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sabato 8 aprile 2023

Putin esporta sempre petrolio

Non sarebbero in difficoltà le esportazioni russe di petrolio greggio. Attraverso una serie di combinazioni che vedono coinvolte società europee, di paesi cioè che hanno adottato le sanzioni. Senza però incorrere in comportamenti illegali, poiché utilizzano una logistica non occidentale, e consegnano il greggio a paesi che non hanno adottato le sanzioni.
Principali destinatari del petrolio russo sono India, Turchia, Sri Lanka e altri apesi minori, asiatici e africani, per il consumo interno o per la riesportazione. Per il trasporto si utilizzano, oltre alle petroliere russe, tanker di armatori greci battenti bandiere di comodo. Avvalendosi delle assicurazioni britanniche, specializzate per i noli marittimi (riassicurazioni). E delle stesse banche olandesi e giapponesi, che finanziano tradizionalmente il trading del greggio.

Il gas è congelato in Siberia

A parte le esportazioni in Turchia, tramite condotte esistenti, che sono però di portata limitata, il gas russo che l’Europa non compra più non ha sbocchi. Per venderlo in India e in Cina sono necessarie infrastrutture complesse: molto costose e, per quanto riguarda l’India, a rischio.
Per arrivare in India il gas russo dovrebbe passare attraverso il Pamir e l’Everest, le catene montuose più ardue da attraversare. Oppure attraverso l’Afghanistan e il Pakistan, uno Stato inaffidabile e uno nemico dell’India.
La fornitura alla Cina rientra in un progetto definito Power of Siberia. La messa in produzione di giacimenti di gas nuovi in Jakuzia, la parte orientale e più inospitale della Siberia. E la realizzazione di una megacondotta, lunga quasi 4 mila km., attraverso la Mongolia, con tubi da 1 metro e mezzo di diametro, per una portata di 60 miliardi di mc l’anno. Un progetto da 55 miliardi di dollari. Un costo che però sarebbe sottovalutato. Il progetto è ancora da definire – la prima data di partenza indicata dei lavori è il 2024.
Di Power of Siberia esiste già una prima pipeline, completata nel 2019. Che ha portato in Cina da allora 4 miliardi di metri cubi di gas l’anno – meno del 5 per cento del gas esportato da Mosca in Germania, Italia, e altri paesi Ue. La portata di questo primo gasdotto a regime dovrebbe essere di 38 miliardi di mc.
Altre esportazioni la russa Gazprom effettua sotto forma di gas liquefatto (lng), dai giacimenti artici di Yamal, attraverso tre impianti di liquefazione e una flotta di navi metaniere. Il gas di Yamal era fornito alla Germania prima delle sanzioni europee, a Wintershall-Basf, con una condotta che attraversava la Bielorussia e la Polonia.

La vita oltre l’abbandono

Dal romanzo iper-venduto di Delia Owens, il ritratto di una ragazza sola, nel bosco al bordo di una laguna, abbandonata bambina dalla madre amatissima dopo l’ennesima violenza del padre, poi dalle sorelle per lo stesso motivo, poi dal fratello, infine anche dal padre. A disagio a scuola, rifiutata dal villaggio, accudita benevolmente, a distanza, dalla coppia di afroamericani senza figli che gestiscono l’emporio. Vive cresce sola nella natura. Da cui però matura conoscenze e tratti che la rendereanno un’esperta famosa delle specie animali e vegetali della laguna. Conoscerà un amore puro, e uno violento. Questo finirà nella morte, forse non accidentale, quello l’accompagnerà fino alla vecchiaia onorata e alla morte.
Un racconto delicato. Non fosse per la mania americana della giustizia sommaria.  
Olivia Newman,
La ragazza della palude, Sky Cinema

venerdì 7 aprile 2023

Problemi di base pasquali - 742

spock


Una Passione senza Redenzione?
 
Perdere il sacro per acquisire il profano?
 
Se Dio è nella lavanda dei piedi o nella resurrezione dei corpi?
 
O se il sacro è sotto i ponti?
 
Se la fede è ragione?
 
Se la fede è ragione quando la ragione vacilla?

spock@antiit.eu

Un Paese sotto

C’era la corsa alla Cina, c’è ora la corsa a disfarsi della Cina. Solo sei o sette anni fa questo sito doveva registrare la stranezza di una Milano “cinese”
http://www.antiit.com/2017/09/il-triangolo-industriale-e-cinese.html
Si è poi smesso con i telefoni, l’America ha detto basta, e si è continuato con i porti - Taranto sì, Trieste forse, oppure no, il governo esercita il diritto di blocco (senza nemmeno chiedersi perché con i cinesi i porti rendono, e con gli italiani sono una zavorra, a carico dello Stato, e anche, per lo più, sgangherato). Ma la tendenza è a metterli fuori, da Pirelli, dalle banche, da ogni dove. Senza una ragione. Si dice: sono spie, preparano un’invasione, ma la verità è che l’America non tollera disobbedienze.
Si è detto, Arbasino ha detto, dell’Italia “un Paese senza”. Ma più senso ha dirlo “un Paese sotto”. Sottomesso. Basta un moto del sopracciglio americano che l’Italia corre, nel senso del servo. Magari tagliandoseli.
Diversamente correva col “piano Mattei” propriamente detto, quando non chiedeva il permesso per andare in Medio Oriente, in Nord Africa, compresa l’Algeria, compreso Gheddafi, in Africa, e anche in Russia, nel 1953, anzi disobbediva.

