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giovedì 24 dicembre 2009

Considerazioni di un antipatico

Il libro segreto di Thomas Mann – a leggerlo tutto, e va letto tutto, per esteso. La chiave della sua antipatia. Una rabbiosa, ribadita, e naturalmente molto confusa (molto tedesca) affermazione della superiorità della Germania, e di se stesso nella Germania , erede autoproclamato di Schopenhauer, Wagner e Nietzsche. A quarant’anni: Thomas Mann si è scritto a quarant’anni una prefazione al suo stesso libro, lunga trenta pagine, più un centinaio almeno di pagine di elogi di se stesso. Terribili anche le idee che professa, e la virulenza con cui vuole imporsi. È un libro confuso, oltre che insolente: ripetitivo, nervoso, sempre impreciso, benché apodittico. Ma è stato ripubblicato, rivisto, e dunque non è sfuggito di mano. Thomas Mann, Considerazioni di un impolitico

La natura umana che trascende la natura

Filosofare l’ovvio, in astratto e in concreto, è sempre arduo, e i diritti umani sono una di quelle cose che tutti sanno - anche se, già sessanta anni fa, H.Arendt poteva filosofare, nel "Declino dello Stato nazione", la debolezza dei diritti naturali, se non la loro inconsistenza in natura. Jeanne Hersch parte dall’opposto, da Antigone, che pone l’esigenza assoluta. Un diritto naturale che è tradizione e sangue, e solo apporta lutti, senza liberazione: una forma di fondamentalismo non necessariamente umanitario. La natura è “il regno della forza”, avverte, benché si parli di “natura umana”, una forma contraddittoria e limitativa: “C’è nella natura umana un’esigenza che supera, trascende, e perfino contraddice i dati della natura, nel senso dei caratteri biologici di una specie” (p.62). Per poi concludere: “Kant è molto vicino ad Antigone”. O non è il contrario?
La soluzione, dopo tutto, è anch’essa ovvia: “L’essere umano, di cui si tratta di rispettare in modo assoluto i diritti, non è un cittadino astratto del mondo in generale. È sempre una persona concreta, situata in una data epoca, in un dato paese. Ha un’eredità storica, sociale, tradizionale”(p.66). Ci vuole equilibrio: “L’esigenza assoluta dei diritti umani prevale sul diritto positivo, ma… nello stesso tempo senza diritto positivo non ci sono nemmeno i diritti umani”. E: “Un maestro che volesse insegnare i diritti umani ispirandosi alla tradizione europea dovrebbe forse porre Socrate accanto ad Antigone“ (85)
Jeanne Hersch tenta qui una sintesi del lavoro che fece all’Unesco a partire dal 1968, quando, direttrice della neo costituita Divisione di Filosofia dell’organizzazione, lanciò un censimento dei diritti naturali nelle culture e le tradizioni locali. Ne ottenne un atlante che non lasciava scoperto un solo angolo della terra. E la conferma che “qualcosa è dovuto all’essere umano per il solo fatto di essere umano”. Una “universalità” di cui la stessa “diversità dei modi di espressione” è garanzia di “autenticità”.
Dei paletti erano e sono necessari. Specie sugli equivoci diritti umani degli Stati, che si faceva valere all’epoca (e tutt’oggi all’Onu) in virtù della decolonizzazione e col patrocinio dell’Unione Sovietica, magari da governi violenti. Ma era necessario far valere la componente collettiva o comunitaria, o tradizionale, o storica, dei diritti umani, troppo appiattiti sugli usi di una piccola parte dell’Occidente (“Lottare contro il razzismo non è negare l’esistenza delle razze” (93), delle diversità): “La collettività, nazionale, religiosa, etnica, è in molti modi indispensabile all’individuo, e quindi ha dei diritti, ma questi sono derivati da quelli della persona e non l’opposto” (88) .
Jeanne Hersch, I diritti umani dal punto di vista filosofico, con prefazione di Roberta De Monticelli, e introduzione di Francesca De Vecchi, Bruno Mondadori, pp. 102, € 10

