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sabato 2 giugno 2012

Milano intima al papa di licenziare Bertone

Non propriamente cattolici, e nemmeno cristiani, Giavazzi, Micheli, Vitale su tutti, coi soci Barucci e Gennarini e il sindaco Tavecchio, Gregotti, Pansa, Modiano, e destra e sinistra unite nella lotta, la società civile dei belli-e-buoni con i berlusconiani, gli avvocati di Bazoli, Lombardi e Pedersoli, col Pdl Contestabile. Tutti insieme intimano al papa di cacciare Bertone. Potrebbero non farcela, al papa è impossibile mandare un avviso di reato - di garanzia. Ma sarebbe la prima volta, Milano non perde mai.
Milano ha perduto l’Italia, perché non perde mai.
Lo studio Vitale & associati ha molto lavorato col San Raffaele di Gotti Tedeschi, il manager cacciato dal Vaticano di cui gli ottimati ambrosiani intimano il reintegro. Col San Raffaele che Gotti Tedeschi all’improvviso dichiarò fallimentare, su istanza di Bazoli. Ma non si vergogna di imporre il reintegro al papa, non c’è conflitto d’interessi quando si afferma la verità e l’onestà. Cioè Milano.

L’assedio di Mediobanca a Generali

Quest’anno è toccata a Perissinotto. Come l’anno scorso a Geronzi, cacciato per fare posto a Perissinotto. Due anni fa a Bernheim. E prima ancora a Gutty, a Desiata, a Fazio, a Fazio contro Bazoli, a Bazoli, eccetera. Al centro di questa catena della vendetta c’è Mediobanca. In un gioco perpetuo di intrighi che, finché era vivo Cuccia, il suo biografo Tamburini poteva definire “siciliano”, ma è invece a questo punto tipicamente ambrosiano: non c’è sostanza se non c’è fuffa. L’intralcio e lo sgambetto è l’unica arte di questa banca.
In Generali come nella Rcs-Corriere della sera, dopo aver distrutto Montedison, Eni, Olivetti, Ferruzzi e ogni altro gruppo. E ora contro la Fiat di Marchionne, dopo aver distrutto quella degli Agnelli con Romiti – tentativi finora respinti, ma Milano è tenace: Marchionne intanto è dovuto scappare in America.

La partita è tra Abete e la Juventus

Il primo processo sportivo per le scommesse è servito ad Abete per alzare una barrica contro la Juventus. La novità del processo sportivo della Figc non è sfuggita ai diretti interessati: è il coinvolgimento di squadre lontane dallo scandalo, che abbiano tesserato successivamente soggetti dello scandalo stesso. La prova è stata fatta col Siena e la Sampdoria, ma l’obiettivo è la Juventus. La società torinese sarà tirata in ballo per aver tesserato Bonucci e Conte.
Anche la tempistica dei processi sportivi sarebbe stata studiata per pesare negativamente sulla Juventus. Il deferimento di Bonucci e Conte si farà alla vigilia della nuova stagione, dopo la pausa feriale. La Juventus aveva sfidato Abete sui due scudetti passati all’Inter. Abete risponde con la responsabilità oggettiva.

Putin arriva con l’Eurasia

Arriva Putin, ma non per salvare Assad. Arriva per lanciare l’Agenzia sovranazionale della Russia con la Bielorussia e il Kazakistan. Prodromo allo spazio euroasiatico, politico ed economico. Assad, quel che rimane dell’influenza russa a Damasco, sarà giocato come pedina di scambio: il riconoscimento occidentale a questa Eurasia, o Unione doganale, in cambio di un aiuto all’Occidente a evitare una “guerra umanitaria” rischiosa in Siria.
Il rilancio internazionale della Russia è l’obiettivo della nuova presidenza Putin. Attraverso il rilancio della Siberia e una Unione doganale col Centro Asia. In armonia con l’Unione Europea, con la quale l’Unione doganale dovrebbe infine avere un legame privilegiato.

“Europeo” doppio per Putin

Ucraina e Polonia, i due paesi che ospitano il torneo calcistico, sono anche al centro della strategia di rientro in Europa di Putin. Che punta soprattutto all’asse con la Germania, ma questo ritiene di essersi già assicurato. A meno, appunto, che Ucraina e Polonia, secolarmente diffidenti, non si mettano di mezzo.
Nei piani enunciati da Putin nella campagna elettorale e dopo, Mosca lavora su due opzioni. Una vede l’Ucraina riagganciata direttamente all’area economica russa, nell’Unione doganale che Putin progetta con l’Eurasia. In subordine, l’Ucraina prosegue l’avvicinamento alla Ue ma senza ostilità, e anzi fungendo da collegamento tra l’Unione doganale cui Putin sta lavorando e la Ue. Su entrambe le opzioni ritiene di avere buoni argomenti con Kiev, primo fra tutti l’approvvigionamento energetico.
In entrambi i progetti la Polonia svolge un ruolo di cerniera. È la vera novità del progetto Putin. Per la quale ci sarebbero degli indizi consistenti, se non sono sovrastimati. Mosca non ha da tempo interesse ad antagonizzare Varsavia, e anche Varsavia da qualche tempo ha ridotto l’antirussismo. La spia è l’eliminazione del visto per i russi di Kaliningrad.
Visto da Mosca, il riposizionamento di Varsavia è conseguente al nuovo asse Mosca-Berlino. Di esso Varsavia è stata tradizionalmente vittima. Per scongiurare un’altra eventualità del genere, gli stessi politici conservatori al governo a Varsavia (il premier Donald Tusk è studioso di Piłsudski) intenderebbero accantonate l’ancora fresco antirussismo.

Gide due volte vero

Gide ha avuto vent’anni, pure lui. I due racconti inediti di questa brochure sono posteriori, ma freschi. “Qui il lettore non dovrà cercare l’arte, ma l’espressione diretta della vita”, lo dice in - testa al secondo testo, “Il racconto di Michel” – lui stesso, che fu uomo e intellettuale più letterato della sua opera.
Pierrette, la colf a ore, vede maligni ovunque. Gide prova a smontarla con la storia di Courier soldato in Calabria, che non dorme una notte avendo sentito l’oste dire di volerlo sgozzare, mentre l’oste parlava di un cappone, ma Pierrette smonta Courier. Michel s’innamora di una sedicenne malata, di prostituzione. Due gioiellini.
André Gide, Storia di Pierrette, via del Vento, pp. 33 € 4

L’Atene che fondò l’Occidente, sembra l’Africa

Con Tucidide nasce l’Occidente – la storia, la politica, la retorica, i diritti fondamentali – ma in un susseguirsi di guerre tribali, astiose, spietate, ipocrite, e di tradimenti senza fine. La differenza con l’Africa odierna è che ad Atene si scriveva, Tucidide sapeva scrivere. Tutti tradiscono tutti, a Sparta come a Atene. E Tucidide, ateniese e democratico, parteggia per Sparta, surrettiziamente. E non è tutto. La democrazia ateniese era imperialista, sugli schiavi e con la flotta - di cui Tucidide-Senofonte fa teorizzare l’uso imperialista nella guerra di Sicilia. Ed era una democrazia che non aveva amici, così Tucidide subdolo la rappresenta, né estimatori, solo popoli sottomessi e ribelli.
La perfidia di Tucidide è scoperta. Al punto che non si capisce come mai gli spartani, che sconfiggono sempre Atene, non vincono mai – erano ritardati? Fatte le somme, si combattono in tanti, fra città, isole, paesi e paeselli della Grecia, che nemmeno la popolazione attuale, tre milioni di greci maschi tra i 15 e i 60 anni, sarebbero bastati. Il dialogo fra gli ateniesi e i melii, assurto a chiave dell’opera, e della scienza politica da Atene a Washington, sembra alla Campanile – la perfidia sconfina nella stupidità. Alcibiade per converso, che tutto perse, è “bello-e-buono”, solo troppo ricco.
Tucidide, La Guerra del Peloponneso

venerdì 1 giugno 2012

Tra Gesù e Yahvé, che ridere

Sembra un libro serio – il sottotiolo promette: “La frattura originaria tra Ebraismo e Cristianesimo”. E dunque. Il cristianesimo è un ritorno al politeismo, per Maometto e i rabbini – per il triteismo, ovvio, anzi il quadriteismo, con due divinità, lo Spirito Santo e la Madonna, nemmeno veterotestamentarie. Lo Yahvé vero, quello del Redattore Y, “nemmeno Shakespeare è mai riuscito a inventare un personaggio che sia così ricco di contrasti”. Con lui, mancando Shakespeare, “tra le principali figure in competizione ci sono il Gesù di Marco, Amleto e don Chisciotte, così come l’Odisseo omerico trasmutato in Ulisse, la cui ricerca – che si conclude con l’annegamento – riduce il pellegrino Dante al silenzio”. Quanto a Gesù Cristo: “Non possiamo stabilire se, come pensa MacDonald, la sofferenza di Gesù sia un’emulazione di quella di Ettore alla fine dell’«Iliade»”. MacDonald? Dennis R.
Sono le prime sorprese, siamo solo alle prime pagine - chi vuole scandalizzarsene trova “canonica” materia. Con puntate gotico-esoteriche alla Dan Brown, dispettose: san Paolo si accorda con Giacomo Maggiore, il fratello di Gesù, “un non facile accordo”, su come aggredire i gentili. Né manca l’Incarnazione come suicidio del Dio, assurdo – certo. Anche se lo svolgimento è ripetitivo: “I teologi sistematici sono come i critici letterari sistematici: Paul Tillich rappresenta un limitato successo, Agostino un magnifico fallimento”. Tillich? Gesù, considerato ebreo, “di fatto lo era, ma oggi è americano… precursore di Billy Sunday e Billy Graham”. Le battute si sprecano, ogni due-tre pagine. Meglio: Gesù “è il più grande dei geni ebrei”, “Gesù è il Socrate degli ebrei”. Anzi peggio, supera Socrate, “come supremo maestro di saggezza oscura”, sempre per via dell’ironia, “l’amore, più dell’ironia, è ciò che i credenti cercano e trovano in Gesù”, e forse non sbagliano, “il suo potrebbe essere più un amore ironico che un’amorevole ironia” – salvo scivolare rischiosamente: Freud è “la prima incarnazione dello spirito ebraico dopo Gesù”. Né manca “Gesù è Giovanni Battista”, non inatteso da un cultore di Shakespeare, di quelli che vogliono Shakespeare tanti Shakespeare. E il conseguente: “Il re Lear di Shakespeare sta ad Amleto come lo Yahvé del Redattore Y sta al Gesù di Marco”. La proposta ermeneutica.
Allusivo. Solo il sottotitolo originale, “The Names divine”, è onesto, con l’ambiguo rinculo del “divino” alle connotazioni di magia e divinazione. Un atto di superbia. Un repertorio modesto di gag da cocktail party, di agudezas – non volendolo collocare nel disprezzo ebraico per il Cristo. “Nella guerra estetica tra la Bibbia ebraica e il Nuovo Testamento, non c’è semplicemente confronto”. Guerra? E naturalmente è piuttosto Shakespeare, più degli evangelisti, che “riprende dallo Yahvé della Bibbia di Ginevra” – “tacitamente e ingegnosamente”, è vero (per il nicodemismo secentesco? questa è mancata a Bloom, uno Shakespeare ebreo è uno dei pochi che mancano).
Nichilismo non è Nietzsche. Né Heidegger, o gli altri profeti del nulla. È l’ironia. L’ironia? Viene da Gesù: “Amleto, Kierkegaard e Kafka sono ironisti che si muovono sulle orme di Gesù”. Mica vero, ma è naturale: l’ironia dissecca naturalmente, l’atto di conoscenza più solipsista che ci sia, l’atto d’amore più onanista. Si potrebbe ironizzare che con i Bloom, Harold come Allan, solo Shakespeare conta. Ma con questo Harold, battutista irrefrenabile, non si ride.
Harold Bloom, Gesù e Yahvé, Bur, pp. 280 € 9,80

Secondi pensieri - (102)

zeulig

Anima – La notizia fondamentale sarebbe, è noto, che un’anima è stata trovata. E invece, è un fatto, molte se ne trovano, vuote: quelle dei poeti. Che sono pieni di cose, lune, stelle, primavere, rugiade, rii, donne, tigri, ma non del sé immortale, quello delle passioni: la disperazione, o il desiderio, l’odio, neanche l’amore, checché si dica - la passione d’amore è riempita di manifestazioni inattendibili: rimette, laudi, lacrime, invocazioni, improperi, tutti surrogati del coito, un gioco di preliminari, da esercitazione onanistica. Quel sentimento distinto del mondo che viene, tra accensioni e paure, nelle ore anonime e slargate che anticipano l’alba, con la baldanza di chi ha superato la notte, e non subisce ancora il peso del corpo. “Solo l’anima è felice\ Che dall’amore è presa”, canta Chiaretta nell’Egmont di Goethe.

