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sabato 21 novembre 2009

Merkel, o la Germania di Sassonia

C’è una distinta connotazione di questa fase dell’Unione Europea, ed è il silenzio della Germania. Di quella di Schröder, che pure aveva agli Esteri l’attivissimo Joschka Fischer, e più di Angela Merkel, che col suo ministro degli Esteri socialista prima e ora con quello liberale sembra guardare all’Europa da una distanza remota, se non siderale. Fredda, certo. Nella Germania dell’Est, dove la signora Merkel è cresciuta, l’Europa è ferma ad alcuni decenni fa, praticamente al dopoguerra. E in Sassonia, dov’è nata, a prima di Hitler e del kaiser.
Il debutto in sordina della Nuova Europa, quella che si vorrebbe unita, è dovuto all’inattività della presidenza francese, ma più ancora al disinteresse della Germania. La cui partecipazione all’Europa non va oltre la reiterazione dei vecchi benefici nell’uso delle risorse. L’Europa è quasi scomparsa dalla Germania, se non nelle forme d’uso, turistiche, coloristiche. Compresa la delinquenza, che sempre è straniera. È un effetto della globalizzazione, della quale la Germania è riuscita a tornare protagonista dopo una rapida, e violenta, ristrutturazione. Questo già nel doppio mandato del socialista Schröder, di cui spiega lo scarso interesse per l’Unione Europea, in contrasto con le sue origini renane: la Germania era allora impegnata a ricostruire la sua base produttiva nei paesi dell’Est, in Russia, in Cina. L’economia tedesca è un’altra rispetto a quella di quindici anni fa. Con Angela Merkel il disinteresse è anche culturale, psicologico.
Per certi aspetti il fenomeno è europeo: non ci sono più i vecchi leader europeisti di una volta. Gente con un ideale oltre che tecnicamente capace. Per l’Italia, in anni ancora recenti, del calibro di Ciampi o di Prodi. Ci sono cauti gestori dell’esistente, attenti a ottenere il più possibile da quel bilancio europeo che si sono costretti a finanziare. Ma in Germania c’è di più: l’Europa non presenta alcun motivo d’interesse, a parte le giaculatorie d’obbligo. Per un motivo semplice: la politica estera e di difesa, che avrebbero dovuto essere le novità europee degli anni 2010, dopo l’euro negli anni Duemila, sono costituzionalmente (anche in senso proprio, giuridico) estranee alla Germania. E per un motivo profondo, seppure apparentemente labile: la Germania ha esaurito le riserve d’entusiasmo per l’Europa. Per effetto della globalizzazione. E della riunificazione: la Germania ritorna sassone, in un certo senso provinciale.

Londra soppianta l'Italia nell'Ue

La baronessa Ashton alla politica estera e di difesa europea significa più che altro la sostituzione della Gran Bretagna all’Italia nella triade o direttorio Ue. Significa anche la nullità della politica estera e di difesa europea, ma sempre in consonanza con la politica britannica di indebolire l’Europa non potendola impedire. Ora dall’interno e non più dall’esterno, come ancora ai tempi della Thatcher.
È la novità introdotta da Blair e che ne ha fatto la fortuna politica: legare la Gran Bretagna all’Ue ma per legare la Ue all’attendismo britannico. Blair ha operato in questo senso con Chirac e con Berlusconi. Brown si è trovata accanto la Merkel, nei lunghi quindici mesi della crisi finanziaria, e grazie al cancelliere tedesco, che dell’Europa ha idea molto pallida, è riuscito a soppiantare l’Italia nel gruppo dei “decisori” europei: la nomina di lady Ashton è impressionante non tanto perché il cavallo è stato fatto senatore, ma per la rapidità della trasmutazione, e l’imposta unanimità. Favorita certo da Sarkozy, la cui idea d’Europa è molto tedesca, da business.
Manifestano adesso la loro vera natura gli attacchi violenti da Londra all’Italia in questi anni Duemila. E a Prodi forse più che a Berlusconi. Senza ragione d’essere, poiché l’Italia sta ai suoi obblighi europei (finanza, bilancio, moneta, difesa) meglio di tanti altri, e anche la sua economia funziona, male come tutto in Europa ma funziona. Attacchi che in più di un caso hanno avuto risvolti scoperti da servizi segreti. E si sono conclusi con l’improvvisata graduatoria del “Financial Times” fra i responsabili economici europei, per promuovere la ministra francese a capo dell’Eurogruppo finanziario, alla vigilia della scelta della baronessa.

