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sabato 30 gennaio 2016

Secondi pensieri - 249

zeulig

Amicizia – Scade in politica a corruzione e mafiosità, nel quadro di una politica ideale e idealizzata, platonica. Mentre ne è il cemento necessario, della politica. Non si costruisce nel dissidio, la divisione permanente – la divisione per la divisione: la politica è attività pratica, costruttiva.
In questo senso Aristotele nell’“Etica nicomachea”, 1155, a22-23: “Pare che sia l’amicizia a tenere insieme le comunità”.
In questo senso le grandi società politiche moderne, quelle anglosassoni, si sono costruite, circuendo il dissenso in ambito dialettico, entro un idem sentire de re publica – di religione, di lingua, di casta, di loggia, di interessi economici economicamente intesi (costi-concorrenza). Mentre sono divise e inerti le società che si articolano per ideali astratti – di principio, di partito, di fede, religiosa o politica.

Comunità – Non si dà tra eguali ma tra diversi e diseguali. Lo afferma Aristotele nell’“Etica nicomachea”, ed è una un prerequisito, una petizione di principio, auspicabile senza controindicazioni. Tuttavia, la comunità si instaura attraverso il processo aristotelico del “rendere eguali”: equiparare in linea di principio, convivere, condividere, con buona disposizione e spirito d’amicizia, costruttivo.

Creatività e potere - La Phillips Collection di Washington che si espone a Roma fu organizzata nel 1921 per introdurre l’arte europea negli Usa. Sessanta capolavori sono esposti di sessanta artisti a cavaliere del 1900. Trent’anni più tardi tutta l’arte, anche europea, era “americana”, informale e non. Gli Stati Uniti sono ingordi. Ma non è solo questione di mercato.
Nel secondo Ottocento, e fino agli ani 1920, gli scrittori americani si formavano e si ispiravano in Europa, da Hawthorne e Henry James a Pound, Gertrude Stein, Hemingway, Scott Fitzgerald, Dos Passos, W.C.Williams, etc.. Una dozzina d’anni dopo Pavese e Vittorini prendevano lezione dagli scrittori Usa. C’è una correlazione fra potere (economico, politico) e letteratura, creatività. Ma in che verso?

Famiglia - È il luogo dell’identità, o dell’indistinzione? Hannah Arendt, raffinata grecista, allargando il significato della doxa greca da opinione pubblica a “splendore” e “fama”, conclude che “i membri della famiglia, la moglie e i figli, gli schiavi e i servi, non erano evidentemente considerati del tutto umani”. O non piuttosto del tutto sordi? O preconcetti? O semplicemente distratti. I figli devono cercarsi fuori dalla famiglia – dagli affetti familiari.
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Giornalista – È il Socrate di Hannah Arendt, dei “Quaderni e diari”, p. 347: “Socrate comprendeva le “opinioni”, in quanto mie (Mein-ungen), meglio di colui che le aveva.  Il filosofo era una specie di esperto in materia di opinioni, di ‘punti di vista’ sul mondo particolari, e poteva individuare in ogni particolare la verità a esso specifica”. Poteva, in teoria. Dovrebbe?

Novecento – Un troppo pieno o non un troppo vuoto della filosofia? Della stessa natura del nulla cui conclude. Malgrado gli entusiasmi durevoli contro venti a maree, si può argomentare il contrario. L’ingombro di Heidegger è per più aspetti catastrofico – un’altra umanità non bene indirizzata, non su presupposti condivisibili. Wittgenstein è più un gentile compagno – ci mette in guardia, il tipo più del non fare. Foucault è in definitiva uno storico delle idee, formalista. Molti campi sono arati, con ingegno, ma non una corrente ne viene fuori della storia, del mondo, dell’umanità.

Opinione pubblica – È singolare che le due trattazioni dell’opinione pubblica, di Walter Lippmann e Habermas, trascurino Platone, per il quale invece la doxa aveva un ruolo centrale, negativo – dell’opinione come opposta alla verità.

Curiosamente, però, Platone utilizza le idee – la verità - in funzione politica, che era invece della doxa disprezzata.
Inoltre, ridicolizza la doxa come incapace di “persuadere”. Mentre è questa la sua forza: la capacità di persuasione. Anche del falso, anche totalmente, volutamente, falso – l’informacija. La doxa non è vera per definizione, né ci ambisce, ma è veridica.
In Aristotele la distinzione è scontata, ma non come opposizione: “L’arte della retorica”, o della persuasione, “è la controparte dell’arte dialettica”, è l’apertura della sua “Retorica”.  Ma ognuna ha la sua funzione, sono forme di comunicazione diverse: la retorica per la moltitudine (politica), la dialettica per il pensatore (filosofia), in interlocuzione con se stesso o con altro pensatore.
Per Platone “la persuasione non proviene dalla verità, proviene dalle opinioni (“Fedro”, 260 a [3-4], e solo “la persuasione valuta e sa come trattare la moltitudine”. All’opinione Platone contrappone le idee non come un sistema di pesi e misure, e tuttavia usa le idee per scopi politici, misurando gli affari umani, l’attività, il fare, con criteri assoluti. Pur sapendo, lui prima e più di tutti, che abbiamo qualche idea della perfezione ma all’ingrosso e non sappiamo o possiamo raggiungerla, se non approssimazioni, per esperienza – la politica.

La doxa (opinione) come opposta all’episteme /(conoscenza): la distinzione è quella di Platone ma non la gerarchia. Le due forme sono distinte, ma ognuna nel suo ambito è agibile, veritiera. Accanto all’idea c’è quella che sarà chiamata l’autonomia del politico. Platone, che la polis subordina all’idealità nella “Repubblica”, finisce a Siracusa, dal tiranno di Siracusa.

È lo scudo dell’individuo. Contro la verità ma anche contro la falsità. Edipo, quando scopre la verità, si acceca. La verità che abbia ragione dell’opinione può distruggere l’opinione stessa, la capacità dell’individuo di “farsi una ragione”, di argomentare..

Sapienza – Non è saggezza, si sa, e non necessariamente la saggezza è sapiente - il greco distingueva con due radicali diversi, sophia e phronesis. Il filosofo si vuole più saggio o più sapiente, non potendo essere l’uno e l’altro? Ma può essere saggio se non è sapiente?

Solitudine – La “suprema tragedia di Dio” può essere la forma più radicale di socialità umana, quando non sia rifiuto o estraneità dal consorzio: una forma di partecipazione costantemente all’erta, critica, approfondita. Il dialogo con se stesso, indagatore, aperto. Una delle forme della coscienza, la più a portata di ogni essere, e in effetti preliminare a una partecipazione sociale attiva, che viene d’istinto ma regolata.
Il silenzio (riflessione) è – può essere – la forma più disponibile (aperta, ricettiva) di dialogo. Non una perdita di contatto, al contrario, l’esercizio di una fede. Il “non è bene per l’uomo essere solo” della “Genesi”non è un precetto, e s’intende in molti sensi, anche geografico e demografico. Il pensiero è solitario, L’azione anche, la progettazione, la  decisione.

