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sabato 26 giugno 2021

Cronache dell’altro mondo – corrette (124)

Sull’origine del corona virus, “la riconsiderazione giornalistica della storia del laboratorio è l’esito non solo di nuove informazioni – «The Washington post» ha pubblicato cinque articoli sul tema in prima pagina nelle due settimane e mezza passate, alcuni a seguito dell’inchiesta di 90 giorni che il presidente Biden ha affidato alle agenzie di informazione – ma di correzione di titoli e di commenti editoriali introdotti sui servizi giornalistici di un anno fa” – “The Washington Post”, 10 giugno.
Si correggono i titoli e i commenti vecchi, rileva il quotidiano, ponendo un problema: era la teoria dell’origine da laboratorio riconosciuta “falsa”, sia pure erroneamente, oppure si trattava di cautela eccessiva, e quindi di mancato approfondimento di una traccia che poteva essere giusta - la manipolazione dei virus in laboratorio è pratica vecchia e diffusa? I media furono quasi tutti per la soppressione di ogni ipotesi-laboratorio – non per indagini più approfondite, se possibile, ma per il rifiuto dell’ipotesi come “teoria complottistica”. Solo perché era stata assunta dal presidente Trump, che aveva proposto un’indagine a quella ora ordinata da Biden. “Lancet”, la bibbia della sanità, pubblicò un proclama di 27 scienziati americani che riducevano l’ipotesi laboratorio a “teoria cospirazionista”. Promotore della lettera, si è ora saputo, scrive ancotra “The Washington Post”, il titolare di una società americana che aveva organizzato il laboratorio di biogenetica di Wuhan.
Con la prima  diffusione del covid agli inizi del 2020, il ronista scientifico del “New York Times” Donald McNeill jr. scrisse di una teoria sull’origine del virus che lo riportava al laboratorio di ricerca biogenetica di Wuhan, invece che come un elemento patogeno formatosi fortuitamente in natura. L’articolo, circostanziato, 4 mila parole, due cartelle abbondanti. non fu pubblicato dal quotidiano, per problemi di deontologia professionale – “un disaccordo in buona fede”, secondo lo stesso McNeill, che poi ha lasciato il “New York Times”.

Giallo parodia

La storia antica rivitalizzata attraverso le “storie”, di - attorno a - Aristotele. Su trame vere che sembrano inventate. Il moralista Demostene è un ladro, del tesoro pubblico. Alessandro Magno un furbo, oltre che un violento: per il funerale del padre Filippo volle bruciate armature d’oro – sapendo che il metallo non brucia, e poi si può raccogliere. E il saggio Aristotele che parte alla ricerca dell’oro.
Aristotele si è occupato di talmente tante cose che è difficile fargli fare qualcosa di nuovo. Margaret Doody lo ha mandato a Eleusi, a turbare i misteri, in Persia, in  Egitto, e nei meandri della politica, infetta come ai giorni nostri.  Qui, dopo la morte di Alessandro, i generali se ne contendono l’eredità, e per questo il cadavere – mentre gli ateniesi riprendono a mugugnare contro i macedoni invadenti. Chi si appropria del cadavere giusto è il segreto del plot, e quindi non si può dire – neanche wikipedia aiuta, la storia resta ambigua al riguardo. Aristotele - poiché di lui si deve trattare, è il genere Doody, anche se qui appare poco e male - si lascia convincere da uno sconosciuto, apparso al Liceo vestito d’oro per maggiore inverosimiglianza, che a Filippi i buoni Macedoni hanno preparato per lui un tesoro, un premio in oro, e il filosofo, malgrado tutta la sua filosofia, parte alla ricerca.
L’eco è inevitabile del famoso “ci rivedremo a Filippi”, ma il luogo della battaglia è ben vicino alla Montagna d’Oro del Pangeo: Filippi è attorniata da montagne d’oro, o almeno da una, il Pangeo. E l’oro è la forza dei Macedoni, che si sono potuti con esso comprare Atene – Atene conosceva solo l’argento.
Aristotele è convocato misteriosamente, ma non troppo, come testimonial, si direbbe oggi, personaggio famoso per illustrare un evento:, deve onorare il funerale di Efestione, l’amante di Alessandro Magno. Una comparsata, la sua, con la commessa anche di un’ode-epitaffio per il giovane – che Aristotele compose effettivamente… Ma, Aristotele alla ricerca di una “ricompensa”? Un premio in denaro, quasi un premio filosofico o letterario. Certo, può succedere, per quanto poco plausibile, o interessante: è quello che succede qui, per moltissime pagine.
Dai best-seller non si pouò pretendere tutto, e neanche molto. Però, lasciano sempre più il gusto della macchina. Della compilazione collettiva, secondo un canovaccio. Mescolando cioè ingredienti noti per vendere: un po’ di avidità, un po’ di malattia, un po’ di violenza, qui, alla fine, la gaytudine, con la necrofilia. Si va come per la cucina, per ricette. Ma si legge questo “Doody” come se fosse un brand, o un nome collettivo – a parte la conoscenza minuta dell’aneddotica aristotelica, che è il trademark doodyano originario, su tutte le possibili fonti, e più sui “Deipnosofisti”. Come una sceneggiatura senza regista, in cui ognuno degli sceneggiatori introduce un aneddoto o uno sviluppo. Disinvolto, anche nella misura - sembra una parodia.
Margaret D oody, Aristotele e la Montagna d’Oro, Sellerio , pp. 488 € 16

venerdì 25 giugno 2021

Problemi di base ragionevoli 2 - 646

spock

“La ragione è opinione”, Montaigne?
 
La ragione è un vaso a due manici, che si può prendere a sinistra e a destra?
 
“Per chi sa troppo è difficile non mentire”, Wittgenstein?
 
“I colori stimolano alla filosofia”, Wittgenstein?
 
“Il linguaggio dei filosofi è deformato come il piede da scarpe troppo strette”. Wittgenstein?
 
La filosofia si ripete perché il linguaggio è rimasto lo stesso?
 
“La fede che non dubita è una fede morta”, Unamuno?
 
“L’uomo è liberissimo e asservitissimo”, Lutero, “Della libertà cristiana”?