È per la chiesa “la forma del corpo”. Tertulliano, che per essere padre, sia pure della chiesa, ne sa di più, non dice il corpo “coerede dell’anima”, nella creazione e la perdizione? E l’amore, che si fa col corpo, “un dolce distillamento dell’anima”. Ma anche per una buona fetta di pensiero acristiano. L’anima, dice Novalis, è un corpo pervaso dal suono – forse intendeva dallo spirito. Nietzsche: “L’anima fa il suo corpo, e il corpo, per chi sa vederlo, la rivela”. L’anima, direbbe Cvetaeva, “per l’uomo spirituale è quasi carne”. Né si può obiettare, per il vero cristiano il corpo è anima, Gesù stesso è venuto in veste di guaritore, itinerante: guariva lo spirito guarendo il corpo.
Ma la cosa, checché essa voglia dire, è controvertibile: i greci, che così bene figurarono il corpo, meglio se di donna, la donna privavano di anima. Ancora al concilio di Mâcon, nel 585, una mozione di minoranza stabiliva che le donne non hanno anima. Mentre secondo il vecchio libertinismo il corpo si anima se la donna vuole. Secondo Bertoldo, e il Talmud, l’uomo senza donna è un corpo senz’anima.

Coppia – L’ha inventata Rousseau nell’ “Emilio” nel 1762. Avendo denunciato l’anno prima, nella “Nuova Eloisa”, la corruzione dei costumi e della società, Rousseau decide che la tela si può ricostituire attraverso la coppia, come fatto sessuale, cioè naturale. Compresa la procreazione.

Cristianesimo - Si vuole che non ci sia stato, soprattutto in Europa. Se non alla pari degli unni, degli avari, dei mongoli, degli arabi, dei turchi e di ogni altro partecipante. Saltando la storia. Che non sarebbe male, se fosse possibile – abbiamo sempre bisogno di un nuovo inizio (di un altro Cristo?), ci vogliono novità, ricominciare non può essere che benefico. Mentre si sa che non siamo che come il cristianesimo ci ha fatti. Da studioso non cristiani: da Hannah Arendt (come già dallo stesso Hobbes, cristiano critico), per tutte le istituzioni democratiche, da Popper per i “valori”: la compassione, la libertà, l’uguaglianza - non ce ne sono altri.
Si rifiuta il cristianesimo d’altra parte non per una rivoluzione, il nuovo inizio, ma per il rifiuto-di-sé, che è il proprio della secolarizzazione – l’emicrania curata con l’analgesico, somatismo o nevralgia che sia.

Occidente - Si può dire nervoso per costituzione, essendo altro nome per caduta: da qui l’irrequietezza, per uscirne o, temendola, andarle incontro o affrettarla. È cagionevole. Ogni tanto si salva, a Salamina, o a Maratona dove combattè Eschilo, a Granada, a Lepanto, a Stalingrado, per un miracolo. L’Occidente miracolato da Stalin non è male. O da Franco a Hendaye.

È una spugna: coltiva l’ozio e la guerra, lo sport e il cavillo, imita le orde per farsene una colpa, e si ubriaca. Ma filosoficamente si nutre di se stesso, checché esso sia, genealogia, filologia, epica, ermeneutica, vino d’annata, invenzione della tradizione. Con la fissa, non molti anni fa, delle donne senza tette - “Quando le mosche per il mondo andavano\con le cicale mostrando le tette” si ricorda in qualche ciclo di Bertoldo. E questo è quanto, quanto è rimasto: no bra perché non ce n’era più bisogno, anoressici perché obesi, afflitti dall’abbondanza.

Saturno – Diventa saturnino con gli arabi. Prima era il dio e l’età dell’abbondanza e del benessere.
Con “certi scrittori arabi”, spiegano Klibansky, Panofsky e Saxl, del IX secolo. Quando essi, due generazioni più tardi, furono “tradotti” da Alcabizio, cominciando a “penetrare nell’Occidente” – cioè furono riutilizzati dall’astronomo e matematico arabo Abdelaziz, “Alcabizio”, tradotto in latino dopo un paio di secoli, a metà del Duecento – e diffuso poi a stampa ancora un paio di secoli dopo. Perché il colore di Saturno, il pianeta, si presentava “scuro e nero”, “freddo e ventoso”. E per analogia fra Saturno nel cosmo e la milza nel corpo. I “Fratelli di Bassora”, o “Fratelli puri”, della fine del sec. X, stabilivano: “La milza occupa nel corpo al stesa posizione che Saturno ha nel mondo. Saturno infatti coi suoi raggi emana forze trascendenti che penetrano in ogni parte del mondo. Grazie ad esse, le forme aderiscono alla materia e rimangono dentro di essa. Allo stesso modo emana dalla milza la forza della bile nera”.
Così traligna Saturno. Era un dio romano buono, “dei campi e dei raccolti”. Mentre il suo equivalente greco, Crono, era buono e cattivo. Era in Esiodo il sovrano dell’età dell’oro, quando gli uomini avevano abbondanza di tutto ed erano innocenti, in Pindaro il signore delle Isole Beate, l’inventore dell’agricoltura in Macrobio e dell’arte edificatoria in Diodoro Siculo. Ma era anche il divoratore dei figli e degli uomini, e mangiava carne viva. L’ambivalenza greca era quella del pianeta Saturno secondo l’astrologia caldea.

Ma si potrebbe, nella linea di studi neo pagani che da più fonti (ebraica, laica, esoterica) si concentra sul cristianesimo, farne una vittima del Cristo. Gesù Cristo Harold Bloom vuole (“Gesù e Yahvé”) “un nuovo Dio che ricalca il modello greco-romano di Zeus-Giove che usurpa il regno di suo padre, Chronos-Saturno”. Prova ne sia, aggiunge, che “l’imperatore Costantino, quando scelse di istituire il cristianesimo come religione dell’autorità romana, riconobbe intelligentemente in Gesù Cristo una continuazione della tradizione pagana”.

Storia - È fatta a bozzi. Lo dice pure la Gestalt Theorie: il tutto è nel particolare, che deforma e modifica la prospettiva.

La storia è piena di seduzioni.

L’Austria è uscita dalla storia, disse nel 1970 il cancelliere Kreisky, e ne è contenta. Felice il popolo i cui annali sono vuoti nei libri della storia l’aveva detto già Carlyle, che di professione era storico. Gli accademici e i sistemologi lo sanno, che non lasciano traccia. Perfino Dante fu ignorato. Nulla si sa di Shakespeare, e non molti sanno chi fu Alessandro Magno.
Ma è vero che “un senso del futuro è essenziale al senso del passato”, come dice Carr – o all’inverso: si fa storia quando c’è futuro. E bisogna capire, non inventare. Se si vuole un futuro le fondamenta devono essere solide.

Era la storia nel Settecento filosofia insegnata con gli esempi. Ora la storia non è più dei re, generali, prefetti, e dei telegrammi degli ambasciatori. È finito pure il purposeful past, insegna sir John Henry Plumb, “chiamatemi Jack”, l’amico di Maria Bellonci, il passato costruito per un fine: la storia si documenta e critica. Bisogna rifondare il futuro.

Cos’è per me la storia è problema irrisolto di Wittgenstein. Si dice conoscere, o riconoscere. Una fisiognomica. Ma gli uomini somigliano più al loro tempo che ai loro padri, secondo Voltaire.

Tempo – È immortale, altrimenti non sarebbe. Se non come metronomo. Anzi, un pendolo: che non accelera, indifferente.

zeulig@antiit.eu

Entusiasmo a via del Plebiscito

Commenti entusiasti e lunghi articoli nelle cronache romane per il ripristino della fermata dell’autobus in via del Plebiscito a Roma. Dove abita solo Berlusconi. Non sarà uno che prende l’autobus? La fermata serve soprattutto mezzi notturni.
Le stesse cronache fanno largo ricorso a blog, twitter, facebook. La maggior parte dei messaggi sono sfottenti. Non per Berlusconi.
Il Pd romano ci ha fatto un comunicato: il ripristino della fermata in via del Plebiscito è una sua vittoria. A questo fine aveva promosso anche una raccolta di firme. Ne ha raccolte 10 mila, o 100 mila.
Due signore scendono entusiaste alla fermata, racconta entusiasta il cronista del “Corriere della sera”: “Abbiamo visto che si fermava e siamo scese”. Un altro commento entusiasta è: “Da piazza Venezia e largo Argentina c’era troppa distanza”. Sono duecento metri.
Il prefetto Pecorare ha voluto chiudere con questo atto di giustizia il suo governo di Roma. È stato rimosso perché voleva la discarica alla Villa Adriana.