zeulig@antiit.eu

La scoperta di Socrate

Socrate non ha buona stampa, nemmeno presso i suoi “allievi”, come si esprime Maria Michela Sassi. Non possedeva altra scienza tranne quella di contraddire (Montaigne). Praticava “un gioco infinitamente leggero col nulla” (Kierkegaard). Aveva pancia prominente, faccia da bifolco, aria bovina, naso schiacciato e moccicoso (Erasmo). Aveva qualcosa di divino nel senso del demoniaco (“Apologia di Socrate”). Ne ebbe anche di incondizionati, attesta Sassi, storica dell’antichità, filologa del pensiero scientifico: Diderot, che tradusse a memoria l’“Apologia” mentre era in prigione, lo stesso Erasmo (“Sancte Socrates, ora pro nobis”), il neoplatonismo cristiano di Coluccio Salutati e Marsilio Ficino, gli Atti degli Apostoli, che lo assomigliano al Cristo. E ne ebbe anche nel senso che Hannah Arendt ha individuato sessant’anni fa: che fu il primo a portare la filosofia dal cielo in terra, dall’astratto al concreto, dalla verità all’agire pratico o politico: Cicerone, e la stessa “Apologia”, come Sassi bene illustra. Ma senza effetto: Platone, cui Socrate deve la vita, l’ha soffocato.
Atopia
Una sorta di atopia Sassi delinea. Di cui già in Platone, nel “Simposio” che Alcibiade introduce: come essere fuori posto, tra bizzarria e disagio. Un tipo strano, in vita e in morte. Nella decisione di non opporsi ala sentenza di morte, e nell’insegnamento rigorosamente orale, e programmaticamente elementare, ma forse esoterico, buono per Platone e per i Cinici. Segnato da Aristofane, che ne provocò il processo e la condanna a morte: anche se per ridere, il commediografo denunciava le lezioni dietro compenso, per un insegnamento ozioso e a volte violento, contro la morale.
Altro l’approccio di Hannah Arendt in questo corso all’università americana di Notre Dame nel 1954, breve - il libro si compone anche di contributi ampi di Adriana Cavarero (“Arendt non interpreta Socrate,  in veste di storica della filosofia… bensì decide di pensare con Socrate e mediante Socrate”) e Simona Forti (Socrate e Eichmann, Arendt e Foucault, il “socratismo eretico” – platonismo – di Jan Patočka), con l’introduzione e le note della curatrice, Ilaria Possenti. La novità del suo “Socrate” è che la Grecia escludeva la filosofia dall’agire pratico, dal sapere politico. Socrate si applicò ad appianare questo contrasto, e finì male, i politici non tolleravano la sapienza. Platone allora affermerà il contrario, che solo il filosofo è buon cittadino e buon politico, ha le chiavi della saggezza pratica – ma lo affermerà all’accademia e non al foro, e nessuno lo importunerà.
Due-in-uno
 “L’abisso tra filosofia e politica si apre storicamente con il processo e la condanna di Socrate”: Arendt va giù subito netta e diretta, questo “Socrate” ha avuto una lunga gestazione, come confidava al maestro e amico Jaspers: “Un punto di svolta analogo a quello del processo e della condanna di Gesù nella storia della religione.” Il che è certamente vero. Per l’umanità forse no, per gli studi sì: “La nostra tradizione di pensiero politico ha inizio quando, con la morte di Socrate, Platone perde ogni speranza nella vita della polis”, riproponendosi di supplirla con le idee, anche se stravolgeva così l’esperienza di Socrate.
 “Socrate aveva scoperto la coscienza, ma non le aveva ancora dato un nome” – questo farà Platone. “Così”, annota la curatrice, “solo una ventina di anni dopo la dissertazione di dottorato discussa con Jaspers nel 1929, Arendt torna a leggere Platone, i Greci, la filosofia”. Dopo cioè vent’anni di impegno contro Hitler e per la sopravvivenza, tra vessazioni e imprigionamenti, con espatri clandestini, fughe, ripartenze, e le ricerche e la scrittura delle “Origini del totalitarismo”. Nel tentativo di forzare, sottolinea Possenti, l’impasse politico della concezione platonica – ideale - della politica. Socrate H. Arendt risuscita come alternativa allo “smantellamento della metafisica”: la majeutica del dialogo, dell’interazione. Sia pure con se stessi, il “due-in-uno”, il dialogo anche solo “tra me e me”, piuttosto che l’arrampicata sugli specchi della verità assoluta. Una “ripartenza” necessitata dalla memoria, In forma di nostalgia, davanti a un cumulo di rovine.
Platonico Marx
Non un “che cosa ha detto Socrate”, che Platone gli ha fatto dire. Oppure sì, anzi proprio questo: Platone ha tradito Socrate, che filosofava la politica nella politica, in piazza, discutendone, non per scoprire la verità ma per accrescerla, moltiplicarla, anche semplicemente aggiungerle qualcosa. Dividendo la filosofia - la ricerca della retta verità – dalla politica – l’agire pratico – e questa relegando alla buona amministrazione. Un tradimento a nessun fine, anzi d’impatto negativo:  “L’inumano stato ideale di Platone” è rimasto ideale. E la filosofia non ha avuto più alcuna influenza sulla politica già in età moderna: “Gli scritti di Machiavelli sono l primo segno di tale svuotamento, mentre in Hobbes troviamo, per la prima volta, una filosofia che non sa cose farsene della filosofia”. A parte  Marx, l’ultimo platonizzante.
Le scoperte sono molte di Hannah Arendt con Socrate, che poi l’accompagnerà per il resto della sua propria opera. Un peregrinare non confuso, e non incerto già in questo primo approccio: “Noi che abbiamo fatto esperienza delle organizzazioni totalitarie di massa, il cui primo interesse è eliminare qualunque possibilità di solitudine – eccetto la forma inumana del confino – possiamo testimoniare come non solo le forme secolari di coscienza, ma anche quelle religiose vengono eliminate quando  non è più garantito lo stare un po’ da soli con se stessi”. Il principio di non contraddizione di Aristotele, “con cui Aristotele fonda la logica occidentale” riconducendo “a questa fondamentale scoperta di Socrate: essendo uno io non mi contraddirò, e al tempo stesso potrò contraddirmi”. Per un altro più fondamentale fondamento: “che la vita insieme agli altri comincia con la vita insieme a se stessi”. 
Essere è apparire
Riconoscere se stessi si rende manifesto nella polis tramite l’apparire: per essere bisogna “apparire” – “intendiamo per polis una sfera pubblico-politica in cui gli uomini conseguono la piena umanità, la loro piena realtà di uomini, non solo perché esistono, come la dimensione privata della sfera domestica, ma anche perché appaiono”.
Ma Socrate è in realtà anche il primo a occuparsi principalmente della verità. Interrogativa e non apodittica ma non per questo meno veritiera. Il primo filosofo: Arendt lo dice nella prima versione della lezione, che Ilaria Possenti qui recupera in nota. La verità di Socrate, per cui ha voluto morire, è che la Grecia escludeva la filosofia dal sapere pratico: accetta per questo la morte. Platone si rivarrà argomentando che solo il filosofo è buon politico, ha le chiavi della saggezza pratica. Ma finirà a Siracusa, dal tiranno di Siracusa. Se c’è una morale, è che bisogna ridare autonomia al politico.
Questo, però, sessant’anni fa. Quando già Heidegger opinava senza incertezze, sui “Quaderni neri” che ora si pubblicano: “La politica non ha più nulla a che fare con la polis”. Non più nel “planetarismo”, diceva, che poi sarà detto globalizzazione.
Hannah Arendt, Socrate, Cortina, pp. 123 € 11
Maria Michela Sassi, Indagine su Socrate. Persona, filosofo, cittadino, Einaudi, pp. 242 € 23

venerdì 29 gennaio 2016

Ombre - 302


Diritti umani e vino a tavola, il presidente francese Hollande schiaffeggia – figurativamente – il pari grado iraniano Rouhani. Non come i cialtroni italiani, intende, che gli hanno coperto le statue nude . E questa è l’Europa – è la Francia, purtroppo, che si nega le libertà costituzionali mentre gonfia il petto. Ma sugli effluvi del vino gli ha fatto sganciare qualche euro in più per le centinaia di caccia e Airbus che gli ha venduto?

Si chiudono le frontiere, si fanno “respingimenti” in massa, si dichiara lo stato d’emergenza, con la sospensione dell’Habeas Corpus, delle garanzie costituzionali, in Francia, non su Marte. Ma il presidente della Cassazione Canzio non lo sa: ammonisce contro i fermi facili e contro il reato di clandestinità – il clandestino è un cittadino come tutti. Ineccepibile, ci sono anime pie. Non fosse che il primo presidente Canzio com’è che è arrivato lì?

Il derubato condannato a risarcire il ladro? E non di poco: 325 mila euro. Non è una gag, è una sentenza, a Padova, dove il diritto è nato. La rapina si è conclusa con la morte del ladro, e quindi non si può dire. Ma la sentenza è da commedia dell’arte.

La Svezia annuncia 80 mila rimpatri. Impossibil da effettuare – l’annuncio si fa per scoraggiare nuovi arrivi. Ma i giornali italiani ci credono. I soli.

Dopo il caso Quarto, fulmineo coming-out a Bisceglie-Molfetta-Andria-Trani, provincia della Puglia: tutti in massa a iscriversi al Pd, consiglieri, sindaci e presidente di provincia, 400 nuove tessere, dal Centro e dalla Destra, con grillini sparsi. Meglio prevenire che reprimere, con gli scioglimenti per mafia non si sa mai.

Maroni si fa uno spot sul Pirellone con uno slogan pro-famiglia. Scandalo, interrogazioni, pagine di protesta e commenti preoccupati. Boldrini e Pisapia hanno fatto i loro manifesti in precedenza pro gay. Tutti zitti. Poi dice che la sinistra non lavora per la destra.

“Una vera trappola, e un’ingiustizia” è il commento di Franco Venturini alla chiusura delle frontiere europee a nord delle Alpi. Come, Juncker, Bruxelles, la Ue, la Germania, i belli-e-buoni dell’Europa e del mondo che ramano trappole e impongono ingiustizie?

Due posizioni distinte i vaticanisti registrano dei vescovi italiani sulle unioni civili, quella di Bagnasco e quella di Galantino.  Quest’ultimo in nome del papa. Un papa che divide invece di prendere di unire è anche questa una primizia.

È una corsa a handicap quella per le presidenziali, che per la prima volta partono con una donna vincente. Hillary Clinton dovrebbe avere la giornata doppia e doppie energie, per truccarsi, cotonarsi, vestirsi, e camminare sui tacchi.
Bisognerebbe appaiare gli handicap: due ore di palestra obbligatoria per i candidati maschi? Due ore di trucco, visagiste, parrucchiere?

Una sfida tra eguali potrebbe essere tra Hillary Clinton e Donald Trump. Anche lui ha bisogno di molto tempo per presentarsi al meglio, pece l’acconciatura.

Renzi va oggi (29 gennaio) a chiedere la testa di Selmayr, il capo gabinetto di Juncker, a Angela Merkel. Che è la dante causa di Selmayr, non il rubizzo lussemburghese che presiede pro forma la Commissione Europea. Senza scandalo di nessuno: è a Berlino che si decide.

 “Il numerone dei non performing loans italiani da 330 miliardi… diventa poca cosa rispetto ai 5.763 miliardi di aiuto di Stato approvati al picco della crisi nella Ue-27, di cui 660 alla Germania”. Isabella Bufacchi sul”Sole 24 Ore” fa in tre righe tutta la crisi dell’Italia. Che invece volle fare la virtuosa, e non finisce di pagare per gli altri 26, in Borsa e fuori.

Summit delle grandi massonerie d’Italia, il Grande Oriente e la Gran Loggia, a Sanremo. Per preparare il festival?

Senza senso del ridicolo il Csm, che Mattarella presiede, che aveva scagionato Rossi, il procuratore di Arezzo, sul conflitto d’interessi: consulente della ministra Boschi e capo della Procura di Arezzo che indaga su Banca Etruria e quindi su Boschi padre. “Panorama” documenta che Rossi ha già indagato e assolto Boschi padre per reati gravi, senza peraltro smontare le accuse, e il Csm è costretto a fare marcia indietro. Ma in sordina.

L’inchiesta di “Panorama”, così dettagliata e precisa, è certo ottimo giornalismo, ma di fonte sicuramente istituzionale. La stessa Finanza, probabilmente, che conduce le indagini a Arezzo. Queste informazioni non furono fornite al Csm? Il Csm non ne tenne conto?

Scola condusse la campagna un mondo fa contro la tv commerciale: “Non si tronca un’emozione”. Contro gli stacchi pubblicitari. Campagna aperta da Veltroni, commissario Pci alla Cultura, che poi avrebbe fatto l’“amerikano”. Freccero era quello della tv commerciale, che ora è un apostolo contro.