Roma matrigna

Racconti aspri, sotto l’ordinarietà, una quieta quotidianeità di personaggi, incontri, incroci, scambi,  eventi. Un racconto è degli “invisibili”, di come si finisce sotto un ponte – nel caso una galleria stradale, un sottopassagio. Altri di immigrati per qualche verso disastrati.
Racconti di esclusione e non di inclusione, come i precedenti racconti “romani” della stessa autrice. Di ordinaria esclusione: una lite, un commento, il condominio. E di attimi fuggiti, anche presso gli integrati – il racconto lungo “Le feste di P.”. Di una Roma non più benevola, come nei primi racconti “romani” di Lahiri, ora palco inerte. Non più i suoi cieli, le piazze, gli alberi, i fiume, i parchi, il garbo, ma sporcizia, vetri rotti, e gente distratta o inquieta, ostile. Quale si vive oggi: una città non solo male amministrata e vecchia, irrimediabilmente, ma senza più la caratteristica bonomia, anzi violenta a ogni minimo contatto, anche solo visivo. La città “dell’acqua che sporca”, può dire l’onesta lavoratrice immigrata da vent’anni a cui i bambini che accudisce possono inviare “i bigliettini” dell’omonimo racconto per dire “non ci piaci”. Al meglio è il finale, di manier a: “Che città di merda… Ma quant’è bella”.
Un’intera sezione, la II, racconta “La scalinata”, il viale Glorioso a Trastevere, dove l’“immigrata” intellettuale Lahiri ha scelto di abitare, in limnguistiica) LaHIRI HA ABITATO, in precedenza tema di divagazioni felici, che ora espone brutture: sporcizia, urla, vetri rotti di torme di ragazzi che ci bivaccano la notte, ladri camuffati da carabinieri, bande adolescenti che si divertono con gli scippi. Popolate da persone per qualche verso anch’esse escluse: la colf che faticosamente la risale all’alba per andare la lavoro, la vedova, vecchia e perciò umiliata, la ragazza (del liceo soprastante) a scuola isolata, non dalle compagne, dalla famiglia di un “comunita” diversa (mai “islamica”….), l’espatriata (una sorta di autoritratto). 
Una raccolta omogenea, raggruppando anche racconti già variamente editi, in pubblicazioni tematiche di altro genere. Racconti di malumore, anche solo per sentirsi apostrofare “bella moretta” dall’oste. Jhumpa Lahiri, già felicemente immersa nel tepore romano, si scopre assediata, dalle mosche e le zanzare, “anche d’inverno”, e dalla maleducazione, dall’indifferenza. Non benevola. I rarconti sono diventati “romani” nel titolo della raccolta nel senso di fare i conti con la città.
Materia greve – romana allora in senso di greve. E anche il tratto, la scrittura. Roma pesa, non più sogno, giardino di libertà, ma incubo, seppure a modo suo, svagato, indifferente.
Qualche racconto è meno “impegnato” – meno corrivo, o politicamente corretto, scontato. “La ragazza” per esempio, quella della “comunità” diversa, che l’incubo delle nozze con uno sconosciuto, fra dieci anni o cinque, priva delle chiacchiere con le comoagne, della gioia di vivere. Il racconto lungo “Le feste di P.”, dove pure nulla succede, richiama la passante di Baudelaire, che regala al poeta un’ebbrezza duratura, un’ossessione lieve o vita immaginaria (“fuggitiva bellezza,\  il cui sguardo m’ha fatto d’improvviso rinascere,\ non ti vedrò più che nell’eternità?”) – e il Kafka di “Meditazione”, il leitmotiv della sua prima raccolta di racconti: il rifiuto del contatto per programma, quasi un’infezione.
La malinconia si direbbe il leitmotiv della raccolta: il tema ricorrente è del rapporto coniugale muto, se non infranto. Non solo con la città. Ma questo è il tema di Lahiri prima dei libri romani: le famiglie. I genitori, i figli, i coniugi, le curiosità. gli amori, i languori, le paure. Di una scrittrice che s’indovina di forte temperamento, se non altro per la scelta di scrivere in italiano – di famiglia indiana, nata in Inghilterra, cresciuta, istruita e affermata negli Stati Uniti, sposata con un   latinoamericano, narratrice di successo, ora in lingua italiana, insegnante a Princeton, residente (quando può) a Roma. Ma ossessionata dal tempo che passa, dal mutamento, anche impercettibile.
Jhumpa Lahiri, Racconti romani, Guanda, pp. 257 € 17

giovedì 6 aprile 2023

Letture - 516

letterautore


Ascendenze
– “Ben Pastor”, Maria Verbena Volpi Pastor, scrittrice di gialli e ghost strories ampiamente pubblicata, e premiata, in versione italiana, opera di traduttori professionali, si vuole scrittrice americana, anche se in America è poco pubblicata. Jhumpa Lahiri, scrittrice mainstream americana, premio Pulitzer, si vuole scrittrice italiana, la sua narrativa scrive in italiano, la lingua che ha adottato da un decennio – la cui traduzione in inglese vuole affidata a traduttori professionali.
 
Fascismo
- Malaparte lo vuole essenzialmente urbano, “il socialismo urbanizzato”, il potere della burocrazia – “Il Ballo al Cremlino”, p. 117. Trockij dice un Mussolini “ebreo, concionante, polemizzante, militarista, enfatico, orgoglioso, gaudente”, etc., “perché il trozkismo è il fascismo”. Invece, “dove è la città, il comunismo rapidamente deperisce. Fate di Parigi, di Londra, di Roma la capitale del comunismo, e il comunismo degenererà rapidamente in fascismo”.
 
Intelligence
– In voga, se ne fanno anche corsi e istituzioni universitarie e accademiche, si può dire il marchio del secolo, ma come indiscrezione (intercettazioni, rivelazioni, ricostruzioni) e come tecnica dell’informazione, o meglio della disinformacija, a fini pubblicitaria, non di verità. Una tecnica ora moltiplicata dai social.
Come raccolta politica di informazioni, su ambienti, persone, progetti ostili, o concorrenti, è indefinita – lo è sempre stata: non c’è congiura o attentato che non avvenga, anche con le
intelligence più attive. Antonio Pizzuto, lo scrittore che fu per una vita, da dirigente di Polizia, incaricato di tenere i rapporti con le Polizie degli Stati amici, lo dice in una piega seriosa del racconto satirico “Il principe Racoczi” (ripreso in “Due racconti di Sallino Sallini”, p. 9: “Come da una tonnellata di pechblenda si ricava soltanto qualche grammo soltanto di radium, così dalla massa di informazioni poste in giro si potevano  ricavare appena una o due notizie buone, ottenibili talvolta con scambi molto onerosi: per averne una discreta se ne dovevano dare quindici o venti meno pregiate e in certi periodi il valore di quelle buone aumentava ancora”. Si compilano schedari. Anche per facilitare gli scambi. Si aggiornano. E comunque “bisogna mantenere buoni rapporti con gli agenti nemici”. Anche perché i capi più avversi poi si parlano: “Non erano forse corrette e perfino cortesi in casa nostra, a suo tempo, le relazioni fra Crispi e Giolitti?”
I servizi più attivi, quelli americani, non prospettano mai un pericolo reale, e sono attivi solamente nelle guerre o complotti che attuano.
 
Manomorta
– Sarà il “sistema” nazionale, l’appropriazione dei beni altrui, da parte dello Stato, per farne merce politica, di scambio? L’ultima sarebbe quella delle borghesie meridionali – a carico loro. “Un sistema che ha prodotto una gigantesca manomorta pubblica”, scrive Alessandro Barbano, “L’inganno”, p. 92, è quello delle confische giudiziarie come attività di prevenzione contro le mafie. Gestite dal 2010 da un’Agenzia nazionale dei beni confiscati. A danno spesso anche di persone incensurate e incensurabili, e sempre senza nessun utile per lo Stato, come per le manomorte di appropriazione classica -le ecclesiastiche, le terre comuni, etc.. L’Agenzia non conosce peraltro il numero e la tipologia dei beni confiscati, né la loro destinazione. Che va in mano a commissari privati e privatissimi, nominati a caso, senza cioè dei criteri prestabiliti, a uzzo dei prefetti. Si possono confiscare i beni senza una condanna, in via preliminare. Nei casi noti di successiva assoluzione, sono stati restituiti senza più alcun valore, e in disarmo.
 
Mosca
– Era ancora “la Città Santa della Russia” per Malaparte in visita nel 1929, “l’antico e nobile limitare dell’Asia, la Terza Roma”. E in quanto allora bolscevica, sovietica, “capitale di un impero «continentale» di contadini, di soldati, d’impiegati, di studenti, di ebrei, di cosacchi, di tatari, dominato da un piccolo esercito di operai comunisti, pallidi e taciturni”. Con l’aggiunta: “Nel Cremlino, sull’antico trono degli Zar ortodossi, sedeva un uomo di bassa statura. Dalle braccia corte, dagli occhi nerissimi e lucenti. Il suo nome era: Stalin”. Ma, ancora in quegli anni, Mosca era “l’antica città ortodossa dalle mille chiese”. Dalle “mille cupole, coperte di maioliche verdi, rosse, gialle, turchine”. Alla cui ombra vegetavano ancora le case in legno risparmiate dall’incendio antinapoleonico del 1812.
 