Hollande verso la minoranza

Si riaprono i giochi politici in Francia in vista delle legislative fra otto giorni. Da cui il partito Socialista dovrebbe uscire minoritario, e quindi con un governo bicipite: presidente socialista, primo ministro di centro-destra. Il voto a Hollande alle presidenziali è infatti stato minoritario, benché gli abbia consentito infine la vittoria. Al primo turno i candidati si sinistra hanno ricevuto complessivamente 15,7 milioni di voti, quelli di destra 16, 8. A questi la destra può sommare i 3,3 milioni di voti andati al centrista Bayrou, dato che in Francia questo centro gravita a destra.
Al ballottaggio Hollande ha vinto perché a Sarkozy sono mancati i voti del Front National di Marine Le Pen. Che però peseranno alle legislative. Marine Le Pen aveva raccolto al primo turno poco meno del 18 per cento, oltre un milione e mezzo in più del padre nel 2002, quando aveva superato alle presidenziali il socialista Jospin – grazie alle divisioni e alle astensioni a sinistra.
Solo una parte minoritaria di chi ha scelto Hollande al secondo turno, d’altra parte, secondo sondaggi commissionati da giornali di sinistra, l ha votato per convinzione politica. Il 55 per cento lo ha votato per far perdere Sarkozy – centristi delusi e lepenisti

Cosa cambia con Hollande? Niente

Non risponde Angela Merkel agli appelli del resto del mondo per un motivo: non è sola, e anzi si aspetta un governo conservatore a Parigi dopo le politiche del 10 e 17 giugno. E quindi più vicino alle sue posizioni: riforme radicali (liberiste) del lavoro e della previdenza, e poi la ripresa.
Lo stesso presidente socialista Hollande avrebbe rassicurato Angela Merkel, nei primi scambi di vedute, sulla tenuta del bilancio. Lasciando i provvedimenti per la ripresa a un secondo momento, e a iniziative non radicali né nuove.
Per mantenere l’indebitamento entro il 3 per cento del Pil, Hollande si appresta a varare dopo le legislative una manovra di 25 miliardi. Con adeguamenti fiscali e ulteriori tagli alla spesa sociale. Solo dopo aprirà con la Germania il dossier del rilancio dell’economia. Ma senza novità incisive. Si parla di Robin Tax, di riallocazione dei fondi strutturali Ue residuati, di potenziamento della Bei, la banca d’investimenti europea, e di project bond, obbligazioni europee “di scopo”, per investimenti nelle infrastrutture: elettronica, energia e trasporti.

Contro le manovre - morire di tasse?

Cosa ci attende? Anzi, dove ci troviamo, anche se non lo sappiamo? Incuria e disservizi, nella sanità, i trasporti, i rifiuti. Moltiplicazione della delinquenza spicciola, degli homeless di varia natura, della droga. Licenziamenti a valanga. In un quadro psicologico di depressione invece che di sfida, o perlomeno di rivalsa – sono stanchi anche i sindacati. Suicidi. Questo è un quadro non di oggi. La sociopsicologa Marie Jahoda lo faceva del 1933 in Austria, nel classico “I disoccupati di Marienthal”, rilevando gli stessi segnali negativi.

Vent’anni di stagnazione
L’euro non è lo scellino, ma oggi come allora la stabilità monetaria è solo di superficie, una crosta sottile su un vulcano. Il programma di stabilizzazione dell'unione monetaria europea somiglia molto alle Sanierung con cui i governi austriaco e tedesco ritennero attorno al 1925 di aver consolidato la moneta e l’economia, e che finirono nella disoccupazione di massa e nella barbarie – Jahoda scriveva alla vigilia dell’avvento di Hitler.
Si dice: stringere la cinghia. Rientra in una morale colpevolista e l’obbedienza è scontata, un po’ come quando si diceva che il Piave è sacro. Ma vent’anni di manovre non hanno ridotto il debito, né allentato il morso del debito sull’economia. Il debito è oggi il 120 per cento dell’economia, era il 98 per cento vent’anni fa. A fine 1992, dopo sette mesi di governo Amato-Ciampi e di “cura del cavallo”, con un attivo primario di bilancio (al netto degli interessi sul debito) di circa trenta miliardi di euro, era al 105 per cento – a fine 1993, ancora col virtuoso duo Amato Ciampi, al 116 per cento: la maggiore crescita del debito, in cifra assoluta e di più in rapporto al pil, si è avuto con i governi “tecnici” che più “strinsero la cinghia”: Si può dire che le manovre aggravano il debito, e ancora di più la sua incidenza sull’economia.
L’economia è in stagnazione da vent’anni per effetto delle manovre. Con minime crescite e piccole recessioni, sostanzialmente ferma: tassi di crescita tra lo 0 e l’1 per cento, o di decrescita in misura analoga, crollo della produttività, cioè degli investimenti. Le manovre – le tasse - riducono i consumi e gli investimenti. Gli alti interessi sul debito pubblico, costanti ormai da un anno, aggravano gli interessi sul credito d’impresa e al consumo. L’assurda, incredibile, vicenda della dilatazione abnorme degli spread dei titoli italiani su quelli tedeschi ha un solo significato economico – in aggiunta cioè ai giochi (scommesse) degli operatori: aggravare gli investimenti, allontanare la ripresa, stabilizzare la stagnazione, ora nella curva recessiva.

A passo di gambero
La stagnazione, in un economia mondiale in crescita e in rapido mutamento, significa in realtà impoverirsi. È come andare indietro. L’Italia ha la maglia nera Ocse, l’organizzazione dei paesi industrializzati, per il miglioramento della produttività (prodotto per ora lavorata) nel decennio 2000-2010. Non si sono fatti investimenti. La produttività nel decennio si calcola in calo dello 0,2 per cento l’anno, mentre in Francia è cresciuta dell’1 e in Germania dell’1,1 per cento, accumulando un gap di 11 punti verso la Germania, di 10 verso la Francia e la media Ue. Il costo del lavoro per unità di prodotto è così cresciuto in Italia, malgrado l’abnorme ricorso al precariato, del 30 per cento negli ultimi quindici anni – mentre in Germania è diminuito del 3 per cento. Con un valore aggiunto (produzione per addetto) inferiore alla media europea, 51 mila euro contro 56 mila – 67.500 in Germania. E tutto ciò lavorando di più e pagandosi di meno: il salario annuo medio lordo (le cifre sono dell’istituto statistico europeo, Eurostat) è stato nel 2011 di 23.406 euro in Italia, la metà che in Germania, le ore lavorate 1.778, cioè 360 più della Germania, 170 più della media Ue, l’assenteismo inferiore alla media Ue.
Quindici anni fa la Banca d’Italia calcolava che da metà 1992 e metà 1996, in quattro anni, erano stati tagliati 1,1 milioni di posti di lavoro (il saldo negativo era arrivato a 1,3 milioni nei trenta mesi da metà 1992 a fine 1994). Oggi non è diverso. Sono trecentomila i posti di lavoro già chiusi nei nove mesi ultimi. A cui vanno aggiunti, secondo i sindacati, settantamila lavoratori rimasti senza occupazione e senza pensione per l’improvvisa radicale riforma delle pensioni. Che però si moltiplicano (per due volte? per dieci?) allargando il campo a chi già aveva lasciato il lavoro con lo “scivolo” verso una pensione prossima, e chi s’era preparato, psicologicamente e con piccoli investimenti, ad andare in pensione spendendo la liquidazione. Siamo nel pieno del “classico” circolo vizioso che fa la vera crisi. Che si aggraverà con le tasse che pagheremo a metà mese, mille euro in media a famiglia, e con quelle annunciate a settembre.

Lo Stato è fallito
Non basta: colpito a morte tra pochi mesi, se non settimane, sarà anche lo Stato. Che se sottoposto al diritto civile sarebbe da dichiarare fallito, per quattro motivi: non paga i fornitori, non paga il debito e anzi pretende sempre muovo credito, chiude ogni anno in grave perdita, ha gestione incapace e inaffidabile. Per non dire dei suoi cinque o sei milioni di dipendenti, burocrati, professori, ricercatori, eccetera, ai quali dal 2009 non dà più aumenti, né di anzianità né di merito o alla carriera.
Lo Stato ha in Italia ha un patrimonio enorme, ma a redditività – le tasse – decrescente: le troppe tasse uccidono le entrate fiscali. Questo lo impara lo studente al primo corso di Scienza delle finanze: più tasse s’impongono, meno incidono, come se una malattia che si aggrava si curasse con la solita medicina. Il risanamento del bilancio non può essere un obiettivo in se stesso. Non serve a niente, e tra pochi mesi necessiterà di un altro “risanamento”: altri tagli e tasse più pesanti.
La recessione, indotta dalle tasse, comporta una riduzione delle entrate fiscali. Non c’è bisogno di spiegare come.
Lo Stato è molto più indebitato di quanto, contabilmente, riesce a far valere. Non paga nessuno da tre anni. A Roma gli ospedali privati, compresi quelli di eccellenza del Vaticano, non pagano gli stipendi da mesi, perché sono in credito da tre anni con la Regione. Tutti quelli che lavorano con lo Stato hanno già annullato i loro crediti scontandoli con le banche – a vantaggi dunque delle banche, ma non è detto.
L’inefficienza (tempi, procedure, giustizia) ha superato ogni livello di guardia. Nell’economia globale l’Italia pubblica - lo Stato - si trascina in tutte le classifiche agli ultimi posti. Senza progetti di rinnovamento, senza nemmeno idee.

Perché non se ne parla
Non è catastrofismo. Né radicalismo, Non è una critica minoritaria. È la realtà. Di cui tutti sono consci, ma di cui poco o niente si dice. Perfino il giornale della Confindustria tace che il blocco a ogni sviluppo è lo Stato: esoso gabelliere e cattivo pagatore, al coperto di una giustizia imbelle.
È in questa disattenzione che la crisi si è incistata e metastasizza. L’Italia è un paese senza verità Non da ora, per l’eredità della doppia verità. E per un’informazione che quando è intelligente è venduta.

giovedì 31 maggio 2012

Addio Monti, i banchieri ti salutano

Visco dopo Draghi ha voluto essere chiaro: l’Italia ha bisogno di rilanciare l’economia, ma il governo lo impedisce. Con le tasse e con l’inerzia diplomatica – il Monti “federatore esterno” tra Germania e Francia si è sgonfiato subito.
Dopo tanto rigore c’è un distinto prendere le distanze. Cauto, i banchieri centrali fanno della cautela una virtù, ma per questo tanto più distinto: i grand commis prendono le distanze da Monti e dall’Europa tedesca. Come se la catastrofe fosse scontata, l’aria è a dire “io non volevo” e “io l’avevo detto”.
Visco è stato più timido di Draghi. Ma è più di lui preoccupato. Le tasse hanno bloccato i consumi, e potrebbero ridurli dopo i pagamenti di metà giugno – un salasso da millecinquecento euro a famiglia. La diplomazia monetaria è inconsistente. Adagiata sulla Germania di Merkel e con le armi spuntate. Mentre ne avrebbe e non le sa usare. Gli alti tassi d’interesse sul debito pubblico, costanti ormai da nove mesi, aggravano i tassi al credito, d’impresa e familiari.
“Monti si accontenta di fare l’usignuolo di Obama”, è il commento meno cattivo in Banca d’Italia, “e pensa con questo di fare paura alla cancelliera tedesca”. Perpetuando la notevole serie di vantaggi comparati che la Germania ha in questa gestione della crisi.

Grazie, Napolitano

A mettere le tasse sono buoni tutti. A metterle gravose come le ha messe Monti ci vuole pelo sullo stomaco. Ad aggravarle, come il banchiere minaccia, ci vuole animo delinquenziale. Pensavamo di avere un governo di mercanti ma ci eravamo sbagliati: sono filibustieri. Che lavorano a profitto dei propri padroni se non delle proprie aziende, banche e assicurazioni, e non lo nascondono. Grazie alla sua generosa cauzione, signor Presidente.
Vogliono il lavoro alla cinese, libero e bello. Dopo avere bloccato gli investimenti. Che non sono cosa che interessi loro. A loro interessa costringere tutti gli italiani ad aprire un conto in banca. E imporre per ogni pagamento, anche minimo, il passaggio in banca. Contro la mafia, dice. Non contro quella delle banche. E seminare il panico tra chi ha una catapecchia da tenere su o aggiustare, o un piccolo appezzamento di terreno, magari ereditato e invendibile: gli incettatori sono lì col ghigno a fare man bassa di tutte gli orti e le seconde case a prezzo vile. O i fondi pensione, Che si mangiano il 30, il 50 e fino al 75 per cento dei versamenti. Roba da ergastolo. Sancito nella “riforma” delle pensioni.
Grazie, Napolitano. Ma che cos’ha lei da farsi perdonare? Che come il suo sponsor D’Alema ci ha portati in una costosissima guerra per compiacere l’America. E poi ci ha imposto Monti per compiacere la Merkel, attorno alla quale è diventato una specie di gallina scodinzolante. Perché noi, se lei ha dei complessi, dobbiamo sacrificarci? E giù le mani dal riformismo, che è cosa seria e non roba da ex pentiti.