La tv privata Scola & Veltroni sanzionavano come americanizzazione. Aldo Grasso oggi la riconosce come “italianizzazione” – un po’ meno di sacrestia, potrebbe aggiungere. Grandi maestri?

Contro la tv di Berlusconi si fecero referendum. Sembra impossibile, ma si sono fatti. Vent’anni da, promossi dal Pci-Pds.  

L’allegria al tempo del fascismo

Giulio Ferroni raccoglie le prose di Brancati, una ventina, che il “Corriere della sera” pubblicò nel 1942-43, la più parte nell’edizione leggera del pomeriggio, su presentazione e insistenza di Ciano e Bottai, le alte autorità fasciste nella cultura. Brancati è un caso disturbante di come le idee si aggiustino al contesto. Sinceramente, non per piaggeria. Di come cioè si possa essere stati in Italia conviti fascisti e subito poi convintamente comunisti, in massa e singolarmente. Di come il percorso ideale sia poco individuale.
Prose ludiche, benché di anni difficili. Per lo più in forma di elzeviro – rigaggio, insopportabile: divagazioni eleganti sul nulla, la musica, il cinema, villa Borghese, il “profondismo”, il buon senso, etc.. Con quattro o cinque racconti brevi, nella vena “naturale” e faceta che sarà poi di Camilleri.
La curatela di Ferroni evidenzia la bottega dello scrittore, il laboratorio artigianale. Con l’uso e il riciclo dei materiali. E l’opera prevalente di promozione, prevalente sulla creatività: anche in personaggi ben addentro al sistema e protetti, molto più tempo si arguisce preso dalle “visite”(raccomandazioni) e la promozione che dalla scrittura. Ma non sarebbe stato più interesante leggere gli articoli e i racconti respinti dal “Corriere”, poiché la raccolta si privilegia dell’accesso agli archivi del giornale?..
In controluce, un paio di sorprese. Un altro giornalismo: Borelli, il direttore del giornale, legge e segue fino i più remoti collaboratori, ed è minuto, acuto, pertinente – anche se dà a Brancati come modelli Baldini, Montanelli, e un Achille Benedetti…. E lo Stato confusionale del fascismo. Tanto più, stranamente, in guerra. “I piaceri”, elzeviri ancora più divaganti di questi, uscirà da Bompiani nell’ottobre 1943, a guerra già perduta, il mese forse più buio della storia d’Italia: l’editore in una Milano che si apprestava a diventare la capitale morale della repubblica di Salò, l’autore liberato  Sicilia dagli Alleati. O allora Brancati era fascista di estrema fiducia – fu anche collaboratore stretto di Telesio Interlandi, il giornalista razzista, ma più sul piano tribale, tra siciliani, che antisemita.
La riproposta di Brancati, seppure minore, fa emergere quanto Camilleri sia nella sua vena, per il tratto nel porgere, per la vena comico-satirica. E anche per il mistero dei fascisti appassionati (puri) prima e poi antifascisti appassionati (puri?).
Vitaliano Brancati. Scritti per il “Corriere” 1942-1943, Fondazione Corriere della sera, pp. 217 € 14

giovedì 28 gennaio 2016

Fisco, appalti, abusi (84)

Lunedì la francese Ratp, specialista del traffico ferroviario pendolare rapido, propone di rifare la Roma-Lido, che serve mezzo milione di persone, in tre anni, tutto compresso, linee, treni, stazioni, in project financing, cioè senza esborso pubblico. In concessione. Martedì il padrone della linea, il presidente della Regione Lazio Zingaretti, dice che la Roma-Lido è bene pubblico e tale rimarrà. Se ci sono da fare appalti, pubblici, ne beneficeranno le imprese romane.
Per ora, e per domani, come da molti anni ormai, la Roma-Lido è quasi inagibile.

Lo stesso schema fu seguito dall’allora sindaco di Roma Ruteli per la famosa linea C della metropolitana vent’anni fa. La Ratp propose di farla in profondità, forte dell’esperienza maturata a Lilla, per evitare i ritrovamenti archeologici e il blocco a singhiozzo dei lavori. Sempre in project financing, con concessione a trent’anni. Regolata naturalmente da capitolato, lo stesso peraltro che regola l’Atac comunale, anche se fittiziamente – l’Atac è una finta spa. Rutelli disse no, la metro romana è pubblica, etc.
Le imprese amiche dopo vent’anni ancora non hanno completato la metro C. Allungata, è vero, ma in gran parte in superficie. Un appalt pubblico da tre miliardi, che ora sono diventati 3,8.

Sei mesi fa l’Autorità Anti-Corruzione aveva ha denunciato la metro C: spese lievitate oltre ogni ragionevolezza, progetti carenti, mancanza di trasparenza. La Procura di Roma non si è mossa..Il dossier dell’Anti-Corruzione è stato mandato anche alla Corte dei Conti. Che non ha indagato.

Procede la “valorizzazione” dei ben architettonici e archeologici. Cioè la privatizzazione surrettizia, a opera personale del ministro Franceschini, che se ne fa vanto. Al di fuori e al di sopra delle competenze delle sovrintendenze, che pure sono il braccio di controllo dello Stato su questi beni inalienabili. Senza una decisione del Parlamento. Senza nemmeno una discussione in Parlamento. Nel silenzio delle vestali del patrimonio pubblico che per molto meno solitamente protestavano.

Una lettera finalmente indignata di una di esse, Vittorio Emiliani, è stata confinata dal “Corriere della sera” nella cronaca romana, per pochi curiosi.
Franceschini procede per di più con incarichi solo formalmente coperti da gare internazionali, a persone di sua fiducia.

Italiani bipolari incattiviti

L’umor nero è quello degli italiani, insoddisfatti, risentiti, rancorosi, impoveriti economicamente e moralmente, che si confrontano per insulti invece che con argomentazioni. Non lo è del costituzionalista, che invece resta vispo, e anzi mostra i raggiri e i difetti degli ingranaggi che ci hanno portati alla depressione, costituzionali, legali, burocratici. In ventuno capitoletti, dalla A di Anagrafe alla Z di Zapping, “l’alfabeto del nostro scontento” sottotitolando la raccoltina. Con Riforma, Semplificazione, Europa, Habeas Corpus.
Il Bipolarismo? Non può funzionare senza un adeguamento della Costituzione, che nacque rigorosamente proporzionale. Senza contare che “con il proporzionale il sistema politico si atteggiava in modo bipolare, con il maggioritario è diventato bipolare” – basti ricordare il povero Prodi, alle prese con dodici partiti, o vedere Berlusconi sfidato da Fini, Alfano, Fitto, Verdini. Anche la Germania, per dire, perfettamente proporzionale, è perfettamente bipolare: è bastato vietare (anni 1950) un paio di partiti estremisti, cioè non includibili in un programma di governo – quando poi è apparsa la Linke-Pds, il partito parlamentare alla sinistra della Spd, la socialdemocrazia, il bipolarismo è praticamente saltato, due governi su tre sono di Grande Coalizione Cdu-Csu.Spd.  
Il diritto c’era prima , dal codice di Hammurabi, che si ricordi. Ma solo la Magna Charta ci ha protetti dagli arresti giudiziari. E ancora: solo nelle democrazia anglosassoni, forse. “Nelle carceri italiane (al 31 dicembre 2014)soggiornavano 53.623 detenuti; fra questi, 19.590 non hanno nmai ricevuto una sentenza definitiva di condanna”. Soggiornare è un po’ eufemistico. E l’Europa, “ha un’anima questo continente”? Non è la storia, una catena di guerre intestine. Non la lingua. Non la legge: “Nessun europeo potrebbe rispecchiarsi nelle norme astruse d Bruxelles. Non la religione. La cultura. Un breviario di realismo. Ma la cultura, quale cultura?
Una lettura non noiosa. Ma non propositiva, e risentita come i poveri italiani che depreca.
Michele Ainis, L’umor nero, Bompiani, pp. 192 € 13

mercoledì 27 gennaio 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (273)

Giuseppe Leuzzi

Potere insindacabile ai prefetti di sciogliere un consiglio comunale per l’onnipresente concorso esterno in associazione mafiosa. Basta la parola: il contenuto non conta, non si fanno inchieste giudiziarie, non si condanna nessuno. Giusto per tenere in soggezione il Sud. Per fare anche un po’ di carriera e lucrare un po’ di diaria. La mafia è porto franco dell’inefficienza dell’antimafia, di prefetti e questori.

“Voi non ci site mai quando il mio bene svanisce”, urla al giudice calabrese che presiede alle misure di prevenzione, il protagonista calabrese di “Saltozoppo”, il romanzo di Gioacchino Criaco, un killer in libertà vigilata al quale hanno rapito l’innamorata: “Non ci siete mai stati. Voi arrivate sempre dopo, a chiedere conto del male”. In effetti è così: nessun pizzo, sopruso, ricatto, l’armamentario degli “avvertimenti” mafiosi, è stato mai punito preventivamente.  

Banche disastrate nel Veneto: i soci di Popolare Vicenza e Veneto Banca hanno dovuto reintegrare il capitale per non vederle fallite, si erano mangiate tutto. Non è la prima volta e non sono i soli casi - Antonveneta, ha portato al quasi fallimento il Monte dei Paschi di Siena che se l’era comprata. Ma questo non fa il Veneto truffaldino. Il leghismo è un’ottima corazza protettiva. Come un prete che si assolve, ne mentre che rampogna i parrocchiani, peccatori.  

