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sabato 22 dicembre 2007

Prodi e Sarkozy si scambiano Az e Generali

Su Alitalia e Generali Prodi ha proceduto nei colloqui romani con Sarkozy a un simbolico scambio: i soci francesi rinunciano a crescere nel sistema Mediobanca-Generali, a Air France andrà quanto di buono ha ancora Alitalia (Fiumicino, la Roma-Milano e i collegamenti intercontinentali di Malpensa). La presidenza Bernheim a Trieste verrà lasciata alla deriva, verso un incarico onorifico, forse in Mediobanca, e il riassetto dei vertici di Generali in primavera - che dovrebbe portare a Trieste il presidente di Mediobanca Geronzi. Per Alitalia Prodi ha adottato la tecnica dello “smussamento attraverso il rinvio” che ha caratterizzato le tante scelte, benché complicate, della sua litigiosa maggioranza. Il patron di Intesa, Giovanni Bazoli, non insiste più su Air One, e Prodi ha solo il problema di ammansire i sindacati, ora schierati sulla “soluzione nazionale”, e non dare l’impressione di voler punire Malpensa.
Con le due partite Prodi ha chiuso, in appena un anno e mezzo, tutti i problemi aperti nel big business. Con un deciso spostamento della banca e dell’industria verso l’area ex Dc, ora confluita nel Partito Democratico. Da questo punto di vista il presidente del consiglio guarda confidente alle scaramucce politiche che agiteranno la ripresa dei lavori parlamentari a metà gennaio.

Bazoli non sostiene più Air One

Dopo l’abbandono di Lufthansa, il presidente di Intesa Giovanni Bazoli ha abbandonato il progetto Air One per Alitalia, ritenendolo troppo rischioso. L’ad Corrado Passera, che ha congegnato l’offerta Air One, si espone ancora personalmente in favore della soluzione nazionale, ma senza il sostegno del presidente e azionista Bazoli. Senza un grande vettore internazionale, Air One non ha l’expertise e la capacità organizzativa che sono necessari per tirare Alitalia fuori dalla crisi: il giudizio del presidente di Intesa è semplice. Lufthansa avrebbe potuto in particolare risolvere il nodo di Malpensa, cosa che è del tutto fuori delle possibilità di Air One. Passera insiste invece che è Alitalia in realtà che si salverà da se stessa. Grazie al forte aumento di capitale che non ha mai potuto avere da una quindicina d’anni a questa parte per essere a capitale pubblico. È su questa posizione che ha raccolto a suo sostegno i sindacati e buona parte della politica, compresi Berlusconi e Fini: Intesa farebbe quello che lo Stato non ha potuto fare, dare ad Az il capitale di cui ha bisogno, per rinnovare la flotta, migliorare il servizio, adottare tariffe competitive. Ma con Bazoli è come sempre Prodi.

Air France, senza scelta

A un certo punto del lungo consiglio venerdì gli amministratori di Alitalia si sono accorti che non avevano in realtà una scelta: dare l’ex compagnia nazionale a Air One, per quanto finanziariamente spalleggiata da Intesa, sarebbe stato come se la Fiat se la fosse presa Colaninno, giusto perché aveva dietro la politica. L’unanimità si è così formata senza resistenze attorno all’ad Maurizio Prato. Il tempo è stato preso per dettagliare la scelta di Air France. Per parare il prevedibile contrattacco politico. E soprattutto a futura memoria, contro le inevitabili inchieste giudiziarie sui ricorsi degli scontenti.
Af è l’unica possibilità per Alitalia di sopravvivere nell’immediato, con la ricapitalizzazione, il rinnovo della flotta, e la ristrutturazione. E' la scelta del personale viaggiante, piloti e di cabina, malgrado l'esubero anunciato di mille posti. Fra otto anni, quando scadrà il periodo di garanzia del marchio e della società, se Alitalia sarà tornata efficiente, allora una soluzione nazionale realistica si potrà configurare, con il riacquisto dell’azienda da Af. A Air France va anche l’Az Servizi, l’attività di manutenzione che per ora è parcheggiata presso la Fintecna, la finanziaria pubblica di provenienza di Prato. Ma previo scorporo e liquidazione\cessione di alcuni rami d’azienda.

venerdì 21 dicembre 2007

Troppe palle alzate, litiga il fronte anti-B.

Una palla, anzi “un pallone”, alzato a favore di Berlusconi, che a questo punto ha a tiro una serie di schiacciate micidiali. Soprattutto se bisogna votare, se l'offensiva cioè andrà avanti. Sono circolate ieri, e ancora di più stamani, parole dure a Milano contro la messa in onda della telefonata tra Berlusconi e Saccà. Il direttore della Rai ci fa una pessima figura, ma di lui non frega niente a nessuno, mentre Berlusconi giganteggia. Per Bazoli ha parlato Corrado Passera, creatura peraltro di Carlo De Benedetti, per il Gruppo Espresso la direzione generale, forse lo stesso Benedetto. Berlusconi tra l’altro ha spiazzato il fronte passando a sostenere Passera nella sua prova d’acquisto di Alitalia. Mentre il presidente Napolitano spiazzava Milano, ribadendo il suo interesse per un’intesa parlamentare sulle riforme, l’unico modo anche per mantenere in vita il governo e la legislatura.
Sarà durata appena due settimane l’offensiva anti-Berlusconi messa a punto nel week-end dell’Immacolata dai maggiori editori, De Benedetti e Bazoli, per scongiurare la grande coalizione con Veltroni e il Partito democratico. De Benedetti ha prontamente reagito tramite il suo avvocato Pisapia, che ha bollato la messa in onda della registrazione come “un reato gravissimo”. Ma l’incidente potrebbe avere ripercussioni, in quanto Milano non è più certa che De Benedetti non voglia metterli in difficoltà affondando il Pd di Veltroni.