Il conto a Buffon, dopo l’Europeo

“Non ci avevo pensato, ma non lo escludo”. Claudio Del Frate, il cronista del “Corriere della sera” suggerisce il reato, il Procuratore Capo di Cremona compiacente l’asseconda. L’idea è di coinvolgere nel calcio scommesse Buffon. Perché no?
Buffon allora va in sala stampa a Coverciano e dice: “C’erano le telecamere, qui davanti, l’altra mattina alle sei, è scandaloso che i giornalisti sappiano i segreti giudiziari prima degli interessati”. Non sa che c’erano le telecamere ovunque, il Procuratore di Cremona dice che le perquisizioni si fanno così, con le telecamere, al buio.
La consegna di un avviso di “garanzia” Buffon a questo punto potrebbe equiparare a una coppa dei Campioni, seppure di mattina e non di sera, e non si farebbe più il sangue amaro. Ma non sa che il Procuratore di Cremona, dietro la barba, ha pronto l’avviso anche per lui, con le telecamere. Appena la nazionale uscirà dall’Europeo - prima no, ci tenta Torino, ma è una Procura che non ha fortuna: voleva la Juventus chiusa per droga, e poi per il ferro allo stadio, e non c’è riuscita, mentre sulle intercettazioni si è fatta fregare dagli esperti napoletani (senza contare il precedente della Procura di Parma, che diffuse voci sul portiere prima del Mondiale 2006 come fa Torino oggi e poi dovette chiedere scusa).
Gli conviene dunque vincere. Tra una cosa e l’altra, cerimonie con Abete, con Petrucci, magari con Monti, e con Napolitano, perché no, potrà arrivare indenne fino a luglio.

“Sì, vendetta!”, del cronista sportivo

La micidiale miscela giudici-cronisti giudiziari si è allargata ai cronisti sportivi. Che non sono razza migliore e anzi da anni non sanno che imitare la giudiziaria. Non c’è più un giornalista sportivo – con tre o quattro eccezioni - che sappia apprezzare un fatto sportivo. Solo dei “paglietti”, legulei capaci di discutere per settimane e mesi di un fuorigioco “millimetrico”. Tutti peraltro venduti a un club, più spesso gratuitamente – gli onesti si contano.
Mourinho li ha tenuti a bada per due anni col disprezzo. Prandelli non è il tipo. Però che il capitano della sua Nazionale, nel suo ritiro, abbia potuto insolentire i giornalisti, questo, se non è voluto, dovrebbe preoccuparlo:non avrà un Europeo facile. Nessuno ha osato ieri replicare a Buffon, ma le malelingue di malaugurio erano feroci.

Muti all'opera

All’Opera di Roma è arrivato il maestro Muti due anni fa e tutto è rifiorito. L’orchestra, il coro, il balletto, dopo trent’anni di vacanze pagate: è come se d’improvviso avessero riappreso a suonare, cantare e perfino ballare – questo meno, ma non si può pretendere tutto da un maestro d’orchestra. Con entusiasmo, con capacità. Con un maestro che era stato cacciato da Milano, dal soviet della Scala, e a Milano non può o non vuole più mettere piede.
L’Opera di Roma è anche rifiorita in città, con programmi bellissimi di ascolto ed esecuzione, quest’anno “Il flauto magico” e “Don Giovanni”, tra i bambini delle elementari, con sussidi audiovisivi per ognuno di loro. Suscitando una partecipazione impensabile. Mentre ogni opera in programma è stata un successo di critica, col tutto esaurito, anche per le recite fuori programma. Di livello ben superiore alla stagione della Scala, per fare un esempio.
È più che mai “prova d’orchestra”, il tema felliniano della (in)governabilità. Ci vuole poco, anche in una città che si vuole indolente come Roma, per fare bene: il polso fermo. Mentre Milano ritorna se stessa, mediocremente.

La Resistenza fu di popolo, anche militare

Rifiata la Resistenza, a quasi settant’anni. Come chi fosse finito sotto le macerie nel terremoto e venisse infine tirato fuori. Le macerie essendo una storiografia feroce e spavalda, cattiva anche, contro chi non era del Pci – al tempo dell’occupazione o in seguito. Giampaolo Pansa ha menato fendenti su questo sbarramento. La presidenza Ciampi ha aperto dei varchi. Avagliano, con piglio più storico, ha lavorato alla ricognizione dei fatti, tra i deportati in Germania e ora tra i militari dopo l’8 settembre.
La Resistenza può ora respirare libera, che fu veramente di popolo e non di partito. Di soldati, religiosi, ebrei, madri, carabinieri, deportati, liberali, monarchici. Magari combattenti di Spagna dalla parte sbagliata, come Montezemolo o il più famoso Edgardo Sogno, ma sicuramente patrioti antitedeschi, e antinazisti. Giuseppe Cordero di Montezemolo è un colonnello dell’esercito, capo della segreteria di Badoglio, che resta nella capitale occupata per coordinare la Resistenza militare. Ha una bella famiglia, moglie e sei figli, uno dei quali sarà cardinale, Andrea, di cui l’ampio corredo di fotografie fornisce qui tanti momenti idilliaci. Ma non si nasconde: travestito, con nuove identità, è attivissimo, finché non verrà scoperto, a gennaio del 1944. La morte alle Fosse Ardeatine, può dire il biografo, fu la sua liberazione, dopo due mesi di torture.
Mario Avagliano, Il partigiano Montezemolo. Storia del capo della resistenza militare nell’Italia occupata, Dalai, pp. 16, ill., € 22

Lo sport non è erotico - o sì?

“Lo sport è il crinale che separa il combattimento dalla sommossa”. Ci sono alcune intuizioni, sulla scia del Tour de France di “Miti d’oggi”, di cui queste note inedite (non ricomprese nelle opere) sono il seguito. Anche se Barthes non sembra al meglio, pur avendoci lavorato un anno, su richiesta e indirizzo del regista canadese Hubert Aquin, per un docufilm tv sullo sport nel mondo, che poi vinse il premio per la regia del festival di Cortina D’Ampezzo (1962). Queste note sono la traccia di montaggio e il commento del docufilm.
Lo stadio ha la funzione del teatro un tempo: riunisce “tutta la cittadinanza in un’esperienza comune, la conoscenza delle proprie passioni”. La curva è il “coro antico” – come dubitarne? più da Colosseo forse (ma non è detto che il coro delle “Trachinie” fosse più composto). Lo sport è una forma di socializzazione, si sa. Ma per molti è l’unica – e per questo sotto il tiro di giudici e giornalisti, i roditori dell’umanità.
Negli appunti preparatori - si arguisce da una lettera di Aquin - Barthes sostiene anche che nello sport non c’è erotismo. E qui non si capisce: che cos’è allora l’erotismo? E il tifo? Più spesso per un atleta che per la squadra. E il feticismo, così diffuso e insistito, la maglia, lo scarpino, la mutanda, il corpo dell’atleta?
Il progetto di Aquin era montato su cinque sport “nazionali”, in cinque paesi diversi. All’Italia il regista canadese assegnava le gare automobilistiche – era l’epoca di Fangio e Ferrari. I materiali scelti vennero poi da Sebring, in Florida, ma era allora, 1960, un’Italia che andava di corsa, dava questa idea, non mollacciona, piena di cicatrici, con l’affanno.
Roland Barthes, Lo sport e gli uomini, Einaudi, pp. 62 € 9

Letture - 97

letterautore

Agiografia – Prevalentemente di se stessi, in forma di diario, confessione, memorie, ricordi, erratici o coltivati, è genere italiano fin dai primordi, dal “libro della memoria” di Dante – che D’Annunzio, cultore del genere, dice anche “libro della memoria che vien meno”.
L’artista si nasconde (presenta) nell’opera. Il letterato elabora, e con lui molti artisti in Italia, autorappresentazioni (celebrazioni). Secondo i canoni dell’agiografia sempre: predestinazione, genio represso, traversie, grazia. Per confluire nella santificazione spirituale, fosse pure nella sconfitta.
Una letteratura della superbia.

B - È il crimine che tratta il romanzo moderno più tipico, quello di Dostoevskij, confessione del suo e nostro tempo. È vero che già Petrarca, uomo affaccendato, per ritrovarsi dovette scriversi una lettera - era affaccendato soprattutto a scrivere, una cinquantina di libri e innumerabili lettere sostanziose, più spesso in latino, nonché a viaggiare, dove non fu? Era anch’egli, si conosceva, “più brillante che costante”, e letterato vero: sapeva costruire. Rousseau si scrisse di più. In gara con Casanova, che meglio seppe raccontarla, nel tempo libero dalla traduzione dell’Eneide, dai massicci romanzi, e dalle guerre-di-successione-al-trono-di-Polonia.
La confessione è il Concilio Lateranense del 1252, la confessione obbligatoria, alto Medio Evo. Una disgrazia, da cui il buon cristiano ha in cuor suo rifuggito, praticandola. Finché Freud non l’ha imposta quale medicina, terapeuta taumaturgo – i santi un solo vero miracolo fanno, soggiogare le coscienze, anche a fin di bene.

La confessione può essere il peggior peccato, Soldati lo spiega nel suo racconto. Artur London, la cui confessione Costa-Gavras ha magnificato al cinema, è per questo l’unico comunista che meritasse la forca a Praga. Ma si può prenderla alla larga con Zambrano, c’è un mondo fuori dalle questure. Prima di Petrarca il debutto dell’Occidente è un’opera di autoanalisi, la Vita Nova - si sottovaluta Dante. Successivamente, fu di confessione obbligatoria che Erasmo dibatté con Lutero, e non di esame di coscienza. Postillando: “La verità va detta, ma non serve in ogni circostanza”.
Sarà questo il “dovere della memoria” di Primo Levi, che il buono non sempre è il vero. Canetti distingue un “diario genuino” dai “diari falsificati”. Che sono però a volte “avvincenti” – “la loro attrattiva dipende dalla capacità del falsario”. Ancora prima c’è il solito Agostino, con i classici e il torbido Tucidide. E prima ancora Delfi e il “conosci te stesso”, la scrittura dell’io è nelle origini. Comprese le Scritture, che “conosci te stesso” dissero non si sa se prima o dopo Delfi. Ma forte avevano il senso dell’orgoglio, il peccato rimosso.