Quei levantini greci non si sanno fare i conti
La Danimarca, cinque milioni e mezzo di abitanti, ventimila rifugiati nel 2015, si appropria dei beni degli stessi. In conto futuri servizi. La Grecia, il doppio di abitanti, un paio di milioni di rifugiati nel 2015, viene per questo espulsa dalla Ue. Non proprio espulsa, si fa un muro tra la Grecia e la Macedonia.  Perché non ha saputo impossessarsi dei beni dei rifugiati. Anzi, non li scheda nemmeno.
Il perché in realtà non si sa. Ma tutto avviene senza scandalo: il Nord fa sempre bene, il Sud fa sempre male, il Nord ha ragione, il Sud torto. E poi, i greci non sono greci? Cioè levantini. Cioè imbroglioni. I danesi, che sono forse i più ricchi d’Europa, sono considerati, oculati, ordinati. Uno legge i giornali e strabilia. Non quelli danesi, quelli italiani.
È vero che la Grecia è grande tre volte la Danimarca. Ma si disperde tra seimila isole e isolotti. Dite che potrebbe tenere i profughi a mare, ammollo?

Un Nebenland, o il matrimonio infelice
Le renitenza alla leva militare obbligatoria, per sette anni, la primissima novità dell’unità, fu al Nord uguale come  al Sud. La prima statistica dei processi per “procurata inidoneità” alla leva, nel 1870, censisce 134 casi, di cui solo la metà, 67, al Sud. La statistica è riportata da Luigi Lombardi Satriani in “Menzogna e verità nella cultura contadina del Sud”. Ma è vero che l’odiata leva fu la prima causa dei rigetto dell’unità subito dopo gli entusiasmi. Insieme con la carta moneta, il centesimo, la manomorta (i beni ecclesiastici appropriati dai borghesi servivano a sfamare e curare i poveri), e più tardi, 1868, l’imposta sul macinato. La Sicilia, che già nel 1862 si ribellava, viene presto rappresentata dai cantastorie come un povera sposa cui il matrimonio è riuscito infelice – la sposa maledice il giorno del matrimonio.
Emilio Sereni, “Capitalismo e mercato nazionale in Italia”, sarà dello stesso parere: “Il mezzogiorno diviene, per il nuovo regno d’Italia, uno di quei Nebenländer (territori dipendenti) di cui Marx parla a proposito dell’Irlanda nei confronti dell’Inghilterra, dove lo sviluppo capitalistico industriale si è bruscamente stroncato a profitto del paese dominante”.

La percezione
L’onorevole Enrico Ferri positivista lombrosiano, socialista poi fascista, indirizzò la Camera il 14 dicembre 1901 in questi termini: “Nel Nord vi sono casi di delinquenza, e sono eccezioni; nel Sud sono invece eccezioni le oasi di onestà”. Non sono diverse oggi le cronache milanesi, specie del “Corriere della sera”, ma non è questo il punto. Il punto è che – la cosa naturalmente non è vera – questa è la “percezione”. Come del tempo, che si percepisce magari più freddo, o più caldo, di quello che è. Senza torto per nessuno, queste percezione è dei meridionali per primi.
Solo che del clima la percezione è un dato tecnico-scientifico, ancorato a misurazioni e dati di fatto, quella del Sud è un’aggressione. Già Gramsci lo sapeva, poco meno di un secolo fa, annotando fra le sue letture in carcere il fastidio che gli procurava il “materialismo” (positivismo) di Antonio Graziadei, altro socialista e futuro accademico, con le generalizzazioni. Sull’Italia, pettegolezzi non innocui. “Sugli «italiani» in blocco, tutti senza carattere, vigliacchi essere civilmente inferiori”, che definiva “una vera e propria retorica deprimente da falso furbo, tipo Stenterello-Machiavelli”. E sul Sud: “Il materialismo storico di Graziadei assomiglia a quello di Ferri, di Niceforo, di Lombroso, di Sergi, e si sa quale funzione storica questa concezione biologica della «barbarie» attribuita ai Meridionali (anzi ai sudici) ha avuto nella politica della classe dirigente italiana”.  

Black Africo
Cominciò Alvaro, che nel sussidiario “Calabria”, o nella conferenza sulla Calabria che tenne alle dame fiorentine del “Lyceum” nel 1928, parlò di africoti dispersi per l’Emilia negli anni 1920, dopo un terremoto o un’alluvione, che si nutrivano masticando paglia. Poi venne il contributo di Tommaso Besozzi, “L’Europeo”, 1948: “Ad Africo esistono solo tre case provviste di latrina e ci sono solo tre persone che posseggono un ombrello. Ma, essendo le strade del paese troppo strette perché ci possa passare un ombrello, se ne debbono servire solo quando vanno a Bova o a Motticelle. Le mucche, in ogni stagione, vagano libere per la montagna e nessuno le segue, perché non danno latte. I pastori, per accendere il fuoco, battono la pietra sull’acciarino…”. Non avevano i fiammiferi.
Il pezzo, ripescato con orgoglio da africo.net
continua così: “Non hanno vino, né formaggio, né olio, né ortaggi. La terra non dà frutto. L'anno scorso ci fu uno che dissodò un campo nuovo e provò ancora una volta a seminarci grano: ne seminò trentadue chili; ne raccolse trentaquattro”. Ma che ci avranno fatto i duemila africoti là sopra?
Poi venne Stajano contro don Stilo: qui non siamo più nella fame ma nel sottogoverno – che il giornalista milanese scambia per mafia (e oggi riedita). Ora vengono i Criaco, di Africo Africo, coi mitra, la droga, la ‘ndrangheta, affiancati a santi e santini, su cui giurare: una favola, mentre è gangsterismo facile, una  piccola Chicago anni 1920 del proibizionismo in chiave cocaina. Non una favola anti-‘ndrangheta, la quale si guarda dagli omicidi, se non per questioni di concorrenza interna – la ‘ndrangheta viaggia cl codice penale: vuole solo arricchirsi sul lavoro degli altri. Dunque, le anime nere esistono.
Gian Antonio Stella, riproponendo venerdì sul “Corriere della sera” il reportage besozziano, lo introduce così: “Quando arrivò la prima corriera, ad Africo sembrò quasi fosse atterrata un’astronave”. Però, sapevano di astronavi.

leuzzi@antiit.eu

Stupidario prefettizio

Dov’era la mafia, dacché in Sicilia è scomparsa? A Roma. Con la camorra, la ‘ndrangheta e ogni altro. Lo dice il prefetto Gabrielli. Sorridendo..

Roma in mano ai due prefetti è mafiosa, irrespirabile, e naturalmente sporca, inefficiente, un cesso. Dai prefetti nascono prefetti.

Quando la Roma prefettizia non funziona, per esempio se un attentatore viene segnalato alla stazione Termini, la colpa è dei romani.

E anche l’intervento in massa, per quanto ritardato, del dispositivo antiterrorismo alla stazione Termini, per un fucile giocattolo in plastica, colorato, in mano a un signore che passeggia tranquillo, intrattenendosi a destra e a manca, su segnalazione di “una passeggera che ha denunciato un uomo col kalashnikoff”: quanto è ridicolo e quanto è segno di inefficienza? 

Solo in Italia si dà ai prefetti l’autorità di sciogliere un consiglio comunale per l’onnipresente concorso esterno in associazione mafiosa – basta la parola. Per sostituirsi ai consigli comunali. Per fare un po’ di carriera e lucrare un po’ di diaria. Amministrare una città? Loro sono lì per garanrtire la legalità - non fare.

Ma, è vero, è  più ridicolo il prefetto Gabrielli che dispiega il sistema sicurezza per una plastica colorata o i cronisti romani che non sanno di che parlano? “Luca Campanile è rimasto indisturbato almeno otto minuti tra la metro Bologna e la stazione Termini con un fucile, un giocattolo, accanto alla gamba destra”. Che cronache, che preoccupazione: i giocattoli vanno bloccati, soprattutto alla gamba destra? “Il pizzaiolo ha oltrepassato col fucile ben in vista nonostante varchi d’accesso controllati”. Da poliziotti evidentemente non stupidi. O almeno che sanno, s’immaginano, suppongono anche se non lo hanno mai visto, cos’è un kalashnikoff e cosa un giocattolo.

