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sabato 2 giugno 2018

Problemi di base governativi - 422

spock

Le manifestazioni del Pd ieri a Roma e Milano per la Costituzione erano più notevoli per i pochi partecipanti o per la loro età?

Dove sono i tre milioni che Cofferati mobilitava a Roma solo quindici anni fa, non si sa nemmeno per che causa?

Ma no, furono mobilitati per difendere l’art. 18 – con che esito?

Cofferati?

Mattarella si fa triste e arrabbiato quando vede Conte, o Salvini, o Di Maio – lo fa per accrescergli i consensi?

Quanto vede o sente i democristiani tedeschi, invece, Mattarella è contento: si immagina Federico II?

È un po’ che i giudici latitano: che succede?

spock@antiit.eu

La peste tedesca e i suoi monatti

Se è la peste, da dove viene l’infezione? La domanda non si fa, mentre dilaga l’allarme.
La domanda si pone con la copertina violenta di “Der Spiegel”, il diffusissimo settimanale tedesco, ieri in edicola (oggi in Italia), non mutata di una virgola malgrado le polemiche e le proteste. Con lo spaghetto in forma di cappio e la dicitura: “Ciao amore! L’Italia si autodistrugge e trascina l’Europa con sé”.
Questo disprezzo – si dice paura ma è disprezzo - in Germania è un luogo comune. Non da ora. Non solo contro l’Italia. Tutto dà fastidio ai tedeschi uniti – ai giornali tedeschi, agli economisti tedeschi, ai consulenti e commentatori, ai politici, di tutti i partiti. Anche a quelli che vivono o lavorano fuori – compresi i direttori tedeschi messi da Franceschini a capo dei musei: si lamentano molto. Perché è un’altra Germania dopo la riunificazione, non più quella di Bonn, con cui l’Europa unita si è fatta.
Il bacillo della peste è la crisi perdurante, dopo dieci anni. Con presunti salari di pochi euro (e molta assistenza pubblica) in Germania. Con l’inoccupazione dei giovani in Italia, l’impasse ormai senza via d’uscita di una generazione, di venti-trentenni. La crisi è perdurante per la volontà politica della stessa Germania, che impone un’economia basata sulle esportazioni, e quindi su salari compressi e una distribuzione del reddito asfittica.
Il problema è la Germania e non l’Italia. E a questo punto irrisolvibile. Per l’Italia come per la stessa Francia, che pure l’opinione in Germania fa finta di rispettare, perdurando la colpa, e per ogni altro, specie per gli slavi, occidentali (Polonia, etc.) e meridionali (Slovenia, etc.) – non più per la Gran Bretagna, non per altro se ne è tirata fuori. L’insistenza di Mattarella, con la crisi del non-governo e il suo sguardo dell’ira, a portare l’Italia con le brache calate di fronte a questa “Europa” indebolisce il già debole potere contrattuale dell’Italia, effetto del debito. Paradossalmente, difendono l’Europa quelli che dicono che bisogna rivedere i conti.

La lingua si scioglie, col voto

La storia dell’Italia negli ultimi quarant’anni si può riassumere così. Ha tentato di liberarsi della vecchia politica compromissoria con i referendum e con la destra, dopo decenni in cui il voto era radicato, gli spostamenti a ogni elezione non superavano i 5 punti percentuali, due milioni-due milioni e mezzo di elettori, gli spostamenti. Non c’è riuscita. E ora tenta con i “nuovi”, i leghisti di Salvini e i grillini. È una spiegazione semplice, ma la verità è semplice.  
Semplicistica? No, il voto in questa direzione è ormai insistente, da due generazioni. E quindi è ponderato – pensato, riflettuto. E in pochi giorni è cresciuto dal 50 al 60 per cento.
Facile dirlo l’esito del vecchio regime che Mattarella ha voluto incarnare e tuttora incarna. Avendo provato a imbavagliarlo col non governo. E col viso dell’arme perfino ai Fori imperiali stamani.
Ne è specchio il linguaggio. Sciolto quello dei “nuovi” - sciolto dalla lingua di legno che il compromesso ha imposto alla politica. Sbiadito e irritante quello della persistente immutabile compromissione: sprezzante, autoreferente (pieno di buone ragioni, di sé), paternalistico. Lo si vede in ogni espressione dell’opinione pubblica che conta, giornali e tv -che presume di contare. E nella stessa rete, che è l’unico sbocco aperto ai “nuovi”, ma con presenze compromissorie preponderanti. Con grave crisi di questa stessa opinione, in termini quantificabili, di lettori, e di audience - molta tv trascina gli stessi spettatori da un talk-show all’altro: sono come le vacche che si facevano vedere una volta a Fanfani in Calabria.
Quale che sia il futuro politico dei “nuovi”, il linguaggio è nuovo. Semplice, diretto. Mentre l’opinione pubblica che si presume qualificata è sempre più residuale. Incistata in schemi ripetitivi, e linguaggio tanto povero quanto pieno di sé – superiore, moralmente, esteticamente. Dei tormentoni. Che si direbbero, volendo razionalizzare, esito di un Grande Manovratore, tanto sono uguali e conformi. E invece ripetono l’incapacità: roba da vecchio centralismo democratico senza più un centro,  ripetitivi, conformistici. Se ne spiega la crisi: dopo venti anni di anti-Berlusconi, ora tutti contro il governo, e i due partiti che lo formano. Ma senza fare l’opinione, che i sondaggi dicono muoversi velocemente in senso inverso.


Montalbano traditore

Due morti, quasi tre, senza assassinio, senza assassini. E tre passioni. Per il teatro, sublimata al limite della follia – il similvero invece del verosimile. Per la patria e l’umanità, come sempre in Camilleri: qui per i giovani cui un mondo viene lasciato senza futuro – senza lavoro. E la passione amorosa: Montalbano s’innamora, di brutto, una passione che non lo fa ragionare – non lo fa dormire, non lo fa mangiare, lo straluna, le solite cose.
È un altro Montalbano. Con rigaggio inutile – nato forse nella perplessità? Con squarci lirici, mediati da Patrizia Cavalli, Szymborska, e l’inevitabile Neruda. Poco reattivo oppure brusco, insocievole. Ma più che mai si conferma il vecchio “fascistone” – come spiega la sua irresistibile giovane passione amorosa (e la non cura di Livia). Uno di quelli dell’Io-io, tanto buono.
Andrea Camilleri, Il metodo Catalanotti, Sellerio, pp. 293 € 14

venerdì 1 giugno 2018

Ombre - 418

“Dei 187 prodotti colpiti dai dazi Usa, 103 sono del settore ferro e acciaio: semilavorati siderurgici, barre, tubi, cavi”. “Le contromisure Ue ai dazi Usa prevedono maggiorazioni del 25 per cento sui prodotti made in Usa più noti, come le sigarette, i jeans Levi’s e le moto Harley Davidson. Ma anche maglioni di lana, t-shirt e kit per il trucco” – “Corriere della sera”. E magari è anche vero.