Dante – È un innovatore. Il “Purgatorio” fu la novità dell’epoca, da poco tempo creato dalla chiesa. Una novità non da poco, spiega Jacqueline Risset in un saggio del 1988, sull’autorità di Jacques Le Goff, che la novità ha studiato in profondità:: “La nuova istituzione… non costituisce una semplice aggiunta all’edificio religioso dell’epoca”, giacché fa saltare “lo schema binario( bene/male, inferno/paradiso)”.
Dante innova anche, seppure nel senso più vero della nobiltà introdotta col secondo concilio di Lione nel 1274, rispetto alla rappresentazione in uso, facendone la scala al paradiso. “Quando Virgilio e Dante, all’alba della domenica di Pasqua dell’anno 1300, discesi tutti i cerchi infernali, giungono sulla spiaggia dell’Antipurgatorio…. il senso di felicità è intenso, quasi paradisiaco”, esordisce Risset. Mentre “i racconti di viaggi nell’aldilà dello stesso periodo descrivono, invece, purgatori che sono dei veri e propri inferni”.

È uomo della speranza, come si confà a un politico.

Dante islamico 2 - La traduzione della “Escatologia” di Asín Palacios vent’anni fa, con annesso volume di polemiche, ha potuto giovarsi di un’introduzione di Carlo Ossola, che ne aggiornava la tematica fino agli anni 1990, e di una presentazione di Cesare Segre sul “Corriere della sera”. Non convinte, malgrado il plauso al lavoro del filologo iberico e alla traduzione – il giornale titolava “La Commedia di Maometto”. La lettura delle settecento pagine è una smentita alla tesi.
Gli editori italiani cauti presentavano l’“Escatologia” come “Dante e l’islam”. Un titolo sicuramente vero. Ossola si limita all’auspicio “di riaprire l’inventario della cultura romanza e neolatina disponibile a Dante” - che altro può auspicare un filologo? E di “Dante e l’islam” dice in sordina – in nota – che “il libro va letto oggi come un quadro, non come una radiografia”.

Asín Palacios non conosceva il “Kitāb al-Mirāj”, noto dalle traduzioni in latino e francese come “Libro della Scala”, che Cerulli ha tirato fuori nel dopoguerra – l’ha pubblicato nel 1949 ma l’ha rinvenuto “nei primi anni Quaranta”. Tuttavia, buon filologo, non escludeva modelli comuni, a Dante come a Maometto (p.126): “Senza grandi sforzi si potranno trovare elementi comuni tra la leggenda islamica e le ascensioni giudaico-cristiane apocrife di Mosè, Enoc, Baruch e Isaia”. Cerulli, che non conosceva Asín Palacios, non lo cita, ma era esperto di letteratura etiopica e diplomatico (governatore per alcuni mesi nel 1939, subito dopo l’occupazione italiana, dello Scioà, e poi per un anno dell’Harrar, bandito dall’Etiopia indipendente come criminale di guerra), praticava il Vecchio Testamento e si chiede anche lui quanto del “Libro della Scala” non fosse stato mediato dalle letture sacre. E dall’immaginario medievale che su di esse riccamente si è innestato. Dalle fonti sicure di Dante. Di cui qualche nome ancora si legge: la “Navigatio Sancti Brandani”, Giacomino da Verona, Bonvesin de la Riva, lo stesso Brunetto Latini, in molti viaggiavano nell’aldilà. E magari anche, perché no, dai classici latini, ben noti in Africa e nel Levante. Come le “Metamorfosi” di Ovidio, il maestro letterario di Date – Virgilio è il maestro politico del Dante ghibellino neofita. O come Enea e Paolo, di cui Dante dice in premessa: “Io non Enea, io non Paulo sono!”. L’Enea di Virgilio che negli Inferi prende visione della grandezza di Roma a cui è chiamato, e dell’unità nella giustizia dell’impero, e san Paolo che nella “Seconda lettera” scrive ai Corinzi di aver ricevuto gli “arcania verba” in un rapimento paradisiaco. La prima “Scala” di cui si ha notizia è quella di Giovanni Climaco, il “Κλίμαχ του Παραδείςου”, “Scala del Paradiso”, un santo del secolo settimo, di entrambe le chiese, latina e greca.

Il problema dell’islamismo di Dante è il problema della filologia delle fonti: come si forma il sapere? Va’ a sapere.
Oggi è comunque superato: oggi c’è solo da espurgare l’“Inferno” del canto XXVIII.

Piacere – Alla scrittura, e alla lettura, è diverso? E da che? Lacan ha il “godimento altro”, non sessuale cioè, per i mistici, gli artisti, letterati compresi, e le donne. In realtà il piacere resta indefinito. Ci provò a definirlo anche Manzoni, con risultati modesti. Ma Julia Kristeva, nel libro su Colette, azzarda l’ipotesi che il godimento altro non sia che “il segreto di ogni scrittura” o espressione artistica, di identificazione, come avviene per la donna, in “un piacere inumano, cosmico” – naturale, naturalistico. Il piacere della scrittura sarebbe dunque femminile – dell’onnifemminismo? letterautore@antiit.eu

mercoledì 30 maggio 2012

Milano roccia dello scandalo

Dunque, anche il cameriere del papa rubava per conto di Comunione e Liberazione, il movimento ex catecumenale milanese. Che gli aveva procurato il posto – per poter ricattare il Vaticano? Rubava Ponzellini, presidente della Banca Popolare di Milano. Rubava e corrompeva Daccò, faccendiere all’orecchio di Formigoni, altro ciellino, molti milioni. Rubavano un po’ tutti alla Lega, il finanziamento pubblico. Rubavano non si sa più, le notizie di reato si affollano, quanti consiglieri regionali, provinciali e comunali a Milano, con qualche assessore. Magari per il Partito, come l’ex presidente della Provincia e sindaco di Sesto San Giovanni Penati – un po’ come fa Cl. Paradossalmente, solo Berlusconi non ruba, ma aspettiamo gli eventi.
Gli scandali sono quotidiani a Milano e non sono una novità. Sarà questa la famosa flessibilità, il segreto – la magia – dei buoni affari del millennio? Ma Milano meglio si profila come una roccia: non ha perso infatti il vizio di fare la morale al resto dell’Italia, e un po’ anche al mondo - da ultimo il presidente del consiglio Monti a Bergamo (“solo noi paghiamo le tasse”). Come se fosse ipocrita oltre che ladra, come dev’essere un buon tiranno, capo del governo, maggioranza, giudice, e propaganda. A proprio vanto, e discolpa, allegando che Milano persegue il malaffare, mentre altrove non si fa. E Napoli allora, altra capitale morale d’Italia? E gli scandali che a Milano non si propongono, in casi anche celebri, dalla Rcs a Telecom alla Saras, e al San Raffaele, il traffico di obbligazioni false alla Bocconi, la Milano-Serravalle, tangente grandiosa e impunita? Per non dire delle migliaia, i milioni, di patrimoni spariti a Piazza Affari. Con dispendio di grassazioni, mazzette, fondi neri, evasione fiscale, e con l’impunità. È facile così fare i tiranni.

Il mondo com'è - 96

astolfo

Antipolitica - Simone Weil scrisse nel 1943 un pamphlet contro i “partiti totalitari”, cioè contro il partito Comunista Francese che voleva monopolizzare la Resistenza. I lettori del sito lo sanno - il pamphlet è stato tradotto quattro anni fa, con singolare nontempismo, da Castelvecchi:
http://www.antiit.com/2008/05/sione-contro-i-partiti-comunisti.html
Emanuele Trevi ci fa ampio riferimento sul “Corriere della sera” oggi come di un saggio anti-partiti, premonitore dei movimenti antipolitici italiani. Senza mai dire l’occasione che propiziò il “Manifesto” né dare le sue argomentazioni.

Arianesimo 4 - Savitri Devi, teorica dell’animalismo, ha sostenuto ultimamente l’origine polare degli “ariani”.

“Noi, gli Aria” Bontempelli trovò, che pure non era fascista, nella pampa maestri del vento.

L’Ahnenerbe, il centro genealogico di Goebbels, arruolò duecento scienziati, per cercare, in missione spesata con amante, gli “ariani” nel mondo. Prima che nel Tibet l’archeologo Altheim li aveva trovati in Val Camonica, in compagnia della fotografa Erika Trautmann, donna che dava grandi soddisfazioni ai capi nazisti. Concludendone che l’antica Roma era “ariana”, anche se ciò sconfessava Arminio.
La coppia Altheim-Trautmann ripetè la vacanza in Siria, Iraq e Romania. Qui, trovandosi sul Mar Nero, propose di ripopolare di “ariani” la Crimea, ripulendola degli ebrei. Hitler vi destinò i tirolesi di Bolzano che avevano optato per la Germania nel ‘39, “i goti sopravvissuti alle glaciazioni”. Altri invece, nell’ottica di elevarsi in altezza come in Tibet, scoprirono gli “ariani” in Bolivia.

S’impone con la “storia della Grecia”. La quale nasce nel 1840, quando la filologia critica interruppe il filone della storia provvidenziale e se ne fece giudice, libera quindi d’inventare l’“arianesimo”. Che l’università Georgia Augusta di Gottinga veniva elaborando da un secolo. A un certo punto, dice il modello “ariano” della storia greca, dal Nord arrivano gli elleni, parlanti indo-europeo, e soggiogano la cultura egea.
Rinata dopo la disfatta nel ‘18 a centro meritorio della fisica, con la meccanica quantististica di Heisenberg, Pauli, von Neumann, Oppenheimer e Born, Gottinga è stata per due secoli la culla della storia eretta a scienza grazie all’invenzione della filologia. Con gli “ariani” e la Grecia fu tedesca pure Roma, la letteratura romanza, la storia, la chimica, la filosofia. Incluso il Giordano Bruno italiano, riportato in vita quattro volte nel solo Ottocento, da Adolf Wagner, Lagarde, Lasson, Kühlenbeck – dopo essere stato salvato ai posteri dai re di Francia e d’Inghilterra. Nel 1770 Blumenthal aveva imposto la prima graduatoria delle razze, inventando il caucasico. Winckelmann la Grecia delle statue patinate quale ideale di bellezza. Tra il 1820 e il 1840 Karl Otfried Müller, il filologo di Gottinga, dà significato culturale e politico alla storia “antica moderna”, con la scoperta dei dori. Era la filologia dei primati – di Ariano vero c’è solo il santo a Venezia, all’isola dei Morti.

Islam – Si legava alla poesia, e alla socievolezza, ancora quarant’anni fa. Ancora trenta, prima di Khomeini. Pur nell’inevitabile terrorismo palestinese. Un mondo a parte, ma non ostile. Dominato da usi e valori “incomprensibili” (sorpassati, improduttivi: diversi), ma di buon gusto. La cerimoniosità, la cura della cucina, il culto dell’ospite. In tutto il Maghreb, inclusa la insocievole Algeria, al Cairo, in tutto il Libano e a Damasco, e massimamente tra i Palestinesi e in Iran. Dove il poeta Ahmed Shamlù teneva recital allo stadio, e incideva long-playing, che venivano acquistati. Um Khaltum al Cairo, Feiruz a Beirut soggiogavano le platee con canzoni d’amore lunghe ore.

Occidente – “Senza cristianesimo non ci sarebbe l’Occidente”, l’ha detto T.S.Eliot, cristiano cattolico romano, ed è per questo sospetto. Ma è vero che l’Occidente non è risorto sull’impero romano, bensì sulla chiesa. È un papa che, dopo aver addomesticato gli unni, risuscita l’impero, ponendolo in capo a Carlo Magno, che non sapeva leggere.