Il Millennio anticipato da Ballard

L’internamento, da Ballard sperimentato in Cina durante la guerra, nella Shangai occupata dai giapponesi, disintossicava molti: faceva perdere peso e riscoprire se stessi, i taciturni diventavano generosi, i missionari egoisti. L’internauta Ballard dice molto di se stesso, in questa raccolta di articoli, in genere recensioni di libri di varia. E dell’arte della fantascienza. Specie dell’assenza di ogni senso dell’avventura nei viaggi spaziali, la curiosità è durata un quindicennio. C’è Funari, nella psicoterapia selvaggia di gruppo anni Settanta, nei garage londinesi di periferia i fine settimana, urlandosi contro le peggiori oscenità. Torna Zapruder, immortalato ne “La mostra delle atrocità”, dopo che dalla commissione Warren. E c’è la censura multipla, continuativa, inverosimile negli anni 1970 e pure avvenuta negli Usa, dello stesso libro, stampato e ritirato da due delle maggiori case editrici, Doubleday e Dutton, perseguito, condannato, multato. Solo perché si prendeva gioco di Reagan, che ancora non era Reagan, e di Jacqueline Kennedy.
La più parte degli articoli sono degli ultimi anni. Ma c’è la descrizione del mondo odierno, televisivo, new age, chiacchierone, già cinquant’anni fa, e quello online trenta anni fa. Come se Ballard vedesse il nuovo Millennio, più che quello appena finito. Vede la guerra del Golfo ancora in corso come la vedrà Baudrillard – la guerra non c’è mai stata. Insofferente dei “lavori all’uncinetto letterario”, figlio tardo del surrealismo, che pregia molto, l’inventore dello “spazio interno” è involontariamente il brillante storico della contemporaneità che i suoi racconti lasciano immaginare. Grazie all’occhio esterno dell’interno, di cui l’ha fornito la sua speciale adolescenza, di inglese in Cina.
Ballard, Fine millennio: istruzioni per l’uso, Baldini Castaldi Dalai, pp.410, € 6,90

mercoledì 23 dicembre 2009

Secondi pensieri (35)

zeulig

Antropologia – Si trova solo quello che si cerca? Nelle scienze antropologice sì: l’Africa comincia ad avere una storia a quarant’anni dall’indipendenza.

È probabilismo. La “Storia di lince” di Lévy-Strauss, che forse è solo un apologo, è scontata – l’antropologo “scopre” che le narrazioni amerindie dell’Oregon, da lui ritenute il perno di tutta l’oralità americana, fino al Perù e al centro del Brasile, sono colportages di viaggiatori francesi di due secoli prima, probabilmente cacciatori.

È la poesia dello storico, non della storia. Cheanzi debase-debunk: che storia ci avrebbe dato una lettura antropologica dei greci, o dei romani?

Carne – È neutra. E anche benefica: è ciò che consente all’uomo di vivere, e quindi di pensare, poetare e giocare. Ma lo spirito che essa produce le ha creato cattiva fama.

Creatività - È ambientale. È come i fuochi d’artificio, che ogni petardo ne fa scoppiare un altro.

Cristo – È essenzialmente una figura storica. Prima di san Paolo e dei suoi viaggi, prima dei romani. Seppure tardi, seppure con alcune confusioni, i protovangeli non hanno altro senso che una narrazione. Di una storia che si è vissuta, anche se a distanza di qualche anno o decennio.

Dialettica – È, sconsacrato, il principio del manicheismo: il bene sta nel male, eccetera. È lo schema dei moderni sofismi: il vero è il falso, eccetera. È un buon artificio per un giallo commerciale, con la caccia, la fuga, il duello, le tette, e i rovesciamenti: il buono diventa cattivo, il cattivo buono, il falso vero, il vero falso, eccetera.

Edonismo – Viene confuso con il consumismo, che invece è un’altra cosa, e anzi ne l’opposto: non la ricerca del piacere, che può comportare la dissipazione, ma una brama di accumulo, non il gustosa il kitsch, non l’uso del tempo ma la sua abolizione. All’epoca del consumo siano i “senza tempo”, i “senza gusto”, i “senza piaceri”. Accumuliamo, ma come Sisifo, la fatica è interminabile e stressante.

Ermafrodito – Quando l’uomo vuole darsi una speciale autorità o una funzione eccezionale, di prete, imperatore, chirurgo, giudice, si mette sempre una sottana.

Esoterismo - È per l’appunto “qualcosa d’altro”. Scarta sempre, irraggiungibile. È sviluppo della forma analogica della conoscenza e dell’ontologia - trasmutazioni, trasmigrazioni, metamorfosi. Che è un tentativo di sapere, o essere, quello che si vuole. Di farsi confermare, fingendo di aver saltato le sabbie mobili del soggettivismo – la capacità di consolazione, anche critica, è grande.

