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sabato 29 febbraio 2020

Il virus è la privatizzazione

La Sanità lombarda è organizzata sul principio della “privatizzazione”, le Asl e la sanità pubblica. I ticket sono moderati, ma l’attesa nelle emergenze è di ore e anche di giorni, in attesa che il paziente, sfinito, non provveda al pagamento immediato di esami, lastre, ecografie. A tariffe convenzionate ma esagerate – un’ecografia in ospedale costa 150 euro. È tutto qui il nodo del coronavirus, di come è penetrato e si è diffuso negli ospedali.
L’inefficienza della efficienza. Ma un sistema che, evidentemente, non si è voluto cambiare con l’epidemia in corso, poiché i casi di infezione nei nosocomi sono sempre tanti.

Cronache del virus

“Nessuno vuole dare il cambio ai tre infermieri di Codogno. «Abbandonati dai colleghi»”. È vero? Sì. È possibile? Non dovrebbe, gli infermieri prestano giuramento, il cambio tra infermieri avviene “a vista” – se non c’è il sostituto, il personale non può lasciare la postazione, anche se l’orario è scaduto. Ma nessuna “visita fiscale” – seria, non per la forma – risulta essere stata disposta su infermieri sotto giuramento di Ippocrate che dal 20 febbraio si sono messi in malattia.
E la qualità dell’assistenza e le cure del personale rimasto prigioniero in ospedale dal 20 febbraio?
Israele respinge i turisti italiani all’aeroporto. Ma l’infezione è stata introdotta in Israele da un  viaggiatore proveniente da Milano.
Nel padovano si diffonde nome, cognome e indirizzo di una bambina contagiata dal coronavirus.
Grandi timori per l’Africa: se il corona virus dovesse infettare l’Africa a sud del Sahara che non ha ospedali né medici? Ma l’infezione arriva da Milano, da un milanese sbarcato per affari a Lagos, in Nigeria. Questa è una fake news, probabilmente, uno dei tanti scherzi feroci montati sulla rete, ripresa dal giornale radio Rai 2 alle 8.30 di venerdì e poi scomparsa, ma non inverosimile: il contagio che viene da Milano.
Non è fake invece il presidente della regione Veneto Zaia che rimprovera ai cinesi di mangiarsi i topi vivi. L’ha detto, evidentemente pensa che i cinesi mangiano topi. Un presidente che governa cinque milioni di persone, di campagna ma anche di città di antica tradizione, Padova, Venezia, Verona. 
I cinesi mangiano topi? La cultura non è una freccia – stupido Zaia non può essere: è rispettassimo, votatissimo.

Letture - 412

letterautore
DialettoÈ la “lingua” su cui Hbo punta: dopo “Gomorra”, “L’amica geniale”. Ma un dialetto duro, inarticolato – di parole più spesso ridotte a un suono, nemmeno sillabico. Non una lingua, ma un linguaggio: della durezza. Anche di difesa, di chiusura a riccio, ma allora di sofferenza. Niente a che vedere col dialetto napoletano previo (il dialetto di Hbo è una forma di napoletano), dei De Filippo. Articolato invece, armonico, un arricchimento dell’italiano, cioè della comunicazione, nelle forme comiche e in quelle tragiche. Ora solo una forma di comunicazione veloce, e dubbia (confusa, confondente), piuttosto che aggiuntiva o arricchente. Che esclude di fatto, invece che coinvolgere. Il successo allora si spiega come un bisogno di violenza? Oppure come accettazione passiva di qualsiasi proposta, purché “forte”, decisa?  


Dickinson – “Una orgogliosa cialtrona dai giochi facili\  avara anche di cuore”, la saluta Alda Merini in un componimento epigrammatico del “Canzoniere di Sylvia 1986” – ripubblicato in “Confusione di stelle”. “Le lunghe sottane nere” e “il culto velato” delle “pettinature informi” rimproverandole, “indici di una vanità castigata oltre misura”.

Femminismo – L’ultima sua bandiera in America – la penultima prima del #metoo – è stata la sollevazione nelle università da parte contro gli insegnanti, anche donne, che usassero l’intercalare “caro, cara” nel dialogo con gli studenti. Anodino, comunque tollerato, dagli studenti ma offensivo per le studentesse, un’offesa sessuale e quasi un’aggressione. Sigrid Nunez ne fa una storia sapida nel suo super premiato, National Book Award e altri premi, “L’amico fedele”: la sollevazione delle donne al corso di scrittura contro un insegnante poi suicida. Uno che era stato in altra epoca perseguito dalle groupies, o ragazze yé-yé, “stupide, infatuate ragazze” – perseguito nel senso di aggredito sessualmente.
Nunez lo racconta bene, in breve, ma la storia di vent’anni prima, “Disgrazia” di Coetzee.

Flânerie – È solo maschile? Lo argomenta Sigrid Nunez aprendo “L’amico fedele”, p. 4: è possibile, si risponde (fa rispondere al suo personaggio), la donna in strada deve stare in guardia, non può andare sovrapensiero. Ma, poi, gli fa dire anche che per “la donna” c’è un equivalente, lo shopping – “da intendersi, nel caso, quella sorta di curiosare che le persone fanno quando non  stanno cercando ci comprare qualcosa”.

È solo parigina? E solo legata ai libri, dei bouquinistes, e quindi al Lungosenna - bouquinistes sono, erano, i rivenditori di libri usati, che usavano tenere le bancarelle in fila sul Lungosenna, quando i libri avevano un mercato. Walter Benjamin ne ha fatto a lungo, inconcludente, l’anamnesi, perdendosi nei meandri di Baudelaire, che pure era un dandy semplice, perfino limitato – un figlio di mamma che si occupava di passare il tempo, senza faticare.

Periferia – È il “di” d’obbligo, nobilitante, per lo show business, di cinema, canto, ballo, teatro, e anche luogo di riferimento – bistrot, bar – intellettuale: di periferia. Cantanti, attori, attrici, se non sono di periferia è come se non avessero stoffa – nessuno\a a Roma viene dai Parioli, da Prati, Trieste, Pinciano. Nemmeno più da Trastevere o Testaccio, tantomeno dai quartieri medio e piccolo borghesi, per esempio Monteverde, da dove in gran parte vengono e dove si sono formati, in scuole di canto, danza e recitazione pagate dalla famiglie, complessini, teatrini.

Petmania – Una forma di compensazione? Zadie Smith lo dice da New York, quintessenza della condizione urbana, a Luca Mastrantonio su “7”, una compensazione alla durezza della vita in America: “Gli animali sono un conforto: un gatto, un cane, un cucciolo è una tregua” dalle durezze della vita quotidiana, anche della solitudine, “una distrazione dal mondo”. E dunque anche in Italia, dove è molto diffusa?
La condizione animale c’entra poco – anzi consiglierebbe il contrario, non la domesticità forzata, incrociata, ammaestrata.

