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mercoledì 9 aprile 2008

Niente paura, le elezioni le perde Veltroni

Niente paura, le elezioni le perde solo Veltroni: non c’è rassegnazione in Prodi, c’è una malcelata soddisfazione. Di vedere Veltroni andare incontro alla disfatta, e con lui l’ex Pci, che stava monopolizzando il Partito democratico, di cui il Professore è l’ideatore e si ritiene l’interprete. Le elezioni improvvise ribaltano la prospettiva del Pd, da iniziativa vincente a sicuro sconfitto, e a chi vive di solo potere la cosa non piace più - non c'è compassione tra le persone pie. Il silenzio dei Dc in questa pazzesca campagna elettorale - suicida - è fragoroso. Non c’è amore tra le due componenti del Pd, e anzi c’è rancore. I residui Dc sono coscienti di dovere alla disciplina ex Pci , al senso di gruppo e di appartenenza del residuo centralismo democratico, il posto in Parlamento in gran numero, molti di più di quando c'era la Dc. Ma sospettano sempre.
“Strane elezioni, senza battaglia” titola il professor Sartori. È stata una campagna elettorale assurda, come la caduta del governo che l’ha generata, una vera commedia degli equivoci. Una campagna debole, se si vuole, da età dell’acquario o del gossip, dello shopping, della happy hour. C’è stato di peggio, se Cicciolina è stata deputato della Repubblica, primo eletto dei radicali a Roma. Ma era un caso. Ora la commedia dilaga. A quattro giorni dalle elezioni non si saprebbe dire per chi si vota: la politica non si trova, nemmeno a cercarla nelle pieghe, è un deserto, seppure popolate di belle ragazze. È dunque una campagna irripetibile, e va ricordata. Ma per il Pd.
Uno dei due schieramenti corre per perdere, il partito di Veltroni. Che si immolaa una causa persa, come già Rutelli nel 2001, ma ora con tutta la sua neonata creatura. Non senza hIumour, seppure involontario. La capolista a Roma Marianna Madia, presentata personalmente da Veltroni, dichiara: “Ho una straordinaria inesperienza politica”. Mentre il suo capo rifiuta i socialisti, che bene o male valgono uno e forse due milioni di voti. Con l’effetto che, se i socialisti non ce la fanno da soli, martedì l’Italia sarà il solo paese europeo a non avere rappresentanza nell’Internazionale. Non contento,Veltroni li diffama da Vespa affabile, e il soviet della Rai impedisce loro di difendersi, Annunziata, Santoro, Riotta.
Veltroni solo si è alleati i diepietristi, che ormai sono un partito di antipatizzanti. E non si libera del Pd campano: si proclama nuovo e radicale e si tiene gli assurdi, se non corrotti, amministratori di Napoli e dintorni. Capolista a Napoli è le seconda bellezza Pina Picierno, una demitiana scelta per non candidare De Mita. Picierno si è laureata con una tesi sullo stile oratorio del politico irpino. Il quale, escluso dalle liste, si è offeso e minaccia di rifondare la Dc. Non si accontenta del risarcimento, la candidatura, nel Pd, del figlio Giuseppe, ex addetto stampa della Lazio, la squadra di calcio, nonché proprietario di una Ferrari.
Perché Prodi lo vuole dannato, ognuno lo può capire, seppure a malincuore. Ma Veltroni, perché vuole perdere? Per dimostrare di essere la sola sinistra di governo? Ma dopo la sconfitta il Pd si sfascerà. Con la generosa Madia, e la dottoressa Picierno, e altre pupille analoghe, il Pd non può fare nemmeno l’opposizione. Forse Veltroni, pur antipatizzante socialista, non conosce i democristiani, la metà del suo partito. Il modello Bettini, o modello Roma, non è esportabile: nella capitale i Dc marciano perché è la sola maniera per loro di partecipare comunque agli affari, non così in Sicilia, Veneto, Lombardia, Impania, Toscana, Calabria.
Avremo avuto un candidato progressista che si atteggia a baronetto inglese in America, la testa nel Connecticut i piedi nel Tennessee. E il programma intitola “Yes, we can”, che non dice nulla a nessuno. Credendosi ancora nel Pci di Togliatti: nomina le puledre senatrici, e i vecchi politicanti mette in berlina - senza sapere che sono democristiani e non picisti, e gliela faranno pagare, senz’altro.