Spiazzati i fan del "Financial Times"

Hanno dato con diletto le graduatorie e i “giudizi taglienti” del “Financial Times” e dell’“Economist” sull’Italia – su D’Alema, non su Berlusconi. E si sono trovati il giorno dopo senza argomenti. Senza il coraggio di denunciare la stampa di regime britannica, ma senza argomenti da opporre alla tragicomica nomina di una signora ignota, di un paese e un partito contrari a una politica estera e di difesa europea, a ministro europeo della difesa e degli esteri.
Con la parziale eccezione della “Stampa”, che ha, cautamente, fatto capire ai suoi lettori la trama delle nomine europee, i grandi giornali italiani si sono concentrati sui risvolti italiani. E non avendo in questo caso i soliti argomenti contro Berlusconi, hanno montato un “caso umano” D’Alema. Il “Corriere della sera” e “Repubblica” hanno preferito dare addosso alla Francia per il “mani” di Henry – ma a danno dell’Irlanda… Nessun commento alla spregiudicatezza di Londra nelle nomine, e ai giornali britannici che ne hanno favorito attivamente le manovre.
Il giornale milanese in particolare, che più degli altri si fa eco di cosa hanno detto l’“Economist” e il “Financial Times”, si è visto spiazzato da questi suoi autorevoli numi su entrambi i suoi fronti d’impegno, D’Alema e Tremonti. Per D’Alema la mancata nomina (a favore di “una certa Ashton”) non è un incidente di percorso come un altro, è un quasi accantonamento. Il ministro dell’Economia, destinato nel Grande Disegno milanese a presiedere il governo di unità nazionale post-Berlusconi, sarà soppiantato l’anno prossimo a capo dell’Eurogruppo, carica che riteneva orma sua, dalla ministra francese – fa parte dell’accordo: a Francia e Germania il business, a Londra la (non) politica europea.

Mercantilismo, l'unica dottrina europea

La vera partita delle nomine sarà dunque quella economica. È sempre e solo l’Europa degli affari. Francia e Germania solo si occupano di garantirsi le risorse europee, per l’agricoltura e l’industria, e di controllarne gli indirizzi politici attraverso le istituzioni monetarie e finanziarie. Con un disinteresse sostanziale, dietro le iniziative burocratiche, se non con l’esclusione, verso ogni “avventura” politica (Parlamento, difesa, diplomazia). Col contributo ora della Gran Bretagna, più affine su questi campi, dell’interesse primario e delle esclusioni.
L’Europa è un ottimo investimento. Ma, nell’ottica della triade di riferimento della Spa europea, senza integrazione: l’Europa rende in ragione del potere contrattuale del contraente, quindi di più per Germania e Francia, che non va diluito in un’unione reale, o integrata. La Francia, che ha questa vocazione burocratica, si prende tutte le istituzioni economiche e finanziarie, Bce, Fmi, Wto, Eurogruppo, la Germania si accontenta dei soldi. La nuova Europa decolla confermando il vecchio principio mercantilista, degli interessi nazionali in economia, che finora l’ha retta, euro compreso.

venerdì 20 novembre 2009

Letture - 20

letterautore

Allegoria - È un’aggiunta che non aggiunge – non arricchisce, non spiega. “Come il polipo (o il camaleonte) che prende il colore della pietra su cui fa nido”, che vuol dire? Accomodante, sfuggente, timido, machiavellico, indifeso?
È una pausa. E un decoro.
È indeterminatezza: la introduce, la crea.

Autore – È, in non piccola misura, l’editore.

Borges - Narra lo charme. Rinverdisce (esalta) la tradizione gnomica di Montagne, una saggezza arguta, senza punte, classica, anche per l’erudizione, con logica paratattica, aneddotica. La disposizione nasce da un fisico particolare, dell’uomo massiccio? Da una fisiologia stabile – senza acidità, coliti, collere, insonnie?

Cabbala - Dio fa parola tramutando l’ineffabile in confusione: mistero, iniziazione, esoterismo – che è sempre qualcosa d’altro.

Filologia - È la scienza della mula del Berni, che scava i sassi per inciamparci sopra. Ma è anche invenzione della storia, e ne ha il fascino – indistinto, possibile, verosimile.