Proust
- Sarà stato “sovietico” - il mondo che ha creato lo era? Così lo vuole Malaparte. Il mondo sovietico era “proustiano” già nel 1929, dopo solo un decennio di potere, subito dopo Lenin, prima di Stalin, per Malaparte, nel ritratto che di quella che sarà chiama la nomenklatura sovietica fa al primo capitolo de “Il ballo al Cremlino”, il romanzo-reportage rimasto incompiuto. Alle prima righe Malaparte presenta il. suo progetto come un quadro proustiano: “Un romanzo nel senso proustiano”. Rifacendosi al Proust di Thibaudet, al plan de desintéressement di cui Albert Thibaudet parla a proposito di Proust, dove Proust ha portato “l’analisi psicologica”, che “investe anche la morale”. Il tutto dominato dalla “fatalità” – “gli episodi di questa «cronaca di corte» sono legati da una fatalità che li convoglia”, “corpo sociale” più che individui. Al modo di Proust: “Come non è un individuo, uomo o donna, il barone Charlus e Swann o madame de Guermantes, Odette o Langeron, l’eroe dei romanzi di Proust, ma la società, il mondo della Parigi, quella nobiltà francese, parigina, cioè tutta una società, un corpo sociale”. Senza fare del moralismo – da qui il plan de désintéressement.
 
Sallino Sallini
– Lo pseudonimo scelto da Antonio Pizzuto quando ancora era in servizio nella Polizia di Stato è uno “spaventoso capobrigante italiano”. Vero? Englisch, “L’eros nella letteratura”, p. 231, ne fa un personaggio letterario. Wikipedia lo presenta così, con la copertina e il titolo di un libro: “Sallo Sallini, il più temibile brigante in Italia e Boemia”, sottotitolo “un romanzo di briganti e di fantasmi”. Opera di un F.F. Froelich, spiega un Carl Schopfer che lo edita. In realtà, sembrerebbe, opera dello stesso Schopfer, metà Ottocento circa, che ha prestato il suo nome di battesimo C(arl) F(riedrich) a un “Froelich” che vuole soltanto dire “allegro, cuor contento”.  
Ci sono invece vari Carl Froelich reali, senza il F.(riedrich). Uno è apprezzato passeggiatore nell’Appenzello, alcuni decenni prima di Robert Walser, un botanico. Il più famoso è un regista che piaceva a Hitler, in attività dal muto al 1944, autore peraltro di film apprezzati: “Giovinezza”, “Le cortigiane del Re Sole”. “I vinti”, “Heimat”, premiato a Venezia nel 1938 - e nel 1931, “Ragazze in uniforme”, il primo film forse delle pulsioni omoerotiche di quattro ragazze in collegio.
  
 
Sciascia – Il Tar del lazio respinge una richiesta di variazione anagrafica, del nome – che copre con omissis, ma s’indovina essere da Sciascià a Sciascia – di un ricorrente che si voleva contiguo di Sciascia, lo scrittore, e spiegava che il suo nome è di derivazione greco-albanese. Il Tar nega la derivazione, che invece asserisce essere araba. Basandosi sullo stesso Sciascia, con riferimento a quanto scrive in “La Sicilia come metafora”, dove spiega che il cognome non è greco (dove avrebbe il senso di “cattivo”) ma arabo. Senza semplificare di più. Mentre sarebbe semplice: deriva dal berbero in realtà. Si fa molta confusione nel Sud Italia sugli “arabi”, che per la gran parte erano berberi, sia quelli dell’occupazione del nono secolo, e degli emirati avventurosi sulle coste della Calabria e del Salento, che quelli del regno di Andalusia, e poi delle scorrerie saracene. Sciscì n berbero vuol dire berretto, e se ne fa uso idiomatico, per dire di un rapporto stretto, familiare o di amicizia: due teste e un berretto.
Nella forma Sciascia il nome si ritrova in Sicilia e in Calabria, nella forma Scisci in Sicilia e in Puglia.
 
Ucraina - La vita breve di Paul Celan Marino Freschi sintetizza così, sul “Venerdì di Repubblica”: “Era nato a Czernowitz nel 1920”. Quindi rumeno: “La città, la «piccola Vienna», fino al 1918 era stata asburgica, poi rumena, poi sovietica, ora ucraina”.
 
Leopoli, nome latino di Lemberg (tedesco), Lvov (polacco e ucraino), ha cambiato mano. È stata polacca fino al 1939, la seconda città polacca per popolazione e vivacità culturale, e anche commerciale. Polacca di lingua e tradizioni, con una minoranza di lingua ucraina nella periferia orientale, prossima ai campi. Passò nel 1939 all’Unione Sovietica, nel quadro della spartizione della Polonia con la Germania di Hitler (patto Ribbentrop-Molotov), e da Mosca assegnata amministrativamente all’Ucraina.


letterautore@antiit.eu

La vita del silenzio

Un’esperienza di vita. E di artista, tra Italia, dove la scultrice opera, e Finlandia, il paese di origine. Ma in Italia è cresciuta, nell’infanzia a Roma, col padre diplomatico presso la Santa Sede, e poi negli studi, all’Accademia di Firenze, a scuola di disegno di Primo Conti. E all’esordio, alla galleria Castelli di Milano nel 1970. Con la sensibilità del design finlandese, che la stessa Milano, la Triennale, aveva accreditato già vent’anni prima, nel 1951, con l’opera di Tapio Wirkkala. Ma con un uso dei materiali che la accomuna subito, benché giovanissima, a Burri, Consolazione, Viani, e a Tapiès, Giacometti, Brancusi – ma anche a Marino Marini e Melotti, figurativi.
Grande maestria dei materiali il volume documenta, specie travertino e legno, che Stenius compone in combinazioni fantasiose, in forma di steli, bassorilievi, anche monumentali - alcuni trittici di chiesa. Molto si diletta anche di grafica, nella quale più confluisce la sua doppia “natura” o esperienza, del mondo finlandese (di lingua svedese….) e di quello italiano, fiorentino, romano. Anch’essa “materiale”, pietrosa, terrosa. Nella sintesi delle critiche d’arte Lorella Sacco e Stella Bottai che introducono il volume: “Costante del lavoro di Stenius è la costruzione di forme astratte pervase da elementi narrativi, lirici: poemi velati, in legno, alluminio, marmo, e travertino, contrappuntati da rigonfiamenti in superficie, che lei chiama «emozioni del materiale»”.
Un’edizione ricca, perfino sontuosa, di un’opera minimalista. Dei materiali, poveri, pratici, e dei volumi. Di un minimalismo informale. “L’informale contro la Geometria” e fra le sue prime creazioni - e “In attesa del silenzio”. Di oggetti semplici, come di una “moltiplicazione dei pani”, di visione, senso, augurio, desiderio. E di ricerca coloristica, sottile ma marcata. Nelle tonalità del grigio (bigio si direbbe meglio), e del blu. “Il blu non esiste nella lingua finlandese”, argomenta Timo Keinänen, “quello di Stenius si direbbe di lapislazzuli”, il più cangiante, il più lieve anche.
Con saggi, oltre che di Sacco e Bottai, dei curatori: la pittrice Elisabeth Mladenow, altra finlandese trapiantata (a Berlino), e Timo Keinänen, “il professore innamorato di Noto”, storico dell’arte. Una riflessione di Severi Parko, il rispettato storico dell’arte finlandese deceduto diencui anni fa. E una testimonianza dello scrittore Pirrko Peltonen.
Di Peltonen la monografia riproduce la breve, ipnotizzante, introduzione al catalogo di una mostra di Lilli Stenius molti anni fa a Roma, “Lungo i sentieri dell’acqua”: “Come sappiamo, molte lingue hanno più parole per «blu». Il finlandese non ce l’ha, così devi specificare : blu cielo, blu chiaro, o blu scuro. Ma sempre blu. Il «blu» di Lilli è decisamente il blu dei lapislazzuli”. Il più magnetico, e cangiante. Ma anche quello, ricorda lo scrittore, riservato nel Medio Evo e nel Rinascimento alla Vergine Maria, perché di materiale raro: “Quel «blu» è divenuto il colore della spiritualità. E dell’innocenza” – “poi c’è il nostro blu. Il blu dei laghi finlandesi….”, a volte brillante, a volte profondo, scuro, perfino cupo”.
Molto altro, moltissimo, Peltonen dice nelle due paginette. Degli Stenius, dunque Lilli, finlandesi parlanti svedese, di religione cattolica romana. E dell’amicizia intrecciata con Lilli insieme con Dario Fo. Che nel 1966, ben prima del suo straordinario successo di pubblico in Italia (nel 1975 la rivista “Time” gli assegnerà un record di mezzo milione di presenze, benché Fo fosse tenuto fuori dai circuiti teatrali), dava una mano alla messa in scena a Helsinki di “Chi ruba un piede è fortunato in amore”. La produzione aveva assunto Peltonen nel ruolo di assistente e interprete. Insieme con Lilli, per la sua conoscenza dello svedese, lingua da cui la pièce veniva adattata, e di italiano. I tre uscivano insieme la sera, dopo le prove. Fo fu predentato a Lilli come “un esponente della upper class”, da un Peltonen figlio di Guardie Rosse – le due famiglie, Stenius e Peltonen, si fronteggiavano sullo stesso lago in estate, da opposte rive. Fo dell upper class non è male.
 Timo Keinänen-Elisabeth Mladenov (a cura di) - Lilli Stenius, Echoes of silence, De Luca Editori d’arte, pp. 143 sip

