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sabato 5 marzo 2016

Secondi pensieri - 253

zeulig

Armi libere negli Usa – L’uso libero delle armi negli Usa è barbarico di fatto ma radicato in un concetto dello Stato che si confronta all’individuo. Un concetto non più in uso altrove, neppure in teoria, ma negli Usa radicato nel modus vivendi, e nel principio che informa la Costituzione: tutto è ammesso ciò che non è proibito. La difesa personale è una di queste aree ammesse, e in larga misura esclusa dal panorama giudiziario: il diritto si ferma alla porta di casa.

Carattere – Cera una volta, rara, l’opera di mezzo carattere. Ecco, checché fosse, la sensazione è d’esserci in mezzo, in un’opera di mezzo carattere. Il carattere si vuole presuntivamente definito (caratteristico), e la vera carta d’identità dell’individuo, ma più spesso e “mezzo mezzo”, si direbbe in neo greco.
Più definito è il carattere di un marchio, Di una macchina per esempio, la Fiat di Sklovskij: “Il fascino principale di una buona macchina”, Sklovskij scrisse a Elsa Kagan-Triolet a Parigi, in una lettera non spedita di “Zoo”, “è il carattere della sua trazione, il carattere del crescere della sua forza. Una sensazione simile al crescere della voce. Molto piacevolmente cresce la voce-trazione della Fiat: premi il pedale del gas, e la macchina ti porta con entusiasmo” - le auto italiane erano reputate a Parigi dopo la Grande Guerra, scriveva il corrispondente Alvaro, “le migliori del mon-do”.
Lo stesso Sklovskij, che ha vissuto a Mosca a lungo riverito, non sapeva se era bianco o rosso. Passando dal Caucaso all’Ucraina indifferente, in una guerra che vide Kiev liberata e occupata quindici volte, di cui tre in un giorno.

Dio - Ritorna con l’incredulità all’Io di Fichte: ha la stessa conformazione se non la stessa natura. (o la natura astratta è forma), nella fede e nell’incredulità. In una fede un po’ pagana quale è quella protestante, dell’“io e il mio Dio”, ma pur sempre devota – non irridente cioè, e in qualche modo distintiva, tra un umano e un divino.
È legato agli eventi. Teilhard de Chardin, da letterato-scienziato non ancora teologo, nella “Nota per l’evangelizzazione dei tempi nuovi”, datata Epifania 1919, ne ha la percezione netta, nel primo paragrafo che intitola “L’ideale divino moderno”: “Il Dio che il nostro secolo attende dev’essere: 1) vasto e misterioso come il Cosmo, 2) immediato e avviluppante coma la Vita, 3) legato, in qualche modo, al nostro sforzo come l’Umanità”. Sul presupposto che “la figura di questo Dio è ancora confusa”. I tempi essendo cambiati: “Il movimento religioso profondo della nostra epoca mi sembra caratterizzato dall’apparizione (nella coscienza umana) dell’Universo – visto come un Tutto naturale più nobile dell’Uomo – e dunque, per l’Uomo, equivalente a un Dio (finito o non)”.
Di più, più preciso, l’ammonimento ai confessori: “Un Dio che rendesse il mondo più chiaro, o più piccolo, o meno interessante di quello che il nostro cuore e la nostra regione scoprono, quel Dio – meno bello di quello che ci aspettiamo – non sarà mai più quello davanti al quale la Terra s’inginocchia”.

Governabilità – Non è assicurata-abile dalla democrazia diretta. Non nel senso del buon governo. Con le parziali eccezione della democrazia diretta svizzera, e del controllo comunitario nei paesi e quartieri Usa, entrambe esperienze radicate storicamente – il diritto codificato dall’uso radica e indirizza la politica. Il massimo dell’arbitrio, nella Rivoluzione Francese, andò col massimo delle consultazioni popolari. Di cui il paladino era Robespierre, nel nome della “volontà generale”, o opinione pubblica. L’Italia, che nell’ultimo quarto di secolo ha provato a rafforzare la governabilità  con l’elezione plebiscitaria a capo dei comuni, le province e le regioni, ha provocato l’effetto opposto: amministrazioni locali ingovernabili, anzi perfino capricciose, dispendiose, e più corrotte.
La governabilità è effetto della mediazione: la maturazione delle decisioni garantisce un minimo di eseguibilità. E dei controlli: il controllo e la chiave del governo - la responsabilizzazione.

Rovesciamento –  È procedimento caratteristico (cronico) della filosofia e l’estetica tedesca, da Marx a Heidegger, Schönberg. Un procedimento analogo al vetturino napoletano della barzelletta, che avvia il cavallo molando le redini, lo ferma allentandole, lo fa voltare sinistra tirando la redine destra, e a destra tirando la sinistra, e alla meraviglia risponde: “Era vecchio e l’abbiamo rivoltato”.
Selezione naturale – Presuppone un fondamento. Un criterio valutativo. È finalistica, ancorata a valori, non è casuale come si supporrebbe – la “sopravvivenza del più adatto” è un criterio di valore. O altrimenti non è progressiva (razionale). Non c’è uno sviluppo privo di qualità, non ha senso.
Il problema per la verità sarebbe doppio: della selezione in sé, della modalità tecnico-scientifica della selezione, oltre che del suo presupposto, lo sviluppo privo di fini.

Testamento – È la prosecuzione all’infinito della personalità o comunque della volontà del testatore. È espressione e strumento di procreazione-filiazione non naturale, non fisica. Derivato probabilmente dall’adozione. Dal momento in cui cioè la  famiglia naturale, e di conseguenza  l’eredità come possesso fisico dei beni di famiglia del defunto da parte dei congiunti conviventi, viene allargata strumentalmente, per decisione del capo famiglia, poi testatore. L’adozione è così legittimata alla successione, uno dei pilastri della continuità familiare, seppure non consanguinea.

 

Invalso come strumento ordinario e quasi obbligato, connesso con un desiderio di immortalità, è un istituto storicizzato, di applicazione relativamente ristretta. Il Dizionario storico Treccani lo dice sconosciuto nell’Antico Oriente, e “forse noto” in Magna Grecia e in Attica al tempo di Solone (settimo-sesto sec. A.C.), poiché la tradizione gli attribuisce la paternità di alcune limitazioni. Nel diritto romano è la codifica della potestas familiare – che poi confluirà nel maggiorascato “Il pater familias, nominando erede il più degno tra i suoi filii, a lui trasmette la potestà sulla famiglia”. Solo tardi, “in epoca storica”, diventa lo strumento di uso corrente: “un negozio unilaterale e revocabile, con cui taluno designa a succedergli mortis causa nel patrimonio una o più persone”.
Carl Schmitt, “Il valore dello Stato e il significato dell’individuo”, 1914, ne fa un caso esemplare dell’antinaturalismo del diritto “cattolico” come ius divinum - una concezione “giuridica in senso eminente”: “Il caso più evidente è il tipo di immortalità che il diritto ha creato tramite l’istituto giuridico della trasmissione ereditaria”. Un “fenomeno assai elementare del diritto empirico” che “fa emergere in modo quasi dimostrativo la superiorità sulle teorie storico-naturali o biologiche”. La superiorità non tanto dello us divinum in sé quanto dell’assetto del codice giuridico: la perpetuazione della personalità giuridica del testatore “ha il significato della massima astrazione dalla corporeità empirica” - entrambi collocando, testatore e beneficiari, in una costruzione giuridica.

Leibniz ne deriva, nella “Nova Methodus”, l’immortalità dell’anima: “Testamenta vero mero jure nullius essent momenti, nisi anima esset immortalis”. Accanto alla “Nova methodus de maximis et de minimis”, sulle tangenti e la geometria cartesiana, Leibniz ne redasse una anche sui problemi di diritto, “Nova methodus discendae docendaeque Iurisprudentiae”, nella quale l’assioma ricorre alla parte II § 20.
zeulig@antiit.eu

Stupidario classifiche – 2

“In base alla definizione del Wff (l’ong australiana Wlak Free Foundation), gli schiavi in Italia sono 11.400”.

Questo in patria: “Gli schiavi italiani che in Australia raccolgono cipolle, patate, pomodori o manghi per undici ore a notte “ a maggio del 2015 erano “oltre 15.000”. Oltre, per esempio 150 mila? La notte australiana è così lunga?