Hegel – È straordinario il suo fascino sull’Europa intelligente di metà Novecento. Effetto forse delle arti informative sovietiche – una propaganda non brutale (si veda in precedenza il fenomeno Münzenberg). E del cupio dissolvi europeo, di Sartre o Brecht, i troppo intelligenti, e dei Moravia, gli onesti democratici. Ma anche di una rilettura sottile e seducente, di Lukács (quanto in buona fede? era uomo di partito) e di mezza Francia. Per uno scopo semplice, e non celato: giustificare il totalitarismo – l’eclisse della ragione, proprio.

Kafka – Umorista l’ha già fatto Barilli, ma andrebbe rivisto: riscontrato sulla seriosità di Max Brod.
C’è un effetto umoristico, di battute e situazioni, più che di impianto.

“L’aspetto da incubo dei romanzi di Kafka consiste nel fatto che in essi ogni evento è apparentemente senza causa, o perlomeno, se una causa c’è, è impossibile scorgerla” (D.H.Carr, “Lezioni di storia, 101). Kafka come Popper, curioso dell’indeterminato, ma con l’angoscia. È cerniera speciale con il mondo che fu, quello della certezza.
La “specialità” Brod lega alla parte ebraica della sua cultura.

Leopardi - Quante componenti nell’“Elegia” del Gray, già tradotta da Cesarotti: il villaggio, la gente comune, il crepuscolo, la campana, l’attesa, il niente, e il destino solitario del poeta.

Leggere - Una fatica di facchini, più che di dotti, per Guicciardini, “Ricordi”, 208: “Così quello tempo che s’arebbe a mettere in speculare, si consuma in leggere di libri con straccehzza di animo e di corpo, in modo che l’ha quasi similitudine a una fatica di facchini che di dotti”.
Lo stesso, quasi, Leopardi: “Privato dell’uso della vista, e della continua distrazione della lettura, cominciai… a divenir filosofo di professione (di poeta ch’era)”. Scrivere non è ritenuto un male (rischio), leggere sì: occupa la mente.

È un piacere onanistico. Nei modi. E negli effetti?

Thomas Mann - È certo l’anti-Nietzsche, benché in ritardo. Per l’aristocrazia del commercio, l’aristocrazia germanica (la polemica col fratello Heinrich, le “Betrachtungen”).

Quanti romanzi e racconti sulla morte. E quanti morti viventi!

Un uomo dell’Ottocento, o meglio di fine secolo, che talvolta si fa forte dei benefici dell’epoca (polemica col fratello, “Betrachtungen”), talvolta tenta di modernizzarsi, entrare nel Novecento. Ma attraverso i sentieri estetizzanti della Belle Époque: le belle cose e gli spiriti particolari, oltre alle trasgressioni vissute come drammi romantici (sempre sessuali: omoerotismo, incesto, bestialità).

Monologo – L’“Ulysses” non libera, sommerge: ha questo effetto. Che invece non hanno i “Dubliners”, né il”Portrait”. È l’effetto del monologo: lo stream of consciousness non si libera nel monologo, nel senso che non va su e giù, perforando gli stadi, per allargare gli spazi della verità, ma si limita a trabordare. È come la piena di un fiume, grandi masse d’acqua e detriti.
Diverso l’effetto nella Woolf, sempre costruita – nel senso di rattenuta - nei suoi stream. O in Céline, che sa invece governare i déferlements a buon esito narrativo – e percettivo (non sempre, ma non a scritto una sola opera).

Proust - Ripete, rielabora, sistema, l’acutismo fin-de-siècle: Louÿs, Rebell, Schwob, Prévost, Toulet, Lorrain, perfino Montesquiou, e Gourmont, Tinan. Il “secondo scaffale” di Hubert Juin. Comprese le dame: Nathalie Barney, Renée Vivien, Liane de Pougy, Anna de Noailles, Myriam Harry, “Gerard d’Houville”, Rachilde. Fino a tutti gli anni Venti. Con genialità del tipo: il piacere è come una foto (“Sodome”, 812). È opera di charme per essere uscita “fuori tempo” – fuori fin-de-siècle, dopo la guerra. Oppure come rievocazione ancien régime – il mondo Excelsior. Proust “dice” tanto a Benjamin, per esempio. Ma Benjamin doveva (voleva) fare barriera contro la devastazione dei sentimenti, il materialismo.