Aridatece la Dc

Si moltiplicano i libri revisionisti o revanscisti. Auspice Giuliano Ferrara, che però si diverte, e non prende partito. Ma se si pubblicano vuol dire che si leggono, e quindi è evidente che la Seconda Repubblica è tale che la Prima era migliore.
Questa memoria di Pomicino è addirittura una rivendicazione, di sapere politico e perfino di onestà. Quella di Feltri è una rilettura elegante, scritta, di come funzionavano le cose prima, e di come la politica fu smantellata da Milano. Pomicino accusa i successivi vent’anni. Con punte personali, vendicative, soprattutto contro i “padroni del vapore”, i gradi giornali e i grandi giornalisti. Ma anche con acuti resoconti. Delle famiglie dei “salotti buoni” finanziari che si svendono il patrimonio contente di portare le plusvalenze in Svizzera. Del sistema in generale dell’industria italiana, pubblico e privato, smantellato a favore delle multinazionali, dei fondi d’investimento, e delle banche d’affari. Quello pubblico anche a prezzi di realizzo invece che al valore di mercato. Tutto innegabile. Di quello che si chiama mercato ed è invece l’orto protetto degli affari: comprare, smembrare, rivendere, che si dice “valorizzare”, ma si intende a beneficio proprio e dei propri soci. E non è tutto.
L’ex ministro del Bilancio di Andreotti, di cui fu sempre fedelissimo, cita anche il debito pubblico triplicato dal 1991 – è così. E le cose che non si possono più negare: bassa crescita, disoccupazione e sottoccupazione, disuguaglianze in aumento, nel terzo millennio, tra chi ha e chi ha poco o niente. Ciò che contraddice qualsiasi ipotesi di mercato, che non crea ricchezza se non per i pochi al controllo delle leve: un oligopolio, e forse un monopolio. Sociale. Degli speculatori, la razza più dannosa di capitalisti – e anche spregevole, poiché si nutre come gli sciacalli, della povertà degli altri, di quelli che essa stessa ha impoverito. 
Per chi c’era fa senso leggere questo atto d’accusa. Il revisionismo implicito di Pomicino si direbbe impudente, di uno della prima Repubblica che figurava pasticcione già all’epoca. Inquisito a lungo e anche condannato, seppure nella sua patria d’origine, Napoli, che non si può dire più del diritto: 42 processi, due settimane di reclusione, per dichiarazioni (poi smentite) di un imprenditore, due condanne, per tangenti al partito, nella vicenda Enimont (venti mesi), e nei fondi neri Eni (due mesi), due prescrizioni, e 38 assoluzioni.
Ma Pomicino è uno – uno dei pochissimi – che è rimasto sempre vivo: eurodeputato e deputato, nella prima decade del millennio (eletto in un raggruppamento Dc-Psi che la dice tutta sulla Seconda Reuubblica...). . Riabilitato giudiziariamente nel 2011. Col timbro scoutesco ma senza negarsi: come sottotitolo ha messo “L’Italia e il mondo visti da un democristiano di lungo corso”. Se la Dc era meglio, è tutto dire.
Pomicino è anche uno dei pochi – il solo? – che dice il ruolo non secondario di alcuni giornalisti nello scandalismo (“tutto, purché non si governi”). È l’unico che ricorda che Borrelli, il Procuratore Capo di Milano, quando Carlo Sama cominciò a nominare giornalisti, lo bloccò con un liquidatorio: “Per quello che ci risulta, si tratta di giornalisti con i quali Sama aveva appuntamenti di lavoro”. Sama era l’“ufficiale pagatore” del sistema di tangenti collegato all’affare Enimont, per conto del gruppo Ferruzzi.
Un capitolo conferma autorevolmente il già noto. Berlusconi temeva il fallimento a opera del sistema Mediobanca, di Enrico Cuccia e i suoi salotti milanesi, e per proteggersi entrò infine in politica. Il disegno politico aveva avviato come patrocinatore, ma di fronte al concretizzarsi delle minacce si trasformò in capopopolo. Fu tenuto a galla da due banchieri marginali al sistema, Luigi Fausti della Commerciale, che per questo pagherà, e Cesare Geronzi dell’allora Banca di Roma, che Andreotti proteggerà dai fulmini milanesi – Cuccia scenderà a patti con Andreotti. Con la politica Berlusconi evitò, dice Pomicino, la sorte dei Ferruzzi, un impero dissolto dai salotti buoni nel nulla, col suicidio del capo azienda, Raul Gardini.
Un altro capitolo riguarda le deviazioni giudiziarie. In cui Pomicino è per più aspetti parte in causa (avrebbe potuto dirci perché gli andreottiani furono, fra tutti i Dc, gli unici esclusi dai fulmini di Mani Pulite, ma non lo fa). Però è vero che si voleva lo Stato-mafia già nel 1992, lo voleva l’ex Pci. Forse non Napolitano, che da ultimo si tenterà di coinvolgere, ma i suoi compagni sì. E che Violante, deputato Pci-Pds, votò con gli altri pidiessini contro un decreto Andreotti-Vassalli inventato per non scarcerare un nugolo di mafiosi, i loro processi essendo più lunghi della carcerazione preventiva. A buon rendere (Riina dirà solo alcuni anni dopo, nell’unica dichiarazione pubblica che gli si conosce: “I comunisti sono i nostri nemici”)?

Paolo Cirino Pomicino, La Repubblica delle giovani marmotte, Utet, pp. 268 € 15

martedì 26 gennaio 2016

Problemi di base - 262

spock

Merkel sugli altari che apre le frontiere ai siriani, e Merkel sugli altari che subito dopo le chiude: è la stessa santa? ha una gemella?

Tre miliardi alla Turchia e un muro contro la Grecia, c’è un senso? (sì, annegare meglio i bambini siriani) (la schizofrenia anche) (e il business?)

O si vogliono annegare meglio i bambini siriani?

Da dove devono passare i siriani per raggiungere la Germania, terra loro promessa?

La Grecia è sempre stata generosa coi tedeschi, perché i tedeschi vogliono annientarla?

Non lo faranno per pagare ancora meno le vacanze?

Non ci sarà una schizofrenia nazionale, oltre che psicotica e caratteriale?

spock@antiit.eu

Sinn, la mente dell’attacco all’Italia

“Come minimo” è il suo intercalare preferito. È un uomo pieno di certezze Hans-Werner Sinn, il presidente per diciassette anni dell’Ifo di Monaco di Baviera, l’istituto tedesco della congiuntura. È la voce del popolo, non preso sul serio in patria ma influente abbastanza da fare danni, questo economista che a marzo andrà in pensione. Il teorico e il capopopolo dell’uscita della Grecia dall’euro un anno fa. L’oppositore del Fondo Europeo di Stabilizzazione, fino alla Corte Costituzionale – che gli ha dato torto ma non l’ha domato. Quello che più di tutti, con parole e opere, promosse l’affossamento del debito italiano sui mercati nel 2011. E ancora per un anno continuò a fare campagna contro l’euro.
L’establishment democristiano lo ha celebrato venerdì a Monaco – anche se Sinn è di origini socialdemocratiche, e fu uno dei promotori dell’Agenda 2010 di Schröder, l’ultimo cancelliere socialista: il presidente della Bundesbank, il ministro delle Finanze Schaüble, lo stato maggiore della Csu, la Dc bavarese. Schaüble ne ha approfittato per rilanciare il suo vecchio programma di un’Europa a due velocità, o meglio a due o più cerchi concentrici. Aggiornato agli eventi successivi: la Danimarca fuori dall’euro, la Gran Bretagna fuori forse dalla Ue. E non punitivo: non fra meritevoli e no, l’odiosa pagella che il progetto originario si arrogava, ma fra chi vuole e chi no – un piano politico. All’origine, nel 1992, un piano molto condiviso all’interno della democrazia cristiana tedesca , la Cdu e la Csu. ma non dall’allora cancelliere Kohl, che volle tutti i “concorrenti” alla stessa piazzola di partenza, senza handicap e senza vantaggi – gli handicap potendo tramutarsi in vantaggi.
L’attacco all’Italia
Sinn, uno che quando sparla dell’Italia ride (di lui e gli altri antitaliani v. G.Leuzzi, “Gentile Germania”, ed. Robin), redasse e pubblicizzò nella primavera del 2011 una serie di note contro le banche italiane e il debito. Una cortina fumogena sul dissesto delle banche tedesche, che Sinn conosceva bene, consigliere d’amministrazione per dieci anni, fino al 2010, della HypoVereins Bank di Monaco, poi salvata da UniCredit. Ma non solo: gli attacchi di Sinn furono determinanti nella speculazione che si aprì sul debito. Con l’aiuto della Deutsche Bank, che liquidò tutti i titoli del debito pubblico italiano in portafoglio, lo fece sapere al “Financial Times”, ricomprandoseli a termine, e propagandò Sinn, fino ad allora poco seguito, nei suoi bollettini e in interviste e convegni.
Le analisi e tesi di Sinn furono rilanciate a ottobre, mentre la banca si disponeva a riacquistare Bot e Btp, dal capo economista della Deutsche Bank, Thomas Mayer. Con commenti del genere: . “Offrire un’assicurazione di prima categoria sui titoli contro il fallimento dell’Italia ci colpisce come offrire un’assicurazione sulla cristalleria al padrone di una casa prossima a un impianto nucleare che sta per collassare. Né il padrone di casa né il detentore di titoli italiani si sentirebbero molto sollevati da questa assicurazione”. Con spreco di distinzioni fra germanici e latini. Mayer ammonì anche pubblicamente contro ogni ipotesi di aiuto europeo all’Italia.
Sinn è stato insignito del premio Ehrard all’Economia nel 2013. Il premio gli fu attribuito da Thomas Mayer.

Berlino si protegge con Londra

Si chiama Germania ma è anche City, insieme speculazione, sulla pelle degli altri, e protezione dalla speculazione: c’è un fronte solido Merkel-Cameron, come già c’era con Blair, perché passa dalla City, dalle banche e banche d’affari, i fondi, i consigliori - e a breve dalla unificazione della Borsa di Berlino con quella di Londra, sotto la gestione della City.
La Germania renana non è più, da tempo: ordinata cioè secondo l’economia sociale di mercato. Con la riforma Schröder del 2006 .la Germania è uno Stato che di sociale ha conservato la spesa pubblica enorme, al riparo di alcuni artifici contabili. Ma ha diviso il sociale dal mercato. Quelle “riforme strutturali”, e cioè la precarietà del lavoro e i mini-job a 400 euro al mese, hanno avviato un asse solido ormai di dieci anni.
È l’asse con Londra, politico e di affari, che ha consentito alla Germania di scapolarla nella crisi bancaria, pur essendo quella più esposta. Le banche regionali sono tutte sussidiate dallo Stato. Le grandi banche sono pericolanti. Commerzbank è stata salvata non si sa più quante volte (una anche da Generali), dopo aver salvato la Dresdner, ed è stata ripubblicizzata - al 17 per cento, ma è una quota di controllo di fatto. Deutsche Bank accantona miliardi su miliardi per perdite e multe. Ma nessuna banca tedesca è mai andata sotto tiro a Londra – e neppure, curiosamente, a Francoforte, alla Banca centrale europea (e si può stare sicuri mai andrà sotto processo ora, con la neonata Commissione europea di risoluzione, quella che decide i fallimenti e i bail-in, saldamente presieduta da Elke König, manager merkeliana dei mercati finanziari – presiedeva la Consob tedesca).  

