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sabato 11 marzo 2023

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (518)

Giuseppe Leuzzi

“In Germania soffia il vento dello scisma”, avverte Filippo Di Giacomo sul “Venerdì di Repubblica”, l’ennesimo: “È probabile che la potente Chiesa tedesca”, chiesa cattolica, “inizierà a praticare su di sé quella sorta di eutanasia che ha cancellato il cattolicesimo (e il cristianesimo) da Olanda, Belgio, Svizzera, Lussemburgo e altre terre cattoliche del Nord Europa”. C’è una frattura Nord-Sud, perlomeno in Europa, anche in materia di fede: la chiesa cattolica sta a Roma e in fondo Gesù è un ebreo. Altre ragioni, teologiche o canoniche, per lo scisma non se ne vedono.


“Nelle prime due settimane eravamo tutti al buio”, dice l’infettivologo Bassetti, e con lui un po’ tutti gli specialisti di malattie infettive, sui primi casi di covid in Lombardia. Non è vero. Non si sapeva cos’era, esattamente, ma sì che era molto infettivo e pericoloso. Il 12 febbraio l’epidemiologo Merler, della fondazione Bruno Kessler di Trento, aveva calcolato matematicamente fino a 100 mila morti senza una chiusura immediata – i morti sono stati più di 100 mila. C’erano già stati i primi casi, una coppia di cinesi a Roma, e alcuni italiani di ritorno dalla Cina posti in quarantena nelle caserme della Cecchignola a Roma. Il 21 febbraio i primi decessi in Veneto e in Lombardia. Senza che si prendessero misure drastiche. E il dubbio ritorna di cosa sarebbe successo – con quanta decisione si sarebbe agito – se i primi casi si fossero manifestati a Napoli.


Spatuzza santo subito
Si celebra la libertà per Spatuzza, il killer di mafia di molte decine di persone, e di alcune stragi, un “pentito”, o “collaboratore di giustizia”, specialmente apprezzato dai giudici di Palermo perché ha consentito la condanna di Dell’Utri – non gli è riuscito con Berlusconi, ma ci ha provato in più modi. Esce circondato dalla fama di teologo. Benedetto anche da Franco Puglisi, un fratello di don Pino Puglisi, il parroco di San Gaetano al quartiere Brancaccio di Palermo, che Spatuzza uccise nel settembre 1993, in uno dei suoi ultimi, meno motivati e più efferati, delitti. Sarà catturato nel 1997. Non prima di avere organizzato le stragi di Firenze e Milano e l’attentato di Roma al Velabro – nonché, l’anno prima dell’assassinio di don Puglisi, della strage di via D’Amelio, contro il giudice Borsellino e la scorta. Si è “pentito” undici anni dopo l’arresto. 
In effetti, non è un evento da niente: il pentimento, le accuse e la telogia segnano un’epoca. Che però va ricordata nei suoi veri aspetti, che i media sembrano avere dimenticato. Questo sito ha avuto occasione di occuparsene più volte. Non servono aggiornamenti, basta una prima analisi, in forma di recensione della sociologa Alessandra Dino, dei suoi colloqui con Spatuzza in carcere:
http://www.antiit.com/2016/09/spatuzza-santo-subito-dei-killer.html


Spatuzza non ha niente da dire che non abbia detto. E sempre si lamenta povero e abbandonato – come tutti, primo Ottocento (già Dickens ne sa di più).
Non si capisce la ratio di questo libro. Non è nemmeno il solito sermone anti-Berlusconi, di quelli che si scrivono, si scrivevano, per uscire su “la Repubblica” o “l’Espresso” – il rito degli autori della “resistenza”. Berlusconi viene abbondante quarto nelle citazioni – dal suo nome Spatuzza non si aspetta più nulla? Qui si parla soprattutto dei tre Graviano, i padri-padroni del killer. Del quale non c’è una piega di condanna, solo comprensione – “misericordia”?
Ben nove incontri tra la studiosa e il killer. Dino dice che sono avvenuti nel mezzo di un periodo “di grande sofferenza”, poteva almeno risparmiarsi Spatuzza. E le venerabili edizioni del Mulino? Dov’è finita la sociologia?
 “Un racconto di vita una storia di stragi” è il sottotitolo. Di stragi, s’intuisce naturalmente, a opera dello Stato, con o senza Berlusconi, di vita invece di Spatuzza. E di vita del centinaio di persone da lui uccise, molte delle quali non erano nemmeno mafiose? Una testimonianza “pulsante”, dice la studiosa. Di che?
Di Spatuzza, il centokiller, valga quello che si scriveva su questo sito il 7 dicembre 2009:
http://www.antiit.com/2009/12/sud-del-sud-il-sud-visto-da-sotto-49.html
“Il corteo palermitano a Torino in onore di Spatuzza è una coppa del mondo data vinta alla mafia, alla mafia mafiosa degli Spatuzza e dei Graviano, i killer e i boss. Un mago del marketing mafioso non avrebbe saputo inventare di meglio. E tutto gratis, a spese dello Stato, cioè degli onesti. La Corte d’Assise d’Appello, completa di giuria, che viaggia da Palermo a Torino per ascoltare il gran pentito Spatuzza, alla presenza di duecento giornalisti, che c’entra con la mafia? Che c’entra con il Sud? È una guerra tra De Benedetti e Berlusconi, tra Bazoli e Berlusconi, cui i giudici si prestano proni per loro particolari ragioni, e anzi in contrasto con i loro doveri istituzionali. Una scaramuccia in realtà, lupo non mangia lupo: non ci libereremo di Berlusconi, il padrone dei nostri voti, né di De Benedetti o Bazoli, i padroni della nostra opinione e dei nostri soldi.
“Spatuzza è un killer brutto quanto spietato, l’emblema anche fisico della stupidità assassina. Lo proteggono venti agenti addetti alla sua protezione personale, venticinque agenti in vario modo incaricati del trasporto, e settanta tra poliziotti e carabinieri addetti alla sorveglianza…
Uno che denunciasse un sopruso di mafia, un danneggiamento, un’estorsione, Libero Grassi per esempio, non avrebbe, non ha mai avuto, neanche un millesimo di questa sollecitudine. Bisogna arguirne che lo Stato è mafioso? No.
“Il pentito Spatuzza è un caso abnorme. Uno che da tempo studia teologia in carcere, ma “si ricorda” dopo quindici anni. E dopo che da ben sette anni i suoi (ex?) capi mafiosi gli chiedono di ricordare. Capi in isolamento, che però lo possono incontrare nel supercarcere di Tolmezzo, per distesi dialoghi – Spatuzza è uno che è lento a capire.
“Ma più del colloquio boss-killer a Tolmezzo, è mafiosissimo il colloquio tra Procuratore e boss, il giudice Alessandro Crini e uno dei fratelli Graviano, Filippo, a proposito del convitato di pietra Berlusconi, qui riportato nella redazione del “Corriere della sera” del 29 novembre: http://www.corriere.it/cronache/09_novembre_29/pm-domande-spatuzza-berlusconi-bianconi_c286a9a4-dcbf-11de-8223-00144f02aabc.shtml
Procuratore: «Con lei si parla bene, un italiano consapevole, queste cose le capisce al volo... Noi pensiamo che Spatuzza abbia capito bene, e pensiamo che lei si sia difeso molto bene, con un’interpretazione molto saggia, che però secondo noi non è quella giusta».
Graviano risponde che lui non dice bugie; semmai non dice. E ribadisce di «non avere cognizione, né diretta né indiretta, di questi impegni, accordi, o come si possono chiamare; ma quella risposta articolata che vi ho dato è per aprirvi un sentiero, diciamo... ».
“Pier Luigi Vigna è il giudice fiorentino che è stato a capo della Procura nazionale antimafia. Al “Corriere della sera” del 29 novembre ricorda di avere incontrato un paio di volte Spatuzza, “nel 1999 o nel 2000”. Lo ricorda “intenso”, e “assai tormentato”. Un killer di mafia, autore di almeno cento assassinii. Sotto l’incubo del 41 bis. E uno dice: chi ci protegge? Non dai mafiosi.
“Spatuzza in carcere diventa teologo. Un killer volpino (il tipo qui lo dico, qui lo nego) nella foto dell’arresto. Il suo boss Graviano diventa economista. Tutti con buoni voti. Bene assistiti dai tutor. È il carcere una buona università, o viceversa?
“La storia dei pentiti è tutta disonorevole. Il pentito negli Usa si deve pentire “tutto insieme”: deve dire tutto quello che sa, dopo essersi preparato, a tutti gli inquirenti che possano essere interessati alle sue confessioni, magistrati o poliziotti. Non all’orecchio di questo o quell’inquirente, magari suo sodale. Non a rate. Il nemico, seppure retribuito, in America è sempre un criminale. Roba da sbirri, che sempre hanno avuto da fare con confidenti e mezzani. Solo nella giustizia italiana diventano martiri, per sbugiardare la giustizia.
“Buscetta, a parlarci, era un evidente bugiardo. E tuttavia scrittori molto apprezzati e molto pieni della propria onestà, Biagi, Bocca, i sicilianisti, ne hanno fatto un monumento: di correttezza, onestà, coraggio. Un criminale che ha vissuto magnificamente metà della sua vita, protetto come un capo di Stato e con lauti rimborsi spese. Era pronto anche a chiamare in causa Andreotti, dopo avere negato questo favore a Falcone, quando i nuovi procuratori ebbero bisogno della sua collaborazione”.
Alessandra Dino,
A colloquio con Gaspare Spatuzza, Il Mulino, pp. 312 € 20