Lo stile viene dalla madre – è lo stile Mortemart: semplicità, sobrietà, charme. Come per Gide. Anche Flaiano rinvia alla madre.

Un pallone, o un immenso aquilone. Inverosimile, inutile, semplice (poco intrigante), che troppo spesso si deve tirare su da terra con sforzo. Di questa materializzazione del desiderio i venti vitali bisogna cercarli, con applicazione, con fortuna anche. Ma quanta fatica nell’applicazione fantastica!

Pascal est un trou... blé-blant”, “Sodome”, p.718. Alla fine del pranzo della principessa che va da p. 632 a 726. Ignobile. Due ore di pranzo dalla duchessa vanno da p. 422 a p. 550.
In “Guermantes” la nobile conversazione è rifatta al gabinetto pubblico. Si vorrebbe allora pensare la “Recherche” una parodia, con intenzioni satiriche. De Maria accosta Proust a Molière: sono i più “satirici”, muoiono a 51 anni, lasciano un’opera immensa. Ma non si può.

Elabora cerimoniali morti – per rivivere i quali molto snobismo certo è necessario. È Ersatz tipicamente piccolo borghese, lo sforzo di resuscitare, per imitazione, vecchie forme di passione, peraltro già spente, di uomini inconsistenti (da aneddoto) e dame irrancidite.

Saturnino – L’io narrante in letteratura è sempre saturnino - elegiaco, malinconico, depressivo. Anche nel comico. Nella tradizione orale invece l’io interviene per vantare, meravigliare, rivelare. L’io fa male alla scrittura?

letterautore@antiit.eu

Secondi pensieri (33)

zeulig

Affetto - È paterno, fraterno, amichevole. Non è filiale, né coniugale. Perché? Forse è mero esercizio benevolo di memorie.

Amore - Come malattia è tesi notevole di Burton, terza parte, di Ferrand, “Malinconia erotica”, nonché di tutto Freud e tutta la psicanalisi, di ogni scuola – eccetto Lacan (che però ci mette Dio, e dunque ne è fuori).

Bugia – La verità essendo una sola, il campo della bugia è immenso. Ma la verità è che la bugia è anch’essa una verità.

Creazione – È l’eternità, l’idea (il senso) della durata ininterrotta. Il tempo continuo, anche quando (“Genesi”) non c’era il sole e non c’erano i giorni
La vita invece è storica, un’eternità storica: la creatura è storica.

È concrezione. Dal nulla non c’è creazione.

Dio - È vanitoso, dice san Paolo (Lettera ai Romani, 9, 20): “La creazione fu sottoposta alla vanità, non di sua volontà, ma a causa di colui che ve la sottopose”.
Vanità è da intendere come corruzione, deperimento? Non sposta.

Esperienza – È il tempo reale – com’è vissuto:il presentecontinuo. Il tempo dell’innamortamento, della creazione, della stessa ananke.

Filosofia - È come una scarpa vecchia: un po’ dura calzandola, poi presto comoda, ma dura poco e non consente di andare lontano. E forse, più che di una scarpa vecchia si avrebbe bisogno di poter andare a piedi nudi.

Si sa che i filosofi più amati sono i migliori scrittori: Eraclito, Platone, Nietzsche, Hegel, a suo modo pure Kant. Attorno a essi i filosofi lavorano con più piacere, per cui essi diventano i pilastri della verità (che cosa ha veramente detto Platone”, etc.). Ma questi filosofi sradicano la verità alla radice, per la bellezza dell’argomentazione. La loro filosofia è poesia. A meno che la filosofia non sia poesia – allora niente più interpretazioni autentiche.
Ma indispettisce molto Nietzsche che il suo Teognide sia detto dalle fonti filosofo e poeta. Può sempre darsi che i Teognidi siano più di uno…

Modernità – È approdata alla postmodernità – al restauro – per la hybris della novità radicale, delle avanguardie estetiche come della filosofia: non siamo in grado di creare dal nulla. Le avanguardie creative sempre recuperano un’intelligenza delle cose.