Si presentano le bio dei nuovi ministri con la professione, l’età e lo stato civile. Che per gli uomini si declina così: “Coniugato, con una moglie…”. Riflesso islamico?

Applausi dei giornalisti al Quirinale per Cottarelli che dice il suo incarico terminato. Era il candidato dei giornalisti? No, i giornalisti in Italia fanno il tifo. Succedeva alle assemblee Fiat, dopo che aveva parlato l’Avvocato. Con imbarazzo dei non italiani.
È vero che in Italia si applaude ora anche ai funerali.

Nella schiera degli anti-Lega, l’“Avvenire” fino a ieri metteva in guardia contro Savona, mano armata di Putin. È stato ministro nel governo Ciampi, ricordava, “anche quello legato alla Russia”. Ciampi legato alla Russia? Non c’è più religione, il giornale dei vescovi che pubblica informative dei servizi segreti

Scalfari si fa spiegare da Veltroni il grande futuro del Pd. Dallo stesso Veltroni avviato alla fine appena nato - con Obama, il mercato e tutto il resto. È l’età? O Scalfari l’anticomunista in segreto gongola?
Il grande futuro del Pd, dice Veltroni, è con Gentiloni...

Moody’s annuncia che mette sotto revisione, cioè ne declasserà il rating, dodici banche italiane e sei grandi aziende di servizi. Tra questi i nomi migliori e più solidi in Europa: Sanpaolo, Unicredit, Mediobanca, Cassa Depositi e Prestiti, Fca Bank , Eni, Poste… Mentre dà tre A, il massimo, a Deutsche Bank, che è la banca europea più disastrata, in rosso da due anni e a rischio insolvenza.
Anche la vigilanza Bce tratta Deutsche Bank con deferenza.

Il presidente della Commissione europea Juncker, a crisi politica e mercati aperti, dice saggio: “Gli italiani lavorino di più e siano meno corrotti”. Lui non lo è, che del suo paese ha fatto un paradiso fiscale, per il comodo di tutti i ricchi, europei e non. O il tedesco Oettinger, uno che è stato mandato a Bruxelles perché dava fastidio a casa, che maledice: “I mercati daranno una lezione agli elettori italiani”.  Poi uno dice Savona: non c’è altra Europa.

Nei cinque giorni di crisi aperta dal Quirinale, dagli Stati Uniti sono arrivati acquisti a sostegno del debito italiano, dall’Europa stravendite. Non è questione di solidarietà politica, i fondi americani non ne hanno, ma di vederci più o meno chiaro, in un quadro di buona volontà. L’Europa è bottegaia, si diceva una volta, ognuno guarda il suo piccolo beneficio.

“La Stampa-la Repubblica” e “Corriere della sera” non risparmiano firme e argomenti per dire che il caos è di Salvini e Di Maio, quando è sotto l’occhio di tutti che lo ha creato e alimentato Mattarella. Con Savona, senza Savona, eccetera, Cottarelli, non Contarelli, Conte, senza Conte. Di due ragazzotti facendo, al confronto, due statisti, perfino ponderati, responsabili. Voglia di (auto)dissoluzione? Le due proprietà sono come la Rai, stanno in ansia, hanno da perdere? Negare l’evidenza è assurdo – non lo fa nemmeno il Pd.

“Caos governo” è testata fissa di Sky tg 24 da domenica. Senza però dire come e perché si è arrivati, e si sta, nel caos. Si dirà la sindrome Mattarella.

Il “Corriere della sera” balza come Froome al comando del gruppone anti-Trump, in un colpo solo. Martedì architetta con Pino Sarcina obbediente mezza pagina contro Trump figlia. Rea di avere postato una foto col figlio suo più piccolo. “Ivanka insensibile sulle famiglie divise”, tuona il giornalone di Cairo. Vogliono farci diventare simpatici i Trump?

Ma Cairo è un venditore di pubblicità. Che sia un nuovo filone, introdurre il thrilling del gossip per le vendite kinder? Con mamma, senza mamma – che vorrà dire le mamme divise, quelle dell’utero in affitto?

Perché Elia Viviani si ferma all’ultima pedalata dell’ultima tappa del Giro d’Italia ai Fori imperiali a Roma? Deve vincere Bennett, per un premio speciale con tre vittorie – Viviani tre le ha già in carniere? Per ragioni di scuderie? Per amicizia sincera? Ci sono nello sport da qualche tempo troppe cose incomprensibili. Viviani accelera da paura, poi si ferma alla penultima pedalata, quando invece l’istinto spinge ad accelerare allo spasimo.

Inverosimile l’interpolazione del papa Francesco nella noiosa telecronaca della noiosissima ultima tappa del giro d’Italia a Roma. Francesco che benedice le acque. Che bacia i bambini… Per non deludere gli sponsor del Giro?

Il giorno dopo il teledramma del governo Conte bocciato, quattordici pagine del “Corriere della sera” in lode dell’Europa che Mattarella ha salvato per noi. Se non che, alla quindicesima, zàcchete,: “La Germania rigida solo con gli altri è un grande ostacolo per gli europeisti degli altri paesi”. Quattordici colpi al cerchio e uno alla botte? 

“Il disorientamento dell’era Trump”, Masha Gessen. “Il presidente Trump è miglior scassa accordi che uomo d’affari”, Susan B. Glasser. “L’ordine mondiale in implosione di Trump”, Robin Wright. “Il vertice con la Corea del Nord era una fantasia trumpiana dall’inizio”, John Cassidy. “I pericoli crescenti di una nuova corsa alle armi nucleari”, Erich Schlosser. I migliori columnist politici sono attivati dal “New Yorker”. Questo venerdì 25. Sabato silenzio. Ci vogliono “vendere” Trump?

 “A un certo punto Dalla Chiesa ci ordinò: «Basta inviare rapporti ai magistrati». Le Br ci avevano schedati tutti”. Tutti i membri del nucleo speciale antiterrorismo di Dalla Chiesa. Non le spara grosse ma le dice terrificanti il generale dei Carabinieri Sechi a Stefano Lorenzetto sul “Corriere della sera”. Di Marco Donat Cattin: “Mentre era in clandestinità, la madre Amelia ogni settimana gli portava il ricambio della biancheria”.
Perché si vuole che il terrorismo in Italia sia stato senza padri, e senza madri?

La connivenza dei giudici con i terroristi è un capitolo impraticabile. Ma non controverso, per molti fatti evidenti. Di Caselli, “un amico intelligente”, il generale Sechi ricorda. “All’inizio era ideologizzato anche lui. Quando Maria Teresa Ropoli, compagna di Peci, scrisse «Viva le Br» sui muri della Singer di Leinì, non fece nulla”.