Poesia – “Una gestazione infelice” la vuole Alda Merini in una autointervista di cui si compiaceva (inclusa in “Confusione di stelle”, lei che poetava piuttosto che parlare. Infelice per essere faticosa, o per gli esiti? È come “partorire delle aquile”. Come gestante soffrendo di “un vomito tremendo per tutte le cose”. Per aver concepito “a volte facendo soffrire un altro”. E tuttavia per un qualche empito o bisogno di amore – senza è l’inferno: “Quando la poesia viene generata dall’assenza o dall’odio diventa un inutile sterpo, ma di questi doloranti sterpi è pieno l’inferno”.

Rilke – Viene proposto in via di beatificazione, in tema di amore. Amore dei bambini, della poesia e di Dio. Ma lasciò la moglie a nemmeno un anno dal matrimonio e non si curò della figlia. Vivendo a sbafo, alle cure di matrone “poetiche”.  La moglie, Clara Westhoff, non era nessuno, scultrice di chiaro ingegno. La figlia Ruth dedicherà la sua vita alla memoria e ai fasti del padre, e ai settant’anni si ucciderà, a 71 per l’esattezza. Rilke non “era fatto per una borghese vita di famiglia”, scrive wikipedia.

Scrivere – È antipatico, argomenta Sigrid Nunez, “L’amico fedele”: “Se leggere effettivamente fa crescere l’empatia, così ci dicono costantemente che succede, sembra che scrivere la allontani un po’”.

“Nei laboratori di scrittura molte storie cominciano con qualcuno che si alza la mattina”, nota Nunez, che ha sempre insegnato scrittura creativa. Il vecchio diario delle elementari – “descrivi la tua giornata”.

Simenon – Si considera sempre più, ora anche negli Stati Uniti, oltre che in Francia e in Italia, “lo” scrittore per antonomasia, se non per eccellenza. Avendo scritto un centinaio di romanzi a suo nome, un centinaio con pseudonimi, e tutti best-seller, anche quando annunciò che si metteva “in pensione” – pur industriandosi ogni giorni di fare l’amore con una donna diversa.

Storia – L’università Roma Tre ne impone lo studio a Fisica e Ingegneria – un corso propedeutico ai corsi disciplinari. Fisici e  ingegneri arrivano all’università troppo ignoranti. L’esito della Grande Riforma del ministro Berlinguer nel 1999. Del Pd dell’epoca, l’ex Pci che come i partiti Comunisti dell’ex Urss si volle all’improvviso “amerikano” in tutto – come se negli Usa la storia non si studiasse. E cominciò abolendo la geografia, e anche la storia, già alla scuola dell’obbligo. Perché la modernità è tecnica – come se la tecnica fosse un sacco di patate, non una cosa da pensare.  

Tutankhamon – Il “re di secondaria importanza” - “la Lettura”- fa il giro del mondo. O “faraone fanciullo” - id. - salito al trono a otto anni, morto a diciannove. Con i 5.400 reperti della sua tomba si fanno mostre dappertutto, in Europa, Australia, Giappone, Stati Uniti. Di una tomba forse “improvvisata”, spiega Livia Capponi, alla morte inattesa, “forse destinata a membri della corte”. Ma che dire dello splendore degli oggetti, che illuminavano il museo del Cairo dietro l’Hilton di Ghezira – dove erano raggruppati e dove torneranno, seppure in altra sede - anche nella stagione grigia della guerra contro Israele, dietro i muri di sacchi anti-aerei alle finestre? Cosa dovevano contenere le altre tombe, di faraoni e dignitari morti in età, dopo vite importanti di successi? Quanti tesori sono stati rubati, nelle camere mortuarie dei faraoni e dentro le piramidi, e si trovano dispersi nel mondo? Quanta storia è ancora da scrivere, malgrado il tanto parlare dell’Egitto dei faraoni.    

letterautore@antiit.eu

Il messianista anarchico

Nel 1968 gli anarchici tedeschi presero a maestro il rabbino Taubes, l’autore dell’“Escatologia occidentale”, che rifaceva in chiave nichilista l’“Apocalisse dell’anima tedesca” del suo maestro cattolico Urs von Balthasar – con “prestiti” da Jonas e Goldberg, asserisce Ranchetti. Un ermeneuta, esploratore dei sensi nascosti. “In divergente accordo” col decisionista Schmitt. Il rabbino ne uscirà scongitto ma beneficerà, dopo Paul Celan e Max Frisch, degli ardori di Ingeborg Bachmann, la poetessa.
Al rettore Taubes a Berlino hanno poi bruciato l’insegna della Freie Universität, a lui l’“apocalittico della rivoluzione”, con quel suo Dio che gioca a dadi, condannandoci in anticipo o redimendoci. La bruciò uno studente Teufel, il diavolo. Taubes era venuto con Scholem alla conclusione che “un tedesco è un tedesco, e un ebreo è un ebreo”, e che un ebreo non si può dire “tedesco di confessione ebraica, idiozia odiosa e indegna”. Nel convulso Sessantotto il rettore Taubes aveva dato a Rudi Dutschke, da sinistra, il precetto del professor Paratore alla Sapienza di Roma, d’imparare il latino. A Parigi, lamentava il rettore Taubes, tutti vogliono lavorare su Heidegger, o su Nietzsche, anche quelli che non sanno il tedesco. Prevaleva a Berlino, come a Parigi e altrove, la politica ideologica, ribattezzata ideologia - l’ideologia tedesca. Che se non è razzismo è teologia. Come nell’ebraismo, che, dice Taubes, “è teologia politica, questa è la sua «croce»”.
“E in una parola\il sogno è storia\e il somaro vola”, don Magnifico canta nella Cenerentola. La storia è unica in questo, direbbe l’astuto giurisfilosofo Schmitt, che una verità storica è vera una sola volta. Sostenne Carl Schmitt, l’“apocalittico antiapocalittico” di Taubes, in contesa con lo stesso Taubes sul concetto nuovo del tempo e della storia che si apre con il cristianesimo in quanto escatologia: “Il regno cristiano è ciò che arresta (kat-echon) l’Anticristo”. Come altro spiegare la storia dopo la prima e la seconda guerra mondiale? Si cambia il mondo con giudizio: “Per un cristiano delle origini la storia è il kat-echon, la fede in qualcosa che arresti la fine del mondo”. Spiega Taubes: “Solo attraverso l’esperienza della fine della storia la storia è diventata una «strada a senso unico», quale si rappresenta la storia occidentale”.
Perché occidentale? A una curiosa inferenza si prestò il messianismo di Taubes nel suo momento pubblico nel 1968, in quanto autore nel 1947, a ridosso della catastrofe, di questa “Escatologia occidentale”. L’Urss non era Occidente, come forse non lo è oggi la Russia restaurata, ma il suo kat-echon è proprio la fine della storia - il paese del resto è infertile alla filosofia, quella che dava le vertigini a Tauves, il solo pensatore essendo Solov’ëv, il quale volentieri è mistico. Oggettivamente, la Russia antifilosofica era il posto giusto per la rivoluzione materialista e la fine della storia. Il Batrace Breznev, avrebbero potuto dire Solov’ëv, e Schmitt e Taubes, è l’Anticristo – e l’avrebbero fatto contento. Il problema della storia, questa storia, è che si legge al rovescio. Benché, se la libertà è ideologia, il sovietismo non è poi remoto, per quanto morto – non per caso Taubes è fatto proprio ultimamente da Mario Tronti, vecchio “operaista” .
Gli ultimi fini, siano pure determinati, ebraici e cristiani, fanno a meno della storia? Sarebbe consolante ma non è possibile. Ma arrabbiarsi bisogna. Seppure argomentando, sottili. Con lente e complesse letture del Cristo, e di san Paolo, sant’Agostino, l’abate Gioachino da Fiore, e Hegel naturalmente, Kierkegaard e Nietzsche, Marx compreso, quelli che hanno aperto, e forse chiuso, ciclo “apocalittico”.
Taubes è indefettibilmente rabbino, sotto le sue varie professioni e rappresentazioni. Anche nel precoce “dialogo” col cristianesimo, e nei confronti con Heidegger e con Schmitt. L’escatologia occidentale, la storia dell’escatologia, è ebraica. Ma è un messianista anarchico - uno che dava il meglio di sé nelle interviste, dice la presentazione.
Questo che è il suo unico libro, da lui curato e pubblicato, la sua ricerca di dottorato, non ha altra chiave di lettura. Con la vecchia prefazione di Ranchetti alla prima pubblicazione italiana, nel 1991, Elettra Stimilli, che ha curato la riedizione, fa seguire l’interpretazione ardua della storia antistorica, “Jakob Taubes e il senso antistorico dell’escatologia”.
Jacob Taubes, Escatologia occidentale, Quodlibet, pp. 325 € 24