Angelucci erede culturale di Geronzi a Roma

Il "banchiere" affabile, o discreto e generoso: portato da Geronzi e la Banca di Roma ai grandi affari, Giampaolo Angelucci assume la personalità del suo mentore e patrono sulla scena culturale romana, nella quale si presenta come suo erede. La contestazione all’“Unità”, ultima sua acquisizione, è destinata a rientrare di fronte alla nota ricetta: molti soldi e nessuna ingerenza. Così come è rientrata nel gruppo teatrale del Brancaccio, quando ha voluto sostituire Costanzo a Proietti. Ora resta in attesa del “Tempo”, se Bonifazi, dopo le tante ristrutturazioni, dovesse accorgersi che non sa fare l’editore.
Fra i nuovi imprenditori che Geronzi ha cercato di far crescere a Roma, Cragnotti, Sensi, Bonifazi, lo stesso Lotito, e i fratelli Toti, Angelucci figlio è il solo che dall'inizio è sembrato saper marciare sui suoi piedi. A parte il caso inimitabile di Gaetano Caltagirone. Come Geronzi, e a differenza dei nuovi imprenditori dell’editoria, i sardi Grauso e Zuncheddu, Giampaolo Angelucci si pone in posizione defilata: ogni giornale o istituzione confida a manager di orientamento omogeneo, Costanzo, la Marcucci, il direttore-editore Feltri. E sembra avere anch’egli mezzi illimitati. I giornali cui “ha dato una mano” hanno infatti tutti bisogno di soldi: “Libero”, “il Riformista” e ora “l’Unità”. Era questa la ricetta di Geronzi, farsi avanti nel momento del bisogno. Con la differenza, però, che Angelucci non ha una banca a disposizione.

Il Presidente sfiduciato dal "non governo"

Non sono stati i voti di fiducia a ripetizione a indispettire il presidente della Repubblica, ma la superficialità del governo da una parte e dall’altra il fatto che esso non abbia più maggioranza politica. Sullo sfondo, forse, la delusione per l’impossibilità di far decollare un dialogo politico almeno sulle riforme. La constatazione cioè, forse più amara per un presidente che era fuori dai giochi di potere, che l’agenda politica non è dettata dalla politica ma da interessi potenti, attraverso intercettazioni, indiscrezioni, insinuazioni, e si risolve nel “non governo”.
La superficialità il presidente addebita ad Amato e Padoa Schioppa, che pure sono le presenze che danno più immagine al governo: per l’incredibile decreto deportazione, e per l’improntitudine dei licenziamenti e della nomine. Senza contare che le dichiarazioni in Parlamento del ministro dell’Economia contro l’ex generale Speciale potrebbero rivoltarglisi contro in sede penale, esorbitando dall’autonomia del giudizio politico. Contro i ministri però nessuno può agire (se non si dimettono, contro di loro si può solo fare una crisi di governo). Mentre sulla maggioranza parlamentare del governo il presidente ha degli obblighi, sui quali Napolitano ritiene di non potere più transigere: manca l’autonomia politica in Senato, dove il governo va avanti con i sei senatori a vita, e manca l’unità di indirizzo su temi politici qualificanti, lo Stato sociale e la laicità dello Stato.

giovedì 20 dicembre 2007

Nemesi su Schädlich, delatore non pentito

È morto suicida tre giorni fa per essere stato abbandonato da una fiamma, dopo aver resistito quindici anni alla vergogna della denuncia come spia di Günter Grass e degli atri scrittori tedeschi dell’Ovest che visitavano l’Est, nonché a Est del suo proprio fratello, lo scrittore Hans Joachim, di quattro anni più giovane. Ma la fine di Karlheinz Schädlich è una sorta di nemesi: anche nei particolari finali rientra nella vera e propria tragedia antica che si è consumata tra le due Germania, dove la giustizia si fa alla cieca.
Schädlich è morto nella Danziger Strasse, la via di Danzica, la città di Grass. Dopo la riedizione dello studio storico che l’aveva reso famoso, “Appeaser”, sugli inglesi filohitleriani. Hans Joachim l’aveva immortalato inconsciamente in un romanzo del 1986, “Tallhover”, una figura di delatore condiscendente, benevolo, che aiutava gli scrittori a sopravvivere. Grass riprese il personaggio, anagrammandolo in Hoftaller, nel suo romanzone della riunificazione, “È una lunga storia”, pubblicato nel 1995 ma riferito agli eventi del 1990-91 (e anche prima: Grass descrive il ministero della Aeronautica anni 1930 basandosi su uno "storico inglese" che altri non è che David Irving, il negazionista, autore di ujna biografia di Goering...).
Dopo l’apertura nel 1992 degli archivi della Stasi, il servizio segreto della Germania Est, e la rivelazione che Schädlich ne era un confidente, a spese tra l’altro del fratello e di Grass, era rimasto isolato ma senza complessi di colpa. Come altri scrittori di maggiore statura, Christa Wolf, Anna Seghers, che avevano anch'esse collaborato. All’idea che lo Stato Operaio e Contadino, come lo chiama Grass, aveva una superiore moralità. Come il Reich di Hitler – il comunismo finito nel 1989 deve ancora farsi l’esame di coscienza.

