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sabato 3 giugno 2017

Recessione (65)

I valori immobiliari si sono ridotti di un terzo nei dieci anni della crisi.

“Ancora oggi nel nostro Paese il prodotto è inferiore di oltre il 7 per cento al livello di inizio 2008”, Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia.

“Nel 2014 il tasso di disoccupazione è stato più del doppio del 2007, prima della crisi”, I.Visco.

C’è meno disoccupazione nell’ultimo biennio - ancora I.Visco – ma a fine 2016 “meno del 60 per cento delle persone tra i 20 e i 67 anni aveva un impiego” – e solo una donna su due.
I valori immobiliari si sono ridotti di un terzo nei dieci anni della crisi.

Tre americani su quattro ultrasessantacinquenni sopravvivono con “multiple attività”. Quali lavoretti part-time, e la gig economy, di chi lavora on demand - fare l’autista, affittare una stanza di casa, vendere conserve di propria produzione…(“The Atlantic”).

Ancora a fine 2016 i minijob in Germania erano 7.2 milioni (6,9 milioni in attività produttive e 0,3 nei lavori domestici) – Minijob Zentrale.
È minijob in Germania il lavoro temporaneo, e\o a salario minimo, di 450 euro per 51 ore al mese, con contributi a carico dello Stato (l’equivalente in Italia è di 600 euro per 24 ore, tutto compreso).

La Minijob Zentrale tedesca ha speso 83 miliardi, nei dodici anni a fine 2016, in assicurazioni sociali e tasse per i lavoratori a salario ridotto o temporaneo.

L’austerità fa crescere la Germania

L’ennesimo peana alla Germania, da parte di un’economista, docente alla Luiss e alla Stanford di Firenze, merkeliana. A sensazione? È agile, infatti, e inconcludente: la tesi è quella che il titolo dice, la trattazione è curiosa, le conclusioni – che sul lettore sono riversate sin dall’inizio, come in un pamphlet - contrarie all’assunto.
L’austerità non crea populismo? Come no, i partiti anti-euro e anti-austerità non vincono, ma sono passati dal 5 per cento cronico degli scontenti al 30 e fino al 40 per cento. La Brexit non è anomala, e non è da poco. È strano che De Romanis non cambi parere ora, dopo l’elezione di Trump – in un paese che ha avuto col predecessore Obama una politica monetaria e una ricrescita post-crac doppia dell’Europa.
Tra il 2008 e il 2015 solo otto governi su 28 sono stati riconfermati in Europa. Ma la bocciatura elettorale non è la bocciatura dell’austerità?
Dietro il velo di Draghi (ma sono poche righe) si fa il caso naturalmente della Germania. Che la politica di austerità ha voluto, e ha tassi di crescita record. La Germania dei governi Merkel, di cui De Romanis è apologeta politica - “Il metodo Merkel. Il pragmatismo alla guida dell’Europa”, 2009, “Il caso Germania. Così la Merkel salva l’Europa”,  2013. Ma la Germania dei governi Merkel ha avuto una politica post-crac in due fasi: nella prima, fino al 2010, ha speso qualcosa come 600 miliardi, di cui almeno 450 di fondi europei, per salvare e ricapitalizzare il sistema finanziario tedesco (banche, crediti, debiti, investimenti). È da metà 2010 che ha imposto l’austerità. Alla Grecia in primo luogo, che pretendeva di salvare con 30 miliardi (trenta), creando due anni di agonia sui debiti pubblici in Europa. E poi all’Italia, il cui debito fu messo nel mirino con vari artifici. Da parte di un paese che nasconde un quarto del suo debito dietro una finta spa, Kfw, l’istituto di credito per la ricostruzione, mentre quelli dell’analoga Cdp, che è una vera spa, sono pubblici. Questo si chiama un vantaggio comparativo, di quelli che l’euro e la Ue erano nati per abolire.
La Germania di Merkel è sicuramente più brava, ma di un genere non consigliabile. Qualche dato non avrebbe fatto male all’entusiasmo. È difficile negare la crisi dell’Europa. E come si fa a spendere Draghi per l’austerità? Che tra l’altro ha fatto crescere il debito italiano, per il solo effetto spread (aspettative), di un centinaio di miliardi.
Il caso negativo è naturalmente l’Italia. De Romanis tace di Monti: è difficile sostenere che il professore non ha distrutto (ci ha provato) l’Italia – non l’ha votato nessuno. Fa il caso di Renzi, che ha allargato la spesa ed ha perso  (ha perso il referendum, ma la sconfitta è politica). Ma questo è un caso diverso: Renzi ha allargato la spesa solo in minima parte per favorire la produzione e il lavoro, la creazione di ricchezza. E niente per la sostenibilità finanziaria, con la crisi acuta di mezzo sistema bancario, tra Toscana e Veneto. In gran parte, dagli 80 euro ai bonus cultura e divertimento, ha speso in una tantum improduttive, in una difficile politica di rilancio attraverso la domanda.
Veronica De Romanis, L’austerità fa crescere, Marsilio pp. 160 € 16

venerdì 2 giugno 2017

Appalti, fisco, abusi (105)

La Cgil e l’ex Pci, oggi Mdp, hanno fatto abolire i voucher per un sussulto morale: “Sono sfruttamento del lavoro”. L’effetto è che ora non si accettano più i lavori stagionali: si preferisce l’indennità di disoccupazione, e il lavoro in nero, senza versamenti all’Inps e senza tasse.

Il governo tenta di reintrodurre i voucher con limitazioni. Di durata e di retribuzione. Che però necessitano di un contabile esperto, se non di un giuslavorista. 
La protezione del lavoro si ribalta in protezione dei consulenti, e in costi non sostenibili per le famiglie.

Telecom-Tim telefona una media di otto volte al giorno, dal lunedì al sabato, da tre anni, per “recuperare” le linee passate ad altro gestore. A un costo, per l’azienda oltre che per l’utente?
Nessuna protesta viene a capo dell’abuso. Non all’Autorità per la Privacy, non a quella delle Telecomunicazioni.