Il debito tedesco non è debito

“Dio non paga i debiti” è una delle frasi famose di Hans-Werner Sinn, l’economista della nazione che ora va in pensione. I supremi non pagano mai, non sono così volgari, e quindi nemmeno i debiti.
Sarà forse questa la ragione, semplice, del perché la Germania può dire non debito il suo debito pubblico. Il famoso indebitamento della sua Cassa depositi e prestiti, la Kfw, che un codicillo legale le consente di non contabilizzare. I debiti regionali. La spesa assistenziale, un buco enorme. Il calmieramento che la Bundesbank, contrariamente a tutti i divieti, fa dei titoli di Stato tedeschi sul mercato primario, acquistandone a volontà – nel mentre che si oppone (si opponeva) a un simile intervento della Bce.
Questa è la differenza più semplice, e non contestabile. Il trattato di Maastricht vieta l’acquisto sul mercato primario (quello riservato ai grandi acquirenti, banche e fondi) dei titoli di Stato da parte delle banche centrali. La Bundesbank non acquista i Bund al collocamento primario, cioè sì, acquista l’inoptato ma non lo contabilizza, lo “congela”, e poi lo cede al mercato secondario. Evitando così un rincaro dei rendimenti e una perdita di valore dei Bund.
Kfw ha debiti per 500 miliardi, che non si contabilizzano nel debito pubblico anche se lo sono a tutti gli effetti – Cdp ne ha 300, tutti contabilizzati. Il codicillo legale che consente la disparità è che Kfw fa almeno metà dei ricavi sul mercato. Ma ci arriva per essere grande azionista di grandi aziende pubbliche, solo formalmente privatizzate: ferrovie, poste, rete telefonica. La diversità di trattamento non è solo contabile. Kfw può finanziare le piccole e medie imprese tedesche a tassi agevolatissimi con denaro pubblico, raccolto da una banca pubblica, che costa di meno perché non è debito pubblico.
I Länder hanno debiti per 600 miliardi, che anch’essi non si contabilizzano nel debito pubblico perché la Germania ha statuto federale. Debiti quasi tutti con Kfw, doppia dipendenza. Molto debito è in capo alle banche, regionali (più Commerzbank) e pubbliche per il 50 per cento: i crediti deteriorati ammontano a oltre 600 miliardi – più del doppio di quelli italiani.
In più ci sarebbe da calcolare il famoso “debito implicito” introdotto quattro anni fa da Eurostat, l’Istat europeo, insieme con l’università di Friburgo, Scienze Economiche, e con l’istituto berlinese Marktwirtschaft: la spesa assistenziale che si evita di calcolare nella spesa pubblica corrente. La Germania ha pensioni Inps bassissime (ha ancora pensioni tipo Inpdap per i dipendenti pubblici,  elevate, e pensioni Inps per tutti gli altri): la metà non arrivano a 700 euro, e un 10 per cento ha meno di 150 euro al mese. La sopravvivenza è assicurata dall’assistenza. Un “buco” (spesa senza entrate) che supera i 5.000 miliardi, più del doppio del debito pubblico ufficiale, 2.400 miliardi, ma che non si conta. 

Prometeo è un po' confuso

Singolare ritratto storico-somatico a quattro mani di due emeriti della sociologia politica. Quasi un epicedio, una rivendicazione a futura memoria. Dodici capitoli tematici. Popolazioni, con migrazioni comprese, nel senso di dire: non sono una novità. I confini, col nazionalismo. La città. Le chiese. Le lingue. Le università e le altre istituzioni del sapere. I sistemi di governo e politici. Le disuguaglianze e l’uguaglianza. E ora l’unione economica, i mercati. Ma di fatto un’eulogia  dell’Europa, acuta (Ulisse), combattiva (Prometeo), innovativa (Faust). All’insegna dell’illuminismo: razionalità e soggettività. Tutto vero e buono, naturalmente, e non contestato, quindi da non riaffermare, non fosse per alcune aporie.
Alla ragione non si può obiettare, al panorama comparatistico più ampio possibile: il calcolo, la tecnica, la ricerca applicata da una parte, e dall’altra la speculazione critica. Anche se la ricerca è precedente all’illuminismo: Bacone, Galileo, Cartesio. Questo è molto europeo. Dopodiché la promozione dell’individuo, del quisque faber, promotrice insieme dei valori di libertà e di eguaglianza, della democrazia e del benessere (solidarietà), è anch’essa riportata all’illuminismo. Ma dimenticando quanto dobbiamo all’illuminismo e alle volontà generali in fatto di teorie e pratiche totalitarie – altrove usurpatrici e tiranniche, in Europa a buon diritto, coi partiti totalitari e con lo Stato. Mentre è solo cristiana (perché non rivendicare anche questo primato?): si è uguali davanti a Dio. È da qui che nasce l’individualismo europeo, più che dalla polis greca o dall’ethos illuminista, che invece faceva discriminazioni. Cavalli e Martinelli lo riconoscono e poi se ne dissociano, perché la chiesa di Roma ha avuto ondeggiamenti. Che però è un’altra cosa, la chiesa può non essere cristiana.
Il radicamento è importate per la parte propositiva della trattazione, l’accoglienza e l’integrazione. È chiaro – è chiaro a tutti probabilmente, malgrado le polemiche – che la civiltà si svolge meticcia, per integrazione di popoli, valori, linguaggi diversi, e anche di razze, forse. L’integrazione non è un problema, e nessuno di fatto alla fine esclude l’altro. Può restarne sorpreso, anche gli italiani sembravano strani agli angloamericani un secolo fa, ma poi si addiviene ala normalizzazione. Il problema è l’accoglienza: è l’accoglienza disastrata e disastrosa che crea frizioni e rifiuti: senza paratie né chiuse, e senza luoghi e canali di sbocco. L’Europa non è cattive né pregiudicata, è disorganizzata.   
Alessandro Cavalli-Alberto Martinelli, La società europea, Il Mulino, pp. 352 € 24

lunedì 25 gennaio 2016

Fisco, appalti, abusi (83)

Perché Milano è la Borsa più volatile in Europa, sulle banche e su ogni altro titolo al listino? Perché le autorità di controllo interpretano l loro ruolo nel senso di non intervenire: “proteggono” il mercato non intervenendo. A favore cioè delle mani forti.

Monte dei Paschi ha parametri di solidità patrimoniale più elevati della media europea. Ma con la capitalizzazione di Borsa ridotta a un terzo del valore in poche ore dalla speculazione, può essere comprata alla metà del valore. Quale mercato difendono le autorità di controllo e garanzia?

Tutte le banche italiane hanno un Cet 1 al di sopra del minimo richiesto dalla Bce, pari al 10,5 per cento. Il Cet 1, Common Equity Tier 1, indicatore principale, è il rapporto tra il capitale ordinario e le attività (crediti) della banca ponderate per il rischio. Da Mediolanumm che è al 18,8, a Unicredit, che è al minimo Bce.
Al di sotto c’è la Bnl, al 9 per cento, di cui però non si fa un caso – perché è di propriatà fracese? Sono al di sotto anche Veneto Banca e Popolare di Vicenza, attorno al 7 per cento. Ma i soci hanno deciso di azzerarsi e ripartire.

L’indice Total Capital (capitale più riserve, dividendi non distribuiti, aumenti di capitale) è ben più solido ancora: si va dal 18,80 di Mediolanum all’11,70 di Bnl, ben al di sopra del minimo Bce, il 10,50 -Veneto Banca e Popolare Vicenza arrancano, ma vale quanto detto: i soci le riscattano. Perché allora la speculazione punta sulle banche italiane? Perché sono in vista accorpamenti, con la messa sul mercato delle Popolari, e bisogna comprare a sconto.

Letture - 244

letterautore

Autore – Parafrasando il disoccupato di Aris Accrnero, “giovane, donna, meridionale, diplomata”, l’autore è oggi “giovane, attraente, disinibito, donna preferibilmente. È il format della dozzina di talk-show che mescolano la politica, meritoriamente, con i libri: le best-selleriste vogliono giovani, belle e disinvolte.

Brecht – L’opera ha teorizzato aperta, ambigua anche. Sin dall’esordio da scrittore, al liceo Sant’Anna di Augusta, e poi nelle opere migliori, per esempio il “Galileo”. Ma anche nell’impegno politico, negli anni di Hitler e poi della Repubblica Democratica Tedesca. La Volkstümlichkeit del saggio “V. und Realismus”, 1938, e il canto, il teatro, la tradizione popolare, che evoca negli stessi anni in cui erano tema ossessivo della propaganda nazista, vuole mutevoli,  cioè nuovi: “Trasformare il cacciatore in selvaggina richiede inventiva”. È incontestabile: “Nuovi problemi emergono e richiedono nuovi mezzi. Muta la realtà, e ci vogliono nuovi mezzi” – “dal nulla viene il nulla”, dalla sottomissione. Ma sempre sulla base della complessità: “Chiunque non sia irretito in pregiudizi formali sa che la realtà può essere taciuta in molte maniere e in molte maniere dichiarata”.

Critica – È stata “recitazione” (De Sanctis), “oblio dell’anima nella poesia” (id.), “verdetto giudiziario” (Dewey), “cronaca del lunedì” (Sainte-Beuve), “degustazione gastronomica” (Brecht), “conoscere la strada ma non saper guidare” (K. Tynan), una donna nell’età critica, ansiosa e refoulée” (Pavese). Oggi è piuttosto un call center, di quelli dei contratti al telefono, altrettanto fastidiosa.