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (11)

Giuseppe Leuzzi

Milano, capricciosa, incostante, frou-frou come si vuole, distrugge più che creare. Crea molto, distrugge moltissimo. Distrugge mentre crea. In tutt’e quattro i suoi settori portanti: l’opinione pubblica riduce a gossip, la gestione a chiacchiera sulla gestione, la moda (formazione del gusto) a immagine, la questione morale a sopruso. È formidabile, distrugge l’Italia. Non con l’ascia, svuotandola.

“Da Malpensa non si può partire prima delle 9 di mattina”, rivela il pdg di Air France, Spinetta. È tutto quello che c’era da sapere su Malpensa, lo scalo delle perdite. Ma l’omertà, che è durata trent’anni, continua impenetrabile.

Il “New York Times” dice l’Italia in crisi, tra le altre cose, per la mancanza di senso unitario. Ma questo è più vero del resto d’Europa: l’unità nazionale è in crisi in Spagna, Gran Bretagna, Belgio, non in Italia. Il patriottismo non s’indebolisce se i forti criticano i deboli, gli inglesi hanno criticato per secoli gli scozzesi, i catalani gli andalusi, i fiamminghi i valloni, è il loro modo di trarre profitto dall’unità. Il patriottismo finisce quando i deboli si sottraggono.

Hashem Thaci, come sessant’anni fa il bandito Giuliano in Sicilia, gli Stati Uniti sostengono a capo di un separatismo inventato nel Kossovo. Il separatismo rientra nella cultura americana della democrazia federale. Ma si fa – si inventa – all’estero tramite le mafie. Ora quella albanese. Durante l’occupazione attraverso quella siciliana e napoletana.
Negli Stati Uniti la grande politica sempre usa le mafie. La mafia irlandese fece comodo ai Kennedy, e dopo nella guerra civile. La mafia di Miami è stata usata contro Castro. La mafia cecena contro la Russia. Le mafie russe contro Putin. Ma prendendole dall’altro: pagandole e insieme imprigionandole, sbaragliandone gli affari. Senza mai un sospetto di connivenza, eccetto che nei romanzi di McEllroy.

Il vice-capo dell’antimafia Contrada condannato per mafia è sempre sembrato troppo. L’uomo nel suo destino ha qualcosa di Sofri, non solo perché si rifiuta di chiedere la grazia, che alla sua età dovrebbe essere automatica, ma soprattutto perché, malgrado il suo potere, era indifeso, a Roma si direbbe un fregnone. Non aveva “controcarte”, nessun potere di ricatto, e si è affidato alla giustizia. Ma un procuratore generale della Cassazione, nella fattispecie il dottore Antonello Muro, che lo dichiara colpevole “oltre ogni ragionevole dubbio” di “concorso esterno” effettivamente è troppo per essere vero. La giustizia avrà pure le sue regole, ma cos’è il “concorso esterno in associazione mafiosa”, senza altra imputazione? Passava per strada, ha preso un caffè allo stesso bar di un mafioso? Perché se gli passava un'informazione è un mafioso senza concorso. Il "concorso esterno" sarebbe ottima materia di cabaret, ma si tratta di mafia e di carcere.