venerdì 28 febbraio 2020

Problemi di base - 542

spock
“Perché esiste qualcosa piuttosto che niente”, Leibniz?

“Perché non tutte le donne sono carine ma solo un’esigua minoranza”. D. Hume?

“Se tutte le donne fossero altrettanto carine della più carina, noi le troveremmo banali”. Id.?

“Barbaro è anzitutto l’uomo che crede nella barbarie”, C.Lévi-Strass, “Razza e storia”?

“Il progresso non è né necessario né continuo”, id., ib.?

“La soluzione del problema della vita si scorge allo sparire di esso”, L.Wittgenstein, “Tractatus”, 6.521?

“Coloro a cui dopo un lungo dubitare il senso della vita divenne chiaro, non hanno potuto poi dire in che cosa questo senso consisteva”, id., ib.?

spock@antiit.eu

Cuore in Sicilia

Un viaggio sentimentale, nel 1906, in ricordo del soggiorno quarant’anni prima a Messina, prima guarnigione del futuro scrittore da sottotenente uscito dall’Accademia di Modena nel 1865 - da dove presto era ripartito, ad aprile dell’anno successivo, per la sconfitta di Custoza. Dopo essere diventato, da piemontardo (“Cuore”), socialista. Con questi “Ricordi” De Amicis chiude la sua vita, di uomo  e di scrittore: consegnati a Giannotta, editore a Catania, saranno pubblicati nel 1908, subito dopo la sua morte.
La Sicilia è un’epifania. Scrittore di molti viaggi, De Amicis mai si era trovato tanto in sintonia con la storia, la natura, l’archeologia, la gente, perfino la parlata, le diverse parlate, che trova nell’isola, nei mondi diversi di Messina, Palermo, Catania. Con occhi aperti. La “prodigalità e magnificenza” confrontando con l’abbandono  e i soprusi del latifondo. Dietro il Teatro Massimo a Palermo, “il più grande e più splendido teatro d’Italia, che costò otto milioni”, rappresentando “quell’enorme labirinto di viuzze oscure e sudicie, che si chiama l’Albergheria, dove brulica una popolazione poverissima in migliaia di fetidi covi, che sono ancora quei medesimi in cui si pigiavano gli Arabi di nove secoli orsono”. Senza trascurare che del Massimo “fu decretata la costruzione quando Palermo non aveva un ospedale”. All’orizzonte, occhieggiando “fra i palazzi e le statue e il via vai festoso delle carrozze infiorate, intravede “la macchietta nera d’uno dei piroscafi che portano via ogni settimana un popolo d’emigranti”. I “piemontesi” trovarono dopo Garibaldi l’Africa in Sicilia. Con sdegno di tutti. Ma con l’occhio di oggi vedevano giusto. 
Natale Tedesco è severo nell’introduzione, con De Amicis in generale, e nella fattispecie – ci vede anche razzismo. I disegni di Monica Rubino ingentiliscono.
Edmondo De Amicis,  Ricordi di un viaggio in Sicilia, Il Palindromo, pp. 88 € 9

giovedì 27 febbraio 2020

Ombre - 502

Vanno le “Sardine” da “Amici” per “allargare la platea a un pubblico giovanile finora poco interessato alla mobilitazione”. E giù un diluvio. Fossero andati da Fazio – che però ha la metà del pubblico e non ha i giovani – solo applausi.
Si possono dire i media malati. Oppure sonnolenti – la vecchiaia dà sonnolenza. Sono ancora alla guerra contro Berlusconi, finita una decina d’anni fa.

Che manchi l’ipoclorito di sodio, ora in uso contro il virus, sembra da ridere. Sale grosso con un po’ di candeggina. Ma si vuole forse solo dare ragione a Manzoni, che la peste scatena la stupidità.
O la mancanza di mascherine. Inutili contro il virus, e comunque da buttare ogni poche ore.   

L’avidità che si sposa alla stupidità. La violenza subdola, non perseguibile, da specialisti del codice – quali sono i malviventi da più generazioni storiche, anche se ora al vertice di qualcosa, chiesa, stato, comune.  

Le inefficienze di Lombardia e Veneto, le regioni da sempre iperleghiste, sono drammatiche, trattandosi di morti. Ma anche ridicole, traducendosi in non saper che fare. Il Veneto che adotta come ordinanza anti-virus quella della nemica Emilia, sena nemmeno leggerla. supera ogni immaginazione.

La stessa superficialità, perfino voluttuosa, con cui si è diffuso il virus in Lombardia e Veneto viene ora applicata a danneggiare tutto ciò che è italiano, il cibo, il turismo, la stessa produzione industriale. Tutti “tamponati”, tutti contagiati, ma poi tutti liberamente, si direbbe felicemente, untori, a Firenze come a Torino e Palermo.
Scandalizzandosi se i Caraibi, o Malta, le Mauritius o le Seychelles  non vogliono italiani.