Un’ultima traccia Sechi delinea, forse controvertibile, ma agghiacciante: “Le Br erano un’ideologia di sistema. Alle spalle avevano grandi imprenditori che pensavano di mantenere il potere anche con la dittatura del proletariato. I brigatisti erano coccolati dalla Torino bene”. Ma Lorenzetto purtroppo non chiede chi.

La prima donna della storia del computer - anche il primo uomo

Scommetteva sui cavalli – un vizio (oggi ludopatia) che la costrinse a impegnare più volte i gioielli, e la emarginò socialmente. Ma fu l’unica cosa che ebbe in comune col padre, lord Byron – che peraltro non scommetteva se non sulla sua vita: un’eccentricità tra le tante, folle. Per il resto  la figlia della mamma, Annabella (Anne Isabelle, “Annabella”) Millbanke.
La madre è la nobildonna da cui Byron divorziò pochi mesi dopo la nascita di Ada – non per un’altra donna o un’altra storia, così. Annabella stava dai suoi genitori, Byron con la sorellastra Augusta, e Annabella fece circolare la voce chela  abbandonasse per una relazione incestuosa con la sorella. Byron emigrerà, e non cercherà mai né Annabella né la figlia Ada. Se non in punto di morte, in Grecia, il 19 aprile 1824 – aveva solo 36 anni.
Sola e non bella, Ada Lovelace sarà un genio del calcolo. Pioniera dell’informatica, oggi accreditata “inventrice” del computer, ben un secolo e mezzo prima del primo prototipo.
La bio della figlia è anche un modo per (ri)parlare di un dimenticato poeta e personaggio. Padre reprensibile, ma in un matrimonio imposto. Dai debiti e da una suocera cacciatrice di titoli. Con una donna matematica e teologa, pudica, frigida e pedante - “Tra noi non c’era neanche una scintilla d’amore”, scriverà il romanticissimo poeta. Ma soprattutto si legge come un quadro quasi inedito dell’Inghilterra pre-vittoriana, in piena rivoluzione industriale, ribollente di energie fino alla spregiudicatezza, senza i corsetti e le stecche del conformismo che la avviluperanno.
Seymour tira Annabella, donna molto impegnata socialmente, fuori dal cliché della rigida beghina. È una donna che pure ebbe un rapporto non casuale con l’uomo forse più mercuriale dei suoi anni. E seppe stare dietro a una figlia geniale, disastrata sul piano personale, tra follie e malattie – morirà anche lei a 36 anni, di cancro.
Ada è la prima donna della storia del computer, e anche il primo uomo, il primo ideatore, Ada Augusta (dal nome della “ziastra”) Byron. A 21 anni sposata al conte di Lovelace, dal quale prese il nome. Tenuta costantemente in urto contro la memoria del padre dalla madre, se ne liberò col matrimonio. Prendendo rapporti con la figlia di Augusta, secondo la madre sua sorellastra, e con la sorellastra, questa accertata, figlia di Caire Clairmont, la sorella di Mary Clairmont Shelley (“Frankestein”). La malattia che la condurrà alla morte la obbligò, controvoglia, alle cure e al controllo della madre.
Non una vita felice, ma piena di interessi. A lei si deve l’idea che un computer deve essere  programmabile. Traducendo nel 1843 un articolo di Luigi Menabrea sul “motore analitico” di Charles Babbage, Ada lo arricchì di una serie di note, tra le quali il primo algoritmo inteso a far funzionare una macchina. Cioè il primo programma di un computer. Al quale peraltro, nelle stesse note, predisse la possibilità di un uso più esteso che le quattro operazioni aritmetiche.
(Luigi Menabrea, allora trentatreenne, è lo stesso Federico Luigi Menabrea che sarà generale e presidente del consiglio di Vittorio Emanuele II dopo Rattazzi, il terzo dell’Italia unita, primo conte Menabrea, primo marchese di Valdora. Savoiardo di Chambéry, si era laureato ingegnere a Torino, con dottorato in matematica applicata. Un’altra soria-periodo che andrebbe riraccontata – siamo fermi a Cavour, e ancora…).
Miranda Seymour, In Byron’s Wake, Simon & Schuster, pp. 550 € 28,50

giovedì 31 maggio 2018

I due linguaggi

La partita politica lunga sei giorni imposta dall’arbitro Quirinale ha definito due linguaggi. Il presidente designato Conte ha ricevuto i risparmiatori truffati dalle banche, ha riempito in due giorni le caselle di governo, ha detto asciutto che Mattarella non lo voleva più, e quando Mattarella lo ha richiamato è arrivato in taxi, senza i lampeggianti e le sgommate della sicurezza – costosissima - di parata. Un non politico che parla un linguaggio diretto.
Contro “Conte”, cioè contro la maggioranza che lo sostiene, e il suo ipotetico governo, ma anche a suo favore, un altro linguaggio: commenti chilometrici e sdilinquimenti per partito preso. Di partito in senso proprio, di corrente di partito, di orientamento, di schieramento – la sinistra, la destra, eccetera, e il populismo. Senza contare le voci dei bene informati, dal Quirinale o da fonti ignote. In tutte le sedi dell’informazione, giornali e tv.
Da una parte un linguaggio che si dice nuovo, e invece è chiaro. E intelligente, cioè “parlante”, performante. Dall’altrail linguaggio dell’inerzia mentale, della rendita. E la verità comincia dal linguaggio – si capiscono gli elettori del 4 marzo.

I conti di Mattarella

O l’Itaglia delle meraviglie

Scaricato
il presidente incaricato
si punta alla carlona
contro Savona

Ma il ponte s’e rotto
il conte presidente
avendo licenziato
- dal dentista, presto

Mentre Contarelli
ministri incasella
travicelli del governo
degli stenterelli

Alta garrisce
sulla torretta
l’Itaglietta
delle meraviglie

Letture - 346

letterautore 


Biforcuta – All’origine lo era la lingua in senso proprio. Dei cingalesi nella geografia immaginaria di Diodoro Siculo. Secondo il quale gli abitanti di Taprobane (Ceylon, oggi Sri Lanka) avevano una “lingua doppia fino alla radice e divisa; con una parte parlano a uno, con l’altra a un altro”.

Claire Clairmont – Sorella di Mary Clairmont, l’amante d Shelely. Fu, con la sorella e Shelley, ospite di Byron a Ginevra, dove Mary scrisse “Frankestein”. Lei invece rimase incinta di Byron, dopo una notte insieme. In seguito sarebbe rimasta incinta di Shelley.

Contesto – I vecchi tascabili, Oscar, Bur, Garzanti, perfino i Pocket, si facevano precedere negli anni 1970-1980 da una contestualizzazione. Ampia, dell’opera nell’autore, e dell’autore nell’epoca. Se l’autore era nato nel 1888, o aveva scritto nel 1925, si faceva un quadro sinottico degli eventi di quegli anni. E così poi a ogni data importante, che il nesso fosse o no diretto con l’opera. Oggi questo inquadramento si evita: bisognerebbe spiegare chi e cosa sono a loro volta i personaggi, i luoghi, gli eventi evocati nei contesti. Si leggerà di più, ma senza tela di fondo.