mercoledì 5 aprile 2023

Cronache dell’altro mondo – o del giudizio di Dio (258)

Si processa Trump non per ricatto, di un portiere di albergo e di una prostituta, ma per 34 capi d’accusa su ricatto di un portiere d’albergo e di una prostituta.
Il procuratore di New York che ne ha voluto e ottenuto l’incriminazione, Alvin Bragg, è un politico - la carica è politica. La giuria che lo ha condannato al giudizio preliminare, è anch’essa scelta politicamente, non a sorteggio.
Il giudice del processo, che dirige il dibattito in aula, è anche lui un politico, nemico dichiarato di Trump da tempo. Sua figlia Lore ha diretto la campagna elettorale digitale di Kamala Harris, la vice-presidente di Biden.
Il processo, “media circus”, con Trump in “stato di arresto”, libero su cauzione, durerà diciotto mesi, fino a ottobre 2024 . Il 4 novembre si vota.
La giustizia in America è come nei western: chi spara meglio quello ha ragione. Il vecchio “giudizio di Dio”.

L’Italia senza braccia

L’Italia è l’unica grande economia europea con una politica dell’immigrazione solo restrittiva. Il governo conservatore inglese, che minaccia la deportazione degli immigrati irregolari in Ruanda, nel 2022 ha regolarizzato oltre mezzo milioni di nuovi arrivi – a fronte dei 90 mila italiani. La Francia, che ha semplificato le procedure giudiziarie per l’espulsione degli indesiderati, ha creato corridoi di regolarizzazione semplificata nei settori produttivi e di servizi a carenza di manodopera.
In Italia il calo demografico è più accentuato che in Gran Bretagna, Francia e Germania, e tuttavia non ha una politica di compensazione attraverso una immigrazione regolarizzata qualificata (rispondente ai bisogni): l’immigrazione resta irregolare, casuale, poco o nulla qualificata, regolarizzata ex post, per numeri sempre insufficienti, e casualmente – un continente semi-sommerso, poco o nulla produttivo.
Per i prossimi quindici anni l’Istat certifica, sulla base delle nascite degli ultimi quindici anni, una diminuzione della popolazione in età lavorativa, tra i 15 e i 64 anni, di cinque milioni – il 13 per cento del mercato del lavoro. Mentre solo per attuare i progetti del Pnrr sarebbero necessari quest’anno e il prossimo 375 mila lavoratori in più – secondo una prospezione della Banca d’Italia. In aggiunta a quelli che ormai da un anno e mezzo mancano nei servizi alla persona – ristorazione, accoglienza, collaborazione domestica – e in agricoltura, sia braccianti che operai qualificati (allevatori, trattoristi, etc.).

Berlino in cerca di immigrati

Dall’opposizione cristiano-democratica la politica di attivazione dell’immigrazione che il governo del cancelliere socialista Scholz persegue è criticata come limitata: i Popolari tedeschi spingono per la creazione di un’Agenzia federale per l’immigrazione. Che operi per reclutare “attivamente” lavoratoti qualificati stranieri.
È prossimo il varo a Berlino del pacchetto legislativo predisposto in primavera per una politica attiva dell’immigrazione. Sul presupposto che il paese ha bisogno di “più lavoratori qualificati”, da “stabilizzare più rapidamente”, per averne accertato “un bisogno urgente in molti settori produttivi”. Le nuove norme renderanno “più agevoli i ricongiungimenti familiari”, quasi automatici – com’era l’uso nei apesi anglosassoni. E semplificheranno le procedure amministrative per la residenza e i permessi di lavoro.
La coalizione di governo, cosiddetta “semaforo”, rossa, verde e gialla, socialdemocratica, verde, liberale, è compatta E anche l’opposizione cristiano-democratica, guidata da Friedrich Merz, concorda su questo punto. Per la destra al governo, i Liberali del ministro delle Finanze Lindner si limitano a chiedere che l’immigrazione sia “controllata” - ma riconoscendo il “cambiamento demografico”.

L’immigrazione è attrazione, non invasione

L’Oim-Onu, l’organizzazione internazionale per le migrazioni, definisce la rotta del Mediterraneo “la più pericolosa al mondo” per le ondate migratorie, calcolando in oltre duemila l’anno i morti nei venti anni del millennio. Una stima che precisa essere “minima”, o al ribasso. Non tenendo cono cioè dei migranti morti nell’avvicinamento alla costa mediterranea, nei trasferimenti o nelle lunghe attese, spesso in campi di vera e propria detenzione.
La stessa organizzazione valuta il fenomeno migratorio inarrestabile, in conseguenza dei processi di urbanizzazione e proletarizzazione accelerati in corso da un paio di decenni in Africa e in Asia meridionale - nonché in alcuni paesi dell’America Latina, il Perù in primo luogo, l’Ecuador e l’area caraibica.
Nel quadro statistico-demografico dell’Organizzazione, il movimento migratorio non è solo di espulsione ma anche di attrazione: l’Europa occidentale e il Nord America sono aree di attrazione “naturale” per via del “inverno demografico”, della denatalità. Dall’effetto tanto più pronunciato in quanto si produce in aree di forte intensità produttiva.
In questo quadro, perfino un paese a grande popolazione come la Cina comincia a soffrire di mancanza di manodopera.