La magistratura imprenditrice
Quarant’anni fa, nel 1983, Arlacchi scoprì la “mafia imprenditrice”. In chiave weberiana, sottotitolo “L’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo”, ma sulla scia delle indagini del Procuratore (allora) di Palmi Cordova, che se fosse vissuto sarebbe sicuramente stato il ministro della Giustizia del governo Meloni, il “suo” governo. E sulla strada contemporaneamente aperta a Palermo da Falcone, col mega processo. 
Barbano nel 2023 scopre la “magistratura imprenditrice”? Con eguale successo è da dubitare – tutti vogliamo i giudici dalla nostra parte. Ma i presupposti non gli difettano: le “mille e una” confische di beni mafiosi o presunti tali. Senza un giudizio. Con affidamento diretto a curatori giudiziari, molto ben remunerati, di propria fiducia. Di fiducia dei giudici. Senza dover rendere conto a niente e nessuno. Nemmeno alle regole basiche della buona gestione, del “buon padre di famiglia” – 9,8 beni su dieci confiscati vengono liquidati, messi in liquidazione.
Una procedura ormai, la confisca, del tutto irrituale, non codificata, discrezionale dell’autorità amministrativa (di polizia). Per modalità che Barbano ben precisa. “La prima garanzia”, procedurale, legale, “a cadere è stata l’indizio della illiceità della ricchezza, cioè la sperequazione tra il valore dei beni posseduti e i redditi dichiarati”: non è più necessario che sia “notevole”, come la legge La Torra precisava - “nel 1993, dopo le stragi di mafia, una riforma abroga l’aggettivo”. 
“La seconda garanzia abrogata è quella che subordinava la confisca a un giudizio di pericolosità qualificata della persona, cioè riferibile all’appartenenza alla mafia, e all’applicazione preventiva di una misura di prevenzione personale”, del carcere: “Dal 2008 la confisca diventa indipendente da questi due paletti”. 
Senza notare che molte confische, decise in via amministrativa, in via giudiziaria poi vengono abrogate, e i beni restituiti. Magari distrutti. Come il Café de Paris a Via Veneto, col ristorante cinque stelle George’s e il gigantesco caffè California in via Bissolati, che faceva il pasto di mezzogiorno per gli impiegati delle linee aeree, centinaia di coperti - con altri 100 beni, immobili e mobili - a Vincenzo Alvaro, degli Alvaro di Sinopoli, che fanno le cronache da una settantina d’anni ormai. Magari vengono restituiti a una famiglia sicuramente mafiosa. O, viceversa, si procede contro incensurati, fino agli eredi, figli, nipoti, che verranno poi, se giudicati, anche dopo decenni, riconosciuti innocenti. Sequestri e confische si possono fare a volontà. 
Ora, tutto si può fare, giustificato. Ma non se è un business. Fine a se stesso. Gli arresti e le confische sono talmente numerose che uno si chiede: è possibile? Per poi scoprire che non bastano mai: più arresti (la retate mattutine sono passate dalla trentina al centinaio) e più confische, e la malvivenza c’è sempre.  
In “Fuori l’Italia dal Sud”, 1992, deprecavamo i sequestri di beni non assortiti da confische – i sequestri che poi finivano in restituzione. Poi le confische sono state generalizzate, e anzi decise in via preventiva, come “misure di prevenzione”, prima ancora di un giudizio di colpevolezza. Senza giusto mezzo. Creando anzi l’effetto opposto, di impoverire gente onesta, e imprenditrice, e di arricchire impropriamente la Funzione Pubblica. Una presunta Funzione Pubblica a carattere molto privatistico, e anzi di amicizia - naturalmente non mafiosa.  
P.S. – Su una cosa Barbano ha certamente ragione – la polemica qui gli viene facile: che il sequestro preventivo generi ricchezza. Il capitolo “La legge che tutti ci invidiano ma nessuno adotta” apre citando la ministra della Giustizia Cartabia alla commissione parlamentare Antimafia il 10 giugno 2021: “La gestione dei beni tolti ai criminali è considerata da tutti un patrimonio e un pilastro fondamentale, sia per la sua capacità effettiva di generare ricchezza, sia per il suo valore simbolico”. Sul primo punto, la generazione di ricchezza, comunicando simultaneamente che 94 aziende sequestrate o confiscate su 100 erano morte.


Sicilia
“È stata una persona speciale”, dice l’artista napoletana Isabella Ducrot del marito Vicky Ducrot, da cui ha preso il nome: “Proveniva da un’importante e ricca famiglia palermitana”. E poi ha un lampo di memoria, dice all’intervistatore: “Pensa che allora credevo che Palermo fosse una succursale di Napoli”, allora ai suoi trent’anni. Oggi novantenne, Isabella Ducrot lo credeva sessant’anni fa, negli anni 1960. A Milano ne avranno saputo di più.

Fu posta in stato d’assedio, l’ennesimo, il gennaio 1894, al comando di un piemontese, il generale Fossa di Lavriano, con 92 morti (almeno novantadue, nei conti di Napoleone Colajanni, il governo non li contò nemmeno), contro i Fasci dei lavoratori, le prime organizzazioni sindacali, da un siciliano, Crispi. Un mazziniano garibaldino, erede della Sinistra in Parlamento. Antesignano del fascismo, Mussolini nel 1922 pretenderà - come Sergio Romano nota nella sua biografia: per il filogermanesimo, la francofobia, e le “sentenze”, sul battesimo di sangue, l’inciviltà degli slavi, la barbarie degli abissini, la missione civilizzatrice dell’Italia. La Sicilia fa cattiva politica?

È anche vero che i 92 morti contati da Colajanni erano di prima dello stato d’assedio. Opera della “normale” azione di contrasto  della sicurezza pubblica nell’isola, rinforzata dai bersaglieri – quante ne hanno fatte i bersaglieri al Sud. 