Usa dire di san Paolo che fu l’agente dell’impero romano. O viceversa un infiltrato dell’Oriente per conquistare l’Occidente, che sarebbe stato l’impero romano. Ma l’Occidente che abbiamo vissuto e conosciamo non è paolino – non potrebbe esserlo, san Paolo è un missionario, incolto e un po’ confuso come tutti i missionari, tra l’altro di una chiesa che lui stesso andava creando, se non di una verità. L’Occidente è piuttosto agostiniano, tutt’altra roba – sarà allora africano?

Opinione pubblica – Sempre più si vuole controinformazione, con l’informazione libera in rete e nei nuovi movimenti informali o di base. Ma ora sempre più spinta ai bordi, l’informazione assorbendo lestamente – dopo il lungo e perdente contrasto degli anni 1970-1980 - ogni forma di controinformazione, fino a twitter.
Dopo le fiammate è tornata al brusio di fondo che regola internet. Dove nulla, si può dire per esperienza, è perduto, ma poco è rilevante. L’opinione di rete: 1)tende anzi a privilegiare lo statu nascenti, una forma di mercato libero ad accessi aperti - come una forma di “Voci nuove” o di “Corrida”, non escluso chi fa le faccette dietro il cronista della diretta - in cui chiunque può mostrarsi, e poi qualcuno o qualcosa rimane; 2)sempre più in questa opera di selezione ad accessi aperti la rete serve da fondale per i media tradizionali, su carta e su radiofrequenze, che sono i giudici e i consacratori. Una informazione inattendibile per la massa a cui si rivolge, la sua attendibilità essendo quella degli interessi proprietari non dichiarati, la manipolazione. Il vecchio tema si materializza della tecnica scatenata che chiude l’uomo in gabbia piuttosto che liberarlo.

Già negli anni 1930 l’esigenza di una “controinformazione” si era fatta forte. Mass Observation, il centro di ricerca sociale britannico dell’università del Sussex, fu lanciato nel 1937 dall’antropologo Tom Harrisson e un gruppo di amici artisti per ovviare all’informazione inattendibile. Si costituì e fece controinformazione espressamente per il 12 maggio 1937, per l’abdicazione di Edardo VII. Ma la risposta, dei volontari che racoglieano le opinioni e dei lettori, fu tale che il gruppo di diede un minimo di organizzazione e analizzò fatti meno banali. Per esempio le abitudini di risparmio britanniche, una ricerca su cu Keynes impiantò la revisione del sistema fiscale.
Soppiantata dai successivi centri di ricerca demoscopica, sebbene a fini privatistici, Mass Observation è rinata negli ultimi trent’anni come memoria collettiva.

Storia - La statua di Condillac, cui il filosofo immesse i sensi, non aveva la storia. La lacuna fu colmata, in un volume successivo, da suo fratello, l’abate di Mably: la storia si fa fare.

La storia sarà già adulta ma è breve. Il maresciallo duca Richelieu sposò a 84 anni, nel 1780, in terze nozze una ragazza di sedici, Jeanne de Lavaulx, con la quale convisse per altri otto. La marescialla, a Napoleone III che attorno al 1860 la interpellava, rispose esordendo: “Come disse una volta Luigi XIV a mio marito…”.

Negli Usa la storia è diversa, chiosa Majakovskij: “Non c’è paese che riesca a tirar fuori così tante idiozie morali, nobili, idealistiche e bigotte quanto gli Stati Uniti”. Per l’ultimo bootlegger che presero lavoravano 240 poliziotti. Per prenderlo o proteggerlo, qual è la storia giusta?
Almeno 99 lo sono, secondo Queneau – cento con la sua.

Signor contadino, diceva La Pira, la stagione la fa lei? Ecco, la storia ha le sue stagioni. E questa, che stagione è?

astolfo@antiit.eu

Il suicidio non è eutanasia

Biathanatos non è una doppia morte ma una sorte di morte vissuta. Il suicida può pensare, come John Donne in un momento difficile per la carriera: “Possiedo le chiavi della mia prigione”. Dopo un esame accurato del fatto - cui Donne non fu incline, malgrado un periodo di “malinconia”, l’odierna depressione. Su basi teologiche e legali, parte della controversistica, allora, 1607, contro la chiesa cattolica.
L’esito è all’inizio: “Questo peccato non è irremissibile”. Tesi dimostrata col ricorso a molteplici autorità, dai padri ai santi Agostino e Tommaso, e a Eusebio, Flavio Giuseppe, Baronio, Bellarmino, numerosi causidici castigliani e catalani. E riferimenti agli eretici, i geroglifici, le stelle, la medicina antica, l’ermetismo, i veleni, i sogni, la demonologia. Non noioso. E tuttavia non tradotto, se non ultimamente per servire all’eutanasia. Ma non risolve: il suicidio è ammesso (perdonato) anche dalla chiesa, il problema è la morte procurata da altri.
John Donne, Biathanatos. In difesa del suicidio, SE, pp. 168 € 20

Fisco, appalti, abusi – 2

L’abuso è la regola, soprattutto in materia di tassazione, puntigliosa, eccessiva, e spesa, incontrollata. Altri esempi.
Via delle Fornaci è una strada a Roma che porta dal Gianicolo a san Pietro. Stretta nella parte alta, fra le mura dell’ambasciata russa e quelle di un istituto religioso. Dove da tempo immemorabile un limite di velocità impone i 20 km. orari. Una miniera per vigili urbani, carabinieri e guardia di Finanza, che allo sbocco della strettoia fanno a turno, a volte in concorrenza, a multare chi nel breve tratto non ha frenato. A tutte le ore, tutti i giorni, è la strada più presidiata a Roma.
Tutti i giorni lavorativi – via delle Fornaci dà l’accesso a mezza città. La domenica no, si può andare liberamente dal papa, anche i tutori dell’ordine tengono al pranzo fuori porta.

Non c’è la polizia, sotto via delle Fornaci. Un’assenza casuale? Piace immaginarla polemica, ideologica: i vecchi sbirri si sono stancati di fare gli sbirri. O magari rincorrono qualche delinquente.

Sesto San Giovanni ha sancito il 21 maggio che rubare - per il partito naturalmente - è lecito e anzi da premiare. Hanno votato non in massa. Ma in massa, al 70 per cento, hanno votato per la delfina di Penati, l’ex sindaco della megatruffa Milano-Serravalle..

Paolo Conti tiene sul “Corriere della sera-Roma” una rubrica di favori. Ogni giorno risolve il problema di un lettore. Che più spesso è qualcuno che lamenta fatturazioni anticipate ed esose del gas e della luce. Benché le abitazioni siano fornite da tempo di contatori elettronici, rilevabili a distanza eccetera. Le lettere lamentano cioè delle truffe. Che non riguardano il singolo lettore, ma l’insieme degli utenti. Conti non fa, non fa fare, un indagine e non sancisce le aziende. Graziosamente, di volta in volta, fa rimettere il (non) dovuto al lamentatore, Tramite l’ufficio stampa dell’azienda. Naturalmente felice di risolvere il caso di quel singolo utente.

Le Autorità o la corruzione legale

Volendo andare a fondo nella pratica indiscriminata delle società di servizi pubblici di fatturare in anticipo i (mancati) consumi, si scopre che la pratica è garantita da regolamenti, codici, interpretazioni autentiche delle varie Autorità di settore. Che erano state create, e si pagano molto lautamente, per proteggere gli utenti nel mercato libero, del gas, l’elettricità, i telefoni, le assicurazioni, le autostrade, le banche, la Borsa, la privacy… Sono una dozzina. Paghiamo invece questi carrozzoni, fra i 100 e i 300 milioni l’anno, per essere jugulati dai soprusi. Per nessun’altra ragione che la forza contrattuale, cioè corruttiva, delle aziende di settore.
Soprusi di ogni genere: fatturazioni anticipate, sovraffatturazioni, contratti rubati (ci si trova clienti di questo o di quello per aver risposto al telefono), tariffazioni abusive (una società elettrica fa pagare il “risparmio” di anidride carbonica). E le tariffe biorarie, ora triorarie? Nessuna capacità di capirle, nonché di controllarle, sempre più criptiche a ogni fattura. Il mercato vero è la corruzione, fra chi paga di più e meglio - le aziende s’intende. Legale.
E non ci sono solo le Autorità: non si è mai sentito di un giudice che se ne occupi.

martedì 29 maggio 2012

Le mille e una notte di Lodovico

La felicità del narrare, anche in lingua italiana: Terzi, esploratore di altre letterature, la sa trasporre nella sua. Nei “Racconti ronchesini”, la prima parte della raccolta, il mondo visto dal mare sotto le Apuane, troppo forte per qualunque spirito. E nelle “Storie di un bambino”, la seconda parte, purtroppo solo cinque, un’entrata delicata e angosciante nel mondo dei bambini – veri, non quelli di maniera. Partendo da un accettabile, infine, uso dell’alluvionale autobiografismo, come dice altrove: “Chi fa autobiografia non deve mai parlare di sé. Nulla che suoni come un’apologia e nulla che suoni come un’autocritica”. Niente orazioni e niente lagne, né neo realiste né post neo realiste, un giglio sul letamaio. Col piglio da “Mille e una notte”, del meraviglioso semplice.
Lodovico Terzi, Un’occasione d’amore, Nottetempo, pp. 116 € 13,50

Problemi di base - 102

spock

Perché non ci sono Procuratori Capo uguali a noi? È l’eredità del Procuratore di Giudea?

Anche Pilato era sannita: devono i giudici essere campani?

Gli occhi si vogliono lo specchio dell’anima. E se portano gli occhiali?

Se la psicologia è senz’anima, è l’anima senza psicologia?

La burocrazia è tutta memoria e niente anima, e dunque? È la memoria (la storia) burocratica?

Giacché la burocrazia prospera senz’anima, è l’anima inutile, o la burocrazia?

Se non c’è peggior pazzo di chi vuole sembrarlo, Grillo è o sembra?

Non c’è dubbio che l’Europa lavora per distruggersi, ma per masochismo o per stupidità?

spock@antiit.eu

Il reality degli abusi in famiglia

L’indicibile di Rignano Flaminio sono i video dei genitori (almeno due coppie) sulle violenze sessuali, fatte mimare ai propri bambini. Una violenza morbosa – dove, come, i bambini hanno imparato a mimare? E inattaccabile purtroppo, la stupidità lo è: si arriva a Rignano agli abusi ai minori partendo dalla “modernità” dei genitori, che essi intendono come un reality. Basta essere stati a Rignano per vederlo – anche gli avvocati sono da reality.
In Francia, nell’analogo processo a Outreau, la “Cernobyl della giustizia francese”, la verità venne fuori quando la coppia che ne era all’origine si divise, e i due coniugi presero ad azzannarsi a vicenda, incuranti dei tre figli che avevano coinvolto. Anche a Rignano il processo non ci doveva essere e l’assoluzione arriva perciò comunque tardi. Ma evita di procedere contro i genitori, e questo lascia purtroppo l’orrendo reality aperto.
Nei diritti dell’infanzia l’area meno esplorata è quella domestica, dove avvengono inevitabili invece le violenze. Almeno fino a che il bambino resterà dipendente giuridicamente, oltre che fisiologicamente ed emotivamente, dai genitori. Siano essi malati “solo” di reality.