Gli schiavi italiani in Australia “hanno meno di 31 anni e, spesso, una laurea in tasca”. Hanno le tasche così larghe da contenere il diploma.

In Italia la libertà d’informazione è al livello della Namibia, di Nauru e dell’Ungheria, meno del Capoverde, dell’Uruguay, delle repubbliche centramericane, tra il 65 e il 70mo posto su 200.  Quindi in buona posizione? Questa classifica è di una Freedom House.

Ci sono tutte nella classifica delle città che meglio richiamano gli expat, i nerd espatriati, insomma i meglio, del Martin Prosperity Institute di Toronto, anche Düseldorf, anche Auckland, ma nessna città italiana. Sono le città che “attraggono i talenti”, grazie alle università, e ai caffè, i parchi, i teatri. Che in Italia mancano.

Cos’è il Martini Prosperity Institute? Chi lo sa, ma si merita “La Lettura”.

In nessun paese questa classifiche vengono riportate dai giornali, con grandi titoli. Anzi di solito vengono ignorate. Eccetto che in Italia.

Il lepenismo è borghese, i lavoratori si astengono.

Un’elaborazione de “L’Internationaliste”, il mensile francese, del voto alle recenti elezioni regionali nella regione parigina dell’Île de France, incolonna il dato sociale (l’appartenenza di classe) all’astensione. Con questo esito molto apparente: dove più alta è la percentuale borghese della società – commercio, servizi, professioni – minore è l’astensione, maggiore è il voto per il Front National. Anche se il Front National è nella regione parigina meno forte che altrove.
In cima viene il circondario di Aubervilliers, al 70 per cento di lavoratori (operai e impiegati), al 70 per cento di astenuti. Al basso della tabella vengono i circondari e le circoscrizioni borghesi, da Rueil-Malmaison a Parigi XVI e Neuilly-sur-Seine, con una presenza di lavoratori minima, tra il 20 e il 25 per cento dei residenti, e un’astensione ridotta, attorno al 47-50 per cento. A beneficio dei gollisti, ma anche del Front National.

Lo scrittore scrive seduto

 “Certamente”, rispondeva Gadda al quesito del titolo: il “Pasticciaccio” avrà un seguito. “Di metà pagine circa”, col nome del colpevole. Mentendo (“centoventi-centoquaranta pagine”, un quarto, un quinto, aveva promesso all’editore, Garzanti), e non mentendo. Irrideva la scrittura, lo scrittore, la mania di scrivere, cioè se stesso – c’è lo scrittore maniaco, compulsivo, e quello artigianale, di mestiere: Gadda era il primo. Poi non ne fece niente. “Naturalmente”, commenta il curatore: Gadda paventava come aggressioni le interviste, e diceva qualsiasi cosa, cerimonioso altrettanto naturalmente, per liberarsene.
Questa di Piero Chiara per la Radio della Svizzera Italiana a fine 1957, che Federico Roncoroni ha esumato dal lascito dello scrittore luinese di cui è depositario, si segnala per i materiali che la acompagnano. Non per quello che dice Gadda – se non forse per l’elogio incondizionato del Belli. Con Chiara è gentile come con tutti, e un po’ di più perché è lombardo quasi svizzero, e per questo lo mette “sul conto depositi del cuore”. Ma non molto di più.
Il conto depositi del cuore
La plaquette si raccomanda per l’introduzione-ritratto che Chiara aveva preparato per un’edizione delle lettere – che poi non si è fatta se non a pezzi – di Gadda al nipote coetaneo Emilio Fornasini, figlio della sorellastra Emilia, e alla di lui moglie Annita, e per la presentazione del testo dell’intervista sul “Radioprogramma” della radio svizzera il l6 settembre 1958. Gadda apre la porta in mutande, sotto una “lunga vestaglia marrone”. E raggela, “terrorizzato”, quando Chiara e il suo accompagnatore, un ex collega di Gadda alla Rai, gli rimproverano, a mo’ di complimento, per dire che l’avevano letto con attenzione, due “errori” del “Pasticciaccio”: il treno Roma-Napoli elettrificato in un’epoca in cui andava ancora a carbone, e il gas dato alla Guzzi col pedale, mentre ce l’aveva a manopola.
L’attacco dell’intervista è anch’esso gaddiano: “Del tutto immobile risulterò nel Duemila”. Alla domanda rituale sulla sua famosa battuta “No: non mi muovo”, apposta ai numerosi sollecitatori inquieti che, riusciti a penetrarne la reclusione, gli chiedevano: “Che cosa fai tutto il giorno” in casa, “non ti muovi mai?”, a Chiara risponde che, tanto, nel Duemila, nessuno se ne sarebbe più preoccupato. Sarebbe stato cioè dimenticato… Ma aveva ragione, lo scrittore scrive seduto: “Non è pensabile che Tolstoi abbia scritto Guerra e pace a cavallo”.

Lo “zimarrone marron peloso” di Gadda, “con foulard marron di «seta pura», pigiama e «noni»” – “pantofoloni di felpa quadrettata, con suola di felpa, calzati da nonni” - sarà anche di Parise, in una testimonianza del 1970 per “Libri Nuovi”. L’aneddotica sull’Ingegnere è infinita, il rieame dell’opera invece latita.
Federico Roncoroni, “E sapremo chi fu l’autore del delitto?”, Mauro Pagliai Editore, pp. 51 € 8

venerdì 4 marzo 2016

Il “Corriere” cambia rotta

Due Pd, o un “Corriere” moderato? La Santa Alleanza di sinistra nell’editoria, degli eredi Agnelli con De Benedetti, ha scosso il “Corriere della sera”, ma sconvolge anche gli assetti giornalistici della stampa cosiddetta d’opinione.
Il botta e risposta sanguinoso tra gli eredi Agnelli e i sindacati dà la misura dello sconquasso che la cessione di “Stampa” e “Secolo XIX” a De Benedetti da parte di Fca-Exor, e dell’uscita di Fca da Rcs introduce. Ma acutizza in modo irreparabile lo scontro tra i due gruppi, anche negli allineamenti politici.
I due grandi giornali, schierati finora entrambi dietro il Pd, in una guerra non belligerata, devono rivedere gli schieramenti. Ma  non allo stesso modo. “Repubblica” fa capo a un solo padrone, De Benedetti, che decide da solo, ed è personalmente schierato - “la prima tessera Pd”. Il “Corriere della sera” troverà più difficile fare la concorrenza alla corazzata debenedettiana sullo stesso campo politico-diffusionale. E ha una proprietà moderata, anzi di centro-destra, con Della Valle e Cairo.
Non sarà facile: il quotidiano milanese ha una struttura dirigenziale ancora vecchio Pci. Ma le ragioni di mercato sembrano indirizzarlo verso un riposizionamento. A meno che il Pd non si divida: allora ci sarebbe spazio per tutti.

il mondo com'è (252)

astolfo

Antisemitismo – Era diffuso in Europa tra le due guerre, seppure generico, argomento di conversazione e letterario. Residuo dell’uso di connotare le pratiche negative col nome di un nemico storico. L’uso, per esempio, durato un paio di secoli e rimasto nel vocabolario, di dire dutch, in inglese tutto ciò che è cattivo, di dirlo “olandese”, e inglese in Olanda. Una connotazione che è poco, non astiosa, non bellicosa, ma può essere troppo, come si evince dal “fondo” con cui il “Corriere della sera” faceva proprie nel 1938 le leggi “razziali” antiebraiche, come di un fatto culturale. Di “mentalità”, diceva il testo anonimo: “Provvedimento discriminatorio”, ma “di natura eminentemente difensiva”, per “l’inconciliabile contrasto fra la mentalità fascista – autoritaria, dogmatica, omogenea – e quella ebraica – ipercritica, corrosiva, eterogenea”.
I “Quaderni neri” di Heidegegr, perlomeno i due che sono già stati tradotti, non dicono nulla di più – il resto (il silenzio sulla Shoah, sulla sconfitta, etc.) fa parte della storia personale del filosofo, del patriottismo o nazionalismo conservatore molto comune tra gli intellettuali in Germania. Alla stessa maniera di quello di Céline – come di Albert Cohen.