Essere - È Adonai: per dire, cioè per non dire, Dio, l’innominabile. Tutta la metafisica tedesca dunque, fino a Heidegger, è impigliata in questa decisione biblica?

Felicità – Ci si rende infelici per voler essere felici. L’insensibile non è infelice. Felicità è dunque adeguare i mezzi – voler essere felici “non esiste”, si direbbe a Roma, e non per il destino cinico e baro. Solo la salutec’è o non c’è: la malattia effettivamente è una condanna. Gli altri spazi si possono ordinare. Il denaro è solo questione di adattamento. La politica pure. E il lavoro. Restano gli affetti, che sono la più gross causa d’infelicità mentre potrebbero essere serbatoio di felicità immensa.

Mitologia – Mettere insieme i greci e Odino sembra demenza e lo è. Il mito è una coperta larga, ma nessun mito di nessuna mitologia può creare identità fra i contrari. Quanta nebbia in Germania, anche in Hölderlin (“Iperione” al confronto con gli “Inni”) e nella filosofia (Humboldt, Schelling, Hegel) fino al cacumen Nietzsche, per il tentativo d rinsaldarsi con la “grecità”, cioè con la mitologia ellenica e pre-ellenica. E non per folklore ma per “spirito critico: per troppo classicismo.
Lo spirito fa male alla mitologia, come alla carne.

La mitologia applicata alla storia residuale e folklorica. La mitologia dei greci, di cui conosciamo la storia, è del tutto fuorviante (per non parlare dei romani, che hanno cessato presto di essere religiosi: la storia romana è tutta politica, ritualità compresa): divinità regali per una cultura repubblicana, divinità matriarcali per un patriarcato antifemminista, e la divinità come nemico per tutte le attività economiche, la terra, il mare.

Scoperta – Come spiegazione del noto mediante l’ignoto (Popper) è in realtà una conferma. Un’estensione e un rafforzamento. Anche quando ribalta la verità precedente: non si spiega che nei termini di quest’ultima.

Spirito - È il cattivo della condizione umana. Preti e moralisti accusano il corpo, che invece, poveretto, è solo uno strumento dello spirito, ed è condannato già prima di nascere. Ogni espressione del corpo, lo sguardo, l’amore, la violenza, la tecnica, è regolata dallo spirito – che ne escogita tante anche senza il corpo, la bestemmia, l’estasi, il sadomasochismo. La condamma del corpo (Innocenzo IX, Bernardo di Morlaix, i predicatori) è una delle tante furbizie dello spirito.
Come sarebbe un regno di puri spiriti, senza le mezze misure del corpo, i ritardi, i rallentamenti, le pigrizie? Probabilmente spaventoso. Per questo la chiesa vuole la resurrezione dei corpi?
Perché tanto accanimento contro il corpo? Come un servitore, bisogna tenerlo sotto frusta.

Verità – C’è. E si accorda anche col dubbio. Ma è modesta. Per questo non è contemporanea. Non si accorda con l’incostanza che fa aggio, riflesso del narcisismo – la scoperta di massa dell’individualismo. Né col linguaggio, che per essere appetibile dev’essere innovativo – trasgressivo, impreciso, confuso. Siamo infatti in un’epoca d’inappetenza, soddisfatta.
La verità è una, ma la parola ne conosce mille. È “sconvolgente” perché la parola ha perduto il senso. La verità è il senso. E il senso è la parola. La verità è quindi sempre “diversa”. Diventa “sconvolgente” per il trivio giornalistico, dei buoni sentimenti, del senso comune, della legge e l’ordine – applicabili agli altri.

Verginità – Interrompendo l’ordine della creazione interrompe la salvezza. La salvezza è la promessa dei creati. Le verginità premia la salvezza a meno della creazione.

