Schlink, A voce alta (The Reader)
Stephen Daldry, A voce alta (The Reader)

Secondi pensieri - 129

zeulig

Amore - Sembra a Gor’kij che Tolstòj abbia celato l’amore nell’odio - che non è lo stesso che celare l’odio nell’amore, o si? Tolstòj ha fatto romanzi d’amore, ma non una scena d’amore, dice Gor’kij: “Anna e il bel Vronskij vivono in Italia ma Tolstòj non permette loro di passare una sola notte di luna a Roma, non ci permette di vedere quanto se la spassassero”. Ma questo è ovvio - è un entimema, direbbe Aristotele: inutile caricare il sillogismo di troppe premesse, quando tutti ne sono a parte. La psicologia non costruisce i personaggi ma si costruisce con essi.

L’inossidabile Borges, che pure ha confessato di aver sofferto una volta sola nella sua vita, quando la donna di cui era innamorato lo ha abbandonato, minimizza in tv, nell’intervista per il rpemio Cervantes: “L’amicizia non ha bisogno della frequenza, l’amore sì. L’amore è colmo di ansie e dubbi, un solo giorno di assenza può essere terribile”. Char direbbe, ha detto: “Sopprimere la lontananza uccide”. Ma il contrario è pure vero. L’amore è dunque una questione di frequenze?

Per il superesperto Kierkegaard – oggi avrebbe campeggiato nei talk-show? - “nulla è così frammentario come il matrimonio, e niente meno del matrimonio sopporta un cuore diviso”. Postilla inclusa: “Neppure Dio è altrettanto geloso”. Dunque, l’amore (filosofico) è gelosia.

Complotto - Congiura avrebbe più senso che complotto, filologico e storico, più onorevole. È anzi per alcuni la storia, Francesco Patrizi, o la rivoluzione. “Fra tutte le imprese degli uomini nessuna è grande come la Congiura”, scrive l’abate di Saint-Réa, lo stesso della “Congiura degli Spagnoli contro Venezia”, allievo dei gesuiti: “(Sono) questi i luoghi della sto-ia più morali e istruttivi”. La retorica è politica - così com’è storia e giustizia, là dove modella la storia e la giustizia. E molta politica è retorica, un bel dire - Marx lo scoprì di Machiavelli, che riscriveva Sallustio, “La congiura di Catilina”, o Tacito, che rifece Sallustio. E dunque il complotto è progetto politico, non rivoluzionario.

Democrazia – Il suo demone è il potere assoluto. Nell’esercizio continuo di esorcizzarlo. È come l’eros per i preti, l’amore fisico.

Innovazione  – La scienza, la tecnica, la stessa politica, vogliono innovazione, e anche sovversione – procedono per sovversioni. Mentre “la buona filosofia politica è generalmente opera di conservatori” (Bobbio). La buona letteratura pure. Anche la buona storia, a rifletterci. E dunque?
Le scienze umane sono più conservative, più innovative? La morte è sovversiva o conservativa?

Ironia - Gli Schlegel la dicono la coscienza della nullità del finito

C’è oggi come nel Seicento, anche nel Settecento, uno stacco, per l’atto di fiducia nella civiltà, cioè in se stessi: l’abbandono della fede, sia esso sereno o tormentato, la scienza, l’antropologia o rifondazione della storia, l’ordinamento dei sentimenti, libertà, amore, lealtà. Attraverso l’ironia. L’ironia dissecca, è vero. Sottolineata è censoria, o ridicola.

Memoria - È selettiva (Bergson, Freud). Cioè creativa. A partire dall’atto di rimembrare, o non rimembrare. E obbligata, pure nell’ipotetico uomo senza memoria della fantascienza. Che la esercita comunque, se non altro come sensazione di perdita, oppure allo 0,1 per cento, poiché ricorda di non ricordare.

Povertà – È combattiva, ha una sua dignità.  Da non confondere col bisogno, di chi “non mette insieme i due capi del filo”, o “non arriva alla fine del mese”, a pagare la spesa, la pigione, il mutuo. Questo è una privazione e non una condizione, e demoralizza.
È la configurazione della piccola borghesia, che “non ce la fa”.
La differenza organica tra povertà e bisogno spiega perché questo confluisce nel fascismo, quella nell’orgoglio di classe, antagonista.

Ragione – Non si può dirla, come propende la psicologia, un’evoluzione dell’istinto. L’istinto ce l’hanno gli animali, anche più affinato di quello umano, senza che mai sia “evoluto” verso la ragione, o l’astrazione. I concetti “impossibili” di infinito, eternità, immortalità, che anzi “superano” la ragione stessa.

Sesso – Latita anch’esso ultimamente – gli stessi scandali sessuali stancano più che indignare. Vittima di Freud, del pansessualismo: la fobia ecclesiastica lo proteggeva, la liberazione di Freud l’ha disseccato.

Borges lo esclude dall’etica (“Borges al cinema”, p. 60): “Io affermerei che l’etica non abbraccia i fatti sessuali, se non li contaminano il tradimento, l’avidità o la vanità”. È un fatto animale, di odori, colori, istinti.

Sogno – Non è un fatto o evento, è un ricordo: i sogni sono ricordi di sogni. Che all’istante, al momento del risveglio – i sogni vengono nello stato di dormiveglia che accompagna il risveglio, seppure sottintendano durata interminabile quando non ossessiva  - possono essere circostanziati, e poco dopo si ricordano, se si ricordano, per “punte” (pointes) selettive, immagini o detti, che hanno colpito da sveglio. Sono ricostruzioni, e per questo interpretabili. Non per simbologie artefatte ma come convergenze-insorgenze di ansie, paure, attese, speranze.
Thomas Browne vuole che la memoria impoverisca i sogni. Altri ritengono che il ricordo li migliori, li arricchisca, specie di significati. Borges, il maggiore specialista, li dice “opera di finzione”. Per cui “è possibile che, dopo il risveglio, continuiamo a costruire trame fantastiche, nello stesso modo in cui, successivamente, le raccontiamo”.
Che siamo fatti della materia dei sogni (Walter von Vogelweide, Shakespeare, Calderón) è un’altra cosa. È intesa come una arricchimento, non solo poetico, e lo è. E hissà che non siano stati i sogni all’origine delle cose – delle parole, del linguaggio. Perché molte cose sono quello che sono, l’albero, la foglia, la pietra, il gatto, gli altri uomini, ma molte vanno pensate – viste, decostruite,  ricostruite – o inventate: gli affetti, gli umori, le paure, le speranze. Le passioni in genere e il senso morale.

Verità – Ha molti nemici tra i suoi sostenitori accesi. Gli inquisitori, per esempio, quelli dell’ “io so”, le vestali del “sospetto”, preti in genere e giudici.
Ha avuto paladini più preti-giudici (politici), quelli del sospetto, che preti-preti, quelli di Dio, come si penserebbe.

zeulig@antiit.eu