La Germania fa da sé

Volkswagen, Siemens, Basf e molti altri gruppi tedeschi moltiplicano gli investimenti in Cina nel dopo-covid. I maggiori con l’obiettivo di diventare “gruppi cinesi per la Cina”, cioè per il mercato cinese.
Per i tre gruppi citati il radicamento viene spiegato e promosso dai capi azienda, come piano strategico. Il decoupling che l’amministrazione americana richiede nei confronti della Cina viene attuato nel senso che la produzione la produzione tedesca in Cina si vuole cinese – una sorta di decoupling aziendale.
“La Cina diventerà una seconda sede mondiale del gruppo Volkswagen”, secondo i responsabili della casa di Wolfsburg: “Non indeboliremo la nostra posizione in Cina esclusivamente per motivi politici. Lo stesso per Ronald Busch, il ceo di Siemens. “Siamo un’azienda locale in molti mercati. Produciamo localmente per i mercati locali, sia negli Stati Uniti che in Cina”. Lo stesso il per il ceo di Basf, il gruppo chimico: il mercato cinese “rappresenta già quasi il 50 per cento del mercato globale del nostro gruppo” ed è un’economia “molto dinamica”.
Con la Russia e con la Cina la Germania marcia come vuole il governo americano, ma “con juicio”. Mantiene in vita, con le assicurazioni appena rinnovate, e con la manutenzione per la tratta in mare, il NordStream 2, la gigantesca condotta di gas dalla Russia, anche dopo il sabotaggio fatto operare da Biden - la condotta è praticamente nazionalizzata, avendo Berlino rilevato le quote del socio russo, Rosneft, e nazionalizzato Uniper, il socio tedesco. E i carri armati Leopard 2 che ha deciso di fornire all’Ucraina ha limitato a un reggimento,  tre compagnie carri da 6 – un supporto simbolico, poco utile  militarmente, tanto più considerando che un reggimento carri si ritiene operativo quando ne funzionano 12 su 18 (il tank è un mezzo sensibile, nell’elettronica, la meccanica, i cingoli).

Le bombe della liberazione

Cosenza “celebra” con alcune ricerche e un convegno i bombardamenti americani del 1943, benché città e comprensorio di nessun interesse militare. Questo il comunicato di Editoriale Progetto, che edita gli studi e li presenta, di eventi ignorati dai più e comunque rimossi, benché con molti morti e molti mutilati.
Lunedì 12 aprile 1943 Cosenza veniva bombardata dagli aerei americani; in quella incursione morirono 75 persone, tra cui 5 scolari che uscivano dalla Scuola elementare dello Spirito Santo. La morte arrivò dal cielo e nuove incursioni aeree colpirono la città con altri lutti e feriti.
Nella storia recente di Cosenza, non c’è data come quella di lunedì 12 aprile 1943 che possa raccontare un episodio più drammatico; nessun cosentino avrebbe mai pensato che in un giorno di primavera dal cielo piovessero bombe e morte. Nessuno fu risparmiato, dai più piccoli agli anziani, ai negozianti, agli artigiani a quelli che lavorando alle ferrovie, erano tutti intenti a trasportare le persone dalla città capoluogo ai vari paesi che fanno da corona a Cosenza.
“C’era anche un circo equestre che aveva montato le sue tende nei pressi del Crati, per strappare un sorriso a chi poteva comprare il biglietto per lo spettacolo. Poi dall’azzurro del cielo… il nero della morte, la distruzione, case bruciate, vite spezzate o mutilate, niente più come prima.
“L’orrore della morte che veniva dal cielo si ripeterà per altri 150 giorni; la brutalità della guerra non risparmiò i luoghi della cultura e finanche ospedali, orfanotrofi, conventi e chiese”. 
 
Le notizia della guerra in Ucraina danno conto di morti qua e lì, sotto i missili, una dozzina qui, una dozzina lì, talvolta anche bambini, e sembra una catastrofe. E lo è. Ma sono poca cosa a fronte dei bombardamenti che una semplice città, non al fronte, non base o obiettivo militare, nella remota Calabria, come già in Sicilia prima dello sbarco, e dopo, ebbe a soffrire.
La storia dei bombardamenti, che non si fa, è peraltro solo una piccola parte della storia della Liberazione che non si fa. E dei successivi, anche attuali, assetti internazionali, specie dell’Europa.

Le bombe dell’intelligence

Due racconti d’avventure senza avventure. Due feroci parodie. “Il principe Racoczi” del solito intrigo di terroristi e spie a Ginevra. “Il capitano misterioso” del compotto, per sentito dire: dell’avventura che nasce in piazza, basta uno sconosciuto che l traversi in macchina, una “piccola vettura” che si fa vedere “ogni giorno e proprio durante l’ora più calda; o per meglio dire la si sarebbe potuta vedere, se ci fosse stato qualcuno fuori di casa” a quEll’ora.
Il primo racconto, di bombe che viaggiano fra spie, terroristi, e e zii ignari, prende un po’ di sale come parodia dell’esperienza che Pizzuto stesso ebbe a vivere come funzionario del Quirinale addetto alle riuonini periodiche dei servizi internazionali di sicurezza: una presa in giro della intelligence (sic, già allora) – di cui ora si fa invece grande spolvero, come di una scienza, ci sono pure corsi univevrsitari appositi.  
Due racconti del primo Pizzuto, 1949-1950, quando ancora non aveva sposato l’incomunicabilità – il romanzo delle parole, dei suoni più che dei singificati (“La Signorina Rosina” e seguenti). Ma già corrosivi. Demistificanti dello
storytelling, destrutturanti. Pizzuto ancora non si prendeva sul serio – non erano ancora anni di avanguardie lettearie, di demolizione del testo.
I due racconti sono stati esumati dalla figlia Maria. Il primo era uscito in “Mediterranea”, Almanacco di Sicilia, 1949 (un volume di 632 pagine, molto illustrato, strenna del Banco di Sicilia), il secondo nello stesso almanacco, l’anno dopo. Entrambi sotto lo pseudonimo di Sallino Sallini, che è una storia a parte – è il nome di capobrigante italo-boemo, di un romanzo tedesco di spiriti e ladroni di metà Ottocento.
Antonio Pizzuto, Due racconti di Sallino Sallini, All’insegna del pesce d’oro, pp. 69 (maremagnum) € 15)

martedì 4 aprile 2023

Il nanismo industriale italiano, meno produttivo, meno retributivo

Sempre meno addetti nell’industria metalmeccanica, il cuore del settore industriale, meno pagati. È il tratto dell’Italia al semplice confronto, sindacale (Fiom-Cgil e Fim-Cisl), con la Germania.
Gli occupati nel settore erano nel 2020 in Germania 4.769.000, contro i 1.943.000 in Italia. Dove ogni metalmeccanico aveva lavorato in media 1.553 ore, contro le 1.389 di un metalmeccanico tedesco – 164 ore in più, quasi un mese di lavoro. Con una produttività ben superiore in Germania: 57 euro di valore aggiunto per ogni ora di lavoro in Germania, 39 in Italia.
Una produzione, in Italia, meno qualificata. E – perché – parcellizzata. Cioè con investimenti in macchine e tecnologie inferiori, e retribuzioni inferiori. “La composizione dimensionale delle aziende” vede in Italia “principalmente aziende medio piccole (“in media 11 dipendenti in Italia contro 42 in Germania”).
La ridotta dimensione aziendale ha effetti anche sui premi di produzione. La ricerca Fim-Cisl, su un campione di 867 aziende, con 288 mila dipendenti, cifra un premio medio nel 2022 di 2.171 euro. Ma con una grossa differenza, quasi di due a uno, fra i 2.470 euro delle imprese con più di 600 dipendenti, e i 1.272 delle imprese con meno di 100 dipendenti. Il nanismo dimensionale è un freno agli investimenti, e anche alla crescita salariale.