zeulig@antiit.eu

Casini è quello che rischia di più

Dopo il Lazio la Puglia, dove dovrà portare voti a Emiliano, o peggio a Nichi Vendola. Casini è quello che rischia di più alle Regionali. Senza un governatore, che sicuramente avrebbe avuto nel centro-destra, e innecessario nelle giunte. E forse senza neanche un partito, perché il suo, nel Lazio e in Puglia dopo la Sicilia, è fortemente localizzato. Il fenomeno è comune a tutti i partiti storici, Socialisti, Verdi, Sinistre, e anche a Di Pietro e al Pd: la politica è da tempo regionalizzata, con il voto plebiscitario per il Comune, la Provincia e la Regione, ma nell’Udc è ancora più marcato, la leadership di Casini è forte per essere debole, una sorta di portavoce. Senza contare che il voto utile è, localmente, dirimente: nessuno si mette con un perdente, per nessuna strategia o alchimia.
La politica dei due forni, che Andreotti rimproverava a Craxi, o delle due sedie, in queste condizioni non paga: senza una leadership centrale forte, e dura, le formazioni minori sono quelle che portano voti, senza attirarne. Forse Casini non lo sa, ma lui non è Craxi, non governa né con la destra né con la sinsitra, è solo una ruota di scorta. E potrebbe ritrovarsi ingombro di tanti altri che la pensano come lui, tutti a loro proprio avviso indispensabili, Tabacci, Cordero di Montezemolo, Della Valle, Draghi, e forse anche Rutelli, ma con pochi voti, non abbastanza. Le alleanze trasversali sono facili a insinuare nei talk show ma non sono semplici nella realtà e anzi indigeste: chi combatte per un voto combatte anche per un’idea e contro qualcuno. L’Udc, con tutte le carnevalate attorno a Berlusconi, con la moglie di Berlusconi, col fotografo Zappadu, e con i vescovi, rischia di tornare al partito del quattro per cento, più o meno, la soglia di sbarramento – anzi, senza la Sicilia, sotto il quattro.

martedì 22 dicembre 2009

Perché Berlusconi non ascolta Napolitano

Il presidente Napolitano esplicita a Berlusconi il sostegno al governo, come è nei suoi doveri istituzionali: non si temano complotti contro il governo. Che altro può dire di più? Puo, non deve. Rincuora Berlusconi a fare le riforme, se necessario da solo, “anche se non condivise”. Ma Berlusconi fa l’offeso, e non si capisce perché.
Napolitano ha orrore degli scioglimenti a catena dei Parlamenti, che lui sperimentò con la presidenza Scalfaro, qualche volta da presidente della Camera, e anche di Camere efficienti. Sciogliere il Parlamento eletto è, per un democratico, un caso estremo, da prevenire con ogni mezzo. Assicurare un esecutivo, e uno efficiente, è il primo dovere del capo dello Stato. Nel sentire di Napolitano e di ogni costituzionalista non golpista - come lo sono tanti che si colorano di democratico.
Perché Berlusconi fa finta di non sentirci, allora? Perché lascia perdere una occasione più unica che rara di farsi governare a suo piacimento, anche con quella parte del Paese che gli è ostile? È offeso? Non esiste in politica. E poi Berlusconi sa benissimo che la Consulta sul lodo Alfano è stata manovrata dal giudice casiniano – che alla maniera del suo patron ancora sta cercando la motivazione. Berlusconi vuole le elezioni anticipate? Non ha nessunissmo motivo per volerle. Vuole indebolire Napolitano, allora? Non può. Vuole indebolire Fini. Il quale non perde occasione per beccarlo, giornalmente. Ma alla fine della giornata conta in quanto conta Berlusconi. La distanza di quest’ultimo da Napolitano è in realtà una presa di distanza da D’Alema – il grande elettore del presidente della Repubblica. Perché D’Alema parla di riforme condivise ma pensa a Fini. Berlusconi vuole ristabilire l’ovvio: se l’opposizione vuole dialogare, deve dialogare con me.
Il voto di oggi al Senato sulla finanziaria, senza la fiducia, dopo le assicuarzioni di Napolitano, significa che la tattica di Berlusconi è stata capita anche dai suoi oppositori interni.

Il mondo com'è - 29

astolfo

Capitalismo – È un ruminante. Mastica di tutto, anche il suo opposto, digerisce di tutto.

Cattocomunisti – Sono buoni perché cattolici e sono buoni perché comunisti. Sono buoni al quadrato. E sono buoni naturali, come il tonno, non per progetto o interesse.
Perché non funzionano ora che sono democratici?

Città (Democrazia) – Quella greca è la tribù sedentarizzata. Con leggi tipicamente tribali, di pastori venuti dal Nord, in ambiente urbano orientale. La democrazia nasce da questa prima sedentarizzazione, è un incontro di Oriente e Occidente, la città, la corte, e la tribù nomade, la continuità di sangue nell’instabilità. È una forma di relazioni esterne e anche interne, che prende corpo con la codificazione scritta.