Germania – Il 12 giugno 1917, nel pieno della guerra, si dava a Monaco in grande prima, concertatore e direttore Bruno Walter,  il “Palestrina”, su Giovanni Pierluigi, il musico, del compositore Hans Pfitzner. Che era ben nazionalista - poi sarà nazista. Tanto più sorprendente è perciò l’ “impolitico” Thomas Mann degli stessi anni, che eruttava menzogne e malvagità contro l’Italia - e la Francia - nelle voluminose “Considerazioni”.
L’opera fu molto apprezzata da Alfred Einstein, il biscugino di Albert che per primo ha studiato e classificato il madrigale italiano - uno dei tanti rivoluzionari conservatori tedeschi che si rifuggeranno in Italia, prima di esserne allontanati da Mussolini. Pfitzner aveva debuttato con un “Dunkle Reich”, il regno oscuro, su testi di Goethe e Michelangelo. Era destinato a ripetere Wagner grand’operista, ma scrisse un capolavoro italiano. Anche Anche Heinrich scrisse di Palestrina, con affetto nella “Piccola città”, il fratello che Thomas impolitico infama. Il nome, certo, è fatato: le cose migliori Wagner le fece dopo avere studiato e trascritto Palestrina e lo Stabat Mater. Thomas Mann invece a Palestrina, dove nacque scrittore col fratello, trova il Diavolo, nel “Doktor Faustus” scritto a Beverly Hills.   
Pfitzner ritornerà anche in questa voluminosa allegoria. Era stato un saldo avamposto delle “Considerazioni di un impolitico”, e anche dopo: “La virtù” le “Considerazioni” impersonano in lui. Poi l’Impolitico lo ripudierà, ma lo prenderà a modello di Adrian Leverkühn nel “Doktor Faustus”. Si vuole Adrian un calco di Nietzsche e Hugo Wolff: no, da loro Mann media solo la lue, il modello è lui, non dichiarato perché Pfitzner era vivo quando il romanzo uscì.
Quando Pfitzner, dopo aver perso la casa e il posto a Strasburgo nel ’18, si propose a musico nazionalpopolare, Thomas Mann cooperò entusiasta, con Alfred Einstein, alla fondazione del Centro Pfitzner per la musica tedesca. Poi Hitler fece visita nel febbraio del ‘23 al musicista malato d’itterizia all’ospedale Schwabinger. Pfitzner reciprocò a novembre inviandogli libri nel Landsberger, la fortezza dove Hitler scontava il fallito putsch e scriveva “Mein Kampf”. Si ebbe per i settant’anni nel ‘39 feste nazionali, credette alla Ridotta Alpina, rifugiandosi a Garmisch nel ‘45, negò l’Olocausto, benché fosse intimo del “macellaio dei polacchi” del “Kaputt” di Malaparte, Hans Franck - di Franck si professerà amico fino alla forca a Norimberga. Fu riabilitato nel ‘48 malgrado l’ostilità di Mann, e reintegrato all’Accademia di Monaco retroattivamente: la sua musica romantica non s’intonava al Terzo Reich, e il posto all’Accademia aveva perso per una lite con Göring.
Adrian Leverkühn fa tutto quello che fa Pfitzner, compreso andare a Palestrina e vendersi al diavolo Hitler: i suoi gorgheggi col maligno sono un calco delle cantate di Palestrina con l’angelo. Le lodi di Adrian ripetono l’elogio di Pfitzner nelle “Considerazioni”, parte della celebrazione della superiore cultura tedesca.

“A 18 anni ho sperimentato la Liberazione e posso dirvi che è stato un momento abominevole, peggio dell’Occupazione”, Ricorda Scaraffia che Tournier ha detto. Tournier è uno scrittore  fiabescamente vero. E comunque è questo un altro fronte dell’inevitabile revisionismo della guerra – in aggiunta a quelli già in agguato: bombardamenti, stupri russi, deportazione dei tedeschi orientali.
È un cortocircuito, l’“ho visto” esclude l’“ho saputo”, l’informazione. Ma c’è un modo di apprezzare anche l’Occupazione: ordine, obbedienza. E di aggiungere tasselli al revisionismo, che non può tardare.

Messa – Una nota ai “Werke” di B.Brecht, 10, p. 10, la definisce “forma musicale per voci soliste, coro e orchestra della liturgia della chiesa cattolica”. Una forma musicale, ai teologi potrebbe risultare risolutiva.

Pasolini – Visse solo 53 anni – sembra che ci sia sempre stato.
Aveva estro pittorico più che narrativo – o altrimenti di situazioni in surplace, quadri viventi. Ma fu pittore in privato: elegiaco, intimista, di se stesso.
Artificiosa è pure la morte, benché efferata: come sul set di un assassinio, di odio e di paura, san Sebastiano di borgata. Che in “Bestia da stile”, riscritto più volte fino all’antivigilia della morte, aveva sceneggiato: “Voglio morire di umiliazione, voglio che mi ritrovino col sesso di fuori”.

Aveva smarrito la vena comica - la lievità d’animo che è il segno certo di Dio: spento il fuoco e la luce, pure quella fatua, filamentosa, la baluginante fosforescenza delle lucciole. Incattivito con se stesso, dissero gli amici.

Sainte-Beuve – Sono sue molte citazioni diventate pratica corrente: “le tout revient au même”, “invecchiare è il solo mezzo che si è trovato di vivere a lungo”, “bisogna andare otre la meta per raggiungerla”, “meno si parla, meglio si pensa”, “quanti muoiono prima di aver fato il giro di se stessi”, “Mme de Staël esibiva volentieri le braccia, il petto, ciò che aveva di meglio, e diceva: «Ognuno mostra il viso dove ce l’ha»”, “poiché dobbiamo avere amici, vediamo d averne che ci facciano onore”, “di tute le forme dello spirito, l’ironia è la meno intelligente”, etc.. Una miniera di bons mots, arguti, spiritosi. Pur essendo, oltre che inviso a Proust, che tentò di ridicolizzarlo, accademico a 40 anni, introdotto da un discorso di Victor Hugo, di cui si era fatto amico, e senatore di Napoleone III.

Volk - È tema anche di Brecht, oltre che della propaganda nazista, in chiave naturalmente diversa, ma altrettanto ossessiva. Già negli anni del nazismo, nel saggio “Volkstümlichkeit und Realismus”, del 1938, tradotto da Chiarini come “Popolarità e realismo”, e poi nella Repubblica Democratica Tedesca. Ma sempre nella forma aperta, ambigua, che gli è più propria, anche sotto l’impegno politico. 

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Un’altra Russia prima dell’impegno

Gor’kij era un altro. Come si legge nei tre racconti che Paolo Galvagni ha qui recuperato, e si vede nella foto dell’artista da giovane che li accompagna. Prima che la politica lo assorbisse, nel realismo che poi sarà dichiarato socialista e nelle polemiche – fino al ritorno a Mosca da Sorrento nel 1932, per esserne celebrato, e subito poi avvelenato. Non era l’impegnato celebratore della gioventù povera, che pure era stata la sua, orfano a tre anni, né l’agitatore arcigno e censore sociale. Era brillante, ironico, lieve – tra i suoi due numi, Cechov e Tolstòj, ancora sulle tracce del primo. Anche la sua Russia era un’altra, meno remota.
Maksim Gor’kij, La signorina e lo stupido, Via del Vento, pp. 37 € 4

domenica 24 gennaio 2016

Uno scandalo interno al Pd

Tutte le banche italiane fanno riferimento al Pd, attraverso le fondazioni e i cda. Tutte però Popolari, inclusa la Bnl francese di Abete: Intesa, Unicredit, le Popolari, le Cooperative eccetera.  Fanno capo all’ex Pci alcune poche, quelle degli scandali recenti: Mps, Carige, Marche, Ferrara. Con Mediobanca ultimo presidio della finanza laica, fino a trent’anni fa dominante – anch’essa peraltro Pd
Si parla solo di banca Etruria per via dei Boschi, e quindi di Renzi. Per la possibilità di mandare in crisi il governo. E questa è un’altra anomalia: tutta l’informazione, benché schierata con i Popolari, lavora ad abbattere il governo - al suo modo mellifluo anche la Rai. Non pro o contro il Popolare Renzi ma perché l’Italia non dev’essere governata: il governo deve cambiare ogni pochi mesi, deve stare sotto controllo. Le banche, la sana gestione, il risparmio, le truffe al risparmio sono solo espedienti a questo schema, nessuno si occupa in realtà di prevenire e reprimere, di garantire il risparmio.

“Abbiamo le banche”

Non c’è solo l’Etruria, i risparmiatori truffati con le obbligazioni bancarie sono diecimila, per un totale di 350 milioni. Non se ne parla, e questo è parte dell’imbroglio. Si parla solo di Banca Etruria per via dei Boschi, e quindi di Renzi. Ma di Banca Marche, Carichieti e Carife (Ferrara) non si parla.
Lo scandalo di cui non si parla è dell’inquinamento politico delle banche..Lo stesso è all’origine dei controlli omissivi degli organi di controllo, la Consob e la Banca d’Italia. Che in un altro ordinamento sarebbero stati criminali: intervengono tardi e male per non disturbare il manovratore.
Lo stesso per l’informazione, tutta allineata – non proprio tutta, diciamo al 95 per cento, al 90: Rai, Sky, gruppi Riffeser, De Benedetti, Rcs, Caltagirone, Elkann. E una giudicatura senza vergogna, che in una dozzina d’anni ormai di scandali bancari, a partire dalla vendita di Bnl, ha sanzionato solo i Berlusconi, rei di aver pubblicato una telefonata segreta - in cui l’allora segretario del Pd Fassino si congratulava proprio di questo, in occasione dell’acquisto (poi sfumato) della banca romana: “Abbiamo una banca”. 

Il mondo com'è (247)

astolfo

Fascismo – Si affranca senza più remore tra gli ultimi testimoni viventi, al mercato, alle poste, al bar, sui mezzi pubblici, dovunque si parla in libertà, con la premessa “non si può dire ma”, il ricordo nostalgico degli anni 1920-1930. In cui “tutto funzionava”. Da ridere, ma non troppo. E “non si rubava”. Noi sappiamo che si rubava, ma niente al confronto di oggi: rubavano i ladri, non tutti come avviene oggi, e non in forza del diritto, anche quelli che timbrano il cartellino e se ne vanno. Il fascismo è naturalmente la dittatura, le guerre, di cui l’ustima esiziziale, e le leggi antiebraiche. Ma fece, in soli sedici anni di governo effettivo, e progettò cose che un secolo e mezrzo di storia italiana non eguagliano: tutto l’apparato sociale, poi in patte smantellato, a favore degli indigenti, la donna, la maternità, l’infanzia, i disagiati (reduci, invalidi, poveri), il diritto allo studio, gli ospedali, le strade e autostrade, le ferrovie, la forestazione, i primi parchi naturali, i regolamenti edilizi, il catasto urbano, l’urbanistica. Le case popolari per i poveri-ladri di Trastevere a Donna Olimpia a Roma e ai Quattro Venti, sono ampie e sempre solide, costruite con materiali non di scarto, non come le Vele di Scampia o il Corviale della Repubblica, e anzi perfino, per gli standard della Repubblica, signorili. 