Ombre - 132

Marco Mansi, il Procuratore di Tivoli che ha montato lo scandalo della pedofilia a Rignano Flaminio sei anni fa, è intanto felicemente approdato a casa, alla Procura di Castellammare di Stabia. Non si potrebbero accelerare i rimpatri dei giudici napoletani, e ridurre così i danni?
È vero che i giudici italiani essendo soprattutto napoletani è difficile accontentarli tutti.

“Un avviso di garanzia non è niente, è solo un avviso a qualcuno che sarà indagato”: il Procuratore di Cremona Di Martino rotea la testa in tv per mostrare a tutti che ghigna dietro la barba. Ha mandato l’avviso di “garanzia” a Conte, che lui sa che non c’entra nulla, alle sei del mattino con la polizia armata per perquisirlo, con l’abitazione. Il Procuratore deve’essere gaglioffo.

Sulla Lazio invece, che il suo mandato di perquisizione dice “probabilmente coinvolta” nelle scommesse, il Procuratore glissa: “Vi è un elemento che è suggestivo, che però è ancora da verificare. Così com’è non è di grande rilevanza”. Suggestivo? I Procuratori non dovrebbero sapere l’italiano?

Il ministro Giarda infine si sveglia, va alla radio, e annuncia 100 miliardi di tagli, anzi 300, oppure 400. Alla radio vaticana. Per farsi perdonare? Giarda ha le orecchie lunghe, o il naso?

“Chi si vuole colpire con questa triste vicenda?”, s’interroga il Tg 1 a proposito dell’arresto del cameriere del papa. Essendo il Tg 1 un’emanazione diretta del Vaticano, è possibile che si tratti di poca professionalità. Ma la realtà della Rai è questa: l’a chi giova, il capro espiatorio, il chi c’è dietro. Che può essere la nemesi della controinformazione, finire in sacrestia. O la vittoria, postuma, del togliattismo: la doppiezza sempre.

Ferragamo, scarpe e accessori, “vale” più di Mediobanca in Borsa, spiega “Affari & Finanza” di “Repubblica”. Luxottica, occhiali da sole, quanto Generali. Pirelli due volte e mezza Finmeccanica, che vende, e guadagna, molto di più. Le logiche d’investimento dei grandi attori di Borsa, fondi e banche, sono insondabili. Ma per i risparmiatori, che pagano il conto, la differenza la fa l’informazione (economica) infetta.

Sembra “l’Unità” il supplemento del “Sole 24 Ore” domenica. In prima pagina Berlinguer dà la ricetta per la crisi. Una pagina su Gramsci lo decreta “classico” in Usa – per una citazione in Edward Said. Al festival di Cannes il giornale della Confindustria premia ritratti di “capitalisti canuti”, senza denti. È la sinistra che ha conquistato la destra? La destra la sinistra?

È vero che Napolitano ha imposto all’Italia il governo più straordinariamente affarista della Repubblica. Il primo presidente ex Pci. Ma quando c’era il Pci lui non era gramsciano.

Il programma di sala dei concerti di Santa Cecilia, a Roma, celebra il giovane (43 anni) pianista: “Dopo i premi prestigiosi, ha intrapreso una carriera intelligente, senza disperdersi un un’attività frenetica ma privilegiando orchestre e direttori di rango, un repertorio stimolante, e persino alcune passioni extramusicali, come quella del volo, che testimoniano una grande apertura mentale”.

Agiografia insistita su “Sette” di Angela Merkel: prepara la colazione al marito la mattina prima di uscire, fa la spesa al supermercato, porta le buste personalmente, ed è simpatica a tutti. Non è detto che perde tutte le elezioni regionali dopo le politiche tre anni fa. I tedeschi ci credono meno dei lombardi?
Magari la cancelliera avrà una colf. O è spilorcia?

Ei son grilli o son grulli
che l’Italia infiammano,
o è l’ignavia, o l’otaria,
quest’Itaglia che incaglia
e mai non muore,
un altro partito per dire
che non ne vogliamo sapere?

Fini-Fli, che dal Msi, An e Berlusconi era passato al centro-sinistra via grande centro con Casini, abbandonato da quest’ultimo si proclama nel logo “il vero centro destra”. Al posto di chi?
Corre veloce, questo non si può negare. E da solo, coraggioso.

Due casi dal robusto odore di corruzione a Milano e a Roma: la svendita del San Raffaele e la vendita “obbligata” dell’Acea. Entrambi sfruttando al questione morale, cioè le Procure.

lunedì 28 maggio 2012

Il viaggio in Africa, genere elementari

Un diario, genere elementari – “ieri mi sono alzato”. In Africa, luogo di meraviglie, Celati fa incontri come il pendolare metropolitano al semaforo: seccanti.
Tara etnica? Ci hanno provato Moravia, Pasolini, Germano Lombardi, e niente, il racconto di viaggio sfugge agli italiani – riuscì a De Amicis, ancora lui, ma non ne nacque un genere.
Celati lo riconosce, che si promuove in copertina: “Non capiremo mai come vanno le cose da queste parti”?
Gianni Celati, Avventure in Africa

Swift tradotto in fuffa

Come s’“incarta” la satira, che però puzza avariata. A opera del più lieve forse, se non il più illuminato, dei redattori e consulenti editoriali. Sulla perfidia di Rochefoucauld, che ci vede sollevati alla morte di un amico, sopravvissuti, Swift si anticipa le gratificazioni dei conoscenti alla sua propria morte. C’è da ridere. Terzi ci impianta una piccola enciclopedia: sull’arte del tradurre, la psicologia, la necrologia come genere letterario, la cortigianeria… Del genere: “La metrica non fa parte dello stile? Direi di no”. Come di no, se ha prodotto himalaia di ottima poesia? Salvo salvare l’inutile: “C’è un solo vincolo… Ogni verso dev’essere tradotto con un verso, e il numero totale dei versi nella traduzione dev’essere uguale a quello del testo originale”. Per concludere al contrario: “La metrica di Swift... è molto semplice: versi di otto sillabe in distici a rima baciata. Questo dà luogo a un verseggiare energico…” - o scuola di scrittura o fuffa?
Il gusto è intatto, e la versatilità. Ma proprio per questo il risentimento monta: qui Terzi tradisce il suo Swift – che invece rivive altrove, nei racconti.
Lodovico Terzi, L’autonecrologia di Jonathan Swift, Adelphi, pp. 101 € 9

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (129)

Giuseppe Leuzzi

Ci ricopre il gran Milano
di pii istituti, trote, legati,
coi formiconi e i penati,
e le turbe degli intercettati,
di morale come il guano

Il professore milanese Mario Monti va sabato a Bergamo, si rivolge ai “cittadini dell’Italia settentrionale”, e dice: “Spesso noi settentrionali e lombardi siamo penalizzati a causa di sacche di evasione che si annidano forse in altre aree del paese”.

C’è – c’era – un’aria bokassiana, apprezzata nella Lega, di smargiassate non sempre innocue o per ridere. Con precedenti. La famigerata Legione autonoma Ettore Muti che impaurì la città nel 1944, torturando e assassinando, aveva un comandante, Francesco Colombo, che era un sergente dell’Esercito, autopromosso colonnello all’8 settembre. E un vicecomandante, Ampelio Spadoni, che da caporale si era fatto tenente colonnello.

Dario Di vico si meraviglia sul “Corriere della sera” che un grande gruppo cinese abbia fatto la vacanza premio per i suoi quadri e dirigenti, 2.800 persone con il coniuge, a Milano. E si congratula che la Lega avesse negli stessi giorni altri problemi. Dario non è milanese, e il “Corriere della sera” è il maggior giornale italiano, ma il provincialismo è d’obbligo a Milano.

Si fa sempre l’editoria e l’opinione a Milano, e non è un bel vedere.
Sempre vi si è fatta, è la prerogativa di Milano e la sua dote costante, dacché l’Italia esiste. E non è una bella storia.

“La Storia della colonna infame” non piacque quando uscì, nel 1842. Lo racconta Croce in “Alessandro Manzoni”: Manzoni vi sostiene, dice Croce, che “nonostante le leggi e i pregiudizi del tempo, nonostante la tortura”, i giudici avrebbero potuto assolvere i rei predestinati, se “avessero accettato l’evidenza dei fatti, senza lasciarsi traviare, come fecero, da passioni e interessi”. La cosa non piace a Corrado Stajano, che in “La città degli untori” addebita l’insoddisfazione allo stesso Croce.

È sempre Mani pulite a Milano, la città se le lava in continuazione, igienista. Buttando la merda al piano di sotto”, diceva Malaparte.
Stajano, pur viaggiando in “La città degli untori” nelle infamie di Milano, tortura e opportunismo compresi, salva la giustizia politica.

Il Sud all’opera
Non c’è. C’è molto Medio Oriente all’opera, c’è anche la Spagna, ma non il Sud. “Cavalleria Rusticana”, novella di Verga e ottima musica, è di Mascagni musicista toscano, ed è un caso unico.
Il “Sud” sembrerebbe più di tutti melodrammatico, di trasporti, collere, incantesimi estremi. Ma Bellini, Cilea, Mercadante, Cimarosa, Pergolesi, Paisiello, gli operisti meridionali l’ hanno evitato, i grandi operisti italiani e europei lo hanno ignorato. Non era abbastanza esotico.
Oppure: l’opera essendo genere borghese, il Sud non rientra in quell’immaginario. Se non ne è il fondo nero, la persistenza di ciò che non deve esistsre, non ha titolo.

Breve storia del Nord – 5
Il Nord nasce sassone, all’università Georgia Augusta di Gottinga, fondata nel 1734 fondata da Giorgio II, Elettore di Hannover e Re d’Inghilterra, per fare la classifica delle razze. Primi i sassoni, i popoli del principe.
Karl Ottfried Müller vi rifece la storia antica, l’inevitabile sancendo dai “Prolegomena”: “Pelasgi, dori e achei, al pari dei goti, sassoni e franchi, costituirono a lungo una nazione per via della loro natura fisica e spirituale”. Non per ridere: K.O.Müller resta colui che “gettò la base incrollabile per la ricostruzione della storia antica” per Wilamowitz-Moellendorf incontestato. E non è molto che Dumézil, allievo di Mauss, francese, ha coronato con Marc Bloch, ebreo e francese, il sogno dei tedeschi, trasformandoli in dei, dai beserkir d’Islanda sbollentati alle SA, e guerrieri, atleti tarzaniani con mustacchi, i poignets d’amour stirati ai manubri.

“Da dove viene?” è quesito razzista. Il razzismo nasce quando i nordici, fatti ricchi e potenti, non avendo altro passato che carne cruda, capanni di frasca e giacigli di sterco, chiedono: “E gli altri, da dove vengono?” E si arriva, girovagando, al logos greco che, non potendo che “venire da fuori”, viene dal Nord, schiuma di renna e albe iperboree, essendo il Sud e l’Oriente noti. E all’esclusione. “Bianco è il colore della virtù?”, si chiede il nero del “Flauto magico”, ed ecco, bianca è l’Europa, candida. Il bianco è Navigatore, Conquistatore, Creatore, Eroe di cappa e spada, penna, canto, di più al Nord estremo, dov’è esangue, e Virile, a fronte dei neri sterili, seppure macrofallici.