Dante - Si fece grande contro i suoi nemici. È l’impressione che Lars von Trier, avendo dovuto leggere anche la “Divina commedia” nella preparazione per il film “infernale” che ha portato a Cannes, ne ha tratto, dice a Arianna Finos, “la Repubblica”: “Ho ovviamente letto anche «La Divina Commedia». Anche se è molto difficile. È complicata perché Dante sta parlando dei suoi nemici, per questo l’ha progettata”.
La vendetta, aggiunge il regista, “è uno dei poteri che hanno gli artisti”.

Fantascienza – Debutta nel Seicento. Con la pluralità dei mondi di Fontenelle, 1682, l’anno dopo il passaggio di una cometa. Con i viaggi postumi di Cyrano de Bergerac, negli imperi del Sole e della Luna, 1657 (“Gli Stati e gli Imperi della Luna”) e 1662 (“Gli Stati e gli Imperi del Sole”). Meta, questa, preferita anche da John Wilkins, “Discovery of a World in the Moone”, 1638, e dal vescovo anglicano Francis Goodwin, “The Man in the Moone -  l’uomo ci arriva a mezzo di un aero-siluro propulso dagli uccelli. Anche Cyrano usa una macchina spinta da razzi. Ma la prima volta sale col principio che sarà della mongolfiera – la rugiada contenuta nelle ampolle di cui si copre è attirata dal sole, e quindi lo spinge in su.
Goodwin fu anch’esso pubblicato postumo, per fare concorrenza a Wilkins, nel 1638. Che quindi si può considerare la data d’inizio della fantascienza.

Isole – In voga nel Quattro-Cinquecento: la fantasia si esercitava su un’isola. Erano popolari gli “isolari”, i regesti di “tutte” le isole del mondo, per lo più fantastiche, anche se desunte da racconti di “viaggio”.

Italia – È tradizionalista in un pagina di Simone de Beauvoir, “Per una morale dell’ambiguità”, 57, e quindi scettica. Un paese dove si amano, si apprezzano, le cose del passato: “Queste cose sono esistite, e ciò basta a soddisfarlo”, il turista. Ma “è una tentazione che incontriamo, per esempio, anche in molti italiani, schiacciati da un passato magico e illusorio”. Illusorio forse no, ma “ai loro occhi il presente è già un futuro passato” – de Beauvoir si contraddice, e poi sconfina, comprensiva, nell’estetismo intellettuale: “Si comprende come un intellettuale fiorentino guardi con scetticismo i grandi movimenti incerti che sollevano il suo paese e che si spegneranno, come si sono smorzati i ribollimenti dei secoli scomparsi”, rifugiandosi nel culto della “bellezza che non muore mai”. In quale secolo?

Kafka – Ossessionato, prostrato, dalla colpa per inadeguatezza sessuale? È l’ipotesi di Franco Fortini, “Ventiquattro voci”, p. 221. Che lo dice mosso dalla “persuasione che l’innocenza – e in particolare quella sua, chiaramente legata ad un atteggiamento sessuofobico -  fosse un specie particolare di colpa”. Tale da necessitare una legge e una comunità. La comunità come universo carcerario. Un’obbedienza e un’attesa. .  

Latino – “Ai suoi interlocutori non convince però la sua esaltazione del latino”. Raffaella De Santis, che su “la Repubblica”, dove ha esumato la questione del liceo classico, perché non abbattiamo anche quello, pone al classicista di Oxford Nicola Gardini questa difficoltosa domanda. Voleva provare che del classico c’è bisogno?

“Chi ha studiato Cicerone ha un  vantaggio cognitivo, sa riconoscerla trappola retorica” – questo è Maurizio Bettini, sempre per l’inchiesta di Raffaella De Santis su “la Repubblica”. Non era la lingua della sintesi? D el ragionare prima di parlare?

Pasolini – Fortini (“Ventiquattro voci per un dizionario di lettere”) lo mette tra gli “amoralisti”.

Selfie – L’antiautismo Eco fa fascista, nel divertito pastiche di una recensione all’“Ulisse” appena tradotto in francese, lingua leggibile, “Ci mancava anche l’Ulisse…” (ora in “Costruire il nemico”), di critico mussoliniano. Che a “Giacomo Joyce, Davide Erberto Lawrence, Tommaso Mann, Giuliano Huxley e Andrea Gide” addebita “le forme del romanzo decadente individualista e borghese (autobiografismo, compiaciuto diarismo, psicologismo dell’autoconsapevolezza”).
Ma il critico mussoliniano Eco fa di singolare acume. È infatti una “spremuta” di una ventina di “articoli apparsi negli anni venti e trenta”, di Piovene, Malaparte, Vittorini, Anceschi, Brancati, Praz, etc. Non senza la denuncia delle “difese del Joyce dovute alle penne vendute” di Corrado Pavolini, Adelchi Baratono, Annibale Pastore, e di Linati, Benco, Montale, Cecchi e Pannunzio.
Eco si rifà all’antologia non più ristampata di Giovanni Cianci, “La fortuna di Joyce in Italia (1917-1972)”, 1974).

Sogno – Diderot, “Il sogno di D’Alembert”, ha “il sogno che sale, e il sogno che scende”. In relazione all’impulso erotico: “Il sogno è quasi sempre conseguenza di uno stato di eretismo”.
Due pagine di divagazioni poco concludenti, ma a torto espunte dalla letteratura ormai vasta, post-Freud, sulla meccanica del sogno.

Ucronia – Si esercita solo sul periodo prebellico. Robert Harris e Philip K. Dick sulla guerra vinta dall’Asse  – “Fatherland”, “The Man in the High Castle” (“La svastica su sole”) In Italia sul fascismo “perenne”: l’antologia di Gianfranco de Turris, esplicita già nel titolo, “Fantafascismo!”, 2000, prima del film in programmazione “Sono Tornato” di Milani - in aggiunta a titoli dichiaratamente apologetici. Con l’eccezione di Morselli, “Contropassato prossimo” – ma non del tutto: parte dalla Grande Guerra e arriva a Hindenburg.  