Si chieda a Tim di passare da un contratto Tutto Voce per la linea fissa a un contratto Voce, per risparmiare sul canone, più che raddoppiato - da 32 euro bimestrali a 29 ogni quattro settimane.
L’operatrice dice: ecco fatto, tra un mese il suo contratto sarà Voce.
Passano due mesi, senza modifica. L’operatore Tim dice che la variazione non si può fare se prima non c’è il subentro, essendo la linea intestata a familiare deceduto. Per il subentro basta inviare una richiesta per fax, col codice fiscale.
Passano due mesi senza risposta. L’operatrice dice che il fax c’è ma è sbagliato. Bisogna allegare alla domanda la tessera fiscale, fronte\retro, la carta d’identità fronte\retro, e il certificato di morte dell’intestatario della linea. Procurarsi il certificato di morte è un’impresa, ma si fa.
Altri due mesi sono passati, e niente. Si provi allora, rinunciando al vecchio numero con tutti i suoi contatti, a disdire l’abbonamento. Non si può, può farlo solo l’intestatario.

La Riviera Apuana ha visto la spiaggia profonda sparire in pochi anni, erosa dal porto di Carrara. Che ora colpisce fino in Versilia.
Il porto, bloccando il ripascimento naturale con la sabbia del Magra, si è “mangiato” 15 km. di spiaggia, della stessa Marina di Carrara, di Marina di Massa, e del Cinquale-Marina di Montignoso. Sono banchine volute da Fanfani, oltre mezzo secolo fa, per esportare le caldaie e le turbine della Nuovo Pignone, di cui aveva imposto il salvataggio all’Eni, che non esiste più. Il porto è praticamente vuoto, ma se ne dispone l’ampliamento, con un nuovo molo.

I comuni della Versilia, Forte dei Marmi in testa, fanno fronte all’erosione della spiaggia provocata dal porto di Carrara utilizzando la sabbia marina del porto di Viareggio, che è minacciato d’insabbiamento. Al costo di un milione per questo primo intervento.
Molti milioni sono stati spesi negli anni per un inutile contrasto all’erosione. Almeno 30 miliardi di lire per le marine di Carrara e Massa, negli anni 1990. Nel 2003 la regione Toscana ha speso 15 milioni per geotubi sottomarini, e per i ripascimenti annuali con sabbia di fiume. Ora investe 26 milioni per rifare le barriere lapidee in mare. Nel mentre che studia di ampliare il porto di Carrara.
L’appalto è fine a se stesso, per le cave di sabbia e i costruttori di moli.

Torna l’orfanella, e la madre cattiva

Orfanelle, agnizioni, cavalieri bianchi, anche se con macchia: il repertorio è da grande fogliettone, solo aggiornato nel linguaggio. E negli ingredienti. Anche il sentimentalismo resta forte. Amori e avventure quali le vuole il romanzo d’appendice, calati nell’attualità: figli anonimi, la rete internet, la rete Nsa (spionaggio americano), wikileaks, la Germania rieccola, e il convitato di pietra rimosso, il nucleare sotto di noi. Attorno a un’Agenzia della Verità che butta fuori rifiuti e schifezze.
È anche  - involontario? - il rifiuto del sesso free. Purity è nome proprio, oltre che la cosa. Ma di Purity che si offre nessuno vuole sapere, tutti preferiscono, malgrado tutto, la moglie e la famiglia. La cosa è un brand, di un Andreas Wolf, “lupo” tedesco dell’Est, diventato apportatore di luce, a capo di una banda di hacker, tutti hired guns, concorrente di Assange e wikileaks.
Un occhio diverso sul mondo quale è. C’è il PTSD, il disordine da stress post-traumatico.  La ragnatela Nsa. Il nucleare dimenticato. La Bolivia con Evo Morales. E, non detto ma ben rappresentato, il nichilismo di Assange. Un monumento al giornalismo, quello vero, del controllo accurato dei dati (fatti, fonti), che rianima un po’ il residuo lettore. Toccando tutti i registri – anche fumettistici: due amanti molto intellettuali, di quelli che dell’amore parlano, parlano molto, che non si parlano da due mesi, alzano la cornetta del telefono allo stesso momento. Autoironico: c’è anche l’Autore che non può amare perché il Grande Libro lo impegna.

Tanti romanzetti posticci, che non legano. Leggibili – la leggibilità è di scuola – ma implausibili: una lunghissima conversation piece. Noioso peraltro nel capitolo più lungo, la storia della coppia madre, come tutti i litigi coniugali. Si può recuperare come una storiaccia – involontaria?: di madri divoranti. Delle figlie e anche dei figli.
Jonathan Franzen, Purity, Einaudi, pp. 642, ril., € 22

giovedì 1 giugno 2017

Problemi di base tedeschi - 332

spock

L’annessione russa della Crimea, che era russa già nel Settecento, è “crimine comparabile allo sterminio degli ebrei” (Angela Merkel)?

Quanto è lontana la Prussia dalla Russia?

Ora l’unico fascista a Berlino è Trump – anche sua figlia, certo?

“Mio padre non era un fanatico. Nei suoi occhi si leggeva la pace” (Edda Göring)?

“Capire «i tedeschi» sicuramente non Le riuscirà – non riesce neanche a noi tedeschi” (Hety Schmitt-Maas a Primo Levi)?

“Noi siamo un popolo dall’anima potentemente tragica, contrario alle cose prosaiche”, Thomas Mann, “Doktor Faustus”): anche a Bruxelles?

L’impero tedesco non era roba del Medio Evo?

C’è mai stato un ritorno dell’impero, fuori dagli schermi - perché la Germania insiste?

Toccherà agli Usa con la Germania come a Roma con Cartagine, dovranno vincere tre volte?

Perché la traduzione dal tedesco ha bisogno di parentesi e note: il tedesco è più preciso o meno preciso?