Non è la sola stranezza della campagna elettorale. Che sarà ricordata come la campagna Longanesi. “Italia, in piedi!”, suona Veltroni, “Rialzati Italia!”, risponde Berlusconi. Mentre Firenze lancia lo slogan “Mendicanti in piedi!” Il titolo di Longanesi cui tutto si ispira fa “In piedi e seduti”, è più comodo. Baccini e Tabacci formano un partito. Che ha subito adesioni montezemoliane, di quelli che non hanno mai lavorato, della Rai e dei giornali di Lor Signori. Sembrano la novità della stagione, l’ennesimo partito anti Berlusconi nella vasta area di centro. Per un paio di giorni, poi scompaiono. Senza spiegazioni, senza curiosità. Pare siano tornati con Casini. Casini non vuole la concorrenza di Pizza, Amato lo accontenta.
Mauro Ceruti, buon cattolico, preside di Scienza della formazione a Bergamo, responsabile dell’Area Sapere del Pd, sarà un cascame di linguaggio sovietico?, si proclama grande scienziato, e sostiene la propria candidatura con un manifesto scritto da lui stesso a cui noti intellettuali europei avrebbero apposto la firma. È la sindrome Verdiglione? Anche lui si faceva sponsorizzare da intellettuali d'oltralpe. Calearo, il paraindustriale padovano punta di diamante dell’imprendoria democratica, nonché sicuro deputato, si augura che l’Alitalia fallisca. Caldarola, che non ha fatto i tre mandati, ma presiede l’associazione parlamentare Amici d’Israele, non è candidato per essere amico d’Israele. Anche Umberto Ranieri. A favore del Pd solo l’“Economist” e il temibile Scalfari. L’“Economist” preannuncia che darà le pagelle ai candidati italiani. Fa un convegno per preannunciare la sua classifica – pagato dal Pd? Scalfari predice alla Annunziata che Veltroni vincerà: “Ho acquisito la sensazione che c’è un trend secondo cui gli indecisi in maggioranza, attorno al 40-45 per cento, si stanno orientando verso il Pd”.
Non ci sono argomenti, in questa improvvisata campagna elettorale, se non ridire le scemenze che Berlusconi mette in circolo per occupare gli spazi: Ciarrapico dà scandalo, che prenderà, forse, i voti di Fiuggi, Bossi che imbraccia il fucile, le donne che è meglio che siano belle, i presidenti della Repubblica che sono tutti di sinistra – questo è vero. Dopo quindici anni Veltroni scopre la delegificazione di Urbani e Tremonti, e promette di cancellare il primo giorno di governo cinquemila leggi inutili. È un passo indietro rispetto al vecchio Pci, che arrivava alle cose con dieci anni di ritardo. Ma soprattutto è intempestivo: negli stessi giorni di marzo mezza Italia, quella governata dal Pd, è stata angosciata dalle bollette. Acqua, gas, luce, telefono, tutti vogliono avere certificazioni catastali accuratissime, minacciando pene di duemila euro e oltre (bruscolini evidentemente, per Visco che le ha imposte…). Non una certificazione per tutte, ma ognuna una sua certificazione specifica, l’acqua per esempio può chiedere il foglio e la particella, l’elettricità invece, o il gas, vuole il foglio e il mappale – saranno la stessa cosa?
Dal 27 marzo bisogna inoltre disporre, all’improvviso, di una certificazione di sicurezza di tutto, la luce, il gas, il televisore, l’acqua, il water, il condizionatore, le chiusure automatiche, il parafulmine. In proprio e come condominio. A opera di un apposito ordine di tecnici che ancora dev’essere istituito. A un costo di qualche migliaio di euro, oltre a molte giornate di patemi. Una trovata del buon Bersani, fiore all’occhiello, liberalizzatore e delegificatore, di Veltroni. Fino ad ora uno pensava: saranno comunisti, come li vuole Berlusconi, ma non sono scemi. Ora si capisce perché lavorano per Berlusconi.
Alle passate elezioni, appena due anni fa, c’erano sui banchi delle Feltrinelli più di cinquanta, forse sessanta, libri anti Berlusconi. Sono scomparsi. Il genere è in disuso? È il riflesso togliattiano del Pd, gli ex diessini, che si apprestano alla Grande Coalizione? Ci sono invece, non nella stessa proporzione, una diecina, i libri sulle caste, che sono i pilastri della sinistra: la casta politica capostipite, e quella dei giudici, dei sindacati, dei giornalisti, degli speculatori - non dei banchieri, quella stranamente manca, anche se molti scrittori di denuncia devono loro lo stipendio.