Comunismo – È crollato su presupposti marxiani: fragilità economica, appropriazione del plusvalore, concentrazione monopolistica, totalitarismo, cioè tirannia. La caduta del comunismo è il solo evento storico che abbia inverato le “leggi” marxiane.

Dc – Ha un lato nero che è difficile trascurare, anche a volerlo, Ne ha ammazzati più la dc in quindici anni, 1947-1962 che Mussolini in 21, anche a mettere nel conto Matteotti e Aldo Rosselli, che Mussolini non voleva morti. Perché mettere sotto silenzio Portella della Ginestra, Melissa, Avola, il 1960? I tantissimi arresti politici sotto forma di procedure giudiziarie comunque infamanti, fino a Baffi e Sarcinelli, di una magistratura e una polizia certamente non autonome? Se la legge Scelba avesse potuto operare indisturbata, mai tante persone avrebbero perso il posto nella storia, salvo nelle proscrizioni di Augusto e soci. Né s’è mai avuto tanta repressione, censura in senso stretto, sui costumi e la cultura. Perché tacere di Milazzo che chiamò i mafiosi al governo? E di piazza Fontana, piazza della Loggia, i treni, la strategia della tensione? E di Antonio Segni, dei dossier del Sifar (“Lo Specchio”, “Mancini lader”, etc.), della copertura di Aldo moro ai golpisti, con le loro liste di proscrizione? Quello nero è forse più pesante di quello buono: quale dei due invera l’altro?
Non si spara più sui dimostranti dal 1962, con il centro-sinistra. Non alla maniera classica. La strategia della tensione non è invenzione di Pattakòs, un imbecille: si sviluppa quando il Psi parla di disarmare la polizia in servizio d’ordine, e la Dc riceve dall’ambasciatore americano Graham Martin, l’uomo della guerra al Vietnam, oltre un miliardo di dollari, di quaranta anni fa.

Fascismo – Sempre in abominio, sempre poco analizzato. Ma qualcosa si comincia a saperne. Certamente non veritiera è la dottrina (cominformista all’origine) che ne fa il culmine del capitalismo. Che è capitalismo proprio perché non ha culmini. Mentre cominciano a essere vere le radici giacobine: comune è il ceppo giustizialista, come in tutti i totalitarismi, di uomini della provvidenza.

Femminismo – Caino il contadino uccide il pastore Abele: per gli antichi biblisti… non sarà l’oltraggio dell’offensiva patriarcale?

Gandhi - È occidentale. La pietà sociale è occidentale. Il sociale lo è: il lavoro come mezzo di affrancamento, la solidarietà, la giustizia. La pietà individuale è occidentale. La nonviolenza è una strategia politica popolare, non dei re o dei capi militari, delle tribù, delle caste, e quindi è anch’essa malgrado tutto occidentale. Che Gandhi sia stato regalato all’India dalla Gran Bretagna suona un po’ forte, ma è così.

Germania – Con l’unità ha mutato pelle. La Repubblica Federale, vivace, colloquiale, cosmopolita, che era renana e bavarese, è stata soppiantata da arcigni manager e gente del Nord-Est. Che non si sa cosa pensano, a meno che non pensino male. La Repubblica Federale è riuscita a superare handicap durissimi: il comunismo a Berlino, la paranoia tirolese, gli irredenti di mezza Europa dell’Est, tutta gente che non ha mai dato nulla a nessuno, e pretendeva la terza guerra mondiale. La Germania unita non ha avuto nessun problema vero ma li magnifica tutti. Seriosa, taciturna. Diceva Joseph Roth di Weimar: “È la repubblica Tedesca\ una nuova casa con letti vecchi”. Sarà sempre così, il nuovo-vecchio mobilio l’avrà portato l’Est.

Illecito dello Stato – Secondo Kelsen non ci può essere un illecito dello Stato, “sarebbe come il peccato di Dio”. E invece lo Stato può essere, è normalmente, criminogeno. Per le bombe degli anni Sessanta-Settanta, per esempio, per non averle punite, se non per averle messe. Per l’uso parziale delal giustizia, a fini politici, economici, e di tornaconto. Per la precarietà: mezzo milione, un milione, di domande di assunzione sono presentate per immigrati, da residenti italiani in grado di provvedervi, lo Stato ne consente centomila, duecentomila.