spock@antiit.eu

L’Algeria, così vicina così lontana

Dopo l’autobiografia, “L’Écrivain”, scritta nel 2001, all’arrivo a Parigi, avendo lasciato l’esercito e l’Algeria nella guerra civile, da “arabizzante” di formazione che ha scelto il francese per esprimersi, come lui stesso qui puntualizza, una lunga intervista con Catherine Lalanne. Molto è della vita militare, una gabbia dura, per 36 anni. A partire dai 9, sottratto d’autorità e senza nemmeno una spiegazione dal padre alla madre e ai fratelli, per confinarlo al collegio dei cadetti. Un passato e una paternità che tuttora ossessionano lo scrittore. Cresciuto, nelle poche licenze dal collegio militare e dalle caserme, con una madre infine ripudiata dal padre, dopo una serie di va e vieni con spose occasionali, e confinata con i figli a una vita povera in una periferia spersa, sporca. Qui lo scrittore paga infine un omaggio alla madre, con la quale si fa ritrarre in grasse risate poco prima della sua morte, che non sapeva leggere né scrivere, ma per la quale il racconto, ogni racconto, anche di poveri poeti di strada, era una rappresentazione, cosa viva.
Un libro nato come una celebrazione, di questo scrittore algerino adottato, tardi, dalla Francia, Mohammed Moulessehoul, che pubblica con uno pseudonimo femminile, due dei nomi della moglie, adottato quando cominciò a pubblicare negli anni 1980, essendo ancora un ufficiale in servizio permanente effettivo dell’esercito algerino (si congederà nel 2000, ai 35 anni di servizio, collegio compreso, avendo maturato la pensione, col grado di colonnello), è una resa dei conti con se stesso. Con un’infanzia che ancora lo turba, tema già di “L’écrivain”. E di più - lui non lo sa ma il lettore lo avverte – per non sapersi “liberare” del padre, che tuttora malgrado tutto onora. La figura paterna come la cultura di origine: come l’Algeria. Dove ha vissuto in prima linea una guerra civile ultradecennale, violentissima, ma di cui mantiene integro il format culturale – c’è l’innatismo anche nella cultura. A partire dal matrimonio combinato: quello dei genitori negli anni 1940, e ancora il suo, nel 1990: “A trent’anni chiesi a mio padre di trovarmi moglie” – i promessi sposi s’incontrarono solo una volta prima del matrimonio, e il matrimonio è stato ed è felice.
Non la solita intervista d’autore, il libro è per questo sorprendente: è come un manuale di antropologia raccontato dal vivo. Khadra-Moulessehoul è “testimone”, volontario e attendibile, di una antropologia insieme remota e viva, attuale, vicina. Riservato, non intende portarsi ad accusatore del suo paese, ma ben informativo. Di un paese che quarant’anni fa sembrava avviato sulla strada del benessere, integrato all’Europa, per un dirigismo che l’eredità ancora viva del Fronte di Liberazione Nazionale manteneva efficace, e si è poi dissolto tra una corruzione spropositata e il fondamentalismo islamico. Un paese multietnico. Che ha fatto scelte d’avvenire sicuramente controproducenti, come il monolinguismo. Ed è uscito dalla guerra civile con i problemi di prima peggiorati: la corruzione, la borghesia di rapina, il non expedit islamico. La guerra civile lo scrittore sa descrivere bene in breve, lunga e crudele – basti l’evocazione di Sidi Alì, a Mostaganem, quando l’1 novembre 1994, alla festa per i cinquant’anni della guerra di Liberazione, un ordigno ad alto potenziale, nascosto nella tomba di un “martire” della rivoluzione, sbriciolò, letteralmente, un gruppo di bambini, di boy-scout.- “quel giorno, sì, avevo perduto la fede”.
È, soprattutto nella prima parte, un quadro per una volta semplice e diretto della vita degli algerini in Algeria fino a qualche decennio dopo l’indipendenza, nel 1963 – fino a un cinquantina di anni fa. La tribù, dei Dui-Menia, dissolta, dopo un’esistenza di sei-sette secoli,  alla sconfitta da parte dei francesi, quando nel 1903 occuparono anche il Sud Sahara. Insieme con l’onorata famiglia dei Moulessehoul, parte consistente della tribù. I matrimoni combinati. Il suo stesso matrimonio combinato, quando era capitano o maggiore e aveva trent’anni, quindi trent’anni fa. La volagerie del padre, figura in Algeria onnipotente, a Orano, la città di Camus e degli elevati ragionamenti della sua “Peste”, non nel profondo del Sahara, che entrava e usciva dalla famiglia ogni pochi mesi, curioso e insieme stufo di nuove mogli – fino all’abbandono definitivo della famiglia, da cui continua però a essere onorato. Un padre a sua volta vittima: “Mio padre non si ricorda di essere stato un bambino”, orfano presto di madre, con un padre “patriarca decaduto” con la sconfitta del 1903, votato all’abbrutimento – “mio padre aveva il sentimento di non essere amato… mio nonno colpevolizzava”.  
Interessante anche l’arrivo a Parigi, appena maturata la pensione militare, nel 2000. In piena guerra civile in Francia: l’opinione francese era per i fondamentalisti! Lo scrittore difese l’esercito, spiegando che non massacrava e non torturava, ma tentava di difendere la democrazia, e fu massacrato: spione, agente provocatore, eccetera. Dovette tornarsene a Orano, anche se aveva liquidato tutto in Algeria e le figlie erano alle scuole in Francia. Solo dopo qualche anno fu “riabilitato”.
    
Il titolo, il bacio e il morso, è “il nostro
mektub”, spiega lo scrittore – “la bocca che mi bacia su una guancia mi morde sull’altra”.
Yasmina Khadra, Le Baiser et la Morsure, Pocket, pp. 183, ill, € 7

giovedì 24 giugno 2021

Le primarie e la tirannia delle minoranze

Una dozzina di candidati, un voto confuso di cui ancora si aspettano gli esiti, ma con una caratterizzazione precisa: alle primarie del partito Democratico per il sindaco a New York c’è il candidato dei neri, degli asiatici, dei latini, degli italo-americani, dei gay, delle donne, dei “latini”, degli ebrei, e di altre “minoranze”, cioè di gruppi ristretti e bene identificati.
Le primarie sono essenzialmente una mobilitazione di gruppo. Politico principalmente ma, in America, con non impercettibili connotazioni etniche. A New York Eric Adams, che sicuramente avrà vinto le primarie Democratiche, ed è anzi già quasi sindaco, è quello che è riuscito a mobilitare e compattare la comunità afroamericana della città. Come il sindaco uscente De Blasio, portato su alle primarie dalla comunità italo-americana.
Farsi maggioranza con le primarie, questa è le verità dello strumento cardine - che si ritiene cardine - della democrazia: vincere sfruttando le divisioni all’interno dei partiti, e la compattezza dei sottogruppi: le primarie non sono determinate dalla più larga adesione ma dal gruppo più compatto. Gruppo politico-personale come in Italia, le “correnti”. O anche etnici come in America.
È il segreto del successo di Renzi, persona e gruppo politico estramemnte minoritari che però, con la compattezza, hanno dominato il Pds a Firenze per quasi vent’anni ora, e l’Italia per tutta la passata legislatura. A Roma Gualtieri vince con gli zingarettiani – senza cioè i lettiani. Diventa il candidato del Pd, e quindi andrà al ballottgaggio. E solo dopo mostrerà le sue capacità, se ne ha. Renzi diventò il candidato Pd a sindaco di Firenze mobilitando alle primarie i (pochi) voti ex Dc contro gli ex Pci, divisi fra tre candidature. Lo stesso meccanismo ha applicato poi a livello nazionale, nelle primarie per segretario Pd (ora, a Bologna come probabilmente altrove, gareggiando cioè alle primarie PD da fuori del PD, concorre solo a una pubblicità gratuita).
Una salda comunità, minoritaria ma unita, politica o etnica, è la via per diventare maggioranza, entro un corpo più ampio ma non altrettanto coeso. Da qui le insofferenze, dentro i partiti e dentro le nazioni, delle cosiddette maggioranze silenziose. Un sistema divisivo, questo delle minoranze che si impongono, invece che unificante, come la politica (si) vorrebbe. Delle minoranze s’intende che si difendano: le costituzioni si sono affermate essenzialmente a questo fine. Con le primarie – in politica - diventano maggioritarie. E, nella vecchia posizione, ideologica e psicologica, della minoranza da proteggere, assolutiste: niente compatta una comunità più dei “diritti” da imporre.
È
il tema e lo snodo, oggi in Italia, della legge Zan.