Folli rese dei conti alle feste comandate

Un numero straordinario di attori di richiamo per “santificare” le feste comandate, Natale, Capodanno, San Valentino, 8 marzo. Un film a episodi: quattro storie in agrodolce, che i due registi, soggettisti, sceneggiatori, attori si sono divisi equamente, di liti furibonde, tradimenti complicati, femminismi esasperati, e un Capodanno magistrale, sulla traccia di “Andare verso il popolo”, di Moravia dei “Raconti romani”.
Non si ride, ma si sorride, non c’è angolo riposto di abitudini, modi di fare, modi di dire, pregiudizi, presunzioni, per quanto scervellato e masochista, che non sia dispiegato. Di felice inventiva lessicale e psicologica. In dialoghi svelti, informati, minuziosi, delle abitudini quotidiane, dei vizi si direbbe – il Bruno no-wax del santo Natale non si perde una piega.
Programmato per Capodanno, può avere guastato le feste di molti – non se ne sono fatte molte recensioni, non laudatorie. Che però sono affluiti lo stesso in gran numero, a credere alle cifre degli incassi. Una vecchia formula del cinema italiano forse sempre vitale.
Edoardo Leo-Massimiliano Bruno,
I migliori giorni, Sky Cinema

lunedì 3 aprile 2023

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (520)

Giuseppe Leuzzi


Sudismi\sadismi
Il giornale “la Repubblica” dice che il governo è in difficoltà con la Ue sulla realizzazione del cosiddetto Pnrr. E illustra la cronaca politica con una grande vignetta, firmata Ellekappa, che ne fa una questione meridionale, cioè di corruzione: sotto il titolo “codice d’onore” un imbonitore assicura: “miliardi e miliardi di appalti senza gara, senza una minchia di controlli...”, davanti a molte braccia protese, “Pnrr cosa nostra è”, “Amici siamo…”, “Povero picciriddu, ti aiutiamo noi a spenderli…”. Poi dice che il razzismo non c’è – a sinistra, che “la Repubblica” presidia, non solo nella Lega.
 
Lo stesso giornale sullo stesso tema dà spazio al sindaco di Milano Sala, “che chiede che i fondi (del Pnrr, n.d.r.) si diano «a chi sa investirli», come la sua Milano appunto”. Con l’aggiunta: “A volte sembro un provocatore – ammette Sala – ma non lo sono”. È uno che passa per alfiere di sinistra, progettava di farsi segretario del Pd, venendo dai ranghi di Letizia Moratti, che lo fece manager. Ma questo è solo per confermare che il razzismo non ha colore.
 
Devoluzione legale al Sud – diversamente colpevole
In attesa della devoluzione (“autonomia differenziata”) di Calderoli per il Sud, c’è già, da un decennio, un diritto penale speciale per lo stesso Sud: colpevole fino a prova contraria. Non un diritto, una giurisprudenza - ma è la stessa cosa: né il Parlamento né l’opinione pubblica osano mettersi di traverso.
Solitamente il diritto agisce in senso opposto: si è innocenti fino a prova contraria – il delitto va provata. A Sud da provare è l’innocenza.
La prima garanzia d’innocenza a cadere, spiega Barbano ne “L’Inganno”, è stato l’indizio della illiceità della ricchezza, del patrimonio accumulato da una persone, quando si decise, trent’anni fa, che non è più necessario che sia “notevole”: chiunque può essere perseguito per arricchimento illecito. La seconda è stata, da quindici anni, la confisca del patrimonio di una persona senza più una sua condanna, e nemmeno un rapporto di polizia che ne adombri la pericolosità sociale: si può confiscare tutto come si vuole, a giudizio dei prefetti – le polizie si limitano a portare le pezze d’appoggio, anche falsificandole. Il terzo è la “confisca di prevenzione retroattiva”, anche dopo la morte dell’indiziato, anche “a distanza di decenni”. “La terza (in realtà la quarta, n.d.r.) garanzia abolita è quella che circoscrive il perimetro della mafiosità…. Se i tribunali ordinari hanno esteso la colpevolezza dalla partecipazione organica alla mafia al concorso esterno, inventandosi di sana pianta un reato che il legislatore non ha mai scritto, i tribunali di prevenzione hanno esteso la pericolosità del concorso esterno a una contiguità generica sondata con gli strumenti della sociologia. Così nel giro di pochi decenni sono arrivati a confiscare beni agli incensurati, agli assolti perché il fatto non sussiste, alle vittime della mafia sottoposte al ricatto del pizzo, ai terzi in buona fede, fino agli eredi ignari” – “l’assoluzione non esclude la confisca”. C’è di peggio della mafia?
 
Il giudice meridionale ha molte sorelle
Una (simpatica) macchietta Tina Pizzardo, l’ex musa di Pavese, fa nelle memorie, “Senza pensarci due volte”, pp. 219-221, del giudice mandato a Torino da Roma, dall’Ovra secondo le badanti carcerarie, la polizia segreta di Mussolini, a giudicare il Gruppo di Giustizia e Libertà arrestato il 15 maggio 1935. Tina ha passato “più di un mese in carcere” quando la chiamano “dal Giudice istruttore”. Che nel vederla ha “un moto di meraviglia, di delusione”. Di cui si farà questa ragione quando saprà, alla liberazione, che ognuno degli altri tre arrestati, perché in collegamento con lei, aveva detto “che frequentava casa mia perché innamorato di me”. Da qui la delusione del giudice, non essendo Tina la “donna fatale” che si aspettava - anche perché vestita come al momento dell’arresto, da maestra che va a insegnare dalle suore, “in classica camicetta banca e severissimo tailleur grigio-ferro”, da orfanella diremmo noi, risultato “una vivace e schiva zitella un po’ mascolinizzata”. Inoltre, dopo tanto carcere, con i capelli cresciuti e arruffati, tenuti a bada in treccine legate con lo spago. Ma, sorpresa, presto “il moto di meraviglia è seguito da un’espressione di sollievo”. E perché? “Il giudice, che è meridionale, diffida delle torinesi seducenti, non di quelle occhialute con treccine”. E perché?
Tina s’inventa che, “avendo ormai trentadue anni”, è sembrata al giudice in seconda battuta una in cerca di marito. Convincendosi che quei tre li “tiene a bada per fare una scelta ponderata”. E questo lo ha commosso, il “giudice meridionale”: “Il Giudice deve avere una caterva di sorelle da accasare, perché consente con simpatia”. A tutto quello che Tina gli impapocchia. Le crede. Anzi, la consiglia: “Pavese è da scartare, un presuntuoso”, “Maffi deve essere un gran bravo figliolo, però ha troppa voglia di ridere e giocare, e non ha una posizione”. Il terzo, Henek, polacco, che Tina sposerà, è “l’unico serio, che da affidamento: un gentiluomo”.
L’istruttoria comunque le è andata effettivamente bene, Tina, che è l’unica perseguibile, i fogli antifascisti essendo stati trovati in casa sua, è prosciolta.
Il giudice non è vero - non dell’Ovra – ma fa un bel personaggio. Credibile malgrado tutto – malgrado le formule di rito (“Lei non sembra meridionale”).
 