Non ama i suoi “parrini”, pur vivendo tra parrocchie, vescovadi e feste patronali. Nella lunga composizione di storie paesane, di storie del notabilato, che poi – dopo esitazioni e proposte varie lunghe un anno – prenderà il titolo “Le parrocchie di Regalpetra”, Sciascia trascura “i preti”, come con linguaggio laico gli obietta in ultimo Donato Barbone, per conto della redazione Laterza. Sciascia rimedierà all’obiezione, Nino Caffè disegnerà una copertina di preti, e il titolo sarà infine trovato.


Solo Tomasi di Lampedusa non omette “i preti”. Ma non in veste per qualche verso simpatica, neanche lui.
Ma dei “preti” Tomasi fa come di tutto e di tutti. L’autore del “Gattopardo” è il Rutilio Namaziano della Sicilia, il “cantore malinconico della decadenza”, direbbe lo storico della decadenza Santo Mazzarino – catanese.

Mantiene una immagine, aristocratica, notabilare, non più attuale da decenni. Se non da poco meno di un secolo, dalla guerra, dalla caduta del fascismo. Basta vedere la sua classe politica. Non solo Sciascia e Tomasi nel 1955, e qualche romanziera francese di quegli anni, ancora Camilleri e Agnello Hornby, e il fortunatissimo “I leoni di Sicilia”, vi si appoggiano. Per una letteratura, tutto sommato, del rimpianto, nostalgica.

Ne fanno a meno i catanesi, vigorosi realisti, Capuana, Verga e De Roberto, e fino a Brancati.  Come se Catania fosse stata una repubblica, pianamente borghese.

“Erede di Verga, Capuana e De Roberto, Rosso di san Secondo ha offerto della Sicilia un’immagine che travalica la dimensione provinciale, come Pirandello, ha proiettato in questo ambiente la tragedia universale del vivere degli umani….”. Ne fa la rivalutazione Antonella D’Amelia (“La Russia oltreconfine”, pp. 229-338), romana, russista, che fu allieva di Ripellino, altro siciliano dimenticato. 

leuzzi@antiit.eu

Se la moglie del sindaco vuole i baffi

Al sindaco settantenne che vuole candidarsi per un terzo mandato la moglie sessantenne, madre di tre figli, annuncia che è “in transizione”, che ha sempre voluto essere un uomo. Un aneddoto boccaccesco svolto con la tecnica del classico vaudeville della teatralità francese, trasporto al cinema, in gag in serie, serrate. Dallo specialista Séguéla – stirpe di pubblicitari di fama, attenti ai linguaggi correnti.
Una commedia molto realistica, piena di persone e personaggi anche brutti e bruttissimi, come avviene d’incontrare dal vivo, e di situazioni normali balorde, in una cittadina del Nord della Francia – il Sud dell “narrazione” italiana. Una satira alla fine radicale del mondo della “transizione”, sempre con bonomia: i linguaggi, le attitudini, e le dosi massicce di testosterone per farsi crescere i peli.
Tristan Séguéla, Un uomo felice

venerdì 10 marzo 2023

L'auto elettrica meglio suv, meglio in America

In attesa che la Ue decida se finanziare la produzione di batterie e semiconduttori, per l’auto elettrica e le altre ingegnerie dell’economia di transizione ecologica, le case tedesche investomno negli Stati Uniti. Investono nella produzione di suv e pick-up elettrici. Che sono il tipo di auto che meglio si vende negli States: nel 2022 le vendite di suv elettrici hanno superato quelle delle berline elettriche normali). E in più hanno accesso ai crediti fiscali e ai contributi a fondo eprpduto della legge Biden per la transizione ecologica, Inflation Reduction.
Volkswagen-Audi e Bmw hanno in corso investimenti rispettivamente da 2 e da 1,7 miliardi di dollari per la produzione di suv elettrici negli Stati Uniti, in attesa di decidere se spostarvi anche la produzione di batterie, e quindi le fabbriche principali. Volkswagen, che trasforma l’impianto di Chattanooga, nel Tennessee (uno Stato che favorisce gli investimenti, fiscalmente e con contributi a fondo perduto) per la produzione di 90 mila suv elettrici l’anno, ha avviato un investimento di 2 miliardi di dollari per il rilancio di Scout Motors, marchio di veicoli fuoristrada elettrici, suv e pick-up, col quale intende fare concorrenza a Ford e Jeep-Stellantis, per uno stabilimento apposito nella Carolina del Sud (altro Stato che favorisce gli investimenti). Lo stesso fa Bmw, nello stesso stato, con un investimento da 1,7 miliardi di dollari.

Morire di sessualità

Un film semplice, lineare, pudico, che infine lascia come un pugno nello stomaco. Perché gli adolescenti sono infelici? L’adolescenza è un’età felice, ma fragile. Specie in un mondo che non è altrettanto spensierato, e non è fragile. Tra complessi e pregiudizi. Da qualche anno in forma di “diritti”, non compresi, non a fondo.
Un film delicato, in ogni apsetto del racconto, e tuttavia politico, quasi un manifesto. Qui non c’entra il dark web a turbare l’equilibrio delle personcine, c’entra il modo di essere: una presunta, perfino eccessiva, sensibilità che invece è insensibilità, all’età prima che ai sentimenti altrui. Infiltrata, e forse radicata, nelle società, nel linguaggio, nelle attitudini, e non – per una volta - nelle istituzioni. Non nelle famiglie, per esempio, non nella scuola, solitamente rappresentate come discariche di vituperi, che qui sono invece attente, sensibili.
Il racconto di due adolescenti felici all’improvviso infelici, non per colpa, alla fine suscita la domanda se caricarli di troppi “diritti”, in materia di sessualità, non sia una violenza piuttosto che una liberazione. Una semina fredda, forsennata, di insicurezze e complessi. Contro le intenzioni, probabilmente, di Dhort, si finisce per porsi, se non per adottarla, la critica dei Repubblicani in America, che non vogliono gli adolescenti vittime dei discorsi sulla sessualità.
Lukas Dhont, Close, Sky Cinema

giovedì 9 marzo 2023

Il futuro dell’Europa si fa in America

La “transizione verde” europea - gli investimenti previsti per il passaggio alla mobilità elettrica entro una dozzina d’anni – si farà in America? Tutto lo lascia supporre. I 369 miliardi di dollari di aiuti alle imprese americane dell’Inflation Reduction Act, varato da Biden a Ferragosto, alle imprese che operano in America, sono una calamita irresistibile.
Quella di Biden è una legge protezionistica, sotto il titolo incontestabile, ma la risposta europea, prevista per metà marzo, il Net Zero Industry Act, si preannuncia debole. Molti investimenti sono già sospesi in Europa, e in via di emigrazione negli Stati Uniti.  
Volkswagen ha sospeso il progetto d’impianto per fabbricare le batterie elettriche previsto in Europa dell’Est, con l’intenzione annunciata di spostarlo negli Stati Uniti. Dove lo stesso progetto beneficerebbe di 9-10 miliardi di dollari, in sussidi, credito a condizioni di favore, e benefici fiscali. Praticamente il costo dell’impianto. Con Volkswagen si muoveranno Audi, che fa parte del gruppo, e Bmw.
Con i gruppi Vw e Bmw, anche l’americana Tesla studia di abbandonare la Germania, la gigafactory che aveva in progetto a Berlino per la produzione di celle. L’associazione europea Transport&Environment prevede già che due terzi della capacità produttiva di celle per batterie elettriche di cui l’Europa avrà bisogno verranno ora prodotti in America.
Difficile sapere quanto gli annunci di Volkswagen, Bmw, Tesla siano una forma di pressione sulle decisioni che Bruxelles dovrà prendere a metà mese. Ma molti sono i progetti europei già accantonati o sospesi, dopo la legge di Biden. La svedese Northvolt, pur senza il clamore mediatico di Volkswagen, ha sospeso un progetto di fabbrica di celle in Germania perché avrebbe titolo a “ricevere più di 8 miliardi di dollari in sussidi” per lo stesso impianto negli Stati Uniti. La slovacca InoBat ha sospeso gli accordi già siglati per megaimpianti in Serbia e in Spagna.
In totale sono 50 i progetti europei per la produzione di celle per batterie elettriche automobilistiche che ora sono in fase di stallo, secondo Transport&Environment. Per una capacità di 1,2 milioni di terawattore, una potenza in grado di muovere 18 milioni di macchine elettriche.
In stallo sono anche i progetti europei di semiconduttori. Il più grande dei quali, dell’americana Intel, aveva l’Italia al primo posto per la localizzazione. Un’altra legge ferragostana di Biden, meno chiacchierata dell’Ira ma non meno sostanziosa, il Chips and Sciences Act, è dotata di 200 miliardi di dollari, per incentivi e contributi.   