Si può dire qualsiasi cosa in tedesco, senza pagare pegno cioè?

spock@antiit.eu

La novità è la sindaca-che-non-c’è

Scappano le aziende da Roma, Sky, Mediaset, Eni, forse anche Alitalia, per i disservizi. Silenzio. Muoiono donne, anche uomini, dimenticati per giorni in pronto soccorso, sempre a Roma. Silenzio. I cassonetti puzzano, già da un  mese. Cento discariche abusive sono state censite, in perimetro urbano. Parchi e giardini urbani sono giungle, non rasati, non potati. Silenzio. Niente neanche all’Olimpico, al dramma corale cittadino per il ritiro di Totti.
Non si saprebbe apprezzare la discrezione della sindaca di Roma. Raggi c’è solo nel blog di Grillo e Casaleggio - sarà un gioco enigmistico (soluzione “un miraggio”)? Dopo il no alla Olimpiade, una occasione pazzesca per la città, che avrebbe potuto e dovuto invece governare. Per il resto non c’è. Non le interessa. Non sa che dire.
Un anno che sta al Campidoglio, e l’unica sua proposta è di una teleferica urbana. Onesta bisogna dire: era la sua proposta anche in campagna elettorale e non ha tralignato. E dunque Roma l’avrà votata per attaccarsi alla teleferica – si vede che i romani non soffrono di vertigini. Ma: e per il resto?
Ci pensano gli assessori, sarà la risposta. Che però vengono dal Nord, scelti dalla Casaleggio Associati, stanno a Roma poco, e se hanno da fare con la sindaca se ne scappano: si dimettono, rinunciano. Più che organi amministrativi gli assessorati sembrano campi profughi.
Ma andrà perlomeno la sindaca Raggi in ufficio? C’è da dubitare – non timbra. Non ha visto nemmeno il ludibrio che ha autorizzato del Foro sotto le sue finestre: un’enorme impalcatura da duemila posti per tre mesi di musical “Nerone”. Roba da galera. Opera peraltro dei suoi nemici, i Democratici: dal sovrintendente che ha dato l’'autorizzazione alla Regione Lazio che l’“opera” paga coi soldi dell’addizionale Irpef. 

La kore Persefone, eterna primavera

“Lieve” è la Persefone-Proserpina di tanta arte – Simplicitas in Ovidio: la kore, fanciulla, l’immagine della levitas o legerezza. Un mito durevole che è un fatto. In un’accezione duplice: dell’innocenza tradita, e del risveglio di primavera - “la dea che prorompe sulla scena della natura agitandola e rivitalizzandola” (Deidier).
Il mito è forse più complesso. Come kore Persefone è celebrata tuttora in Calabria, nell’area grecanica di Bova, nella Settimana Santa. Secondo Diodoro Persefone è anche madre di Zagreo, generato in lei segretamente da Zeus. E quindi di Dioniso, nel quale il cuore di Zagreo, quan do fu fatto a pezzi dai Titani, rivisse.
“Proserpina lieve” Roberto Deidier trae da Alda Merini. Ma il mito è antico, quanto l’Occidente o la sua letteratura, da Omero e gli “Inni orfici” in poi. Deidier ne traccia l’insorgenza in epoca  moderna, dal Filarete a Kokoschka, e da Dante fino a D’Annunzio – e a Rosso di San Secondo, Sem Benelli, Montale (traduttore in versione ritmica del melodramma “Proserpina e lo straniero” di Omar Del Carlo, musicato da Juan José Castro).
Prendendo l’abbrivio probabilmente da Ghiannis Ritsos (“Persefone accetta il Fato che la vuole aperta sulla «quarta dimensione», oltre i confini della propria corporalità, come una fetirita inferta alal apafrenze dela vita, alla volgarità del presente”), Deidier ripercorre il mito con una esauriente introduzione, e le traduzioni da Omero (“Inno a Demetra”), Ovidio, Claudiano, Marino, Goethe, Swinburne, Tennyson, e lo stesso Ritsos.
Roberto Deidier (a cura di), Persefone. Vaziazioni sul mito, Marsilio, pp. 188 € 8,50

mercoledì 31 maggio 2017

Secondi pensieri - 308

zeulig

Anamorfosi – È la forma di lettura del predente (contemporaneo). “Per capire il presente dobbiamo imparare a guardarlo di sbieco”, Carlo Ginzburg, “Paura, reverenza, terrore”, p. 53.
Capire il presente non è impossibile, ma bisogna guardarlo di traverso. Da posizione defilata e non frontale.
  
Consumismo – Genera inappetenza. La disponibilità non suscita il desiderio, lo spegne. Il consumo genera solo altro consumo, se genera qualcosa. O allora niente. Per una sorta di rigetto da indigestione. Come di un vizio che si sopporta, limandolo, limitandolo, ma senza piacere.

Decadenza – È pessimista, da Rutilio Namaziano a Santo Mazzarino. La coscienza della decadenza in qualche modo no, da Foucault a Mazzarino, e a Namaziano.

Don Giovanni – È uno Scrooge del sesso, un avaraccio. È qui la tristezza di quello classico, di Da Ponte: uno impotente a nutrire un sentimento, sia pure di sola curiosità, perché limitato dal possesso. Il possesso lo ha occupato, e lo domina anche quando non sa o non vuole più esercitarlo.  

Heidegger – È l’equivalente della contemporanea rivoluzione scientifica, della relatività, l’indeterminazione, la fisica dei quanti – l’adattamento del pensiero alla contemporaneità. Oltre che autorità in materia di fenomenologia, ermeneutica, logica e linguaggio, ontologia, teologia, scienza, tecnica, decostruzione, il post-moderno e il pensiero debole, la poesia, l’architettura, la ginnastica e lo sport. Studiato in ottant’anni più che Platone in duemila e passa. Solo la musica ne è libera, con l’etica e la politica. Ma i poeti che vanno a trovarlo, Celan, Bachmann? Nelly Sachs che gli scrive? Non sono coincidenze, sono fatti duri.
È lui stesso la contemporaneità. Ambiziosa e ambigua. Rivoluzionaria, nel senso del rovesciamento. Che inevitabilmente finisce irrisolta, ma un passo più in là – un gradino più in su?

Ironia – È scivolosa, in equilibrio instabile: una messa a fuoco sfuocata. Una pausa, un’attesa, non ricattatoria. Nelle forme espressive che preferisce: allusione, paradosso, sillogismo, interrogativa, interrogativa negativa. O altrimenti un attacco, un’arma da assalto. Quella di Socrate, l’ironista per eccellenza, non è né l’una né l’altra: ma era una difesa. Cioè una forma di resa, l’ironia non protegge.

Morte – Con Hegel muore Dio, con Nietzsche l’uomo, e ancora con Foucault. E quello che vediamo cos’è? Nietzsche e Foucault compresi.