Ombre - 567

La Procura di Agrigento chiude quattro anni di indagini sulla società pubblica dell’acqua, la Girgenti Acque, quando finalmente può rinviare a giudizio, insieme con 82 altri imputati, le eccellenze Pitruzzella, il presidente dell’Antitrust, nientedimeno, e Micciché, il presidente dell’Ars, l’assemblea regionale. Non per una colpa precisa, per reati che abbracciano tutto il codice: contro la Pubblica Amministrazione, l’ambiente, la fede pubblica e il patrimonio. Torna così in piazza il Procuratore Patronaggio, che già ci aveva provato con Salvini. Non senza ragione: non resterà uno sconosciuto.
Un rinvio a giudizio anche incoraggiante: che nella provincia di Agrigento non ci siano altri reati.
 
Fedez contro il papa? Beh sì, in Italia sì. Si legge strabiliati monsignor Galantino, persona pure colta, polemizzare con Fedez. Fedez? Uno che sa tutto delle finanze del Vaticano e conduce una campagna contro. Fedez? È l’Italia: non c n’è altra, e anzi vi si riconosce.
Si legge strabiliati delle cifre che Al Khelifa al Paris Saint-Germain paga annualmente ai calciatori, pur vincendo poco e niente, una coppa Intertoto e alcuni, pochi, campionati e coppe Francia: 12 milioni a Donnarumma, 15 a Sergio Ramos, 35 ani, dieci al ventenne Hakimi, dieci a Wijnaldum,  trent’anni - oltre ai 36, da alcuni anni, ogni anno, a Neymar, che spesso è infortunato, nemmeno venti gol a stagione. Fair play finanziario?
I Khelifa sono padroni del Bahrein, ma uno Stato patrimoniale, in epoca democratica, è titolo di merito o di demerito?
 
Pino Sarcina sulle barricate informa i lettori del “Corriere della sera” che i repubblicani in 14 Stati hanno fatto leggi elettorali per impedire ai neri di votare. Perbacco! Poi spiega che un senatore Democratico, Joe Manchin, “il più moderato dei Democratici”, ha proposto un compromesso ai repubblicano, accettando che l’elettore debba esibire un “documento di identità”. Perbacco, una contro-rivoluzione! È giusto votare così, come capita, mettendosi in fila?
 
Inghilterra e Galles si mettono in  ginocchio all’Europeo di calcio, secondo la moda americana, contro il razzismo. Per ipocrisia, ma anche per giusto senso di colpa, il loro essendo un mondo dove si picchia il nero, e anche l’arabo, e l’ebreo, così per spasso. Purché isolati, certo.
 
Non si inginocchiano molti atleti italiani, perché non hanno un senso di colpa. Non si sentono razzisti. Né l’Italia, pur avendo avuto l’Eritrea e l’impero, si fa colpa del suo durissimo colonialismo - e comunque è cosa di ottant’anni fa, etc.. È giusto o è sbagliato?
L’antirazzismo, certo, vorrebbe qualcosa di diverso che le coreografie.
 
Il giudice Cantore in campo contro la Juventus per l’esame farsa al calciatore Suarez ha con sé i due terzi degli italiani, gli anti-juventini, e nessun senso del ridicolo. Questo giudice è stato creatore e capo dell’Autorità anti Corruzione. Dove non ha avuto mai sentore di quante migliaia, decine e forse centinaia, di migliaia, di “italiani” d’A merica, perché una trisnonna aveva sangue italiano, beneficiano della pensione sociale. E che altro delitto (non) è successo a Perugia in questi dodici mesi?
 
In Italia le retribuzioni sono mediamente più basse che in Germania, Francia, Benelux, e il lavoro in nero tollerato, ma gli investimenti esteri non arrivano in Italia a preferenza che negli altri Paesi. Per la burocrazia e la giustizia, come si sa. E per la produttività del lavoro – degli investimenti non fatti nei passati decenni, nella formazione, negli impianti. Draghi lo spiega nell’introduzione al Pnrr, per il Recovery Fund, ma a nessun effetto: “Dal 1999 al 2019 il pil per ora lavorata in Italia è cresciuto del 4,2 per cento, mentre in Francia e Germania del 21,2 e del 21,3 per cento”. L’Italia resiste come territorio, cone bene “naturale”.
 
“Era il 2013 quando il Senato, con voto quasi unanime, si espresse a favore del cosiddetto «metodo Stamina»”. Un stupidità, e una follia, ricorda la senatrice Cattaneo su D”. Stamina, cioè “poltiglie di cellule”, somministrate da ciarlatani.  “Senatus” sempre  “mala bestia”? “Il mese scorso il Senato ha reiteato, con un solo voto contrario”, il suo, della senatrice a vita Cattaneo, promuovendo l’“agricoltura biodinamica”, che non si sa che cosa è ma è stata inventata dall’esoterista svizzero Rudolf Steiner. In effetti, la democrazia in Italia risulta sempre un po’ esoterica: buffa, ma male non fa.
 
“La Repubblica”, diretta dall’ex corrispondente a New York Molinari, ha due pagine di politica estera venerdì 18 giugno. Quella pari, “di giro, meno visibile, è sull’Iran che vota lo stesso giorno e torna, si sa già malgrado il voto, al regime ayatollah duro, quella dispari, più visibile, anche eprché piena di donne nude e di donne-macho, è dedicata a Victoria’s Secret, una ditta americana di lingerie, una pubblicità. Poi dice che non si compra più il giornale.
 
Vertici a Sette, vertici Nato, vertici bilaterali, Biden sollecita gli europei alla guerra contro la Cina. Ma si dimentica di Hong Kong.
Si fa grande caso degli Uiguri, la minoranza cinese mussulmani di cui invece i mussulmani non fanno grande caso, e di cui poco si sa, se magari non sono schierati col regime di Pechino invece che perseguitati. Mentre l’occupazione di Hong Kong, contro tutti i trattati dalla stessa Cina sottoscritti, col carcere per chi osa protestare, quello si trascura. Biden non vuole essere preso sul serio – il business prima di tutto (l’America non ha inventato la globalizzazione per niente)?