Il dollaro è sempre re

Le banche online offrono conti correnti in dollari, ai residenti italiani. Conti non remunerati, in una valuta sempre più debole, che tuttavia proliferano. Per fare trading su Wall Street, beninteso, ma non solo: si comprano dollari perché presto si apprezzeranno. Nel complesso gli investitori privati diffidano: all’ultima asta, il 12 marzo, le Treasury Notes Usa non hanno trovato acquirenti privati.
Un anno prima l’afflusso netto degli investitori privati era stato di 466 miliardi di dollari. E nel quarto trimestre del 2007 ancora di 195 miliardi. La decisa flessione dei tassi imposta dalla Fed per sostenere l’economia e allentare la crisi di Borsa e dei mutui ha reso gli investimenti non più convenienti. La Fed ha portato il tasso base in otto mesi, da aluglio 2007, dal 5,25 al 2,25 nominale attuale. Ma i rendimenti di bond e notes sono una cosa, il dollaro un’altra. Malgrado tutto. Malgrado la recessione in atto, e la politica dei bassi tassi, il dollaro rimane re. Nella facile aspettativa che conviene rimpinzarsene perché il guadagno è sicuro, già a breve termine.
I fondamentali dell’economia internazionale non sono stati scalfiti dalla crisi. La recessione americana sarà di breve durata e di lieve entità grazie alla tenuta del sistema globale. Che va sempre avanti a tassi sostenuti. E coincide col dollaro. Mario Margiocco ha documentato sul “Sole” di domenica la tenuta della globalizzazione, o del sistema dollaro: i fondi sovrani comprano dollari, le banche centrali asiatiche e latinoamericane pure. Le banche centrali e i fondi sovrani acquistano dollari al ritmo di 70-80 miliardi di dollari ogni mese, quindi 900 nel corso di questo 2008 pure infelice. Le banche centrali avevano a fine 2007 riserve per l’equivalente di 6,4 biliardi di dollari, quattro volte le riserve di dieci prima. Di cui 4 biliardi, il 64 per cento, in dollari, e in euro solo l’equivalente di 1,66 biliardi di dollari. Ancora nel 2007, a crisi finanziaria aperta, le nuove riserve delle banche centrali, pari a 1,33 biliardi di dollari, erano denominate in dollari per circa un biliardo.
Il resto del mondo non condivide la rigida politica malthusiana dell’Europa. Che peraltro non contrasta l’inflazione e anzi la aggrava. L’inflazione da Stato. Della burocrazia invadente e …… Della rigidità monetaria che da Maastricht regola l’Europa. Una camicia di forza che non protegge l’Europa dall’inflazione, che è molto superiore a quella registrata compiacentemente da Eurostat, e anzi è una della sue cause, col petrolio e il caro lavoro.

Petrolio a 60, dollaro a 1,30, dopo Bush

Dopo le presidenziali e l’uscita di Bush il barile di petrolio dimezzerà di prezzo, attorno ai 60 dollari. Mentre il dollaro dimezzerà la penalizzazione sull’euro, salendo verso quota 130. Cominciano a corroborarsi di cifre e analisi fra i centri studi Usa le ipotesi politiche sull’andamento dei mercati energetico e monetario dopo l’uscita di scena di George W.Bush, o del partito dei texani, dei petrolieri. La triplice confluenza sul caro-petrolio che ha caratterizzato la seconda presidenza Bush, una produzione limitata di greggio Opec, la speculazione a termine, e la rincorsa dei paesi Opec sul dollaro debole, dovrebbe cessare col 2008. Questa politica, a beneficio dell’industria americana dell’energia (e di Putin, il nemico\amico di Bush, che vende il petrolio e gas con contratti a medio-lungo termine, a prezzi denominati in dollari, ma con indici in euro), colpirà nel prosieguo dell’anno l’economia americana diventando infine insostenibile.
Questo lo schema che sottende le diverse analisi. Il sistema globale creato dagli Usa continuerà a finanziare l’economia americana, ma il caro energia provoca inflazione, la recessione in corso indebolirà ulteriormente il dollaro, e l’afflusso degli investimenti privati dall’estero scenderà verso lo zero. Dando per scontato il superamento della crisi finanziaria dei mutui, la Fed tornerà nel secondo semestre ai tassi alti, il dollaro si rafforzerà, i capitali privati riaffluiranno, insomma una spirale al consolidamento si avvierà. Compresa la stabilizzazione dei prezzi folli dell’energia.

domenica 6 aprile 2008

Riotta verso "la Repubblica"

