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sabato 23 febbraio 2008

La Persia oltre il komeinismo

L’enunciato è rimasto purtroppo nelle intenzioni. Il fascicolo di “Aspenia” contiene una ventina di saggi sui vari aspetti della politica, dell’economia e della difesa dell’Iran khomeinista, e soprattutto su cosa dovrebbe fare Bush. Una monografia che può risultare utile per gli sviluppi della questione nucleare, e del terrorismo nel Medio Oriente. Manca però ciò che il titolo promette e sarebbe stato più utile. E che è forse solo l’intuizione di Marta Dassù, che dirige la rivista e ne fa il tema del suo editoriale: dopo trent’anni di khomeinismo, un regime autoritario duro, molto più di quello dello scià, l’Iran è quello di sempre, pio, nazionalista, spregiatore delle tribù arabe che lo contornano, oligarchico, la vecchia Persia.
Approfondendo il tema si sarebbero potuto dire, per esempio, che la Persia si caratterizza per il carattere popolare della sua cultura, anche nelle espressioni moderne, benché soffocata dal sottogoverno – periodicamente in Iran si vota, ma la politica oligarchica è corruzione, raccomandazione, cooptazione. O che l’alterigia persiana ha oggi più di un fondamento, considerando che i vicini arabi hanno perduto le possibili virtù del tribalismo e ne accentuano le perversioni. Compresi gli emirati che giocano alla libertà d’informazione esibendo speakerine coi capelli nelle tv mozzateste: capitalizzano per adescare i modernisti progressisti euro-americani alle multiproprietà (“la natura nel Dubai”…) e a titoli spazzatura.
Sarebbe anche il tempo di fare un bilancio del khomeinismo. Che se tiene sempre saldo il controllo dell’Iran, lo ha però sicuramente penalizzato. Questo lo sanno non solo i fuoriusciti di TehrAngeles – l’Iran ha la più forte diaspora d’intellettuali e capitalisti fra tutti gli Stati contemporanei – ma anche i bazarì rimasti, i commercianti, e ogni altro imprenditore e lavoratore. Aveva più titoli per essere la Turchia di oggi, ancorato in qualche modo all’Europa, ma ha la metà del reddito turco, e gioca alla potenza sull’Afghanistan polveroso della droga e sui deserti della penisola arabica. Il frazionismo vi è debole e il bonapartismo estraneo, ma l’insoddisfazione è lo stesso forte.
Il khomeinismo è ancora minaccioso. L’antica cultura è politica, e quella degli ayatollah era aggiornata già trent’anni fa alle sottigliezze di Machiavelli e alla dottrina della forza di Lenin. Ma è in crisi, avendo fallito tutti i suoi presupposti, per primo la confessionalizzazione, e riuscito solo la politica di potenza un po’ folle dello scià. La Bomba era il piano dello scià, uno dei motivi per cui fu abbandonato dall’America di Carter: diventare la sesta, o quinta, o quarta potenza militare mondiale. Come fonte di energia l’Iran avrebbe riserve sterminate di gas nel Golfo, che evita di mettere in produzione. Ma non ha altra arma. Anche perché, bisogna dire, dal terrorismo islamico sono cospicuamente assenti gli ayatollah, come uomini, come dottrina, e come mezzi logistici.
Il potere è confessionale, caso unico al mondo. E l’antioccidentalismo è l’unico valore culturale che esprime. Che però non sa imporre, nemmeno proporre: la “Persia dietro l’Iran” non lo riconosce, non ci crede. È peraltro più antieuropeo che antiamericano: l’inglese degli ayatollah è americano, dell’America l’Iran riconosce la potenza. È uno dei regimi più sanguinari al mondo, poiché condanna a morte ogni anno 5-600 persone, anche oppositori politici, donne e bambini, e le esecuzioni esibisce in tv. Anche questo la “Persia dietro l’Iran” risente con astio, come una vergogna imposta .
“La crisi dell’islam” di Bernard Lewis è stato pubblicato nel 2003, cioè nel dopo 11 Settembre, ma viene da lontano, dall’avvento di Khomeini, e resta incontestato. Il khomeinismo fa la prova del nove della crisi dell’islam: se è l’islam al governo, allora è il fallimento dell’islam.
La Persia dietro l’Iran, “Aspenia” 1\2008, pp. 277 € 12

Risparmiateci le mogli, ancorché vedove

C’erano i figli, di Segni, La Malfa, Fanfani, D’Alema, Cossiga, Craxi, Bossi. E i fratelli, di Pecoraro Scanio. Ora ci sono, a sinistra, le mogli, di Bassolino, di Fassino. Meglio se vedove: di Calipari, D’Antona, Tarantelli. E le sorelle, Borsellino, Falcone, che tra l’altro hanno tradito il solido conservatorismo dei fratelli morti. Che la sinistra continua a voler cavalcare: per un gesto virtuoso, quello di Mastella, che rinuncia a candidare la moglie, ecco Pannella, che vuole al Parlamento le vedove di Welby e Coscioni. Sembrano gesti cavallereschi, e invece sono maschilisti: le vedove e le sorelle dovrebbero rifiutarsi a queste strumentalizzazioni. Sono anche indice di un familismo e un mortuarismo che stridono con la sinistra.

L'imposta del sale?