Calvino scrittore classicista

I mondi di Italo Calvino sono pre-moderni, non postmoderni – “Malgrado la reputazione di Calvino come un postmoderno”, recita il catenaccio, “la sua immaginazione era più in accordo con i modi letterari pre-moderni”.
Emre non è così apodittica come la sintesi editoriale, ma fa una rilettura sorprendente di Calvino, “uno scrittore di storie dentro le storie”. Del Calvino fantastico. Della iniziale trilogia – “racconti di dualità, ambientati in mondi divisi dalle forze del rituale e dell’anarchia”. E dei tardi romanzi, “Le città invisibili”, “Se una note d’inverno un viaggiatore”, “Il castello dei destini incrociati”, “Palomar” e le “cosmicomiche”.
La giovane studiosa americana di origine turca, ora a Oxford (già specialista di “Elena Ferrante”….) fa una lettura appassionata delle opere fantasy di Calvino. Ricollegandole testualmente e criticamente alla passione nota dello scrittore per Ariosto, Boccaccio, Cervantes.
Merve Emre, Marvellous Things. The worlds of Italo Calvino, “The New Yorker”, 6 maggio 2023, free online

mercoledì 8 marzo 2023

Problemi di base fascisti - 738

spock


Hitler non è morto, Mussolini neanche?
 
Perché tanti si dichiarano oggi fascisti, che prima si negavano?
 
Il fascismo non c’è, e per questo ci piacciono i fascisti?
 
Mussolini mascelluto come la geometrica potenza delle Brigate Rosse?
 
È la violenza che affascina o la propria inconsistenza?
 
È reato l’apologia di fascismo, non essere fascisti?
 
Ma, dirsi fascisti a Gerusalemme?

spock@antiit.eu

L’immigrazione, prova dell’indigenza europea

L’emozione per il naufragio di Cutro porterà – forse – a un principio di ravvedimento in Europa. Dopo vent’anni di naufragi, e decine di migliaia di morti - 26 mila morti in dieci anni nel Mediterraneo, calcola il Missing Migrant Project (che però è attivo dal 2014, mentre i naufragi sono cominciati prima). Per una sconsiderata non-politica dell’immigrazione, o immigrazione selvaggia, da bestie da indirizzare alla soma. La presidente von der Leyen sembra voler infine abbandonare la trascuratezza di Angela Merkel, che per troppi anni ha fatto l’Europa.
A contrasto, fa senso la superficialità dei media italianai. Che oggi svetta sul “Corriere della sera” nel commento di primaria firma che anche gli italiani emigrarono, oltralpe e oltreoceano, come oggi gli africani e gli asiatici in Europa. Mentre è questo passato che fa la differenza con l’immigrazione odierna, che è da sfruttamento, da tratta. A opera delle mafie di contrabbandieri di uomini, e dei governi europei.
Gli italiani emigrarono per accordi internazionali in Europa, e oltreoceano con visita medica, visto, e biglietto. Ed emigravano per lavorare. Non per prostituirsi, spacciare, vendere merce falsificata, o elemosinare, attività cui viene spinta molta immigrazione. Nell’indifferenza dei governi europei. Con imprenditori che hanno bisogno di lavoratori veri ma non contano nulla.
L’Europa non sa nemmeno immaginare di organizzare l’immigrazione, che pure sarebbe burocrazia facile. Mentre i trafficanti di manodopera per l’economia del malaffare hanno campo libero. A carico, due casi su tre, delle istituzioni e dei fondi, nazionali ed europei, per la prima accoglienza. Che può durare anni, e comprende l’assistenza legale, per farla durare decenni.
 

Giallo morto - l'ultimo di Costanzo

Tutto è noto, in una colonia di scrittori, sul mare, dove tutti lasciano la porta aperta, ma soffocante, con da giallo a porte chiuse. Duecento fitte pagine su chi è o potrebbe essere chi, e di alibi per l’ora del delitto. Che è tutto alla prima riga: “Il cadavere senza mani giaceva in fondo alla chiglia di una piccola lancia a vela”.
La ragnatela dei personaggi e la geografia dei luoghi è così insistita, e complicata, che è inutile fare supposizioni, sulla dinamica del delitto, sulle motivazioni, sui colpevoli – bisogna solo “saltare”. Alla fine, la spiegazione del giallo, “alla Poirot”, qui in foma di confessione, prende almeno venti anche loro fittissime pagine.
Il segreto del giallo sarà di farsi leggere (catturare l’attenzione), anche se lambiccato, o troppo verboso - le parole, non costano? In questo caso è però faticoso. È antipatico perfino Dalgliesh, “il ragazzo prodigio di Scotland Yard”, motore di molti gialli dell’autrice, benché alto, giovane e bello: teme che la fidanzata gli entri in casa, non si commuove per i genitori di bambina uccisa, mentre risolveva questo caso ha scritto e pubblicato un libro di versi, e va in acanza da una zia. Il detective dev’essere fuori norma, vedi Montalbano – un po’ misogino?
P.D.James nel 1962 era già aggiornata, o precorreva i tempi: l’omosessualità è proclamata, maschile e femminile, e le ragazze sono molto libere, si direbbero maschili.
Il morto è uno scrittore di gialli.
La riedizione si segnala giusto per la paginetta fnale, l’ultima?, del direttore della collana, Maurizio Costanzo.
P.D.James, Per cause innaturali, Giallo Mondadori Classici, pp. 223 € 6,90

martedì 7 marzo 2023

Il mondo com'è (458)