Borghesia – È contraffatta, nell’analisi sociologica e politica Per prima dallo stesso Marx anti-borghese, che ne ha fatto una classe. Nel senso di una formazione sociale compatta, mentre non lo è: è polimorfa e indistinta. La nozione stessa di compattezza è peraltro ambigua: un blocco di interessi? un blocco di ideali? Questi sono merce cheap, a buon mercato, diffusa, malleabile. E quanto compatta dev’essere la compattezza?
Le borghesie sono molte in Italia, volendo esemplificare. C’è quella controriformistica, dei Borromeo o lombarda. Quella massonica della manomorta, dell’appropriazione dei beni ecclesiastici. Quella compradora  del Sud, da qualche decennio spogliata di ogni autonomia o capacità d’iniziativa – un marchio, un prodotto. Quella dei servizi o milanese, finanziaria e di opinione, della comunicazione, la pubblicità, il marketing. La vecchia borghesia dei gentiluomini del Sud che facevano imbufalire Salvemini. Politicamente, è stata unitaria, Poi fascista, democristiana, ora del Pci, il poco che ne rimane – i Parioli e …  a Roma convertiti nel 1991 al futuro partito Democratico, quello disegnato da Goffredo Bettini con Rutelli sindaco e Geronzi (Banca di Roma) alla cassa, nel segno dei Mille Appalti alla borghesia professionale degli ingeneri, architetti, immobiliaristi.
Lo stesso Marx rovesciò presto il piedistallo che con Engels aveva eretto col “Manifesto”  alla borghesia imprenditrice e produttiva. Nell’analisi del 1848, “La lotta di classe in Francia dal 1848 al 1850”: “La massa della borghesia di tutta l’Europa passò dalla parte della reazione e si alleò con i burocrati, i nobili feudali, e i preti dell’assolutismo, che poco prima aveva rovesciato con l’aiuto degli operai”, dichiarando “nemici della società” quegli stessi operai. Senza “spirito di classe” -  “Spiritus ubi vult spirat”, come voleva l’evangelista Giovanni, anche se non pensava alla borghesia.

Fondamentalismo islamico - Per un arabo, e per uno che abbia rispetto dell’islam, il fondamentalismo è una sofferenza personale e una sfida, come un suicidio imposto alle masse, nelle forme efferate delle decapitazioni nel nome di Allah. Come un tentativo diabolico, non potendosi più dire imperialistico, di precipitare il mondo arano nell’ignoranza e la brutalità.
Il rispetto che le capitali europee mostrano - di fatto, dietro le condanne verbali - verso questa brutalità, con abbondanza di presunte analisi sociologiche, sociopsicologiche, e politiche, fa parte della vergogna. Specie per gi arabi che hanno scelto l’Europa come ponte per un’integrazione nel progresso: sono tenuti in sospetto e anzi disprezzati, in Europa s’intende, non nei loro paesi. Anche se di gran livello, un Khadra, un Adonis.

Mi-to – Milano-Torino si voleva quasi una conurbazione. Milano aveva assorbito Torino, i suoi centri decisionali, la sua capacità innovativa (a Torino è nato tutto dell’Italia moderna, fino ai software internet), la sua banca, i suoi capitali. Anche Umberto Eco, che è molto piemontese, è stato appropriato da Milano senza residui. Il distacco, polemico e definitivo, degli eredi Agnelli dal “Corriere della sera” è stata una sorpresa, ma irrecuperabile. Cone una rivolta, che Milano non tollera – Milano non tollera le rivolte.
Il distacco degli Agnelli da Milano è una nuova ripartenza per la capitale sabauda? Non più da leader nazionale ma in un quadro internazionale. Potrebbe beneficiarne l’Italia – l’Italia ambrosiana è sempre più asfittica: viene prosciugata da Milano e non irrorata, da un affarismo senza limiti, per di più protetto dalla locale Procura. I sindacati del “Corriere della sera” hanno attaccato duramente la proprietà Agnelli definendola sfruttatrice: “La società (Rcs, ndr) invece di essere ricapitalizzata è stata spolpata” – cosa bizzarramente non vera, la Fiat è stata l’unica dei soci a immettere capitale fresco nel giornale due anni e mezzo fa. O: “Finita la stagione dei dividendi, ora che lo sfascio è compiuto… la famiglia Agnelli saluta e se ne va”. L’insinuazione è anche paura (la Fca, infatti, “se ne va a rafforzare il principale concorrente del Corriere della sera”). Ma è una vecchia polemica, vecchissima, che dice solo l’indigenza di Milano, nella strapotenza.

Mitteleuropa – È quella degli steccati alla frontiera, da Vienna a Praga e Budapest. Un mito che non aveva base, uno dei tanti filo germanici. Se non la buona burocrazia, forse, in una politica illiberale. L’impero austro-ungarico, benché poliglotta e a vocazione cosmopolita, era afflitto da odi intestini come e più di ogni altra realtà europea. Tra Vienna e Budapest, tra cechi e tedeschi, tra slavi del Sud, e tra gli slavi del Nord, nelle pianure ucraino-polacche, e dei tirolesi di Innsbruck contro gli italiani (una pulizia etnica anzitempo). Senza peraltro consistenza possibile, se non la propaganda – contagiosa tra i germanisti. E la non illegittima illusione delle minoranze etniche di vedersi un giorno accettati dalla maggioranza, serviti dello stesso pasto, pur professandosi diversi e quindi alternativi.

Usa - È la bizzarria che dà il carattere all’America, paese che si vuole sempre nuovo: perché non ha il senso della proprietà. Per essere individualistico, non ha il senso della continuità che è il cuore della proprietà – della tradizione. E anche della libertà, conseguentemente, ha un concetto non stabile – quello legato alla proprietà – ma anarcoide.
La città Usa è valore naturalmente immobile ma ha carattere finanziario, mobilissimo, mancando il il senso della proprietà stabile, e quindi della storia.  C’è la proprietà da difendere col fucile, ma quella è un’altra cosa: l’ambizione è, dice il poeta Gregory Corso, di farsi “un guscio nel guscio” – che pare sia un’immagine buddista: chissà come si troverebbe Budda in questa illimitata periferia. Il senso della proprietà vi è mobile. E in buona misura accidentale, benché le leggi proteggano il risparmio.
Senza il gusto della tradizione, e quindi dell’eredità. Per questo la casa si classificherebbe meglio tra i beni mobili che tra gli immobili. Anche perché è più spesso solo un cespite su cui accendere plurime ipoteche. È raro che due generazioni di una famiglia abitino la stessa casa, o la stessa città, e ne sentano la mancanza. L’americano è, sia pur ricco e reazionario, un hobo, un vagabondo, uno che comincia daccapo. Un emigrante interno, anche se ha radicato il concetto di nazione, in quanto protettrice dei suoi diritti, di libertà più che di proprietà. Per questo l’Europa fa figura di cariatide.
La storia vi è fissata nella pietra proprio per segnare, si direbbe, in qualche modo questa svagatezza. Con moduli antichi, latini, greci, anche se è vaga e breve nella forma della memoria. Lo era fino a un paio di generazioni fa, diciamo agli anni 1960, anche nella parlata e nell’abbigliamento. Anche se si mantiene inalterata nell’edilizia istituzionale e nelle università, per l’accumulo di palazzi, padiglioni, casali, anfratti, capanni, prospettive di luce e d’ombra, tutto accurato nella generale trasandatezza. Ma i tanti inglesi – e assimilati: indiani, italiani - in terra Usa sembrano caricature, coi tweed a tre bottoni, il gilè di lambswool e le parlate collegiali.