Potere – Buono\cattivo, giusto\ingiusto non sono esiti della coscienza ma (Nietzsche, Foucault) del potere? Sono formulazioni che il potere ha individuato e imposto, ai fini della sua perpetuazione, non c’entra la verità. Ma la verità, che pure c’è, non sarebbe allora il potere? Anche perché buona e giusta è la forza, cattiva e ingiusta la debolezza, ma non sempre, talvolta il potere ha interesse a rigirare la frittata. Non solo in senso politico (c’è anche il potere dei deboli). Ma in senso euristico: la verità accetta molte frattaglie, anzi si fa corona di lacerti e minutaglie, compresi i buchi e gli interstizi, e  miraggi.

Seduzione – È il terreno della coabitazione, Della socialità. Della convivialità. Era, poiché la durezza della verità vi si vuole sostituita, per onestà, e per aderenza al reale. Alle cose-persone quali sono, senza maschere.
Il rapporto vero-reale di fatto è però arido e sterile. Non è lecito rivoltare l’equivalenza: che essendo arido e sterile il vero-reale non è vero né reale. Ma che il rapporto – ogni rapporto – è fatto di modi sì: gentilezza, disponibilità, desiderio di piacere.

Jonathan Franzen, “Purity”, ha “la terra desolata della seduzione”. Ma intende quella sessuale, da  notte al bar per singoli, da catalogo dongiovannesco, del genere condanna. Don Giovanni ne è il caso in entrambi i sensi, della seduzione sprecata, giusto per il letto, e quindi poi dell’incapacità della seduzione, della prodigalità.

Stupidità – È riconoscibile in quanto si prende per intelligenza. Mentre l’intelligenza sa di avere dei limiti, tra essi la stupidità.  

Suicidio – È pur sempre una forma di omicidio. Non offensivo, non a danno altrui, ma è pur sempre dare la morte. La vecchia equivalenza ritorna più evidente col suicidio assistito.
È più evidente ora anche la sua rilevanza sociale, e quindi una forma di aggressione, sia pure indiretta o subordinata. Sempre nel suicidio assistito, cioè agevolato, a un prezzo. E nel Blue Whale, l’istigazione al suicidio su internet.  

Tempo – “L’orologio serve a pesare i ritardi”, è superiore filosofia di uno scolaro della Patagonia argentina, secondo Luis Sepùlveda, “Patagonia Express”. È il solito problema: il tempo si perde o si guadagna? Lo stesso si può dire che l’orologio crea il tempo.
È il ritardo che non quadra con il tempo. Non in assoluto – si è in ritardo su un appuntamento, e cioè un impegno (anche quando l’impegno non è personale, un atto di volontà, ma naturale: fisiologico, stagionale, sociale).  

zeulig@antiit.eu

Montalbano è stanco, ma non stanca

La rete di protezione è doppia. Per due casi correnti – ormai Montalbano, in guerra con l’età,  racconta l’attualità. Uno è di bullismo, tra i ragazzini d’oggi digitalizzati. Affrontato, male, da Anonimous. Dell’altro caso non si può dire. Se non della ferocia del destino d’amore – ma la fine è prevedibile a metà lettura.  Questa volta c’entra anche Boccadasse. E pure Livia, la fidanzata-che-non-c’è.
La cronaca illustrata. Col punto di vista è sempre corretto, correttissimo – in contrasto con la maniere spicce del personaggio. A 91 anni, o 92, Montalbano procede abitudinario ormai, più di Poirot: stessi gesti, stesse interiezioni, stesse consecutio. Ma non stanca: è il segreto dell’addiction.
Andrea Camilleri, La rete di protezione, Sellerio, pp. 291 € 14

martedì 30 maggio 2017

Il mondo com'è (305)

astolfo

Lavoro autonomo – Resiste solo in Italia. “La Lettura” costruisce un atlante del lavoro che dà all’Italia il record del lavoro autonomo, nel quadro complessivo della forza lavoro. Il persistente rilievo dell’artigianato si desume indirettamente, dalla minore percentuale del lavoro dipendente nell’insieme della forza lavoro: il 57,2 per cento. Mentre nell’insieme delle economie sviluppate la percentuale dei lavoro dipendente è molto superiore - attorno al 75 per cento in Germania, Olanda, Danimarca, Giappone, Svezia, Gran Bretagna.
Solo la Grecia ha una percentuale di lavoro autonomo maggiore dell’Italia (il lavoro dipendente vi è poco più della metà della forza lavoro complessiva), probabilmente per l’incidenza del turismo e del piccolo commercio sul pil. Ma l’economia italiana è più diversificata, è una delle più ricche del pianeta, e a ha l’industria manifatturiera più grande d’Europa dopo la Germania (due grandezze non comparabili, la popolazione, e quindi la forza lavoro, essendo in Germania di un terzo superiore).
L’economia italiana è ancora in linea con la sezione che se ne fece settant’anni fa agli albori della Repubblica, ai lavori della Costituente, dove si volle salvaguardare l’artigianato o lavoro autonomo come una specificità italiana – a opera di Amintore Fanfani, che andò alla Costituente come economista.
La diffusione del lavoro autonomo in Italia è legata anche alla persistenza del piccolo commercio, altrove rapidamente fagocitato dalla grande distribuzione.  
L’atlante è costruito sui dati dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, che raggruppa i i”vecchi” paesi più industrializzati dell’Occidente. L’Ocse non tiene conto degli effetti della globalizzazione, che ha cambiato gli equilibri della distribuzione mondiale della ricchezza - dalla Cina e la Thailandia al Perù, al Cile, al Brasile.

Opinione pubblica – È fatta più che farsi. Per i motivi più vari, anche la stupidità, ma è sempre manipolata-agita. Per anni e tuttora in Germania l’opinione è stata largamente antigreca. Perché il governo e i giornali l’hanno portata a credere il falso. È anche facile nei movimenti un animistici, e l’opinione pubblica ne è uno: tutti si curvano dove spira il vento, anche leggero.
Molti tedeschi - non tutti ma la maggior parte - sarebbero sorpresi di scoprirsi anti-greci, loro che amano la Grecia, che per loro ha creato quando erano proibite le isole gay, nudiste, del fumo libero  eccetera, insomma di arbitrio totale. Come molti furono sorpresi quando, dopo la sconfitta, si scoprirono nazisti: loro non volevano.
Lo stesso, a un gradino di poco inferiore di virulenza, in Germania contro l’Italia e l’Europa in genere – compresa la Francia, che il galateo tedesco vuole assolutamente amica e sorella, come gli ebrei e ogni altro vecchio nemico. La Germania ogni giorno è portata a interrogarsi: “Quanto ci costerà?”, la Francia, l’Italia, la Grecia.
Lo stesso su internet: un tweet riuscito, con milioni di fan, ed è fatta.