Si dice: speriamo che l’epidemia non investa l’Africa, sarebbe un cataclisma. Per tacere che l’Africa è invece la Lombardia, con il Veneto.

Si vede giocare la Juventus, un club che paga 350 milioni di ingaggi, quindi una squadra di tutti campioni, col freno a mano. Di calciatori lenti, sempre in ritardo sulla palla, che si dicono: “Adesso che devo fare, come ha detto il mister che devo fare”? Questa Juventus si vuole infatti la squadra del mister: dell’allenatore riguardato come un mago, un totem.
Anche nel calcio, che in fondo è anarchico, pur essendo un gioco di squadra, di calciatori più tecnici e altri meno tecnici, c’è, si vuole, e si paga, l’uomo forte, il demiurgo.

Si poteva ritirare la concessione a Autostrade in mille modi dopo il crollo del viadotto sul Polcevera. Si è scelto di pagare 7 miliardi come indennizzo ai Benetton, sperando di tacitarli (ma ci saranno cause, si arriverà a 13-15 miliardi, la metà dei 25 richiesti). Di dare i tremila e rotti km. di autostrade in gestione all’Anas, che non sa come – dovrebbe triplicare il personale. Per poi riaffidare la rete a un gestore “amico”. Di Grillo? È un grosso mediatore di affari.

Ma, poi, certamente Anas non triplicherà il personale, nemmeno lo duplicherà: Si affiderà a appalti e sub-appalti, di fornitori di servizi. Una rete di “amici degli amici”, robusta – l’Anas è il Grande Appaltatore per antonomasia. 
Del Pd romano si sapeva. Ma Conte e i suoi grillini non sono da meno: una fame di sottogoverno hanno da fare scandalo perfino a Roma.

Si occupano i media con lo 0,1 o 0,2 di deficit in contesa con Bruxelles, mentre si decide di pagare sette miliardi, lo 0,3, ai Benetton di Autostrade. Più le spese vive Anas per attrezzarsi a gestire la rete autostradale. I governi Conte si dice che siano quelli della furberia al potere, ma non sembra. Perché, se lo sono, come vanno a piede libero?

“Professionalmente inaffidabili” decreta la Cassazione gli ingegneri di Spea, la società di Autostrade incaricata di monitorare la rete, e li interdice dalla professione: “Dopo il crollo del Morandi falsi test per non chiudere il traffico”, questa la loro colpa. Il “falso” non è più una colpa grave, penale.

Il “delitto inevitabile” è altra innovazione della Cassazione nel caso di uxoricidio. Nel caso in esame, per la Procura della Cassazione era inevitabile benché la vittima avesse sporto dodici denunce contro l’assassino. Il “delitto inevitabile” è ridicolo prima che assurdo, ma è segno di fantasia: anche  giudici ne hanno quando di tratta di non mordere altri giudici (si giudica sulla richiesta di risarcimento dei figli della vittima contro i giudici della Procura che non avevano dato corso alle denunce.

Si fa un referendum tra un mese per azzerare il Parlamento, ridotto ai capipartito e ai loro sottopancia, e non una parola nei media. Il virus li monopolizza, ma non se ne parla nemmeno negli spazi di complemento: si parla della Siria, di Sanders, delle cavallette.

Si può uccidere la democrazia con un referendum che dice di risparmiare cento o duecento milioni sui costi della politica? Evidentemente si può: Grillo e i suoi non sono soli. E questo, bisogna ammetterlo, a nessun fine “pratico”: la stupidità esiste.

“Circa 3 mila persone hanno peso parte a Hanau alla manifestazione contro l’odio”, dopo la strage compiuta da un tedesco, con nove morti – più se stesso e sua madre. Sono molte o sono poche? Sono poche, ma si evita di dirlo.


La Fiat senza Torino già in Fruttero & Lucentini

Il titolo è la domanda alla sentinella nel libro di Isaia: “A che punto è la notte?” . Importante dunque. Ma per le prime duecento pagine non succede nulla – un abuso d’autore: duecento pagine di paesaggio, e di gnosi, la filosofia del mondo che non è. Poi il plot appare esagerato: la Grande Azienda che progetta, quarant’anni fa, di distruggersi per ricostruirsi altrove. Ma è quello che è successo: la Fiat ha lasciato Torino.
Carlo Fruttero-Franco Lucentini, A che punto è la notte, Oscar Gialli, pp. 452 € 14,50

mercoledì 26 febbraio 2020

La chiesa contro la famiglia

Non si fanno figli in Italia da mezzo secolo, per effetto della “riforma” fiscale, la legge Visentini. Che la famiglia ha disintegrato e abbattuto. Al suo varo, la famiglia italiana si calcolò che veniva a pagare sul reddito un’imposta che era tredici volte quella della famiglia tedesca, e sette volte quella francese. 
La riforma che porta il nome del laico Visentini fu tuttavia varata e anzi promossa, nel 1974, dalla Democrazia Cristiana allora in auge, col governo Moro-La Malfa. E dal Vaticano. I quali, via la Corte Costituzionale, da loro espressa, hanno stabilito essere l’individuo e non la famiglia l’unità patrimoniale.
Un passo gigantesco contro il matrimonio. Si apriva anche la corsa alle separazioni, e ai patti matrimoniali ostativi.
Una riforma che costituisce anche un caso per la polemica sul capitalismo: se l’individuo è privilegiato in ambito protestante o non di più in ambito cattolico.

Polveriera Libano

Un Paese che ha sei milioni di abitanti e due milioni di profughi dalla Siria? Il Libano.
Un paese che ha due milioni di profughi dalla Siria e nessun aiuto dall’Unione Europea? Il Libano.
Un paese governato da “americani” (dodici ministri hanno la doppia nazionalità, il primo ministro è il vice-presidente dell’università americana di Beirut), tutti ladri? Il Libano.
Un paese governato da americani insieme con Hezbullah, gli sciiti armati e telecomandati dall’Iran, reduci dal sostegno armato a Assad in Siria? Il Libano.
Un paese la cui valuta è ormai il dollaro, ma non ha dollari? Il Libano.
Si direbbe il Libano un paese abbandonato da Dio e dagli uomini. Ma non del tutto: torme di europei, italiani in buona parte, comprano di tutto, beni immobili e mobili, perfino titoli di Stato. Per ripulire denaro sporco.
L’ultimo avamposto in qualche modo occidentale nel Medio oriente arabo, il Libano, mezzo cristiano, è stato abbandonato dal Vaticano. E dalla Francia, sua protettrice tradizionale. L’Italia è subentrata con varie missioni militari a partire dal 1982, e ha pure il comando dei caschi blu Onu di interposizione alla frontiera con Israele, col più grosso contingente, 1.400 uomini, ma non si occupa di nulla.
Il Libano sperava nell’Italia per mettere a frutto i giacimenti di gas lungo le sue coste nel Mediterraneo orientale, e nulla: Conte in visita ha detto “come no, ci penseremo”.