Viaggio povero da Ginevra all’Afghanistan

Proposto imperativamente da Paolo Rumiz già nella “Leggenda dei monti naviganti” del 2007, e ora nella prefazione di questa riedizione, quale scrittore “maestro di sobrietà”, anzi di “frugalità letteraria”  – “qui è difficile trovare una parola di troppo” – autore di un racconto che “vi prenderà fin dalla prima pagina”, “uno dei più grandi libri di viaggio di sempre”, e di “quei libri cui non è possibile aggiungere nulla e che hanno raggiunto la perfezione”, forse per questo è di lettura improba. Ma “aggiungere” non si vede perché, perché il racconto non si fa mancare nulla, a parte la misura.
A giugno del 1953 Bouvier, 24 anni, ginevrino di buona famiglia, calvinista, lascia la sua città, dove ha studiato sanscrito, storia medievale e diritto, a bordo di una Fiat “Topolino”, raggiunge a Belgrado il quasi coetaneo pittore Thierry Vernet, e con lui intraprende un viaggio di un anno e mezzo fino al kiplinghiano Khyber Pass, attraversando l’ex Jugoslavia, l’Anatolia, il Nord dell’Iran (Tabriz), il Pakistan pashtun (Quetta), l’Afghanistan, fino a Battriana, oltre l’Oxus, dove archeologi francesi cercano la città di Alessandro Magno. Ha già esperienza di viaggi, brevi, in Francia, Algeria e Jugoslavia. Ne farà dieci anni  dopo, pubblicandolo a spese d’autore, questo racconto. Di avventure per lo più pratiche, legate all’attraversamento di fiumi, spesso esondati,  quindi a guado, dopo aver svuotato la Topolino della batteria e altre parti elettriche, o di montagne, su per le quali bisogno spingere la Topolino più che esserne trasportati. La capacità aneddotica emerge qua e là, nelle figure anonime che il giovane Bouvier incontra, tutte per qualche verso poco regolamentari. Ma come seppellita di proposito sotto la moltiplicazione del dettaglio, non sempre significante. Che si tratti di persone, di etnie, serbi, bosniaci, armeni, curdi, beluci, pashtuni, di lingue, di canti, di cibi.
A Bouvier si accredita per questo “La polvere del mondo”  un misto di cose viste, singolarità (personaggi, situazioni), e cultura, letteraria, linguistica, storica, geografica, sociale. Ingredienti che ci sono, ma annegati. L’edizione Diabasis, una dozzina d’anni fa, con prefazione di Starobinski, altro ginevrino, lo conteneva in metà delle pagine. Gli editori dell’ebook lo propongono come un viaggio, più che altro, alla scoperta di se stessi, come sarà poi “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” di Robert M. Pirsig, e questo è già più vero.
“La polvere del mondo” fu pubblicato nel 1963, in Francia, a spese d’autore. D’immediato successo ma solo in Francia. Recuperato cinquant’anni dopo, è stato paragonato, chissà perché, all’“Odissea”, e a “Moby Dick”. Forse da qualcuno che non l’ha letto.
Si legge oggi come un libro di avventure, modeste. Un libro forse documentario, ma di un mondo passato. Lo stesso Rumiz spiega che, tornato a Prilep in Macedonia un Ferragosto da fervente bouvieriano, ci ha trovato “un buco polveroso”, dove non c’è motivo di fermarsi, “perso tra alture brulle e minareti, con un fiumiciattolo torbido”. Quindi nemmeno documentario. L’entrata in Afghanistan attraverso il Khyber Pass si vorrebbe epica, ma il passo è alto appena mile metri, resta evocativo se legato ai racconti di Kipling – alle disfatte degli inglesi.
Si legge oggi come un libro di avventure, modeste. Sei mesi a Tabriz. Ma perché bloccati dalla neve. Senza niente da fare, eccetto che guadagnarsi da vivere, suonando al piano bar. Gli Armeni. Mossadeq. Ma niente che non si sappia – poco in realtà. La rottura di un pistone. I grassi mercanti attratti dagli stranieri – europei non ricchi, non potenti. In Turchia “la penetrazione della polizia” colpisce – perché oggi è com’era ieri.
Con qualche pezzo di bravura. La lettura della “Bibbia deli Assiri”. O a Mahabad, Curdistan iraniano, sotto il lago di Urmia, la pensione-prigione: Bouvier e Vernet debbono, cioè possono, dormire e mangiare in prigione perché due stranieri senza mestiere sono naturalmente sospetti, al capoposto locale di polizia – che così se ne può gloriare. E in coda: “In Iran niente è impossibile”, tutte le notizia sono buone, anche se improbabili o false - “l’anima ha molta latitudine, per il meglio come per il peggio” (ma anche qui, conoscendo l’Iran, una domanda s’impone: che Iran Bouvier ha conosciuto, in Iran la memoria è lunga, perfino troppo).
L’edizione Feltrinelli riproduce quella de “La Découverte”, con le llustrazioni di Vernet.
Nicolas Bouvier,
La polvere del mondo, Feltrinelli, pp. 432 € 19

mercoledì 23 giugno 2021

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (459)

Giuseppe Leuzzi

Gianfranco Ulisse, classe 1948, fondatore dell’azienda vitivinicola Crecchio, ricorda del Montepulciano d’Abruzzo quarant’anni fa: “Era tutto molto diverso. Il vino era un alimento, il consumo locale. Ma nulla ci spaventa, nemmeno quel Montepulciano scuro e denso”. Detto “l’inchiostro” - si può testimoniarlo. Uno dei vini oggi più venduti, il “rosso” di Roma.
L’Abruzzo è certo favorito dalla vicinanza col grande mercato di sbocco che è Roma. Ma pur non avendo gli asset vinicoli di varietà e qualità della Sicilia e della Puglia non ha aspettato gli imprenditori veneti e lombardi per valorizzare il poco che aveva.
 
Difficile non vedere il razzismo dei londinesi del Tottenham contro Gattuso allenatore. Sì, siamo tutti omofobi, etc., eccetto chi denuncia, ma il motore dei social contro Gattuso è il “Ringhio” milanista che risponde agli insulti del loro Jordan abbattendolo.
Il razzismo è subdolo: quelli del Brexit che si fanno campioni dell’antirazzismo lo praticano naturalmente al quadrato – i neo inglesi figli di immigrati e non solo.
 
Jumpha Lahiri, la scrittrice indo-americana di successo che ha scelto l’Italia e l’italiano per  una “rigenerazione”, ha nel suo secondo libro italiano, “Dove mio trovo”, il potere liberatorio dell’isolamento. Anche di essere stranieri in patria – questo si nota di più nella traduzione dall’italiano in inglese, che la scrittrice non ha fatto da sé, ha voluto professionale. C’è anche libertà nell’emigrazione.
 
 Al Concorso Sud, per competenze informatiche e digitali, in grado di gestire il Recovery Plan europeo, un candidato su tre degli ammessi non si è presentato alle prove – in alcuni posti uno su due. Se ne trova la ragione nel fatto che il concorso non dà “il posto” alla Checco Zalone, il posto a vita.
No, il concorso garantisce comunque una buona retribuzione, e solido titolo di curriculum. Il fatto è che molti non hanno le competenze richieste. Hanno il titolo di studio ma non le competenze che le prove di concorso prevedono. Il posto pubblico al Sud è ancora quello del laureato in legge che insegna inglese.
 
Si sono fatte indagini scrupolose, lunghe, dettagliate, sulla trombosi che ha colpito una giovane di Sestri Levante alcuni giorni dopo la vaccinazione con AstraZeneca. Che non si sono fatte per i primi morti dopo analoga vaccinazione, i tre giovani militari e una giovane in Sicilia, quelle morti accantonando sotto la frequenza statistica, bassissima. Non è un diverso trattamento, legale e medico, tra Nord e Sud – lo è, ma ininfluente. È un altro approccio alla vita, e alla morte.
 
Il Piemonte non ha canzonette, spiegava Libero Novara, “Bero” per Pavese, “Berin” per gli amici di Torino, da Parma allo stesso Pavese in una lettera del 25 gennaio 1931: “Quando mai il Reale Piemonte ebbe una poesia dialettale che valesse uan cica?” Qualcuna sì, ma adattata: “Qualcuno di loro (dei “nostri nonni… i nostri barabba”) ha fatto il soldato nel meridionale, ha sentito canzoni e stornelli…le ha importate e qui furono presto adottate”. Nell’unità il Sud qualcosa ha apportato.
 
I banditi stanno al Sud
A Mahabad, tra i curdi dell’Iran, non c’erano briganti. Ma le storie di briganti, spiega Nicolas Bouvier, “La polvere del mondo”, il racconto delle sue peregrinazioni nel 1953, “fornivano un pretesto comodo al mantenimento di una guarnigione importante. Gli ufficiali li illustravano compiaciuti, e li esibivano  al bisogno con arresti arbitrari”. Non s’inventa niente?
 