astolfo

Elsa – Elsa Triolet, sposata Aragon, e Lilja Brik, musa e caretaker di Majakovskij, erano sorelle, nate Kagan. Di Majakovskij la prima attrazione fu per Elsa – o di Elsa per Majakovskij. Ma la più Lilja, più svelta, lo catturò per sé. Il destino di Elsa si compirà del resto fuori dalla Russia, altrettanto operosa quanto la sorella Lilja lo sarà in patria – per amore entrambe di patria? queste cose non si sanno, ma “si sanno”. La fragile Elsa, donna d’acciaio, ha ispirato e salvato il bastardo Aragon, comunista in Francia a tempo pieno, poeta “pazzo di Elsa”, fortunato se non felice di scrivere “giorno e notte”, romanziere nel tempo libero.
Nobile destino dare vita ai poeti. Nobile famiglia di mercanti e musicisti, i Kagan. Una casa piccola per le due sorelle adulte, ma con due pianoforti, e una mamma dall’orecchio assoluto. Elsa, bella e più brava, a scuola d’architettura e in casa, insofferente ai bolscevichi (“come si può essere comunisti? la rivoluzione è terribile”), ha amato i poeti, Majakovskij, Sklovskij, Jakobson, con Jakobson dev’essere stata dura, Ehrenburg, Duchamp, Aragon. Una bella a trazione Fiat: “Il fascino principale di una buona macchina”, Sklovskij scrisse a Elsa a Parigi, in una lettera non spedita di “Zoo”, “è il carattere della sua trazione, il carattere del crescere della sua forza. Una sensazione simile al crescere della voce. Molto piacevolmente cresce la voce-trazione della Fiat: premi il pedale del gas, e la macchina ti porta con entusiasmo” - le auto italiane erano reputate a Parigi dopo la Grande Guerra, scriveva il corrispondente Alvaro, “le migliori del mondo”. Anche Sklovskij, che ha vissuto poi a Mosca riverito, dove ha scritto “Zoo o lettere non d’amore” per Elsa, non sapeva se era bianco o rosso. Passando dal Caucaso all’Ucraina indifferente, in una guerra che vide Kiev liberata e occupata quindici volte, di cui tre in un giorno.
A Parigi, in un alberghetto rue Campagne Première, esule dalla rivoluzione, Elsa visse infilando collane, a Natale disegnando cartoline. Dando materia ai racconti della sopravvissuta Berberova. Scrisse romanzi elevati, che non si tradussero in francese, tradusse in russo Céline, incoraggiò i poeti francesi. Gor’kij l’ha incoraggiata, che amava le belle donne. “È un capitolo della storia culturale europea, quello della russa emigrata, spesso israelita”, ha notato Federico Zeri. Sposa, amante, amica, madre dello sposo, l’angelo custode russo, di solito più ricco d’anni, è figura centrale delle lettere e le arti in Europa all’Ovest nel Novecento, eterea divoratrice. E i comunisti protegge in forma di Partito - “Aragocha” ne aveva bisogno.
Formidabile coppia sono nella cultura di mezza Europa le sorelle Lilja e Elsa, falco la grande delle conquiste della minore. Per sé Elsa dovrà cercarsene una lontana, dapprima André Triolet, nome poetico e musicale, un dandy che la portava in vacanza a Tahiti, e ai trentacinque Aragon implume, benché coetaneo, che l’amore risolveva con gli amici di mano o al bordello. Per un destino di rispondenze, mastice il fango della storia. Poeta era il primo amore, Majakovskij, e in amore ingenuo, che Lilja volle ingorda per sé. Ma le due sorelle si terranno compagnia tutta la vita, per essere ebree in un paese, dice a tutti la maggiore, che è “molto antisemita”. Lilja, da Mosca, fornirà generosa a Elsa, a Parigi, caviale, cioccolata, conserve, liquori negli anni difficili del dopoguerra, che nel suo turpe privilegio non soffrì, sotto il patronato di Stalin. È Lilja che dalla magione moscovita ha aperto a Elsa, nel buio bicamere parigino, il fascino del televisore e del magnetofono, e di Salinger del “Giovane Holden”.
Elsa era stata con Aragon a Mosca quando Vitali Primakov fu arrestato, nel 1936, e assassinato. Primakov, marito pro tempore di Lilja la seduttrice. Erano ancora a Mosca nel dicembre 1948, quando, morto Zdanov, il baluardo del realismo socialista, Stalin fece suo vice Lysenko, il biologo che volle spezzare la catena genetica, per creare i caratteri con appropriate condizioni ambientali, e fu sul punto di eliminare il grano dal granaio Ucraina, il suo paese. Il poeta perse sette chili, Elsa sette anni, la paura fu forte ma sopravvissero. Per montare in patria i processi ai comunisti sopravvissuti, dai campi di concentramento di Stalin. E poi tornare a vivere a Mosca, nel 1953, i pogrom contro i medici e gli intellettuali ebrei. Avendo egli scritto, rivendicava orgoglioso, “il primo esempio nel romanzo francese del «realismo socialista» quale è stato definito al primo congresso degli scrittori sovietici”. In una epoca in cui i poeti, non solo gli ebrei, e i comunisti, erano assassinati o deportati in Siberia. C’è una dignità comunista, quella dei dignitari: formidabile forza d’animo negli occhi d’acciaio. O è il candore della poesia.
La forza ispiratrice della poesia è forza a ogni effetto. Attraversando altera la morte degli altri, e ogni terrore. Specie su Aragon, che sarà direttore implacabile di “Les Lettres Françaises” per conto del Pfc, il partito comunista francese. “Figlio della nonna”, primo in catechismo, che si presentava alle serate surrealiste nell’uniforme celestina degli studenti di medicina, e per prima cosa scrisse “Une vague de rêves”, una vagonata di sogni. “Contadino” tra i passages di Parigi, che faranno da scena a Céline, ripresi al microscopio da Benjamin. Osservatore acuto delle nature morte, e uno che sa “guardare le donne passare”. Accusatore dei poveri sopravvissuti a Hitler e Stalin, al loro patto, e alla guerra.
 
Incroci – Il Settecento illuminato era per l’incrocio. Locke vide un gatto fare l’amore con un topo, o era una topa?, generando un animale mezzo gatto e mezzo topo. Réaumur pretese d’incrociare galline con conigli. Si testarono su larga scala le teorie di Fortunio Liceti, secondo cui un uomo può fecondare le vacche e le galline, oltre alle pecore. E alla fine del se-colo Johann Christian Fabricius scoprì che i negri si fanno per accoppiamento tra uomo e scimmia. Dello stesso parere era Jefferson, ambasciatore a Parigi, che ispirò la rivoluzione americana: le donne nere vogliono l’uomo bianco, gli scimpanzé le donne nere. Inclinazione che egli coltivò, facendo una serie di figli a Sally, la cameriera di sua figlia a Parigi, una ragazza già mulatta, essendo figlia del suocero di Jefferson – o era creo-la? Contemporaneo della Rivoluzione francese, Fabricius era allievo di Linneo, che le specie umane aveva invece regolato monogeneticamente, anche se gli riusciva “difficile persuadersi che l’europeo e l’ottentotto so-no nati dallo stesso seme”. Nulla di nuovo, Plinio lo dice degli indiani. Plutarco rintraccia negli accoppiamenti di Fabricius l’origine di minotauri, ondini, silvani, egipani, sfingi e centauri. E il mito, si sa, è realtà.
 
Meticciato – È stato segno di distinzione. Lo è tuttora nei paesi tropicali, nella figura del creolo – meglio, della creola. Dove o quando la donna africana, o già creola di suo, si incrocia con un caucasico. come il bianco era chiamato prima del politicamente corretto. Celebrata è la bellezza dei creoli, i meticci fatti nei letti dei padroni sontuosi - non delle padrone. Oppure, nei Caraibi e in Sud America, i nati da un bianco e un’amerindia, per lo più – un incrocio tra bianco e amerindio. E in Australia tra bianco e aborigena – per lo più.
Il razzismo volendosi esatto, il meticciato si classifica per quarti di sangue non bianco, mulatto, quarterone, ottavino, per aggettivo percentuale nella più precisa lingua inglese, terceron (un terzo di sangue “nero” – incrocio tra bianco e mulatto), quadroon (un quarto di sangue “nero”), o quarteron, quintroon, sextroon, hexaroon, octaroon, decaroon, hexadecaroon (un sedicesimo “nero”) e avanti fino a venti. Ma si è creoli solo se bianco è il padre. Meglio – se n’è fatta poesia e musica – se si è figlia femmina, creola.
Fino a recente i meticci si credevano sterili, per questo motivo furono detti mulatti, da mulo, e quindi liberi di farlo. Una credenza che per le donne equivale a licenza e per questo superò ogni evidenza contraria.
Si prenda l’octaroon o octoroon: si riferiva a una persona con un ottavo di derivazione africana-aborigena. Cioè chi aveva un nonno bi-razziale. Cioè, un bisnonno africano e settebisnonni europei. Un caso del genere era Puškin – che pure era considerato, e si considerava, avere tratti somatici negroidi, come allora si diceva, capelli, colorito, labbra.
 