Ci fanno pagare il parcheggio in strada, poco meno del parcheggio privato. Incamerano quest’anno il saldo dell’addizionale Irpef dell’anno scorso e un anticipo di quella del 2008. Impongono la revisione onerosa dei coefficienti castatali, della prima casa inclusa, per moltiplicare l’Ici, e sui nuovi coefficienti si accordano per chiedere cinque anni di arretrati. Le trovate si moltiplicano ogni mese, e la lista dei Comuni sanguisuga prende la metà dei Comuni italiani, i Comuni compagni.
Il federalismo fiscale ha avuto un’accelerazione catastrofica: i vecchi balzelli si gonfiano, nuovi se ne inventano. Alla radice dell’indisponibilità del reddito, e comunque della scarsa propensione a spendere che affligge l’Italia da un quindicennio, della paura, c’è il Comune. Alla radice anche dell'inflazione, più della benzina, essendo spesa irrinunciabile. A partire dall’Ici, l’infausta patrimoniale sulla casa, introdotta surrettiziamente nel 1992 per difendere l’Italia dai raid del pirata Soros, nume di questa sinistra. False tariffe, che invece sono imposte. E sarebbero false anche come imposte di scopo. Ci sono imposte locali sulla luce e il gas, e perfino sul bollo di circolazione. Non fisse ma percentuali, e quindi in ascesa col carovita. L’acqua del rubinetto costa a metro cubo più della benzina, la quale costa moltissimo. La Tarsu sulla seconda casa, che sia abitata almeno due mesi l’anno, cosa quattro euro a sacchetto.
Napoli vuole un ingresso per entrare ai “giardini storici”. Anche Caserta per il parco della Reggia. Sulle Alpi s’introducono dei ticket per i posti panoramici. La fantasia fiscale non manca. A Milano si paga per entrare in città, e questa è una novità assoluta, anche perché quel Comune è di destra. A meno che non sia un’anticipazione delle Larghe Intese. Nel qual caso si potrebbe qualificare la misura quale effettivamente è, un dazio. Estendibile, anche se è un ritorno all’antico, alle derrate alimentare, al vino, allo zucchero, e al sale che tanta storia d’Italia ha fatto.

I paradossi della sanità

La sanità è la grande malata in Italia – non solo in Calabria, bisogna dire. Spende un’enormità, i soldi non bastano mai, ogni anno le Regioni sono alla rincorsa del pareggio, e costringono il governo a nuove “manovre”, cioè a nuove tasse. Ma molti segreti di questa scostumatezza sono evidenti, se ci fosse una Corte dei conti in Italia – ce n’è una, ma solo di nome -, o dei semplici tribunali, troppe cose sarebbero da chiedere. Alcuni esempi.
Perché un ricovero in un ospedale privato costa la metà che in quello pubblico? Per esempio
a Roma in quelli del papa famigerato, che offrono pure prestazioni d’eccellenza, il Bambin Gesù o il Policlinico Gemelli? E non si parla di pochi soldi: un ricovero, la sola pensione senza farmaci ne chirurgia, peraltro in stanze da quattro-sei persone, va sui cinquecento euro al giorno.
Perché le tariffe delle analisi di cui in Italia si sovrabbonda, i ticket, sono così remunerativi che
un vero e proprio ramo d’industria è sorto in vent’anni per sfruttarlo, di ambulatori di sole analisi, pieni di signorine e di dottori, senza code, senza sporcizia? Mentre negli ospedali gli stessi ticket non bastano a pagare i costi base, anche con un solo sportello dalle file interminabili, e senza mai fare le pulizie?
Perché nella sanità in genere si guadagna tanto che gli ambienti sono sempre puliti e ristrutturati, le attrezzature aggiornate, il personale riqualificato, e nell’ospedale che sempre ha bisogno di manovre aggiuntive invece no, e ci vuole una legge speciale per pittare gli ingressi?
Dice: lo sappiamo tutti che nella sanità pubblica si ruba. E allora?

Secondi pensieri (10)

zeulig

Ateo – Non è speculare al credente, ne sa di più. Si crede per fede, si è atei convinti.

Cambiamento – Più che ridere o piangere è il proprio dell’uomo: la curiosità più della passione.

Classico – È ciò che sconfigge il tempo, si dice. Anche Hitler dunque? O non è il senso comune? Ogni epoca ha i suoi classici: i classici cioè sono i segni del tempo, sua trasposizione.

Comunicazione – Latita straordinariamente nella molteplicità delle immagini e dei messaggi, così ampiamente diffusi tra le masse atra verso i tre canali: cellulare, computer, e tv, via etere, via satellite, via cavo, coi loro intrecci e le innumerevoli estensioni. L’information technology è nata con la connotazione del bisogno dell’inutile. Che si rivela forte e non debole quale appare. Mai marketing ha potuto essere così aggressivo, e il ciclo dell’obsolescenza-ricambio così breve, quasi mensile. Con costi di manutenzione in esclusiva che impongono la sostituzione. Con l’ausilio di Autorità di controllo del mercato che invece sono d’ausilio (assolvono e ripagano).
Nelle società ricche (mature) e nelle altre: s’impone un’economia che non è gestione della penuria ma moltiplicazione dei bisogni. In forma di sudditanza, per l’evoluzione tecnologica che consente un marketing spietato. C’è un monopolio dei consumi in quanto compulsione incontrollabile, lo shopping, anche se non giuridicamente rilevante. Che elimina la possibilità di capire e calcolare: la moltiplica dei modelli, delle tariffe e dei gadget riduce il potenziale logico.

Cristo - È un po’ vantone (“in verità, in verità vi dico”, “sono venuto a portare la guerra”, eccetera), nient’affatto modesto.

Decadenza - È triste, e irresistibile. Perché è un sentimento e non un fatto, è un meccanismo interno: una guerra di se stessi a se stessi. Un’aggressione esterna porta generalmente una reazione, o comunque una consolazione: in qualche modo ci si ritiene nel giusto. La tristezza, la depressione, l’Angst sono l’equivalente del tumore: è organismo interno che deperisce contagiosamente, he si rompe in qualche punto e reagisce aggredendo il resto di se stesso.

Forza – È degli stupidi soprattutto, e dei folli.

Gioco - È sempre perdente. Massimamente al casinò, al betting with no odds.
Si vince soltanto, ipoteticamente, contro gli altri: la Schadenfreude è l’altro aspetto del gioco.

Genitori – I figli devono loro molto. La tristezza tutta.

Libertà – La libertà è il suo stesso limite, il limite della libertà. Che va applicata anche a chi la combatte.