La storia è che l’unità si fece – il Risorgimento fallì – per l’alleanza della borghesia del Nord col feudalesimo agrario del Sud. Non è vero: il Sud semplicemente si arrese all’idea. Questa e altre verità Bordiga spiegava in “Rassegna Comunista” del 30 settembre nel 1922, “I rapporti delle forze sociali e politiche in Italia”: “In realtà nel Sud d’Italia non esisteva un feudalesimo capace di opporre resistenza alla rivoluzione borghese. La classe dirigente meridionale, in cui la proprietà media prevaleva, si conciliò facilmente con le forme del regime parlamentare democratico, in cui subito inserì le forme embrionali della sua scialba attività sociale e politica, riducentesi ai contrasti di partiti e gruppi puramente locali. Come oggi non ha una lotta aperta di classe tra borghesia e proletariato, così il Mezzogiorno non ebbe un’aperta lotta tra feudalesimo e borghesia, e non dette al nuovo stato una eredità di coefficienti reazionari ma una materia plastica adattissima ad essere utilizzata dall’apparato di governo parlamentare, che largamente si propizia influenze col volgare favoritismo amministrativo”, poi detto sottogoverno.
Sudismi\sadismi. “Calabria Infelix - Ma non si sono ancora stufati i calabresi di essere calabresi? So esprimere solo in questo modo paradossale, di cui spero che nessuno si adonti, il mio stupore (credo condiviso da molti) per come una regione abitata da tante persone per bene possa, però, sopportare condizioni generali di vita sconosciute ai paesi civili. Un sistema sanitario ridicolmente inefficiente, costruito solo per le ruberie della classe politica e che serve solo a far morire la gente (l' ultimo caso l' altro giorno: otto ore di inutile attesa per trovare un posto ad un ragazzino in fin di vita); dappertutto, ma specie sulle coste, una situazione urbanistica raccapricciante, dove l' assenza delle fogne e dei depuratori è la regola; dappertutto il clientelismo come modello sociale a cui non si sfugge; dappertutto la corruzione pubblica, e in intere zone, per finire, il dominio incontrastato della malavita. Questa è la Calabria: quella vera. Chi ci abita, ripeto, come fa a sopportare questo stato di cose? (“Corriere della Sera” 3 novembre 2007, “Calendario” di Ernesto Galli della Loggia). Quaranta giorni dopo un bimbo calabrese di tre anni è morto a Pistoia, in ospedale, per effetto dell’operazione alle tonsille. Un’emorragia è intervenuta, e non c’era il medico all’ospedale. Ma naturalmente non c’è paragone, lo sdegno, di Galli della Loggia e del “Corriere”, e non solo, rimane intatto.
Il Grande Autore fa l’elogio del suo Grande Prefatore, Critico e Presentatore. Di cui il comune editore ha raccolto come strenna le Acute Presentazioni all’Autore. Tutto questo avviene in Sicilia. Ma ne fa la celebrazione - dell’Autore che celebra il Presentatore a una cerimonia dell’Editore - il milanesissimo “Sole 24 Ore”. Perfidia? Il Sud è colpa del Sud.
A Camilleri molto si deve, per avere raccontato Montalbano, la giustizia semplice, di buoni propositi, buona cucina, nuotate rinvigorenti e belle donne. E la Sicilia capricciosa, misantropa, generosa, solare, vivente insomma. Camilleri è consolante. Ma ha una strana concezione dell’impegno civile, compreso l’esibito comunismo. È sempre piatto fuori del siculo-italiano, e il tribalismo adotta a unica cifra, unico argomento. Ma sempre si compiace, senza pudore, e il comunismo riduce all’astioso augurio di pronta morte al suo editore milanese - in poesia, è vero.

Sciascia è ottimo scrittore, persuasivo. Ma usa in maniera errata la chiave del “diverso”, del “noi e loro”, e più per la sua sensibilità politica e l’abilità retorica. Questo nei tre quarti della sua opera, quella dichiaratamente politica. Tutto è negativo nella visione che egli ha della sicilianità, e questo non è possibile. Fa eccezione per la vecchia mafia, il vecchio fascismo, e magari le vecchie zolfare, e questo è ancora peggio.
L’eccessiva dilatazione del conclamato pessimismo è confermata e conformata dalla chiave positiva che egli sempre usa per le realtà a confronto, Milano o Parigi o la Spagna. Contraddicendo la presunta caratterialità del pessimismo, e tanto più per la sua pascaliana razionalità. È un colonizzato o un assimilato. Ottimo scrittore, ma uno introietta gioiosamente la propria “dipendenza”, la rinuncia cioè al diverso, a una parte cospicua di se stesso.

Contestando Manlio Sgalambro, che aveva dato l’“addio” a Sciascia (“Corriere della sera” dell’11 febbraio 2005), Manuel Vàsquez Montalbàn dà la vera ragione del “difetto” di Sciascia, alla passione civile di aver dato un ruolo monopolistico, riducendola peraltro alla mafia (“la Sicilia come metafora”). “In un mondo in cui tutto cospira per farci accettare una verità unica”, scrive Vàsquez Montalbàn, “un mercato unico e un esercito unico, la copertura ideologica che si sta costruendo al servizio di questa congiura è fatta su misura per la capacità di analisi e di smascheramento di Leonardo Sciascia”. È invece il contrario: è parte di essa. Se non della congiura, del servizio della congiura.
La capacità di rifiuto si esclude nel momento in cui si combatte sul terreno dell’avversario, anche se non si aderisce alla sua ideologia, e per quanto vivacemente la si contrasti. Si dice no al pensiero unico, al mercato, all’economicismo, pensando, vivendo e proponendo una realtà altra. Altrimenti se ne è complici, per quanto critici, poiché si opera, o si pensa, all’interno del suo linguaggio, e quindi del suo sistema di giudizio. La mafia che diventa la Sicilia, e la Sicilia che diventa l’Italia e il mondo, sono parte integrante della cospirazione: hanno la funzione di demoralizzare chi (i più, la quasi totalità) ne è fuori e vive o vorrebbe vivere un’altra vita. Il monopolismo dell’antimafia fa parte della mafia, si reggono a vicenda.

Luigi Malerba insiste, sul “Corriere della sera” del 31 maggio 2005, che Sciascia ha fatto solo un piacere ai mafiosi, che lo leggeranno, dice, con diletto. Malerba sbaglia, i mafiosi non leggono, ma è Sciascia che gli ha dato questa idea – Malerba, parmigiano di Orvieto, può non sapere che la mafia è ignorante e anzi analfabeta. Ma è Sciascia l’Autore della Mafia, il suo creatore: questo vedere mafia dappertutto da una parte, e dall’altra la sua ipostatizzazione-intronizzazione, nei saggi più che nei racconti (dove invece la Sicilia è diversa, come è).