Vaticano – È la carta nella manica dell’Italia. Su tutti gli scacchieri internazionali, dall’America Latina all’Asia e perfino alla Russia, nonché in Africa, e soprattutto da qualche tempo in Europa. Un fatto ignorato – solo lo storico dell’identità italiana Galli Della Loggia ne fa cenno. Ma molto che non si dice o non si professa si fa.
La carta vaticana è importante in Europa per la scelta euro vaticana di Giovanni Paolo II, il papa  polacco, e poi del papa tedesco, Benedetto XVI. Ratzinger, snobbato da Angela Merkel, residuato del Kulturkampf, è stato forte e anzi fortissimo nella Germania meridionale, Svezia e Baviera, che sono le regioni trainanti, demograficamente e economicamente, della Germania. Di Ratzinger Monti ricordava a Massimo Franco un mese fa, nell’intervista sul riavvicinamento col patriarcato russo, l’interesse sollecito per l’Italia quando nel 2012 gli chiese aiuto – in un incontro a Castelgandolfo ala fine di agosto – per smorzare la polemica antitaliana della Csu, il partito cristiano sociale della Baviera. Il papa, ricorda Monti, aveva mostrato “grande determinazione quando lo avevo avvertito dell’ostilità anti-italiana della sua Baviera durante la crisi finanziaria di quei mesi in Sud Europa. In quell’occasione aveva scritto subito al cardinale di Monaco, Marx, chiedendogli di contattare la Csu, la Dc bavarese” – che subito smorzò la polemica antitaliana. 

astolfo@antiit.eu

Come viaggiare con Eco

Tutta roba stagionata, sull’“Espresso” (sono le “Bustine di Minerva”, la rubrica periodica di Eco - per tre quarti, 35 pezzi su 45, ripresa peraltro da una raccolta del1992, il “Secondo Diario Minimo”). Ma si gusta come nuova.
La rivalutazione del raffreddore, esiziale nei viaggi aerei. Lo spam che moltiplica l’effetto serra – leggere per credere. Ironico, satirico, curioso. Chiaroveggente: la notorietà come bisogno primario, una dozzina d’anni fa. Con l’identikit dei nostri maggiori politici allora a venire, Salvini, Renzi, Grillo, esibizionisti dall’adolescenza. O internet, della solitudine per “eccesso di contatto umano”. E la messa in guardia contro le vedove degli Autori – “il postero, si sa, è di bocca buona”. Autorionico? C’è anche un baedeker per “evitare di cadere nel complotto” – scritto l’anno dopo “Il cimitero di Praga”, il cimitero dei complotti.
Scritti parodistici, un genere che Eco ha abbozzato dagli inizi da pubblicista, per la rivista iperletteraria “Il Verri”, nel 1959-1961, curatore della rubrica “Diario minimo”. A libertà non vigilata, come diceva presentando il “Secondo diario minimo”: “Tale è la ventura della parodia: che non deve mai temere di esagerare”, ci sarà qualcuno che farà, “senza arrossire”, ciò che voi avete ridicolizzato. Il primo e il secondo “Diario minimo” erano anche pieni di “divertissements allo stato puro, privi di intento critico e moralistico”. Ma della critica, seppure col sorriso, non sapeva fare a meno, e aveva ragione: qualcuno viaggia col salmone “senza arrossire”.
Umberto Eco, Come viaggiare con un salmone, La nave di Teseo, pp. 206 € 10

giovedì 3 marzo 2016

L’Italia è tribale

La tendenza è immortale al tribalismo in Italia. Tanto più se, come protestano i suoi protagonisti,  gli interessati, non è cercata o costruita: l’Italia è naturalmente tribale.
Abbiamo avuto a lungo un predominio lombardo, anzi milanese: Berlusconi, Bossi, Tremonti, Monti, Lele Mora, e la Procura. Con un intermezzo – un’ala marciante ? – bolognese. Di Casini, cioè la Rai, Bersani, Fini, Cofferati, bolognese di adozione, e Prodi. Ora l’Italia è toscana.
La Toscana non se la passa bene, a differenza di Milano e, a suo tempo, di Bologna.. Minacciata dalla meningite. In fuga dalle ville e i casali - si vende molto, si compra poco. Deturpati o in abbandono molti luoghi già belli e famosi: Castiglione della Pescaia e mezzo grossetano, Donoratico, San Vincenzo, Viareggio e tutta la Versilia, con la parziale eccezione di Forte dei Marmi: mari sporchi, servizi esosi. Un patrimonio sempre enorme ma segnato dal malgoverno: fiscale, nepotista. Ma tutto al governo dellItalia è ora toscano: Renzi, Verdini, Boschi, i Manzione, i consulenti di palazzo Chigi (giudiziari, informatici, finanziari), i consigli d’amministrazione di troppe aziende pubbliche, la ricerca scientifica (il Cnr e lIit).

La strage di Stato

Si moltiplicano le ricostruzioni degli “anni di piombo”, dal 1969 in poi. In genere sul versante legittimista: non ci fu una regia occulta. Paolo Mieli le sintetizza tutte martedì sotto un titolo imperativo: “Dietrologia da sfatare”. In effetti, se ne inventano troppe. Ma questo è già un segno di disinformacija: la madre degli stupidi è sempre incinta, ma qui non si tratta di dire scemenze quando di “ricostruirle”, cioè costruirle. Per questo o quel fine che è inutile indagare: Perché il fatto rimane – e semmai si conferma, sia per le dietrologie che per la fine conclamata delle stesse.
Rimane la pista anarchica per la strage di piazza Fontana. Grave errore d Calabresi. Ma anche decisione della questura e la prefettura di Milano, e del ministero a Roma. Ministro Franco Restivo, che aveva come segretario Giuseppe Insalaco, che da sindaco di Palermo sarà vent’anni dopo vittima della mafia, ma si accreditava a Roma collaboratore dei servizi segreti. Male indagata sarà anche la strage di Brescia, non per incapacità o errore ma volutamente. E così pure quella di Bologna. La Grecia naturalmente c’era stata, che dava troppi bollori a troppi ufficiali dell'Esercito. C’era Gladio. E c’era una cultura della violenza. Un prolungamento, si dice, della guerra civile, ma con pesanti (dimostrati) collegamenti coin i servizi segreti.
“La strage di Stato”, 1974, resta più veritiera, anche se fu scritta anch’essa all’ombra dei servizi segreti, per una delle solite fazioni che li dividono.

Quando furono gli anarchici

Poiché niente è più inedito di un libro stampato, ecco come Astolfo ha raccontato la vicenda piazza Fontana dal di dentro, in “La gioia del giorno”, pp. 501-502:
“È in un salone dell’Interno che in anteprima si è appreso della bomba. Anzi delle bombe: dapprima si è saputo della bomba a Roma, alla Banca Nazionale del Lavoro, con una ventina di feriti, e subito dopo, questione di uno-due minuti, della banca di Milano, con molti morti, forse di due banche, e di Roma all’Altare della Patria. O l’ordine è inverso. Ero presente a un Comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico al ministero presso l’egregio Insalaco per caso, senza sapere di che si trattasse, per dovere di rappresentanza, Arcangelo, che ne fa parte di malanimo, avendo chiesto il favore di una supplenza. Queste presenze sono reputate inutili, in materia di nessun interesse, ma l’assenza è dannosa, i politici sono vendicativi. Si è concretata in un paio d’ore di chiacchiere, testimone muto, non introdotto, dei giurisperiti che nel Comitato rappresentano i partiti al potere col vanitoso segretario, nel dibattito di rito sugli arcani: i colonnelli greci espulsi dal Consiglio d’Europa, il Vietnam, la Cia, il Kgb, i gruppuscoli. A un certo punto il ministro è entrato a presiedere.
“Un esperto americano, autore di un Manuale del colpo di Stato, espose in lucido italiano il Piano Caos, adottato negli Usa contro la sovversione. O altri lo espose per conto suo. L’interesse si ravvivò all’arrivo del ministro, che spostò l’agenda sugli organici delle forze dell’ordine, la prevenzione attraverso il riordino dei servizi segreti, la delega alle forze dell’ordine dei poteri d’arresto temporaneo, i nuovi mezzi antisommossa. Ma presto dal lungo tavolo rettangolare crebbe di nuovo un rumore di fondo, non sopito dal ministro, che sembrò assentarsi dopo aver parlato, seppure vigilando, lo sguardo mirato su suoi fili interiori, mentre il segretario faceva un’uscita da cavaliere della tavola rotonda su bisbiglio di un commesso. Poi Insalaco tornò sbrigativo e uscì col ministro.
“Il clangore di lemmi e commi non per questo scemò. Le bombe non allarmarono quel pur specifico consesso, essendo esse ormai numero incalcolabile. Finché, dopo un quarto d’ora, il ministro rientrò e disse:
 - Sono gli anarchici. – La data segna l’arrivo a Ginevra di Nečaev ventenne con l’esplosivo Catechismo rivoluzionario, è il centenario.
“L’annuncio sarà variamente interpretato. Il 17 gennaio 1978, al processo per gli attentati del 12 dicembre 1969, il questore di Roma dell’epoca, Giuseppe Parlato, affermerà: “Escludo in modo categorico che il ministro dell’Interno avesse disposto di orientare le indagini verso gli a-narchici”. Lo stesso giorno, al processo per il tentato golpe del principe Valerio Borghese il 7 dicembre 1970 con l’occupazione dell’Interno, l’ufficiale del controspionaggio Antonio Genovesi affermerà che il ministro gli disse di non parlarne con nessuno. Roma dunque non indagò. Ma il ministro non era la solita testa di legno che si pone a capo di un dicastero complesso e delicato, che va avanti per prassi inerziale burocratica. Franco Restivo, costituzionalista, siciliano, cattolico, ne fu titolare dal 24 giugno 1968 al 17 febbraio 1972. Dopodiché resse per quattro mesi la Dife-sa, fino alle elezioni vinte dalla destra, e al governo Andreotti”.