Natura – Quella di Rousseau è un equilibrio spontaneo fra l’esistente e il desiderio. È uno stato di felicità che si situa fuori della storia. Anzi, è dalla sua rottura che prende origine la storia, e ad essa si alimenta. È il paradiso perduto. Era l’idea del padre gesuita Charles Batteux, che 1746 instaurava le “Belle Arti” legandole alla natura, ai codici della natura, al rispetto della natura. Ma Hegel non molti anni dopo escludeva la natura da ogni nozione del bello, già nell’introduzione alle “Lezioni di estetica”.

È insensibile alla morte, dice Sade. È insensibile. Esi alimenta con la distruzione, dice ancora Sade. Si rigenera morendo.
Quanta parte dell’uomo partecipa della natura?

Storia – È l’osservatore che perturba il tempo? Bene, ma lo organizza, prima, dopo, sincronico, diacronico. E lo attesta – lo realizza, insomma gli dà contenuto.

È – era – narrazione, secondo il pensiero “debole”. Ma com’è possibile “narrare” una simile stupidaggine? E la natura? E le azioni umane, i morti, le guerre, le persecuzioni (l’Inquisizione, il Kgb, l’albergo Lux a Mosca, Stalin, Hitler)? Il passato è una cosa, la tazza rotta non si ricompone, che resiste a ogni forma di narrazione, a ogni esorcismo. Perfino quando è dimenticato – il passato riaffiora sempre.

Stupidità – Esiste, e ha un che di misterioso. Per essere il contrario della ragione, certo. Ma è più che essere irragionevoli.

Tempo – È sempre interrotto, dalla creazione, o dal Big Bang, e dalla resurrezione – l’eternità, l’immortalità. Ha una funzione poco logica.

Un mondo contemporaneo di Dio sarebbe più logico. E abolirebbe un’incognita, il tempo. Ma cancellerebbe Dio. A meno di non ridurlo al tempo, un metronomo.

È la linfa della narrazione: eventi, suspense, catarsi. Che è a sua volta, mescolando l’accaduto con l’ignoto, la fenice della storia, cioè della memoria, dell’uomo – è l’esistente. Ma non ci sono esseri non esistenti: anche l’eternità è tempo.
Dev’essere il grande problema di Dio, che ha deciso di creare “a un certo punto” (e fino a quando?)

Non c’è (non si concepisce) senza l’eternità, un prima e un dopo in qualche modo più esistenti – “Il tempo stesso,soltanto il tempo, è immortale” (Jeanne Hersch). I giorni sono il periodare del sole, i mesi e le stagioni del sistema solare.

zeulig@antiit.eu

domenica 15 novembre 2009

Ombre - 34

Chiaberge ricorda sul “Sole” di quando nel 1978, sbarcato alla Rizzoli, dovette smentire di essere “amico” di Tobagi di fronte a un membro del Comitato di redazione che lo interpellava con la stella rossa sul berretto alla Lenin. Di quando, un anno dopo, richiesto al telefono da Tobagi mentre era in riunione in redazione, si rifiutò. E di quanto, un anno dopo, seppe dell’assassinio di Tobagi, a opera di “enfants gatés della buona borghesia milanese”. Non tutti perseguiti, avrebbe potuto aggiungere, a opera dello zelante procuratore Spataro. Ma non è questo il punto: il punto è che, oggi come allora, di quel terrificante clima di odio e intimidazione si può scrivere solo in punta di penna e facendosene una colpa - come un po’ fa Benedetta Tobagi, che così “riporta l’armonia” in città, nel passo che ha deciso la linea del libro e l’editore più fa citare: “A quel tempo la politica era una cosa terribilmente seria, le etichette e le logiche di appartenenza prevalevano spesso sulla sostanza delle persone” (“spesso” sta per i gruppi che non si possono nominare).

Sono alcuni anni ormai che il rugby è un gran divertimento in Italia. Che per questo è stata ammessa nella lega europea dei cinque, ora sei, grandi. Volentieri le grandi nazionali, del Sud Africa, della Nuova Zelanda, del Sei Nazioni europeo, vengono a godersi una settimana in Italia, a mangiare e bere e a divertirsi, divertendo un pubblico sempre entusiasta. Lo stadio Flaminio, che ha avuto nuova vita col rugby, ma contiene quarantamila spettatori, è subissato a ogni match da richieste quattro volte superiori. Ma il Flaminio si trova a Roma. Ora che gli All Blacks neozelandesi sono stati dirottati su San Siro, il rugby diventa un avvenimento e anzi una realtà in Italia. Paginate sui giornali, speciali in tv, perfino il “Sole 24 Ore” ci fa la prima pagina. O Milano o niente?