La scoperta del capitale cristiano

C’è, o c’era, all’ingresso del Benediktbeuern in Baviera, il monastero benedettino (poi passato ai salesiani) da cui il villaggio ha preso il nome, che all’origine si chiamava Buria, da cui il nome di “Carmina Burana” per le canzonacce goliardiche riemerse manoscritte nel 1803 e poi musicate da Carl Orff, un pannello plasticato con l’irradiazione del monastero stesso in varie epoche: a cavaliere del Mille arrivava fino in Lombardia, come se non ci fossero le Alpi di mezzo. Un principato, gestito da un monastero. Non era il solo – Padula ne è stato un caso fino a non molti decenni fa.
Il capitalismo è vecchio di mille anni. E ben cattolico – allora cristiano – e italiano prima che ebraico e, dopo la Riforma,  protestante. Nella finanza: gente di denaro lombardi, fiorentini, genovesi monopolizzavano le fiere in Europa. E nell’organizzazione della produzione - già Calimala nel Trecento importava panni grezzi per riesportarli impreziositi.
La storia non se ne scrive per un’accezione distorta del laicismo. Che è antisemita, a volte, e allora usa il capitalismo come un’imputazione. Oppure è filoprotestante, nell’alveo della germanofilia – Max Weber, che avrebbe teorizzato l’esclusiva, in realtà non ci ha mai pensato: lui ha solo rintracciato le forme del capitale nelle forme del protestantesimo (e più nel pietismo, il luteranesimo più affine al cattolicesimo).
Giacomo Todeschini, “I mercanti e il tempio”, ci ha provato all’inizio del millennio: la maggior parte delle nozioni industriali e finanziarie che associamo al capitalismo hanno origine nella costruzione intellettuale cristiana. Di e attorno alla chiesa, tra il Mille e il Trecento: la proprietà, lo scambio, il consumo, anche suntuario (lusso), il dono, l’accumulazione, il danno e l’indennizzo (l’assicurazione), l’investimento, l’industria, e l’interesse individuale in aggiunta al bene comune. La ricostruzione è avallata ora da Thomas Piketty, “Le capital chrétien”, il titolo del saggio che premette alla traduzione francese, riveduta, de “I mercanti e il  tempio”. Dove sancisce “la modernità della concezione medievale e cristiana del capitale e dell’economia – o l’arcaismo della nostra supposta modernità, secondo il punto di vista che si adotta”. Sottolineando “l’importanza della proprietà e dello sviluppo economico e demografico  del Medio Evo”.
Piketty cita  anche Peter Brown, studioso della trasformazione dei concetti di proprietà e benessere tra il IV e il V secolo, in concomitanza con l’affermazione del cristianesimo come religione di Stato, Jack Goody, “The European Family”, sull’evoluzione dell’economia domestica, e Mathieu Arnoux, “Le Temps des laboureurs. Travail, ordre social et croissance en Europe (XI-XV siècle)” sulla stessa traccia di Todeschini, di cui ha voluto e organizzato la traduzione in francese.  
La storia economica deve fare ancora molti passi – è cominciata a rovescio, con Petty e Adam Smith, dal mondo com’è, e anche il puntiglioso Marx ha avuto problemi a riconfigurarla nel suo divenire.
Todeschini ha aperto una porta, specialmente importante per la storia dell’economia e dell’Italia. Ma apparentemente subito richiusa: il suo studio, 2002, che poteva e doveva essere seminale, è sparito subito, molto prima della sua riscoperta in Francia. “La società cristiana e il circolo virtuoso della ricchezza fra Medioevo ed età moderna” è il sottotitolo. Non in opposizione ma in relazione. Di quando i monasteri erano - al tempo dei feudi inoperosi - dei campi coltivati, e aperti. “Sono proprio gli ecclesiastici che conoscono il buon uso della ricchezza”, come Piketty sintetizza: “Sono di esempio, dettano le regole, consuetudinarie e anche scritte”. Il vocabolario e anche la sintassi del capitalismo. La carità come il risparmio (accumulazione), il lavoro, l’investimento (innovazione), lo scambio. Su exempla biblici e evangelici, la parabola dei talenti, et al.
Todeschini, medievista all’università di Trieste, mostra che il linguaggio e i concetti dell’economia come si è venuta configurando, moderna e contemporanea, sono di ambito ecclesiastico. Mostra pure che gli aspetti che si direbbero deleteri, quali la deprecazione della povertà – della passività, non della povertà intervenuta - e l’apprezzamento del merito, la meritocrazia, vanno ricondotti alla storia della chiesa. La grazia attraverso le opere è diventata saldo presidio epistemologico della modernità, se non teologico.
Vescovi, monaci, mendicanti e universitari, e qualche bolla delineano il quadro dell’ordinamento economico come lo viviamo. Articolato: la creazione e la circolazione della ricchezza, la sua distribuzione, gli usi, i controlli sono elaborati e regolati in dettaglio. Negli aspetti controversi e nella sua forza di consenso. Nella sua capacità di azionare la crescita e la solidarietà, e anche nella sua brutalità. Nelle dinamiche di esclusione, di eretici, ebrei, poveri. I problemi spirituali, morali e politici che ne sorgono sono dibattuti e risolti – di volta in volta messi a punto.
Una ricerca documentata. Non solo gli assetti produttivi, la società era organizzata ai fini della produzione, secondo schemi organizzativi e sulla base di concetti che saranno e sono i nostri, di moderni e contemporanei. Non un’eresia, a voler guardare la cosa dall’altro lato, della storia della chiesa: la società medievale era unitaria, comunitaria. Le fatiche e la spiritualità marciavano insieme. La religione, si direbbe, non escludeva l’economia - non escludeva niente.
Una miniera. Parte dell’esumazione – anch’essa interrotta - del ruolo della chiesa nell’organizzazione sociopolitica della modernità. Che Alessandro Alessandro Passerin d’Entrèves, ripreso da Hannah Arendt, aveva aperto mezzo secolo fa. Lo stesso Todeschini sarà autore di un “Ricchezza francescana”, anch’esso dimenticato, malgrado l’avvento del papa Francesco (o a causa di esso?) – “Dalla povertà volontaria alal società di mercato”.
Il papa emerito lo ha ricordato indirettamente a Milano, dieci anni dopo Todeschini, ricordando san Carlo Borromeo: il capitalismo è cattolico e lombardo piuttosto che protestante e transalpino, per la salvezza che si cerca e viene con le opere e non per caso, come segno della grazia divina. Nella spesa più che nel risparmio, o l’avarizia. Nell’impegno quotidiano, che san Carlo chiamava “lavorerio”.
Il papa emerito lo sa come bavarese, e come cattolico.
È lombarda la borghesia, prima che protestante, molto prima, con la Riforma del secolo Mille. E meglio che protestante poi, con i Borromeo, san Carlo soprattutto - Max Weber va arricchito col superiore borromeismo. Come Sombart e Gotheim, Weber pone la religione tra le cause del capitalismo, un punto di contatto trovandogli col protestantesimo, la razionalità. Ma questo non è il principio della fine, del capitale e della religione. Lo stesso Weber lo sapeva, che la scristianizzazione angustiava, il disincanto del mondo – e meglio avrebbe fatto a guardare al Sud ricco della Germania, la Baviera, il Baden, il più ricco d’Europa e cattolico, dove c’è molto Borromeo, collegi, suore, conventi.
Si accumula con più sostanza e continuità nella diocesi borromeiana, che san Carlo controllava in ogni punto, giorno per giorno. E dove una fortuna che deperisce è un incidente della storia e non la fine, la tessitura procede laboriosa.  
Giacomo Todeschini, Les Marchands et le Temple, Albin Michel, pp. 560 € 27