Nel prevedibile rimescolamento degli incarichi alla Rai dopo le elezioni, la via d’uscita di Riotta è verso “Repubblica” e non più verso il “Corriere”. Il “Corriere” è stato il giornale in cui Riotta è cresciuto e alla cui direzione sembrava predestinato, anche per la dichiarata stanchezza dell’attuale direttore Mieli. Ma anche la Rcs si sta preparando al dopo-elezioni, e la versatilità di Mieli, che comunque si garantisce con un ottimo giornalismo, è ritenuto un asset di cui non privarsi. Nella sua gestione del Tg 1 Riotta invece ha stabilito ottimi rapporti con Carlo De Benedetti, il proprietario di “Repubblica”. Che ama in vecchiaia il suo mestiere di editore più che di padrone. Intende esercitarne il ruolo, come ha già dimostrato portando un personaggio della qualità di Scalfari fuori dal giornale. E sta cercando un rinnovamento della formula, che faccia uscire il quotidiano romano fuori dalla fossilizzazione veltroniana.
In questo quadrio De Benedetti ha avuto con i suoi collaboratori parole di elogio per il direttore del Tg1. Riotta è stato portato alla Rai da Prodi, e De Benedetti anche politicamente vuole ristabilire il suo asse privilegiato col presidente uscente del consiglio. E' un momento di stanca per i grandi quotidiani della sinistra, in calo di vendite e perfino di diffusione. Di cui gli editori hanno il sospetto che la colpa sia della loro eccessiva politicizzazione, e del politicamente corretto che condiziona anche lealtre parti del giornale. Da qui la ricerca di una "nuova generazione" di direttori.

Profumo di uscita

Le Fondazioni del Nord padrone di Unicredit non sono contente di Profumo. Non è una novità: sempre le Fondazioni si sono lamentate del loro amministratore delegato. Delle cui capacità però non hanno mai potuto privarsi. Dopo la fusione con la tedesca Hvb la posizione di Profumo sembra perfino inattaccabile, poiché è il referente unico dell’intera operazione. E tuttavia sono in molti a ritenere la sua più che decennale esperienza a Unicredit conclusa. Le sue posizioni politiche, tra Bertinotti e D’Alema, contrastano con quelle dei suoi soci, e questo è il motivo principale di contrasto. Anche perché sono esibite, quasi che il manager pensasse a un futuro politico. Ma tornano pure le vecchie contestazioni. Profuno non sa valorizzare le partecipazioni importanti nell’establishment finanziario, da Mediobanca a Generali e al “Corriere”. La sua continua espansione non produce le ricche cedole che sarebbero possibili. Uncredit starebbe perdendo il radicamento nel territorio delle diverse banche acquisite, nel retail no, ma nel segmento affari sì, che è il più redditizio, ed è praticamente assente dal credto al consumo, altro lucroso segmento. A Profumo viene addebitata anche l’unica operazione intra moenia dal punto di vista politico, dell’ortodossia confessionale: l’acquisto di Capitalia-Banca di Roma, di difficile digestione. Dopo le elezioni il problema Banco di Sicilia si riaprirà, con Lombardo alla presidenza dell’isola, e Profumo ha già mostrato di non saper capire o circuire le esigenze territoaili del Banco stesso. Ci sono perfino i nomi dei manager che potrebbero prenderne il posto: Pietro Modiano, che è stato a lungo direttore generale di Unicredit, e Matteo Arpe, l’ex ad di Capitalia.

Il socialismo degli speculatori

Quali che siano le perdite finali delle banche Usa, di Ubs e delle banche inglesi alla fine dei conti, 50 o 500 miliardi, sono già il settore più assistito dalla finanza pubblica, sia in Inghilterra che negli Usa. Il finanziamento pubblico alla speculazione era ancora da vedere nella storia, ma questo è ora successo, e di più, secondo tutti i pareri, succederà. Cambiata è sicuramente l’ottica: in altra epoca si sarebbe detto “senza vergogna”, ora si dice “proteggere il mercato”. Da se stesso. Coi soldi dei contribuenti: la finanza è l’onore del mondo e bisogna pagare.
Socializzare le perdite si diceva un tempo – i finanzieri dicevano – con orrore, oggi lo slogan è “socializzare la speculazione”. In Inghilterra si è arrivati a socializzare le perdite della Northern Rock, lasciando agli azionisti la polpa buona della stessa banca. La crisi del 2007-2008 non sarà stata un altro ’29 perché i consumi malgrado tutto non sono crollati e non c’è disoccupazione. E questo grazie alla globalizzazione, che peraltro certa sinistra erige a suo nemico. Allo sviluppo dell’Asia, immenso continente dalla Turchia all’Indonesia, con i suoi fondi sovrani che ritengono loro dovere salvare la stessa globalizzazione. Mentre va sotto silenzio la doppia catastrofe, del liberalismo fiducioso nella mano provvidenziale di Adam Smith, e del socialismo che il mito assistenziale e redistributivo argomentava nel nome dell’uguaglianza. A meno che la Provvidenza di Smith con sia l’uguaglianza dei profittatori. Ma è un’epoca senza argomenti, non c’è neppure da ridere.