Modernità - L'ipertrofia di violenza pubblica e sensazionalismo nell'opinione pubblica italiana, nella Rai per esempio, e in libreria, è ancora inferiore allo hitlerismo. Anche se solo per mancanza di audacia: la nuona volontà c'è tutta.

Occidente – Non farà abbastanza, ma è l’unica cultura e l’unica area che include e non esclude.

Polizia – È istituzione recente, la sua filosofia è appena abbozzata (Foucault, Fontana). È lo strumento della giustizia: così è percepita, per questo gli apparti si moltiplicano (polizia, carabinieri, finanza, vigili, polizia municipale, polizia provinciale, ronde). Ma è l’interfaccia della criminalità, e in questo inevitabilmente uno specchio. In minima parte, il grosso è burocrazia, “posti” pubblici per chi non sa fare altro.

Settanta (anni) – Deliranti, tragici, obbrobriosi. Misteriosi, ma forse solo per la stupidità: diciotto politico, salario senza lavoro, i portantini al governo dell’ospedale, i bidelli della scuola. Rivolgimenti, congiure, droghe, violenza, tranelli, abiure, compromessi, tradimenti, pugnalamenti, e ruberie. Rubano i principi e i cardinali, rubano ricchi e rubano i poveri, i delinquenti e i santi, a cominciare da Aldo Moro, il cui sacrificio li conclude. Senza nessuna gloria, come invece nel Cinquecento, altra epoca nella quale l’infamia trionfava.

astolfo@antiit.eu

lunedì 21 dicembre 2009

Tra due forni, o tra due sedie

Troneggia anche su Sky, oltre che sui Tg Rai, casiniani da sempre. Segno che il suo Centro convince anche il rapace Murdoch: scardinare Berlusconi scardinando il bipolarismo. È il giovane di sempre, anche a cinquantacinque anni, e la promessa della politica. Come Casini si è sempre pensato, da una trentina d’anni a questa parte, così ora è percepito, dall’ingegner De Benedetti, un altro che se ne intende come Murdoch, e dai Dc scomodi nel partito Democratico, fino alla Bindi inclusa. Ma potrebbe restare fra due sedie, già alle Regionali, ancora una volta.
Potrebbe recuperare in Veneto, ma è difficile, anzi impossibile, che Galan si metta al suo servizio. Mentre in nessuna delle regioni in bilico, il Lazio, la Campania, il Piemonte, e la Calabria, avrà un suo candidato alla testa di uno schieramento: non da Berlusconi e, a questo punto, neppure dal Pd. A Roma, dove potrebbe pretenderlo al posto d Zingaretti, i suoi hanno già deciso di sostenere la candidata di Berlusconi, Polverini. Non ha più spazio in Campania, dove ha fatto mancare la sua solidarietà ai Mastella, che pure lo avevano salvato dal naufragio con Forlani al tempo di Mani pulite. E potrebbe perdere la Sicilia, che è il suo unico serbatoio di voti, grazia a Cuffaro e altri personaggi della stessa caratura. Anzi l’ha già persa: Lombardo si conferma l’anti-Casini per i voti di Casini. Dichiaratamente ora che conduce in proprio il gioco casiniano del Destra-Sinistra: non poteva scalzare il giovane vecchio dal di dentro e quindi lo fa dal di fuori – si scrive Mpa ma si legge Udc 2.

Letture - 22

letterautore

Arbasino - Grande ingegno, immenso, di forte capacità affabulatoria, fottuto dalle cattive amicizie (le frequentazioni della solitudine, la solitudine dello snob è implacabile) e dalla politica. Passione divorante, che lo insegue da Mannheim a San Francisco, all’“Alcesti” e all’Opéra-Bastille. La politica, non la filosofia: passione unica e stranissima, talmente è assorbente, da analizzare. Altri Kulturkritiker, da Diderot a Karl Kraus, si sono lasciati degli spazi per fantasticare. Arbasino è intossicato dalla sociologia politica, il genere più anguillesco, e forse inconsistente – strana nemesi, per chi odia l’approssimazione.

Classico - È quello che è sempre vivo. Ma vivo in base a una lettura: è sempre filologia.