Male – È molto più dell’illegalità. È questo che fa il limite – o l’attrattiva – del giallo? La malvivenza (furto, violenza, corruzione) sarà u cinque per cento, un dieci, del male che ognuno incontra nella vita, a opera della natura, malattia compresa, nel lavoro, negli affetti, in se stessi.
A fronte del male l’illegalità, assassinio compreso, è quasi un sollievo.

A volte lo crea il bene, sotto le specie degli affetti, della buona azione. È in questo caso il più terribile. È imbattibile, pena l’annientamento.

Occidente – È la cultura della decadenza, il culto del passato, della rovina, della morte. Dappertutto altrove invecchia e muore la natura, ma non la cultura.
È l’effetto del movimento a freccia, che il bersaglio intermedio sia fallito o sia centrato: c’è impazienza per il passato, che si vendica. L’Occidente è un arciere in corsa affrettato, che si vendica: capisce poco.

Piacere – È il presente – l’uso, il gusto, del presente.

E' tema settecentesco, della libera intellettualità di corte. Della libertà cioè come l'aveva modellata Luigi XIV, applicata alle cose inutili.

Proust – Il libro è un mostruoso diario adolescenziale.

È l’ultimo lirico. È realista ma lirico: il ricordo è materia lirica – onirica, fantasmagorica, ma con impianto lirico.
Apprezzabile in quanto evita le fumisterie esoteriche del Fine Secolo e del suo mondo, Montesquiou, Laure de Chevigné, Anna de Noailles, la contessa di Greffhule, l’imperatrice Eugenia…

Va per tipi, o archetipi: la duchessa, il duca, il bambino, la zia, la cocotte, la gelosia… Che fanno la storia, ma senza immaginazione (scarti) e quindi senza residui: gli si dà ragione, senza soffrire, né appassionarsi.
È maestro della psicologia costruita. Della psicologia in quanto disciplina, medica, filosofica. Sistemica.
Della società che non è e non fa. Immune anche all’amicizia, come a ogni passione. Tenuta insieme dall’autostima, o disprezzo del mondo, fuori del quale pure non si sa vivere. Nelle forme, certo, dell’empressement (la Sorge) e della gentilezza, della buona educazione.
Il male che ha fatto all’amore con le fanciulle in fiore, che invece, se sono belle come ogni germoglio che cresce, sono realiste (calcolatrici, furbe, reticenti), come le trentenni, o quarantenni, anzi di più, è in realtà colpa di Kleist e gli altri folli tedeschi.

Rivoluzione - È solo occidentale. È il cristianesimo, il messianismo compiuto. La guerra di Cristo è il dovere del paradiso in terra.

Santi – Sono grandi distruttori, delle anime che poi salvano.

Usano il fermo immagine, si fissano in una posa: grandi semplificatori.

Scrivere - È vizio innocuo perché è arte immutabile. Non solo per l’alfabeto, anche per gli stilemi. Anche la grafica, e le modalità tecniche, sono sempre le stesse. Pensare non si fa più alla stessa maniera, scrivere sì: una minuta variazione della grammatica o della sintassi prende secoli. È peer questo rassicurante, e vizio diffuso malgrado le storie della letteratura.

Storia - È la natura degli uomini, benché incarnata – ma l’incarnazione è per gli uomini solo naturale.

Tradizione - È rivissuta liricamente e in questo tradisce l’ermeneutica, di cui pure è il pilastro. Può essere tragica, giocosa, icastica, neutra.

È sempre divisa, anche con asprezza. Il ritorno non unisce: si ritorna a un altro se stesso, s’irrobustisce quello in cui si crede, fondandolo, o circondandolo, con la tradizione.
È sempre esclusiva. Tanto più per essere personalizzata.
È coltivata, non è un atto di nascita anagrafico, è costruita.

Nella tradizione si è sempre estranei.

Viaggiare – Si viaggia sempre disordinatamente - è dopo che si stabilisce un piano, nei ricordi, nelle foto, nei libri di viaggio. Per un bisogno d’interruzione. Dei in esilio esistono, ma solo nello scanzonato Heine, il caro Henri: scappare è prerogativa dell’uomo. Condivisa coi gatti.

zeulig@gmail.com

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (15)

Giuseppe Leuzzi

Nord. La tramontana è certo meglio dello scirocco, il vento di borea, aquilone.

Suscita orgoglio, certo mal riposto, lo studio della Commissione parlamentare antimafia che vuole la ‘ndrangheta la maggiore organizzazione criminale d’Italia, e quindi presumibilmente d’Europa – solo l’Italia ha le mafie, giusto? E anzi la controllora del mercato mondiale della droga. Gli stessi giornali ne riferiscono con malcelato rispetto, che accasciano la Calabria di ogni turpitudine. È un segno di vita. I calabresi erano statutariamente: 1) impiegati dello Stato, anche ora che il decoro non paga più, 2) alla caccia perpetua di un posto, della raccomandazione. Questa ‘ndrangheta così rappresentata, seppure violenta, invece è: 1) democratica, basta vedere i ceffi che ne sono a capo, 2) modernizzante, a suo agio tra regolamenti comunitari, regolamenti degli appalti, circuiti finanziari mondiali, 3)capitalista, poiché investe e non sperpera, né tesaurizza.