Voynich – Il codice che spopola internet, “il misteriosissimo codice tardomedievale, impenetrabile a ogni trascrizione”, tante e tali sono le crittografie che lo coprono, fu comprato “dal signor Wilfrid Voynich, commerciante di libri polacco”, nel 1912, “in un collegio gesuita vicino a Frascati”, scrive Annachiara Sacchi su “La Lettura”. Ma non era un collegio qualsiasi. È Villa Mondragone, in agro di Frascati, che all’epoca frequentava da interno Corrado Alvaro, richiuso in castigo dal padre perché non voleva studiare (se ne farà espellere). Ed era presieduto da Lorenzo Rocci, proprio lui, il grecista del vocabolario. 

letterautore@antiit.eu

Il peggio di Proust

Non ci sono marchesi. Nemmeno marchese. Il resto c’è tutto, da subito: una profusione di conti, duchi, principi, e principesse, duchesse, contesse, si perde il conto. Insieme a qualche nonno  e un po’ di zie. Più spesso in vileggiatura, iprimi anni: molto è questione di amicizie, anche interessate, e vacanze familiari. Poi ci sono le signore che offrono la cena ai giovani, per fare salotto. E la gelosia – ma ingenua, come tutto: Jean legge una lettera trasparente che lei gli ha dato da impostare, e se gliela avesse data apposta?
Jean è Marcel. Dettaglista, ripetitivo. Il brutto della “Ricerca”, più che il brogliaccio. In forma di “romanzo familiare”: la mamma e il papà sono al centro di Parigi e della Francia tutta. “La più bella poesia del mondo” è “Le lac”, del benevolo patron Lamartine. Ma non c’è altro mondo all’infuori di Jean. Una marchesa per la verità c’è, verso la fine, de Valtognes. E c’è già Bergotte. Poca roba. Un libro, il IX, intitolato “Sull’amore”, è una rassegna di milf, per lo più duchesse. C’è già il barone Charlus, si chiama conte di Lamperolles, ed entra in scena impoverito dai ricatti degli amanti, suicida –  ma con due pallottole in testa”? Ci sono le argenterie. E c’è già la “piccola frase” musicale.
Niente di memorabile, come al solito in Proust, specie dovendo sorbirselo, non si sa mai, fino in fondo. Poco anche di commestibile. Un autoritratto da giovane, X, IX, “Ritratto di uno scrittore”. L’anima dei luoghi – “I vari luoghi della terra sono anch’essi degli esseri…”. Di inedito è solo il rapporto filiale, specie con la madre. Anche la formazione, malgrado la “posa” evidente: Jean-Marcel cresce con Verlaine e Leconte de Lisle, e “una tetra noia alla lettura dei classici”, “Fedra”, “Cinna”, La Fontaine, fino a preferire “anche J.J.Weiss a Molière”. Al famoso liceo gli hanno insegnato del resto a considerare Orazio e Ovidio  “personaggi piuttosto miserelli”. E che “bisogna ammirare papà Hugo che è stato un formidabile poeta, perché era un vecchio cretino”. Snobismo su tutta la linea. Benché da prendere con l’attesa ironia, il guizzo finale non manca neanche qui, sui maestri di tanta scienza, che meglio di tutto apprezzano “assaporare orizzontalmente, distesi su una panchina, il divino nirvana” dell’oppio. E sull’autore stesso, “rassegnato a vivere di vanità, poiché tutta l’esistenza era solo vanità”, dopocena, dopo aver “scritto qualche verso parnassiano”.
Ci sono già i fiori, lunghe liste. I nomi invece sono diversi, e riaprono la noiosa ricerca di chi era chi. Dappertutto “si constatava che Jean era simpaticissimo”. Avrebbe potuto essere – forse è stato così concepito – un romanzo di formazione, di un’adolescenza ovviamente eccezionale. Ma lo snobismo lo ha soffocato presto, lasciando una prova d’incontenibile narrativa, da narratore onanista. È curioso, anche esilarante, straordinario, come tutto questo sia stato trasfigurato, riscritto daccapo, senza adattamenti, nella “Ricerca”: un miracolo. Ma bisogna voler bene a Proust.
Era un brogliaccio, di fogli sparsi e alcuni quaderni, contemporanei de “I piaceri e I giorni”, il libro del 1896, per un “romanzo” abbandonato qualche anno dopo, forse nel 1901. Rivenuto tra le carte da Bernard de Fallois, che lo ha pubblicato in tre volumi nel 1952, ordinati tematicamente più che cronologicamente. Subito tradotti ottimamente da Fortini, il miglior proustiano, per Einaudi nel 1953, in un unico volume. Nello stesso ordine che qui si riproduce. Con una traduzione rivista da Salvatore Santarelli. Introdotta con un saggio invogliante da Andrea Caterini.
Fortini prendeva le distanza dalla compilazione di De Fallois: “Contiene diversi errori, che non si sa se imputare alla stampa o al manoscritto. Per di più, si incontrano spesso pagine scritte senza la minima cura, fitte di ripetizoni, di proposizioni subordinate e relative ben lontane, non di rado, dalla fluenza e dal respiro della futura frase della «Recherche»”. É la materia bruta, brutta, che la “Ricerca” trasfigurerà
Autore di un solo libro
Proust è più cose. Voleva fare il Balzac di Fine Secolo – gli dedica anche un capitoletto (VII.II, “I quartieri d’inverno di Balzac”), ma ama troppo i suoi nobili. È così, partendo da questo “Santeuil”, che si vuole ormai autore di un solo libro, da “I piaceri e i giorni”, coevi del brogliaccio, alla “Ricerca”. Tutto è letto e gustato come propedeutico a. Tutto vi viene ricondotto, la saggistica, pure differenziata, per temi. umori, narratività, la corrispondenza, idem, la poesia, la biografia. Faticoso, e anche sbagliato. Un uomo e uno scrittore riducendo a una dimensione. Di passione unica, lo snobismo. Di sofferenza unica, la sessualità, per l’omosessualità da mascherare – del resto la soffrirà ancora Pasolini, molto dopo. Mentre è scrittore comico, di parodie, aneddoti e battute. La sua vena è cervantesiana, di ironia illimitata, o distacco critico dal mondo – sarcastico, misantropico, dietro il sorriso. E allora deciso a prendersi sul serio. Sulle cose meno serie, quali il name dropping. Di cui non avverte il ridicolo, oltre che il fastidio, procedendo come un bulldozer. .

Marcel Proust, Jean Santeuil, Theoria, pp. XXVI-801 €20 
ducendo

mercoledì 30 maggio 2018

L’inadeguatezza

Il caso governo si aggroviglia nel ridicolo – ma è un dramma, pericoloso. “Caos governo” è il titolo che Sky Tg 24 inalbera da domenica per la cronaca politica. Ma nessuno spiega il perché, mentre è qui la chiave del dramma: Mattarella è confuso? Gli si attribuiscono varie strategie, ma nessuna convince. E lui non parla, il fatto più colpevole di tutti.
Non è la prima volta che i presidenti della Repubblica s’intromettono con violenza nella politica, e tutti sono finiti male – questo sito ne ha segnalato i casi macroscopici
Mattarella è oltre: non ha una sua soluzione, per quanto sbagliata. O: tutte sono sbagliate. La lettura degli eventi di questo sito di appena ieri, “Catastrofi a catena”,
è già superata, in peggio. Col congelamento di Cottarelli. Senza dire perché e a che scopo. 
L’inadeguatezza è materia psicoanalitica da qualche tempo prevalente. Evidentemente non senza fondamento.