Critica - È la malattia della letteratura, il “killer”, il virus – raramente la vitamina. Quando non è allegra, cioè libera – raramente. Per tutti gli altri “prodotti” in circolazione l’atteggiamento è aperto, vediamo, assaggiamo, consumiamo: se piace bene, se non piace pace, solo per casi di pericolosità sociale dichiarata c’è la critica. La letteratura invece non esiste senza la critica. Che a ogni libro nuovo la sua funzione interpreta caricando i fucili a pallettoni – l’onestà del critico. Poi, se resta qualcosa, si gusta.
Perché siamo più scrittori che lettori? O perché con l’umanesimo, civiltà del libro, si è creato un mandarinato geloso dell’esclusiva, per cui non c’è nemmeno un’area d’indifferenza, ma tutto quanto è pubblicato dev’essere messo con le spalle al muro e misurato con Dante, Petrarca, Platone, Omero, e adesso anche Leopardi.

Dante - L’allegoria che celebra non è un residuo (fardello) stilistico del tempo? Schiaccia le “Petrose”, nelle quali è tutto, scalfisce poco la “Commedia”.

“Il poeta più savio e più triste” di Baudelaire (in Nadar, “Baudelaire intime”, p.70)

Elisabettiani – Curiosa riscrittura della storia, per la questione religiosa: gli elisabettiani erano soprattutto stuartiani. La fioritura letteraria e artistica che va sotto il nome di periodo elisabettiano si produsse in realtà con gli Stuart. Il Cinquecento fu in Inghilterra, con i re macellai Enrico, Maria, Elisabetta, poverissimo. Thomas More scrisse in latino, in inglese c’è un po’ di manierismo (Lily e l’eufuismo, Sydney, che peraltro molto viaggiava in terra non riformata), Spenser e Marlowe. Sotto gli Stuart si espresse al meglio lo stesso Shakespeare, che parteggiò per la congiura del conte di Essex, protetto finalmente dal re. Il teatro era stato confinato da Elisabetta fuori città, mentre Giacomo I lo sostenne e lo protesse – e i ruoli femminili tornarono alle donne, anche se si facevano venire di Francia. Poterono liberamente esprimersi Francis Bacon, Donne, Robert Burton. E poi Milton, etc. Si dice che Shakespeare a un certo punto tacque per dispetto contro Giacomo I. Ma non sarà una cattiveria protestante? Nel 1602, un anno prima della morte di Elisabetta, non riusciva a pubblicare l’“Amleto”, e questo è un fatto.

Flaubertiano – Si dice della “parola giusta”, ma senza molto senso. La parola giusta non può essere anestetica, insignificante, e Flaubert lo sapeva, non è uno della École du regard. A lui piacevano le persone di carne e sangue, e le passioni. Sarebbero piaciute, ma non ha trovato la parola giusta – flaubertiano equivale poi a noioso, non lo diceva lui stesso che i grandi narratori si possono permettere di scrivere male, uno mediocre ha l'obbligo di scrivere bene.

Freud – È logicamente insufficiente: la sua fonte conoscitiva, Edipo e altri miti, è abborracciata e contraddittoria. È terapeuticamente, e anche esteticamente, pericoloso: umilia l’infanzia, la fase più segreta, poiché fisiologicamente si rimuove, ma più appassionante e vera della vita umana, rimodellandola sulla vita adulta, e impone la denuncia delle rimozioni. Impone cioè di giocare di furbizia con se stessi e con gli altri, o di accettarsi senza entusiasmo, o addirittura (ai più) di ferirsi. Meglio un bambino senza madre di uno con la madre? Che insensatezza!
È un ideologo (Thomas Szasz, Bachtin)? Ma non materialista, non critico.è un confusionario, che scrisse buoni racconti, ancorché autobiografici, visionari, un vero “pazzo”. Una specie di paleontologo del sesso vivente, dopo aver scoperto, nel 1900, che la donna ha una sessualità. Ha successo culturale perdurante perché avrebbe approfondito la psicologia. Ma è più articolata la psicologia nel mito greco, o nel romanzo-poema prefreudiano, che in Freud o in Jung. Che hanno sistematizzato la psicologia, ci hanno tentato. Non per primi e non da ultimi. Da accademici. Che però non erano – erano sostanzialmente autodidatti.

Genesi – Quante incongruenze non si risolverebbero se fosse derubricato da libro sacro! Che lo si prenda in senso letterale, allegorico, anagogico, eccetera, fa sorgere una serie di problemi insolubili: la creazione, il peccato, la donna. la famiglia.