Sciascia ha una componente forte – nei saggi e anche nei romanzi – di teismo, o spiritualismo, esoterico. Non alla maniera dei fratelli Piccolo, che si può ridurre a mania senile o esoterica, di cui sorridere con divertimento, come faceva il loro cugino Giuseppe Tomasi, ma nel senso proprio, massonico. Si vede nella propensione a rivoltare la storia, al misterico, al complottistico, e finisce nella magnificazione della mafia – viene sovrapposta alla Sicilia come un macigno una manica di brutti ceffi - e in alcuni riferimenti simbolici. È un laicismo sterile, col culto ridicolo del “com’eravamo”, che è un passato abominevole.
Sterile è il laicismo nell’isola perché massonico: la chiave è sempre quel riempirsi la bocca della Riforma, che l’Italia non avrebbe fatto. È uno spiritualismo sterile ai fini pedagogici e democratici: inevitabile sconfina nella misantropia, che oggi denomina società civile, il disprezzo del volgo, e si chiude nel vecchio notabilato, che in regime democratico non è più produttivo. Ci sono in letteratura più Sicilie, quella della prima lirica italiana, quella del popolo di Guastella e Buttitta, quella di Tomasi di Lampedusa, Vittorini, Brancati, Verga e il primo Pirandello, e c’è quest’altra, che per essere “francese” e “rivoluzionaria” è – direbbe Sciascia - ineffettuale.

Secondi pensieri (7)

zeulig

Amore – Non c’è in Freud, che lo chiama transfert, edipo, angoscia, nevrosi. Né in Heidegger, se non sotto forma di Sorge, la carità cristiana confusamente ereditata da chierichetto. Non c’è nei romanzi del Novecento, e nelle poesie. L’amore muore con la prima guerra mondiale.

Ateismo - È un atto di fede, la negazione del soprannaturale senza prove né riscontri. Il soprannaturale c’è perché c’è. Altrettanto apoditticamente, l’ateismo dice che il soprannaturale non c’è. M la negazione, venendo dopo, necessita della prova – e quanto dopo viene! solo nel Settecento, solo in Europa.

Dio – Ci sono momenti in cui è assente, si può pensare per collera: il diluvio, la peste, un tempo la carestia, i terremoti, le cavallette, l’ondata del Vajont. In cui chiude le porte. Se è la tecnica, l’uomo che si costruisce, si perfeziona. Ma se lo è, ad Auschwitz c’era: è un luogo ordinato, ragionato.

Fede - È immaginazione, si sa, è potentemente creativa. Ma vi si accede con la ragione, per certi preliminari razionali. Attraverso i quali si esercita la grazia.
È operazione razionale più che emotiva (miracolosa). Anche la grazia deve trovare terreno favorevole nella razionalità.

Femministo – Amava tanto le donne che voleva rivoltarle.

Fondamentalismo – Riportando la religione alla distruzione comprova l’inaccettabilità del messianesimo, esclusivo. Non del monoteismo in sé, ma di quello che si vuole esclusivo perché opera di un profeta e una chiesa. Il fondamentalismo esclude dal sentimento religioso, che è riconoscimento e riconoscenza di e a Dio, proprio i monoteismi più rigidi.

Guerra – Ultimamente la fanno le tribù, in Africa, in Medio Oriente e nei Balcani. E gli Usa nel nome dei diritti umani. La facevano le repubbliche, i principati, gli imperi, le classi sociali, le idee, per un interesse.

Hitler - È stato il dittatore più amato.

Imprenditore - È uno che osa. Che scommette, ma con un piano. È Cesare, è Rabelais, è Napoleone. Che fa l’ordinario, ciò per cui si sente cioè nato, ma lo programma e poi lo gestisce, in un’ottica di sviluppo – crescita, innovazione, miglioramento.
È l’Autore di se stesso.
Freud direbbe, o Lacan, che è il Padre di se stesso – le maiuscole qui ci vogliono.

Innamoramento - È sempre allo stato nascente, aurorale. Anche nelle crisi: come per la storia e la politica, il meccanismo del ritorno alle origini può aiutare. Si parte dalla rottura e si torna indietro per vedere cosa delle premesse non ha funzionato. Nelle premesse si possono anche stemperare le errate concrezioni, ritrovando viva la prima immagine, quella vera, della persona amata, un gesto, uno sguardo, un sorriso, il tono di voce che ha fatto innamorare. Vera prima delle concrezioni che s’incrostano giorno per giorno, per stanchezza, ansia, difficoltà pratiche. Poi c’è la libertà di andarsene. Se non di fare il Celibe di Kafka, per il quale “la felicità è capire che il suolo su cui poggia non può essere maggiore dell’estensione coperta dai suoi piedi”.

Latinità – Nasce da una sconfitta, a voler credere a Virgilio (all’imperatore Augusto), nella guerra di Troia. L’Occidente nasce da una sconfitta, a opera dei greci.