Il comandante dello Scico, Servizio centrale d’investigazione slla criminalità organizzata, della Guardia di Finanza, generale Alessandro Barbera, denuncia sul “Corriere della sera” ‘ndrangheta e camorra come quelli che si sono appropriati i fondi pubblici contro il coronavirus – “Così le cosche hanno sfruttato la pandemia”. Uno “sfruttamento” che ha visto in corsa migliaia di operatori, più o meno improvvisati, tra essi anche una ex presidente della Camera.
‘Ndrangheta e camorra si sono approfittati più degli altri? Kit speciali, ventilatori polmonari, pillole miracolose, anche da 600 euro, oltre a mascherine a decine di milioni e gel igienizzanti privi di qualsiasi requisito, migliaia, decine di migliaia di truffe, tutte milionarie, opera di cinesi e di padani, anche di toscani, non mafiosi quindi per definizione, scoperti quasi tutti peraltro dalla Guardia di Finanza. È l'organo che crea la funzione - tante autorità antimafia tanta mafia? Giustamente, il generale dello Scico ingrandisce le mafie.
 
Come già il sindaco Marino, che si era applicato far lavorare i Vigili Urbani di Roma, il pro-assessore ai Parchi Pubblici della capitale, principe Marco Doria, che voleva liberare gli immobili  occupati (e ceduti in affitto…) nella Villa Doria Pamphilj, è andato sotto tiro. Questa volta con le minacce dirette, benché anonime, e le bombe. Ma naturalmente non c’è mafia a Roma, né tra i Vigili né tra gli addetti ai Parchi, la mafia è meridionale.
 
“Una tonnellata di cocaina tra le banane. Ennesimo maxisequestro a Gioia Tauro”. Grande l’annuncio, ma senza dire se a Gioia Tauro i sequestri si fanno e altrove no, a Rotterdam, Amburgo, Anversa, Marsiglia. Perché, da dove entra la cocaina a in Europa?
E non si dice a chi era destinato il carico di banane con cocaina: sicuramente non alle ‘ndranghete (l’avremmo saputo).
 
Basta il nome
La Regione ha fatto una gara europea per il trasporto pubblico regionale sei anni fa, e solo ora, dopo sei anni, la gara va a buon fine. In questi sei anni i finanziamenti europei per il rinnovo ecologico dei mezzi di trasporto si sono perduti. Il servizio è andato avanti rappezzato, con mezzi vecchi e concessionari scaduti.  
Si continua a morire per l’amianto. Anche in grande azienda multinazionale, la Solvay.
Il portale regionale del vaccino anti-Covid accetta solo prenotazioni per gli over 60. Non si sa quando aprirà alle prenotazioni per il resto della popolazione, come in tutta Italia.
Tra medici e infermieri sono almeno settemila persone nella sola Asl Centro, una delle tre regionali, i cosiddetti camici bianchi “no vax”.
Siamo in Calabria? No, in Toscana: è la lettura di un giorno del “Corriere Fiorentino”, un inserto locale di poche pagine del “Corriere della sera”.
Le altre notizie del giorno. A Firenze centinaia di persone devono dormire per strada, accatastate malgrado il covid, per riuscire l’indomani, forse, a raggiungere lo sportello per i permessi di soggiorno.
“Rischio continuo” sulla Fi-Pi-Li, l’autostrada Firenze –Pisa-Livorno - in effetti, stretta e tutta buche (non da ora, per la verità, già trent’anni fa era così). Ma anche l’autostrada Firenze-Mare, ribitumata, è un “rischio continuo”, stretta, tuta curve - una specie di Salerno-Rc vecchio tracciato al quadrato.
Saltano a decine le corse dell’Ataf, l’azienda comunale fiorentina dei trasporti: autisti sottopagati, con contratti a termine, oppure forniti da agenzie di amministrazione del lavoro e (finte) cooperative, non si presentano la mattina. “Alcuni non si presentano neanche il giorno dell’assunzione”, secondo un sindcalista.
Al Forte Belvedere di Firenze si può tenere una mostra fotografica, intitolata “Beach Stories”, in cui  Massimo Vitali è bravissimo a fare scogliere e spiagge di sabbia di sogno, con bagnanti rari, iperdistanziati, e acque celestine, ove invece la copertura è totale di ombrelloni degli stabilimenti, non un metro è libero, e le acque, benché certificate da Bandiera Blu per congrua promozione, sono ovunque grigie e sporche – questo non lo dice il “Corriere Fiorentino”, si vede.
Lo stesso giorno “La Nazione”, il giornale storico di Firenze e della Toscana, può celebrare: “La Toscana è tornata a essere la terra dei vip. Nella stagione post Covid non badano a spese”. La foto mostra “una fila di Lamborghini e Ferrari accanto al Grand Hotel Principe di Piemonte a Viareggio”. È un raduno, ma non importa: Toscana, basta la parola – e la Storia, naturalmente.
 
I pentiti fallirono in trasferta
Il film di Bellocchio su Buscetta che si rivede su Rai 1 trascura un episodio che pure avrebbe figurato nella sceneggiatura con più risvolti, drammatici e anche comici: la trasferta dello stesso Buscetta, con Mannoia e Mutolo, a New York, nel 1993. I tre, portati al processo per traffico di droga e omicidio a carico dei fratelli Gambino riuscirono a far annullare il processo. La giuria, dopo nove giorni di consiglio, riferì al giudice di non poter decidere. Con questa motivazione: “Nessuno dei testimoni era credibile”.
Mannoia e Mutolo erano stati portati al processo dall’accusa, Buscetta dalla difesa. Buscetta fu più abile: riuscì a screditare Mannoia e Mutolo. Il Pubblico Ministero Pat Fitzgerald lo disse “non completamente credibile”, per via dei suoi “precedenti non confessati” in sede di pentimento. Ma riuscì a insinuare il dubbio nella giuria.
A New York erano altri i criteri di valutazione. Meno generosi. Meno politici – è la debolezza-forza del giurato popolare: non vuole sulla coscienza un verdetto errato. Claudio Lindner così descriveva Buscetta al processo, pochi mesi dopo la strage di Capaci e la morte del giudice Falcone, che aveva garantito per lui: “In forma smagliante. Da far invidia. Rilassato, abbronzato, capelli neri e folti (veri o finti? Difficile dirlo…), doppiopetto blu, cravatta con pochette al taschino, l’aria da manager fresco fresco di Caraibi”.   
Bellocchio ha trascurato anche un altro elemento altrettanto teatrale – ma forse contestabile: che Buscetta era un informatore dei servizi segreti. L’accusa era venuta lo stesso anno, il 28 aprile, dal senatore Carmine Mancuso, della Rete, il gruppo politico palermitano creato da Leoluca Orlando in funzione antimafia. Mancuso, ex poliziotto ed ex presidente del Coordinamento antimafia di Palermo, disse di averlo saputo da suo padre, Lenin Mancuso, maresciallo di Polizia, assassinato nel centro di Palermo a settembre del 1979, insieme con il giudice Cesare Terranova. Buscetta collaborava con i servizi segreti “dai tempi del Sifar del generale De Lorenzo”, imputato del golpe “Solo”, spiegò Mancuso. Aggiungendo: “Tutto ciò che ho detto non lo posso dimostrare perché dopo la morte di mio padre i suoi appunti furono rubati”.
 
Milano
La città degli untori la vuole Stajano, nel libro-saggio omonimo che si ripubblica. Senza malanimo, né il solito polemismo. La città non della peste, degli untori. È come diceva Malaparte, che Milano butta sempre gli avanzi di sotto.
 
Il suo sogno di dirigere un corpo di ballo Carla Fracci lo ha potuto dirigere, ma a Roma. Dove fu per dieci anni, ma con la testa sempre a Milano. Alla Scala, che aveva reso illustre, dove invece non la vollero. La stessa Scala e la stessa Milano che he hanno celebrato in pompa commossi la morte.
Ipocrisia? No, è la maniera d’essere: appropriarsi anche dei cadaveri, se rendono.
 