Vinicio Paladini – Fu “bolscevico” dichiarato, a Roma nel fascismo, anni 1930, e poi in America, negli anni del maccarthysmo, a cavaliere del 1953. Fu autore anche di una sorta di anteprima, o abbozzo, del “Pasticciaccio brutto” di Gadda, con la commedia “Il labirinto”, presentata a fine dicembre 1929 al Teatro degli Indipendenti a Roma, di Anton Giulio Bragaglia. Il cui finale incongruo, tra il lazzo e il pecoreccio, può fare capire perché Gadda non completò il “Pasticciaccio”. Presentata come commedia “immaginista” (con riferimento, non detto, all’“imaginismo” di Ezra Pound a Londra negli anni 1910, e all’“immaginario” coevo di Ejzenstein in Russia), ma in realtà un dramma poliziesco. La moglie uccide il marito con la complicità del proprio amante, per evitare che lasci la sua fortuna alla propria amante, che viene anch’essa assassinata. Scopre tutto un falso inquirente, uno che s’inventa Procuratore per il gusto del brivido, suo personale e degli inquisiti. Il brivido fa trasalire la vedova assassina, che non ne ha mai troppo, e sposa il falso inquirente.
Forte della nascita a Mosca, da madre russa, nel 1902, fu comunista professo a Roma (dove la famiglia si era trasferita già nel 1903) negli anni del fascismo. Da subito, dai suoi vent’anni, nel 1922, animatore dei “futuristi di sinistra”. Architetto, discepolo di Balla, pittore, scenografo di film,  critico d’arte, autore teatrale e cinematografico, Poi mediatore della scena culturale europea, negli anni 1930, da Parigi e da Berlino. Emigrato infine a New York nell’estate del 1938, scontento del conformismo europeo, architetto d’interni fino al 1953, quando, sospettato di comunismo per la perdurante professione di filosovietismo, ritornò in Italia, proseguendo l’attività di architetto.

astolfo@antiit.eu

Complotto per la morte di Pasolini

Una dichiarazione d’intenti, quella del titolo, più che una inchiesta. Difficile da dimostrare, anzi impossibile, come al solito, non è il primo film sull’assassinio che mette in dubbio la confessione di Pelosi, il prostituto minorenne con cui Pasolini si accompagnava - ci hanno già provato Roberta Torre e Marco Tullio Giordana tra gli altri.
Scontato che sula morte di Pasolini non si possa accertare più nulla, rispetto alla confessione del suo ultimo partner sessuale, il film ricostruisce due storie poco convincenti. Quella di un’Italia governata da forze oscure, negli anni forse più innovativi della Repubblica, dal 1960 al 1975. E quella di una crescita di Pasolini come capro espiatorio dell’Italia perbenista nello stesso arco di tempo, dal successo di “Ragazzi di vita” e dei primi film. Una ricostruzione amorevole, nel centenario della nascita, in ambito quindi celebrativo, ma una ricostruzione-verità? Che non sarebbe forse piaciuta allo stesso Pasolini, molto perbenista di suo - il più perbenista degli intellettuali italiani dei suoi anni. Come poeta, come narratore, come traduttore, come uomo di cinema anche, autore di teatro, e come elzevirista, polemista. Sull’abbigliamento, il look, le automobili, le seconde e terze case, il portamento, e la maniera di porgere, o di non gridare, non alle manifestazioni, come sull’aborto. Cero, c’è la questione omosessualità, di cui però solo lui si faceva un questione - anche ossessiva, a leggere la narrativa delle tante raccolte quasi postume, e postume. Ma più spesso, perfino in questo, corrivo a certo scandalismo borghese – si legga “Teorema” in controluce. Fino alla banalità: ipostatizzare il male in Eni e Cefis come progettava di fare in “Petrolio” – piace pensare che non abbia voluto, più che non ci sia riuscito, a portare avanti il romanzo perché conscio di tanta scioccheria, di piccole “agenzie di stampa”, per lo più di ex spie, o pretendenti tali, ricattatorie, per piccole cifre.
Cefis non sarebbe il solo burattinaio. Rispetto ad altri film sullo steso tema, questo segue un impianto dichiaratamente complottistico. Basato sul libro dallo stesso titolo di Speranzoni, avvocato a Bolgona, e Bolognesi, il presidente dell’associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980, deputato Pd, che il “Pasolini, un omicidio politico” ancorano a Piazza Fontana e e alle stragi successive. In un certo senso riduttivo: l’assassinio di un poeta è altra cosa, più drammatica di un delitto politico.
Presentato alla Festa del Cinema di Roma. Con molte testimonianze, affettuose ma note, e ininfluenti sulla trama dl delitto, di Fofi, Colombo, Benedetti, Grieco, Maraini tra i tanti. E dei  giudici Salvini e Calia, specialisti di complotti.
Paolo Fiore Angelini,
Pasolini, cronologia di un delitto politico, Sky Documentaries

lunedì 6 marzo 2023

Ombre - 657

La Cassa Depositi e Prestiti (lo Stato) assolutamente vuole la rete telefonica Tim, a qualsiasi prezzo. Una rete che Tim ha gestito male e malvolentieri. Una ricostruzione della Tim privata avrebbe, a naso, dell’incredibile: una “vera storia” delle privatizzazioni dei servizi essenziali.
Ora, dopo un quarto di secolo e molti guasti, come per le autostrade, si va a una ri-pubblicizzazione, a caro prezzo. Sarà l’ultimo regalo al “mercato”?
 
Il papa ribalta i filoscafisti e dà ragione a Giorgia Meloni: è uno scandalo che s’imbarchino dieci, cento bambini. Naturalmente non è vero, non è così che vanno le cose, il papa ha un ministero degli Esteri minimamente efficiente e sa da molto tempo, da sempre, come vanno le cose in questo mercato dei migranti. Che sfrutta i motivi umanitari prendendoci per scemi. Prendendo alcune anime buone per scemi.
 
Il problema vero è: come mai il papa che meglio di tutti sa, da sempre, come vanno le cose in Africa, o l’Italia, o l’Europa ancora meglio, in venti anni o quasi da quando c’è la tratta dei clandestini, non hanno fatto nulla per un’immigrazione regolare, a condizioni e costi normali. Umani.
 
Fanno sempre senso le cifre del reddito di cittadinanza, di due milioni e mezzo di italiani, per lo più venti-trentenni, che “non trovano lavoro”. Quando si vive a contatto quotidiano con taciturni filippini o chiacchierone “donne dell’Est”, perpetuamente al cellulare per “drizzare” da remoto mariti ubriaconi e figli sventati, non rifiutare nessun lavoro pur di guadagnarsi i 600 euro che i redditieri di cittadinanza hanno gratis. C’è un che di malato, non in chi si gode la pensione di Stato, ma nell’opinione pubblica: sociologi, psicologi, politici, giornalisti. L’Italia è malata, e felice di esserlo.
 
Il price cap del gas, che sarebbe stato, è stato, la bandiera dei governi italiani, di Draghi e di Meloni, a Bruxelles non è servito a nulla. Nel senso che il prezzo era già sceso sotto il cap, e tale è rimasto, ma non per paura: c’è sempre troppo gas in giro, anche togliendo dal mercato la Russia.
 
Assise pre-elettorale nel Maryland del Conservative Political Action Committee, dei Repubblicani americani puri e duri, con folta partecipazione internazionale di partiti fratelli. Compresi i Conservatori e Riformisti Europei di cui è presidente Giorgia Meloni – ha mandato nel Maryland una delegazione folta di 40 rappresentanti, guidata da Italo Procaccini, europarlamentare Fratelli d’Italia. Da presidente del consiglio Meloni avrà una visita non facile, la sua prossima all’estero, che farà al democratico Biden. Ma ha terreno fertile con il sostegno incondizionato a Kiev, insieme con quello della Polonia, altro governo dei suoi Conservatori, e con quello della Estonia di Kallas, ben di destra benché apparentata in Europa con i Popolari.