Linguaggio - È lo specchio per eccellenza.

Papa – È l’unico re che regna.
Un re intellettuale, regna attraverso la parola: il gesto, la liturgia, le idee, l’immaginazione.

Ragione - È l’origine del mistero.
È la ragione che divide la conoscenza e pone dei limiti. Anche in se stessa: come nasce, come si sviluppa, qual è la sua natura – rispetto agli eventi naturali, alla “ragione” animale (istintuale), e al mondo (il tempo, lo spazio, i penati).

Tecnica – La specie umana si distingue perché ha una conoscenza logica della conoscenza tecnica: sa crearsi gli utensili e migliorarne i rendimenti, e sa valutare i miglioramenti.

Tempo - È giovane. La scoperta del tempo è recente – si contava per genealogie – e in molti posti della Terra deve ancora nascere.

È creazione degli orologiai. Dio ha creato l’eternità.

Sono tempi diversi quello delle piramidi, o delle cattedrali, e la cronometria produttiva, abitativa (pendolarismo), creditizia.

Verità – Slitta. Non è un blocco, e non è un ghirigoro. È un’ombra, che si configura diversamente quanto una luce la colpisce.
È la lettere rubata di Poe: è in evidenza ma non sempre si vede.

Volontà - È tutto per l’uomo, e non è niente. Farà l’1 per cento della storia?

zeulig@gmail.com

mercoledì 19 dicembre 2007

Le rotte del malaffare su Alitalia

Un giovane banchiere, senza pregiudizio politico, si è divertito a contare le irritualità attorno alla privatizzazione di Alitalia. In realtà, in altro contesto politico e in altro ambiente giudiziario, delle illegalità. Eccole, a ritroso nel tempo.
La decisione sottratta al consiglio di amministrazione e all’azionista (il ministro dell’Economia) e avocata alla politica.
Gli annunci a cascata, nella fasi dell’aggiudicazione, di paperoneschi aumenti di capitale, una turbativa della gara senza alcun intervento correttivo della Consob né dell’azienda.
L’azzeramento di valore a tutti gli effetti di Alitalia, malgrado un patrimonio rispettabile (l'avviamento, la professionalità, le rotte ricche in Italia, in Europa e con gli Usa).
La lobbying aggressiva di Intesa su alcune formazioni politiche e su Cisl e Cgil.
La speculazione al ribasso del fondo di Soros nel week-end, analoga in piccolo a quella che affossò la lira nel 1992.
La partecipazione alla gara di una cordata, Valori-Baldassarre, che non ha mai esplicitato la sua proposta, e forse si lega a Soros.
L’allontanamento dalla gara di Lufhansa, il cui management era ed è interessato ma il cui consiglio di sorveglianza ha dovuto dire no per evidenti motivi di prudenza.
Casi anche macroscopici di insider trading nelle varie, lunghe e tortuose fasi della privatizzazione. Il fallimento provocato della prima operazione di vendita.
L’asta iniziale al rialzo, non ancorata ad alcun parametro, progetto od offerta.

Il sorpasso della Spagna, uno Stato democratico

“La crescita dell’economia rallenta, ma nel 2007 il reddito pro capite supererà quello dell’Italia, nel 2009 sarà pari a quello della Francia, e nel 2011 porterà la Spagna al livello della Germania”. Così il primo ministro Zapatero delineava a giugno in un’intervista al “Paìs” la situazione economica. Un’intervista lunga, in due puntate, seduta, da socialisti a socialista, ma leggibile: fattuale, senza retorica apparente. In un arengo politico moderno, concreto, conscio anche dei suoi limiti. Democratico, specie al raffronto con le agitazioni scomposte della politica in Italia, manifesto segno di ineffettualità.
Molte sono le riserve su Zapatero e la sua Spagna. Il sorpasso non c'è. Né in cifra assoluta, la Spagna ha un pil di poco della metà di quello italiano, né pro capite. E Zapatero sede su un boom immobiliare infido, gonfiato e non stabilizzato. Come l'occupazione: molti lavori sono ancora di sussistenza, la disoccupazione può saltare in ogni momento a cifre abnormi. Il boom è della speculazione, molto evidente: la Spagna costruisce più case che non l’Itaia, la Francia e la Germania insieme, quaranta milioni di abitanti contro duecento, case inutili, tanto per tenere su la partita di giro immobiliare, tra costruttori, agenti e banche. Il contrasto degli immigrati ha lati crudeli, perfino razzistici, col muro nel Marocco spagnolo e le mattanze alle Canarie. Mentre il laicismo è un anticlericalismo volgare, che copre peraltro un vuoto politico impressionante: la generazione socialista post-Felipe è singolarmente indigente, quella dei belli guaglioni, compresa la matura vice-presidente de la Vega. Imbarazzante: si può cambiare sesso con una telefonata in municipio. Ma è vero che la Spagna è alle calcagna dell'Italia, e che il fatto è straordinario.
La Spagna ha vinto la rincorsa in meno di quarant’anni, da quando Franco morente aprì alla modernizzazione cedendo il potere all’Opus Dei. Anni luce dietro l’Italia, che ereditava dal fascismo un paese infrastrutturato, e nel dopoguerra aveva beneficiato del Piano Marshall e del Mercato comune. Ma si è mossa con realismo, e senza segreti.
Il successo della rincorsa si apprezza di più al confronto con l’Italia, che invece ristagna da quindici anni. Effetto dei governi Ciampi, Dini e Prodi, che hanno mal preparato l’euro, senza pretendere il consolidamento del debito, che a questo punto non è più assorbibile. Di Berlusconi, che poteva riformare pensioni, sanità e pubblico impiego e non l’ha fatto. Del potere d’interdizione concesso agli interessi settoriali camuffati da “minoranze”. Ma è anche merito della Spagna, e in questo senso può essere confortante, è il successo di una democrazia.
La Spagna ha gli stessi problemi economici del resto d'Europa: la Cina, l'immigrazione, la precarietà, la caduta dei salari. Mentre i suoi problemi politici sono probabilmente ancora i più ardui: il separatismo radicale in Catalogna, nel Paese Basco e in Galizia, il terrorismo basco, l’incerta lealtà dei militari, tra i quali un golpe è stato tentato (Tejero). Ma è in politica che la differenza di stile con l’Italia più risalta.
La Spagna non ha il linguaggio doppio: non adotta condannati a morte negli Usa mentre vara un decreto di deportazione degli immigrati. Le Cortes sono un Parlamento e non un consesso di paglietta, che usa il decreto sulla deportazione per far passere i matrimoni omosessuali: se li autorizza, li chiama matrimoni omosessuali. C’è misura, e senso democratico dello Stato, non l’ambiguità della “rivoluzione italiana” (Mani Pulite), né delle migliaia di bombe che negli anni Settanta portarono al terrorismo - due eventi provocati che se fossero avvenuti in Sudamerica (ora non più in Spagna!) avremmo detto golpisti.