Se Provenzano è un confidente
Il boss Provenzano confidente dei carabinieri? Si saranno voluti divertire in esclusiva con i “pizzini”, dato che molti li trovano molto divertenti, il genio siculo anzi ne ha fatto un genere letterario. Ma non è fantamafia per chi vive la mafia, ed è il filo della richiesta di giudizio il 4 febbraio per il prefetto Mario Mori, ex generale dei carabinieri, e il colonnello dei carabinieri Mauro Obinu. La richiesta del pm Di Matteo è la seconda o terza in tal senso della Procura di Palermo. La prima accusa, dei pm Ingroia e Prestipino, era contro Mori e il capitano dei carabinieri Sergio De Caprio (“Ultimo”) per la mancata perquisizione il 15 gennaio 1993 del covo dove Riina fu catturato. Per questa accusa c’è stato il rinvio a giudizio, il 18 febbraio 2005, ma derubricando il reato da favoreggiamento aggravato a favoreggiamento semplice, che consente il processo con un solo giudice, senza collegio giudicante. Il 18 gennaio il giudice monocratico ha fissato l’udienza per il 18 luglio, per la quale data il reato sarà prescritto.
Il nuovo procedimento si è aperto sulla accuse del colonnello dei carabinieri Michele Riccio, che aveva apprestato a mezzo dei suoi confidenti la cattura di Provenzano il 31 ottobre 1995. Secondo Riccio, Mori e Obinu non arrestarono Provenzano né allora né dopo, né indagarono i due capi mafia che servivano da collegamento per Provenzano, Giovanni Napoli e Niccolò La Barbera. La Procura gli ha creduto e dunque la verità è questa: Provenzano era un confidente migliore di quelli di Riccio, perché ha consentito la cattura di Riina. Per questo motivo il covo di Riina non è stato perquisito, per non trovate tracce che impedissero a Provenzano un’altra dozzina d’anni di aria.

Riccio proveniva dalla Dia di Genova, dove aveva riempito di armi il comignolo di Carmelo Romeo, muratore calabrese di Roghudi emigrato a Sarzana, e il 31 maggio 1994 aveva eseguito un’irruzione a colpo sicuro, scoprendovi un mitra Parabellum, un fucile semiautomatico a canne mozze, una Beretta semiautomatica calibro 9, una calibro 7,65, una carabina, molti pacchi di proiettili. Le armi aveva fatto nascondere da un suo confidente, per accreditare Romeo come capo-‘ndrangheta e se stesso come abile investigatore. Ma due marescialli lo tradiranno dopo qualche anno, Giuseppe Del Vecchio e Vincenzo Parrella, una volta che saranno stati condannati a 14 e dieci anni per traffico di droga, quella sequestrata con cui pagavano i confidenti: la Dia di Genova era il luogo dello spaccio gratuito. I due sottufficiali circostanzieranno che le forniture di droga e armi erano normali negli anni di Riccio, benché non ortodosse, per creare delle carriere.

Si potrebbe farne un film d’azione. O un giallo alla Simenon, i cui i buoni sono solo più forti. Per un po’ di tempo, un anno o due.

Ci sono rapporti (relazioni di servizio) dei CC o della Polizia anche su come e quantunque la Procura di Palermo sia anch'essa colpevole, soprattutto per essere divisa. Grosso modo, la divisione è sulla linea investigativa di Falcone: imputiamo reati che possiamo provare e otteniamo delle condanne, solo le condanne sono dirimenti. La linea dei mammasantissima dell’antimafia, Caselli, Lo Forte, Spampinato, Ingroia è invece: imputiamo il massimo che possiamo imputare, la condanna è già nelle imputazioni. Si è così arrivati ai processi Contrada, Andreotti, Mannino, Musotto, Cuffaro. Ma non si tratta solo di filosofie. I magistrati di “Micromega” sono durissimi con gli stessi magistrati della linea Falcone, ai quali periodicamente addebitano, anche scopertamente, le peggiori connessioni mafiose.
Queste magistrati accusatori di magistrati non sono bella gente e meriterebbe qualche volta “vedere” il loro terrorismo su “Micromega”. Uno non vorrebbe essere compagno, e neppure amico, di Lo Forte. O Ingroia. O Spampinato. Caselli non conta, è un uomo che conta solo per la capigliatura. Anche perché nell’ultimo (2005) attacco all’altra Procura, di Grasso e Pignatone, Ingroia ha accusato Pignatone di avere ricevuto in regalo un appartamento o una villa – la relazione di servizio evidentemente non era precisa, ma sottintendeva il regalo essere di un mafioso. E Pignatone ha avuto paura, ha temuto che fosse un messaggio mafioso. Perché sapeva che i collaboratori di Ingroia lavoravano per la mafia. E che la casa a mare di Ingroia stesso era ristrutturata da un’impresa mafiosa. Non sembra di sognare?

Secondo Montaigne, per Aristotele i buoni legislatori antepongono alla giustizia l’amicizia.

Contro Mancini 23 pentiti, contro Andreotti 28, le cui dichiarazioni sono state “riscontrate” – riscontrate come valide – dagli inquirenti, mentre i processi si sono invece sgonfiati. Colpa dei pentiti? Colpa degli inquirenti, che organizzano i “riscontri”. Ma niente, non succede niente, si sta sempre a riaffermare l’indipendenza della magistratura.
“La “cultura delle indagini” da parte della polizia giudiziaria e dei Pubblici Ministeri che la dirigono, diventa nient’altro che una accurata (non sempre) ricerca dei “riscontri” alle dichiarazioni del collaboratore di turno: quando i riscontri mancano (e capita spesso per vicende lontane nel tempo e per fatti ormai trascorsi) il riscontro diventa la dichiarazione dell'altro collaboratore che “conferma l'attendibilità” del primo che ha parlato”. (Oscar Magi, giudice a Milano, di Md, per il blog “Gli argomenti umani”).