Su internet però l’opinione è più democratica. La rete, la tela comunicativa, non è di massa o d’insieme:  la piazza, il mercato, il bar, il talk-show - con gli applausi a regia, le inquadrature buone e cattive, i tempi, prolungati, tagliati, asfittici, la modulazione delle sonorità, mille artifici. La rete è individuale, e implica una riflessione, per quanto minima. È di accesso libero a tutti. E garantisce, a differenza dei media, una variata verità documentale, qualora uno volesse accedervi.
La reazione, però, su internet è superficiale più che documentata o argomentata. Questo può non essere un limite: internet dà spazio anche alla verità emotiva - sentimentale, viscerale, d’intuito. Ma lo è, per la mancanza o l’evanescenza del dialogo, del contraddittorio.

Commentando una bomba rudimentale scagliata contro l’arcivescovado a Milano l’8 gennaio 1956, un atto simbolico, anarcoide, Leo Longanesi si irrita per l’eco che ha nei giornali: “Una bomba al tritolo reca meno danno di una trasmissione televisiva, di un provvedimento di legge, di un titolo su cinque colonne”. Un’esagerazione non ingenua: “I quotidiani vi dedicano vasti titoli apocalittici, di involontaria comicità, in cui al modesto scoppio sono associate parole di un calibro eccessivo, che lasciano trasparire l’acuto rimpianto di un vero terrorista, di un vero re del tritolo”. Un’anticipazione di quella che sarà la saga del terrorismo, non molti anni dopo.

Ha alti e bassi. Anche molto: è l’opinione che condannò Socrate, per esempio.

Razzismo – È un proiezione. È stato biologico, ma senza fondamento. È stato economico, finché alimentava lo schiavismo, e poi culturale. Ma si alimenta unicamente del pregiudizio, e in forme tortuose, contraddittorie.  I giapponesi, a lungo considerati inferiori negli Stati Uniti, che a un certo punto ne proibirono anche l’immigrazione, sono impermeabili e anche razzisti nei confronti di qualsiasi estraneo, tutti gli asiatici compresi. Il razzismo è stato forte ed è durevole negli Stati Uniti, dove i non bianchi non sono mai stati maggioranza – neppure negli stati del Sud, dove erano e sono più numerosi. E si è esercitato, per l’ipodiscendenza, su tutte le misure di commistione, di meticci che abbiano anche solo un ventiquattresimo di razza non bianca. Nei confronti degli afroamericani ex schiavi come degli asiatici. In Brasile, all’opposto, dove afroamericani e indios sono sempre stati maggioranza, il colore non è stato dirimente, se non collegato alla povertà e alla marginalità sociale. La minoranza portoghese aveva bisogno di allargarsi per mantenere le sue posizioni, e questo portò all’accettazione di tutte le misure di meticciato. Nel creolismo, notevole affrancamento dalla minorità razziale - Obama sarebbe stato considerato bianco in Brasile. E anche istituzionalmente. Quando infine nel 1888 abolì la schiavitù, il Brasile lanciò il branqueamento, lo sbiancamento della popolazione, adottando vasti piani d’immigrazione, prima dal Nord Europa, poi pure dal Mediterraneo – ci sono così in Brasile più lombardi che siciliani.
L’incrocio razziale è tuttora ritenuto dalla scienza nazionale brasiliana causa di follia, criminalità e malattie, ma il Brasile è forse il paese più meticcio al mondo. Con il culto anzi della differenza razziale – che la pubblicità delle prostituzione curiosamente alimenta, distinguendo l’offerta in base al colore: branca, bianca, amarela, che non è bionda ma asiatica, parda, bruna di pelle, il colore si riferisce alla pelle, e preta, nera (anche indigena, che non è più il colore, ma la razza). Si capisce al tropico che il bianco puzzi di morto per i neri, tanto è pallido. Il branqueamento si può dire in quest’ottica una scelta eroica, essendo il Brasile eminentemente tropicale. Il progressista marchese di Pombal, che perseguitò i gesuiti, che proteggevano i Guaranì e le altre popolazioni indigene, impose agli angolani l’emigrazione in Brasile. Ne nacquero il samba e tanti brasiliani. Il marchese, riponendo la prosperità nella demografia, fece del Brasile un fottisterio. “L’estrema voluttà dei portoghesi li portava a integrarsi senza difficoltà ai tropici”, così Freyre spiega il lusotropicalismo, prima della squalifica del negro, e delle negre.

“È il colore della virtù bianco?”, già il negro del “Flauto magico” dubita. Il razzismo è nato poco prima.
Il razzismo nasce col neo schiavismo, quello che si impianta in Africa per colonizzare l’America. Nasce nel Cinquecento. Ma già un secolo prima in Spagna si era creato il problema dei mori e degli ebrei convertiti: anche se convertiti a forza, mantennero lo stigma del nemico, che era già dei mori e degli ebrei. L’esito di un paradosso: mori ed ebrei erano rispettati in quanto tali finché restarono distinti e separati. La religione è del resto sempre stata un fattore attivo del razzismo: nei pogronm anti-ebraici, fino alla Shoah, nell’eccidio degli armeni in Turchia, nelle innumerevoli liquidazioni di minoranze “settarie”, compresi ora i cristiani in ambito mussulmano.
Ma la vera squalifica del negro viene nel Settecento, con l’abbandono dell’unità cristiana di anima e corpo, Voegelin lo spiega dal ‘33 in “Rassenidee”, e della creazione. In favore della materia immanente, partendo dal botanico John Ray e dal concetto di organismo, fino alla storia della terra di von Humboldt. Il razzismo moderno, biologico, è effetto  della secolarizzazione, e Darwin lo sanzionerà, ogni qualità, dello spirito, del corpo, della storia, fondando sulla natura, checché essa voglia dire, e sui suoi processi, unificati nella cosiddetta selettività.   