Roma diserta la Madonna di Loreto

Una riscoperta: Loreto era luogo di pellegrinaggio - forse lo è ancora ma nessuno lo sa (l’ultimo che ci andò fu Giovanni Paolo II vent’anni fa). Si scopre alla mostra organizzata a Roma dal Pio Sodalizio dei Piceni con i quadri del Lotto, la Madonna Nera del cavalier d’Arpino, e l’enorme tela-dizionario, opera di di Joseph Heintz il Giovane, della Traslazione di Maria e la sua casa dalla Palestina a Fiume, e poi a Recanati – accolta dai fratelli Antici, avi materni di Giacomo Leopardi,. Con una eccezionale collezione di guide, carte e cassette da viaggio. In un luiogo molto ameno di Roma, in fondo a via dei Coronari, nel complesso ex monastico della chiesa dei marchigiani.
E una sorpresa. Gradevole, perché è una mostra che si può visitare da soli. Non c’è il rischio d’imbattersi in gruppi o folle: non ci va nessuno. Gli eventi gratuiti sono a Roma inaccessibili, tale è la calca, questo no, la solitudine è garantita. E questo è strano nell’anno del giubileo della Misericordia. Tanto più che San Salvatore in Lauro è una delle tre chiese giubilari. Non attira nemmeno i marchigiani, ex sudditi del papa, che a Roma sono tanti.
Si gira la mostrra col fiato sospeso: è un pellegrinaggio inverso, è la Madonna di Loreto che va Roma, e nessuno se la fila? È la devozione in genere, o quella della Madonna, che scade con questo papato, malgrado il giubileo? Saranno i romani in fondo al cuore leghisti - quella del cavalier d’Arpino è una “Madonna nera”?
La Madonna di Loreto non è nera in realtà, le Madonne nere sono solo scure. Il genere Obama: semita? mediorientale? Forse solo in omaggio al “Cantico dei cantici” che la bellezza muliebre vuole bruna e scura.
Via Lauretana, Musei di San Salvatore in Lauro, free

mercoledì 2 marzo 2016

Il fascismo dell’antifascismo

Scalfari usa la sua affettuosa recensione di Pierluigi Battista (“Mio padre era fascista”) su “Repubblica” lunedì, per dire come fu fascista. Dal 1931 al 1943, dalle elementari all’università. Fino a quando Carlo Scorza lo espulse dal partito per un articolo su “Roma fascista”, settimanale del Guf romano al quale Scalfari collaborava da due anni, che giudicò antifascista. Scalfari ne soffrì per quattro giorni, dice, e poi se ne fece una ragione: “Lui in questa materia ne sa più di me. Quindi ha ragione lui: io sono antifascista, altrimenti non avrei scritto quell’articolo”. Ma fa un quadro inesatto dell’analoga evoluzione degli italiani.
Di sé Scalfari può dire che era stato come tutti fascista senza riserve: “Non starò qui a raccontare come vissi quel periodo, negli anni in cui frequentavo il ginnasio a Roma, poi a Sanremo, poi di nuovo a Roma quando entrai all’Università nel ‘41. Dirò soltanto che la mia appartenenza al fascismo non era minimamente turbata da dubbi. Il Duce era il Duce, le canzoni che Battista padre canticchiava a casa ed aveva cantato a squarciagola negli anni del fascismo imperante e poi di Salò, anch’io le ho cantate e di tanto in tanto capita anche a me di ricanticchiarle adesso”  Ma, rievocando con Battista il “problema” del padre, sembra condividerlo: “Il padre aveva scelto (Pierluigi) come il solo cui confidare il proprio rovello, la propria rabbia, la propria disperazione contro l'Italia e gli italiani che erano stati (quasi) tutti fascisti durante il ventennio e poi si erano convertiti in massa all’antifascismo mettendo all’indice quei pochi, anzi pochissimi, che avevano mantenuto i loro ideali d’un tempo”. 
No: all’indice gli italiani che erano stati (quasi) tutti fascisti hanno messo l’antifascismo, di chi aveva sacrificato dieci e vent’anni, magari i migliori, all’esilio o al silenzio, se non alla prigione. Anche l’antifascismo comunista, seppure a opera di comunisti. 

Il romanzo delle bizze editoriali

Un libro devozionale. Per metà di note – un libro gaddiano? Per l’altra metà di 14 lettere di Gadda a Parise, con 4 di Parise a Gadda, di una o due paginette, peraltro note. E una filza di materilai ghiotti, “L’Ingegnere”, L’Ingegnere aneddotico”, “La fine della letteratura”, Le «bombe» dell’Ingegnere”. Ma è come un romanzo che Domenico Scarpa ci costruisce sopra, probabilmente anche per non gaddiani. Di una semplice amicizia - ora l’amicizia bisogna dirla semplice, intendendosi in genere altro. Tra due iperletterati, fenomeno rarissimo, dei quali uno giovane e uno no. Di filologia vivace, scorrevole, anche se fine a se stessa. Al punto anche – la filologia ama divagare (malgrado uno scambio di persona grossolano, sfuggito bizzarramente anche in sede redazionale:  il conte Faina, “tecnico”, cui Gadda voleva dare il voto nel 1963,non è Eugenio ma Carlo, di cinquant’anni più giovane, e non ebbe incarichi politici, ma fece carriera al vertice della Montecatini, e poi della finita male Montedison). 
Manca l’essenziale, è vero – Scarpa se lo fa mancare, o che? Il lettore però lo avverte: Gadda, nell’inverno 1962-1963, paternamente vuole e insiste che Parise ripubblichi i suoi libri con Garzanti, mentre lui invece vuole lasciare Garzanti per Einaudi. E lo fa, provocando qualche lite e infine un accordo: i due editori pubblicheranno in contemporanea un Gadda l’uno. Ma anche Parise, nel suo piccolo, andava da Milano a Torino… Un dialogo a tre: Scarpa compensa Parise, “che… poco conosceva l’opera dell’amico” – eccetto il “Pasticciaccio”, che aveva “quasi certamente letto” – mentre il curatore ne sa tutto. La breve corrispondenza è peraltro interrotta da Gadda, indisposto dalle intromissioni di Parise nella sua trafila editoriale, dopo la sua, insistita, in quelle di Parise.
I letterati sono simpatici, in fondo non fanno male a nessuno, ma a volte sono subdoli. Il Cecchi del titolo, di cui per di più ora non si può parlare dopo che qualcuno lo vuole antisemita, era invece un fervido sostenitore dell’Ingegnere, dalla prima ora. Tutto Gadda è in poche righe di François Wahl, il suo editore parigino, nel risvolto del “Pastis”, alla p.126.
Carlo Emilio Gadda-Goffredo Parise, “Se mi vede Cecchi, sono fritto”, Adelphi, pp. 346 € 18

martedì 1 marzo 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (277)

Giuseppe Leuzzi

Un miliardo e mezzo a Milano da Roma per la ricerca scientifica. È più di tutta l’Italia messa assieme. Dopo i tre miliardi per l’Expo, per i mangiarini sfiziosi dei lombardi. Non c’è gara. .

Ma che se ne fa il Nord del Sud?

Pietro Mancini contesta in chilometriche lettere al “Corriere della sera”, che volentieri gliele ospita, che il rinnovo della Salerno-Reggio sarà completato entro l’anno. Ha ragione, un 10 per cento del percorso non sarà ristrutturato, fra i 35 e i 40 km. Ma lui non lo sa. Dice che pochi km a nord e a sud subito della sua città, Cosenza, il percorso è quello della vecchia autostrada, stretto e tortuoso. Si vede che non ha mai fatto l’autostrada, non da qualche anno. Uno dei tanti calabresi che non conoscono la Calabria – che tutti scrivono al “Corriere della sera”.