Craxi e Berlusconi nascosti nell’agrumeto
Craxi e Berlusconi battevano la Piana di Gioia Tauro, soli, a piedi, tra gli agrumeti, nel 1978, per cercare voti e soldi della ‘ndrangheta. È un episodio della malagiustizia che Alessandro Barbano evoca in “L’inganno”, e vale la pena circostanziare.
Intanto, gli agrumeti c’erano, questo è vero, nel 1978. La notizia dei due pellegrini è invece del Sostituto Procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, comunicata a ottobre al processo in Appello per l’assassinio nel 1994 di due Carabinieri, Antonino Fava e Vincenzo Garofalo. Craxi e Berlusconi non c’entrano con gli assassinii, ha argomentato il Procuratore, ma sì per avere “insanguinato questa nazione tra il ’91 e il ‘94”.
Di Craxi e Berlusconi parla, nei documenti del giudice Lombardo, nel 2009, per sentito dire, un pentito poi morto, Gerardo D’Urzo. La stessa notizia è ripresa in un verbale del 10 marzo 2021 da un altro pentito, Girolamo Bruzzese, che 43 anni prima, quando aveva quindici anni, li aveva visti nell’agrumeto di un Peppe Piccolo, dove il padre latitante si nascondeva, con un Piromalli, capomafia di Gioia Tauro. Bruzzese ne sa di più, aggiunge infatti: “Alloggiavano, penso in incognito, all’hotel 501 di Vibo Valentia” – il “501”, da poco aperto, era diventato subito famoso per avere “rubato” Miss Italia, il concorso, a Salsomaggiore, roba di vamp. 
Per trovare “chi e perché ha insanguinato questa nazione tra il ’91 e il ‘94”, il Procuratore Lombardo ha chiesto una verifica, continua Barbano, il 3 marzo 2022, alla Direzione investigativa antimafia. Ricevendone sei mesi dopo un’informativa di 170 pagine, “in cui”, sempre secondo Barbano, “attorno alle vicende della ‘ndrangheta reggina è riscritta la storia d’Italia e del mondo dal dopoguerra a oggi”. Un capitolo s’intitola: “La politica estera filostatunitense e il suo declino: dal riformismo craxiano alla crisi di Sigonella”. Opera di un commissario capo dell’Antimafia, Michelangelo Di Stefano. Dove si afferma tra l’altro che “alcune lobbies di potere interno con frange deviate dei nostri servizi d’informazione avrebbero condizionato la rielezione del presidente uscente Carter, favorendo l’elezione di Ronald Reagan nelle presidenziali americane del gennaio 1981”. Le elezioni in realtà furono il 4 novembre 1980, ma non importa. È la teoria dello “Stato parallelo”, conclude Barbano, dello Stato-mafia.
Però, Craxi, alto uno e novantadue, e Berlusconi coi sopratacchi nell’agrumeto fanno una bella scenetta. Appiedati, a braccetto?, sperduti nella campagna - molta gente sa genericamente dov’è la Calabria, pochi dov’è Gioia Tauro, che comunque non ha agrumeti (gli agrumeti sono – erano – a Rosarno, altra ‘ndrangheta, niente Piromalli, e da tempo sono scomparsi per fare posto al porto, alle servitù del porto, e a un deserto di molti kmq., detto zona industriale). Con le scarpe inzaccherate, è da presumere, perché gli agrumeti vengono in zona umida. Ma se era primavera col profumo della zagara. Craxi, segretario da un anno o due del partito Socialista, non lo controllava, non ancora. Berlusconi, immobiliarista di riconosciuta abilità, aveva una tv cittadina, Telemilano, per abbonati via cavo entro la città, come la legge imponeva, che usava a scopo promozionale, per vendere Milano 2 che intanto costruiva. 
Non è il solo racconto meraviglioso di Barbano – di cui il sito si è giustamente occupato con approfondita recensione.
(continua)

leuzzi@antiit.eu

Cronache dell’altro mondo – monopolistiche (257)

Dopo Huawei, TikTok: l’amministrazione Biden ha messo sotto torchio l’amministratore delegato Shou Zi Ciu, accusandolo di raccogliere dati per il regime cinese sui suoi utenti americani – TikTok continua a essere l’app più utilizzata in America.
In alternativa, una legge si prepara per bloccare, per motivi di sicurezza, le app cinesi preferite dai consumatori e gli utenti americani, un Restrict Act, su iniziativa parlamentare Democratica. I due siti di vendite che si sono affermati sula scia di Alibaba, Shein e Temu, da quattro mesi i più utilizzati dai consumatori americani, provano a “denazionalizzarsi” per evitare il blocco. Shein, la catena di approvvigionamento più utilizzata, ha trasferito la sede prima a Hong Kong, poi a Singapore. Temu, la piattaforma specializzata nella fornitura di prodotti cinesi a basso e bassissimo costo, ha preso sede a Boston, e domicilio legale nel Delaware.
Gli Stati Uniti ripetono con la Cina la guerra commerciale condotta contro il Giappone a cavaliere del 1980. Allora la guerra era alle automobili e all’elettronica di consumo. In particolare, si ricorda per le videocassette l’imposizione come standard internazionale
dell’ingombrante VHS, invece delle compatte e eleganti cassette Sony.

La scoperta dei latynx a Miami

Un rifacimento che non ha nulla dei precedenti, né la passione del primo film, protagonisti Spencer Tracy e una giovanissima Liz Taylor, né del secondo, da ridere, con Steve Martin. Qui è un matrimonio tra latinx, come la nuovissima grammatica gender free li vuole, tra latino-americani, ma ben diversi tra di loro, cubani e messicani. Una sorta di ritratto sociale, del multiforme mondo latinoamericano in America.
Una storia più acre che lieve.  Su stereotipi, probabilmente, che però sono nuovi e quindi significanti. Un po’ come il “Grosso grasso matrimonio greco” portava sulla scena una porzione sconosciuta dell’America, presente ma ignota – e questo è curioso, poiché i latynx sono ben un 19-20 per cento della popolazione americana, e in Florida molti di più.
Una famiglia cubana e una messicana vengono a contato per un matrimonio. Con un Andy Garcia irriconoscibile, maturo architetto che si è fatto da sé, approdato negli Usa da Cuba ragazzino su un barcone, che si è mantenuto agli studi con lavori meniali, architetto a lungo senza clienti, e ora fra i più apprezzati, è il padre della sposa. Che si presenta all’improvviso fidanzata, da New York dove si è confinata, e anzi con un matrimonio da celebrare a breve, con un ragazzo messicano. Celebrare per modo di dire, senza chiesa, senza benedizione, senza niente. Un racconto del rapido avvicendamento di fedi e valori. Il finale è purtroppo hollywoodiano nella maniera più melensa, ma il ritratto comunitario, di due comunità, è apprezzabile.
Gary Alazraki, Il padre della sposa – Matrimonio a Miami, Sky Cinema

domenica 2 aprile 2023

Ombre - 661

“Mi è spesso stato chiesto”, dice Thatcher in un’intervista immaginaria ricostruita da Fulvio Cammarano su “La Lettura” con brani tratti dai suoi libri, “come ci si sentiva a essere un primo ministro donna.  Io ho sempre risposto: «Non so, non ho mai sperimentato l’alternativa»”. La domanda era maschilista? O femminista?
 
Il Corriere della sera” apre l’incriminazione di Trump, un fatto grave di diritto costituzionale e di scontro politico, in regime di libertà legale, con un’intervista alla pornostar che da alcuni anni ci marcia, proponendosi per interviste a pagamento ai giornali, e cause civili per danni - che inevitabilmente perde (ma agli avvocati a percentuale, contingency lawyers, sono in America falangi). Paghiamo il giornale per un’intervista pagata, a una pornostar, per una difesa della democrazia, e dei diritti delle donne? Per sprezzo del ridicolo, e del lettore?
 