Via della Seta – È il nuovo progetto di politica estera cinese. Un disegno globale, anche se lascia fuori solo gli equilibri multipolari, con gli Stati Uniti, il Giappone e l’Europa. La ridefinizione cinese del progetto russo di Eurasia è militare e politica, oltre che economica, e allarga la proiezione cinese ben al di fuori del vecchio asse, della Via della Seta di Marco Polo a cui si intitola. Si estende infatti al subcontinente indiano, in funzione anti-India. E all’Africa. Non escludendo proiezioni in America Latina, per il commercio e per gli investimenti.
Commercio e investimenti sono sviluppi in atto da tempo in Africa. Dagli anni 1970 si può dire, quando ancora le Guardie Rosse imperversavano a Pechino, ben prima di Deng e le “quattro modernizzazioni” . Allora Pechino forniva manodopera qualificata a buona mercato per le opere civili, infrastrutture, comunicazioni. Ora prospetta delocalizzazioni.
Delocalizzazioni prospetta anche nel Sud-Est asiatico. Con attenzione però agli aspetti militari e della difesa. Prospettandosi come difesa dalla potenza indiana. Al Nord come al Sud dell’India, in Nepal e nello Sri Lanka.  

astolfo@antiit.eu 

Quando l’Italia sapeva ridere di sé

“Il contrario di quello che penso mi seduce in modo favoloso”. “Amo la lettera S, bellissima, sempre in equilibrio, solenne, superba”. “Le parole come sono belle! Seppellitemi avvolto in un lenzuolo di parole”. “La libertà di stampa è necessaria solio ai giornalisti che non sanno scrivere”. Siamo alle prime pagine, e questi sono estratti. Longanesi continua per altre duecento pagine, in un fuoco di fila di battute, svelamenti, curiosità: è stato uno che andava di corsa – come anche, allora, l’Italia. Divertito più che amareggiato. Ma non distratto. “L’infinito è poco più grande del finito” viene a metà. “Non è la libertà che manca, mancano gli uomini liberi” viene alla fine.
Umorale. “Veterani si nasce”. “La famiglia è uno stato che ricerca autorità dalla noia, dalla convenienza, e dalla paura di morir solo in casa” . Occhio clinico: Morandi “dipinge sottovoce”. Moravia e Elsa Morante sono ritratti felici al Salvini, il locale storico di Milano. Malizioso: “La sua ombra, signora, non porta le mutande”. Roma  sopravvive per la legge del disordine, la sciatteria – “l’estro di Roma è ancora tenuto in vita dalla volgarità, dalla noia e dall’indolenza della plebe”. Montanelli, che se ne proclamerà l’erede, è “un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo”. Cattivo quando occorre. “Pensare contro è facile, pensare a favore desta sospetto”. “La burocrazia degli ideali ha l’alito pesante”. “In Italia tutti estremisti per prudenza”.
Sono annotazioni e aforismi dei dieci anni dal 1947 alla morte. Gli anni della rinascita presto naufragata nel conformismo, che tuttora domina la Repubblica. Di cui Longanesi risentiva soprattutto la parte morale: l’abuso del linguaggio (retorica, vuota, stentorea), la furberia, e il mammismo di recente conio, di Corrado Alvaro. Più burlesco che amaro. Con la prefazione di Montanelli, per la pubblicazione postuma dei taccuini, nel 1957, e una nota di Buttafuoco. Longanesi è stato un editore, soprattutto, e a tempo perso scrittore. Ma in tutto accompagnato da una vena ironica e critica.
Leo Longanesi, La sua signora, Longanesi, pp.  223 € 20

lunedì 29 maggio 2017

Merkel sola alla crociata

Una dichiarazione d’impotenza, più che di belligeranza: tale è valutato l’appello di Angela Merkel all’Europa. O di opportunismo in vista delle elezioni, data l’impopolarità di Trump in Germania.
Nulla di questo presunto nuovo corso è stato preparato, né se ne vedono possibili sviluppi. Macron si sa che non marcerà contro Trump. E l’Italia negozierà i suoi interessi, seppure nel quadro regolamentare europeo. Come sempre, si dice, avendo Roma trovato più agevole su tutti i dossier il colloquio con gli Stati Uniti che con la Germania di Merkel. L’alternativa o Merkel o Trump non piace, ma non è nemmeno tenuta. La dichiarazione di Monaco viene presa per estemporanea, se non una rivalsa per i pochi riguardi che Trump continua a manifestare per la Germania.
Che gli Stati Uniti non guardino all’Europa è noto da tempo. Dalla presidenza Clinton e quindi da un venticinquennio. Se una strategia europea nella globalizzazione non esiste, la colpa non è di Trump o dei suoi predecessori.                                                       . Nell’ottica globale, o multilaterale, l’Europa è solo un partner economico. Non militare e neppure strategico – l’equilibrio mondiale si gioca in Asia. La Nato è una sopravvivenza, e non ha altro senso che quello che Trump ha delineato. È una forza regionale, non efficiente. Non contro la sfida islamica, non contro l’espansionismo russo, e inutile nelle emergenze, oggi l’immigrazione ieri i rivolgimenti arabi.
L’Europa è in condizioni precarie per assumersi il ruolo di contraltare cui in teoria ha diritto. Per il governo sbagliato dell’economia post-crisi – Clinton e Bush jr. temevano l’euro, ma il dollaro è rimasto sovrano. Senza una politica estera e militare, che anzi ostracizza. Debole pure culturalmente, per l’ambiguità che alimenta tra liberalizzazione e mercantilismo, tra europeismo di facciata e nazionalismo di fatto. Il vertice di Taormina sarà stato un ring ma quelli europei sono da troppo tempo sordide fregature, degli uni a danno degli altri. Su qualsiasi materia: investimenti, immigrati, Schengen, politiche di bilancio, perfino sulla vigilanza bancaria.
A Merkel si continua ad attribuire l’abito usato del “troppo poco troppo tardi”. Compreso ora il discorso della birreria. Nelle questioni che esulano dalla sua unica politica riconosciuta, della “Germania first”, ben prima e più esclusiva dell’America First di Trump. Per esempio nelle sanzioni contro la Russia, di cui è capofila, salvo comprarsi tutto il gas russo disponibile, pagandolo naturalmente. O nel processo arbitrario contro Fiat-Chrysler (Fca). Ma non sono casi isolati. C’è rispetto per la cancelliera perché governa la Germania, ma col sottinteso “da che pulpito viene la predica”.
L’Europa è stata ed è quella di Angela Merkel. E non è in condizione di sfidare nessuno. I governi europei sono tiepidi nei confronti della Berlino merkeliana. Compresi quelli del blocco germanico: Baltici, Poloinia e viciniori non sanno nemmeno pensare un’Europa contro gli Usa.