Appalti, fisco, abusi (120)

Si transennano a Roma undici km. in una notte. Compresi di tabelloni pubblicitari, maquettes, bandiere, pupazzi, eccetera. Si può, il committente è uno privato, il Giro d’Italia, che controlla e contesta costi e produttività.

Le transenne del Giro d’Italia spariscono la notte successiva alla “passeggiata archeologica” dei ciclisti. Quelle del comune di Roma attorno ai pini e agli altri alberi o tronchi di alberi che potrebbero cadere sono ancora lì da due mesi, dalla nevicata del primo marzo – due centimetri di neve. Una rendita per gli affitta-transenne – la corruzione si vuole spicciola.

Da aprile 2017 non si può dare al fornitore la lettura dei consumi elettrici perché il contatore è elettronico e la lettura si fa in automatico. Invece la bolletta è sempre a calcolo – calcolo media mensile, calcolo media annuale - e sempre in eccesso. Con conguaglio a lettura una volta l’anno.
Il contatore elettronico si stanca? No, bisogna non consentire all’utente di leggere la bolletta, di controllare i suoi veri costi. Con l’avallo dell’Autorità per l’Energia – è inutile protestare.

Un fondo Anima sottoscritto da metà 2015 a fine 2017 ha perso l’1,38 per cento. Un fondo Arca sottoscritto dal 2017 ha perso a fine maggio l’1,47. I due fondi più vantati da due banche diverse. E dalla stampa specializzata.

Il fulgore di Avati

La trama – il destino – è nel titolo: Dony santa. Ma il film è un altro, il racconto della scelta di una ragazza volitiva e di successo, di rinunciare a tutto, anche alla scuola, alla danza, e alla scrittura cui intende dedicarsi, per la compagnia di un ragazzo che l’ha innamorata, con uno sguardo incrociato a caso, ora che è avviato alla paralisi, muscolare e mentale.
Non un capriccio, il racconto è simbolico della potenza dell’amore. Circostanziato attraverso le ambientazioni e le reazioni ordinarie, dei genitori, che arrivano fino a una denuncia per circuizione di minorenne, del perito del tribunale, degli insegnanti e i compagni di scuola, delle compagne e la maestra di danza. Un racconto straordinariamente delicato e giusto. La ragazza, Greta Zuccheri Montanari, sta nel ruolo come se fosse la sua vita personale. Lo stesso i comprimari.
Una storia strordinariamente “precisa”, contemporanea – non tardo Ottocento-primo Novecento, di quelle cui Avati ci ha abituati. Opera di un regista-sceneggiatore ottantenne, di straordinaria sensibilità. “Questa la sfida del film, rendere vera, credibile, azzardare addirittura che diventi condivisibile la scelta di Dony”, Avati la spiega così: “Una scelta probabilmente anacronistica, contro tutto e tutti, in un presente che pare premiare solo l’egoismo”. E invece no, il presente ama le sfide impossibili. L’amore in uno sguardo è solo possibile in questo quadro. Che Avati stesso, chi altri, delinea: di una ragazza che è pesce pilota della sua classe, e con la stessa semplicità (facilità) e risolutezza decide altro. Anche di collaborare con lo psichiatra che il tribunale ha incaricato di valutarla. 
Un film che per vari aspetti avrebbe sfondato in sala, e invece è stato limitato a Rai 1 – certo non per mancanza di un distributore, le produzioni Rai ne trovano sempre. Il cinema al cinema va a finire, sarà durato giusto un secolo?
Pupi Avati, Il fulgore di Dony

martedì 29 maggio 2018

Catastrofi a catena

È inesauribile la catena di catastrofi avviata da Mattarella col rifiuto del governo 5 Stelle-Lega. Ha aperto un vuoto di potere che durerà cinque mesi, in mezzo a polemiche accesissime, e forse dieci. Un vuoto di otto mesi, o tredici, che dire pazzesco non è esagerato, specie se creato dalla presidenza della Repubblica.  Con conseguenze devastanti per il debito pubblico: la spesa per interessi in due giorni è raddoppiata, e va al triplicamento.  
Con crisi industriali ovunque, e più al Sud. Da Taranto a Atessa, fiore all’occhiello della produzione automotive che Honeywell ha chiuso, senza più, il giorno dopo il no di Mattarella. Nel mentre che, negando loro il governo, senza nessuna ragione plausibile, ha elevato 5 Stelle e Lega a partiti responsabili, affidabili. Nelle persone, perfino, dei loro piccoli demiurghi, che, al confronto, figurano sapere quello che dicono, e dicono anzi giusto: due givanottoni senza arte, vecchi goliardi, ha elevato a statisti. Un suicidio, suo proprio e, se Dio vuole, delle politiche compromissorie. Ma con gravi danni.
L’Italia sarà assente nei punti caldi internazionali in cui è impegnata direttamente che stanno per intraprendere nuovi assetti: la Libia; l’unione bancaria europea; forse la revisione di punti dei trattati europei ai quali l’Italia è specialmente sensibile, l’immigrazione, i bilanci, la difesa; le sanzioni contro la Russia; le sanzioni contro l’Iran; l’Afghanistan, dove l’Italia è presente da quindici anni come seconda forza militare dopo quella americana.
Sul fronte europeo l’italia ha avuto un primo assaggio di “cooperazione” il giorno dopo la bocciatura del governo eletto. Per fare l’unione bancaria le banche dovranno procedere a costosi aumenti di capitale, contro i rischi, eccetto le banche tedesche, che sono le sole a rischio.
L’esito indebolisce lo stesso Mattarella, anche se i propositi di incriminazione parlamentare sono rientrati. Per l’assurdità dell’iter che ha imposto al dopo voto.
Non voleva il governo 5 Stelle-Lega, lo ha detto parlandone con disprezzo in tv quando l’ha bocciato. Ma non l’ha respinto subito, in maniera da andare al nuovo voto “per colpa” dei due movimenti, con qualche possibilità di ridimensionarli. Ha traccheggiato con consultazioni doppie e triple, e consultazioni di consultazioni, e ha lasciato poi il paese nel vuoto.  Uno. Due: ha bocciato un governo che offriva tutto a tutti, tutti quelli che il Pd aveva trascurato, a partire dai risparmiatori, invece di metterlo alla prova. 

Voleva esporre Di Maio e Salvini come incapaci e irresponsabili? Ha ottenuto l’effetto opposto, ora sono statisti – relativamente, certo, più di Renzi, e di Mattarella. Alla storia che il governo fosse anti-europeo, che Mattarella adduce, non crede nessuno.  
Mattarella sperava in un governo 5 Stelle-Pd. Impraticabile per vari motivi, anche per i numeri. Ma evidentemente la sola ragione per cui ha traccheggiato. Ora, col governo di minoranza, rischia di affossare il suo partito Democratico – la protervia scatena anche i miti. Il Pd, che si è dimezzato in pochi anni, va sicuro perdente alle nuove elezioni.