Una teoria vuole che Carla Fracci non abbia avuto la direzione del corpo di ballo della Scala perché di sinistra, in epoca leghista. Fracci non si ricorda in politica per nessun fatto o evento. Ma, pare, abbia festeggiato il 25 aprile.
 
Lo stesso allora che il maestro Muti, cacciato dalla Scala perché “di destra”. Muti pare festeggiasse il 4 novembre – o forse solo il 2 giugno.
La verità è che la città è indifferente, e la politica povera - da ringhiera, opportunista.
 
Soffre di black-out elettrici in continuazione, una decina in questa ultima settimana, alcuni anche prolungati, fino a due giorni, per la rete insufficiente  che la utility cittadina non rinnova. Con danni ingenti alle attività alimentari e della conservazione che non dispongono di un generatore autonomo. Ma di questo non si parla, non si legge: non fa notizia.

Rumiz ancora nel 2007 (“La leggenda dei monti naviganti”) lega la Lega alle “valli del Norditalia”. Ma la Lega è da tempo – era stata – Milano, il quartiere dei più ricchi e intellettuali d’Italia.

“Un grosso proprietario di Milano era Carlo Emilio Gadda”, per l’insegnate di Lettere del liceo di Marcia Corti, “Il ballo dei sapienti”, “che si prendeva il fiorfiore, dal politecnico alla Fiera di Sinigaglia, alla Certosa di Garegnano: qualche volta anche col ghiribizzo di fare quattro passi  insieme al Petrarca «sino a tre miglia milanesi dalle mura»: un passeggio che andava a sfociare nell’eterno”.
 
“La gente a Milano non guardava né il cielo né gli alberi”, la milanese Maria Corti fa riflettere a un suo personaggio del “Ballo dei sapienti”: “Per guardarli usciva di città, il sabato e la domenica”. Questo  negli anni 1960, quando c’era la nebbia. Ma l’uso è lo stesso oggi.
 
Milano, anche, sapeva nel romanzo scolastico di Corti, di petrolio: “Molto odore di petrolio in piazza Sei Febbraio, in via Vincenzo Monti, odore di petrolio in corso Sempione, odore di petrolio in tutta l’aria”. Di “petrolio e affini”, fa dire Corti spiritosissima, da riscaldamento, raffreddamento, auto in corsa, o imbottigliate: “L’odore combinato di petrolio e affini entrava anche negli appartamenti, sicché la città poteva dirsi, quanto agli odori, una efficiente superautorimessa”. Questo è vero anche oggi, che “le raffinerie del Pero” non ci sono più.

leuzzi@antiit.eu


Giallo da ridere

Ironia, raffinatezza, insolenza. Capace di trasformare il furto in opera d’arte. Una caricatura del giallo: Lupin è esteta alla D’Annunzio, conquistatore di donne alla Casanova.
Una serie di parodie ironiche. Una lettura a tempo perso - si può sempre riprendere, non lascia insonni. Contiene le storie: “Arsène Lupin ladro gentiluomo”, “Arsène Lupin contro Sherlock Holmes”, “Le confidenze di Arsène Lupin”.
Ritradotto da Giuseppe Pallavicini Caffarelli.
Maurice Leblanc, Lupin ladro gentiluomo e altre storie, Einaudi, pp. 550 € 13,50

 

martedì 22 giugno 2021

Niente fusioni, Unicredit fa pulizia

Per un po’ il gruppo ballerà da solo: il nuovo ad di Unicredit, Andrea Orcel, punta in questo suo primo bilancio alla pulizia radicale dei conti, a partire dagli npl che ancora pesano, i crediti incagliati, prima di pensare a un diverso perimetro del gruppo, con fusioni e\o acquisti\cessioni.
Il cambio di gestione nel gruppo bancario è stato messo in realzione col riconcentramento del settore bancario, dopo l’allargamento di Intesa con Ubi, e in conseguenza del lockdown dell’attività economica. Col gruppo Unicredit coinvolto in progetti di fusione, con Mps o con Bpm.
Nulla di questo Orcel ha prospettato al suo management. Ma una severa pulizia dei conti: vuole partire senza pesi morti.

Exor vuole un cambio alla Juventus

C’è incertezza in Exor sull’aumento di capitale prospettato dalla Juventus, di 400 milioni entro l’anno. Un apporto di capitale di poco meno, 300 mililni, si rileva, un anno e mezzo fa, è stato bruciato senza nessun miglioramento nei conti.
Il bilancio è in peggioramento grave, verso una perdita a luglio di 150 milioni. Il debito va per i 400 milioni, in forte aumento. A fronte di ricavi in calo: il fatturato si restringerà a giugno – su un 2020 che già non era cresciuto. A coronamento di un anno senza più risultati redditizi, né in Champions League né in campionato.
La finanziaria degli Agnelli sconta l’effetto Covid, che il club fa valere. E resta forte il legame tra i due cugini, John Elkann, a capo di Exor e stratega del gruppo, e Andrea Agnelli, un asse che ha consentito una tranquilla e proficua successione dopo la morte di Gianni e Umberto Agnelli, che invece avevano avuto parecchi contrasti. Ma la Juventus, che la Famiglia pure considera una sorta di blasone, irrinunciabile,  pesa troppo nell’attuale gestione. Che ha prodotto risultati sportivi di alto livello – anche se manca il trofeo più agognato, la Champions League. Ma un modello di gestione all’evidenza, per più anni, fallimentare.

Secondi pensieri - 453

zeulig


Altruismo
– “La forma tipica dell’egoismo che supera se stesso”, è deduzione di Lou Andreas Salomé, “Riflessioni sul problema dell’amore”. Che si realizza meglio – più compiuto, più proficuo – espandendosi. Si vede, con esito pratico coerente, nei volontari delle onlus che assicurano il soccorso in mare alla tratta degli emigranti, E con esito nullo o avverso nei volontari missionari all’avventura in Africa.
 
Amore
– È ancora al tempo delle amebe? L’amore psichico Lou Andreas Salomé riscontra (“Riflessioni sul problema dell’amore”) famosamente sulla congiunzione delle amebe:  “Le amebe si accoppiano e  riproducono premendosi l’una nell’altra, fondendosi in modo assoluto in un unico essere  e dividendosi di nuovo in amebe figlie”. Noi non lo possiamo in ambito fisico: il corpo, avendo raggiunto un alto grado di differenziazione,  concede solo una piccola parte al processo riproduttivo. Ma nell’ambito psichico, “troviamo stranamente più degno di noi il punto di vista delle amebe”. Anzi ideale, superiore.
“È come se la nostra differenziazione psichica fosse rimasta indietro rispetto a quella fisica”, continua Salomé. O non più avanti? Che sia tornata alla identificazione dopo essersene allontanata, per lungo tempo e in tutte le civiltà,  nella differenziazione dei sessi, e delle età della vita, con relative funzioni? Tornata col romanticismo, e la vita di coppia in appartamento (in ambito ristretto), nell’età dell’umidità direbbe Virginia Woolf di “Orlando”, quando si misero i vetri alle finestre, e tendine ai vetri. C’erano uxoricidi, anche sotto forma di suicidi indotti (tanto poetici tra Sette e Ottocento), questa forma di identificazione prima che di possesso, in precedenza? Non nei registri.
 