L’uomo è sacro perché impersonale

Simone Weil pianta due piloni di una nuova organizzazione della società in uno dei suoi ultimi scritti, a Londra nel 1942. Di attenzione all’essere umano come tale, fuori dalla collettività che lo rappresenti o nella quale si riconosca. Al di là anche delle istituzioni, fossero le più legali e le più democratiche. Per un concezione della giustizia che sfida le imposizioni del diritto – o allora per un diritto alla disobbedienza civile, si sarebbe detto trent’anni dopo (e forse per la manifestazioni “francescane” del papa regnante, benché confuse). Con una nota di Giancarlo Gaeta.
Un testo riedito in molteplici edizioni negli ultimi mesi, almeno due in francese, Gallimard e Rivages, quest’ultima  curata da Agamben, è disponibile anche online, in originale, nell’insieme “Écrits de Londres”, tra i quali è stato recuperato, uno delle ultime febbrili riflessioni di Simone Weil. Già incluso nei “Moralisti moderni », l’antologia del 1958 curata da Moravia e Zolla.
 “Ciò che è sacro, ben lungi che sia la persona, è ciò che, in un essere umano, è impersonale.”Tutto ciò che è impersonale nell’uomo è sacro, e questo solo”. Nella condizione umana come in ogni sua manifestazione: “Ciò che è sacro nella scienza è la verità. Ciò che è sacro nell’arte è la bellezza. La verità e la bellezza sono impersonali. Tutto questo è troppo evidente”. Dell’uomo, “non è né la sua persona né la persona umana in lui che mi è sacra”, aveva detto: “È lui. Lui tutto intiero. Le braccia, gli occhi, i pensieri, tutto”.
Tra diritto e giustizia c’è un abisso. “I Greci non avevano la nozione di diritto. Non avevano parole per esprimerlo. Si accontentavano del nome della giustizia”. Ma non solo i greci, i cristiani dovrebbero rifiutare il diritto: “Come la nozione di diritto è estranea allo spirito greco, è estranea anche all’ispirazione cristiana, là dove essa è pura, non mescolata di eredità romana, ebraica, o aristotelica. Non si vede san Francesco d’Assisi che parla di diritto”.
Una riflessione seminale. Violenta, come è nell’uso della penna in Simone Weil, ma articolata. Sotto la disputa semantica, di definizioni, in polemica col “personalismo” di Emmanuel Mounier, che monopolizzava la pubblicistica filosofica, cristiana ma anche laica. Un’etica del rigore. Dell’accettazione, inclusiva. E della giustizia sotto la durezza della legge.
Una riflessione gravida soprattutto nella nuova collisione di popoli e culture che è l’immigrazione transmediterranea di massa, dall’Africa e dall’Asia verso l’Europa, e quella americana, dal Sud al Nord America. Ma non ambigua, seppure irrisolta, sul governo attraverso la giustizia. “Lodare la Roma antica di averci legato la nozione di diritto è singolarmente scandaloso. Perché se si vuole esaminare in essa cos’era questa nozione nel suo nocciolo, si vede che la proprietà era definita col diritto di uso e d’abuso. Di fatto la più parte delle cose di cui ogni proprietario aveva il diritto di uso e d’abuso erano degli esseri umani”.
Il passaggio più delicato riguarda la “nostra” integrazione, quella dell’osservatore. Della sua “persona” nella sua collettività per quanto concerne gli estranei. “Il passaggio nell’impersonale non si opera che con un’attenzione di qualità rara e che non è possibile che nella solitudine. Non soltanto la solitudine di fatto, ma la solitudine morale. Non si compie mai in colui che si pensa lui stesso come membro di una collettività, come parte di un «noi»”. Con una forte denuncia antitribale e antinazionalistica: “L’errore che attribuisce alla collettività un carattere sacro è l’idolatria; è in ogni tempo, in ogni paese, il crimine più diffuso”. Un radicalismo che si giustificava nel 1942 contro l’idolatria nazista, ma non applicabile alla Resistenza, come a ogni difesa. Nell’un caso e nell’altro, resta imperativo come fuoco di sbarramento contro i muri.
Simone Weil, La persona e il sacro, Adelphi, pp. 78 € 7
Free online (in originale)

domenica 28 maggio 2017

Ombre - 368

Consolari e autostrade intasate verso Roma nel primissimo pomeriggio, da Tarquinia, da Orte, da Sperlonga e il Circeo: i romani sacrificano mezza giornata di svago per l’ultima partita di Totti, all’Olimpico o in tv. Totti è una brava persona e un buon calciatore, ma con lui la Roma ha vinto poco e perso molto. Gli affetti non sono vittoriosi.


Certo, però, se si confronta l’addio a Totti con la cacciata di Del Piero, è proprio vero come dicono i leghisti: Roma non è l’Italia. 

Contro la Russia e ora contro gli Usa, Angela Merkel si appella all’Europa. È sempre la solita strategia suicida della Germania, della guerra su due fronti?

Merkel si appella all’Europa dopo avere affossato la Grecia, e tentato di affossare l’Italia, che tuttora tiene in ostaggio. La Germania contro gli Usa però non  è banale: dopo settant’anni è la liberazione? Ma a chi venderà le sue automobili?

Non sbaglia questa volta il Tar sulle nomine dei dirigenti dei musei: concorsi senza procedure, e nomine impossibili a termini di legge – uno straniero non può essere dirigente dello Stato italiano. “Una figuraccia mondiale”, dice il ministro speedy gonzales Franceschini. Di chi?
Di quante cose il governo Renzi ha privato gli italiani, a partire dalle riforme istituzionali, per correre troppo in fretta? Per provincialismo mascherato da cosmopolitismo.

Ivanka scambia Chinaglia per un santo, Melania scambia la potica, il dolce del a sua Slovenia, per pizza. Il papa rifiuta indispettito la mano di Trump nel fotomontaggio che spopola in rete. La rete si capisce, è occupata dagli haters, ma i giornali?
Non è vero ma ci crediamo: i Trump sono antipatici e ci piace farli cretini. Ci accontentiamo di poco.

È sostenuto il papa ricevendo l’indigeribile Trump. Uno che pure riduce gli aborti e sostiene le scuole private. Gli rifiuta pure l’inglese, anche ai saluti. Trump è pur sempre un gringo.