martedì 25 febbraio 2020

Secondi pensieri - 410

zeulig
Autore – È uno stratega. In primo luogo di se stesso: distaccato, misurato.

La prima persona al presente storico è ingombrante, una rappresentazione doppia - del soggetto che rappresentando se stesso si situa e si capisce. Ma anche alla terza persona: l’autore è un personaggio della propria narrazione. Non necessariamente l’agente primo, ma sempre primattore.

In Aristotele il personaggio è al plurale – è più d’uno. E si chiama “agente”. Non di polizia, ma quello che agisce, fa la realtà.

Dio - Su Dio non si può contare, poiché ha abbandonato Gesù: se c’è, è una presenza assente. Ma vale sempre la proposta di Tacito: meglio (“è più santo e reverente”) credere all’esistenza di Dio che discettarne.
E poi basta poterla raccontare, un incipit è già tutto, come sapeva Platone: “L’inizio è anch’esso un dio che, finché resta con noi, salva tutto”.

Psicoanalista – Il “Dr. Mabuse” di Thea von Harbou e Fritz Lang termina il suo periplo di potere, da un comando all’altro, con l’etichetta professionale sulla porta “Dr. Mabuse – Psicoanalista”. Il personaggio di Thea von Harbou e Fritz Lang è derivato – sembra, ne sceneggia il nucleo – dai “Protocolli di Sion”, e quindi, in maniera più o meno indiretta, rispecchia l’antisemitismo dei “Protocolli”, dell’Internazionale ebraica del dominio. Ma la professione finale non è incongrua con la “carriera” del personaggio: speculatore, baro, capo criminale, falsificatore, provocatore, finto rivoluzionario, ipnotista. Lo psicoanalista non è uomo di scienza, ma in qualche modo un manipolatore – su basi o pretese scientifiche.

Rimozione – È l’“oblio attivo” che Nietzsche, “Genealogia della morale”, dice il guardiano della pace mentale e dell’ordine. Invitando a “chiudere ogni tanto le porte e le finestre della coscienza…. un po’ di tranquillità, un po’ di tabula rasa della coscienza, per fare ancora spazio a qualcosa di nuovo”.
In lui non ha funzionato, ma non vuol dire – si potrebbe arguire che rimuoveva poco, iperattivo.

Risentimento – È un’esigenza - una forma di compensazione, auto gratificazione - ma disfattista? Di fatto autopunitiva.
Si prendano i sopravvissuti ai campi di sterminio hitleriani. È stato d’animo che Primo Levi con sicura coscienza ha combattuto in tutta la sua opera. Améry – da cui pure Guia Risari ha potuto estrarre un “Il risentimento come morale” – arguisce sintetico il rischio in “Jenseits von Schuld und Süne”: “Il risentimento inchioda ognuno sulla croce del suo passato. Assurdamente, pretende che che l’irreversibile sia rigirato, che il fatto sia disfatto”. Assurdo perché lega a una impossibilità.
È altra cosa che la vendetta? E la vendetta libera?

Storia – La vita è breve, la storia è lunga. Per pieghe sue inesauribili, e per l’attitudine a volersi spiegare.

“La scrittura e la fotografia probabilmente distruggono più del passato di quanto mai ne preservino”, Sigrid Nunez, “L’amico fedele”, 216.

Suicidio – La morte di Socrate – poi dei martiri - non lo è? Sacrificarsi per la libertà è comunemente accettato. Ma per la verità – nel caso di Socrate di un metodo di verità?
Per quanto, Jacopo Ortis si uccide per essere ugualmente ostile al terrore assolutista e a quello democratico. Che sembra ridicolo. Ma non si può dire che è stato inutile.

Si legge nei libri sui suicidi – sui suicidi scrittori? ce ne sono così tanti? - che scrivere in prima persona è segno caratteristico di tendenze suicide. O non piuttosto celebrative – ostensive, superbe? Nel caso dello scrittore poi suicida che racconta in prima persona si può pensare che, poiché la sta raccontando, non si uccida, questa suspense andrebbe esclusa. Oppure certo, si può pensare a un testamento, lungo.
Goethe lo teorizza, e lo fa condannare, nella lettera del 12 agosto – quella che ammazza prolisso il “Werther”, anche i geni fanno rigaggio: “Il suicidio non si può considerare che come una debolezza. Certamente è più facile morire che sopportare con costanza una vita dolorosa”.
Chi accetta il suicidio giustifica l’assassinio: è fine argomento, più o meno, di Camus.

È contagioso? La predisposizione al suicidio si acquista frequentando un suicida.
Non sembra - se così fosse, la Svizzera con le sue cliniche della buona morte sarebbe già a corto di manodopera. Ma così dicono i terapeuti.
Delle morti controverse di Esenin e Majakovskj, Tsvetaeva sostenne: “Il suicidio non esiste, esistono solo gli assassini”, che poi s’impiccherà povera e sola, nel Tatarstan. “Il suicidio”, aveva scritto Majakovskij, “isolato dalla sua complessa situazione sociale e psicologica, con la sua momentanea negazione immotivata, opprime per il tono di falsità”. Un complotto dunque ci vuole se a spararsi è Majakovskij. O, poi, Tenco.

Yourcenar giovane sosteneva che “il suicidio è un modo di turbare il prossimo: la vittima s’insedia nella memoria degli antagonisti, che non può conquistare altrimenti”. Ma la morte non cancella le persone? Il ricordo è altra cosa.
Yourcenar è vera nel senso della drammatizzazione che del suicidio Camus fa in “Sisifo”: teatro. E bestemmia, va aggiunto. Anche se la più oltraggiosa è dell’autore della “Città di Dio”, XXI, 14: “C’è qualcuno che, di fronte alla scelta tra la morte e una seconda infanzia non inorridirebbe dalla paura di fronte a questa seconda ipotesi e non sceglierebbe di morire?”
La bestemmia di un santo? Freud al confronto è un dilettante.
Allo stesso sant’Agostino, che però amava la sua mamma, va attribuito l’errore-orrore di essere stati concepiti nel peccato.