Pentiti. Sono i confidenti dei magistrati. Sembra niente, è oro.
Sono killer, grassatori, bancarottieri, concussori. Attraverso di loro la giustizia viene a dipendere da criminali accertati. Non senza conseguenze: anche quando porta informazioni utili, il pentito sovverte la giustizia.
Il fine del pentito è avere abbuonata la pena, e salvaguardare il patrimonio confiscato, o costituirsene uno a spese dello Stato. Il pentimento è solo una strategia processuale, come il patteggiamento, l’ammissione di colpa, le attenuanti: un avvocato qualsiasi può ottenere col pentimento per un sicuro ergastolano pene miti subito condonate, un condono delle confische, e magari una residenza protetta e una pensione.
Nessun pentito è perseguito, tanto meno condannato, per calunnia, mentre si sa che ne abusano.
Il pentito non si rieduca, era e resta un malfattore. Ma la legge lo nobilita.
A una sommatoria il pentito di mafia è uno spreco di tempo, di risorse, di fiducia. Nella lotta alla mafia. È utile per altre cose, ma non per la giustizia.

giovedì 21 febbraio 2008

L'ipoteca del "pizzo" fiscale

Astolfo

Mastella ha sparigliato nel mezzo della seconda offensiva del buon Veltroni e di “Tps”, al secolo Vincenzo Visco, contro gli amministrati, sotto forma di prelievo fiscale mafioso, il famoso pizzo: dateci un po’ di soldi.
Cartelle pazze e SuperIci: un miliardo per Veltroni
Veltroni il Buono ha lasciato Visco fuori dal Pd. Ma egli stesso ha lasciato il Campidoglio, certo senza preavviso, nel mezzo di un’offensiva colossale sulle tasche dei romani, attorno al miliardo. Due ondate da un milione l’una di "cartelle pazze", per crediti cioè non dovuti, mollate all’esattoria di Stato di “Tps”, Equitalia, per fare con gli anticipi il bilancio 2007, due milioni di cartelle da cento euro in media l’uno (si tratta in gran parte di multe stradali), fanno duecento milioni. Il Difensore Civico ha denunciato questo sistema di fare il bilancio, ma Veltroni non l’ha degnato – il Difensore Civico non lo paga lui? Di peggio anzi ha apprestato per il bilancio 2008: a fine novembre, pagata l’antipaticissima Ici, che dice di voler togliere, ha mandato a 400 mila famiglie romane dei Municipi II, III, VI, IX, XI, XVI, XVII, perentoria richiesta di far rivedere i coefficienti catastali, e di pagare cinque anni di arretrati sui nuovi coefficienti entro il 31 marzo. A mille euro l’uno di arretrati sono 400 mila euro. Più altrettanti per i periti del Comune che devono autenticare la pratica: torme di studi professionali hanno infatti tartassato i 400 mila, dopo l’ingiunzione del sindaco buono, con lettere minacciose. Lasciando intendere che la revisione va comunque fatta al rialzo, anche se la casa è la stessa di cinquanta o cento anni fa, altrimenti… - lettere non anonime, questo bisogna riconoscerlo. I Municipi corrispondono ai quartieri Salario, Africano, San Lorenzo, Casilino, Appio, Garbatella, San Paolo, Monteverde, Trionfale, piccolo borghesi. Rimangono trionfalmente fuori i quartieri Parioli, Balduina, Trastevere, degli ex elettori ricchi di destra passati compatti con Veltroni, che eel loro patinatissimo mensile, pieno dei ricevimenti in casa, è columnist.
“Tps” vuole qualcosa dai professionisti
“Tps”,Tommaso Padoa Schioppa, l’impolitico ex brillante pupillo di Ciampi, maschera o marionetta di Visco, aveva invece appena lanciato un’offensiva sui professionisti, medici, avvocati, ingegneri, quando il governo è caduto. Un milione di “accertamenti” erano partiti, a tutti chiedendo fra i dieci e i ventimila euro. L’anno scorso un’analoga offensiva contro artigiani e negozianti fruttò due miliardi e mezzo. Quella di quest’anno dovrebbe fruttare, secondo i calcoli di “Tps”, il doppio, cinque miliardi. Le cifre sono ballerine perché l’accertamento è presuntivo, si basa su “parametri” d’imprecisati consulenti tecnici che moltiplicano il reddito. Non si controlla la contablità, non si chiede nemmeno di vederla, non si fanno controlli incvrociati, per quanto oggi anch'essi automatici, non si usa lo sbandierato redditometro che altri consulenti a caro prezzo hanno elaborato. Poi l’Agenzia delle entrate benevolmente chiede ai malcapitati di pagare il 70 per cento dell’accertamento, o almeno, via, il cinquanta per cento. Il meccanismo è quello noto a molta gente al Sud. Il pizzo dell’accertamento viene applicato con la stessa insolenza dei picciotti dalle neo laureate neo assunte di Visco “Tps”.
Non molti professionisti sono orientati a pagare, piuttosto che avviare il contenzioso – che comunque verrà deciso dagli amici e parenti del governo, è la “società civile” che costituisce le Commissioni tributarie di primo grado, per il cachet di presenza. L’ottimismo di “Tps” deriva dal fatto che i professionisti sono categorie non forti sindacalmente. Come invece erano le categoria prese di mira nel 2007, aritigiani e commercianti. La reazione fu allora furibonda. Anche perché gli studi di settore dei consulenti tecnici di “Tps” calcolavano il reddito del verduraio di Castingliocello o Santa Severa moltiplicando per dodici il fatturato del mese di agosto.
Nasi turati
Si chiama fisco il fattore che deciderà le elezioni. Potrebbe anche essere la recessione, se è vero che l'Italia è in crescita zero, a fronte di una crescita europea sempre al 2 per cento. Ma il fisco è di più immediata percezione. I due schieramenti si equivalgono, e quindi il risultato, essendo la legge elettorale rimasta sostanzialmente proporzionale, non ripeterà l’esito del del 2001 – allora un Parlamento decisamente berlusconiano. Sarà come sempre in Italia decisivo il voto marginale, o d’opinione, che il fisco come Tps e Veltroni lo concepiscono, fare cassa a spese dei soliti noti, condizionerà. Sia pure sotto forma di astensione, voto sofferto, nasi turati, mal di stomaco. Tra Stato etico, cioè fascismo, e mafia.nel nome del potere, la scelta non è gratificante per chi ha votato e s’è battuto per la sinistra.
La questione non è mafiosa per scherzo: gli accertamenti presuntivi a carico di chi paga le tasse sono puro autoritarismo, e vanno contro l’equità fiscale. La Corte costituzionale e la giustizia amministrativa non potranno non occuparsene a lungo, anche se hanno gli occhi bendati. Né si potranno continuare a fare i bilanci comunali col window dressing, e con le anticipazioni di comodo di Equitalia, un baraccone messo su dal Tesoro, che non potrà mai rientrare delle somme anticipate. Uno scandalo che solo la Corte de conti può coprire: il Tesoro che consente ai comuni di truccare i bilanci, e anzi li invoglia, era uno scandalo che ancora mancava.