Non c’è un europeo in primo piano nelle celebrazioni a Berlino della caduta del Muro. Ci sono Walesa, gli Usa, la Russia, con Gorbaciov e perfino Medvedev, ma non una figura inglese, o francese. Ci sono Brown e Sarkozy, ma a rappresentare le potenze allora occupanti. Non c’è l’Europa nella caduta del Muro: c’è l’America, c’è anche la Russia, e la Polonia, l’Ungheria, la Cecoslovacchia.
Anzi no, due giorni dopo è la Germania che rende omaggio alla Francia: Merkel va da Sarkozy. Per l’ennesima celebrazione della vittoria, francese.

Giancarlo Caselli si querela per calunnia aggravata contro il figlio del magistrato Coco, la prima vittima delle Brigate Rosse. Il quale lamenta di non avere mai potuto sapere chi ha ucciso suo padre. L’ex Procuratore Caselli, che ha istruito il processo, può darsi che abbia ragione, avrà fatto quanto doveva e poteva. Ma è vero che ci fu un tempo in cui non si andava a fondo contro le Br, singoli magistrati e settori non marginali della magistratura.

L’Inter nel 2006 ha avuto un prestito di 120 milioni su pegno di una società valutata 40 milioni – non scorporabile peraltro, non vale nulla fuori dell’Inter. Al Sud, scrive il “Corriere Economia” lunedì, “sono richieste garanzie reali fino a venticinque volte il prestito”.

Entro un anno, dice Passera di Banca Intesa, ci saranno 250 mila aziende in meno. Ma la crisi è superata. Per le banche?
Passera può non essere un ipocrita. Ma chi ne riferisce?

A sette mesi data si scopre, Bruno Vespa obbliga a scoprirlo col suo ultimo libro-vangelo, che i potenti trombano. Magari poco ma sempre male. E che questo non è peccato. Non nelle altre patrie, per esempio in Francia con le molteplici famiglie che Mitterrand manteneva a spese dello Stato (o in Spagna per le scappatelle notturne del re). Ma sì per le patrie altrui: per esempio in Francia o in Spagna quando tromba – purtroppo poco – qualche italiano.
Ma non è un caso di orgoglio nazionale offeso. È l’ennesimo caso di destra-sinistra, l’odio incolmabile: l’onore è offeso perché scoperto a scopare è ora uno di sinistra.
Però: questo – quello di Marrazzo – è l’unico posto in cui il destra-sinistra italiano ormai sta opportunamente di casa.

“Sky Guida ai programmi” di novembre svela il mistero dell’amore improvviso tra Clooney e Elisabetta Canalis: “La ragazza che ha stregato il mondo con la sua bellezza è tra i protagonisti del nuovo speciale di Sky Uno”. Ci fregano anche in questo – Clooney almeno si sarà fatto pagare?