Kant non ne aveva grande opinione: le seghe, diceva, sono peccato peggiore. Benché sia difficile da accertare, all’ultimo momento, non si sa.

Piace anche morire in coppia. Kleist non fu il primo, solo il più famoso, in antico usava.
Kleist fu speciale in questo, che lo fece presto, di 34 anni, in un’epoca, il 1811, in cui il mondo era in armi contro Napolone, e trovò lei, malata di cancro terminale, solo entusiasta all’idea: banchettarono prima, e lei pregò il marito  nelle ultime volontà, di seppellirla accanto al poeta, non consumandosi un tradimento, ma un sogno interminabile di romantica felicità.
Morire in coppia adesso è più facile. E su appuntamento. Ci sono agenzie per questo, benché sotterraneee, di anime gemelle, e siti web. Un omone della Norvegia ne ha trovato uno in Nuova Zelanda, ha preso l’aereo, lo ha raggiunto, e insieme si sono lanciati da uno spuntone.

È anche rituale. I giapponesi, che si suicidano anche in gruppo, lo fanno di preferenza nella foresta Aokigahara, ai piedi del monte Fuji, il sito per eminenza del romanticismo nipponico.

E vale anche qui l’effetto annuncio? Il maggior numero di suicidi, in Europa e in America, si sarebbe registrato nel Settecento, quando venivano regolarmente registrati, come ogn altro annuncio pubblico, sui giornali.

zeulig@antiit.eu

La promessa su Rai1 è sofferenza

Curiosamente, la “vita promessa”, in realtà inseguita, faticata, combattuta, è solo un seguito di disgrazie, in atto o in fieri. Attorno a una radiosa Luisa Ranieri, che emana forza, intelligenza e sex appeal, solo si coagulano, per il secondo anno consecutivo, una serie di disgrazie. In atto o in potenza. Anche quando Madre Coraggio si innamora, lo vediamo solo al letto di morte dell’innamorato. Una grande produzione, anche ben diretta, ma legata alle disgrazie - Sicilia disgrazia?
È il meccanismo della suspense, di tenere la audience appesa a una mancanza\violenza, di tenerla in tensione. Che però esige, come genere, delle pause. Specie se ambisce a un pubblico “generalista”, cioè multitudinale e misto, di generazioni, società, cultura.
È l’ideologia di Rai 1. Su Rai 1 in prima serata non ci sono mezze misure: o non c’è respiro, come qui, oppure è come in “Don Matteo”, che anche i morti, generalmente, resuscitano.
Ricky Tognazzi, La vita promessa

lunedì 24 febbraio 2020

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (417)

Giuseppe Leuzzi
Se la peste è leghista
Non è a dire la gravità dell’epidemia di coronavirus che la Lombardia e il Veneto hanno diffuso. Le regioni della Lega, la sanità della Lega. Con centinaia di contagiati e mezza dozzina di morti. Facendo dell’Italia il paese più appestato dopo la Cina – e la contigua Corea. Al limite della pandemia. Un paese che affonda in Borsa come mai nei peggiori crac, perché è destinato alla quarantena in Europa. 
Un focolaio di infezione al centro del continente europeo, non è a dirne la gravità. Tutto per superficialità, la solita albagia: per il virus il salvifico Salvini aveva appena denunciato le Regione Toscana, finora immune; a Brescia allo stadio si inneggiava al coronavirus a Napoli. A cappello dell’incompetenza.
L’epidemia lombarda è raccapricciante per imprevidenza e incompetenza, ma anche per leggerezza. A Roma, con le precauzioni, il contagio si isola, e si guarisce anche, a Milano e nel Veneto il contagio si diffonde.
Tanta superficialità è da non credere. Nessun esame preliminare al ricovero. I contagiati spostati in ospedale da reparto a reparto. L’incapacità di isolare (individuare) il “ceppo originario”, il portatore primo del virus – non si fanno ricerche, si raccontano “storie”, con la solita superficialità. Morti di virus pazienti monitorizzatissimi per altre patologie. In tanto disastro, ci sarebbe da morire dalla vergogna, uno pensa. E invece no.
Sabato 22 febbraio 2020, il giorno della nuova peste in Lombardia, il “Corriere della sera” apre a tutta pagina: “Il virus in Italia: un morto in Veneto”. Milano e dintorni confinando a quattro parole in un affollato “catenaccio”: “In Lombardia 15 casi”.
L’apertura del secondo giorno è ancora più anodina: “Una cintura per isolare il virus”. Dove? “Non si potrà uscire da 11 comuni focolaio”. Dove? “Seconda vittima”. Dove? “I contagiati in Italia sono ora 76”. In Italia dove? “Atenei chiusi al Nord”. Ah, ecco.
In seconda pagina si continua col non-luogo. In grande: “Una donna la seconda vittima”. È di Casalpusterlengo, ma questo non fa notizia. Seconda riga, sempre a corpo 60: “Impennata di contagi, sono 76”, sempre evitando di dire dove. La colpa è dell’Italia: “L’Italia è il Paese con più casi in Europa e il quinto al mondo”. Milano c’entra in un occhiello: “Accertati i primi casi a Milano e Torino”. A Milano una trentina, a Torino tre, ma non fa differenza. Il Veneto non interessa. “Si espande anche il focolaio in Veneto”. Anche, prima dove? A p.4 un’intervista col presidente della regione Lombardia, il responsabile della Sanità, fa il punto come se l’epidemia avesse colpito la Sardegna o la valle d’Aosta.
“Il Sole 24 Ore” pure, non declina le generalità: “In Italia il numero più alto di casi”. In Italia. Fosse successo a Napoli?
Si direbbe cinismo ma no, è pienezza di se stessi – è leghismo. Non male. Bisogna proteggersi, anche dalla cattiva fama. Soprattutto in caso di colpa. Qui evidente e grave: di imprevidenza e inefficienza. Niente test, niente isolamento precauzionale, niente di quello che è stato detto e fatto in  abbondanza dacché il virus si è manifestato, in panel, raccomandazioni, regolamenti, leggi. Niente esperienze pregresse: all’ospedale romano per infettivi guariscono gli appestati, a Milano non interessa. Il virologo Burioni del San Raffaele non ha finito di vituperare la regione Toscana, la sanità toscana, per il coronavirus che il San Raffaele mogio confessa di avere almeno un infetto in corsia, ricoverato da una settimana, l’ospedale che si professa di eccellenza e di ricerca - si professava quando era proprietà del Vaticano, prima che il proprietario del “Corriere della sera” gliela scippasse.
La cosa non si rileva, come è giusto, essendo l’epidemia in corso e il rischio grave. C’è solo da riguardarsi e fare voti. Ma: fosse successo a Catania o Catanzaro, “La Sicilia” e la “Gazzetta del Sud” ne avrebbero fatto un inferno, locale. Tra corruzione e incapacità. Pappagallini sarebbero insorti dappertutto, per raccontare ai Grandi Inviati del Nord tutte le beghe e le nefandezze di primari, direttori, politicanti e mafiosi. Occhi bassi, e scusarsi di essere al mondo.
A Milano no, perché - perché flagellarsi? Il silenzio non è un infortunio, è calcolo e modo di essere. La spazzatura che la Lombardia produce , abbondante, va buttata al piano di sotto. Si è tentato con la Toscana, ora vediamo. È come Malaparte notava in “Benedetti italiani”, in anni ormai remoti ma di verità evidentemente durevole: “Mi par giusto difendere gli italiani del Mezzogiorno dall’accusa di parlar con le mani, come se fossero i soli, in Italia! Ma già, quando c’è qualche accusa da muovere agli italiani, sempre quelli di su la scaricano sulle spalle di quelli del piano di sotto. I quali, specie i lombardi, non solo parlano con la bocca, e a bocca larga, ma con le mani. Parlano a voce alta, spesso gridando”.
La Lombardia parla a voce alta questa volta tacendo, e il Veneto, il leghismo, regioni cattolicissime, anche perché l’epidemia è una sorta di vendetta dei cieli? Come voleva l’antica massima “quod Zeus vult perdere dementat prius”, a quelli che vuole rovinare Zeus toglie prima la ragione? Un caso di giustizia divina? È possibile – anche se il virus non si isola e chiunque può esserne vittima. In ogni caso non auspicabile. Ma a quanti la ragione non l’ha tolta finora la Lega?
Se è lecito sorriderne, il “Corriere della sera” di oggi è quello di sempre, di quando famosamente sostenne di “Lascia o raddoppia” che se il giornale non ne parlava, nessuno avrebbe visto la tv. Ma non è una cosa da ridere: il giornale è Milano 1, la circoscrizione dei ricchi e intellettuali che sono stati e sono la vera Lega, Bossi e Salvini ne sono solo le maschere. Perché darsi addosso quando si è in disgrazia? Proteggersi è il primo dovere.