Una ricattatrice mette a rischio la pace in America, e la stessa funzione democratica - nonché la pace razziale, il suo patrono essendo un giudice afro-americano – dopo essere stata rifiutata da altri tribunali. Si dice che la democrazia americana è in crisi, ma lo si dice da molto tempo. Da Nixon, da Reagan, da Trump. Minata da complotti a ripetizione. Da ultimo un Russiagate commissionato a una ex spia inglese dalla Fondazione Clinton. Di più lo è all’esportazione. Nel Kosov, in Afghanistan, in Iraq, in Egitto, in Libia – ma anche in Italia: pagava la Democrazia Cristiana, ha combattuto Craxi, ha spiato tutti i governanti degli anni Duemila.
 
Il giornale “la Repubblica” è angosciato per lo smashburger (?) di Bastianich, se è buono oppure no. Confronta, e fa confrontare dagli specialisti, quello servito a Roma all’apertura di apposito locale, con quello che si serve nel locale di Milano già attivo. Ma una volta, non molti anni fa, quando fu introdotto da MacDonald’s, l’hamburger non era cattivo – grassi, unto, puzze? E americano poi.
 
“È troppo rischioso tentare il furto nel corridoio principale della stazione” Termini, spiega lo stesso giornale, presidiato dalla polizia, “allora le giovani rom costrette dai loro mariti a rubare per mantenere la famiglia….”. Costrette dai mariti? A rubare “per mantenere la famiglia”? Si fa il giornalismo in clausura, nei conventi buoni?
 
Crozza ridicolizza Fitto che dice che alcuni progetti Pnrr vanno rivisti, altrimenti impraticabili, Nel mentre che da Bruxelles si fa sapere che già sono stati analizzate e approvate le prime revisioni predisposte da tre paesi (tra essi Francia e Germania, n.d.r.), e che quando l’Italia presenterà i nuovi piani, questi saranno valutati per la loro fattibilità. Il tema non è da ridere insomma. Nemmeno Fitto – se non per un difetto di pronuncia che Crozza involgarisce come difetto “meridionale”. Ma fa scompisciare il pubblico. Un pubblico del Pd? I giovani non sanno “un cazzo”, per parlare come Crozza? E per chi fa un comico allora la satira?
 
Nel 1991, a Londra, “al G 7 prevalse la linea degli Stati Uniti e del Regno Unito: l’Occidente si rifiutò di concedere a Gorbaciov un prestito intorno ai 500 milioni di dollari”, racconta a Montefiori su “7” l’ambasciatore Baldini, già consigliere diplomatico di Craxi. Al g 7 di Tokyo, due anni dopo, “l’Occidente che aveva rifiutato mezzo miliardo a Gorbaciov ne concesse sette a Eltsin”, per “attuare il mercato”. Eltsin che aprirà la strada alle mafie, agli oligarchi, e poi a Putin, l’inevitabile uomo d’ordine.
 
Agli ottant’anni, Baldini si concede qualche indiscrezione. Dopo Sigonella, “a palazzo Chigi l’ambasciatore americano Maxwell Rabb venne a parlarmi pretendendo che consegnassimo loro Abu Abbas, pur senza alcuna prova della sua colpevolezza. Al mio rifiuto Rabb mostrò i pugni dicendo: «La pagherete!»”.
 
Von der Leyen si accorda con la Germania per i motori a scoppio nell’età dell’elettrico. E con Macron per andare in Cina. Cioè? Meno male che non c’è più la Gran Bretagna: si sarebbe accordata con Sunak per il nucleare, o col re Calo III? Non è un’Europa a due velocità, non è niente.
 
“Bill Bryson, giornalista e scrittore statunitense, è autore del celebre libro ‘Una passeggiata nei boschi’, in cui svela paradossi e meraviglie dell’arte di camminare”. E si vede in fotografia camminare in campagna con le mani in tasca. Camminare con la mani in tasca? In campagna?
 
Sconcertato dalla Svizzera, che rimborsa gli azionisti (arabi) della banca fallita, ma non gli obbligazionisti, e dalle banche americane, un quarto delle quali non assicura i soldi dei depositanti, Ferruccio de Bortoli si chiede: “Perché le democrazie rappresentative non riescono a domare questi eccessi?” Come perché? Perché saranno pure rappresentative ma non democratiche – chi ha soldi si paga l’opinione con i media, e con i contributi volontari e le fondazioni quelli che fanno le leggi, parlamentari e governanti.
 
Pia Klemp, la comandante della nave “Louise Michel” adattata da Banksy al soccorso ai migranti nel Mediterraneo, sotto processo in Italia per traffico di immigrazione clandestina, è premiata a Parigi, così come già Carla Rackete, con un’onorificenza dal Comune di Parigi. Dalla Francia, cioè, che gli immigrati persegue a fucilate nelle Alpi Marittime, e tiene prigionieri in un lager a Calais. C’è molta ipocrisia in questa “avventura”, a danno soprattutto delle donne africane – arrivano più donne che uomini”, dice il medico di Pantelleria, “soprattutto gestanti”.

L’ultimo rigurgito rivoluzionario fascista

La rivoluzione che non ci fu. Delle masse al potere. In un’organizzazione gerarchica che le vedeva alla pari con gli iteressi capitalistici e imprenditoriali. All’indomani del grande crac del 1929. In una con le riflessioni che in Germania Ernst Jünger andava svolgendo e troveranno presto sbocco ne “L’Operaio”: l’unità sociale attorno al lavoro, alla manifattura. Il corporativismo.
Una rivoluzione mai tentata, se non formalisticamente in Italia. Anche irrisolta sul piano teorico. Ma felice com intuizione – e come tale vedrà una ripresa negli anni 1980, in Germania, Giappone  Stati Uniti, marginalmente anche in Italia, sempre sul piano teorico.
Il concetto si fa luce a metà 1930, in un volume celebrativo voluto da Mussolini, “Lo Stato mussoliniano e le realizzazioni del fascismo nella nazione”. “Gli unici saggi propriamente politici”, spiega Gentile, “e complementari, erano i primi due” del volume, “quello di Rocco sulla trasformazione dello Stato e quello di Bottai sullo Stato corporativo”. Il fascismo è lo Stato, argomentava il giurista. “Volendosi definire lo Stato fascista”, aggiungeva Bottai, “distinguerlo dalle altre forme dello Stato, già storicamente realizzate, si dice che esso è uno Stato corporativo”. Cioè, “uno Stato a composizione sindacale e a funzione corporativa, in quanto come Stato veramente sovrano intende adeguarsi alla società civile…., e come Stato avente scopi propri, distinti da quelli della società civile, ha per finalità permanente di creare attraverso la propria azione, e di realizzate storicamente, l’unità morale, politica ed economica della Nazione”.
Bottai era già ministro delle Corporazioni, ma la materia era – e resterà – ancora confusa. Ne tenterà su “Critica fascista”, che dirigeva, ripetutamente l’elaborazione. Ma presto vene a cadere l’appoggio politico, malgrado la costituzione, il 20 marzo 1930, del Consiglio nazionale delle corporazioni. Mussolini condivideva l’impostazione ma, spiega Gentile, “non si faceva illusioni sulla conversione degli industriali al fascismo  e al nuovo ordinamento della produzione, sotto l’egida dello Stato” - «anche se li copriamo di tessere – disse il duce commentando il rapporto del federale di Torino del 15 gennaio 1930 – non li dobbiamo credere fascisti; non accettano la concezione del Fascismo e meno che mai quella sindacal-corporativa”. Nel clima odierno, benché per più faglie scricchiolante, il corporativismo di direbbe un’aberrazione, “fascista”.
Emilio Gentile, Storia del fascismo – 13. Gerarchi, masse, popolo, GLF-“la Repubblica”, pp. 159, ill. € 14,90