L'anoressia politica, o del design

Titolo di battaglia, per una collana della fondazione FareFuturo, di Gianfranco Fini: il “mito” è della sinistra, che ancora vi si attarda? L’argomento è d’altra parte solido: il mondo è di Versace più che di Marx, di Internet più che di Obama, di Murdoch e non del governo della Repubblica popolare cinese. La metodologia baconiana e ineccepibile: “Non è il mondo che deve essere ristretto finché non si adatti alla comprensione…, ma è la comprensione che dev’essere allargata finché possa accogliere il mondo”.
Una democrazia concepita da Rousseau due secoli e mezzo fa, argomenta piano Acquaviva, per una città di trentamila abitanti, Ginevra, è democratica in una di trenta milioni di abitanti, forse, non si sa, una città cioè informe, tipo Città del Messico? Lo stesso con i trattati sui trattati: il più celebre trattato su destra e sinistra, quello riedito di Bobbio, dialoga con Rousseau, Marx, Stirner, Acquaviva rileva fatti e eventi. Si vaticina la fine dello Stato nazione, rileva Acquaviva, ma forse è vero in Europa, sicuramente non negli Usa, in Cina, in Russia, in Brasile, in India. Lui stesso si fa tentare dal Quinto Stato e la postdemocrazia, ma si ferma in tempo: non è ancora tempo, e forse non c’è materia.
Acquaviva, di derivazione socialista, affina precedenti ricerche della sinistra europea, specie quella di Alain Touraine, e sue. Un allegro anarchismo agita il mondo, un pulviscolo di forze. Che l’Occidente è ancora, malgrado tutto, più attrezzato a capire, e quindi a cavalcare - gli Usa certo, non l’Europa. Ma che esulano dalla politica, o la dilatano in forme incontrollabili, insignificanti anche. Alberoni dice nell’introduzione che finirà male: ogni sviluppo anarchico porta a un tale disordine da generare automaticamente nuove più ferree istituzioni. Acquaviva, a fine lavoro, ha bisogno di una “Premessa alla premessa” per dire, per dirsi, che, non volendo, ha delineato nella sua ricerca un nuovo potere politico, o un modo nuovo di essere della politica.
Il libro è disorganico, anche rapsodico. Talvolta scopre l’acqua calda: la rilevanza politica della promiscuità sessuale, del rock, delle amicizie. O la moda: se è un mistero lo è solo per gli studiosi che la minigonna di Mary Quant e il no bra fecero una rivoluzione quarant’anni fa. O vent’anni fa il panino invece delle tre portate a pranzo, un’insalata, una macedonia. In particolare, Acquaviva tiene al design, di cui fa la mente organizzatrice, non solo l’ingegneria applicata, del mondo. Ma lui è uno che ci prende: la crisi operaia nel 1994, l’eclisse del sacro nel 1992. Cosa propone dunque di nuovo? Che “l’intelletto diventa la forma dominante della forza lavoro”, il che è pure visibile, nella espansione dei servizi. E che altre forze, e non la politica, stanno costruendo il mondo. Un fenomeno che sintetizza nello splendido concetto di “anoressia politica”: i giovani crescono senza politica, senza mobilitazione né impegno, e ringraziare se ancora vanno a votare – che è in realtà una forma politica nuova, almeno per l’Italia, la politica come delega, Acquaviva avrebbe potuto fare di più, ma è un sociologo e non uno scienziato politico.
Il curioso, alla fine, è che se ne faccia ancora scandalo. Sempre il mondo è andato avanti per processi strutturali, per dirla alla Marx, la politica si adegua: la politica segue la modernizzazione, in nessun caso della storia la detta. La storia dice che i barbari vennero a Roma e si civilizzarono. Forse vennero per civilizzarsi, ma è più probabile di no. E la modernizzazione è incessante. È il caso dei giornali illustrati nelle case arabe e di Al Jazeera: in fondo è solo negli anni Settanta che la casa regnante saudita, la parte più illuminata, discuteva se creare o non una televisione, anche solo per leggere il Corano, e se mandare le bambine a scuola (si partì con un compromesso: i maestri erano ciechi). O della non ridicola questione dei compensi dei manager che prevarica la crisi e la disoccupazione di massa: se la retribuzione è come dice Acquaviva, che quella dei primi cento direttori generali in Usa è passata in trent’anni da 39 a 1.000 volte il salario medio, la modifica non è quantitativa, è un mutamento politico. Che cosa cambia allora: l’illusione di modificare il mondo con la politica, che ha fatto una certa sinistra.
Fra destra e sinistra peraltro, volendo restare ai vecchi concetti, è vero quello che la destra sostiene, Tremonti, Sacconi, Ferrara, Brunetta, lo stesso Berlusconi, che la sinistra è a destra, dalla parte dei più deboli. Mentre la sinistra sta con chi ha il posto fisso, e con chi si ritiene migliore degli altri, un elitismo in ritardo. E tipicamente fa affidamento sull’opinione pubblica, che molte ricerche ultimamente, non solo Acquaviva, dicono “gigantesche scuole di conformismo”.
Per come vanno le cose in Italia una sola riga sarebbe bastata: che sinistra è, e che destra, tra giulivi “comunisti” perdenti e torvi “berluscones” trionfanti? Ma già Bobbio in realtà era perplesso, che si poneva, con la sua sottile ironia, domande decisive: “Tv di destra e piazze di sinistra? “Se essere di sinistra significa mettersi dalla parte del più debole, nel rapporto fra la madre e il nascituro chi è il più debole?”
Sabino Acquaviva, La fine di un mito. Destra e sinistra e nuova civiltà, Marsilio, pp. 157, €10