I salvati

Smessi i toni da funerale delle cronache post-voto, i cronisti politici Rai sono tornati pimpanti: un  anno ancora, di posti e carriere assicurate. Il consiglio e la dirigenza hanno anche brindato. Fazio ha festeggiato facendo finta di nulla, con i suoi comici che non fanno ridere – contento perfino di farsi sorpassare all’auditel da La 7, dal non in linea Giletti.  
Festeggiano i media in generale, dopo la bocciatura del governo. Le dirigenze orgogliosamente democratiche di “Corriere della sera”, “la Repubblica-la Stampa”, i tg, anche quelli di Berlusconi, e l’intellettualità romana tutta. Mattarella ha buttato l’Italia in una voragine, ma il mondo-che-conta celebra.
Hanno sempre gli stessi nomi premi e festival, cittadini, provinciali, regionali, tutti rigorosamente pubblici, di filosofi, letterati, registi, attori. Parlano e si premiano sempre gli stessi, rigorosamente con la tessera, non cedono nemmeno un gettone di presenza, nonché una coppa. Si veda nella capitale: Cultura e legalità. Massenzio, San Cosimato, Maxxi, la Roma che conta si celebra sempre in chiave Pd, come se i democratici non fossero l’esigua minoranza che sono, tra l’altro muta in Campidoglio: i Taviani, anche in memoria, Virzì, Muccino, Salvatores, Gifuni, Carofiglio…
Fra i tanti disastri, Mattarella avrà comunque ottenuto di dare un anno di ossigeno alla sua Nomenklatura. La frase fatta di questi casi è che si balla sul “Titanic”. Ma con ragione: la Nomenklatura dem mette fieno in cascina, anche se i buoi sono scappati, come direbbe la saggezza popolare.

La favola del Real Madrid

Incantati da Bale, orgogliosi di Ronaldo, entusiasti del Real Madrid, che sempre vince, non si legge altro sui giornali italiani. Che allora scendono da Marte? Come ha vinto non interessa, che invece è la parte inquietane.
Come non vedere l’arbitraggio dell’ignoto Mazič a favore del Real Madrid. Nel caso di Ramos contro Salah e dopo? E la non-incapacità, da comiche semmai, comprese le finte lacrime poi, del portiere Karius – bene o male in forza al Liverpool. La mancata sostituzione dello stesso? Non c’è sport, c’è business.
Il tutto condito – ironicamente – dal milanista Canale 5 con l’ineffabile madridista Sacchi. Uno che il Real Madrid fece direttore generale nel 2005, per organizzare una difficile eliminatoria in Coppa contro la Juventus – lo licenziarono subito dopo l’eliminazione.
Il Real Madrid può beneficiare dell’anti-juventinismo. Per questo forse tutti si congratulano. O Florentino Perez ha castelli in Spagna per tutti, non solo per gli arbitri e la Uefa? Non può essere. Ma come non vedere tutta una serie di arbitraggi, almeno quattro di seguito in questa Coppa, a favore del Madrid, contro il Bayern e contro il Liverpool, oltre che contro la Juventus. Due su tre di fila assicurati contro ogni regola  dallo stesso arbitro, il turco servizievole Čakir, gli altri da giovanotti grati a Collina, il dominus dellaffare.
Cinque arbitri pro Real con quello abissalmente schierato di Roma-Liverpool contro la squadra romana. Il Real Madrid non voleva la Roma in finale, meglio il Liverpool, al quale bastava azzoppare Salah, come è stato fatto.

Il mondo com'è (344)

astolfo


A Mosca, a Mosca – Fu un genere turistico più che un riferimento letterario – teatrale. Ci andavano “tutti”, invitati e riveriti, quando Mosca era la capitale dell’Unione Sovietica. E tutti, eccetto due o tre, ne tornavano entusiasti: mai la Russia è stata meta di gran tour entusiasti, benché organizzati dal Pcus, il partito Comunista Sovietico, di quando era al centro della Unione Sovietica. 
Mosca non era la sola meta. Dopo il 1956, Cuba è emersa, quale meta anch’essa del turismo politico. Qui però a proprie spese, non di Cuba. Dieci anni dopo in concorrenza con la Cina, sempre ospiti, accuditi a ogni minimo cenno – incredibili resoconti ne son stati fatti, da Maria Antonietta Macciocchi e Dario Fo tra i tanti, oltre che da una “delegazione” di poeti italiani – col controcanto di Arbasino.
Sul finire del secolo è venuto di moda il Nicaragua – qui senza capitale, il paese è rimasto malgrado l’impegno anonimo ai più. “Circa centomila americani hanno visitato il paese a partire dal 1979, insieme a un numero di europei occidentali calcolabili in decine di migliaia”, poteva scrivere nel 1980 l’americano Paul Hollander. Con qualche ragione, anche perché il viaggio si faceva a pagamento: era una “rivoluzione” marxista-leninista di poteri, con un’attrattiva in più, comunque uno spettacolo - e il Nicaragua era per gli americani l’esotismo alla porta di casa
Nessuno di questi racconti di viaggio regge, nemmeno Moravia o Pasolini. Giusto quello di Corrado Alvaro, che sempre fu onesto – “I maestri del diluvio”. E i due-tre contrari, di viaggiatori ravveduti, Gide, Céline. Erano, sono di una tale povertà intellettuale (lessicale perfino, oltre che concettuale), se non è disonestà, che non sembra possibile, ma è roba di ieri. E senza rimorsi. Paul Hollander, e poi Enzensberger, ne hanno fato la tara e la satira, di questo turismo politico, quando ancora era in auge. Herberto Padilla, il poeta cubano poi ostracizzato, ci ha cucito su la categoria di “turismo culturale”, troppo generosa, ma definiva la categoria. Di quelli che andavano a “vedere” la rivoluzione: “Il pellegrino è più fervente e più consciamente devoto agli ideali del paese che visita”.

Dossier – “Ogni dossier costruito per un servizio segreto (di qualsiasi nazione) è fatto esclusivamente di materiale già di dominio pubblico”, U.Eco, “Riflessioni su wikileaks” (in “Costruire il nemico”): Per una ragione semplice: “La regola per cui i dossier segreti devono essere fatti soltanto di notizie già note è essenziale per la dinamica dei servizi segreti, e non solo in questo secolo”. La stessa per cui le pubblicazioni esoteriche ripetono “esattamente quello che era scritto nei libri precedenti”.E non perché il compilatore dei dossier sia tendenzialmente uno scansafatiche (lo è, è anche questo, nella misura in cui è un burocrate – n.d.r.) ma per economia di linguaggio: “I devoti dell’occultismo credono solo a quello che sanno già”. L’amante dei dossier non si muove diversamente: “Lo stesso accade per i dossier segreti. Pigro l’informatore e pigro,  di mente ristretta, il dirigente dei servizi segreti, che ritiene vero solo ciò che riconosce”.