Hanno rapito Moro, Luciano Violante lavora al ministero di Giustizia, coordina le Procure che si occupano di terrorismo. Il Partito lo convoca. A una riunione ristretta, “c’erano 4 o 5 persone”, sul “dilemma se trattare o no”. Tocca a lui, Berlinguer lo interpella. “Risposi che il problema era loro”, del Partito. Ma che “scendere a patti col nemico non era facile né opportuno”. Cioè, la morte di Moro in qualche modo decretata da Violante. Che di Moro era stato, ha spiegato nella stessa intervista a Gnoli sul “Robinson”, allievo a collaboratore, traendone grandi lezioni di etica, personale e politica.
Ci sarà una patologia legata alla funzione giudiziaria.
 
Erede di Cariplo e Commerciale, la popolazione bancaria probabilmente più innovativa ma anche più coriacea, personalmente, dura a morire, Banca Intesa è il groppo bancario che più stringe la camicia di contenzione tecnologica sui suoi correntisti. Che non è una semplificazione ma una correzione e una costrizione, anche complicata. Abolire l’assegno, per esempio, che aveva ed ha una molteplicità di funzioni, col bonifico. Come già l’abolizione del personale di banco con terminali complicati come una console d’aereo. Si dice per risparmiare, ma non per il correntista – e forse nemmeno per la banca, considerando il cambio continuo di tecnologie - e il costo, comunque, dei controlli sugli automatismi.
 
Fa ricorso a Juventus contro la decisione balzana della Corte d’Appello della Figc, la federazione del calcio. Su motivi procedurali e di civiltà giuridica. Mentre la condanna era ed è politica, come questo sito spiegava a suo tempo
http://www.antiit.com/2023/01/le-manone-della-pdc-sul-calcio.html
Sarà interessante vedere se il nuovo corso Pd agiterà le acque “democristiane” della Figc e delle Sue Procure. O se queste sono “democristiane” di Berlusconi, cioè del Milan e di Lotito.
 
Non c’entra nulla, naturalmente, ma è curioso ricordare che la scelta di Schlein, che se è qualcosa di preciso è una scelta contro il Pdemocristiano, fosse indirettamene nelle “antevisioni” di questo sito, a proposito del potere nel calcio – come nell’istruzione, le Poste, la ricerca scientifica, dal Cnr all’Asi, l’energia. E nel Pd, nella lunga lista di Letta, Franceschini, Renzi, Gentiloni:
http://www.antiit.com/2023/01/le-manone-della-pdc-sul-calcio.html
 
La popolazione non cresce, anzi diminuisce, e tra i giovani, sotto i 30 anni, uno su dieci, il 10,7 per cento su un totale di 1,8 milioni, ha scelto di vivere all’estero – lavora o studia all’estero.
In testa nella fuga le regioni del Nord. Tra il 2019 e il 2022 i trasferimenti di residenti all’estero sono stati in Lombardia: Milano + 18 per cento, Mantova 40, Lodi 34,5, Cremona 32,9, Brescia 32,2. In Veneto: Venezia + 23,1 per cento, Rovigo 39,7. In Emilia: Bologna + 26, 3 per cento, Reggio E. 31, 5.
L’emigrazione non è più un fatto di bisogno ma di attrattiva, di convenienza. L’Italia non attrae più, nemmeno gli italiani, che pagano volentieri lo scomodo di cambiare lingua, ambiente, abitudini.
 
Casalino che ama Baudelaire, e in particolare la sua poesia “Madame Bovary”, o non sarà Butterfly?, e dice di essere stato “portavoce del governo”, non è un’eccezione, in questi tempi di Isola dei Famosi. Ma portavoce, anzi “stratega della comunicazione”, come dice, di Conte, questo sì, lo è stato e lo è. L’ignoranza al potere, bel tema.

Gli affari della Turchia sulla tratta magnogreca

Il focus immigrazione illegale dei media si punta sulla Libia, interfaccia di Lampedusa, ma il vero hub di questo mercato è oggi la Turchia. In direzione ancora delle isole greche ma sempre più anche - seguendo la rotta magnogreca, di venti e correnti – della Calabria jonica.
Sulla rotta magnogreca i numeri sono inferiori a quella dalla Libia a Lampedusa, ma in forte crescita: si sono contati 2.500 arrivi nel 2020, quadruplicati a quasi diecimila nel 2021, un numero che sarebbe raddoppiato nel 2022.
A differenza dalla Libia, le partenze dalla Turchia sono controllabili e controllate. La Turchia ha coste sull’Egeo e sul Mediterraneo orientale lunghe e frastagliate. Ma emigrare dalla Turchia comunque si può solo regolarmente: la vigilanza è oculatissima, in ogni anfratto. Le barche di questa nuova tratta schiavistica, d’altra parte, partono da Smirne, la Napoli della Turchia, non da località remote.
La Turchia lamenta un numero di rifugiati, specie dalla Siria, calcolato in 2 milioni e mezzo. Ma lo stesso numero di rifugiati sostiene il piccolo Libano, senza creare problemi. Inoltre, per il sostegno a questi rifugiati, e il loro controllo contro fughe di massa verso l’Europa, temute dalla Germania, la Turchia ha beneficiato in sette anni, dal 2016, di nove miliardi di euro da parte della Unione Europea, su decisione della Germania, in tre tranches da tre miliardi. E in più di un aiuto speciale, sempre Ue, nel 2022 di 1,2 miliardi, in passato anche di tre miliardi, per il controllo delle frontiere dall’immigrazione clandestina, sempre da Siria, Irak, e Iran (che è anche paese di passaggio per afghani, pakistani, bengalesi).

Dare lavoro ai vecchi

La riforma delle pensioni contro cui si protesta in Francia si limita a innalzare l’età pensionabile da 62 a 64 anni – non a 67. Con l’obiettivo non tanto di risparmiare sulle erogazioni dell’Inps francese quanto di “aumentare il tasso d’impiego degli anziani”. Nell’ipotesi che sia una delle chiave per contrastare il “declino economico”, demografico e dei “saperi” - che la Francia ritiene di poter misurare, in rapporto alla Germania. Nell’ipotesi che si allenti il mercato del lavoro, si migliori
la produttività, e si incrementino risparmi e consumi.
Per anziani s’intende la fascia d’età dai 55 ai 64 anni.
I numeri da cui parte la riforma francese sono di per sé significativi. Il tasso medio europeo di occupazione di questi “anziani” è del 60,5 per cento. Ma è a percentuali molto superiori nei apesi che funzionano meglio: al 76,9 per cento in Svezia, 72,3 in Danimarca, 71,8 in Germania, 71,4 in Olanda. In Francia il tasso è invece basso: 55,9 per ceto – 55,8 in Spagna, solo 53,4 in Italia, che negli anni delle “esternalizzazioni” fece falcidia di questi “anziani”, scaricandoli sull’Inps, sullo Stato, sull’inattività (obbligatoria per legge: niente cumulo).
Anche la spesa, però, il progetto di riforma francese non sottovaluta. La spesa per le pensioni assorbe il 14,4 per cento del pil francese (in Italia è ancora peggio, il 14,5 per cento). Contro una media europea molto inferiore, l’11,3 per cento. Mentre in Germania assorbe molto meno, il 10,9 per cento del pil – e il 10,8 in Danimarca, il 9,6 in Svezia, il 7,4 in Olanda, paesi che pure non affamano i pensionati.