Corrado Alvaro
R.Bilenchi, “Amici”, p. 14, che nel 1931 risiedette a Torino per collaborare con Maccari al “Selvaggio”, ricorda che Malaparte, direttore della “Stampa”, impertinente col fascio e con la proprietà, aveva creato un premio letterario intestato al giornale “e, per fare dispetto a Mussolini, lo aveva fatto assegnare a Corrado Alvaro, che non era iscritto al partito ed era un noto, irriducibile, antifascista”.
Lo stesso Bilenchi, in udienza a Roma a palazzo Venezia con altri giovani intellettuali fascisti, ricorda, p. 74, che Mussolini, “quando riceveva una personalità del mondo cattolico”, nominava Papini “il più grande scrittore italiano” vivente, e quando invece aveva un colloquio con qualcuno “notoriamente laico e poco entusiasta del regime”, o con uno straniero, nominava Corrado Alvaro, perché “conosciuto da tutti come democratico e antifascista”.
Ma di Alvaro non si parla da alcuni decenni se non per dire che elogiò la bonifica delle paludi pontine. Bisogna negare la realtà: è il principio della “questione meridionale”. Sovrapporle l’idea o il “discorso”.

leuzzi@antiit.eu

domenica 27 maggio 2012

La trappola Facebook non è scattata

È finita male per Facebook in Borsa, e non è finita. Troppi titoli sono stati incettati al collocamento da uno dei collocatori, se non da tutt’e tre, Goldman Sachs, Morgan Stanley e JP Morgan (Citygroup), nella previsione di un rialzo, che ora dovrebbero essere liquidati. Inoltre, nella imminenza della quotazione è filtrato che Facebook ha difficoltà con le connessioni mobili (iPad), che sono quella che monopolizzano sempre più le connessioni - sono già un terzo degli accessi internet e saranno la metà fra un paio di anni al più.
Il caso Faceboook non è quello Google, cui viene apparentato. Per stabilire il prezzo di Google si fece un’asta online, virtuale ma efficace, conclusa con una valutazione - 23 miliardi – che è meno di un quarto di quella di Facebook. Mentre i fondamentali di Facebook non sono buoni, commercialmente non è un successo - fatto non ignoto:
http://www.antiit.com/2012/03/ritardi-e-deviazioni-del-supertreno.htm
Il piano di collocamento di Facebook richiama quello di Tiscali tredici anni fa a Milano. Un’azienda di forte richiamo ma in rosso, venduta a un prezzo alto (per Tiscali 46 euro, oggi vale pochi centesimi). Con un flottante ristretto rispetto alla domanda, tale da ingenerare un rialzo fino a dieci volte il prezzo. Una trappola, che questa volta è scatta per i collocatori.

Le giustizia nel letto

Due processi in copia, a Lille e a Milano. Nel dispiego di mezzi e personale per l’investigazione, eccezionale. Nel genere: processi di donne, le giudici, contro uomini. Nelle imputazioni: prossenetismo in prima istanza, complicità in prossenetismo in subordine, sesso a pagamento in terza ipotesi. Nella natura: processi politici, nell’impianto e la gestione dell’informazione, a carico di politici. Il colore però cambia: a Milano contro la destra, a Lille contro la sinistra. Una discrepanza che, nel comune furor politico, espone la radice dei processi: Berlusconi e Strauss Kahn sono rei di andare a puttane. Fatto che i loro avvocati si affrettano a negare, i soldi vogliono regali, confermando il vero vulnus: c’è concordia nella discordia, andare a puttane è non solo un peccato ma anche un reato.
Le differenze sono marginali. La prostituzione è autorizzata in Francia - le prostitute devono pagare l’imposta sul reddito, sulla base di “studi di settore” e “classi di reddito” – e la giudice Ausbart ha dovuto correggere l’imputazione a Strauss-Kahn, seppure aggravandola col delitto associativo (non sesso a pagamento ma “prossenetismo aggravato in banda organizzata”). A Milano la giudice Boccassini si può basare sul divieto di prostituzione minorile, ammesso che di Ruby si dimostri l’età, e che andasse a letto con Berlusconi. A Lille la giudice ha “fermato” Strauss Kahn – a febbraio, quando era ancora utile per la campagna di Sarkozy – e lo ha liberato su cauzione. Ha subito una censura dal capo della Procura – in Francia il potere è ancora sacro: Sarkozy ha potuto fare ministro anche qualche ragazza che aveva messo incinta, fuori del matrimonio. Ha cambiato appunto il capo d’imputazione. E ha a collaboratore Mathieu Vignau, uno dei giudici a latere nel famoso processo d’Outreau, la “Cernobil della giustizia” francese: un processo per pedofilia celebrato dodici anni fa con apparato circense, di parapazzi, tribune Innocenti, etc., e pensose consulenze, lunghe carcerazioni preventive, condanne severe, suicidi, che cinque anni dopo si rivelò invenzione di una coppia pervertita.
È, a Lille come a Milano, benché celebrato da donne togate e non dal re, un “letto di giustizia”. Uno di quei pronunciamenti della giustizia sovrana quale si poteva avere prima della Rivoluzione in Francia, indipendente dalla legge. Un letto di giustizia all’aperto, tra avvocati barbuti e donne squillanti: il diritto come “potere del diritto”. In un’altra scena si direbbe il diritto totalitario, ma non si parla di totalitarismo nei regimi veramente totalitari – qui si fa chiamare senso civico, popolo, uguaglianza, e appunto giustizia, il “braccio severo della legge”. È piccola politica, anche se con dispendio di risorse a attenzione. È l’Italia (Lille copia Milano), ridotta al buco della serratura. È teatro. Le puttane che moraleggiano contro il puttanesimo sono repertorio vecchio. Si fanno sfilare testi rotte a tutto, pur di andare sui giornali e in tv, dove sono libere di pontificare, e più sono sguaiate più hanno titolo.
Non tanto tempo fa questo circo sarebbe stato impossibile, l’epoca era alla libertà. Da vent’anni, con la religione del mercato, il proibizionismo è la regola: del fumo come del sesso, e della privacy (legificare la privacy nel mentre che la si oblitera, è il pattern dell’epoca). Per mano di donne. Ilda Boccassini a Milano, giudice istruttore e procuratore della Repubblica, con le giudici Giulia Turri, Orsola De Cristofaro e Carmen D’Elia, e Stéphanie Ausbart a Lille. Ma con invadente voyeurismo dell’orecchio, e poco senso morale. E a Milano con distinto becerismo maschilista, dietro la parata antiberlusconiana, delle poverette smandrappate che ghignano, cui il tribunale delle giudici fa da passerella. Le cronache francesi, che “Le Monde” affida a due croniste, sono invece esemplari, sapide proprio per essere attente alla vera legge.

Colette, l’amore inafferrabile assassino

“Avevo ventidue anni, un’aria da gatta anemica, un metro e cinquantotto di capelli che in casa portavo sciolti fino i piedi, come una cascata”. Daccapo: con “la faccina a punta, le trecce che mi sferzavano i garretti”. In ritardo sulla moda: “I miei lunghi capelli, sia che me li attorcigliassi «alla Cerere» attorno alla testa, sia che li lasciassi sciolti fino all’orlo della gonna - «a fune di pozzo» come diceva Jules Renard -, mi rovinavano l’esistenza”. In un mondo remoto e anzi tradizionale, di Sido, la madre inarrivabile, cui si deve il copyright di “Minet-Chéri”, il vezzeggiativo che poi diventerà distinti personaggi di lunghi racconti, e dei fiori, gli odori, i colori – in “Duo” il viola dei tramonti. Che però è un bicchiere d’acqua nel deserto della contemporaneità - di più a chi se ne fa ardito o avanguardista, nelle sabbie mobili dell’infernale chiacchiericcio. Colette è quella del fermo immagine. Qui perfino nella vena dei giornali femminili: i primi amori, gli amori impossibili, il ritorno di fiamma dei quaranta-cinquantenni verso i quindici-ventenni. Ma, svanito il (piccolo) glamour, si rilegge con sorpresa.
I quattro racconti del “Kepì”, 1943, sono anche una coda del “Mio noviziato” sette anni prima, la vendetta su ”Monsieur Willy” appena morto, il marito “grande scrittore” di Colette a vent’anni, “un uomo calvo che a quarant’anni ne dimostrava il doppio”, grasso, barbuto, pieno di amanti (ma allora?), mallarmeano, che alla giovane moglie scrive in caratteri greci con citazioni in tedesco. In un mondo editoriale già industriale, coi “generi” e i “negri”, collaboratori a un tanto a riga, chi più, gli addetti al finissage, chi meno, quelli della sgrossatura – fu così che Willy risultò all’inizio coautore delle “Claudine” e delle “Minne”. Cattiverie che Colette si fa raccontare da Paul Masson, alias Marcel Schwob, letterato perfido e in età che le faceva compagnia a casa, malata di gelosia. Da gatta golosa in realtà, di feroce possessività. Che il racconto “La gatta”, 1933, aveva esposto e spiegato: una passione di sé che, incontrollata, distrugge. In”Duo”, il romanzo breve scritto l’estate successiva a Saint-Tropez, la “gatta” si trasfigura in “lui”, tanto bello quanto esposto senza difese, che il tormento divorerà anche fisicamente.
L’amore amato è passione coltivata, malata anche o cinica, di altra natura che le voglie della vita in sboccio – dell’adolescenza, l’età dell’attesa. Anche l’amore divorante, è in cronaca ogni giorno, e se si potesse ricavarne una statistica sarebbe probabilmente la causa più diffusa di morte, anche fisica, tra suicidi e assassini. Nell’intervista con W.Benjamin, in “Strada a senso unico”, alla proposta di ridurre con la Kollontàj il sesso a “bagattella” Colette risponde: se queste bagattelle vengono sanzionate, ogni giorno, con l’assassinio, che strumenti dobbiamo immaginare per le cose di prim’ordine, come gli affari di Stato? Niente di più scontato. Eppure funziona. Perché il personaggio – che è lei e non lui – e il tema – sottinteso - sono in effetti scabrosi. Normalmente inconfessati cioè: la donna (che) non ama.
Il tema dichiarato è “i sensi sono più intolleranti del cuore”. Ma l’adulterio è, al fondo, quello che è sempre stato, un tradimento. In tutte le forme, di più semmai nella disattenzione, o nella noia. I sensi vanno col cuore, o il cuore con i sensi. Mariolina Bongiovanni Bertini, che introduce queste edizione Marsilio di “Duo”, vi oppone “il punto di vista femminile”, della “breve avventura” fine a se stessa. Che però è più “maschile”, e non risolve. Il “punto di vista femminile” alla lettura viene fuori agghiacciante – “capriccioso”. Lei “disprezza” lui, nel mentre che lo riconosce vittima, “Michel (il marito) mi sta proprio scocciando”, è andata a letto con l’amico del marito per distrazione, così pretende, s’infuria che il marito resti in confidenza con l’amico, ha una vita “sua”, con le “sue” sorelle, nel “suo” appartamento, mantenendo estraneo tutto ciò che è del marito, la casa, le conoscenze, gli interessi, gli impone da leggere le lettere dell’amante, con i disegnini delle “altre” sue “abitudini voluttuose”, gli indica le parole “crude”. Non sappiamo cosa pensi della morte dell’“amato” marito che chiude il racconto, niente presumibilmente (lo sapremo in un altro racconto, stando alla cronologia in questa edizione di Paolo Vettore). L’amore coniugale è tema irto. Ma in “Duo” è tagliato con decisione, un sottotitolo sarebbe incontestabile: dell’amore inafferrabile, quello della donna.
Colette, Il kepì
Duo