Pietro è figlio di Giacomo Mancini, che la Salerno-Reggio inventò e realizzò cinquant’anni fa, Con tante curve, ma anche con viadotti altissimi, che ancora reggono. Il Sud non è immobile: cambia in peggio.

“Tre miliardi di euro, dieci volte di più di quanto immaginato nel lontano 1999, il triplo di quanto prevedeva lo studio di fattibilità del 2003. Tanto costerà alla fine, se mai ci si arriverà, la costruzione dei 95 chilometri della Pedemontana Veneta, epica infrastruttura all’ordine del giorno da trent’anni e ad oggi realizzata per appena il 25%. Con soldi interamente pubblici, benché l’opera sia stata affidata nella progettazione e nella costruzione ai privati, che ne avranno anche la concessione per 39 anni”. Scandalo per questa prosa di Mario Sensini al “Corriere della sera”. Che il giorno dopo rimedia: tutto è a posto nel Veneto, la Pedemontana si farà.  

L’antimafia è aristocratica
L’attacco più robusto contro il “gattopardismo”, la zona grigia, è venuto da Tomasi di Lampedusa, un aristocratico. Un aristocratico a parte intera, uno che più blasonato non si può, non un compagno di strada, non un opportunista. Pirandello, che ci aveva provato con più foga cinquant’anni prima, “I vecchi e i giovani”, aveva fallito il bersaglio.
Lo stesso in Calabria: l’unica scossa in mezzo secolo di bonaccia mafiosa è venuta da Teresa Cordopatri. Un’altra aristocratica, altrettanto povera come Tomasi e altrettanto sprezzante. S’è messa in piazza, sfidando gli sguardi bassi, e ha fatto capire quanto l’ordine – la mancanza di ordine - sia esiziale, il gattopardismo (menefreghismo, opportunismo) del potere.

Le calabrotte che ripopolarono le Langhe
Già anticipato nel “Mondo dei vinti” quarant’anni fa, Nuto Revelli ha ripreso dieci anni dopo, nel 1985, ne “L'anello forte”, le vicende di due o trecento donne calabresi, contadine per lo più, sposate nel dopoguerra per procura a contadini delle Langhe. Non per carenza di donne nel Piemonte, che erano anzi in sovrannumero dopo la guerra, ma perché nessuna voleva impantanarsi nelle campagne, tra la fatica e la povertà. nelle Langhe voleva perché tropo rotti dalla fatica e troppo sporchi, ai contadini pulciosi preferendo gli operai dalla paga sicura.
Nel “Mondo dei vinti” Revelli ha sfiorato il fenomeno: pur essendo di quelle parti non lo vedeva.  Poi ci ha ripensato. La realtà supera sempre l’immaginazione. Specie la sociologia. La realtà del Sud e del Nord certamente: Nord e Sud superamo ogni immaginazione, tanto è il male di fondo.
Lo stesso fenomeno possiamo testimoniare ripetuto a fine Novecento nel Trentino: ragazze calabresi venivano invogliate a matrimonio con lontani montanari, con la lusinga di diventare “padrone”, di un pezzo di terra, una stalla, un fienile, una casa. Salvo scoprire che erano attese come un mulo da lavoro, gratuito – i tempi erano cambiate per le donne, solo i montanari alpigiani erano rimasti alla fatica manuale. .
Le mogli per procura non erano ignorate in Piemonte, avevano anzi un nome, “calabrotte”. I ruffiani erano chiamati “bacialé”. Che però ruffiani non erano considerati, anche se procuravano i matrimoni a pagamento, a carico dei contadini piemontesi, come rimborso spese: la loro attività presentavano anzi come benefica, a fini sociali, per i contadini e per le calabrotte.
L’ultimo bacialè di Nuto Revelli, peraltro, era donna, e calabrotta essa stessa: Maria Elisabetta Neri, detta Lisa. Rievocata un mese fa sulla “Stampa-Cuneo” da Isotta Carosso a Mango, tra Santo Stefano Belbo e Alba, tra Pavese e Fenoglio, dove se ne celebrava il funerale. La sua “è la storia”, scriveva Revelli, “di due Italie contadine che si incontrano: che si ignoravano da sempre, lontane, diverse, ma drammaticamente uguali di fronte alla società che conta”. 
Era originaria di Catona, periferia di Reggio, borgo di mare urbano. Ma non aveva esitato a sposare la campagna più remota, sotto le Alpi. Aveva 28 anni. “Mio Marito”, ha raccontato a Revelli e poi a Rai Storia, “l’ho visto in foto e poi una volta sola prima del matrimonio. La prima notte abbiamo dormito insieme a casa mia, ma abbiamo contato i soldi ricevuti per regalo e basta. Il giorno dopo siamo partiti”. Ha avuto due figli. A Mango e dintorni aveva poi combinato ventisei matrimoni misti, con ragazze del suo paese, senza muoversi, con scambi di foto. È stata celebrata in morte come “una langhetta orgogliosa, dedita alla vendemmia e alle nocciole”. Slow Food se ne propone la celebrazione, “per ringraziare le donne calabresi che negli Anni ’70-’80 hanno impedito lo spopolamento delle nostre campagne”.
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Sicilia
Emigra, è emigrata, più volentieri a Milano che a Roma. A Milano non si trova più milanese di un  siciliano, disciplinato, produttivo, costante, di umore e applicazione. Che sarà però siciliano nell’isola. Per questo Cuccia se ne teneva lontano, giusto la visita al cimitero ogni paio d’anni? Per gli umori dell’isola.

L’isola, un fattore che si trascura ma sempre attivo. Malgrado le autostrade, gli aerei e i treni veloci. Più marcato forse in Sardegna, prima del turismo estivo e delle seconde case - ma appena ieri. Più robusto in Sicilia, anche per un orgoglio isolano. Fino alla voglia di perdersi.

Nel 1924 Antonio Pizzuto, temporaneamente radiato dalla polizia e insegnante supplente di liceo a Palermo, legge “Ulysses” e ne resta ammaliato. Due anni dopo la pubblicazione semiclandestina a Parigi. Legge “Ulysses” naturalmente in originale. Tanto a suo agio nella lettura che ne propone la traduzione all’editore Sandron – poi la cosa non si fa per motivi editoriali e per gli impegni alimentari di Pizzuto. La storia va “’n’arreri” (© Domenico Tempo) al Sud.

Trent’anni più tardi Palermo sarà ancora protagonista, col “Gatopardo”. Inarrivabile anche per questo motivo: il lamento più convincente contro il “gattopardismo”, contro le mafie. Ma era l‘ultimo soffio di un’aristocrazia dello spirito moribonda, come l’isola.

È la regione con più storia. E quella che ha il record delle persone, dai sei anni in su, che non hanno letto nemmeno un libro nel 2014, secondo l’Istat, il 72 per cento della popolazione.
Seguono, in questa classifica negativa, la Puglia (70,8), la Basilicata (69,6), la Campania, (68,3), la Calabria (67,1).

Bella e irragionevole la voleva già Brancati. E piena di furie: rapida, senza riflettere. L’inimicizia isolana Brancati soprattutto spiega, “I due nemici” (ora in “Scritti per il “Corriere” 1942-943”), furiosa come l’amicizia. Inspiegabile, ma effettiva.

La Sicilia come porta del mito, si dice, che per i siciliani è realtà: l’eccesso. Che in Sicilia è mentale, malgrado i turgori e la natura amica – i terremoti ne risparmiano le antichità. Malgrado i dolci, i vini, i mari.

Vittima – costante, senza eccezioni – del suo spirito “tragediatore”: da Lampedusa allo stesso Sciascia, e a Riina naturalmente, Badalamenti, Inzerillo e gli altri balordi. Si può essere certi che tutti  siciliani ci cascano, anche quelli di maggior fortuna a “Milano”, negli affari, come Sindona e Dell’Utri. Solo Cuccia vi sottrasse, riconoscendosi siciliano ma tenendosi lontano dall’isola. Dalla sindrome del potere, che la mafia si rappresenta come opera dei pupi.

Ha il record delle grandi opere incompiute, una su quattro Italia, imbattibile. Lo spreco suntuario è sempre stato la caratteristica isolana. Solo che altrove, e in mota dottrina, il lusso è considerato il motore dello sviluppo, in Sicilia invece della dépense, dello spreco. La spesa suntuaria si fa come ostentazione e si porta a titolo di nobiltà dai paffuti parvenu isolani della politica, i “vasavasa” e i corrotti. Come se l’aristocrazia fosse scema. .