La “tecnica” dei servizi segreti o d’informazione era già spiegata da G.Greene nel romanzo “Missione confidenziale” - un romanzo di spionaggio, nella chiave che poi sarà di Le Carré, del suo Smiley tra Est e Ovest. Dove c’è  l’Inghilterra della Brexir che avevamo dimenticato: un’isola, aggredita da “sporchi continentali”,  “clandestini” – “vi infilate in casa nostra come vermi”. Con un eroe anonimo, che così si spiega: “Uno degli effetti del pericolo, dopo un certo tempo, è di uccidere le emozioni. … Nessuno di noi può più odiare….e neppure amare”. Mentre la compagna adibita al suo controllo, agente a Londra, in missione speciale, di una Potenza orientale dove non c’è da mangiare e nemmeno da scaldarsi e si fanno le file, ha “un viso raggrinzito” – il mal di fegato era diffuso tra i “compagni”. C’era anche la scuola di lingue, poi un classico dello spionaggio. E a un certo punto pure la pedofilia: la Storia, in entrambi i sensi, del romanzo e dell’avvenire, sta “nelle calze di una bambina sfruttata”, la sguattera dell’albergo a ore. Mancavano gli hacker, ma si era nel 1939.
Gli hacker hanno modificato la prassi dei servizi? Eco, che ne era a conoscenza, non ne ha tenuto conto.

Ivan Ilyin – Un fascista antinazista, venuto alla politica da anarchico, studioso di Hegel e dello Stato, e un nazionalista russo sempre. La biografia wikpedia aggiornata dell’ideologo russo oggi in auge a Mosca dà molti più elementi di quelli noti attraverso gli studi di Timothy Snyder, il teorico del Russiagate, e l’articolo su “Foreign Affairs” del 20 settembre 2015, riprodotto su tutti i siti “americani”, schierati per la confrontation  contro la Russia.
“L’ignominia era il posto migliore per Ilyin per appendere il suo cappello storico”, scrivevano su “Foreign Affairs” Anton Barbashin e Hannah Thoburn, un analista politico russo e una  Professional Russia nerd. Ex-think tanker, Ukraine RPCV, Seminole fan…” (RPCV sta per Returned Peace Corps Volunteer, una informatrice della Cia in Ucraina), e la rivista dell’americano Council of Foreign Affairs  titolava. Il cui rilancio attribuivano interamente al regista Michalkov. “Sempre un po’ teorico complottista”, scrivevano, “Ilyin ha introdotto il termine mirovaya zakulisa (retroscena mondiale), che usa per descrivere una cospirazione occidentale contro la Russia”.  Implicando, la strana coppia insiste, “che i leader del’Occidente ufficialmente eletti sono di fatto marionette dei veri dominatori del mondo: affaristi, massoni, e spesso ebrei” – ma Ilyin era anti-antisemita.
Wikipedia ne fa “un monarchico conservatore russo nella tradizione slavofila”. Ne sottolinea gli studi di dottrina dello Stato, un interesse costante in tutta la sua avventurosa vita – esiliato da Lenin nel 1922 in Germania (nella “nave dei professori”, 160 espulsi insieme), poi da Hitler nel 1938 in Svizzera, dove visse fino al 1954. Con una tesi lungamente preparata su Hegel, allievo di giuristi russi di primo piano, finita nel 1916, pubblicata nel 1918, per la cattedra all’università di Mosca nello stesso anno. In Germania insegnò per dodici anni, dal 1923 al 1934, all’Istituto Scientifico Russo di Berlino, un centro universitario tedesco. Lasciò inediti due studi cui aveva atteso per molti anni, “Sull’essenza della coscienza della legge”, e “Sulla monarchia”.
Ilyin “era critico della monarchia in Russia”. Specie nei suoi ultimi rappresentanti. Ma il principio monarchico riteneva migliore per tre motivi: è un fattore di unità sciale, fa dello Stato una famiglia, coltiva la tradizione.  La “Coscienza della legge”, l’opus magnum a cui lavorò per venti anni, non concluso, sviluppava come antidoto alla sovversione e all’ugualitarismo, basandolo sulla moralità individuale e sulla religione. Il fondamento della legge essendo nella coscienza dell’individuo, questi deve trovarvi elementi di amalgama e non di divisione. La coscienza della legge in ambito monarchico riteneva il meglio,corrispondente ai valori familiari e di pietà religiosa che privilegiava.

Multigender – È monogender nella prima classificazione materialista della sessualità nel Settecento, le differenze riducendo a fatti contingenti. Si portava l’esempio degli arabi che vivono a cavallo. Che, si favoleggiava,  finiscono castrati agli effetti pratici, perdono la barba, prendono una voce stridula, si vestono da donna, si siedono fra le donne sui carri, s’infilano nelle aree domestiche femminili, si accovacciano per urinare, affettano vezzi e vizi femminili.
La fisiologia uomo-donna Diderot riduce nella sua summa del materialismo, “Il sogno di D’Alembert”, 1769, a un fuori\dentro: a “una borsa pendente verso l’esterno oppure rivolta verso l’interno”. Con numerose precisazioni, dallo stato fetale alla persona adulta, che le differenze riportano a identità. La “borsa interna” essendo in tutto simile a quella esterna: “
È suscettibile dei medesimi movimenti, anch’essa è causa della voluttà, ha il suo glande, il suo prepuzio, e si nota alla sua estremità un punto che sembrerebbe essere stato lì’orifizio di un canale urinario che si  chiuso”. Mentre “c’è nell’uomo, dall’ano allo scroto, nell’intervallo chiamato perineo,e dallo scroto fino all’estremità della verga, una cucitura che sembra essere stata il rammendo di una vulva imbastita”. Gli eunuchi non hanno la barba, “le loro cosce si ingrossano, le loro anche si allargano, le loro ginocchia si arrotondano”. Dal canto loro, “le donne dal clitoride troppo sviluppato hanno la barba”, etc..

Mutamento climatico – Come parte del repertorio apocalittico, era in auge presso molti “scienziati” del Terzo Reich. Sulla base della “teoria del ghiaccio eterno” Welteislehre, di un visionario austriaco, Hans Hōrbiger, elevato a “Copernico del XXmo secolo”. Una cosmogonia che  è una lotta tra ghiaccio e fuoco, con prevalenza alternativa, ciclica. Nel ciclo attuale la luna si approssima alla terra, facendo alzare le acque, fino a sommergere i tropici e infine lasciare emerse solo le cime più alte. Mentre i raggi cosmici sempre più potenti determineranno mutazioni genetiche.  Finché la luna non scoppierà, trasformandosi in un globo di ghiaccio, e gas, che precipiterà sulla terra. La quale sarà a sua volta trasformata in ghiaccio e si assorbira infine nel sole. .   

astolfo@antiit.eu