Le memorie Oro del comunismo

““Dove sono finiti gli ex comunisti” si chiese, affettuosamente, Vittorio Foa a metà del decennio” 1990. Sono ben vivi nel vecchio genere autobiografico, l’esercizio letterario che veniva richiesto a ogni nuovo iscritto al Partito, sia pure di modesta cultura. Il settore è affollato e Alessandro Casellati lo documenta irriverente con molte sorprese. C’è chi, come Pintor di “Servabo”, “si chiude in un orgoglio tutto domestico, araldico, di chi di appartenere per diritto di nascita a un nobile casato”. Alla stessa maniera Asor Rosa, che si nasconde “dietro le maschere del padre e del suo gatto”. E c’è ch, come Moni Ovaia, prova “a fare iconti con il comunismo reale – e col suo comunismo del cuore – in un libro di barzellette”. E ch, come Rossanda e Ingrao, debutta con i ricordi “nella collana dei Supercoralli italiani, accanto a Giorgio Bassani e Elsa Morante”, nella superletteratura delle odiosamate Edizioni Einaudi, del cav. Berlusconi.
Non c’è silenzio dei comunisti, conclude Casellati, “adesso scrivono autobiografie anche i cinquantenni”, D’Alema, Veltroni, Fassino, Angius, Petruccioli, Folena (e i quarantenni: Bettini, Finocchiaro….). Andrea Romano, lo storico che ne ha scritto con durezza su “La Stampa”, è stato d’altra parte collaboratore di D’Alema nella fondazione “Italianeuropei”, e dirige la saggistica (“non-fiction”) di Einaudi.
C’è rimozione. Nessun esame di coscienza, l’autocritica dei tempi felici del Partito – la cistka – che tanto più opportuna sarebbe oggi. E c’è un pubblico sicuro: Veroni, con l’autobiografia romanzata “La scoperta dell’altro” è stato il best-seller di un anno fa, “centomila copie la prima settimana, sei edizioni in dodici mesi”, di centomila copie l’una è da presumere, Libro Oro della Rizzoli.
Alessandro Casellati, Mnemosyne presso i nostri comunisti, in “Belfagor”, a.LXII, n.6, €18

Il segreto ordinario di casa Pascoli

C’è, fulminante, la sorella Ida, la “madre” amata (pp.61 segg.) C’è a seguire Maria l’isterica, la “figlia”, dal “sorriso vaginale”. Ida, la maggiore, è la madre desiderata- convoitée, di cui Maria, la minore, è gelosa. O, alla fine, l’incursione tra il voyeuristico e il feticista nei cassetti della biancheria dei fratelli Pascoli. C’è più di una pagina felice in questo ripetitivo, non ben registrato, riesame psichiatrico di casa Pascoli. Il poeta morto di cirrosi epatica a 59 anni, del troppo bere. Del dispiacere. Del dolore di vivere. Affascina anche l’impianto (pp. 164 segg.): che il dolore non è originario, l’assassinio del padre, la morte per dispiacere della madre, bensì è indotto da Maria. In ménage a trois sempre più improbabili, dapprima con Ida, le due sorelle uscendo dal convento, poi col cane Gulì. E si sfiorano soggetti pregnanti di proficui sviluppi. Giovanni bisognoso, che arranca all’università con borse di studio, ma si laurea a 27 anni. I due fratelli poco di buono, di cui uno sicuramente incestuoso con la propria figliastra e ricattatore (anticipazione ben reale di tanti romanzi neri fra compagni nel torbido post-Sessantotto).
C’è qualche svarione: Musolino, uno dei personaggi eponimi di P., è “brigante siciliano” a p.140. A p. 206 “ Pascoli “commemora a Barga la grandezza della uerra di Libia e l’eroismo dei suoi morti” nel 1907. M soprattutto pesa c’è la “prova”Andreoli. Che s’interstardisce a ipotizzare un amplesso del poeta con Ida, “un unico amplesso” (p.170) ma “talmente meraviglioso da cambiare una vita”. Pur proponendo ripetutamente la formula “se solo si pensa al tempo e alle abitudini”, i modi d’essere dell’epoca. E pur imbastendo la sua analisi su un Pascoili infelice, depresso, alcolista, mortuario, schiavizzato da una isterica, o al più immaturo: “Giovannino era, dal punto di vista emotivo, un immaturo” (p.172).
Si legge a spizzichi questo studio psichiatrico di casa Pascoli per il freudismo di scuola, obbligato, che le fa da sfondo. Contro ogni evidenza, anche se “crepuscolare”, direbbe Borgese, meno avventurosa. Pascoli dev’essere omosessuale, seppure latente. E incestuoso, se dice alle sorelle: “Ho il dovere di essere il vostro babbo”. Mentre era nella cultura dell’epoca che un fratello si occupasse delle sorelle orfanee, e non dei fratelli. Andreoli interpola a spezzoni uno storione familiare d’incesti e matrimoni di convenienza che lascia freddi: Giovanni ama le sorelle più piccole, con Ida ha rapporti sessuali, compreso il defloramento, che, scoperto da Maria, porta Ida al matrimonio lontano in Romagna. Senza peraltro alcuna pezza d’appoggio, benché Andreoli abbia avuto largo accesso all’archivio di Castelvecchio, ancora in buona parte intonso. Dove invece la storia è ordinaria. È tragica per essere l’ordinario di un sistema di vita. Quello di fine Ottocento, il biedermeier ritardato dell’Italia umbertina, in cui molti giovanotti, nonché non sposarsi, non coltivano pulsioni sessuali, il fratello, uno dei fratelli, si occupa delle sorelle, e si fanno conti infiniti su ogni lira – per molti aspetti la famiglia Pascoli ripete la famiglia Schopenhauer, già documentata e analizzata, che è biedermeier puro. Come sono fine secolo, umbertini, crispini, primatisti, i funerali di Verdi e di Pascoli – Carducci? Carducci era repubblicano, benché infatuato della regina..
Vittorino Andreoli, I segreti di casa Pascoli, Bur, pp. 248 €9,20