lunedì 17 dicembre 2007

E' Alitalia la "colpa" di Padoa Schioppa

Un'asta andata a vuoto. Una gara a due, tra Air France e Air One, tutta politica. Con furiose manovre destabilizzatrici dell'azienda in vendita, l'Alitalia: dichiarare aumenti di capitale miliardari non è sancire un impegno d'investimento quanto annullare il valore dell'azienda e del titolo. Con un pezzo pregiato del patrimonio pubblico (le rotte, l'hub, il nome) che in queste condizioni abnormi si dissolve senza alcun beneficio per il governo. Anzi, nell'ipotesi Air One, con nuovi aggravi per le finanze pubbliche, per gli ammortizzatori sociali e per il ricollocamento di Az Servizi.
Non è il discorso con cui alla Camera ha dimesso il generale Speciale a lanciare un'ombra sull'operato di Tommaso Padoa Schioppa, ma la vendita di Alitalia, che domani si concluderà con un dichiarato fallimento, almeno per il governo. Il ministro dell'Economia si appresta a celebrare il varo in Parlamento di una difficile finanziaria, in cui non ha messo per una volta nuove tasse, e ha solo scalfito il "tesoretto" accumulato nel 2007. Ma non avrà di che complimentarsi: gli errori sono troppi nella vendita dell'Alitalia. I malumori sulla vicenda all'interno del governo sono perfidi. Più degli interrogativi del palazzo di Giustizia, che valuta la solita generica ipotesi di aggiotaggio. La questione è "politica", si difende il ministro dell'Economia, che oggi ha avuto un colloquio di due ore col presidente del consiglio Prodi, su cui Costamagna (Goldman Sachs) e Passera (Intesa), sponsor di Air One, hanno accelerato il pressing.

Per la Famiglia la Juventus è una liability

Per la Famiglia la Juventus è una liability
John Elkann impacciato ha voluto rievocare al Tg 1 la figura del nonno, l’Avvocato Agnelli, in concomitanza con l’apertura a Napoli del processo alla Juventus. Ma c’è maretta in famiglia. Al primo sdegno delle sorelle dell’Avvocato contro Moggi è succeduta la rabbia, per la continua e generale mancanza di rispetto dei media, dalla “Domenica Sportiva” al “Corriere della sera”, e del mondo degli affari, soprattutto le grandi banche a Milano, la magistratura, la politica locale. Qualcuno, commentando l’intervista di John Elkann, ha detto: “Con l’Avvocato questo non sarebbe successo”. Il ruolo del capofamiglia è inteso, per l’esperienza maturata dal fondatore, il senatore Agnelli, come di parafulmine contro quelli che l’Avvocato chiamava “i malintenzionati”: banche, concorrenti, politici, e il fronte della criminalità degli affari, concussori, ricattatori, bancarottieri. Un ruolo di forza, cioè, e non di buoni sentimenti.
Nella famiglia, svanita la passione dell’Avvocato, c’è anche perplessità: la Juventus è un po’ da tutti ritenuta ora una liability e non un asset. Da cui non è possibile sganciarsi per il momento, poiché la società è sotto processo anche sotto l’aspetto patrimoniale, una cessione non è possibile, e comunque avrebbe un effetto negativo, sarebbe interpretata come un tentativo di non fare fronte alle responsabilità. È il problema principale di John Elkann, più della causa con la madre, che non potrà non finire in un vicolo cieco: Marchionne lo ha sollevato del problema Fiat, mentre la Juventus l’ha allontanato dai cugini figli di Umberto, e ora ne deturpa l’immagine e ne indebolisce gli assetti finanziari.