L’ombra del carcere oscurò la musica

Il titolo è di un film di Antonio Pietrangeli, anni 1950, prima della “Dolce vita”, un film molto turistico (tra gli sceneggiatori Dario Fo). Autore della colonna sonora, con la canzone del titolo, è Lelio Luttazzi, il personaggio del docufilm. Pianista jazz, autore di canzoni swing, e anche di “Una zebra a pois” per Mina, cantante, intrattenitore. E molto triestino, in tutto, affetti, amicizie, ricordi, canzoni. Un artista-non-artista, creativo ma equilibrato, e felice. Finché non viene incarcerato, per sbaglio, per detenzione e spaccio di cocaina. Starà in carcere un mese, meno, ma basta a distruggerlo.
Verdelli lo rappresenta nella sua integrità, di triestino, artista, manager musicale (creatore e direttore di orchestre, produttore discografico). Ma, non fosse che per le testimonianze della moglie e della figlia, la vicenda giudiziaria prende nello spettatore il sopravvento sul personaggio: l’italiano teme la giustizia.
La carcerazione non fu la fine – a differenza di un altro caso celebre, Enzo Tortora. Luttazzi pure fu estromesso dalla Rai, dove aveva programmi popolari, e dal cinema. Ma per poco. Si rifece con un romanzo, “Operazione Montecristo”, su cui Alberto Sordi imbastì un film di successo, “Detenuto in attesa di giudizio”, e con un film, entrambi autobiografici, “L’illazione”. Il film fu un flop, ma Luttazzi riprese anche l’attività in Rai, nel mondo della canzone, e i concerti jazz. E niente, il filo non fu riallacciato: vivrà da allora in poi, per altri quarant’anni, non in pace con se stesso. L’anno primi di morire, nel 2009, va a Sanremo, e accompagna al piano Arisa in “Sincerità”, tiene un concerto in piazza dell’Unità a Trieste per Ferragosto, è ripreso da Pupi Avati in un film documentario. E niente: l’ombra del carcere non si dissipa, anche nel film.
Giorgio Verdelli, Souvenir d’Italie, Rai 3, Raiplay

domenica 5 marzo 2023

Problemi di base migratori - 737

spock


Perché l’Europa non concede i visti per ricongiungimenti familiari – che Canada, Australia e gli stessi Stati Uniti hanno praticato fino agli anni 1960, fino a quando hanno avuto bisogno di immigrati (l’“atto di richiamo”)?
 
Perché l’Europa, che ha tanto bisogno di manodopera immigrata (la sola Italia di 90-100 mila l’anno), non apre uffici immigrazione in Africa, in Libano, in Irak, in Afghanistan, in Pakistan, in Bagladesh, con visti – un biglietto aereo costa un decimo della tariffa dei contrabbandieri?
 
Perché partono barconi da Smirne, dove il semplice turista, e ogni turco, è controllato passo dopo passo - provarsi a parcheggiare in Turchia fuori da un parcheggio, anche in campagna?
 
Perché la sinistra, che ha governato l’Italia per undici anni di seguito, o dodici, non ha fatto nulla contro lo sfruttamento dei clandestini?
 
Perché dire che la Guardia costiera italiana, ricevuto un Sos, non si attiva per il salvataggio (salva 50-60 mila persone ogni anno) – i marinai non sono giornalisti cinici?
 
Perché l’odio politico si nutre della morte dei bambini?

spock@antiit.eu

La guerra degli Stati Uniti contro l’Europa

Abbiamo avuto un Francia-Germania per un secolo e mezzo al cuore dell’Europa, dalle guerre napoleoniche a Hitler, avremo un Russia-Ucraina a tempo indeterminato. Nessun governo ucraino dopo Zelensky accetterà l’amputazione di Donbasss e Crimea, nessun governo russo dopo Putin rinuncerà. L’Europa resterà amputata di materie prime e difesa, una brava piccola fabbrica di oggettistica, forse inventiva, comunque necessaria a sopravvivere. L’esito dei trent’anni di pensiero unico è questo, l’Europa è destinata alla sopravvivenza, non di più – se ci riesce, perché la concorrenza manifatturiera è sempre più vasta e agguerrita.
La storia si ripete? Si e no. In questo fatto – la guerra - è stata creata, artigianalmente. Con cura, con abilità. Sul terreno cioè di quello che l’Europa vanta come suo brand, la creatività. Gli Stati Uniti volevano separare, da trent’anni, dalle presidenze Clinton, la Russia dall’Europa, e ci sono riusciti. Una guerra che hanno vinto, contro Fortress Europa, senza combatterla, senza un solo morto – l’unica guerra che hanno vinto in mezzo secolo.

L’Europa resta indifesa

Molti annunci, anche roboanti, poca sostanza: la difesa europea si rinnova, dopo gli extrabuget tedesco e francese, ma nel senso di rinnovare gli arsenali, niente di più. La Zeiutenwende tedesca, il cambiamento epocale, con 100 miliardi subito di spese militari, e la “legge di programmazione militare” di Macron 2024-2030, con 413 miliardi da spendere nei sette anni, non cambiano molto, a una lettura dei contenuti dei due provvedimenti.
Il governo tedesco di coalizione, sinistra, destra (Liberali) e Verdi, punta a un “partneriato atlantico rafforzato”. Fa cioè il suo dovere nel quadro Nato, come voleva già Trump, portando gli impegni militari al 2 per cento del pil – i 100 miliardi della Zeitenwende si spalmano su più anni. L’aumento della spesa si giustifica anche - in Germania come in Italia e altrove nella Nato – con la necessità di rinnovare gli arsenali dopo l’impiego di quelli esistenti in Ucraina. Ma niente per una difesa europea, né spese né idee.
Lo stesso per il programma francese. Molto più sostanzioso di quello tedesco, quattro volte tanto. L’obiettivo è, come Macron ha pure detto, di ammodernare il deterrente nucleare, e di trasformare l’esercito, dopo i fallimenti in Africa, da corpo di spedizione a formazione territoriale per conflitti “ad alta intensità”. Nessuno spiraglio, nemmeno un auspicio, per una difesa europea – assenza tanto più notevole per un personaggio che si era qualificato per un progetto di rinascita continentale.  

Lo Stato fascista – e il totalitarismo cattolico

I conflitti del titolo sono due: tra il partito fascista e lo Stato, e tra lo Stato mussoliniano e la chiesa. Questo è noto, passata la luna di miele dei Patti Lateranensi, evento eccezionale - diedero finalmente cittadinanza politica ai cattolici, chiudendo la incredibile parentesi del “non expedit”. Meno scontata è invece la questione d’apertura del volume: la diatriba interna al partito Fascista sul fascismo che diventa Stato. Che in realtà funziona al contrario: lo Stato diventa fascista, assorbe il fascismo. Ma così facendo lo depotenzia. Anche nell’analisi del partito Comunista a Parigi.
Un “impaludamento” di cui è atto notarile la nomina di Giovanni Battista Giuriati a segretario del Pnf, un devoto di Casa Savoia, amico del principe ereditario, e di papa Ratti. Col compito di epurare il partito, soprattutto dei vecchi arnesi. Compito che assolse presto dilegente, portando a Mussolini  la cifra abnorme di “circa 120 mila tessere ritirate”. E presto fu liquidato.
Ma anche sul secondo punto, più noto, Gentile adotta un punto di vista originale: la diatriba (soprattuto sulla scuola e l’insegnamento) fu tra “totalitarietà cattolica e religiosità fascista”. Una sorta di inversione dei termini a confronto.
Il totalitarismo, nella nuova declinazione di “totalitarietà”, non si addice alla chiesa - alle chiese, ma più alla cattolica, la più tollerante, in virtù della confessione assolutoria. Ma forse Gentile, che ha in uscita un saggio sul “totalitarismo”, ha in mente altre componenti del concetto. In questo volume è un’accusa o critica del fascismo, della rivista “Critica fascista” di Bottai, “la voce fascista meno incline all’estremismo”: nel numero dell’1 febbraio 1930 nota che “alla volontà educatrice e intransigente del Fascismo si oppone una concezione anche più totalitaria e intransigente”.
Emilio Gentile, Storia del fascismo – Regime a conflitti, “la Repubblica”, pp. 152, ill. € 14,90