martedì 19 febbraio 2008

L'Olocausto è (colpa) di molti

Alberto Melloni riapre il dossier delle responsabilità indirette dell’Olocausto, riprendendo la figura di Rudolf Vrba. Morto poco meno di due anni fa a ottantadue anni, Vrba, pseudonimo di Walter Rosenberg, continua a subire “la rimozione dalla scena culturale e storiografica israeliana”, pur essendo stato il coautore, con Alfrèd Etzler, di una coraggiosa e riuscita fuga da Auschwitz nell’aprile del 1944, e di una dettagliata testimonianza dello sterminio, subito diffusa negli ambienti ebraici, tra i servizi segreti, nelle ambasciate e nelle cancellerie. Vrba è cancellato nella Memoria perché convinto che il quasi mezzo milione di ebrei ungheresi avrebbero potuto evitare la deportazione e lo sterminio – come poi avvenne, quando la denuncia fu pubblica, ma ne beneficiarono in pochi - se gli ambienti ebraici ungheresi avessero denunciato il genocidio invece di negoziare con Eichmann.
Melloni solleva il problema evitando il giudizio, anche storico. Riconsidera il coraggio di Vrba, facendo seguire a “I Procolli di Auschwitz”, la memoria di una quarantina di pagine stese con Wetzler dopo l’evasione, un capitolo dei ricordi pubblicati prima di morire, “I escaped from Auschwitz” – il libro non è tradotto, ma il personaggio è certo romanzesco. Assume però una linea neutra, quella della “introiezione del male” che Hannah Arendt dice la maggiore perfidia del nazismo. “La vicenda dei protocolli di Auschwitz”, scrive lo storico, della loro sottovalutazione cioè e dell’ostracismo a Vrba nella sua lunga vita e anche dopo, “è esemplare di uno dei grandi nodi della Shoah: la coniugazione fra storia e memoria, ra azione e inazione, fra percezione e gesti, fra perpetrazione dei crimini e pragmatismo del soccorso in una vicenda che rende l’uno incompatibile con l’altro. Insomma tutto quel tessuto umano che la soluzione finale voleva distruggere e ha effettivamente distrutto, al pari delle vite dei milioni di vittime”.
Le corresponsabilità dell’Olocausto, così come in generale della deportazione e lo sterminio delle popolazioni soggette, polacchi, ucraini, russi, sono argomento rimosso, se si eccettuano gli attacchi al papa e al Vaticano di polemisti e storici evangelici e ebraici. Una “Nota alla lettura” che Melloni interpola tra la sua introduzione e “I protocolli” documenta che la realtà dello sterminio molto si seppe subito, anche se non tutta. Ma la cautela in argomento degli studiosi pareggia quella degli Alleati e delle istituzioni terze nella guerra: non più di due o tre studi sono repertoriati. Gli Alleati decisero di non bombardare la ferrovia di Auschwitz, come Vrba chiedeva – che poi servì tra l’altro alla ritirata dei tedeschi, e all’avanzata dei russi. Dei campi di sterminio si cominciò a parlare nel 1946, per il processo di Norimberga. I russi, che avevano liberato Auschwitz a fine gennaio 1945, ne parlarono a maggio. E come tutti fino ad allora, evitarono di menzionare gli ebrei.
Rudolf Vrba (con un saggio di Alberto Melloni), I protocolli di Auschwitz, Bur, pp.157, € 8,60

Non c'era bisogno di Di Pietro, oppure sì?

Di Pietro attacca Mediaset, Fiorello invita a non votare, se prima i politici non levano la spazzatura dalle strade, e la politica scompare dai notiziari Rai, e un po' anche nelle prime pagine di “Repubblica”, “Corriere”, “Stampa”. Ci sono nervi scoperti, e tra questi purtroppo anche la grande stampa, così povera di argomenti, così conformista. Ma il problema – a questo punto anche per i giornali – è sempre quello: perché Di Pietro? perché Di Pietro e nessun altro?
Fiorello s’è sbagliato: per buttare via il certificato elettorale bisogna che ci sia la raccolta differenziata, altrimenti si incrementa la spazzatura per strada. Ma Veltroni sa come si fa politica, per questo aveva deciso di andare da solo. Per questo tanto più inquieta la decisione di riprendersi come unico alleato il partito dei tagliateste. Non i socialisti, che non fanno male a nessuno e sono qualche milione. Non gli altri cattolici, per non adombrare le margherite. E nemmeno i radicali, che, se abbaiano anch’essi molto, però non mordono. Per perdere le elezioni certamente no. E allora, perché? Di Pietro ha chiesto l’apparentamento e Uolter ha accettato, questo è tutto.
Uolter non ha problemi di personalità, che nel suo ultimo libro dichiara Dio “malato”. Ma Di Pietro, si sa, è più di Dio: è uno che quando strizza le palle fa male. Non sarà per questo che gli ex Pci, da D'Alema a Veltroni votano Antonio?