Piero Chiara, scrittore lombardo, anzi del lago Maggiore, anzi di Luino, era di padre siciliano, trasferito in Lombardia, ala frontiera con la Svizzera, come agente delle dogane. .Il genitore di cui conserva il ricordo, benché fosse sui cinquanta quando si sposò ed ebbe il figlio. Ma senza mai un accenno alla Sicilia, nemmeno del padre, nei ricordi del figlio. Le radici sono un fatto culturale: psicologico, storico – temporaneo. Sono una delle ardici del leghismo, che sia impositivo, di superchieria, o negativo, di rivolta. 

Sciascia non si voleva “scrittore siciliano”, nella corrispondenza con l’ultimo e definitivo “editore” da lui scelto, Adelphi (“critica sempre mossa ai Verga e ai Pirandello”), ma – così sintetizza Piero Melati sul “Venerdì di Repubblica”, “scrittore italiano che conosce bene la Sicilia (come metafora) e autore di portata europea”.

leuzzi@antiit.eu 

Montalbano svaria

Il ritorno di Montalbano è da camera. In tutt’e due i sensi: vita in famiglia, con cagnolino, e orchestrazione frugale, con pochi interni. Gli ascolti sono record, ma il budget evidentemente è limitato – o Sironi ha  perso l’estro?
Con qualche svarione in sceneggiatura. Il maggiore è che la vittima conosceva l’assassino e lo gradiva - Camilleri dormiva, o chi per lui?
Alberto Sironi, Una faccenda delicata

lunedì 29 febbraio 2016

Se perde la destra non perde Salvini

Non perdere perdendo, è  la linea Salvini. Evitare un voto sulla sua Lega, annegandone le sorti in quelle di tutta la destra, alla cui sconfitta lavora. Sembra una strategia balorda, ma ha un senso: la sconfitta sarà di tutta la destra e non della Lega. In pratica: non sottoporre a giudizio la sua gestione del partito.
È la tattica di Renzi, e dunque non peregrina: allungare il giudizio sulle rispettive gestioni di partito. Per la crescita esponenziale del “terzo incomodo” nello schieramento elettorale di cui è ora rischioso sottovalutare l’incidenza: i Cinque Stelle, le candidature autonome nelle amministrative, l’astensionismo.
La tattica di Salvini è stata esplicita a Roma nella due giorni di primarie da piccola fiera di paese. A Roma la destra ha una base elettorale ampia, ma non della Lega. Ma i leghisti di Roma sono convinti che anche a Milano, seppure non in modo plateale come a Roma, Salvini farà mancare l’appoggio del partito al candidato della destra. Con più efficacia, potendo contare su un elettorato stabilmente ampio.

Ombre - 306

L’Europa è in deflazione: non si investe, non si consuma, non circola il denaro. Dopo sette anni di crisi, finanziaria e produttiva. Ma il presidente della Bundesbank Weidmann insiste che non è vero. Weidmann è uno che non ha titoli né pedigree – era uno della segreteria di Angela Merkel, laureato in Economia (con la laurea breve, non quella dottorale, in Germania fa molta differenza). Ma non è un cretino. Prova ne è che in Italia, per esempio, è molto rispettato. È il grilletto (grulletto) della speculazione?
Vivono ancora italiani che negli anni del Fronte Popolare in Francia furono vessati dalla polizia per ordine del governo – socialista e radical-socialista, appoggiato dai comunisti. È socialista il governo che oggi impegna mezzo esercito a smantellare a Calais le bidonville degli immigrati, lasciandoli senza rifugio alle intemperie.  Quello che in Italia minaccia di fare – ma non fa – Salvini con i campi rom.
Insipienza politica, quella all’opera a Calais dopo Ventimiglia. Ma anche insensibilità.

Dunque, la National Security Agency intercettava anche Berlusconi. Illegalmente, ma nell’ambito della normativa antiterrorismo di Bush. Pretestuosa nel caso dell’Italia, come della Germania, della Francia e del Giappone, altri casi messi in chiaro da wikileaks. Il fatto è che Obama ha lasciato intatti nella sua lunga presidenza gli evidenti abusi di Bush jr.
A meno che Berlusconi non fosse intercettato in quanto “amico di Putin” e “amico di Nethanyahu”.  Che è ridicolo, ma è probabilmente il vero motivo per cui era intercettato.
E com’è che wikileaks pubblica questi documenti? Prima aveva un’antenna, che però è stato scoperto e sanzionato. Sono documenti selettivi, selezionati: se pubblicato alla rinfusa, il dossier avrebbe contenuto altre intercettazioni. Invece solo quelle di alcuni. È per rendere un servizio a Berlusconi, che annaspa, oppure per affondarlo? È inutile chiedersi il perché. Ma la scelta e il tempo non sono casuali. Non c’è mai verità nello spionaggio.
Giovedì Weidmann, il presidente della Bundesbank, afferma che non c’è la deflazione in Europa. Il suo richiamo ha grande richiamo. Anche perché è rivolto alla Banca centrale europea, un invito a non ridurre ancora il costo del denaro, con i tassi negativi. Venerdì l’Istat tedesco comunica che la Germania è in deflazione a febbraio, come già dodici mesi prima. Silenzio: nessuno che rinfacci a Weidmann la sua faccia tosta, o l’incapacità.
Weidmann è un totem per l’informazione economica. È anche una benedizione per le banche d’affari e gli affaristi di Borsa, che informano l’informazione:  con lui si guadagna grosso.
La Juventus avrebbe potuto battere il Bayern se non avesse sbagliato la partita, arroccandosi in difesa. Lo 0-0 il suo allenatore prospettava come migliore risultato possibile. Ciononostante viene esaltata: “Cuore e orgoglio”, “Prova di maturità”, “Prova di forza”, etc.  Si dà per scontato che la migliore squadra italiana non sia competitiva: lo straniero è sempre migliore, il tedesco poi è imbattibile.

Il sindaco di Londra vota e invita a votare per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Da europeista, dice, perché la Ue non è l’Europa: si occupa delle sciocchezze, come proibire il riuso delle bustine del tè, o lo scoppio dei palloncini dei bambini. Ma anche l’accordo del suo collega di partito Cameron con la Ue non è male, quanto a ridicolo. 
Vista a  Sanremo, la maestra Marzia che a Ceresole Reale  ha solp due bambini a scuola, sembra spigliata e gradevole, non una che rincorre un ragazzetto più giovane di lei di quindici anni, uno svitato, e non per un rapporto scappa e fuggi, no, per sei mesi, facendosi truffare di soldi, macchina e altro. Uno svitato che è anche un assassino, forse compulsivo. Il femminicidio è anche autolesionismo.

“In Europa ormai si immatricolano più suv (sport utility vehicle) e crossover  che vetture compatte”. Motofurgoni da campagna senza la campagna, giusto per l’ingombro – sentirsi grandi, più alti, più robusti, letali nell’impatto.  I supplementi quattroruote dei giornali celebrano il lieto evento. Un mese si firma a Parigi il dimezzamento delle emissioni inquinanti, il mese si brinda alle emissioni.

Giornali e giornalisti emozionati, entusiasti, pindarici per Mourinho che rimette piede su suolo ambrosiano. Uno che li trattava malissimo e li ingiuriava. Saranno tutti interisti?

Senza Totti, senza Totti capitano, l’ombra incombente, la Roma e Spalletti vincono e anzi ritornano dal centro classifica al vertice, in sei o sette partite. Ma la città è con Totti. Non per affetto, gli dà proprio ragione: deve da gioca’. Si può scegliere il peggio in cambio di niente: l’opinione non sempre ha ragione – e nel voto ?

La Fondazione Rcs discute (25 febbraio) “L’Arabia Saudita verso la perdita dell’egemonia”. Che però non ha mai avuto: l’ha acquistata, coi  petrodollari, e non può pagarla in eterno. Il paese e il reame è patrimoniale, da cui dipende l’economia (l’energia), e buona parte della finanza, del mondo intero, Cina e Europa in primo luogo.