Maria Egizia Fiaschetti dice  di Melania, la moglie di Trump, che “più di uno stilista ha rifiutato di vestirla”. Perbacco.
No, cioè, dice Fiaschetti perfida: Dolce e Gabbana la vestono. E dunque: sono caritatevoli, o dobbiamo considerarli collaborazionisti?

Ma davvero i lettori del “Corriere della sera” credono alle frescacce – che un couturier si rifiuta di vestire la moglie del presidente degli Stati Uniti, una che è in mostra ogni giorno o quasi? E chi allora? O bisogna riconsiderare Milano.

Il cardinale Bagnasco, 74 anni, deve lasciare la presidenza dei vescovi per raggiunti limiti di età.  Al sul posto il papa argentino nomina il cardinale Bassetti, 75 anni. Senza ipocrisia.

Tra i tanti lettori che gli scrivono per commentare la marcia pro immigrati di Sala a Milano, Cazzullo non ne trova uno che sia favorevole. Milano è sempre la città della maggioranza silenziosa, o i suoi media fanno finta di altro?

Dacché Berlusconi si è proclamato animalista, si sprecano sui media gli esperti e le statistiche che dicono che dichiararsi animalisti è ininfluente ai fini del voto. Le bestie – bestiole domestiche – fiutano anch’esse Berlusconi a distanza?

“La Nazione” fa campagna contro Blue Whale, la balena blu, il gioco in rete del suicidio. Una campagna dai toni accesi, forse alterata. Ma il “gioco” c’è, è di ragazzi, ed è una sfida di crudeltà.

Si chiede un web aperto, anche come forma di reazione e difesa contro il “capitalismo di sorveglianza”  cresciuto attorno alla Nsa e ai servizi segreti. Questo c’è. L’altro c’è pure, il web è aperto e anzi apertissimo, fino al suicidio?

Trump a Riad fa una mossa che potrebbe stabilizzare il Medio Oriente, e comunque rivoluzionarne gli assetti. Ma i media Usa solo sono interessati a carpire l’attimo in cui sua moglie gli dà la mano, per camminare mano nella mano, o gliela rifiuta. C’era bisogno di andare fino a Riad per questo, non potrebbero accertarlo a casa?

Trump è “nato” politicamente (è il presidente degli Stati Uniti d’America…) per l’irrilevanza dei media. Che continuano a farlo crescere.    

Aspettiamo ancora di sapere come e dove gli hacker russi di Putin hanno favorito (hanno potuto favorire) la campagna elettorale di Trump. L’idea non è male, dire che Trump è stato eletto da Putin, ma è la tipica fake news. È tutto qui il giornalismo investigativo americano, nelle confidenze delle spie.?

Se non è vero, e dopo un anno di chiacchiere non si vede una prova, è ottima invenzione di Putin: scatenare le spie americane contro il loro presidente e il voto democratico. Dando ordini imprecisati a hacker ignoti. Facendo discorrere liberamente le sue spie ai microfoni dello spionaggio americano, di nefandezze varie dei Trump. Un affondo contro gli Usa che non costa niente e distrugge peggio di una Bomba.

La siccità, o è stato il maltempo, minaccia la raccolta delle ciliegie, che quindi quest’anno saranno carissime, i media sono allarmati. Mentre quest’anno, dopo molti anni, le ciliegie si comprano a 3-5 euro il kg, invece che a 8-10. Il giornale cerca le notizie, o le fa?

Il Grande Autore che nega l'autore

“L’uomo non è stato da sempre l’oggetto dei saperi, nasce tardi, a pagina 395 dell’edizione originale (di “Le parole e le cose”), insieme alle scienze umane”. E “come è venuto può anche andarsene, scomparire”. Va e viene infatti, per le varizioni dell’epistéme, l’organzzazione del discorso. Un formidabile Ferraris ci fa scoprire Foucault come Molière fece scoprire Monsieur Jourdain, che tutta la vita aveva praticato la prosa e non lo sapeva: Foucault in mezza pagina, con due coup de théâtre: anche l’uomo, insomma, è un po’ suicida, come vuole l’espisteme del momento. Ma quanti suicidi… Per un libretto dove invece Ferraris cavalca come un cavaliere della vecchia episteme, la conquistatrice.
IL volumetto antoliogizza la prima parte di “Le parole e le cose”, il saggio che incoronò Foucault re dei saperi, nel 1966. Propone i primi quattro capitoli: “Le damigelle d’onore”, “La prosa del mondo”, “Rappresentare”, “Parlare”. “Un romanzo”, dice Ferraris nell’introduzione, che da sola vale la lettura, “e per di più un romanzo giallo”, attorno ala storia della cultura. Come si è arrivati all’invenzione dell’umaesimo, cinque-sei secoli fa, e come si è passati “dalla somiglianza tra parole e cose nel Rinascimento alla disarticolazione del Novecento”. Come è stata casuale la “nascita dell’uomo”, l’organizzazione umana dei saperi, così non è detto che esso, l’uomo, possa svanire, scomparire da un momento all’altro.
Foucault non è pessimista, né ottimista: si limita a segnalare che la storia non è un freccia, e nemmeno uno sviluppo lineare. Che è casuale, soprattutto, soggetta a sismi e fratture, più spesso senza autore. Ma il fato di porre il problema è senz’altro ottimista. La decadenza è pessimista, la coscienza della decadenza in qualche modo no – il Ferraris subito successivo, del realismo, ne converrebbe.
L’introduzione è una sinossi eccellente di Foucault, in una paginetta o due. E una sistemazione critica.  Con ricordo personale: Ferraris diciottenne in vacanza post-maturità a Parigi, si avventura alla Bibliothèque Nationale e in chi s’imbatte? In uno che ha visto in foto, Michel Foucault – Ferraris si iscriverà poi a Filosofia. Con alcune curiose – non dissacranti – antifrasi, le vecchie contraddizioni. L’autore che si afferma quando si nega – Foucault. L’allegria dello scassinatore – Foucault.
Un epicedio, sia pure entusiasta. Attorno a un fuoco d’artificio spento. Foucault aveva studiato dai fratelli della Scuola Cristiana, i “frères ignorantins”.
Michel Foucault, La prosa del mondo, Bur, pp.159 € 4,50