Corpo – Nelle leggi oltre che nel catechismo è bestia da museruola. E il solo modo di essere, quello corporale, degno di rilievo in materia di colpa: l’assassinio, come il peccato, è del corpo più che della mente – anche se si pratica con minore frequenza, probabilmente, della violenza psichica. Nel rifiuto cenobitico o eremitico del corpo, il santo si figura protetto e quasi monumentalizzato dall’isolamento, come se i pensieri che l’isolamento affolla fossero tutti belli-e-buoni. Può non essere così, anzi è più facile che non lo sia, ma il pensiero così vuole.
C’è una distinta funzione – e attività – tra corpo e spirito? Un distinto corso della storia, tra pensiero e azione, che si ricompatta (razionalizza) ex post? Un modo di essere fisico autonomo dal pensiero, dalla riflessione? Sì, c’è il mondo che s chiama istintuale. Che poi normalmente la ragione interviene a correggere (correzione), a sanare. Con effetto espansivo o riduttivo?  
E c’è un corpo distinto dall’animo, dallo spirito? L’effetto psicosomatico indotto da se stessi: sicurezza come incertezza, malinconia, delusione, depressione, come entusiasmo.

 
“Il corpo è il potere più conservatore”, Lou Andreas Salomé, “Riflessioni sul problema dell’amore”, “e molto s’imprime lentamente in esso per poi scomparire, con altrettanta lentezza”. E superficialmente?
Potere non sarebbe la parola giusta: il corpo è un recettore.
 
Dialetto – “Il dialetto è sottostoria”, C. Pavese, “Il mestiere di vivere”, 11 marzo 1949: “L’ideale dialettale è lo stesso in tutti i tempi. Il dialetto è sottostoria”. La lingua è “entrare nella storia”: “Nel dialetto non si sceglie - si è immediati, si parla d’istinto. In lingua si crea”.
È un più e un meno nell’analisi di Pavese, che pure visse, volle vivere e scriverne, una realtà “dialettale”, di provincia, di campagna. Come forma verbale riduttiva, come forma espressiva ricca: “Beninteso il dialetto usato con fini letterari è un modo di far storia, è una scelta, un gusto, etc.”.
 
Linguaggio – “Noi lottiamo contro il linguaggio”, è tema ricorrente di Wittgenstein (qui nei “Pensieri diversi”), filosofo che si può dire del linguaggio. Lotta impari, allora, e interminabile, poiché il linguaggio  è flessibile, sfuggente. Ma, poi, c’è altro linguaggio che il nostro, quello che dall’acciarino in poi si è venuto accumulando – stratificando certo, quindi un po’ nascosto, un po’ emergente,  e illuminato variamente.
Lo stesso Wittgenstein riflette subito dopo che “la filosofia non fa mai un vero progresso, che ancora ci occupiamo degli stessi problemi filosofici di cui si occupavano già i greci”, perché “il nostro linguaggio è rimasto lo stesso, e ci seduce di continuo verso gli stessi interrogativi”. Il linguaggio evolve lentamente. La storia, la parabola storica, è breve. Da qui la sensazione del pensiero in surplace - come si direbbe nel ciclismo su pista, dove ci si rincorre stando fermi, un istante più dell’altro.
 
Orrore-Terrore – L’orrore spaventa, il terrore respinge. L’orrore è mentale, il terrore è corporeo fisico.  L’orrore è una relazione e una scena, della riflessione che interagisce con un ambiente. Il terrore riprende e sconvolge l’immaginazione, non ne è governato.
I termini sono interscambiabili in letteratura spesso. P.es. parlando di Poe, i cui racconti sono “capolavori del terrore” o “racconti dell’orrore” indifferentemente. Mentre lo scrittore li intitolava “Racconti del Grottesco e dell’Arabesco” – per sfuggire alla maledizione della letteratura di consumo, a sensazione, fuori già allora, dal mainstream, ma non senza ragione: ben scritti, i  racconti anche dell’orrore sono pur sempre una forma d’intrattenimento, di evasione – sono “grotteschi”, è la parola giusta.
 
Platone “Leggendo i dialoghi socratici si ha questa sensazione: che terribile spreco di tempo!”, è sfogo di Wittgenstein nel 1931 (“Pensieri diversi”, 38): “A che servono queste argomentazioni che nulla dimostrano e nulla chiariscono?” Conversation pieces, prolisse?
 
Tesoro – C’è sempre un bene segreto e inalienabile, nei miti, le fiabe, i racconti naturalmente di avventura, ma anche nella storia politica, delle e fra le città greche, pegno di alleanza, comunitaria (urbana) o fra comunità diverse. Da non cedere (commerciare, monetizzare), da custodire con estrema cura e decisione. O segreto, se ancora manca, da ricercare e scoprire. Di cui si sa che è prezioso e anzi indispensabile  ma non la natura o la qualità – può essere anche un foglio di carta. Una sorta di patrimonio esistenziale. Anche solo virtuale.
 
Umorismo – Una visione del mondo, secondo Wittgenstein (“Pensieri diversi”, 1948): “L’umorismo non è una disposizione dell’animo, bensì una visione del mondo”. Una distinzione che serve a capire la profondità del baratro in cui la Germania è caduta, spiega Wittgenstein, quando si dice “che nella Germana nazista l’umorismo era stati estirpato”: la gente continuava a essere anche di buon umore, ma senza umorismo.
 
Nella forma dell’ironia, Wittgenstein lo trova in Beethoven, “per la prima volta” in musica: “Nel primo movimento della nona sinfonia, per esempio”. Non lieve: “In realtà si tratta di un’ironia tremenda, e cioè dell’ironia del destino”.
Con Wagner “l’ironia ritorna, ma in versione borghese”.


zeulig@antiit.eu

Arthur Miller si diverte, e fa morire tutti

Con la foto sbagliata (di Henry Miller….) un racconto molto Arthur Miller, di solitudine, ribellione, e morte. Quattro esistenze solitarie si intrecciano sulla traccia della morte.
Un’edizione che si segnala per una traduzione creatrice. Nicola Manuppelli. cinefilo di lungo corso (tutto Sordi, tutto Manfredi), riscrive in pratica il testo che Einaudi prontamente aveva tradotto all’uscita in America, nel 1961, a ridosso del film. Dosando la traduzione con le battute del doppiaggio.
Il film di Houston per il quale la storia fu riscritta, si può dire, giorno per giorno, come una sceneggiatura, aveva quattro grandi protagonisti ed ebbe molto successo: Clark Gable, Marylin Monroe, Montgomery Clift, e il futuro Cattivo dei western all’italiana Eli Wallach. Che bordeggiavano personalmente, si può dire, la morte. Uno sciancato, Clift. E due moribondi in proprio, Gable di tumore  pochi giorni dopo l’ultimo ciak, e Marylin un anno dopo, dopo un collasso subito durante le riprese, che furono per questo sospese per due settimane – distrutta da Miller. Eli Wallach si sarà salvato per essere brutto oltre che cattivo, e per fare i western di Sergio Leone.
La morte Miller, o gli sceneggiatori di John Houston, la fanno annunciare agli interpreti. Quattro solitarioni, che l’amore per gli animali in qualche modo mette in contatto. Marylin: “Tutti stiamo morendo, mariti e mogli (Miller la stava ripudiando, n.d.r.). Ogni minuto ci avvicina alla morte”. Gable: “La morte è naturale quanto la vita, chi ha paura di morire ha paura di vivere”.
Meglio il film, malgrado gli sforzi di Manuppelli: Miller è parte in causa, troppo poco serio, che la morte assegna agli altri mentre convolava a nuove nozze - con la fotografa di scena del film.  
Arthur Miller,
Gli spostati, Nutrimenti, pp. 208 € 15

lunedì 21 giugno 2021

I figli vengono bene

La donna che fa i lavori in camera in albergo si è sposata giovane con un rappresentante della Necchi. Erano belli nella foto che ancora conserva. E aspettavano la cicogna guardando dalla finestra. Poi lui ha dato in smanie, e il parroco le ha fatto avere l’annullamento. Si è risposata tardi con un vedovo, avanti con l’età, e hanno avuto un figlio. Che è già grande, ogni tanto la porta o viene a prenderla in macchina. Lei ne è contenta per un motivo di principio
Non è vero che i figli venuti in età tarda hanno problemi – ripete. Sua sorella ha sposato un montanaro di città. Che dopo qualche anno l’ha lasciata poiché non avevano figli. Lei, che fa anch’essa i lavori, s’è messa con un insegnante scapolo, anziano ma scapolo. Ed è finita che hanno avuto una figlia. Che è ancora piccola ma molto intelligente. Adesso andrà alla media, e poi anch’essa a lavorare.
 