Globalizzazione – Si fa ascendere agli anni 1980, al’allargamento delle maglie della World Trade Organisation alle esportazioni dei paesi latinoamericani, su licenza o per conto per lo più delle multinazionali. Un’apertura culminata  a fine decade con Tienanmen, l’estensione della “non ingerenza” al regime politico dell’esportatore, nel caso della Cina. Ma, facendo perno sulla Cina quale motore della globalizzazione stessa, e del vasto accrescimento del benessere diffuso negli  ultimi trent’anni, si può risalire al 1971, alla diplomazia del ping-pong, con la missione segreta di Kissinger, inviato di Nixon, a Pechino, e alla successiva visita del presidente americano, 1972. Il 1971 è anche l’anno della sospensione degli accordi di Bretton Woods, che avevano retto le politiche monetarie dell’Occidente nel dopoguerra, e della convertibilità del dollaro, in conseguenza del costo insopportabile della guerra al Vietnam. E cioè della fine del disegno di dominio militare del mondo.                                                                                                                  Guerra civile – Si riscopre Hobbes, o almeno il frontespizio del “Leviatano” (Agamben, Ginzburg), e si chiama guerra civile quella che le tribù arabe si fanno tra di loro, ora in nome della religione. La guerra civile su cui i filosofi insistono non è tra le “due culture”, cristiana e islamica, ma islamica, e al suo interno più specificamente araba: di gruppi islamici, cioè arabi, gli uni contro gli altri.

Il filosofo Agamben e lo storico Ginzburg ci vedono un terrorismo degli Stati. Nel senso che i gruppi terroristici sono o sono stati armati e finanziati da Stati, compresi gi Usa. Ma non è sempre stato così? La guerra civile è una guerra by proxy. Di comunisti contro fascisti e cattolici per conto dell’Unione Sovietica nel 1945-1946, dei fascisti e dei cattolici contro i comunisti per conto dell’Occidente e degli Usa. Altrimenti è solo terrorismo.

Innocenzo –È il nome di alcun i dei papi meno innocenti.  Innocenzo I, papa dal 401 al 417, pretese il primato papale su tutte le chiese. Innocenzo II si attribuì un primato giurisdizionale su re e imperatori nelle questioni temporali e spirituali. Che Innocenzo III e Innocezo IV nel primo Duecento confermarono. Innocenzo III è anche quella del “De contemptu mundi”, del rifiuto del corpo, di cui la chiesa ha difficoltà a liberarsi, della prima Inquisizione, delo sterminio degli albigesi. Con Innocenzo VIII nacque tra le badesse nei conventi il 5 dicembre 1484 la bolla contro le streghe - tra Magonza, Treviri e Colonia - per l’ossessione del fornicare promiscuo “con demoni incubi e succubi”. Settemila furono bruciate solo a Treviri, ottocento in un anno a Würzburg. Il record resta alla minuscola Como, mille in un anno, e a Tolosa, quattrocento in un giorno – la caccia s’intensificherà sotto la spinta della Riforma, del suo preteso Dio laico, e si farà soprattutto dove la chiesa di Roma aveva poco o punto potere, per esempio nel tardo Cinquecento nella Germania settentrionale.

Islam – La violenza è di fatto araba. Si definisce islamica nel senso della religione, è araba. Fra tribù. Divise anche dalla religione, ma fondamentalmente da odi tribali. Si dice una guerra tra sciiti e sunniti, ma di fatto sono i sunniti ch muovono guerra. Agli sciiti e tra di loro, fra confessioni diverse e tribù.
Atti di guerra “civile” islamica sono perpetrati anche fuori del mondo arabo, in Pakistan, nell’Africa sub-sahariana e in Estremo oriente, Malesia, Indonesia. Ma sempre a opera di gruppi indottrinati e finanziati da personalità e interessi arabi.

Mani Pulite – Fu la cancellazione di una cultura: laica, democratica, costituzionale. A opera e a favore delle due culture politiche solo formalmente costituzionali, la missina (neo fascista) e la comunista. Per l’adesione nota dei suoi maggiori protagonisti, Davigo, Di Pietro, De Pasquale da un lato, Clombo, D’Ambrosio, Ielo dall’altro. Coordinati da un capo andreottiano all’origine, quando fu nominato, e poi sempre saldamente democristiano, con Scalfaro. La Dc sopravisse – e torna ora in auge – negandosi: sciogliendosi, accusandosi reciprocamente delle peggiori nefandezze. Proteti per ultimo da Scalfaro.
Nulla di quanto De Mita, con Carlo De Benedetti e “Repubblica”, andava teorizzando nel decennio precedente, nel quadro del compromesso storico: che in Italia c’erano solo due subculture, la confessionale e la comunista, niente più laici, partiti intermedi, liberalismo, etc. Sub-cultura è termine giusto, non volendo, ma quella confessionale-cattolica sopravvisse negandosi: gli anni di Mani Pulite furono dei giudici nostalgici e degli ex comunisti, che riuscirono così a rovesciare la frittata – e tuttora la rovesciano.
Se ne comincia a parare, dopo il plauso universale dei primi anni e lo sconcerto dei successivi, ma non abbastanza, e non nei termini appropriati. E tuttavia il più resta ancora da fare: la dimensione culturale e politica di quel fenomeno, nonché la storia di chi, come e perché. Una tessitura politica belzebbubiana probabilmente, sulla linea Andreotti-Borrelli-Di Pietro – con l’attenzione divertita e l’appoggio del dipartimento di Stato e della stesa ambasciata usa in Italia – di questo si può dare testimonianza.

Di Borrelli esiste solo la biografia ammirata di Giorgio Dell’Arti sul sito Cinquantamila giorni. Che però nasconde il fatto principale: come fu che Borrelli arrivò alla Procura di Milano. Grazie a Andreotti. Che sarà - come tutti gli andreottiani meno uno – il grande escluso dalle indagini di Mani Pulite: gli andreottiani erano gli unici onesti della Repubblica. E non dà la citazione giusta del motto “Resistere!”. Il motto segue una dichiarazione di Borrelli, da presidente della Corte d’Appello di Milano, all’inaugurazione dell’anno giudiziario il 12 gennaio 2002: “Ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto, ultimo, estremo baluardo della questione morale, è dovere della collettività resistere, resistere, resistere come su una irrinunciabile linea del Piave”.
Dinastia napoletana di magistrati, da padre in figlio da più generazioni, senza ombra naturalmente di nepotismo, Borrelli una volta disse che se il capo dello Stato avesse chiamato i suoi sostituti a  prendere parte a un governo di salute pubblica, loro erano pronti. Ma lo fregò Di Pietro: costretto a lasciare la magistratura per i troppi legami con i suoi inquisiti, si fece fare senatore da D’Alema, nel collegio blindatissimo del Mugello – annientò gli altri candidati, Sandro Curzi e Ferrara. Presidente di corte d’Assise a Milano tra il 1978 e il 1982, si era segnalato per l’assoluzione del carabiniere che aveva ucciso in una manifestazione un ragazzo inerme, Giannino Zibecchi, inseguendolo col gippone sul marciapiedi. Lo assolse nonostante “la manovra non giustificata dalla situazione di fatto e prevedibilmente pericolosa per l’incolumità di quanti si trovavano in corso XXII Marzo”.

Rubygate – Giorgio Dell’Arti fa un errore anche nell’agiografia di Ilda Boccassini: la fa sposata e divisa dall’avvocato Alberto Pironti. Invece che dal giudice di Milano Alfredo Nobili, più giovane di lei di un paio d’anni. Che la Procura di Firenze, allora diretta da Pierluigi Vigna, accusò vent’anni fa di aver protetto il cuore della mafia a Milano, l’Autoparco di via Salomone – droga e armi per un fatturato cospicuo - 250 miliardi l’anno – per quasi dieci anni, 1984-1993. Traffici di cui tutta Milan era a conoscenza.
A  Nobili, assolto dalle accuse di Vigna, era poi finita per competenza l’inchiesta della Guardia di Finanza su Ruby. Che gli inquirenti fecero in modo che approdasse invece sul tavolo della ex moglie. Nella lite fra Robledo, vice, e Bruti Liberati, capo della Procura di Milano, il primo sostenne al Csm che Nobili non rinunciò a coordinare l’inchiesta Ruby a favore della collega (ed ex moglie) Ilda Boccassini perché “non è mai stato interpellato sul punto, né è stata richiesta la sua opinione”. Bruti Liberati invece sostenne che Nobili, a cui doveva toccare il fascicolo, quando seppe dell’assegnazione alla Boccassini disse: “Grazie, sono contento, io ho altre cose da fare”. E il Csm gli ha creduto.

Unione Europea – È un progetto politico che si realizza attraverso l’economia:  la comunità dell’acciaio, poi quella commerciale, poi agricola, industriale e dei trasferimenti, di persone e capitali, la moneta unica. È uno dei tanti progetti politici, tra cui quello di Altiero Spinelli, di cui si celebrano i trent’anni della morte. Che avrebbe preferito invece passare per la difesa comune: una politica estera e di difesa che invece tuttora latita. Come progetto politico è incompiuto, ma senza il sostrato politico perde velocità e consistenza. In economa, per esempio, altre soluzioni possono essere più convenienti, altre forme di integrazione, quali quelle che vivono Norvegia e Gran Bretagna. Come unione politica, o comunità di destino, ha invece il vantaggio inestimabile di escludere la guerra, le guerre intestine.

Vietnam – La guerra perduta dagli Usa ha segnato un ciclo storico. Ha chiuso sul nascere il disegno di un’egemonia piramidale, militare, del mondo, del dominio esclusivo con le armi. Aprendo il ciclo kissingeriano dell’equilibrio, e la via alla globalizzazione, attraverso il multilateralismo, o una costellazione di potenze regionali. Non si cercano i punti di contrasto per abbattere il nemico, ma i punti di interesse comune. 

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