Eco strutturalista senza saperlo

La lettura più vivace dell’opera più celebre di Eco sono le prefazioni successive, e l’appendice. Le prime sono anche la lettura più “echiana”- disinvolta e mirata allo stesso tempo, appuntita: Eco ha fatto la semiologia dell’opera d’arte – l’opera d’arte come linguaggio dell’informazione – senza saperlo. La scrisse nel 1961 e la pubblicò nel 1962. Senza aver mai letto Lévi-Strauss, né Saussure, Jakobson, i formalisti russi – dei semiologi. Questi nomi ricorrono in nota nelle edizioni correnti dell’opera ma sono sono letture successive, suggerite da François Wahl, il direttore delle edizioni parigine du Seuil. Quanto a Barthes, “naturalmente conoscevo già Barthes, come amico e come autore, ma il Barthes semiologo e strutturalista” ancora non c’era – il che è anche non vero.
Il titolo è mediato dalla “Società aperta” di Popper, già classico all’epoca, non citato - anchesso ignoto? La teoria dell’informazione è la cibernetica di Norbert Wiener, che invece ha largo posto.
L’opera d’arte in funzione della teoria dell’informazione, per di più, è analizzata soprattutto in forma musicale, della musica seriale o dodecafonica, su base tonale. Che si presta alla teoria dell’informazione ma meno, se non affatto, a quelle dell’estetica – in fondo è il solito “rovesciamento” della logica teutonica, come se si volesse dare tono melodico all’urlo, e viceversa, nell’indifferenza alluna e allaltra forma espressiva. A meno che, come fa Eco, la musica non sia ridotta a suono.
È l’“opera aperta” dell’Eco avanguardista, una sorta di tamburo maggiore dell’innovazione. Che si ripeterà – più consistente – in “Le forme del contenuto” dieci anni dopo. Di cui qui volle che si includesse il saggio-messaggio “Generazione di messaggi estetici in una lingua edenica”, un esercizio inconcludente, quasi aristofanesco, sulla mela e il divieto: “Adamo ci ha insegnato che, per ristrutturare i codici, bisogna anzitutto provare a riscrivere i messaggi”. Senza citare McLuhan, “Gli strumenti del comunicare”, “Il medium è il messaggio”, nel 1971 già opere di divulgazione. Eco o della dotta ignoranza? Sarebbe un bel tema per Eco.
Umberto Eco, Opera aperta

domenica 28 febbraio 2016

Berlusconi il Fascista - 18

Perché Berlusconi è fascista? Perché sua madre si chiamava Rosa, e anche quella di Mussolini. F.to: Asor Rosa.
Ma, allora, Asor Rosa - Rosa due volte?

La guerra in Libia è contro Parigi e Londra

Si faranno due guerre in Libia, una Usa-Italia, col beneplacito dell’Onu, e una Francia-Gran Bretagna? Fino ad ora sì, anche se la guerra non è dichiarata. Fu così che si fece nel 2011. Non una guerra tra i due schieramenti, ma una guerra dei due schieramenti, per una diversa idea della Libia. Ognuno naturalmente chiamato da un legittimo soggetto libico – l’asse Usa-Italia anche dall’Onu.
I due schieramenti combattono per due diverse soluzioni. Quelo Usa-Italia per una Libia unita, Francia e Inghilterra per la tripartizione, tra Bengasi, Tripoli e il Fezzan, ognuno in mano a potentati locali affiliati, a Londra quello di Bengasi, alla Francia quello del Sud sahariano.
È un modo di essere dell’Europa all’insegna delle vecchie rivalità coloniali. Ma non sorprendente: non c’è altra politica europea in materia di sicurezza e di difesa. Al punto che la Direzione politica estera e sicurezza di Bruxelles, quella Federica Mogherini, si astiene perfino dalle rituali dichiarazioni di buoni principi nelle quali si risolve.
La tripartizione della Libia è un vecchia idea anglo-francese, di quando l’Egitto era protettorato britannico e il Sud Sahara colonia francese. Con Bengasi (Cirenaica) legata all’Egitto e il Fezzan al Ciad e al Niger. Allora in chiave di politica coloniale. Sarkozy la rilanciò con l’intervento unilaterale del 2011, mirando alla suddivisione dei giacimenti di petrolio. 

L’eurosuicidio assistito, dalla Bundesbank

Giovedì Weidmann, il presidente della Bundesbank, ha ammonito la Banca centrale europea a non insistere nella politica anti-deflazione: “Non c’è deflazione”, ha detto. Venerdì l’Istat tedesco ha comunicato che a febbraio l’inflazione in Germania è tornata negativa, come già un anno prima. Mentre gli araldi dei mercati finanziari, “Financial Times” e “Economist”, invocavano “carrettate di liquidità”. E i ministri del Tesoro del G-20 a Pechino discutevano di come evitare “il caso Giappone”, la deflazione ormai venticinquennale, il ristagno.
Weidmann aveva dati sbagliati? No, sapeva già che i prezzi in Germania vanno al ribasso. Non c’è un rischio deflazione, ha detto, “anche se nei prossimi mesi l’inflazione tornasse sotto zero”. E le proiezioni per il 2016, ha anzi aggiunto, di una lievitazione dei prezzi dell’1 per cento, saranno ridimensionate. Ma ha insistito: “La Bce non deve farsi influenzare dalle aspettative di breve termine dei mercati finanziari”, dalla richiesta di maggiore liquidità.
Il problema di Weidmann non è il ristagno delle economie dell’euro, dopo la grave crisi bancaria e del debito. Che se prolungato equivale a un suicidio, lento ma ferale. Dell’economia, del fondo dell’economia, non parla mai. Il problema del’euro è come liberarsi da tanta insolente ottusità.

C’era una volta Gheddafi, contro lo Stato islamico

L’elogio del deserto. Del beduino poeta “di commovente umiltà”, “il signore degli umili e il più umile dei signori”. Dell’umanità araba anche, contro i tagliagole che si appropriano dell’islam. Il beduino dal fiero carattere, e puro, che impazzisce nella modernità. Nella figura di Gheddafi alle sue ultime ore, solo e solitario, tra le macerie – squallore, tradimenti, ebetudine. Un assunto formidabile. Ma un nodo che il racconto non scioglie, tra il rigurgito etnico inevitabile, nello scrittore algerino di Francia, e un rais indifendibile – arbitrario, violento, vaneggiante, come tutti i dittatori.
Yasmina Khadra ritorna da qualche tempo alle radici africane e arabe. Risospinto forse dall’intelligentsia parigina che lo tiene in punta di bastone. Ma ci trova personaggi e situazioni indifendibili: Saddam Hussein, Gheddafi, i ladroni sub sahariani. Dei primi due fa l’elogio. Saddam: “Le mie università laureavano genî. Bagdad festeggiava ogni sera”. Gheddafi è stato l’unica “Guida”, per “trecentocinquanta milioni di pecoroni”, gli arabi: “Non produciamo neanche  i cucchiaini con cui zuccheriamo il tè. Una massa di giocatori d’azzardo”. Rimpianti come tutti i dittatori, da Stalin a Chàvez. Ma cui è forse impossibile dare consistenza fuori dell’immaginario. Dell’immagine che loro stessi si sono costruita.

Con Gheddafi il suo scrittore ha anche qualche torto – da buon algerino che ignora tutto dei vicini? Ricorda correttamente come si fosse fatto da solo, fuori dalle cabile e dalle cordate di potere. E fosse invece isolato dai confratelli arabi, al Cairo e altrove, come “il Pazzo”, benché avesse fatto da Libia tribale un paese ricco. Ma lo dice bastardo di un aviatore francese. Stupratore di ogni donna che incontra. E un arricchito. Le solite melensaggini dei servizi britannici, e francesi. In una Libia il cui re Senussi – c’era il re prima di Gheddafi – sarebbe stato un algerino. E senza mai un italiano, solo tedeschi, oltre ai francesi. Anche nel Fezzan, dove il padre putativo di Gheddafi, un corso, viene abbattuto nel 1941 da un caccia tedesco – nel Fezzan?
Ma il nodo irrisolto è probabilmente quello dello stesso scrittore. Di uno che ha combattuto da militare, la sua prima vita, i tagliagole arabi che si richiamano all’islam, e per questo è stato e resta isolato a Parigi, la sua nuova vita. Anche qui le pagine migliori le ha contro i cosiddetti fondamentalisti, che ha conosciuto bene in Algeria, nel primo tentativo di stato islamico un quarto di secolo fa, finito in una guerra civile da mezzo milione di morti.
Yasmina Khadra, L’ultima notte del Rais, Sellerio, pp. 165 € 15