 
 

L'amore corona la differenza

Due “saggi sull’amore”, come da sottotitolo, già pubblicati quinidici anni fa da Luciana Floris per Stampa Alternativa, “Riflessioni sul problema dell’amore” e l’ostico, più noto, “Il tipo donna” – noto per il suo peculiare femminismo, della “differenza”. Nel primo Lou va a passo di carica, speditiva. Lo “stato erotico è una benedizione”, sia esso felice o infelice, poiché elettrizza, incrementa, moltiplica, vivacizza. L’innamoramento è un ritorno allo stato infantile, della scoperta, della sorpresa. E al mondo fiabesco: “Un mondo di sogni onnipotenti e senza limiti”. In analogia con l’“atto creativo”, dell’artista: “Amare e creare hanno un’identica radice”.
L’argomentazione del “tipo donna” è orientata, femminista ma di un certo tipo: non dell’uguaglianza ma della diversità. La natura vuole incontri erotici tra soggetti diversi e differenti-antitetici, di sesso e di famiglia. L’incesto effettivamente, come l’emofilia, è  proibito dalla natura prima che un tabù sociale.
L’introduzione di Nadia Fusini è in armonia, anch’essa a passo di carica, sul personaggio Lou.  Donna “affascinante e crudele, infedele e devota”. Freud ne ricorderà in morte la lunga lista delle sue vittime – Freud di cui lei ha detto a Jung che è stata l’amante, ma a cinquant’anni? Fusini la fa sessuomane, ma le allumeuses non lo sono, e lei lo è stata con i tanti famosi con cui ha convissuto, eccetto che col giovanissimo Rilke, da svezzare. Aquila e leone per Nietzsche - che a lei fece la prima delle sue avventate proposte di matrimonio - come per Zarathustra, che dice di avere concepito e redatto con la frequentazione di Lou. Paul Rée, il terzo del menage à rois” romano, non supererà mai il rifiuto di Lou, finendo per suicidarsi, nel 1901.
Inevitabilmente un libro sulla stessa Lou, personaggio invadente.
Lou Andreas Salomé, Devota e infedele, Bur, pp. 105 € 5,90
 

domenica 20 giugno 2021

Problemi di base amorevoli - 645

spock

“L’amore è amore di sé”, Lou Andreas Salomé?
 
“Ogni tipo di amore rende felici, anche quello infelice”, id.?
 
Lo “Stato erotico” è una benedizione, sia esso felice o infelice, id.?
 
“L’amore colma l’egoismo di ognuno”, id?
 
“La passione non si sbaglia mai sulle sue impressioni fisiche”, id.?
 
“L’amore è la cosa più fisica, ma anche apparentemente la più spirituale e superstiziosa che alberga in noi”, id.?
 
“Ovunque le persone si amano, l’uno sfiora appena l’altro per poi lasciarlo a se stesso”. id.?

spock@antiit.eu

La “differenza” ebraica

Annotazioni del 1931 in particolare, e per una buona metà di dopo la guerra. Ultimate le “Ricerche filosofiche”, 1945, Wittgenstein confina le riflessioni occasionali ai taccuini. Von Wright spiega i criteri della scelta - omessi solo i riferimenti personali (quelli forse che avrebbero dato gusto...). Ronchetti spiega di avere aggiunto qualche frammento, non molti. E soprattutto di essersi astenuto, come von Wright consiglia, di annotare i pensieri (circostanze, collegamenti, riferimenti).
Molto, nota dominante in questi pensieri, è su ebraismo\semitismo, tema non comune nel dopoguerra. Wittgentesin fa a gara, si potrebbe dire, con Heidegger per stabilire la “differenza ebraica”. A partire da subito, “la tragedia è qualcosa di non ebraico”, e da se stesso. Con una sorta di rivendicazione ebraica nell’anno in cui gli appunti sono più diffusi, il 1931. A p. 26: “Quando Renan parla di «bon sens precoce» delle ragazze semitiche (un’idea che mi è passata per la testa già da lungo tempo), si riferisce alla loro mentalità impoetica, che va direttamente al concreto. È proprio ciò che caratterizza la mia filosofia “. E poco dopo, 32: “In questo mondo (il mio) non vi è tragicità” – contro ogni evidenza biografica: suicidi,  guerre, morti, di amici, amanti, sensi di colpa fortissimi. E ancora, 37: “L’ebreo è una landa desertica dove, sotto un sottile strato roccioso, si trovano però le fluide masse infuocate  dell’elemento spirituale”. P. 47: “Il ‘genio? Ebreo è solo un santo. Il più grande pensatore ebreo non è che un talento (io per esempio)”. Sindrome saprofitica? “È tipico dello spirito ebraico capire l’opera di un altro  meglio di quanto la capisca il suo autore”. Un riflesso ubiquitario: “Nella natura di Rousseau c’è qualcosa di ebraico”. E a proposito di potere e possesso, che “non sono la stessa cosa: “Se si dice che gli ebrei non avrebbero alcun senso del possesso, ciò si concilia molto bene con il fatto che ad essi piace essere ricchi… (Io, per esempio, non vorrei che i miei cari diventassero poveri, perché auguro loro un certo potere…)”. O a proposito della dissimulazione: “Si è detto talvolta che la segretezza e il riserbo proprio degli ebrei sarebbero dovuti alla lunga persecuzione. Questo certamente non è vero; al contrario, è sicuro che essi esistono ancora malgrado questa persecuzione appunto perché tendono a questa segretezza”.  Dell’antisemitismo annoterà nel 1948, quindi “dopo”: “Se non puoi sbrogliare una matassa, la cosa più intelligente che puoi fare è capirlo e la cosa più onesta ammetterlo”.
Con molte annotazioni più o meno svagate, soprattutto sui musicisti, Mendelssohn, Brahms, Bruckner, Schubert, Wagner, Mahler (“se è vero, come credo, che la musica di Mahler non vale niente”…), Beethoven, Mozart. E qualche leggerezza. Le donne inglesi gli europei non le capiranno mai. Meglio un film americano ingenuo o stupido che un film europeo scaltrito. Altri da biscotto della fortuna. “Il volto è l’anima del corpo”.
Molto Shakespeare. Molto Freud, contro Freud - usando cioè lo stesso Freud, ingegnoso ma pessimo: “Con le sue fantasiose pseudo-spiegazioni (e proprio perché sono ingegnose), ha reso un pessimo servizio”. Sui sogni, su tutto. Hitler compare solo nel 1945. E qualche cattiveria: “Leggendo i dialoghi socratici si ha questa sensazione: che terribile spreco di tempo!”, su “argomentazioni che nulla dimostrano e nulla chiariscono”.
È la ripsoposta dell’edizione 1980.
Ludwig Wittgenstein, Pensieri diversi, Adelphi, pp.180 € 12