Contro Fini, Casini schiera l'orgoglio Dc

È irritatissimo Casini per essere stato annesso da Fini nella destra da lui diretta: il leader dell’Udc non ha parlato per non trovarsi isolato tra due fronti, Fini e Berlusconi, ma da ieri ha perso il sorriso e la parola. Si ritiene in gara, come sempre, con Fini per la leadership del centrodestra e non subordinato al presidente di An. Chi lo ha incontrato al direttivo del partito lo descrive furibondo. Ma anche freddo. Determinato ad andare in fondo col progetto dell’“orgoglio democristiano”, finora tenuto nel limbo dei convegni tra vecchi glorie (l’ultimo tre mesi fa a Chianciano).
La Democrazia Cristiana non c’è più, se non per una formazione politica minima, e fino a non molte settimane fa non era di buon gusto rifarvisi. Ma da qualche giorno fioccano le dichiarazioni di orgoglio democristiano, perfino del prudente Andreotti, e di Buttiglione, Giovanardi e altri comprimari. È facile collegarle al progetto del Grande Centro. Che però non sarebbe l’unione fra l’Udeur e l’Udc: Casini, dopo Mastella, non è verso la rifusione tra i due piccoli partiti che intenderebbe marciare. Bensì consolidare i voti propri dove ci sono, in Sicilia, in Abruzzo, nelle Venezie. E fare da punto di riferimento per gli ex Dc ora scontenti, soprattutto tra gli ex Popolari. Ha personalmente ottimi rapporti con Staderini, il consigliere della Rai, e buoni con Angelo Rovati, l’ex consigliere economico di Palazzo Chigi sempre intimo di Prodi.
Il problema di Casini è che non ha mai avuto base elettorale certa. A parte la Sicilia di Cuffaro e Mannino, che la magistratura tiene sempre sotto tiro. Si dice però certo che il voto ex Dc in libera uscita è molto vasto, a destra e a sinistra, scontento di Berlusconi e soprattutto dell’alluvione veltroniana nel Partito democratico.
L’orgoglio Dc di Casini è nei fatti un’apertura e una premessa per uno spostamento verso la sinistra del centro. Berlusconi lo dà per scontato: la sua ricostituzione di Forza Italia ha a sua volta l’obiettivo di attrarre, soprattutto in Sicilia, tra Cuffaro e Lombardo, gli scontenti di questo passaggio di Casini. La pretesa di Fini di annettersi Casini avrebbe avuto l’effetto di obbligare il leader Udc a sciogliere le perplessità.

domenica 16 dicembre 2007

L'economia inverosimile

Immigrati, Malpensa, mutui, incapienti, inflazione, giustizia, Salerno-Reggio, Alitalia, De Benedetti: letta in un giorno di riposo, l’economia appare nella sua ordinarietà inverosimile, e anzi mostruosa - l’economia “letta” su e dai giornali.
Trecentocinquantamila domande di assunzioni di lavoratori stranieri, in regola, sono state presentate, il governo ne consentirà solo cinquantamila.
“Da Malpensa non si può partire prima delle 9 di mattina”, rivela Jean-Cyrille Spinetta, pdg di Air France.
Gli incapienti avranno 150 euro di bonus sulle pensioni. Una sola volta per tutte. Dopo un lungo travaglio politico e parlamentare. Dopo aver dimostrato di essere “incapienti”.
La crisi dei mutui a rischio era latente da una diecina d’anni: per molti americani la casa era una banca, con ipoteche di quinto e anche sesto grado. Ma non si diceva. Le perdite sono superiori al pil dell’Olanda, e peseranno sui conti delle banche per almeno tre-quattro anni.
Dopo sei anni di caro euro, l’inflazione per la prima volta aumenta in Europa, dal 2 passa al 3 per cento. Non dal 200 al 300 per cento.
Per Alitalia “è essenziale un partner strategico in Asia” (Francesco Rutelli). Per Alitalia “è essenziale un partner italiano” (sindacati confederali).
I ritardi della giustizia costano 500 milioni di euro di multe. L’anno. Pagate dallo Stato.
Da Gioia Tauro a Reggio Calabria, 50 km., una pubblicità Anas prospetta uno sforzo immane, in viadotti, gallerie, occupati, spesa, e cinque anni di lavoro, per l’allargamento della carreggiata. Tutta la Salerno-Reggio Calabria, 435 km., quarant’anni fa fu realizzata in cinque anni, a un costo attualizzato inferiore.
La Cofide di Carlo De Benedetti è investimento raccomandato dal “Sole 24 Ore” in una pagina che ne rileva solo debolezze, un margine operativo lordo in aumento del 9 per cento ma in realtà di appena il 10-11 per cento, che lascia un netto irrisorio, e problemi in tutte le aree: la finanza ha comprato una società australiana di mutui alla vigilia del crack, l’energia è in ritardo di dodici mesi, l’editoria ha dimezzato la vendita degli allegati, la componentistica auto è “strutturalmente in declino”.