Libri – Sono la cosa che con più fretta viene liquidata dagli eredi – queste eredità sono il mercato dell’usato-antiquario, molto vasto. Non è un fatto d’ingombro. Vengono tenuti mobili, che occupano più spazio, e perfino capi d’abbigliamento del tutto inutilizzabili. Si dice che fanno polvere. Ma tutto in casa fa polvere se non è accudito. Se conservato, anzi, il libro acquista col tempo anche valore, unitariamente più dei mobili e dell’arredamento, più dei francobolli. Ci se ne disfa perché sono l’anima del defunto, una sua presenza vivente? .

Media – Il linguaggio dei media, pubblicità e televisione, è conciso e esatto. È però grandiloquente: persuasivo e non argomentativo. Perché non è verbale.
La forza di questo linguaggio non è la parola, ma l’immagine (la scena, la posa, le luci, il montaggio) e la magisterialità (assertiveness, ripetitività, e autocompiacimento, o star system). Un linguaggio cioè che si vuole dichiaratamente falso.

Sciascia – Se ne celebra sempre il razionalismo. E lo si celebra come un dato siciliano, di una certa Sicilia, illuminista. Ma quello dei siciliani, soprattutto dei palermitani-agrigentini, della vecchia matrice fenicia, semita, non è razionalismo, è allucinazione razionalistica. Una cosa il cui connotato non è di essere produttiva, convincente, patrizia, ma una fuga senza limiti nell’analisi. Che è un mezzo di difesa, ma rende la coabitazione e la costruzione impossibile, avvelenata.

Scrivere – Scrivere per accumulo secondo Lessing, che critica Costantino Manasse e l’Ariosto, quando descrivono la bellezza di Alcinoo e di Elena, è come portare in coma alla montagna i materiali per una casa, che poi franeranno dall’altro lato.

letterautore@antiit.eu

domenica 20 dicembre 2009

ll segreto dell'Italia è l'indice della miseria

Il misery index di Moody’s apre uno spiraglio sul segreto dell’Italia. L’Agenzia di rating ha messo insieme un indice molto semplice della povertà delle nazioni, sommando il deficit di bilancio annuale in percentuale del pil e il tasso di disoccupazione. E l’Italia, pur avendo il debito più grande in Europa rispetto al pil, e il terzo più grande al mondo dietro il Giappone e gli Usa, non se la passa male. Anzi, è il paese più virtuoso, se non meno “povero” – dietro la Repubblica Ceca. Sommato a una rete sociale molto vasta del terzo settore, o associativo, con un numero strabocchevole di operatori sociali, volontari e semi-volontari, senza contare le parrocchie rivitalizzante da Ruini, questo indice spiega la solidità del paese.
L’Italia è ben viva, come tutti sanno, malgrado Murdoch e l’“Economist”, prefiche non disinteressate, e i giornali di Lor Signori, che prosperano nella crisi. Una ragione ci sarà, o più d’una. Questa dell’indice della povertà, sommata al terzo settore, che il “Sole 24 Ore” infine registra in chiave di buoni sentimenti natalizi, è probabilmente la più robusta. Anche perché non da ora l’Italia è fra i paesi più virtuosi nel misery index: il deficit contenuto di bilancio, e in qualche anno anzi l’attivo di bilancio, è una cintura di correzione che il paese porta stoicamente da poco meno di vent’anni. Nessun altro paese avrebbe retto alle continue “manovre”, più tasse meno spese. Anche perché sono stati i vent’anni peggiori della sua storia politica, per il golpismo continuo dei complesso giudici-media, una destabilizzazione tanto perfida quanto martellante. Oltre ventimila onlus, 7.300 cooperative sociali, quattromila fondazioni sono la rete di resistenza dell’Italia.

I processi come esercizio di potere

Un monumento all'immutabilità delle logiche politiche.
Anche alla forza politica della retorica: Cicerone dice e non dice, accusa senza accusare, nomina Verre perché è in disgrazia presso i senatori, dopo tre anni e montagne di malversazioni, ma non nomina gli altri profittatori, né accusa realmente i publicani, gli affaristi che furono una creatura dello stesso Senato. Ma soprattutto conferma la persistenza delle logiche politiche.
Cicerone attacca il Senato, non può non farlo, ma per ristabilire il diritto a esercitare quel potere giudiziario di cui Silla avrebbe voluto privarlo. Perché è nel Senato il potere: il potere economico, o meglio finanziario, delle rendite urbane. Ogni rivoluzione giudiziaria - ogni rivoluzione? - è un esercizio di potere.
Già all'epoca si praticava il maquillage finanziario, il window dressing.
Cicerone, I processi di Verre