lunedì 18 febbraio 2008

L'autodeterminazione, nuova arma Usa

Nasce trionfalmente per gli Usa il 51mo Stato, in lingua, colori e immagini di fondo amerikane. Uno Stato non da costituzionalizzare ma da agitare come una clava. Come sarebbe avvenuto con la Sicilia di Giuliano se avessero vinto le sinistre. Come sarà il Tibet e ogni altra regione della Cina quando sarà necessario far scoppiare l’impero nazionalcomunista. O la Cecenia e ogni altro posto della Russia periferica, l’India, il Pakistan. L’America ha un disegno nella fieristica fantasmagoria di libertà di Hashim Thaci, usare l'autodeterminazione come arma. Si è preparata, come sempre usa fare, con gli Studi e l'ideologia del comunitarismo, e li mette in opera. Per i Grandi Statisti dell’Europa è diverso, è l’accettazione di questo disegno, da dilettanti della vecchia diplomazia dei cocktail parties, e da imbelli: potrà scoppiare anche l’Europa, come la Russia e Cina, se sarà necessario.
Si può discutere l’irredentismo, se è necessario, e a quali fini – il Kossovo è poco più grande dell’Alto Adige o Sud Tirolo. Si può discutere se l’Europa è il superamento delle nazionalità, o la loro affermazione, stando a tutto quanto essa ha fatto, sotto la subdola leadership tedesca, nell’ex Jugoslavia. Non si può discutere la natura del Kossovo, uno stato creato dagli Stati Uniti nei modi peggiori con le peggiori intenzioni. Usando dei banditi. Trafficando droga e armi. Bombardando la Serbia. Per assediare la Russia. Bloccare l’unità europea e se necessario scardinarla – una diecina di Kossovo sono possibili nell’Europa orientale. Imbordellire la Nato, che non si sa più che cos’è - le valorose truppe italiane si troveranno a “mantenere la pace” con quelle kossovare.
L’Europa dice di pilotare il processo, ma illusoriamente, solo perché manda schiere di funzionari multipagati per non fare nulla, tutto quello che sanno fare. Domani spenderà in Kossovo anche dei soldi, forse molti soldi, ma ugualmente per nulla: non è uno Stato europeo che nasce ma una dépendance Usa. Di fronte alla tante sberle che hanno preso, è anzi lecito pensare che D’Alema e compagni, filokossovari e filoamericani a vario titolo, facciano ammuina, per dire “ci siamo anche noi”. Per incapacità forse, per debolezza sicuramente: sarebbe gioco da bambini domani squinternare l'Europa, in Spagna, in Belgio, in Romania, nella stessa Italia, in Irlanda.

domenica 17 febbraio 2008

Veltroni-Di Pietro, chi tiene per le palle chi

No a brutto muso ai socialisti, ni ai raducali, il solo Di Pietro va bene per Veltroni, che per lui si scomoda personalmente. È una novità totale. Si penserebbe Veltroni immune dall’ipoteca giudiziaria, per essere il partito dei giudici di sua personale estrazione, e cioè della Fgci quando la governava lui. A Roma se ne sono avuti segni tangibili: il sindaco dimissionario ha appaltato perfino lo sventramento del Pincio (un parcheggio di sette piani, invece della terrazza….) e nessuno gliene chiede conto, né l'architetto Galloni né la Procura della Repubblica – Federica Galloni sarebbe la Sovrintendente ai Monumenti e al Paesaggio di Roma. E invece evidentemente non è così: Veltroni, che con tutti gli altri corre da solo, ha bisogno del partito giustizialista, il partito di Orlando e Travaglio. E' o non è il Pd il "partito che fa" di Matteo Colaninno, di buona "razza padana", erede delle fortune fiscali del papà Roberto?

Il silenzio dei democratici cristiani

Hanno aspettato che Berlusconi morisse. Ora, poiché Berlusconi non muore, neanche politicamente, riscoprono l’orgoglio democristiano. Sono già in quattro o cinque e altri ne spuntano ogni giorno, tutti giovani di sessant’anni. Illustrati da “Repubblica” e da Santoro, si sentono appagati e già vincitori. Il Grande Centro non è per definizione la politica vincente, dato che tutti corrono verso il centro? Ma tutto ciò è molto diverso dal voto Dc. Casini, Follini, Tabacci, Mastella & Co. non prenderanno i voti di “Repubblica”, né di Santoro. E quello che dovrebbe essere il loro elettorato tace, in Veneto, in Lombardia, nel Piemonte, a Roma, in Puglia. Perfino in Sicilia è perplesso.
Il grande ventre dell’ex Balena Bianca fa rumore perché tace. Quello democristiano è un voto non timoroso, e anzi di scelte spesso traumatiche, ma non ama la jattanza. Anche dove controlla l’opinione, come alla Rai, il maggiore organo d’informazione del paese. È perplesso, sa che non si vota per partito preso, è rimasto scottato dall’arrendevolezza di Prodi verso gli amici-avversari dell’ex Pci, e diffida anche del partito Democratico, il buonista neo catecumeno Veltroni li imbarazza, non gli credono. Prodi li aveva semiconvinti finché vinceva, e il progetto di partito Democratico si pensava rovesciato, con gli ex comunisti al guinzaglio. In provincia - in tutto il Sud, Napoli, la Sicilia, la Puglia, la Calabria, e perfino in Toscana, a Siena, Arezzo, Pisa, Massa - le lotte sono sempre aspre per la leadership del partito.

Air France vuole Alitalia gratis, con un bonus

Ha offerto 39 centesimi per azione, la metà della quotazione di Alitalia due mesi fa, e ora ha deciso di non pagare niente. Anzi di prendersi l’Alitalia con un bonus, un po’ di soldi pubblici, magari per tenere aperta qualche rotta intercontinentale da Malpensa. Il rilancio a rovescio di Air France ha deluso Prato, e ora in Alitalia i piloti e quanti altri sostenevano la soluzione francese hanno paura. È l’effetto dell’inconsistenza dei nordisti, di Passera & co., è il loro giudizio. Per cui Af trova ora comodo aspettare che si formi il nuovo governo, a maggio, e che il nuovo governo abbia il tempo di ricominciare a occuparsi di Alitalia.
L’ostilità è perfino pronunciata contro il governo dimissionario, che non ha saputo trovare una soluzione dignitosa. Ma la paura è che, quale che sia il nuovo governo, il passaggio a Air France avverrà con la compagnia prostrata e forse anche da smembrare.