La compassione
Si “tiene il lutto “ – si elabora il lutto – con le visite di condoglianze. Le donne vegliano la salma, madri, mogli, figlie, sorelle, zie. Conversando. E ricevono le visite di condoglianze delle parenti, e delle estranee – anche di amici del defunto, che passano per un saluto personale. Un resto del “compianto”, quando la moglie o madre andava enumerando, su toni d’angoscia, le virtù della persona defunta. Ora non più – talvolta si dice il rosario.
Gli uomini siedono in ambiente separato, lungo le pareti. Entrano, uno alla volta, stringono la mano o danno un abbraccio, a secondo della prossimità, ai parenti stretti, genitori, figli, fratelli, zii, nipoti. Qualcuno chiede notizia degli ultimi istanti, poi siedono, muti, raccolti. Per quindici, venti minuti. Passati i quali, si esce, senza più salutare.
Tutti, uomini e donne, vestiti sobriamente, se non di nero. Ripuliti: non si va al “lutto” dal lavoro: il lutto è una celebrazione.
Tutti vanno poi, uomini e donne, all’ufficio funebre in chiesa. Alla fine del quale “si licenziano” dai congiunti, gli uomini dagli uomini, le donne dalle donne, con una stretta di mano o un abbraccio. I più vicini ripetono la cerimonia al cimitero, dove si recano individualmente in macchina, davanti alla camera mortuaria. Una forma estesa di condivisione del lutto, e muta. E tuttavia efficace. Fa rivivere per alcune ore la figura del defunto, e ne imprime la memoria. 

Calabria
Gaetano Artale, un ingegnere di Padova, si pretende ebreo tedesco, nato a  Rostock, deportato in un lager e sopravvissuto. La comunità ebraica non sa che fare, scandalizzata: l’ingegnere esibisce un solo documento, in cui risulta nato a Laino Borgo, in Calabria. Ma Laino Borgo è nome tedesco italianizzato, erano longobardi. 

Sono calabresi gli chef stellati in voga, Francesco Mazzei, che spopola a Londra e Edimburgo, Anthony Genovese, punto d’attrazione a Roma Centro ai Banchi Vecchi, un globetrotter che ha  “scoperto che nel comune di Rigi in Calabria passa il 38mo parallelo, che tocca anche il Giappone e la Corea”, e allora ha “creato un piatto che unisce le tre terre”, che sono quelle che porta “nel cuore”.  E Caterina Ceraudo, la “miglior donna chef” di Michelin, prima donna stellata, Luca Abbruzzino, Nino Rossi, Riccardo Sculli, Ciro Sicignano. La leggerezza. Ma non senza follia.

“Una cucina di poco costo e di forti sapori”, spiega semplice Mazzei, che fra gli chef stellati è il più imprenditoriale. Altrove non vi si sarebbe costruita sopra una fortuna, con agroindustria, turismo, culinario e non, cultura? L’imprevidenza.
O forse no, l’incostanza: se il guadagno non è immediato si passa al lagno.

Ville, Ferrari, imprese, e galera per 257 percettori del reddito di cittadinanza in Calabria. Le imprese sono partite Iva che hanno trascurato di presentare la denuncia dei redditi. Li ha scoperti la Guardia di Finanza. Ci voleva una polizia per scoprirli, i controlli amministrativi non si fanno. Questo solo nella Locride, l’ex sottoprefettura di Reggio, che non conta 200 mila abitanti.

La Calabria vota alternativamente, alla Regione, per la destra e per la sinistra. Sempre scontenta, di ogni governo. Che però inevitabilmente, sia destra o sia di sinistra, sarà intanto finito sotto processo.

Il Procuratore antimafia di Catanzaro Gratteri dice che il parroco di Limbadi, Francesco Massara,  nell’estate 2017 riuniva nella canonica i faccendieri di un clan di ‘ndrangheta. Per poi diventare, pochi mesi dopo, nell’estate del 2018, vescovo, di rispettabile sede, Camerino, che ha anche una università con molti calabresi. Evidentemente si può: Gratteri e Massara sono della stessa parrocchia.

Siano coinvolti nel malaffare i Casamonica, i Di Silvio, gli Spada, non si scrive che sono rom. Sia coinvolto un Tripodi o un Modafferi, l’origine calabrese connota la notizia. Questo a Roma.
A Milano e Torino non c’è impresa di calabrei che non sia processata, quanto meno per voto di scambio. Imprese edili, che lavorano negli appalti pubblici, il crocevia di tutta la corruzione: contro le imprese edili locali non c’è gara.

leuzzi@antiit.eu